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L’ARTE RINASCIMENTALE NEL CONTESTO Laura Aldovini, Anna Maria Ambrosini Massari, Raffaele Argenziano, Roberto Cassanelli, Paul Davies, Francesco De Carolis, Giovanni Donato, Laure Fagnart, Pier Luigi Mulas, Vittorio Natale, Bernardo Oderzo Gabrieli, Francesco Repishti, Alessandra Ruffino, Marino Viganò, Edoardo Villata, Caterina Zaira Laskaris, Stefano Zuffi A cura di Edoardo Villata BOZZE_Villata_Arte rinascimentale_01072015.indb 3 1-07-2015 17:02:19

F. Repishti, L’Antico e l’architettura milanese tra Quattrocento e Cinquecento, in L’arte rinascimentale nel contesto, a cura di E. Villata, Jaca Book, Milano, 2015, pp. 261-271

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l’arterinascimentale

nel contesto

laura aldovini, anna maria ambrosini massari,raffaele argenziano, roberto cassanelli, Paul Davies,

Francesco De carolis, Giovanni Donato, laure Fagnart,Pier luigi mulas, Vittorio natale, Bernardo oderzo Gabrieli,

Francesco repishti, alessandra ruffino, marino Viganò,edoardo Villata, caterina Zaira laskaris, stefano Zuffi

a cura diedoardo Villata

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redazione e impaginazioneelisabetta Gioanola / Jaca Book

stampa e confezioneingraf s.r.l., milano

settembre 2015

isBn 978-88-16-41319-1

editoriale Jaca Bookvia Frua 11, 20146 milano, tel. 02/48561520, fax 02/48193361

e-mail: [email protected]; www.jacabook.it

© 2015editoriale Jaca Book spa, milano

tutti i diritti riservati

Prima edizione italianasettembre 2015

copertina e graficaBreak Point / Jaca Book

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introduzione, di Edoardo Villata 7 Per la «Fortuna» del rinascimento «dal Vasari ai neoclassici», di Anna Maria Ambrosini Massari 17

il rinascimento tra Goethe e Berenson, di Francesco De Carolis 65

«Una rivoluzione nelle arti del disegno»: storia dell’arte e fotografia delle origini, di Roberto Cassanelli 87

trattati tecnici per le arti, di Caterina Zaira Laskaris 103

la miniatura in italia dopo l’introduzione della stampa, di Pier Luigi Mulas 119

Da mantegna ai carracci: la maniera italiana vulgata dalle stampe, di Laura Aldovini 129

la rinascita della terracotta nel Quattrocento e le tecniche di riproduzione seriale: un binomio dialettico, di Giovanni Donato 151

arte e artisti visti dai letterati, di Alessandra Ruffino 181

nuovi santi, nuove iconografie e nuovi committenti nell’italia del rinascimento: un medioevo ininterrotto, di Raffaele Argenziano 197

inDice

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indice

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Dallo stilo al pastello. innovazioni ed evoluzioni tecniche dei media grafici, di Bernardo Oderzo Gabrieli 217

la chiesa a pianta centrale e il suo successo nell’italia del rinascimento, di Paul Davies 247

l’antico e l’architettura milanese tra Quattrocento e cinquecento, di Francesco Repishti 261 l’architettura militare e la nuova arte della guerra, di Marino Viganò 273

oltre la prospettiva, di Edoardo Villata 295

Gli scambi artistici tra l’italia e la Francia (e vice versa) nei secoli XV e XVi. Qualche esempio, di Laure Fagnart 315

rotte mediterranee, di Vittorio Natale 329

il rinascimento nel mondo germanico, di Stefano Zuffi 349

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l’antico e l’arcHitettUra milanese tra QUattrocento e cinQUecento

Francesco repishti

anche in lombardia a metà del cinquecento gli elementi dell’or-dine e la sintassi architettonica giungono a una loro “normalizzazio-ne” e ad una fondazione teorica, dopo molti tentativi di scrittura, fati-cosi e prolungati, che avevano creato compromessi tra le forme classi-che, la consuetudo e gli idiomi locali. a partire dalla metà del Quattro-cento questa architettura si era espressa con un linguaggio che, di fat-to, era stato un tentativo di elaborazione ex novo, moderno, sebbene definito con materiali ed elementi tratti dall’antico e dalle fonti locali. a milano, come in altre città italiane, gli architetti e i loro committen-ti intenzionalmente avevano ricercato ogni modello o elemento all’an-tica disponibili e solo in mancanza di fonti locali si erano rivolti «a for-me e modelli reperiti altrove, richiedendo anche l’intervento di archi-tetti con adeguata competenza» da altre città1. solo grazie alla trattati-stica, nel corso del cinquecento questa nuova lingua si trasformerà in “universale” e diventerà facilmente replicabile anche in ambiti cultu-rali dove più forte era stata la resistenza delle tradizioni2.

il processo di elaborazione dei modelli e la costruzione delle regole

1 r. schofield, Bramante e un rinascimento locale all’antica, in Donato Bramante. Ri-cerche, proposte, riletture, a cura di F.P. Di teodoro, accademia raffaello, Urbino, 2001, p. 47 e r. schofield, Bramante dopo Malaguzzi Valeri, “arte lombarda”, 167, 2013, pp. 5-51.2 P.n. Pagliara, Vitruvio da testo a canone, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di s. settis, torino, einaudi, 1986, iii, pp. 5-8; F. repishti, L’idea di una archi-

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dallo studio dei monumenti antichi e dalla lettura dei testi di Plinio e di Vitruvio quindi non fu per nulla immediato. Una prima fase si svolse durante il Quattrocento a Firenze e poi nelle corti e città italiane di Ur-bino, roma, Ferrara, mantova, Venezia, napoli e milano nella secon-da metà del secolo3. Grazie alle soluzioni studiate nel Quattrocento, formatesi sui principi albertiani e sulle indicazioni delle fonti più anti-che, la teoria e la pratica architettonica avevano proceduto prima alla identificazione (attraverso il confronto con le rovine degli edifici clas-sici accuratamente rilevate) e poi alla strutturazione di un sistema coe-rente e riconoscibile (gli ordini architettonici), organizzato sulla base di una ancora libera sintassi. Per arrivare a un tale traguardo, l’architet-tura si era misurata costantemente con una eterogenea pletora di rife-rimenti alla ricerca di un “antico” o di surrogati in grado di legittimare le scelte formali. entro il sacco di roma del 1527, questa “maniera mo-derna” ricercata da Donato Bramante, Baldassare Peruzzi, Jacopo san-sovino, raffaello, Giuliano e antonio da sangallo, era già formata e a sua volta era diventata un nuovo modello da seguire.

Un percorso dunque iniziato nel Quattrocento con Brunelleschi e Donatello intenti a disegnare i monumenti romani e a documentare i loro scavi su strisce di pergamena, ampliatosi quando l’uso rappresen-tativo e simbolico dell’antico si aprì a nuovi committenti, e che, dopo lo “scontro” con la pluralità di modelli di riferimento, le consuetudi-ni e le resistenze, ridusse la sua tensione allo sperimentalismo “rein-ventando” gli ordini architettonici e trasformando la ricerca filologica di raffaello e di Peruzzi in normativa, come ben esemplificano i volu-mi di sebastiano serlio e di Jacopo Vignola4.

l’importanza dello studio dei modi attraverso cui avvenne la tra-smissione e la circolazione dei modelli architettonici antichi e moder-ni non ha quindi bisogno di essere sottolineata. tuttavia il tema si pre-

tettura universale, in Il Rinascimento italiano e l’Europa. Storia e Storiografia, a cura di m. Fantoni, angelo colla, Vicenza, 2005, pp. 475-488.3 alle quali vanno sicuramente aggiunti altri centri quali Pienza, siena, rimini, Bo-logna, Perugia, loreto, carpi.4 eppure l’interpretazione che ancora oggi la maggior parte della critica storico-ar-chitettonica ha nei confronti del linguaggio dell’architettura rinascimentale è quella di un periodo nel quale “rinascono” e sono applicati, a distanza di dieci secoli, gli ordi-ni architettonici, predisposti nell’antichità, abbandonati nel medioevo e, ovviamente, riscoperti in età moderna.

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senta insidioso se l’intento del testo si impone di essere breve, didatti-co e per di più circoscritto all’area lombarda. appare più saggio quin-di enunciare in apertura quali risposte non troveranno spazi nelle ri-ghe seguenti: in primo luogo il ruolo al quale fu chiamato l’uso dell’an-tico, le immagini e i significati da questo invocati, oltre al valore sim-bolico di alcuni tipi architettonici antichi adottati. al contrario si ten-terà invece di ricordare i principali modelli e fonti antichi per l’archi-tettura milanese e di ragionare sui possibili modi con cui si trasmise la loro fortuna.

Roma e «avoiding Rome»5

l’interpretazione che sembra percorrere con coerenza tutta l’ar-chitettura milanese tra XV e XViii secolo è quella secondo la quale a ogni novità che si manifesta corrisponda un debito nei confronti di roma o di un “centro”, quest’ultimi visti come “sorgente” continua e diretta di forme e modelli. tali passaggi univoci ritornano con caden-za periodica quando sulla scena periferica milanese si affacciano per-sonalità esogene alla cultura locale (Brunelleschi?, michelozzo?, Fila-rete, Bramante, Domenico Giunti, Galeazzo alessi, Pellegrino tibal-di, carlo Fontana, Giovanni ruggeri, Giuseppe Piermarini…), ma an-che quando inaspettati “scatti in avanti” trovano come unica giustifi-cazione l’ipotesi di viaggi e di aggiornamenti di artisti milanesi sulle sponde del tevere (Bramantino, cristoforo solari e cristoforo lom-bardo). i modi di propagazione delle forme antiche e classiche o del-la loro traduzione “rinascimentale” sembrerebbero per la storiografia tradizionale quasi esclusivamente legate al soggiorno di artisti, archi-tetti e ingegneri, e maestranze nei cantieri romani.

È stato richard schofield che per primo ha dubitato di questa troppo facile dipendenza proprio a partire dallo studio dell’attività di Giovanni antonio amadeo: nella cappella colleoni a Bergamo e alla certosa di Pavia tutti i motivi all’antica di amadeo derivano da opere locali di piccole dimensioni o da fonti osservabili, senza ricorrere a motivi estranei al contesto lombardo di grande scala e antichi. esem-

5 r.V. schofield, Avoiding Rome: an introduction to Lombard sculptors and the an-tique, “arte lombarda”, 100, 1992, pp. 29-44.

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plare è il basamento della certosa dove è rappresentata una galleria di tondi di personaggi del Vecchio testamento, babilonesi (nabucodo-nosor, Giuda maccabeo, i re ciro, Dario, cambise) e greci (ercole, anteo, alessandro magno), della repubblica e dell’impero romano (da ottaviano a costantino) e barbari (attila) e dove, oltre che dalla numismatica, alcuni profili sono ripresi da medaglie eseguite nel rina-scimento6.

a milano, sant’aquilino e san lorenzo erano considerati edifici antichi e la particolare struttura centrale con cappelle aveva attirato l’attenzione di Battagio, Bramante e leonardo, ma anche di Giuliano da sangallo. san Pietro in ciel d’oro, san Gregorio, a fianco dell’ab-side di san Vittore, erano considerati alla pari di sant’aquilino monu-menti antichi, ma anche le antiche colonne poste davanti alla piccola chiesa nella canonica di sant’ambrogio, santa maria Fava Greca (o san sigismondo), erano ritenute “antiche” perché provenienti dall’edi-ficio costruito dallo stesso ambrogio.

Bramante e Battagio, anche quando riprendevano architetture an-tiche non milanesi, nei loro edifici includevano molti elementi decora-tivi all’antica, realizzati, ma non necessariamente disegnati, da lapicidi locali. ne consegue che gli edifici presentano, nel dettaglio, un carat-tere locale molto forte, ma le fonti “straniere” sono a loro volta ben rappresentate. oltre ai riferimenti urbinati, fiorentini e albertiani, a santa maria presso san satiro le paraste abbinate che rivestono gli an-goli della facciata su via del Falcone forse derivano dall’arco dei sergi di Pola (qui semicolonne abbinate), mentre la cornice con mensole proviene da monumenti come la Porta dei leoni, l’arco dei Gavi a Verona o il tempio di augusto e roma a Pola. Quindi una ricchezza di riferimenti a edifici antichi di monumenti che, per esempio, non sor-gevano solo a roma ma che si amplia a quelli nei territori allora appar-tenenti alla repubblica di Venezia (per esempio Verona e Pola).

ciò accadde anche quando nel 1487 i fabbricieri del Duomo di Pa-via, nell’illustrare la loro decisione di costruire una nuova cattedrale, dichiararono al vescovo ascanio sforza di voler superare sia i modelli

6 Per esempio la medaglia di Giovanni Boldù (1466) per «antoninus Pius augu-stus» e per la scena «innocentia e memoria mortis». oppure nel caso di attila gli scultori ripresero l’immagine da una placchetta circolante nel nord d’italia nel tardo Quattrocento che discendeva dalle rappresentazioni del Dio Pan, che aveva prestato il volto al diavolo nel mondo medievale.

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romani sia quello di santa sofia di costantinopoli7 e realizzare un edi-ficio nel «moderno stile all’antica» (dove, ancora oggi, nella cripta è possibile osservare la volta formata dall’alternanza di unghie semicir-colari e fusi rettilinei desunta senza dubbio dal canopo di Villa adria-na). e ancora, nei chiostri di sant’ambrogio, Bramante o chi per lui adottò un modello romano nell’ordine superiore con un ordine mag-giore e uno minore, come aveva disegnato Giuliano da sangallo nel codice Barberini ricostruendo il portico della crypta Balbi.

certamente più difficile è invece il riconoscimento delle fonti anti-che dirette nelle opere di cristoforo solari e di Bramantino8, come se fosse avvenuto già un passaggio di rielaborazione di quest’ultime. so-lari, per esempio, riesce a unificare tutta una lunga serie di articolate e frammentate dimostrazioni di “antico”, riorganizzandole e riducen-dole a una unità sintattica di grande sintesi (poi ulteriormente sempli-ficate da cristoforo lombardi e da Vincenzo seregni), e, soprattutto, operando in modo coerente e corretto secondo la lezione dei suoi col-leghi contemporanei. È indubbio che ciò che rende “moderna” la sua lezione è l’aver riaffidato agli elementi dell’ordine il loro valore espres-sivo senza ricorrere al surplus e alla ostentazione della decorazione “lombardesca” intesa come fulcro del linguaggio all’antica. si attua così una operazione di pulizia e di emendazione del linguaggio all’an-tica che supera il fare anacronistico di amadeo e di Bramante, e si ab-bandona per la prima volta anche l’idea di proporre un “rinascimento locale”, almeno nei termini descritti da schofield, a differenza di quan-to continuerà a fare amadeo9.

7 «mittimis itaque designa ab perito architectore confecta ut illa reverendissima do-minatio vestra conferre possit cum aliis pulcherrimis rome sacre edibus atque vel in primis cum illo sanctae sophiae constantinopolis celeberrimo omnium templo cuius instar illud figuratum invenire posse speramus». cfr. r. schofield, Bramante e un ri-nascimento locale all’antica, in Donato Bramante. Ricerche, proposte, riletture, a cura di F.P. Di teodoro, accademia raffaello, Urbino, 2001, p. 62.8 F. repishti, L’architettura milanese prima di Carlo Borromeo e l’idea di «letargo», in Prima di Carlo Borromeo. Lettere e arti a Milano nel primo Cinquecento, a cura di e. Bel-lini, a. rovetta, Bulzoni, roma, 2013, pp. 189-215; F. repishti, Bramantino e l’architet-tura dipinta, in Bramantino. L’arte nuova del Rinascimento lombardo, a cura di m. nata-le, catalogo della mostra (lugano 2014), skira, milano-Ginevra, 2014, pp. 338-347.9 r.V. schofield, Bramante e un rinascimento locale all’antica, in Donato Bramante: ricerche, proposte, riletture, a cura di F.P. Di teodoro, accademia raffaello, Urbino, 2001, pp. 47-81.

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I codici delle antichità

alla fine del Quattrocento gli architetti potevano contare solo su tre edizioni di testi di architettura: l’edizione di 1486 del De architectura li-bri decem di Vitruvio, quella del De re edificatoria di leon Battista al-berti (1485) e la Hypnerotomachia Poliphili pubblicata a Venezia (1499), alle quali potremmo aggiungere la Storia Naturale di Plinio per la descrizione di monumenti antichi pubblicata in volgare nell’edizio-ne di cristoforo landino (1476). occorre attendere le due edizioni cu-rate da fra Giocondo da Verona (1511 e 1513) e quella di cesare cesa-riano (1521) per avere delle versioni illustrate del testo di Vitruvio.

in assenza di testi figurati, la penisola e la lombardia sembrano però attraversate da una incredibile produzione e riproduzione di di-segni di monumenti antichi e raccolti in codici o rilegati in più sempli-ci album; o da edizioni del De Architectura postillate dagli stessi archi-tetti che sono documentate a milano perché appartenenti a umanisti e artisti (come documenta il ms. 176 della Biblioteca ariostea di Ferra-ra10). ai pari delle altri corti italiane, anche tra i letterati, gli umanisti e gli artisti che frequentavano quella sforzesca, il testo di Vitruvio ave-va suscitato un discreto interesse11: possiamo ricordare, per esempio, i precedenti di Bramante e di Gaspare Visconti12 oppure di leonardo e Giacomo andrea da Ferrara13, lodato da luca Pacioli come esperto

10 cfr. in ultimo sebbene non condivisibile nelle conclusioni V. Pizzigoni, Un uomo, un’opera, uno scopo: un’ipotesi sul manoscritto di Ferrara, “annali di architettura”, 18-19, 2006-07, pp. 53-69.11 mirella Ferrari ritiene, invece, che Vitruvio «abbia avuto poca fortuna nell’am-biente milanese». cfr. m. Ferrari, Fra i «Latini scriptores» di Pier Candido Decembrio e biblioteche umanistiche milanesi: codici di Vitruvio e Quintiliano, in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di r. avesani, m. Ferrari, t. Foffano, G. Frasso e a. sottili, vol. i, edizioni di storia e letteratura, roma, 1984, pp. 256-264, in parti-colare p. 263.12 r.V. schofield, Gaspare Visconti, mecenate del Bramante, in Arte, committenza ed economia a Roma e nelle corti del Rinascimento (1420-1530), atti del convegno (roma 1990), a cura di a. esch e c.l. Frommel, einaudi, torino, 1995, p. 313.13 ricordato da luca Pacioli a proposito delle discussioni su Vitruvio come «Jaco-po andrea da Ferrara de l’opere di Victruvio acuratissimo sectatore, caro quanto fra-tello», e da leonardo più volte. cfr. G. Biscaro, La vigna di Leonardo da Vinci fuori Porta Vercellina, “archivio storico lombardo”, XXiii, 1909, pp. 363-396. all’arrivo dei Francesi furono eseguite solo cinque condanne capitali tra cui la decapitazione del “ribelle” Giacomo andrea da Ferrara.

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vitruviano. come ogni altra fonte antica le opere di Vitruvio e di Pli-nio erano approfondite perché utili allo studio di nuovi vocaboli o ac-cezioni proprie della lingua antica, oppure perché utili allo studio di particolari espressioni14, così come erano studiate altre architetture considerate antiche, soprattutto quelle più famose ricordate dallo stes-so Plinio.

circa la conoscenza dei monumenti antichi, oltre a quella diretta per quelli veneti, soprattutto veronesi, essa può essere avvenuta anche grazie ai molti taccuini di antichità segnalati in lombardia in questi anni: il codice delle rovine di roma è senza dubbio uno dei nodi più interessanti che la storiografia è chiamata a sciogliere da diversi anni soprattutto in riferimento al debito con roma che la cultura antiqua-ria milanese avrebbe contratto. Una serie di riferimenti sembrano da-tare la sua redazione entro il 1503 e sembrano individuare l’autore come “lombardo” riconosciuto, non senza pareri contrari, nella figu-ra di Bramantino. Può essere utile ricordare che leonardo fa menzio-ne anche di altri libri di mano di architetti: un «libro di Gio iachomo» nel codice Windsor 12688 e il libro di Francesco di Giorgio martini, oggi conservato a Firenze con glosse dello stesso leonardo15. È poi in-teressante ricordare che in questi anni circola a milano un altro im-portante libro di antichità, «disegnato e misurato di mano di Braman-tino», ricordato da Vasari nella Vita di Bramantino, in possesso di Va-lerio Belli, e copiato in gioventù dallo storiografo aretino16. al di là de-gli errori di attribuzione – a Bramantino è assegnato il progetto del cortile dei canonici di sant’ambrogio – nella descrizione che Vasari dà, alcuni contenuti (sant’ambrogio, le colonne di san lorenzo, sant’aquilino, san Pietro in ciel d’oro, santa maria in Pertica e la torre a Pavia…) sono sorprendentemente vicini a quelli lombardi dei

14 caterina tristano (c. tristano, La biblioteca di un umanista calabrese: Aulo Gia-no Parrasio, manziana (roma), Vecchiarelli, 1989) segnala che in un codice autografo contenente scritti di aulo Giano Parrasio, presente a milano dal 1499 al 1507, un’an-notazione posta da mano diversa ricordi la compilazione di un perduto indice di vo-caboli vitruviani, probabilmente simile a quello albertiano compilato da iacopo san-nazaro.15 su leonardo cfr. e. Villata, Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee, castello sforzesco, milano, 1999.16 cfr. Valerio Belli Vicentino: 1468c.-1545, a cura di H. Burns, m. collareta, D. Ga-sparotto, neri Pozza, Vicenza, 2000. anche leonardo disegna santa maria in Pertica a Pavia nel ms B 55r.

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celebri codici di disegni di Giuliano da sangallo. Forse potrebbe non essere azzardato ipotizzare che quanto disegnato da Giuliano non sia frutto di un rilievo durante i suoi soggiorni milanesi, quanto una copia di altri fogli, tra cui anche quelli di Gian cristoforo romano17. all’am-bito milanese è stato ricondotto anche il codice della Biblioteca Uni-versitaria di salisburgo, noto anche come taccuino di salisburgo che raccoglie la descrizione e i rilievi di edifici antichi di roma e dell’are-na di Verona18.

infine, da milano transita diretto in Piemonte anche un ultimo Li-bro di anticaglie19 che Pomponio leto, umanista romano, avrebbe consegnato a ludovico tizzoni nel 149320 indicato come «libellum multarum antiquitatum» con disegni «a sepulchris, a vetustorum li-brorum fragmentis; ab aqueductibus; a triumphalibus arcibus».

Per l’ambito milanese le fonti sono note e la loro ricchezza denota l’importanza di questa forma di trasmissione e di comunicazione dell’architettura: il protagonista del trattato di Filarete spiega al prin-cipe tutti i dettagli e le misure del colosseo e questo gli richiede di ve-derlo disegnato per meglio intendere la forma. richiesta alla quale ri-sponde prontamente l’architetto21. come rileva arnold nesselrath22, l’episodio rivela da un lato la facilità esecutiva di un disegno architet-

17 H. Günther, Gian Cristoforo Romano studia l’architettura antica: un aspetto sco-nosciuto, in Il disegno dell’architettura, a cura di P. carpeggiani e l. Patetta, Guerini, milano, 1989, pp. 137-148.18 a. nesselrath, Disegnare Roma, in La Roma di Leon Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento, catalogo della mostra a cura di H. Burns, P. Fancelli, F.P. Fiore, a. nesselrath e a. Viscogliosi, ski-ra, milano-Ginevra, 2005, p. 51. cfr. c. Fumarco, “E molti ne aveva summa deletatio-ne”: architetture, spettacoli e feste romane nel racconto e nei disegni del Taccuino di Sa-lisburgo, “arte lombarda”, 167, 2013, pp. 52-80.19 Il sarcofago di Filippo Vagnone: committenza e gusto per l’antico, a cura di s. Ba-iocco, l’artistica editrice, savigliano, 2011.20 cfr. G. romano, Nuove indicazioni per Eusebio Ferrari e per il primo Cinquecen-to a Vercelli, in Scritti in onore di Giuliano Briganti, a cura di m. Bona castellotti e l. laureati, longanesi, milano, 1990, pp. 71-90.21 Filarete, antonio averlino detto il, Trattato di Architettura, a cura di a.m. Fino-li e l. Grassi, Polifilo, milano, 1972, vol. i, p. 337.22 a. nesselrath, Disegnare Roma, in La Roma di Leon Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento, catalogo della mostra a cura di H. Burns, P. Fancelli, F.P. Fiore, a. nesselrath e a. Viscogliosi, ski-ra, milano-Ginevra, 2005, p. 53.

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l’antico e l’architettura milanese tra Quattrocento e cinquecento

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tonico in pianta e in alzato, dall’altro il ruolo di aiuto che il disegno già svolge a quella data nella comprensione di un’architettura.

I modelli

con i disegni, la produzione e l’utilizzo di modelli lignei permette-va di valutare meglio la scelta progettuale e di verificare la risponden-za dell’esecuzione rispetto al progetto approvato. il modello ligneo, a differenza di quelli in creta o in cera, costituiva l’atto finale di un lun-go iter progettuale e decisionale e doveva servire da guida in caso il la-voro si fosse protratto nel tempo, con l’inevitabile avvicendamento dei protagonisti.

Prima della diffusione della stampa, i modelli architettonici svolgo-no un ruolo fondamentale anche nella circolazione di nuove soluzioni o tipologie: quando Francesco sforza pensò alla costruzione di un nuovo ospedale scrisse a cosimo de medici per avere il disegno dell’ospedale di santa maria nuova a Firenze e inviò il suo ingegne-re sia a Firenze sia a siena. e un modello o un rilievo dell’ospedale maggiore di milano fu a sua volta approntato da Bramante nel settem-bre del 1485 per gli ambasciatori veneti.

Giuliano da sangallo nel 1492 fu invitato a Vigevano per presenta-re a ludovico il moro il modello della villa di Poggio di caiano, mo-dello già richiesto pochi anni prima dal re di napoli, alfonso ii, suc-cessivamente utilizzato da Francesco i a chambord e codificato da se-bastiano serlio nel suo Terzo libro stampato a Venezia nel 1540. luigi carcano, ad esempio, scrisse da mosca nel 1496 riferendo di essere «ben acarezzato» dal suo signore, lo zar, il quale desiderava «uno ca-stello a la similitudine de quello de milano».

Purtroppo la maggior parte dei modelli architettonici realizzati in lombardia è andata perduta. se ne è conservata solo una piccola par-te relativa ai cantieri delle cattedrali di milano, como, Pavia, Vigeva-no e del santuario di caravaggio, mentre non abbiamo più tracce dei modelli lignei che erano stati approntati, per esempio, per la certosa di Pavia (1496), per i chiostri di sant’ambrogio (1498), per santa ma-ria della croce a crema (1490), per il santuario di santa maria presso san celso (1514) e per il tiburio, la guglia e la Porta verso compedo del Duomo di milano (1503).

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Francesco repishti

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Epilogo: la trattatistica

la sperimentazione tipologica e la ricerca di fondamento, la consa-pevolezza di fondare una nuova tradizione e l’astrazione di una rego-la sono, come abbiamo visto, dei processi di lunga durata e interessa-no tutto il “rinascimento”, senza bisogno di ulteriori periodizzazioni. la Ricerca del Rinascimento23, con l’acquietarsi della ricerca dei primi decenni del cinquecento, approda infine alla codificazione di un lin-guaggio uniformato e normalizzato ben rappresentato dalla trattatisti-ca, giustificato anche da un bisogno di regole semplici e certe, che tro-va nelle edizioni di serlio (Venezia, 1537), Vignola (Venezia, 1562) e Palladio (Venezia, 1570) una precisa, definitiva e organizzata esempli-ficazione.

se i primi trattati del Quattrocento (leon Battista alberti, Filare-te, Francesco di Giorgio martini) si ponevano in un colloquio con il testo di Vitruvio, nei trattati del cinquecento si evidenzia l’ansia di raggiungere per via archeologica, scientifica e filologica un «codice ri-gorosamente definito che l’esperienza di progettazione metteva in cri-si giorno per giorno»24. la trattatistica dunque si trova ad affrontare due vie diverse per supportare la pratica progettuale: da una parte la scrittura delle “regole” degli elementi (serlio, Vignola, Palladio), dall’altra l’esplorazione curiosa delle possibili articolazioni sintattiche in una continua ricerca di soluzioni e modelli inediti (ancora serlio, Du cerceau, De Vries, cataneo, montano). entrambe le vie portano a una sorta di “architettura senza tempo” costituita da prototipi e mo-delli assoluti; un’esemplificazione che permetterà la ricezione del nuo-vo linguaggio in ambito italiano ed europeo, piegandosi, solo a volte, a compromessi desunti dalla consuetudo locale.

la trattatistica svolge quindi un ruolo decisivo: sul piano ideale è il principale tramite del rapporto con la storia e con l’antico assicuran-do attraverso le tavole contenute la trasmissione delle esperienze. sul piano linguistico, come abbiamo visto, elabora un codice, facilmente comprensibile, misurabile e replicabile, capace di rispondere ai com-piti universali del nuovo linguaggio. sul piano della prassi sancisce de-finitivamente il primato del disegno e della progettazione.

23 m. tafuri, La ricerca del Rinascimento, einaudi, torino, 1992.24 cfr. m. tafuri, L’Architettura dell’Umanesimo, laterza, Bari, 1969, p. 336.

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l’antico e l’architettura milanese tra Quattrocento e cinquecento

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i trattati hanno una diffusione immediata e si propongono come compendi pratici che verranno tradotti in varie lingue (nel giro di po-chi anni in francese, tedesco, spagnolo, inglese, olandese e fiammingo) e in grado di riprodurre edifici antichi e moderni, progetti per palaz-zi, case, chiese, finestre e portali, camini e decorazioni. Per esempio, l’importanza del trattato di Jacopo Barozzi da Vignola – Regole delli cinque ordini dell’architettura – è contenuta nel titolo: assunse da subi-to il significato di manuale e di vademecum per evitare le sgrammati-cature nell’applicazione del lessico formale degli ordini e si avvicina quindi, in un certo senso, ai Werkmeisterbucher (libri dei capomastri) del tardo gotico. l’intento soprattutto di Vignola era di trovare, aven-do visto «il parere di quanto scrittori ho possuto et quelli comparan-doli fra lor stessi et con l’opre antiche quali si veggono in essere, vede-re di trarne una regola, nella quale io m’aqquetassi con la sicurezza che ad ogni giudicioso di simil arte dovesse». Una scelta di fatto oppo-sta alla ricerca quattrocentesca e di primo cinquecento che esprimeva un equilibrio tra ricerca di fondamento e sperimentazione, tra norma e inventio. Uno spirito non diverso anima Palladio nei Quattro libri dell’architettura quando afferma che «benché il variare e le cose nuo-ve a tutti debbono piacere, non si deve però far contra i precetti dell’arte». Palladio mostra, tra gli edifici esemplari dell’antichità an-che francesi, la pianta e l’alzato del tempio circolare di san Pietro in montorio di Bramante. Diversamente da Vignola, che affronta il pro-blema di trovare regole empiriche e pratiche per l’ordine architettoni-co, Palladio indaga un inedito percorso di parallelismi sui tipi sacri e civili tra l’architettura vitruviana e quella moderna volendone rifonda-re non solo i principi formali, ma soprattutto quelli tipologici. il suc-cesso internazionale conseguito dai Quattro Libri è dovuto alla chia-rezza e alla ricchezza delle esemplificazioni, una sistematica e rigorosa rappresentazione di monumenti dell’architettura romana e dello stes-so autore.

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