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TERRA ALIENA L’esilio degli intellettuali europei

Esilio e ritorno nella poesia di Vittorio Sereni. (2014)

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TERRA ALIENA

L’esilio degli intellettuali europei

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TERRA ALIENA

L’esilio degli intellettuali europei

Atti del Colloquio internazionale Padova – Venezia, 31 maggio – 2 giugno 2012

a cura di Dan Octavian Cepraga e Alexandra Vrânceanu Pagliardini

2013

Referenţi știinţifici: Prof. Alvaro BARBIERI, Università di Padova Prof. Paul DANLER, Universität Innsbruck

Șos. Panduri, 90-92, București – 050663, România

Telefon/Fax: (0040) 021.410.23.84, E-mail: [email protected],

Librărie online: http://librarie-unibuc.ro Centru de vânzare:

Bd. Regina Elisabeta, nr. 4-12, București, tel. (0040) 021.314.35.08/2125 Web: www.editura.unibuc.ro

Imagine copertă: desen de Marc Chagall din volumul Ilarie Voronca, Ulise, Colecţia Integral, Paris, 1928

Tehnoredactare computerizată și coperta: Meri Pogonariu

Descrierea CIP a Bibliotecii Naţionale a României Terra Aliena : L’esilio degli intellettuali europei /

ed.: Dan Octavian Cepraga, Alexandra Vrânceanu Pagliardini. - București: Editura Universităţii din București, 2013

ISBN 978-606-16-0403-6

I. Cepraga, Dan Octavian (ed.) II. Vrânceanu Pagliardini, Alexandra (ed.)

008(=135.1)(450)

TERRA ALIENA

L’esilio degli intellettuali europei

Padova-Venezia, 31 maggio – 2 giugno 2012

Atti del Convegno

A cura di Dan Octavian Cepraga e Alexandra Vrânceanu Pagliardini București, Editura Universității București, 2013

I N D I C E

Parole introduttive, D. O. Cepraga, A. Vranceanu Pagliardini 7 DUMITRU ȚEPENEAG,

L’exil et la tentation du sablier 11 URSULA MATHIS-MOSER,

Passages et ancrages en France. L’exil des intellectuels européens vu à travers un nouveau dictionnaire 21

ALAIN VUILLEMIN, Exil et littérature: un siècle et demi d’écrivains de langue française venus du sud-est de l’Europe (1859-2009) 41

FRANCIS CLAUDON, Exil extérieur, exil intérieur, exil antérieur. Venise capitale des paradoxes et de l’aliénité: Ovide, Morand, Amrouche 57

ALEXANDRA VRÂNCEANU PAGLIARDINI, Il valore creativo dell'esilio: la cristallizzazione dell'identità letteraria nel cambiamento di lingua 67

6

MARIKA PIVA, Esili di carta. Emigrazione e scrittura nei Mémoires d’outre-tombe di Chateaubriand 91

DONATELLA PINI, Via dalla Spagna, oltre l’Europa 101

GILBERTO PIZZAMIGLIO, Esili di Ugo Foscolo, tra vita e letteratura 113

ATTILIO MOTTA, Nievo, gli esili «d’un italiano» 127

ANGELO PAGLIARDINI, Esilio e ritorno nella letteratura italiana del Novecento: l’esempio di Vittorio Sereni 153

CARLO TENUTA, Anonimi luoghi comuni: sull’esilio in Furio Jesi 171

ADRIAN NICULESCU, L'esilio – un fenomeno squisitamente politico 181

ROBERTO SCAGNO, Le due Romanie: lineamenti del primo esilio culturale romeno dopo il 1945 189

LORENZO RENZI, Da Mihăileni al mondo: Eugenio Coseriu (Eugeniu Coşeriu) a dieci anni dalla morte (2002) 199

MIRCEA ANGHELESCU, Changer de langue, changer de style: Cioran, écrivain français 215

DAN OCTAVIAN CEPRAGA, Înstrăinare și autotraducere: câteva observații despre exilul lingvistic al lui Paul Celan 223

GIOVANNI ROTIROTI, Da Inventatorul Iubirii a L’Inventeur de l'Amour: l’esilio linguistico di Gherasim Luca 243

EMILIA DAVID, Valenze dell’esilio letterario negli anni ’80 del Novecento: Norman Manea e Matei Vişniec 253

ESILIO E RITORNO NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL NOVECENTO:

L'ESEMPIO DI VITTORIO SERENI

ANGELO PAGLIARDINI Università di Innsbruck

1. Premessa Nel presente contributo analizzeremo la coppia concettuale

esilio/ritorno nell'opera del poeta Vittorio Sereni (1913-1983), focalizzando all'interno della sua produzione il primo periodo, costituito dalle raccolte Frontiera (prima edizione nel 1941) e Diario d'Algeria (prima edizione nel 1947). 1

A premessa e pietra di paragone della nostra analisi prenderemo in considerazione alcuni aspetti dell'opera di un altro poeta, Giuseppe Ungaretti (1888-1970), un vero e proprio classico della letteratura italiana del Novecento, fra i maestri e ispiratori di Sereni.2 Da un lato vedremo come in Ungaretti sia attiva piuttosto la categoria della migranza intesa nelle forme che definiremo, piuttosto che quella dell'esilio, e come questi assi costituiscano elementi portanti delle rispettive poetiche e definiscano in entrambi i casi, con strumenti lirici, lo spazio culturale e identitario italiano e, nel caso di Sereni, anche europeo.

Il paradigma dell'esilio, con le sue possibili declinazioni (rappresentazione dell'esilio, produzione letteraria dall'esilio, condizione di esilio vissuta dallo scrittore, rappresentazione dell'Italia come terra dell'esilio), costituisce un elemento cardinale dello specifico identitario della letteratura italiana. Uno spunto in questa direzione è stato offerto da

1 Frontiera esce in 300 esemplari numerati nelle edizioni di «Corrente»; il Diario d'Algeria è pubblicato da Vallecchi (cfr. Bonfanti, 2010, 90; 94). Nel nostro lavoro faremo riferimento all'edizione Mondadori del 1965, che comprende anche la sezione Il male d'Africa. 2 Cfr. Giovanardi, 2007, 243; 245 e Barile, 2004, 43.

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Asor Rosa nella Letteratura italiana diretta dallo stesso, con il saggio «La fondazione del laico» (Asor Rosa, 1986, 90-102), che apre il volume tematico dedicato alle Questioni. Alberto Asor Rosa, risalendo agli assi esistenziali e biografici che accomunano le cosiddette tre corone, gli autori fondanti della tradizione letteraria italiana, Dante, Petrarca e Boccaccio, arriva ad individuare la condizione «di esule, di apolide, di refoulé» come parametro comune in una situazione culturale ed intellettuale che è stata alla base della loro produzione letteraria da «padri fondatori» di una nuova letteratura (Asor Rosa, 1986, 90). Partendo da questa precoce intuizione storico-letteraria, il tema è stato ripreso a più di venti anni di distanza in un denso numero monografico del Bollettino di italianistica, coordinato dallo stesso Asor Rosa, dal titolo: La letteratura italiana e l'esilio, pubblicato nel 2011 (Asor Rosa, 2011).

L'attenzione al significato della categoria dell'esilio e della migrazione all'interno della letteratura, e più in generale degli studi culturali, serve sicuramente per la lettura del connettivo letterario italiano contemporaneo, che al pari di altre tradizioni letterarie è arrivata al punto di confrontarsi con la presenza di autori che provengono da culture e lingue diverse, in un quadro in cui saltano le tradizionali frontiere culturali, perché la presenza cospicua di soggetti con background migratorio comincia a caratterizzare anche la società, oltre che la scena letteraria, italiana.3 2. Il modello ungarettiano

La condizione migrante, come appartenenza multipla e attraversamento di diverse culture, è una caratteristica peculiare nella poesia di Giuseppe Ungaretti, nato e cresciuto fino all'età di 24 anni nella comunità italiana di Alessandria d'Egitto, formatosi in seguito a Parigi, tornato in Italia come soldato nel primo conflitto mondiale, che porta nella propria lirica tutte le tracce, compresa quella della sua terra di origine, cui si incrociava il senso di appartenenza della famiglia, costituita da emigranti lucchesi:

3 Vasta è ormai la bibliografia sul tema, per cui rimandiamo al vasto panorama che ne fa Sebastiano Martelli (Martelli 2012) e al saggio di Caterina Romeo (Romeo, 2011). Vorremmo segnalare anche uno studio in cui Cristina Mauceri e Maria Grazia Negro analizzano e confrontano le rappresentazioni degli immigrati in Italia da parte di scrittori italiani di origine italiana e di scrittori italiani immigrati, provenienti da altre culture (Mauceri; Negro, 2009).

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E una delle Arabe accalcate, scatta, Fulmine che una roccia graffia Indica, e, con schiumante bocca attesta: Un mahdi ancora informe nel granito, Delinea le sue braccia spaventose; Ma mia madre, Lucchese, A quella uscita ride Ed un proverbio cita: Se di Febbraio corrono i viottoli, Empie di vino tutti i ciottoli.

(Ungaretti, 1996, Poesie, Un Grido e Paesaggi, Monologhetto, 178-179)

La categoria dell'esilio si lega alla definizione nazionale identitaria mediante l'elemento del confine come tratto territoriale di inclusione/ esclusione, ricorrente nella poesia del Novecento.4 In particolare per quanto riguarda Ungaretti, tutta la sua identità composita, da (e-)migrante e da esiliato, si ritrova sintetizzata nella lirica dal titolo significativo Italia, all'interno della sua prima raccolta poetica, Il porto sepolto, pubblicata nel 1916, costituita da 33 liriche scritte in trincea, anche su supporti di fortuna, e pubblicate per iniziativa del sottotenente Ettore Serra (cfr. Piccioni, 1971, 54-55).

Il titolo del volume, tratto dalla seconda lirica, fa riferimento a quello che costituisce il punto di partenza di un esule, il «porto», cui spera di approdare di nuovo un giorno per il proprio ritorno, ma nel caso di Ungaretti, migrante senza un speranza di ritorno, il porto è ormai «sepolto», irraggiungibile. La trincea costituisce la variante più conflittuale, al tempo stesso la più definita e la più precaria delle linee di frontiera: definita perché marcata nettamente, tracciata come un solco sulla terra; indefinita perché instabile e sospesa al destino e agli sviluppi degli scontri militari. La linea di frontiera costituita dalla trincea diventa per Ungaretti una sorta di luogo a-topico, da cui il poeta può contemplare direttamente l'essenza dell'umanità al di là da ogni identificazione nazionale, come si può leggere ad esempio nella lirica dal titolo Paesaggio,

4 Si veda al proposito lo studio di Giulio Iacoli (Iacoli, 2008). Per un inquadramento culturale e concettuale del «confine» risulta molto utile il volume di Piero Zanini (Zanini, 1997).

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di cui sembra significativa per la non-appartenenza la collocazione spaziale nel toponimo «Valloncello dell'Albero Isolato»:

Fermato a due sassi languisco sotto questa volta appannata di cielo. (Ungaretti, 1981, Il porto sepolto, Monotonia, 172) Il poeta si rappresenta quasi ancorato a quella linea di frontiera

costituita dalla trincea, ma in quel luogo solitario percepisce una frontiera esistenziale e universale costituita dalla volta celeste. 3. La frontiera e l'appartenenza nella poesia di Vittorio Sereni

La nostra analisi è partita dalla poesia di Ungaretti sia per il legame fra il Diario d'Algeria e Il Porto Sepolto, sia per la centralità della frontiera nella poesia di Sereni,5 che ha sperimentato la condizione dell'esilio per una fase cronologicamente limitata nell'arco della sua biografia, ma per il quale tale esperienza si è inserita in una particolare sensibilità del poeta al tema della frontiera e dell'appartenenza, tanto da segnare profondamente la sua opera.6 Nelle liriche di Frontiera, la cui prima edizione risale al 1941, ricorre il tema della definizione del territorio, in cui si colloca da un lato l'appartenenza italiana, dall'altro la più estesa patria europea, in primo luogo sulla linea di quella frontiera al tempo stesso chiusa e aperta, il lago Maggiore, dove Sereni è nato e torna regolarmente: «mentre ulula il tuo

5 Stefano Agosti elenca la rappresentazione di uno spazio di frontiera fra le caratteristiche formali della poesia di Sereni: «9. Designazione del limite, o della `frontiera´ (già il titolo della prima raccolta di Sereni è da leggere in questo senso), o, il che è lo stesso, circoscrizione di uno spazio in cui si attua la rappresentazione. A volte si tratta di una designazione di ordine spaziale, come l'entre-deux entro cui si inscrive il Sabato tedesco, o come le ripetute designazioni dell'`altra riva´ in Un posto in vacanza (ove si legge addirittura `al di là di questo Acheronte´, oppure, più allusivamente, `di là dagli oleandri´).» (Agosti, 1985, 33-42). 6 Così sintetizza questo elemento Stefano Giovanardi: «La sconfitta del prigioniero, insomma, non è che la concretizzazione episodica di una più acerba e lontana sconfitta, quella di una grande cultura che non ha saputo né voluto indicare strade per vivere, radicandosi in un pensiero sostanzialmente negativo che ha lasciato il campo sgombro alle più feroci aberrazioni, e abbandonando gli individui pensanti nel limbo davvero atroce del "semibuio"» (Giovanardi, 2007, 240).

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battello lontano / laggiù, dove s'addensano le nebbie» (Sereni, 2010, Frontiera, Inverno, 16-17). Il Lago Maggiore e Luino, la città affacciata sul lago, costituiscono per il poeta la terra di origine e anche il luogo ciclico del ritorno per vacanze e villeggiature, mentre nei versi dedicati al lago in Frontiera ritroviamo l'aspetto del lago come confine difficile da definire, e al tempo stesso luogo di transito e di scambio (Sasso, 2002, 4).

Nel testo breve, ma densissimo, Un'altra estate (Sereni, 2010, Frontiera, Un'altra estate 36) ritroviamo tutti e tre gli elementi che caratterizzano la frontiera di Sereni: la labilità temporale della frontiera stessa, che poggia sull'esperienza dell'alternanza delle stagioni, sulla caducità della stagione estiva coincidente con il soggiorno del poeta a Luino; il contorno indistinto della frontiera, che corre sulle acque del lago («oscuri golfi»); il concetto di frontiera come luogo di transito e di passaggio, indicato nei versi dal volo degli uccelli. Da tutto ciò emerge la rappresentazione di una frontiera di difficile definizione, non segnata in modo univoco («Italia infinita»).7

Laddove il «migrante» Ungaretti aveva avuto l'esperienza della più statica e definita frontiera, quella segnata dai reticolati e dalle trincee nella Grande guerra, Sereni, che nasce e cresce con un radicamento culturale e territoriale ben più definito, fatica nella sua ricerca della frontiera, un elemento che nelle sue liriche appare sempre come sfuggente e impalpabile, pur ricorrendo come ossessivo refrain.

In Paese (Sereni, 2010a, Frontiera, Paese, 37), altra lirica che si richiama alla ricerca di un territorio in cui radicarsi e definirsi, si confrontano un io dinamico e un tu statico e sedentario. Il primo invita alla migrazione, o quantomeno al viaggio, alla partenza, come l'Enea di Virgilio, una partenza accompagnata dalla presenza rassicurante dei penati, la memoria dei morti che dà identità e appartenenza anche nell'allontanamento. A questo si contrappone il tu («e monotono ti chiudi»), che cerca disperatamente di aggrapparsi ad un territorio che gli

7 Mostrando precisi riscontri testuali e concettuali, Francesca D'Alessandro recupera il peso della riflessione estetica di Antonio Banfi nella poetica di Sereni: «Dalla poesia che riflette su se stessa, Banfi traeva la garanzia di un'espressione controllatissima, l'unica giustificata da una profondità etica capace di fedeltà al proprio tempo, e di adesione alla sostanza problematica della storia e della società in cui il poeta si trova ad operare. Tanto più sentite appaiono queste istanze quanto più, di fronte alla presunta "morte dell'`arte bella´", Banfi sentì la necessità di manifestare con forza l'entità di tale "crisi" (corrispondente a una generale crisi della cultura) [...]» (D'Alessandro, 2001, 65).

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sfugge, che si manifesta ostile («in prati grami d'inverno»), e i cui confini si fanno oscuri e quasi minacciosi («disperate brughiere»). Il ricordo persistente dei morti, simbolo di una memoria identitaria cupa ma rassicurante, si ritrova anche in Strada di Creva, dove appare in coincidenza con la festa di Ognissanti e richiama tinte pascoliane:8 «Questo trepido vivere nei morti.» (Sereni, 2010a, Frontiera, Strada di Creva, 40-41). Ritornano i «golfi» oscuri, con tenue variatio sintattica («il vento ancora / turba i golfi, li oscura.»), per indicare la natura irregolare e in parte inaccessibile della frontiera del lago: meglio guardare oltre, vedere che tutto è simile e che si ritrovano, come di qua, «altri prati, altri paesi, altre vele». La frontiera come luogo di passaggio è intesa qui in un duplice senso, in quanto la strada di Creva, che dà il titolo al testo, non solo è luogo di passaggio, ma anche limite della condizione dell'esistenza umana, dato che conduce al cimitero di Luino. A proposito della presenza del viaggio nell'Aldilà, si noterà il richiamo alla contrapposizione fra il mondo terrestre e l'Aldilà lunare, nel poema di Ariosto:

Altri fiumi, altri laghi, altre campagne, Sono lassù, che non son qui tra noi; Altri piani, altre valli, altre montagne, C'han le cittadi, hanno i castelli suoi, [...].

(Ariosto, 1972, Orlando furioso, XXXIV, 72) Sia nel catalogo di Sereni che in quello ariostesco ricorrono

elementi naturali del paesaggio accanto ad elementi antropici. Il paesaggio dell'oltretomba evocato da Sereni, collocandosi sulla scia del viaggio di Astolfo sulla Luna alla ricerca del senno di Orlando, a sua volta citazione dantesca, assume connotati di geografia fantastica, ma ottiene anche l'effetto di dare una valenza speculare alla frontiera fra regno dei vivi e regno dei morti: dall'altra parte si riflette, capovolto, il mondo dei vivi.9

Rappresentando il confine fra città e non città, Sereni anticipa moduli che saranno codificati come non-luoghi della post-modernità (cfr.

8 Si pensi alla lirica Novembre: «Silenzio, intorno: solo, alle ventate, / odi lontano un cader di foglie. È l'estate, / fredda, dei morti» (Pascoli, 2006a, Myricae 58). 9 Così scrive Ariosto: «Tutta la sfera varcano del foco, / ed indi vanno al regno de la luna. / Veggon per la più parte esser quel loco / come un acciar che non ha macchia alcuna; / e lo trovano uguale, o minor poco / di ciò ch'in questo globo si raguna, / in questo ultimo globo de la terra, / mettendo il mar che la circonda e serra» (Ariosto, 1972, Orlando furioso, XXXIV, 70).

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Augé, 1996). Si veda il ruolo di frontiera, inteso in questo senso, assunto da elementi come strade periferiche, cavalcavia ferroviari, sottopassaggi e anonime campagne, poste al limite del perimetro cittadino. In Canzone lombarda si esprime così la contraddizione fra attaccamento per la città di Milano e desiderio di uscirne, nel canto delle ragazze, che descrive i confini non più individuabili della città moderna:

- Digradante a cerchi in libertà di prati, città, a primavera. (Sereni, 2010a, Frontiera, Canzone lombarda, 14)

Il desiderio di superamento dei confini cittadini diventa in questo testo contrapposizione fra paesaggio naturale ed elementi strutturali della metropoli moderna, con la forte assonanza dei tre termini chiave, che danno un ritmo cadenzato a tutto il finale:

E noi ci si sente lombardi e noi si pensa a migrazioni per campi nell'ombra dei sottopassaggi (Sereni, 2010a, Frontiera, Canzone lombarda, 14)

Lo stesso procedimento è adottato anche in 3 dicembre, con l'assonanza «binari»/«viali», estesa in modo imperfetto ai termini corrispondenti «città»/«campagna»:

All'ultimo tumulto dei binari hai la tua pace, dove la città in un volo di ponti e di viali si getta alla campagna.

(Sereni, 2010a, Frontiera, 3 dicembre, 25)

Come vediamo il poeta concentra quelli che sono i luoghi creati dalle moderne vie di comunicazione per indicare quell'intrico di strutture che caratterizza la terra di nessuno fra la città e la campagna circostante. Tali elementi topografici (o non-topografici), vengono descritti in termini che ne indicano la spinta invasiva verso la campagna («volo», «si getta»). L'attributo di pace e serenità idilliaca, tradizionalmente legato alla campagna, viene qui reinterpretato secondo sensazioni sonore e motorie legate ai moderni mezzi di trasporto, in quanto si individua come luogo limite della città il punto in cui la fine degli scambi ferroviari rende più regolare la marcia del treno verso la campagna.

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La definizione sfuggente del proprio territorio attraverso il tracciato (o i tracciati) di una frontiera indefinita si allarga a comprendere la comune patria europea. Era un concetto, quello di identità dell'Europa, che suonava utopistico negli anni della guerra e in quelli immediatamente precedenti, ma che l'esule interiore Sereni non rinuncia a costruire nella sua poesia: «A quest'ora / innaffiano i giardini in tutta Europa» (Sereni, 2010a, Frontiera, Concerto in giardino, 8).10 Questi versi introducono una serie di immagini che richiamano la realtà della guerra, penetrata nel cuore delle città europee e anche nei giochi dei bambini: un'elegia sulla guerra che esprime l'anelito ad alzare lo sguardo e il cuore e a vedersi come appartenenti all'unica realtà identitaria europea. Il concetto ritorna in Diario d'Algeria, allorché il poeta si trova ad attraversare la città di Belgrado, nel suo viaggio con la tradotta militare verso il fronte greco:

E non so che profondità remota di lavoro e di voci dai tuoi spalti celebra una tranquilla ora d'Europa nata con te tra due chimere.

(Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Belgrado, 16-17)

L'idea di Europa è sospesa fra idillio o utopia di pace («tranquilla ora»), guerra e separazione («spalti»), un dualismo rappresentato dal mito delle «due chimere». Pietro Baldan ricostruisce da una lettera dell'autore stesso il significato concreto di queste, che rappresentano i due fiumi che s'incontrano a Belgrado, il Danubio e la Sava, ma lo stesso studioso afferma che nonostante questa precisazione a posteriori da parte del poeta, in realtà i due animali mitologici, assumono un valore simbolico molto pregnante ed esprimono una delle costanti della poesia di Sereni, il «continuo combattimento con un angelo-demone, a volte interiorizzato, a volte calato in ciò che ci circonda» (Baldan, 1985, 159). Queste chimere che appaiono durante il viaggio richiamano al tempo stesso uno dei simboli della cultura occidentale e della sua matrice classica, e anche la «chimera» di un precedente viaggiatore ed esule perdutosi nelle peregrinazioni, Dino Campana.11 10 La problematica individuazione di una identità culturale europea negli anni fra le due guerre mondiali viene messa a fuoco da Helmut Meter a proposito della concezione culturale di E.R. Curtius (Meter, 2011, 32-33). 11 La chimera rappresenta per il poeta perennemente girovago e senza meta una sorta di miraggio cui ancorarsi, dalle fattezze duplici, dal valore ossimorico: «o Regina o

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4. Sereni e l'esilio

Come abbiamo cercato di mostrare in questi sondaggi a campione, l'esule Sereni esprime in Frontiera il suo bisogno di mappe di definizione identitaria e lo scoramento di fronte a frontiere non facilmente individuabili e distinte, come quella fra città (moderna) e campagna. In Diario d'Algeria si costruisce il discorso poetico attorno all'esperienza biografica, ma anche letteraria, dell'esilio/prigionia in Africa. Seguendo le tre sezioni della raccolta si possono individuare i tre momenti di tale romanzo: il percorso preparatorio dell'esilio, nella sezione La ragazza d'Atene; l'esilio con il trasferimento in Africa e la prigionia, nella sezione Il diario d'Algeria; i postumi dell'esilio, nella sezione Il male d'Africa. Marco Praloran, riflettendo sulla persistenza di generi narrativi in versi nella letteratura contemporanea afferma:

Nella letteratura moderna istintivamente siamo propensi a sentire la narrazione come un carattere eminentemente "lirico" piuttosto che narrativo (pur rientrando l'elemento narrativo nella nozione di raccolta orientata secondo un disegno in un certo modo diacronico, per lo più dunque con carattere "secondo"), ma naturalmente la stessa cosa non si può dire per i secoli passati. (Praloran, 2007, 9) Il volume introdotto dalle riflessioni di Praloran si chiude con un

saggio sui Versi a Proserpina di Sereni (Fioroni 2007), dedicati proprio ad uno dei miti dell'esilio ciclico ed esistenziale.

Nella prima sezione, La ragazza d'Atene, le liriche accompagnano le vicende dell'interminabile marcia verso il fronte africano di Sereni, una destinazione che, per alterne vicende, non riuscirà a raggiungere: prima viene bombardato l'aeroporto di Castelvetrano, in Campania, da cui doveva partire, poi il suo reggimento viene inviato in Grecia, con un lungo viaggio in tradotte ferroviarie, ma da qui deve ritirarsi per la sconfitta delle truppe italo-tedesche, quindi il contingente è trasferito in Sicilia, ma anche qui non riesce a partire per l'Africa perché nel frattempo le potenze dell'Asse ne hanno perso il controllo. Dalla Sicilia, il poeta sarà trasferito infine in

Regina adolescente: / ma per il tuo ignoto poema / di voluttà e di dolore / musica fanciulla esangue, / segnato di linea di sangue / nel cerchio delle labbra sinuose, / regina de la melodia:» (Campana, 1972, Canti orfici, 17); tale valore identitario della chimera come simbolo culturale viene indicato anche da Flavia Stara nel suo saggio su Campana (Stara, 1997, 88-90).

Angelo Pagliardini, Esilio e ritorno nella letteratura italiana del Novecento: l’esempio di Vittorio Sereni

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Africa come prigioniero degli americani, e rimarrà in diversi campi di prigionia in Marocco per due anni (cfr. Bonfanti, 2010, CX-CXIII).

In La ragazza d'Atene si segue questo esilio in negativo, questa impossibilità di partire, di essere al proprio posto, di prendere parte alla guerra che era sentita anche come dovere etico. La lirica d'esordio della raccolta racconta il distacco da Milano del poeta richiamato alle armi: «La giovinezza è tutta nella luce / d'una città al tramonto / dove straziato ed esule ogni suono / si spicca dal brusio.» (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Periferia 1940, 11). Ritornano gli elementi anonimi della città («sui ponti», «dei fari»), e il titolo stesso richiama il luogo indistinto di confine della città, il punto estremo in cui la vita precedente si confonde e sfuma nella futura vita da soldato ed esule.

Il nucleo centrale, che porta lo stesso titolo dell'intera raccolta, si riferisce all'esilio vero e proprio, cioè la prigionia in Algeria nelle mani degli americani. Nella lirica che apre la sezione centrale del «diario» (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Lassù dove di torre, 33-34) troviamo un condensato di tutti i temi dell'esilio e del rapporto lirico fra esilio e frontiera. Il primo elemento, già rilevato nella raccolta poetica precedente, è la sovrapposizione di frontiera spaziale e frontiera temporale: l'ingresso nel campo di prigionia è ricordato proprio nella notte di capodanno. Il passaggio epocale da un anno all'altro è occasione per riflettere sulla condizione degli esuli del campo, che non sanno che differenza ci possa essere fra passato e futuro: «tra due epoche morte dentro di noi». Il secondo elemento che insiste sulla frontiera è la distinzione fra prigionieri e carcerieri, in quanto i secondi sono individuati secondo la loro appartenenza etnica estranea alla cultura europea («le scolte marocchine»). Il terzo elemento è la contrapposizione, destinata a rivelarsi inconsistente, fra l'esule a chi è rimasto a casa, una distinzione binaria scandita nettamente dai deittici («Lassù» / «quaggiù»). Come l'autore ha scritto anche in una nota autografa, pubblicata da Dante Isella nella sua edizione critica, uno spunto della lirica è stato l'accostamento delle torrette di guardia del campo di prigionia alla selva di campanili che caratterizza il paesaggio italiano ed europeo, una contrapposizione che segna anche la distanza fra chi è esule e chi è a casa.12 Mentre i campanili scandiscono, in una sorta di reticolato visivo e uditivo noto, la mezzanotte del capodanno, la frontiera temporale dell'anno, il poeta non vede nella città lontana

12 La nota si può leggere in Sereni, 2010b, 438-439.

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persone libere che si sentono a casa, ma individui che si agitano senza meta, che non hanno neanche una casa dove festeggiare il brindisi di mezzanotte:

chi va nella tetra mezzanotte dei fiocchi veloci, chi l'ultimo brindisi manca su nere soglie di vento sinistre d'attesa, chi va.... (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Lassù dove di torre, 33-34)

È come se il poeta, esule forzato, si accorgesse del carattere universale della propria condizione.

La sola possibilità di sentirsi a casa rimane all'interno della poesia, l'unico forte elemento «deittico» di appartenenza riguarda la poesia e il mondo (lo spazio, il territorio) che la poesia riesce a tracciare: «È un'immagine nostra / stravolta, non giunta / alla luce». (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Lassù dove di torre, 33-34) Pur connotata in modo distorto e confuso, questa immagine che offre la poesia è l'unico segnale di appartenenza. Qui il poeta condensa lo scontro fra la condizione di migrante, di apolide, e la sua situazione attuale di esule, che trova casa solo nella letteratura e nella poesia.

Ci sembra opportuno accostare questa poesia a Veglia di Ungaretti, dove la dialogicità interna è affidata alla compresenza in scena del poeta e del compagno di trincea morto accanto a lui. Anche nella poesia di Ungaretti il luogo di redenzione, l'elemento di appartenenza che salva è la poesia:

con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d'amore. (Ungaretti, 1981, Il Porto sepolto, Veglia, 44)

A questa lirica ungarettiana si può accostare un altro testo della raccolta di Sereni Non sa più nulla, è alto sulle ali, un confronto che ci consente di misurare la distanza fra il «migrante» Ungaretti e l'«esule» Sereni (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Non sa più nulla, è alto sulle ali, 39-40). Sereni mette in scena, come Ungaretti, sé stesso e un soldato morto, ma non si tratta di due personaggi contigui, come nel caso di Ungaretti, con il «compagno» morto accanto a lui in trincea, rimasto tutta la notte nella stessa posizione. Sereni, in esilio in Marocco, tenuto lontano dalla guerra, inoltre ricoverato in un ospedale militare americano come suggerisce

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l'indicazione topografica del componimento, scrive la poesia evocando il primo morto sulla spiaggia il giorno dello sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944, di cui ha letto notizia sui giornali che circolavano nel campo.13 La lontananza dal fronte amplifica la condizione di esilio del poeta, che non può esserci in quel giorno decisivo per la sorte dell'intera Europa. Differente anche la postura del soldato, in quanto Ungaretti era accanto al soldato morto che mostrava il viso («con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio»), mentre il soldato che evoca Sereni è «il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna», una posizione che toglie al soldato, con la vita, anche l'identità.

Nella lirica di Ungaretti l'ancoraggio forte allo spazio, dato dalla variante concreta e cruenta del confine costituito dalla trincea, è saldo e coerente, dall'incipit alla chiusa della poesia: il poeta si dice all'inizio «buttato / vicino» al soldato morto; alla fine della poesia sempre il poeta è «tanto attaccato / alla vita». Nel caso di Sereni invece emerge la distanza fra l'io lirico e il soldato morto, una distanza sottolineata tematicamente e formalmente dai versi che si riferiscono al soldato morto («Non sa più nulla, è alto sulle ali») e dalla descrizione finale della condizione del poeta:

Questa è la musica ora: delle tende che sbattono sui pali.

13 Dal documentatissimo apparato critico di Dante Isella si può leggere la rievocazione dell'episodio da parte del poeta, in un appunto del 27 giugno dello stesso anno: «Qualche notte fa ho alzato il capo al cielo, piuttosto nuvoloso attorno a una luna flaccida e ambigua. Camminavo chiuso nel mezzo sonno. la metà ch'era sveglia ha pensato: "Magari stanotte sbarcano in Europa". Il giorno dopo ne ho avuto conferma dal giornale di Orano introdotto nel campo. [...] Mi ha colpito tra gli altri particolari l'organizzazione alleata di retrovia, che fin dal primo giorno ha permesso di sgombrare quasi subito in Inghilterra, per via aerea, non solo molti feriti gravi ma anche le salme dei primi caduti» (Sereni, 2010b, 442). In una nota successiva allo stesso testo e in una conversazione con gli alunni della Scuola Media «Pascoli» di Parma, Sereni ricorda che Umberto Saba gli aveva raccontato di una foto del fotografo americano Robert Capa, scattata al primo morto dello sbarco in Normandia, il soldato che sarebbe stato ucciso perché distratto durante lo scatto. Si tratta di un racconto privo di fondamento, in quanto non c'è una foto con questo soggetto fra le 11 scattate durante lo sbarco da Robert Capa e conservatesi (cfr. il sito Internet http://www.skylighters.org/photos/ robertcapa.html,13.9.2012). Probabilmente Saba aveva attribuito allo sbarco in Normandia la celebre foto del legionario immortalato in Spagna da Robert Capa proprio nel momento in cui cade colpito da una pallottola (cfr.http://www.magnumphotos.com/C.aspx?VP3=CMS3&VF=MAGO31_10_VForm&ERID=24KL535353 – 13.11.2012).

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Non è musica d'angeli, è la mia sola musica e mi basta –. (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Non sa più nulla, è alto sulle ali, 40)

Si noti l'uso della rima «ali»/«pali», in cui alle «ali» che sollevano l'anima del soldato morto nello spazio `angelico´ superiore (o il corpo trasportato in elicottero), si contrappongono i «pali» della tenda. L'ospedale da campo in cui si trova il poeta, fortemente ancorato nella terra dell'esilio, non ha niente a che fare con la sfera dell'angelico e del divino («Non è musica d'angeli, è la mia»).

Ritorna in questa lirica di Sereni il tema di un'identità culturale europea infranta dalla guerra: l'esule Sereni riprende, come nella raccolta precedente, la memoria storica del patrimonio europeo comune, un patrimonio culturale basato sulla serie interminabile di guerre. La presenza angelica che appare in sogno al poeta e gli chiede di pregare per l'Europa, gli ricorda uno degli eventi storici più importanti, la disastrosa spedizione navale organizzata da Filippo II di Spagna, nel 1588, contro l'Inghilterra della regina Elisabetta, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia europea, letta come l'immagine inversa (riflessa allo specchio) dello sbarco in Normandia, avvenuto in direzione opposta, da cui uscirà realmente cambiato il volto dell'Europa, con la sconfitta del nazismo e del fascismo.14

Nel dialogo con la presenza angelica che fa da intermediario con il soldato morto, si manifesta sul piano interiore la profonda condizione del poeta come esule che anela al ritorno: l'io lirico risponde esprimendo la propria totale estraneità alla condizione umana. Come nella lirica Lassù dove di torre si individuava uno spazio «tra due epoche morte dentro di noi», qui il poeta risponde: «prega se tu lo puoi, io sono morto / alla guerra e alla pace». 5. Il ritorno dell'esule come perenne privazione

La dimensione del tempo, o meglio il rapporto fra sviluppo narrativo e persistenza del presente, è per Sereni una figura lirica in cui gioca il ruolo centrale proprio il concetto di «ritorno», come afferma Laura Barile:

Il tempo della poesia del Sereni nel dopoguerra ha acquisito il tema, reale prima che narrativo e poetico, del ritorno, della mancanza, della ripetizione e della

14 Noteremo qui per inciso che l'episodio del naufragio dell'Invincibile Armada viene inserito anche da Bertold Brecht in quella sorta di anticanone della storia europea che è la poesia «Domande di un lettore operaio» (Brecht 2007, 113).

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rammemorazione. Tema che compare in alcune poesie del Diario d'Algeria, e che si accamperà con forza assoluta nelle raccolte successive [...]. (Barile 2004, 176)

Il passaggio al terzo tempo del romanzo lirico dell'esilio, che potremmo definire il «non-ritorno», è già nell'ultima poesia della sezione centrale, dal titolo Algeria, che adombra le conseguenze e le persistenze profonde dell'esilio sulla vita futura del poeta: «Come mi frughi riaffiorata febbre / che mi mancavi e nel perenne specchio / ora di me baleni» (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Algeria, 56)

Nella terza sezione, intitolata significativamente Il male d'Africa, vengono descritte le conseguenze indelebili dell'esilio nell'animo del poeta. Già il titolo, scelto in alternativa ad altri, come Vecchio conto con l'Africa, contiene una doppia valenza: da un lato si riferisce con connotazione negativa a quello che è stato per il poeta l'esilio, dall'altro fa riferimento al motto fascista, che ha dato anche il titolo ad un'opera di Mussolini, e che nella retorica del regime, con un superamento in falsetto del paradigma dell'identità nazionale, esprimeva la spinta coloniale che doveva animare la guerra d'Africa intrapresa dal regime fascista.15

La poesia che dà il titolo a questa raccolta, un poemetto di 104 versi, prevalentemente lunghi (endecasillabi talora ipermetri), ripercorre il viaggio di ritorno dall'Algeria, in forma di epistola metrica all'amico Giansiro Ferrata, in partenza a sua volta per l'Algeria. Il poemetto, anche in questo caso con una struttura ciclica, si apre e si chiude con un'immagine di intimità domestica:

Una motocicletta solitaria.[...] È passata, e ora fa la sua strada e un'eco a noi appena ne ritorna, col borbottio della pentola familiare nei tempi che si vanno quietando. Diversa da Orano cantava la corsa del treno sul finire della guerra [...].

(Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Il male d'Africa, 63-64)

cui risponde nel finale:

Quanto avevo da dire questo groppo da sciogliere

15 Si vedano le informazioni fornite in Sereni, 2010b, Poesie, 453-457.

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nell'ultimo sussulto di gioventù questo rospo da sputare, ma a te la fortuna e buon viaggio borbotta la pentola familiare. (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Il male d'Africa, 67)

Il poeta prima di passare il testimone all'amico Giansiro Ferrata, in partenza per l'Algeria, gli affida al simbolo della pentola che borbotta, a metà fra sacralità del focolare domestico e familiarità quotidiana, una sorta di oracolo dolente che richiama tutto quello che l'esilio ha segnato sull'anima del poeta, in particolare rievocando l'interminabile viaggio di ritorno:

e a quel febbrile poi sempre più fioco ritmo di ramadàn che giorni e giorni ci durò negli orecchi ci fermammo e fu, calcinata nel verbo sperare nel verbo desiderare, Casablanca. (Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Il male d'Africa, 64)

Notevoli risultano in questi versi le suggestioni dantesche («fioco»), pascoliane («ritmo di ramadàn»), montaliane («calcinata nel verbo»), e la forte assonanza ipometra e duplicata «ramadàn»/«Casablanca».16 Nel poemetto, vero e proprio esempio di anti-epos, confluiscono tutti i cocci rotti della retorica fascista, fino al grido che ci fa capire qual era la giuntura profonda fra esilio e tempo, la sensazione del poeta di aver vissuto una vicenda storica e biografica tragica, che gli ha sottratto, come ad un esule la sua terra, il tempo migliore della giovinezza:

Siamo noi, vuoi capirlo, la nuova gioventù – quasi mi gridi in faccia – in credito sull'anagrafe di almeno dieci anni [...].

(Sereni, 1965, Diario d'Algeria, Il male d'Africa, 66-67)

16 Si fa riferimento a versi danteschi come «Chi per lungo silenzio parea fioco» (Alighieri, 1994, Inferno, I, 63); per quanto riguarda Pascoli, l'espressione usata da Sereni ricorda certi versi del poemetto La sfogliatura: «tra il vostro canto un tonfo lento e strano, / tonfo che porta il vento, / d'un cupo negarit lontano!» (Pascoli, 2006b, Odi e Inni, La sfogliatura, 427); per i versi di Montale potremmo richiamare da Ossi di seppia il celeberrimo «e l'ombra sua non cura che la canicola / stampa sopra uno scalcinato muro» (Montale, 1984, Ossi di seppia, 29).

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7. Conclusioni

Per tirare le fila di questa riflessione sul filo dei versi di Sereni, potremmo affermare che, oltre ai casi di contingenze concrete, di singole biografie di scrittori esuli e transfughi, l'esilio, nel Novecento come nei secoli precedenti della letteratura italiana, costituisce una particolare forma di straniamento, oppure uno sguardo all'esterno e all'altrove, che modifica la visione dello spazio geografico culturale e letterario. Nello sviluppo della letteratura e in particolare della poesia italiana del Novecento, troviamo in Sereni un autore che incrocia la produzione letteraria con l'esperienza dell'esilio, arrivando a esiti particolarmente originali. Il tema è centrale nella sua raccolta intitolata Diario d'Algeria, focalizzata sull'esperienza della seconda guerra mondiale, vissuta da lui sostanzialmente come viaggio mancato verso il fronte, e conclusa con l'esilio in Africa, catturato dagli americani.

«Esilio» è dunque l'evento centrale della prigionia in Algeria, ma «esilio» identifica anche la posizione esistenziale del poeta e la sua identità. Particolarmente fecondo è il confronto fra la condizione di esilio, presente in filigrana nell'opera di Sereni, e la condizione migrante di Ungaretti. Con questi esempi vorremmo avvalorare l'idea di Asor Rosa, presentata all'inizio del nostro contributo, che l'esilio sia fra le categorie identitarie della letteratura italiana, la cui analisi potrà contribuire, da un lato, a leggere la letteratura italiana del ventunesimo secolo, dall'altra, a gettare nuova luce sull'identità letteraria italiana considerata nel suo sviluppo diacronico. In Sereni, la condizione di esule diventa liricamente perenne e si costruisce un mito del ritorno incompiuto, l'impossibilità di rientro in una terra propria che non è mai esistita.

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