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“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 1
“ …… nell’incendio di Milano….”
Appunti per un dibattito
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Sul nostro sito1 abbiamo pubblicato una serie di interventi a
riguardo quello che è accaduto a Milano il 1 maggio nel corso
della manifestazione NoExpo, MayDay.
La molteplicità degli interventi ci ha spinto a fare questo
opuscolo al fine di stimolare un dibattito quando mai
necessario
Contributi di:
Rete Attitudine NoExpo, Redazione di Milano in Movimento,
Redazione InfoAut, Centro Sociale Cantiere – Spazio Mutuo
Soccorso – Coordinamento dei collettivi Studenteschi –
Collettivo Universitario THE TAKE – Comitato Abitanti San Siro,
Centro Occupato Autogestito Transiti 28, C Zona Autonoma
Milano, Csoa Lambretta, Rete Studenti Milano, Casc Lambrate,
Dillinger Project, Collettivo Bicocca, Collettivo Militant (Noi
saremo tutto), per l’autonomia diffusa, Indicom – Indipendenti
per il comune: Laboratorio Acrobax, Alexis Occupato,
DinamoPress, Spazio Politico Comune, Blocchi Precari
Metropolitani, Redazione Senza Soste, Redazione Contropiano,
blog Abbatto i Muri, blog errecinque, Zero81 Napoli,
∫connessioni precarie, Ri-make/Communia Net, Collettivo Exit,
BiosLab, FuXia Block, Di.S.C, Per l’autonomia diffusa mondiale,
Marxpedia.org, Rete Evasioni, Federazione Anarchica
Milanese, Casa Rossa Occupata, Progetto Prendocasa Pisa, L.o.
SKA - c.s.o.a OFFICINA99 Napoli, Cortocircuito, Territori
Solidali in Lotta – CSA Oltrefrontiera (Pesaro) – Collettivo per
l’autogestione (Urbino), PrecariACT, Hobo Bologna, Salvatore
Palidda, Luca Fazio, Franco Berardi “Bifo”, Marco Bascetta,
Sandro Mezzadra, Lanfranco Caminiti, Carlo Formenti,
Cristiano Armati, Valeria Pinto, Francesco Erspamer, Cinzia
Arruzza, Felice Mometti, Cristina Morini, Cock Sparrer,
Degage, Francesco Della Croce, Sergio Bellavita, Giorgio
Cremaschi
1 Dopo il corteo del 1 Maggio, riflettiamo per non cadere nella dicotomia
tra “buoni o cattivi” - http://www.osservatoriorepressione.info/dopo-il-corteo-del-1-maggio-riflettiamo-per-non-cadere-nella-dicotomia-tra-buoni-o-cattivi/
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Dopo la NoExpo MayDay, verso #alterExpo.
Rete Attitudine No Expo
Dopo la NoExpo MayDay, verso #alterExpo. Nella giornata del
primo maggio, nella Milano di Expo 2015, mentre la politica e
le multinazionali celebravano l’apertura dell’esposizione, un
corteo di oltre 50mila persone ha sfilato per le vie di Milano.
La MayDay parade 2015, il tradizionale I maggio dei precari, è
stata declinata quest’anno in una prospettiva di opposizione
ad Expo: acceleratore di dinamiche di precarizzazione,
rasponsabile di devastazione e saccheggio del territorio,
matrice di debito pubblico. Un corteo composito quello che ha
attraversato le vie di Milano: l’internazionale delle bande
musicali, i comitati che si oppongono alla predazione del
territorio, i lavoratori e le lavoratrici della Rimaflow, la rete di
produttori di Genuino Clandestini, i movimenti di lotta per la
casa, gli studenti e le studentesse, i precari e le precarie che
non hanno rappresentanza, uno spezzone ampio del mondo
del lavoro, gli antispecisti, la rete NoExpo Pride, i sindacati di
base, le opposizioni all’ interno delle organizzazioni confederali
e le sigle della sinistra radicale.
Tutte queste componenti hanno portato a termine il corteo in
forma organizzata, attraverso pratiche comunicative per
segnalare le nocività di Expo.
I sette anni che hanno caratterizzato la storia della Rete non
possono essere ridotti alla strumentalizzazione mediatica e
politica di alcuni momenti del corteo, che ne hanno
sovradeterminato l’impostazione collettiva e che poco hanno a
che vedere sia con un’espressione di rabbia spontanea, sia con
lo stesso percorso No Expo.Come abbiamo sempre fatto,
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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ripartiremo dai nostri contenuti: lo abbiamo dimostrato con la
pedalata di ieri, 2 maggio, che ha portato gli attivisti a girare
attorno al sito Expo, nella penuria dei suoi visitatori, e con il
pranzo popolare davanti a Eataly, che ha riempito Piazza XXV
Aprile con il cibo di piccoli produttori agricoli, il suono delle
bande musicali e la clown army.
Non siamo né opinionisti né giudici: di fronte alle dichiarazioni
che evocano inasprimenti repressivi fino all’ introduzione di
daspo per future manifestazioni, noi possiamo dire con
fermezza che nessuno sarà lasciato solo.
Abbiamo aperto una stagione di sei mesi contro ed oltre il
grande evento, che passerà dal No Expo Pride del 20 giugno,
rivendicando il diritto ad una città femminista, frocia e queer,
e dall’ assemblea nazionale prevista per la giornata del 3
maggio che sarà riconvocata a breve.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Redazione di Milano in Movimento
Abbiamo iniziato la giornata raccontando una piazza che si
riempiva di 50mila persone, di spezzoni pieni di gente e colori
che hanno portato per le strade della città capitale della crisi le
ragioni del proprio no a Expo e al modello di sviluppo che Expo
mette in vetrina.
Il modello della deroga ai diritti di tutti per tutelare gli affari di
pochi, il modello dei soldi pubblici finiti nelle tasche delle
banche, degli speculatori, delle mafie che si aggiudicano gli
appalti e finanziano il sistema, che sono parte integrante di un
sistema al quale da tempo opponiamo le ragioni di un no che è
fatto di contenuti, di costruzione di reti e percorsi di lotta.
Expo è stato, è e sarà per i prossimi 6 mesi la sperimentazione
avanzata di quanto di peggio questo modello si sviluppo
produce: nasconde dietro a un logo colorato e a un claim
accattivante il finanziamento delle peggiori speculazioni, la
cementificazione di ampie aree un tempo agricole a ridosso
della metropoli, l’utilizzo di lavoratori sottopagati, stagisti,
volontari (!), che devono lavorare in fretta perché la grande
macchina è in ritardo e lo spettacolo deve andare avanti,
sacrificando i diritti, la sicurezza, le vite di fasce di popolazione
che già stanno pagando duramente la crisi e la disoccupazione,
la mancanza case, di lavoro e di un welfare davvero universale.
Expo finge di parlare di alimentazione sana e cibo per tutti e
poi costruisce partnership con i peggiori divoratori del pianeta,
con le multinazionali dell’agroindustria, le catene di cibo
spazzatura, i peggiori responsabili delle disuguaglianze del
Pianeta. Parla di aiutare i Paesi poveri e fortifica chi sfrutta le
materie prime e i territori delle aree povere del mondo,
depredando popoli e natura, salvo poi cercare di respingerli
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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quando bussano ai nostri confini affrontando viaggi nei quali
forse moriranno, perché quel forse è tutta la speranza che gli
abbiamo lasciato.
I media mainstream alimentano da mesi un immaginario di
scontri e devastazioni a tutela della passerella di vip e politici
piazzati nella vetrina dell’inaugurazione a chiacchierare di
solidarietà abbuffandosi a spese dei soldi pubblici e dei beni
comuni che diventano affari di pochi.
Noi crediamo nella contestazione, nel conflitto, nella radicalità
dei contenuti e delle pratiche associati all’intelligenza, alla
costruzione di consenso intorno ai contenuti. Crediamo nel
conflitto agito da tanti e tante, nella costruzione quotidiana di
pratiche alternative nel modo di vivere, intessere relazioni,
fare politica nel territorio e nel mondo globale, costruire
economie alternative e sostenibili.
Ci siamo trovati costretti, nostro malgrado, a raccontare un
corteo che, bisogna che siamo sinceri, non avremmo voluto
così. E ci vedremo costretti a raccontare di spazi di agibilità che
si chiudono, di fermi, arresti e repressione, e questo frenerà la
riflessione fra gli attori del movimento e farà sì che non ci
esprimeremo, perchè di fronte alla repressione poi smettiamo
anche di ragionare in nome della giusta solidarietà a chi viene
colpito.
Noi crediamo però che qualche ragionamento dobbiamo pure
farcelo. Perché anni di lavoro sui contenuti, di condivisione e
di lotte oggi sono stati letteralmente spazzati via dalla scena
pubblica, e se la stampa e la comunicazione mainstream
hanno gioco facile a far vedere colonne di fumo nero che si
alzano nel cielo della città e roghi di auto e negozi, e vetrine
tirate giù, beh, qualcuno ‘sto lavoro di demonizzazione glielo
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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ha reso davvero facile, e non abbiamo davvero niente da
guadagnare dal totale isolamento nel quale ci ritroveremo, da
domani, a fare politica nella nostra città.
E non ci interessano i commenti dei politici di turno o delle
personalità dello stato, ci interessa la distanza che con questo
immaginario scaviamo fra il corpo militante e la gente
comune, fra chi ogni giorno mette il suo tempo e la sua fatica
al servizio della costruzione di percorsi condivisi che
ambiscono a diventare maggioritari e quel pezzo di
cittadinanza che continuerà a pagare il prezzo della crisi,
abbandonata dalla politica istituzionale e che tuttavia non
capisce il senso di certe pratiche ed è sempre più lontana dal
nostro mondo.
Abbiamo ripetuto all’infinito che la politica delle alte sfere non
ha niente a che fare con la vita vera delle persone in carne e
ossa e continuiamo a non essere capaci di costruire la
connessione sentimentale con quei pezzi del Paese e della
società che dobbiamo invece imparare a capire e coinvolgere
nelle battaglie che o sono di massa o sono condannate
all’irrilevanza.
Non c’è riflessione a caldo che possa affrontare questi temi in
modo approfondito e ampio, ma non possiamo chiudere
questa diretta in un modo che sia diverso dall’esprimere la
necessità di una riflessione sulle ambizioni, sulle pratiche e
sugli immaginari, che già qualche tempo fa abbiamo provato a
stimolare con un editoriale che aveva dato l’avvio a qualche
ragionamento, e che dentro la redazione è tema di dibattito
molto sentito.
Torneremo presto su questo tema con una riflessione più
articolata, per oggi siamo davvero esausti, e chiudiamo qui.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 8
Non a tutti piace Expo
Redazione InfoAut
Il primo maggio milanese ci consegna una giornata dalle
molteplici sfaccettature. Il primo dato fondamentale da
cogliere è che quelle decine di migliaia di persone scese in
piazza rappresentano uno spettro della società non
recuperabile oggi dalla rappresentanza politico-partitica.
Nell’insieme, queste presenze hanno saputo esprimere con
forza il rifiuto di una città modellata intorno a Expo, ribaltando
in maniera forte quella “valorizzazione del territorio” di cui si
riempiono la bocca i padroni del cibo. Arrivando a incrinare
quell’expoizzazione della città che pretendeva di delimitare lo
spazio di agibilità politica di chi si oppone al modello di
sviluppo incarnato nel mega-evento di cemento e lavoro
gratuito.
C’era solo una risposta da dare alla sfacciataggine della
questura che ha deciso a qualche giorno dalla contro-
manifestazione di porre una zona rossa e vietare un percorso
autorizzato da mesi. La città non è di Expo: dalle periferie al
centro è stato importante provare a violare la zona rossa per
significarlo. E’ stato un corteo composito, con pratiche
eterogenee in cui tutte le realtà che hanno partecipato al
percorso di opposizione al mega-evento hanno avuto spazio
per esprimersi. Pratiche di conflitto radicali hanno coabitato
con momenti di incontro tra giovani precari, occupanti di case
di diverse città, sanzionamenti e musica si sono alternati
tutelando le diverse sensibilità e componenti.
Un primo maggio importante nella misura in cui ha saputo
porre con chiarezza un’incompatabilità tra il modello-Expo e la
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 9
parte del paese che non accetta l’impoverimento generale
come orizzonte inevitabile di una “ripresa” che è solo artificio
retorico per forzarci a stringere ancora la cinghia. Lo scarto
politico, per la composizione giovanile che ha animato,
numerosissima, il corteo è stato nell’individuare Expo come
punto di arrivo e di rilancio di quei meccanismi di precarietà
che subiamo da decenni smontando la retorica di chi voleva
camuffarlo da “nuovo inizio”. È uno scarto che ci parla di uno
spazio di opposizione possibile e concreta al bulldozer
renziano e al partito della nazione, di un’irriducibilità delle
tensioni sociali che attraversano i territori. Il premier voleva
una vetrina per mostrare il meglio dell’Italia. L’ha avuta in
questo primo maggio di lotta: l’eccellenza italiana è riprendersi
le strade, tutti insieme. Con tutti i suoi limiti il corteo di ieri è la
prima grande e decisa protesta contro Renzi e il suo modello di
sviluppo, e cosi verrà ricordata.
Ma è stata anche una giornata di protesta contro l’Europa
della crisi, in continuità con quel 18M a Francoforte che ci
aveva mostrato una ricomposizione possibile sul piano del
conflitto fuori e contro la governance dell’unione. A Expo
c’erano capi di stato da tutta Europa e da tutta Europa è
giunta gente a contestarli. Sicuramente si tratta di una
dinamica ancora balbuziente e le reciproche incomprensioni
sono moltiplicate da culture politiche diverse e livelli di
radicalità discordi tra i nostri territori. È un vero lavoro di
traduzione, nel senso più ampio del termine, sul quale
dobbiamo ancora lavorare molto. Ma è comunque una
ricchezza vedere che quell’orizzonte minimo delle lotte che è
l’Europa si concretizzi finalmente nella contaminazione del
conflitto e non negli scambi tra ceto politico.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 10
Queste le considerazioni positive che ci sentiamo di fare
rispetto a questa giornata di lotta.
Permangono comunque molte criticità su cui dovremo
lavorare insieme… tra chi ha voglia di mettersi sinceramente in
gioco.
La questione, come al solito, non è nelle identità ma nel
metodo. Ragionare su quali pratiche ci rendono più forti e
evidenziano le linee di frattura sempre più larghe in una
società caratterizzata da una rabbia latente quanto diffusa.
Spaccare utilitarie o vetrine a caso è un gesto idiota che ha
senso soltanto per chi assume come referente del suo agire
“politico” il proprio micro-milieu ombelicale. Per quanto ci
riguarda il nostro soggetto sociale di riferimento resta sempre
quello degli impoveriti, dei senza casa, dei giovani, dei migranti
e di tutta quell’eccedenza umana da cui dipende ogni
orizzonte di cambiamento radicale dell’esistente.
Ai commentatori indignati che oggi spopolano sui social e più
in generale in rete vorremmo però sottoporre alcune piccole
osservazioni:
1) quello spezzone di corteo che oggi viene sintetizzato e
banalizzato nella formula del “blocco nero” – e che raccoglieva
invece composizioni politiche e sociali anche molto differenti e
stratificate -, piaccia o meno, era il più numeroso dell’intero
corteo. A chi oggi pretenderebbe di negare questa evidenza,
chiediamo di tornare con lo sguardo all’imbocco di via De
Amicis dove si poteva osservare l’ingrossarsi delle file e lo
sciamare di moltissimi giovani da altri punti del corteo in
quello spezzone lì.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 11
2) si trovavano lì riunite soggettività collettive e individuali che
intendevano praticare una qualche forma di conflitto: esercizio
della forza, pratica dell’obiettivo, rottura della compatibilità di
sfilate sempre uguali a sé stesse e totalmente ininfluenti.
3) il resto del corteo non è stato intaccato o messo a rischio
fisico dagli scontri e dalle azioni che vi si sono prodotte. Si dirà
che questo è stato merito della oculata gestione delle forze
dell’ordine che hanno lasciato sfogare quella piazza evitando
un allargamento dei disordini e la loro ingestibilità. Vero, ma la
verità sta nella relazione tra quello che la questura ha optato
di fronte a una presenza massiccia e di difficile gestione. Una
forza effettiva era in campo e poco disponibile a forme di
dialogo.
In un articolo, peraltro orrendo, Luca Fazio coglie almeno un
dato politico: con quel modo di stare in piazza bisogna fare i
conti e nessuna struttura organizzata, in queste occasioni, è in
grado di esercitare una forza di controllo e direzione compiuta.
E’ un bel nodo da sciogliere e su cui lavorare. A partire da una
premessa: quella rabbia, quella composizione, quei soggetti
sono affare nostro e vogliamo averci a che fare, con tutte le
difficoltà del caso. Chi se ne tira fuori – per calcolo, paura o
presunta superiorità politico-morale – sta tracciando un solco
tra gli alfabetizzati della politica e gli impoveriti ed arrabiati
che in alcune occasioni si presentano sulla scena. Istituisce una
gerarchia di apartheid politico tra rappresentabili e non. E’ un
gioco a cui non ci prestiamo. Preoccuparsi del solco che si
rischia di scavare tra militanti e resto della popolazione è cosa
lodevole e necessaria (nodo del consenso). Non porsi il
problema di come inglobare e dare senso a una rabbia latente
e neccessaria (nodo del conflitto) è una scelta ponzio-pilatesca
e dallo sguardo corto, tanto più per chi si rappresenta come
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 12
opzione conflittuale e antagonistica mentre nei fatti pensa
ogni volta solo ed esclusivamente a portare a casa la pelle e
garantirsi la riproduzione del proprio piccolo aggregato,
tenendosi aperti canali di mediazione e dialogo che non
portano piu da nessuna parte.
C’è tanto da dire, ragionare e commentare sui fatti di ieri. C’è
però innanzi tutto da prendere una posizione chiara sul dove e
con chi stare. Sul fatto che è mille volte preferibile trovarsi il
giorno dopo a fare i conti con conseguenze ed esiti imprevisti
piuttosto che darsi le pacche sulle spalle tra le infinite
gradazioni di un ceto politico costantemente impaurito
dall’emergere di una qualunque forma di eccedenza non
prevista. Atene, Baltimora, Istanbul sono dietro l’angolo.
Prendiamone atto e attrezziamoci di conseguenza. C’è invece
chi ancora pensa di trovarsi nella stagione dei social forum o
peggio, nei trenta gloriosi. Non è (più) così.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 13
Il fumo e la sostanza.
Centro Sociale Cantiere – Spazio Mutuo Soccorso –
Coordinamento dei collettivi Studenteschi – Collettivo
Universitario THE TAKE – Comitato Abitanti San Siro
Il fumo di un modello Expò convocato in nome del “Nutrire il
Pianeta” e nelle mani delle multinazionali che il Pianeta lo
affamano.
Il fumo del maquillage last minute utile a coprire i cantieri
dagli appalti miliardari non ancora finiti, e tra 6 mesi gia’ in
disuso.
Il fumo dell’indignazione di una giunta che dopo avere
mandato a casa la partecipazione oggi chiama la cittadinanza a
pulire la città, come perfetta occasione per ripulirsi la faccia.
Il fumo delle colonne di fumo dei “leoni” in azione per una
oretta di “gloria” concessa da potere e polizie, ed ovviamente
altrettanto strumentalmente esaltata da media e
commentatori.
La sostanza di un mondo in balìa di interessi multinazionali e di
un neo-liberismo feroce e selvaggio in guerra con l’umanità e
con l’ecosistema.
La sostanza dei miliardi di euro gettati al vento nella ennesima
grande opera solo utile a produrre un po’ di precarietà per
tanti, grossi affari per pochi.
La sostanza di una Milano tradita da un laboratorio sociale
promesso, fallito un secondo dopo la fine della grande festa
arancione di piazza Duomo con la giunta così solerte nel
prodigarsi nella chiamata a “ripulire” Milano quanto nel
prodigarsi nell’impresa expo, una mafia di interessi opachi per
cui erano semplicemente necessari timonieri presentabili.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 14
La sostanza di costruire reti, laboratori di condivisione di
analisi e pratiche è un percorso costituente, sicuramente cosa
molto meno facile ed esaltante che una pratica di spuria e
mediatica “estetica del gesto”.
Sentiamo parlare di “violenza” indicibile, quella che avrebbe
subito Milano il 1 Maggio 2015. Ma pochissima indignazione
per Klodian, ragazzo, caduto da un ponteggio mentre lavorava
a une delle infrastrutture di expo l’ 11 aprile.
Perché morire nel silenzio e a 21 anni non fa notizia nelle
deroghe dei cantieri miliardari, come giustamente ricorda
indignato il noto rapper nel mentre tutti cercano di metterlo
alla gogna e semplificare ragionamenti irriducibili ai titoli ad
uso e consumo del circo mediatico, già in funzione della
prossima campagna elettorale meneghina.
E altrettanto meno capacità di indignazione verso un debito
che non abbiamo scelto di contrarre, una casta di fatto
inamovibile dalle poltrone e sempre intenta a garantirsi e
riconoscersi. O nei confronti di una guerra oggi davvero
globale e permanente, che indigna oramai pochissimi essendo
diventata “normalità”.
Ci permettiamo quindi di affermare serenamente che in una
epoca così feroce la “violenza” ci risulta essere ben altra cosa.
Delle vetrine del centro non ci interessa molto, se non in
relazione al fatto che non ci voleva particolare sagacia a
comprendere le immediate conseguenze, nel contesto del
primomaggio. Non possiamo che “plaudire” gli “eroi” che
hanno imposto le loro pratiche su un percorso condiviso da
anni, spezzando l’imponente serpentone della MayDay e
mettendo migliaia di persone e la tutela di un intero corteo a
rischio in un gioco di “guardie e ladri” e ripetute provocazioni
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 15
cui non sono seguite reazioni. Utile pratiche di idiozia ed utili
idioti, l’elogio alla “intelligente e responsabile” gestione delle
forze di polizia ne è la dimostrazione.
Quanto costano quelle vetrine? Quanto 1 minuto di
mantenimento della casta delle poltrone della politica
italiana? Quanto 1 ora di interessi della voragine del debito
pubblico? Il costo delle vetrine è poca cosa, ma vale molto in
funzione elettorale, tanto quanto il green washing dell’Expo.
Le tantissime persone in piazza, data la fase e dato il contesto
e il clima nei giorni e mesi precedenti la mobilitazione,
dimostra che un altro mondo oltre che necessario è ancora
possibile. Per questo vale la pena provare, anzichè restare in
casa, giudicare, commentare. La relazione possibile in una
grande data di mobilitazione è un fattore insostituibile della
capacità di cooperare e cospirare assieme. Per questo è
necessario scendere in piazza. Ma i percorsi di alternativa,
sono prima ed oltre una mera “data chiamata”. E ora che
questa data è superata possiamo finalmente tornare a
lavorare per produrre relazioni e territori resistenti, piccole o
grandi laboratori di alternativa tra i tanti che ogni giorno
vedono impegnati fuor di notizia persone ed attivisti intenti a
difendersi dalla crisi, dal basso.
Una sostanza di pratiche…altro che fumo!
Note tra “addetti ai lavori” :
Getta fumo chi va affermando o addirittura scrivendo
affermazioni del tipo “il blocco nero era innegabilmente lo
spezzone piu’ numeroso, dell’intero corteo”. Per noi è e
sempre sarà centrale la scommessa della partecipazione, e in
tal senso il primo maggio 2015 a Milano è stato un grande
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 16
esempio di partecipazione con tantissimi giovani in particolare
in piazza, a dimostrare che nonostante la depressione qui un
movimento ancora c’è. Partecipazione ampia e determinata
che nulla ha a che vedere con la residualità di numeri ed
irrivendicabilità di pratiche di chi si è voluto “rappresentare”
ed è quindi ora rappresentato come “blocco nero”. Lasciamo
perdere i numeri al massimo utili a confermare il distintivo di
“avanguardie” dei pochi che han deciso di imporre pratiche, e
giocare a mettere in gioco la tutela dei molti.
In relazione a quanto scritto da penne amiche. Non pensiamo
il primo maggio sia nè la fine, e tanto meno l’inizio.
Non pensiamo il “blocco nero” abbia “asfaltato i movimenti”,
la desertificazione sociale della “società civile”,
“americanizzazione” delle forme della partecipazione ma
anche della politica, lavoro, scuola, relazioni, culture è
questione già nota, e vera ben oltre le soggettività delle reti
“di movimento”.
Ancor prima questione più vera per i soggetti classici della
“politica” della rappresentanza, partiti e sindacati in primis.
E ci spiace molto vedere come fraterni amici da bravi indiani
(metropolitani), cercando giustamente “segnali” nel fumo,
finiscano con il fumo negli occhi giudicando il “primo maggio di
milano come un inizio”. Con affetto diciamo che in quella
giornata non vediamo alcun inizio, se non di Maggio.
Milano come Ferguson, Baltimora? Nello “spettacolo” del
primomaggio vediamo il limite di una scelta di pochi molto più
vicini all’essere ceto politico più che alle rivolte sociali. E in
generale nel “riot per il riot” laddove legittimo in quanto frutto
di spontanea e disperata rivolta, vediamo in ogni caso il limite
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 17
di una società depressa, dove ogni dissenso e sfumatura sono
controllati e nientificati. Nulla quindi che ci renda felici. I
“sociologi del riot” che citano Baltimora, Ferguson non
colgono nulla del contesto, alcuna sfumatura della sottile ma
vitale differenza con una societa’ il cui dissenso e’ ridotto al
diritto ad attraversare le strisce pedonali con il semaforo verde
ed un cartello di carta in mano.
E allora Kobane?!? Ecco ci sembrano assurdi i tentativi di
lettura pro o contro il primomaggio di Milano (e i piccoli
avvenimenti avvenuti) quale lente da cui leggere le rivolte del
mondo. E vergognoso anche solo il paragone. Non è sufficiente
l’eco di due botti per portare qui quell’esperienza di resistenza
(questa sì suo malgrado eroica) e di autorganizzazione che è il
Rojava.
I territori sono di chi li vive. Lo abbiamo detto tante volte, così
come lo abbiamo imparato dalla ValSusa. E quindi lo stesso
vale per ogni territorio.
Il conflitto e il consenso sono nodo centrale, da indagare ogni
giorno, per quanto ci riguarda. La degna rabbia, come dicono
in Chiapas, si organizza, si riunisce, si parla, si rispetta: la
rabbia degna costruisce le fondamenta di un mondo nuovo.
Infine, non siamo per nulla stupiti. Che il limite della fase lo
conoscevamo gia’. Cercando di superarlo ogni giorno,
occupando, resistendo, producendo. Dal basso provando a
darci futuro seminando alternative, a questo mondo di merda.
Oltre l’ipocrisia, per noi il primomaggio è stato una data
“dovuta”, in un processo che purtroppo abbiamo constatato
direttamente da tempo come poco interessante. Anche
evidentemente nella noia e tedio delle assemblee “verso”,
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 18
chiuse su piccole logiche e prive di quella energia, forza e
potenza capace di dirompere verso qualcosa di “oltre”, utile e
nuovo. Come invece accade nelle migliori occasioni, quando
l’onda sale e travolge…
Una proposta “oltre”, “alter” più che contro ci pareva già da
anni una strada più interessante. Ma tant’è le cose sono
andate diversamente. E nulla è definitivo.
To be continued…
Siamo una comunità ampia e il dibattito è in divenire.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 19
Centro Occupato Autogestito Transiti 28
Come Centro Occupato Autogestito di via dei Transiti 28,
intendiamo esprimere il nostro parere sulla giornata del 1
maggio milanese, alla quale abbiamo partecipato, nello
spezzone che ci sembrava più rappresentativo del nostro
portato: quello delle lotte sociali e del diritto all’abitare.
Il corteo del primo maggio ha visto sfilare moltissime persone,
percorsi e discorsi differenti, legati dalla contrapposizione ad
EXPO e più in generale al modello capitalista, che i grandi
eventi e le grandi opere rappresentano degnamente. È quello
che tutti i media hanno fatto finta di non vedere: le migliaia di
persone in piazza, che combattono quotidianamente un’opera
inutile, rappresentazione diretta delle riforme con cui il
capitalismo prova a superare la sua più forte crisi dagli anni
Trenta.
Crediamo altresì, che quando persone diverse si incontrano sia
molto difficile se non impossibile, e concettualmente
sbagliato, pensare di poter avere tutto sotto controllo, e che
quindi ogni forma di rabbia e di protesta abbia una sua
legittimità.
Pur non condividendo alcune delle pratiche che si sono
espresse in quella giornata ritenevamo e riteniamo tutt’ora
che fosse fondamentale che la piazza esprimesse la sua
volontà di non sottostare a nessun divieto e limite imposto
dall’alto.
Un movimento eterogeneo come quello NO EXPO dovrebbe
essere in grado di identificare i suoi limiti collettivi ed
innescare (di conseguenza) un processo di crescita piuttosto
che cercare di identificare responsabilità in alcune sue
componenti.
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Detto questo, pensiamo che il corteo del primo maggio sia
stato bello, colorato e festante, un’ottima occasione di
incontro e confronto tra lotte e realtà differenti, che in quella
piazza hanno saputo parlarsi, incontrarsi e crescere assieme,
mettendo da parte, almeno in parte, le proprie divergenze
ideologiche e pratiche.
Per concludere, non riteniamo di dover fare della socio-
politica. Noi siamo convinti che l il modo giusto per affrontare
un momento di demonizzazione mediatica per un movimento
come quello NOEXPO sia rimanere uniti e rafforzare la propria
proposta pratica e teorica.
In questo contesto vogliamo esprimere la nostra piu’ ferma
solidarietà a tutti gli arrestati ed a tutti coloro che hanno
subito repressione per via di quella giornata.
A pugno chiuso, ci vediamo nelle piazze, non su internet.
LIBERI TUTTI LIBERI SUBITO!
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L’attitudine No Expo, nel tempo e nel freddo. Dentro
e Oltre le Cinque Giornate di Milano
Zona Autonoma Milano, Csoa Lambretta, Rete Studenti
Milano, Casc Lambrate, Dillinger Project, Collettivo Bicocca
Si sono appena concluse “le 5 Giornate di Milano”: dal 29
Aprile al 3 Maggio, giorni intensi di lotta, scambio e
autogestione, protesta, sconfitte e successi.
A distanza di alcuni giorni dalle mobilitazioni lanciate dalla
Rete Attitudine No Expo, fra i comunicati che si susseguono,
vogliamo prendere parola anche noi su alcune questioni che
hanno segnato le piazze, cercando di uscire dallo steccato dei
messaggi del movimento per il movimento, che non è stato e
non sarà l’unica parte coinvolta nella lotta contro Expo.
Abbiamo atteso questo tempo, perché ritenevamo importante
affrontare prima un momento approfondito di restituzione e
dibattito interno ai nostri spazi e collettivi, oltre che con la rete
con cui abbiamo costruito, nel bene e nel male, tutto questo
percorso.
Le valutazioni da fare non posso prescindere dal considerare
già il 29 Aprile come apertura delle giornate di mobilitazione.
L’iniziativa antifascista nel settantesimo anniversario della
Resistenza ha portato in piazza migliaia di persone. La
determinazione e la chiarezza messi in campo dalla rete
cittadina di “Fascisti e Razzisti no grazie” nel rifiutare
chiaramente la parata fascista in ricordo di Ramelli, hanno
creato una mobilitazione quanto più allargata e comprensibile
possibile.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Il 30 Aprile abbiamo visto una piazza studentesca animata a
fine anno scolastico da duemila persone sulla tematica del
rifiuto del lavoro gratuito. Per noi è necessario restituire alla
giornata di mobilitazione studentesca l’importanza e il valore
che ha avuto come prima data delle mobilitazioni cittadine
contro Expo. E’ stata una mobilitazione interamente costruita
da studenti, medi ed universitari, che ha saputo avere un
respiro nazionale e anche internazionale, eterogeneo e
trasversale. All’interno del corteo molte sono state le azioni
dispiegate, tra cui ricordiamo il sanzionamento del Consolato
turco per segnalare le vergognose politiche di Ankara nei
confronti del popolo curdo, oltre ai comportamenti tenuti
durante l’assedio dell’Isis di Kobane e un colorato intervento
sulla facciata di Manpower, l’agenzia interinale che gestisce i
“lavoratori gratuiti” per conto di Expo Spa. Queste e altre
azioni nascevano e vivevano in un processo collettivo di
ragionamento e condivisione.
Altro dato interessante che ci consegna la giornata del 30 è la
presenza attiva, e segnalata da continui interventi dal camion,
degli studenti di Berlino, Lipsia e Francoforte, segno che dopo
Blockupy c’è una volontà comune fra molti in Europa di avere
una maggiore convergenza e intreccio sul piano delle lotte. La
giornata del 30 ha segnato un passaggio importante all’interno
dell’opposizione ad Expo: in una Milano dove il marcio dietro
al grande evento è stato occultato da una campagna
propagandistica che ha tentato di sbandierare slogan senza
sostanza, l’ampia componente studentesca rappresenta la
possibilità di coinvolgere la cittadinanza attraverso la
partecipazione dal basso e la costruzione di un agire politico
comune.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 23
Il mondo della scuola, sceso poi in piazza il 5 Maggio per una
mobilitazione interna alla lotta contro la riforma della Buona
Scuola, è ancora un terreno fertile per la creazione di
mobilitazioni contro modelli di governo imposti dall’alto. Dalla
mobilitazione nelle scuole, dal rifiuto del lavoro volontario e
gratuito per gli studenti e le studentesse ripartiremo nei
prossimi mesi di Expo
Il Primo Maggio Milano è il palcoscenico della ormai
tradizionale della Mayday Parade, un corteo musicale e
festoso che si è caratterizzato per la capacità di portare in
piazza la voce dei lavoratori precari e non solo, in forme
sempre nuove, conflittuali e inclusive. Negli ultimi due anni la
natura di questa manifestazione è radicalmente cambiata. Con
l’avvento di Expo2015 si è deciso di declinare questa
manifestazione come momento di conflitto e contestazione al
grande evento, oltre che alla precarietà delle vite di tutti/e.
Abbiamo deciso di opporci ad Expo perché rappresenta la fiera
della cementificazione e predazione del territorio, della
divulgazione di una tipologia di cibo che fa l’occhiolino agli
OGM e alle multinazionali, del lavoro gratuito mascherato da
grande occasione, della privatizzazione e del debito pubblico,
della discriminazione dei generi, delle organizzazioni mafiose,
delle tangenti e degli arresti dei suoi dirigenti.
Il Primo Maggio la nostra partecipazione si collocava
all’interno di “Expo in ogni città” con lo spezzone
“ScioperiamoExpo” con cui si intendeva mettere in questione
specificatamente alcune dimensioni.
In primo luogo la vertenza sul lavoro ai tempi di Expo e quindi
l’esposizione concepita non come un grande evento, bensì
come paradigma che si impone confermando la precarietà
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 24
come dato strutturale. Expo è promotore di quell’economia
della promessa in cui i lavoratori accettano qualsiasi
condizione nella speranza di un’esistenza più stabile.
Questo nei cantieri Expo si è tradotto in un aumento
incessante dei ritmi di lavoro e nell’annullamento dei diritti,
anche in relazione alla tutela.
Per questo abbiamo voluto ricordare Klodian Elezi, il giovane
lavoratore morto a causa delle inesistenti condizioni di
sicurezza sul lavoro nei cantieri della Teem.
Il percepire Expo come paradigma di un modello di governo
del territorio non può non considerare la dimensione europea
in cui si colloca. Expo rappresenta un modello di falsa crescita
e sviluppo: mentre un comparto pseudo-industriale si
arricchisce sulla devastazione della città e della sue dimensioni
sociali e popolari, dall’altra parte aumenta il debito a causa
dell’ingente investimento di soldi pubblici. Questo modello è
pensato per abbattere la possibilità di uno stato sociale in
grado di sostenere la popolazione: in un periodo di recessione
come questo l’imperativo è tutelare la finanza a discapito
dell’economia reale e del benessere collettivo, l’ordine è
tenere in vita un sistema già fallito.
Ci siamo diretti quindi al Palazzo delle Stelline sede di
rappresentanza del Parlamento e della Commissione europea,
obiettivo che si caratterizzava anche per un’urgenza di ordine
morale: la messa in discussione delle politiche omicide dei
governi europei che, in nome del consenso elettorale e
dell’idea dell’Europa come una fortezza da difendere,
abbandonano al proprio destino in mare migliaia di profughi e
migranti. Si è collettivamente deciso di provare a raggiungere
quella sede perché pensiamo che si debba costruire uno spazio
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 25
europeo dei conflitti, che sappia mettere in crisi le politiche di
austerity che stanno spazzando via un gran numero di diritti e
conquiste sociali.
Abbiamo deciso di indossare le pettorine dei volontari Expo
per raccontare il disastroso accordo fra confederali, Comune e
Expo che sancisce la possibilità per una grande impresa privata
di abusare di lavoro gratuito spacciandolo come volontariato.
Quest’azione è stata messa in campo in una cornice di
condivisione e tutela del resto del corteo da parte di una
pluralità di soggetti e collettività da tutta Italia e dalla
Germania. Questo siamo noi e non smetteremo di portare con
i nostri corpi il nostro dissenso, quando riteniamo calpestati i
diritti.
Noi decidiamo con coscienza di colpire punti sensibili della
città sede e simbolo di chi calpesta il bene comune per il
profitto di pochi.
Lo facciamo con una presenza comunicativa che sappia
coinvolgere e far immedesimare chi sfila in corteo per far
sentire la propria voce.
Se era doveroso dare conto di quanto le nostre collettività
hanno messo in atto, non si può però omettere una
valutazione più complessiva anche in merito a quella che è
stata la dimensione più enfatizzata dai media. Innanzitutto,
come già altri hanno scritto prima di noi, non riteniamo che
quanto avvenuto nella piazza milanese sia ascrivibile allo
stesso ordine di eventi di Baltimora, Ferguson o di una novella
piazza Statuto. Non abbiamo visto una composizione sociale
esclusa dalle dinamiche classiche organizzative prendere
parola passando ai fatti.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 26
Qualcuno parla di rabbia e rivolta, per noi non c’erano né l’una
né l’altra.
Pochi mesi fa, come se non bastassero 7 anni di austerità,
l’articolo 18 è stato abbattuto e il Jobs Act ha fatto ulteriore
carne da macello dei lavoratori. Le reazioni, a livello di
conflitto sociale agito quotidianamente, non sono state
all’altezza del momento e purtroppo ci sembra che la
situazione, in questi mesi, non sia cambiata in meglio.
Quella che si è dispiegata in tutta chiarezza nel corteo
milanese è un’opzione politica che da tempo si affaccia sulle
piazze italiane. Chi ha deciso di praticare questa scelta politica
ha deciso anche di sorvolare completamente il livello della
costruzione condivisa e di agire, consapevolmente, al di là
delle modalità che si era deciso collettivamente di tenere,
usando come paravento e artificio retorico una presunta
rabbia sociale che stranamente si palesa solo nelle piazze
strutturate.
Questa “rabbia” è andata a sovradeterminare le impostazioni
politiche e di metodo di una rete eterogenea e includente
quale è la Rete Attitudine No Expo, snaturando così il
significato di un corteo con l’attuazione di pratiche che hanno
ipotecato in maniera identitaria il corteo.
Il problema per noi non sono le vetrine o le macchine
distrutte, non sono le pratiche in sé, ma i ragionamenti e le
elaborazioni: difficilmente possiamo immaginare un
immediato futuro in cui si possa trovare un elemento che
garantisca la mutua esistenza nostra e di chi si fa portatore di
queste tesi, perché questa opzione si pone in maniera di forte
incompatibilità con la nostra idea di movimento. Noi crediamo
nella partecipazione, nell’allargamento, nella contaminazione,
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 27
nella divulgazione, nel conflitto radicale, che non si può
tradurre sempre e soltanto con il riot di piazza.
La nostra idea di conflitto vive nella costruzione di legami che
sappiano rendere la complessità e tengano insieme differenze.
Pensiamo che la tutela delle persone che decidono di
compiere dei pezzi di strada assieme sia un elemento cardine e
non possa essere subordinato alla pratica di obiettivi.
Chi ci conosce sa bene che non siamo allergici alla
conflittualità di piazza, ma questa dovrebbe sempre cercare di
aprire spazi, mutare i rapporti di forza, rilanciare. Gli ultimi
anni di movimento hanno visto alcune giornate in cui questa
potenza si è dispiegata a pieno, anche in una città difficile
come Milano.
Quando si torna sui posti di lavoro, nelle scuole e nei quartieri
dove si vive quotidianamente e la reazione maggioritaria
(tranne poche sacche solidali “a prescindere”) è l’aperta
ostilità, un’ostilità che altre volte non si era manifestata, è
evidente che qualcosa non ha funzionato.
La giornata del 2 Maggio, passata in sordina, ha in realtà
regalato differenti momenti di soddisfazione e, nel suo piccolo,
di ripartenza per quanto riguarda la lotta contro Expo. La
pedalata verso il sito e il pranzo sociale davanti a Eataly, messo
in campo dalla rete di Genuino Clandestino, sono due esempi
della risposta tematica e di contenuto a Expo. Mobilità
sostenibile, contro mega-costruzioni e svincoli autostradali
immensi quanto vuoti, al secondo giorno dell’esposizione. In
piazza 25 Aprile, invece, cibo a chilometro zero, rispetto dei
produttori e della terra, dalla produzione al consumo finale.
Spettacoli musicali e la presenza dissacrante della Clown Army,
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 28
che ha saputo ridicolizzare l’apparato poliziesco disposto a
difesa di Eataly.
Non crediamo con questo di aver espresso meno “rabbia” con
queste iniziative, non crediamo che la rabbia sia un’emozione
a completo appannaggio di alcun*, di chi la esprime in un solo
modo e soprattutto non ci interessa tanto la rabbia in sé, ci
interessa tradurla in azione politica, in proposta intelligente e
collettiva di alternative reali.
Il 3 Maggio avremmo dovuto chiudere le giornate di
mobilitazione con una grande assemblea di rilancio del
percorso No Expo e dei sei mesi che ci aspettano. L’assemblea
non si è tenuta. In quel momento, infatti, mancava il clima
necessario; e tanto ci basta,
Ma domenica 3 Maggio alcune vie di Milano sono state
percorse da un corteo silenzioso, se non per i proclami
legalitari e perbenisti, che ha espresso la propria indignazione
per quanto avvenuto in piazza il Primo Maggio ripulendo i muri
dalle scritte e ha voluto così rappresentare il suo orgoglio di
appartenenza alla città.
Nessuno tocchi Milano? E’ particolarmente fastidioso se detto
da chi non ha mosso un dito per ridiscutere le nocività che il
modello Expo porta. Vedere la propria città devastata da
opere pubbliche inutili, da cantieri con conclamate infiltrazioni
mafiose, la sottrazione di denaro pubblico dovuta a spese
esagerate, corruzioni e tangenti, la distruzione del sistema di
tutele contrattuali e dei diritti dei lavoratori, l’attacco
generalizzato al diritto alla città di giovani, famiglie, anziani,
non scalfisce il muro di indifferenza della popolazione
meneghina. Sicuramente anche la Rete Attitudine ha le sue
colpe, noi stessi abbiamo certamente perso tante occasioni di
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 29
aumentare la diffusione e la comprensibilità dei nostri
messaggi, ma esiste una condizione oggettiva di distacco dei
soggetti dall’interesse comune, dall’interesse per “il comune”.
L’atomizzazione delle relazioni sociali, l’individualismo
capitalista si è radicato così profondamente nello spirito e
nelle abitudini delle persone, nel dibattito pubblico, da
generare un triste cortocircuito.
In quella piazza domenica c’erano anche tante persone che
hanno affrontato le mobilitazioni migliori di questi anni, o che
sono più volte passate nei nostri spazi, o che si spendono
talvolta in iniziative di “sinistra” oltre e fuori dai partiti.
Comprendere e ricomporre lo scollamento di queste persone
dalle motivazioni più profonde del No Expo; ricreare e
rafforzare la comunicazione; eliminare la possibilità che un
silenzioso corteo del genere si verifichi dopo una qualunque
altra manifestazione, saranno i punti principali da aggiungere
alla nostra lotta contro Expo da ora in avanti. In virtù della
condivisione dei contenuti
Per noi le alternative a questo paradosso sono l’affermazione,
la ri-affermazione dell’autogestione, la creazione di una vita
comune e di un’alternativa fatta di discorso collettivo,
reciproco aiuto e cura.
Con orgoglio ben diverso diciamo che noi “tocchiamo” Milano
quotidianamente, nei nostri spazi, nei luoghi dei conflitti.
Perché toccare e intervenire è la nostra modalità di amare e
rispettare la metropoli. Noi mettiamo tutti i giorni le mani su e
dentro Milano, nei nostri spazi occupati e autogestiti, nei
nostri progetti dal basso, aperti e attraversabili da tutti.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 30
Inoltre si torna a parlare di restrizioni al sacrosanto diritto di
manifestare, anche attraverso il reato di devastazione e
saccheggio, rispolverato ad hoc per questo tipo di occasioni e
la cui applicazione è usata come deterrente.
Rigettiamo questa strategia general preventiva inserita in una
dimensione liberticida; esprimiamo solidarietà e chiediamo
l’immediata liberazione degli arrestati, prime vittime del clima
creato ad arte dalla stampa e dai tanti esponenti delle
istituzioni cittadine e nazionali.
Insieme alla Rete Attitudine No Expo, ripartiamo dal due
Maggio, per proseguire la lotta nei sei mesi di Esposizione ed
oltre, nella proposta di iniziative, eventi, manifestazioni che
portino alla condivisione vera e reale di una sempre più larga
fetta di cittadinanza. Per riconquistare quel consenso che,
anche grazie al lavoro dei media e alla loro visione parziale, è
stato messo a dura prova. Facendo in modo che i nostri
contenuti possano arrivare sempre chiari e non travisati da chi
ha il potere di manipolarli.
Ripartiamo dal 20 Giugno giorno della No Expo Pride che avrà
luogo a Milano.
Nel tentativo di appropriazione al diritto ad una città frocia e
queer, libera da identità releganti e vetrine costruite ad hoc da
Expo,dove la differenza non sia rinchiusa ognuna nel proprio
ghetto ma sappia vivere e confliggere.
Ripartiamo dal festival degli studenti che animerà il Parco
Lambro e ridarà la parola agli studenti per riannodare il filo
della discussione.
…E nonostante tutto saremo ancora No Expo, nel tempo e nel
freddo
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 31
Contro l’Expo e gli sciacalli del giorno dopo
Collettivo Militant (Noi saremo tutto)
Trentamila persone per una manifestazione addirittura
internazionale, lanciata da mesi e contro la *grande opera*
per eccellenza, segnano la cornice entro cui ogni
ragionamento andrebbe riportato: oggi, se non in rare
occasioni, non abbiamo la forza di costruire consenso,
veicolare processi di opposizione reale, sedimentare forme di
resistenza. Oggi a muoversi sono sempre e solo militanti
politici, numericamente sempre meno e sempre più isolati dal
corpo sociale che in qualche modo si vuole rappresentare
(quello del lavoro: salariato, disoccupato, precario, non
pagato, eccetera). I motivi di questo progressivo scollamento
sono da ricercarsi dentro di noi, non all’esterno. Non c’è un
complotto contro processi di partecipazione, se non la tipica
dinamica volta a disincentivarli sempre però presente, in ogni
fase della storia, quando questi assumono forma
antagonistica. Questo il primo dato da cui partire, che però
spiega i motivi per cui, a seconda del contesto, si dovrebbe
avere l’intelligenza e la capacità di scegliere lo strumento più
adatto per esprimere un messaggio politico.
Per quanto ci riguarda, siamo saliti a Milano con la
consapevolezza di partecipare in forma minore, senza velleità
protagonistiche, consapevoli che da tempo la città stava
investendo tutta l’energia politica di cui è attualmente capace
per l’occasione, fidandoci dunque dei compagni che in qualche
modo ci si stavano sbattendo. Abbiamo partecipato nello
spezzone che consideravamo centrale nel discorso “no-Expo”,
quello del lavoro. E’ la questione lavorativa il cuore del
significato dell’Expo; sono le forme che il lavoro assume nei
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 32
progetti pilota quali Expo che minano alla radice le nostre
condizioni di vita; sono tali sperimentazioni sociali che poi il
capitale generalizza trovando sbocco alla sua necessità di
profitto. E’ dunque nella questione lavorativa che si trovano le
ragioni della nostra opposizione alla grande opera Expo.
Tutelando noi e la metà del corteo dietro agli scontri, abbiamo
– insieme agli altri compagni presenti: dai sindacati conflittuali
ai collettivi che fondano il proprio agire nella contraddizione
capitale-lavoro – garantito che metà corteo giungesse infine
alla sua naturale conclusione, evitando la dispersione del
corteo stesso.
Non eravamo materialmente presenti nel fuoco degli scontri,
evitiamo dunque di parlare di dinamiche che ci vengono
raccontate ma che sono frutto di legittime decisioni altrui.
Soprattutto, non ci accodiamo al pensiero mainstream che da
subito ha iniziato la consueta opera denigratoria. Non c’è un
corteo buono e uno cattivo; non ci sono infiltrati; non c’è una
parte sana e una malata. Questa cosa va detta con fermezza,
in ogni dove. C’è solo tanta rabbia, che va articolata ed
espressa nel migliore dei modi (e dubitiamo che questo
“migliore dei modi” sia quello visto ieri), ma che in ogni caso
non condanniamo perché non è certo il comportamento dei
subalterni che oggi può essere messo sul banco degli imputati.
Ci sono delle scelte politiche precise e una “narrazione
conflittuale” che da tempo ha preso il sopravvento sulla
strategia politica. Non è lo scontro e la devastazione il
problema oggi. E’ come creare consenso attorno a pratiche
conflittuali. E’ questo ciò che manca, ed è da qui che si deve
ripartire, e da subito. Non reiterando discorsi e immaginari che
vengono poi raccolti da altri, che con più sapienza e coerenza li
portano alle estreme conseguenze. E’ tornando a fare politica,
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 33
cioè costruendo un discorso conflittuale che vada di pari passo
al sentire comune della classe. Senza accelerazioni inutili o
altrettanto inutili attendismi.
Quelli che oggi inorridiscono e che magari favoleggiano degli
anni Settanta dovrebbero tenere in mente che esteticamente
non c’è molta differenza tra la Milano di ieri e una qualsiasi
manifestazione del ’77: è il contesto che è radicalmente
diverso, la cornice politica radicalmente mutata, i numeri, il
consenso diffuso, una dialettica politica differente, differenti
organizzazioni capace di reggere pratiche di piazza oggi
completamente “anarchiche”. Un modello che oggi non può
essere riproposto in sedicesimi sperando di azzeccare la
combinazione giusta per caso, scontro dopo scontro, quasi che
attraverso una sommatoria di pratiche esteticamente simili si
possano riattivare magicamente cicli di lotte ormai trapassati.
Tra una sfilata pacifica e una Mercedes in fiamme, ci sembra
mancare la politica, quella mediazione capace di spostare in
avanti il nostro rapporto di forze con i nemici di classe. Che
utilizza il conflitto come mezzo e non come fine,
trasformandolo in obiettivo politico strategico e sacrificando
ad esso ogni discorso di opportunità politica. Ma questo è un
discorso che va affrontato tutti insieme. Da oggi va ricostruita
un’opposizione all’Expo, vanno continuati i percorsi e vanno
liberati i compagni. Soprattutto quelli arrestati ieri negli
scontri. E dopo anni di corruzione, scandali, miliardi sottratti
alla cittadinanza, nepotismi vari, disastri economici, sociali e
culturali, non ci venissero a parlare di danni d’immagine alla
città. Non sarà la collera male organizzata dei subalterni a
rendere le nostre ragioni meno decisive.
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Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 34
15 tesi partigiane sul Primo Maggio Milanese
per l’autonomia diffusa
1.“I Black Bloc devastano Milano”. Ecco in sostanza la lettura
dei media 1 della giornata del Primo Maggio 2015. Noi
abbiamo visto molte cose in quella giornata ma la
devastazione, la vera devastazione, la vediamo tutti gli altri
giorni: ogni giorno in cui non accade nulla, ogni giorno in cui si
muore annegati nel Mediterraneo, sui posti di lavoro, nelle
guerre dell’Occidente o da soli, per disperazione.
2. La settimana è cominciata con una grande operazione
preventiva da parte della polizia. I quartieri Giambellino, Porta
Genova e Prealpi sono stati messi sotto assedio. Tredici
perquisizioni, otto case sgomberate, la Base di solidarietà
popolare in Giambellino sgomberata e distrutta, decine di
compagni portati in questura, due arresti e interi quartieri
militarizzati. Questo è il bilancio della strategia della questura
che voleva tenere impegnati tanti compagni, logorarli per
distrarli dalla giornata del primo maggio. Molti dei fermati
durante le perquisizioni erano di origine straniera e per questo
sono stati trattenuti per ore in questura all’ufficio
immigrazione. Questi compagni sono venuti per partecipare
alle cinque giornate di Milano, per conoscere le lotte italiane e
condividere le esperienze di lotta che attraversano in giro per
l’Europa. La stampa ha approfittato di questi fermi, per la
maggior parte conclusasi in liberazioni senza procedimenti
penali, per costruire il mostro che poteva terrorizzare
preventivamente i partecipanti al corteo e il capro espiatorio
da servire in pasto all’opinione pubblica.
3. Questo Primo Maggio milanese è stato una giornata
scomoda. È scomoda per i rivoluzionari perché il dato centrale
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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– quello della partecipazione, della determinazione,
dell’organizzazione, dell’esistenza di una forza rivoluzionaria
capace di mettere in atto il proprio rifiuto del divieto di
prendersi il centro –viene messo in secondo piano dalla
narrazione maggioritaria. È scomoda anche per quelli che
alimentano un immaginario conflittuale, purché rimanga su un
piano puramente virtuale, per riproporre sempre la stessa
formula scadente: un governo un po’ più a sinistra, uno
sfruttamento garantito, un capitalismo sostenibile. Almeno ci
vediamo più chiaro: voler essere i buoni rappresentanti di tutti
quelli che non hanno e non vogliono rappresentanza o stare in
maniera partigiana dalla parte dei rivoltosi non sono due
posizioni compatibili.
4. La sfida che hanno davanti tutte le lotte, a cominciare da
quella per l’abitare, è quella di coniugare due aspetti:
partecipazione e conflitto. Man mano che le lotte crescono si
prova a mettere insieme, anche in piazza, quelle due
dimensioni. Se uno dei due elementi viene a mancare, si
rischia di cadere nell’auto rappresentazione di una minoranza
attiva incapace di determinare alcun cambiamento di rotta. La
partecipazione è stata numerosa ed eterogenea, nonostante il
clima di terrore creato nei giorni precedenti. Lo spezzone delle
lotte sociali è stato tra i più nutriti del corteo. C’erano i
comitati e gli occupanti di quartiere, che portano avanti ogni
giorno una lotta reale lontano dai riflettori e dal centro della
metropoli. Una lotta per l’abitare, che parte dall’avere un tetto
sopra la testa per arrivare alla costruzione di quartieri più
vivibili. C’erano anche tanti giovani precari e disoccupati che
nel modello Expo non si riconoscono e non vogliono regalare il
proprio tempo agli schiavisti del grande evento e hanno
preferito scendere in piazza a manifestare la propria
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 36
opposizione, la propria rabbia. Tante lotte diverse e tanti gesti
hanno convissuto rendendo la giornata intensa: c’è chi ha fatto
cori e chi ha resistito alle cariche, chi ha ballato il tango e chi la
techno, chi ha raccontato la propria lotta a tutta la città e chi
ha scritto sui muri con il volto coperto. Un obiettivo è stato
sicuramente raggiunto ed era forse quello più importante: da
un anno a questa parte la parola d’ordine che ha più risuonato
nelle assemblee No Expo era “facciamo male a Expo”. Gli è
stato fatto male.
5. Certi gesti sono stati inutili o addirittura sfavorevoli in quel
contesto, in quel momento preciso? Crediamo che un gesto sia
rivoluzionario non per il suo contenuto, ma per il
concatenamento di effetti che genera. I moralisti che elogiano
o condannano delle “pratiche” a prescindere, senza mai
tenere conto del contesto in cui vengono messe in atto
condividono una stessa cecità. Una macchina messa in mezzo
alla strada per impedire alla polizia di avanzare e massacrare il
corteo non sarà mai la stessa cosa di una macchina sfasciata in
mezzo ai manifestanti quando l’urgenza è quella di difendersi
tutti insieme. Certi gesti, indirizzati verso obiettivi scelti a caso,
rischiano di dimostrare per lo più frustrazione e mancanza di
prospettiva, non mettono un granché sul tavolo
dell’avanzamento rivoluzionario. Le migliori azioni sono quelle
che non hanno bisogno di troppe spiegazioni per essere
comprese da tutti, amici come nemici. L’assedio al cantiere di
Chiomonte parlava chiaro, come sarebbe stato chiaro se
qualcuno il Primo Maggio se la fosse presa con la sede di Expo
o, perché no, con la Borsa.
6. Finché non comprendiamo che il potere va minato nella sua
materialità come nel suo discorso, il nostro agire rimarrà
parziale, e quindi debole. Sabotare il capitalismo significa sì
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 37
praticare degli obiettivi ma anche saper neutralizzare gli effetti
negativi della narrazione mediatica del giorno dopo. Pensare
questa neutralizzazione d’anticipo deve essere parte
dell’azione stessa. E questa, diciamolo con umiltà, è stata la
mancanza più grande della giornata del Primo Maggio. Da
questo punto di vista la strada da percorrere è ancora tanta.
Quando il conflitto si manifesta, pensare di gestirlo
integralmente, governarlo, pascolarlo è contemporaneamente
ingenuo e sintomo di delirio di onnipotenza. D’altronde è
compito di tutti sviluppare un’intelligenza strategica collettiva
rispetto al sentimento generale con cui una determinata
azione viene accolta. Il discorso non è, come si potrebbe
erroneamente pensare, pretendere di indicare cosa è giusto e
cosa è sbagliato in assoluto. Il discorso verte piuttosto su una
questione di immaginario. Occorre quindi alimentare giorno
per giorno un immaginario “altro” che sia desiderabile e reale,
capace quindi di avere qualcosa di meglio da proporre rispetto
al sogno di un’automobile di lusso. Su questo, purtroppo, il
movimento rivoluzionario è ancora troppo carente.
7. Centrare l’analisi della giornata su alcuni gesti tutto
sommato secondari rischia di far perdere di vista il fatto che
l’obiettivo che si sono dati tanti manifestanti è stato in parte
raggiunto: la zona rossa è stata rifiutata con chiarezza. Per chi
c’è stato, per chi ha un minimo di onestà intellettuale, la
situazione era chiara: non c’è mai stato unicamente un blocco
nero che spaccava tutto a caso ma un concatenamento
eterogeneo di persone che ha voluto dirigersi verso l’obiettivo
iniziale della manifestazione, il centro di Milano. Erano molti di
più di qualche centinaio di cui parla la stampa. Sarà mai che
dietro quelle sciarpe nere c’era qualche occupante di casa,
qualche precaria, o qualche studente incazzato?
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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8. Degli errori sono stati commessi, come ne commettono
sempre i rivoluzionari mentre tentano di aprire o di cogliere
delle possibilità di conflitto. Chi non ci prova mai, chi auto-
riproduce sempre sé stesso e non si rimette mai in questione,
chi, anche in buona fede, aspetta da sempre che arrivino le
giuste “condizioni oggettive” di certo non rischia di sbagliare.
Rischiare però non significa mettere in pericolo anche chi non
è disposto a mettersi in gioco in prima persona e crediamo che
i manifestanti organizzati per l’autodifesa del corteo l’abbiano
dimostrato. Forse anche questo aspetto non è stato notato da
chi aveva già deciso di accettare di fatto al divieto della
questura e di stare il più lontano possibile da ogni forma di
conflitto. E’ d’altronde ingenuo credere che dopo sette anni di
silenzio mediatico nonostante gli innumerevoli scandali di
Expo, bastasse sfilare pacificamente per convincere i media
che i No Expo hanno ragione.
9. Riprendere la strada della lotta quotidiana, contro l’Expo,
nei quartieri, per l’abitare, non sarà di certo facile e la
repressione proverà ad ostacolarci ancora di più. Ma
facciamoci una domanda, senza polemica, una domanda
onesta: se non ci fosse stata quella prova di conflitto, con che
faccia si poteva tornare in quelle lotte, dopo aver proclamato
in mille modi che l’inaugurazione di Expo andava ostacolata,
scioperata, sgomberata? Allora parliamoci chiaro: vogliamo la
rivolta ma senza i rivoltosi, con i loro pregi e i loro difetti?
Vogliamo manifestare ma solo quando e dove ce lo dice la
polizia? Vogliamo la MayDay internazionale ma solo con
ordinate delegazioni di rappresentanza? Vogliamo i Greci ma
solo di Syriza? Vogliamo la rivoluzione gentile, senza problemi,
senza repressione? Vogliamo il conflitto ma solo a parole?
Ricoprire le pareti dei nostri posti, i nostri manifesti, i nostri
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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vestiti di bandiere rosse, nere, curde, di immagini di rivolta e di
barricate, riempirci la bocca di slogan altisonanti e mai dare un
contributo, anche rischiando di sbagliare, per fare in modo che
quell’immaginario si riversi nelle strade?
10. E se non fosse successo nulla? E se fosse stata una
manifestazione come le decine a cui giustamente
partecipiamo il resto dell’anno? È da questa domanda che
dovremo partire per riuscire ad affrontare con sincerità la
complessità della giornata del Primo Maggio. Non era una
semplice Mayday e chi lo pensa è lontano dalla realtà.
L’inaugurazione di Expo segnava un momento importante per
chi lotta ogni giorno, per chi non è più disposto a subire. Non
era una data come le altre perché il capitalismo italiano si
metteva in mostra e festeggiava l’inizio di una nuova fase di
devastazione e speculazione. Il consenso non si guadagna solo
con l’enunciazione di buoni propositi, ma anche con il coraggio
e con la capacità di forzare anche i nostri meccanismi di
autoconservazione. Più che il consenso virtuale ci dovrebbe
interessare la possibilità di sviluppare degli incontri che
possano creare dei legami veri. In questo osare si può anche
sbagliare, e ne siamo consapevoli, le cose non sono andate
perfettamente come avremmo voluto, ma meglio trovarsi a
discutere su cosa non è andato, su come possiamo migliorare
la prossima volta, che dover vivere col rimorso o peggio ancora
autocelebrare la propria “integrità politica”. A chi invece sputa
sulla costruzione politica che componeva uno degli spezzoni
variegati del corteo, diciamo che le situazioni non sono solo da
godere a proprio piacimento, ma anche da costruire.
11. Mentre c’era in corso la MayDay a Milano i rivoltosi di
Baltimora spaccavano vetrine di banche tra le urla festanti
della gente e i compagni di Istanbul attaccavano la zona rossa
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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e resistevano alla polizia. Ma si sa, il Black Bloc a distanza è
sempre più bello e la zona rossa del vicino è sempre più rossa.
Siamo consapevoli della differenza del contesto sociale e della
composizione delle piazze in cui questi riot avvengono. Ma
non c’è bisogno di andare lontano ed evocare questi esempi, o
Kobane o Ferguson, per evidenziare il conservatorismo di
alcuni politicanti di movimento: basta tornare a novembre
2014 e ricordare che mentre i quartieri popolari di Milano
erano in rivolta qualcuno preferiva tenersi stretto le proprie
“conquiste”, senza cercare di contaminarsi o di incuriosirsi. Le
rivolte si parlano, si rispondono più velocemente che sui social
network, hanno la capacità di cogliere il momento e hanno
qualcosa da dire sul mondo, molto di più dei grigi comunicati
che escono da assemblee di addetti ai lavori senza passione,
senza amore, senza gioia. Le tristi beghe egemoniche e
gestionali, la contabilità tra le parrocchie di movimento fa
dimenticare a molti che fuori c’è un mondo a cui non frega
niente di queste piccolezze.
12. Ancora una volta il gioco della divisione tra pacifico e
violento è opera sia di chi governa sia di quella parte di sinistra
che crede che per farsi sentire basti ridurre la questione del
conflitto a un discorso morale. Non si tratta di fare l’elogio
dello scontro minimizzando le infinite altre pratiche che
creano avanzamento, anzi crediamo che stia proprio qui la
chiave per uscire dalla falsa opposizione tra pacifico e violento.
Le pratiche di lotta, siano queste una marcia popolare, delle
azioni fuori dalla legalità o dei sabotaggi devono essere
valutate da un punto vista strategico e non da un principio
ideologico. Gli obiettivi politici non si misurano con eventuali
arresti o attacchi da parte del nemico, ma con ciò che la
pratica di questi obiettivi possa creare a livello di avanzamento
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 41
a medio e a lungo termine. E sappiamo bene che saremo sotto
attacco anche da chi crede di avere in tasca l’abc della politica,
ma sarebbe meglio che costoro guardassero fuori della
finestra del proprio centro sociale perché c’è un mondo al di là
della propria pratica militante formato famiglia. Per noi ciò che
conta è l’avanzare delle lotte e per questo rischiamo e ci
organizziamo.
13. Quello che sta accadendo in questi ultimi giorni a Milano è
l’emblema dell’ipocrisia della borghesia milanese che si
indigna e prende posizione contro i danni del corteo, perché
difende la propria città e crede ingiusto che sia “devastata”,
ma tace davanti a decenni di sventramento della città, alla
distruzione di parchi e alberi per fare spazio al cemento, alla
gentrification di intere zone. Così come non dice mai niente
della violenza con cui nei quartieri popolari delle famiglie
vengono buttate in mezzo a una strada, della speculazione
edilizia che arricchisce sempre di più la mafia del mattone, del
lavoro gratuito per i giovani precari che vogliono costruirsi un
futuro. L’operazione #NessunoTocchiMilano ci sembra un
automatismo del cittadino che per lavarsi la coscienza scende
in piazza, così come adotta un figlio a distanza per sentirsi
solidale. I riflettori a un certo punto si spegneranno e i muri
torneranno ad essere imbrattati non solo dai No Expo ma
anche dai tantissimi ragazzi e ragazze che scrivono la propria
storia, lasciando il segno del proprio passaggio sui muri.
14. Saranno tempi difficili, su questo non ci sono dubbi, ma
crediamo che questa scommessa andava fatta e che i risultati
politici li vedremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Non
accettiamo il ricatto per cui si dice che da ora gli spazi di
agibilità saranno ristretti e quindi era meglio non fare niente.
Forse la gestione dell’ordine pubblico a Milano cambierà e
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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lascerà meno margini, ma la pacificazione a cui ci avevano
abituato e su cui faceva leva la questura andava superata. Non
è con la convivenza pacifica ma è solo con la lotta che
riusciremo a strappare l’agibilità politica che la controparte ci
vorrà togliere nei prossimi tempi. Sui territori raccoglieremo la
forza o la debolezza delle nostre scelte, la sfida ora è quella di
allargare, di conoscere nuovi amici, di tessere nuove relazioni,
di scoprire nuove lotte. Ci sono vari compagni e compagne
arrestati: a loro va la nostra intera e sincera solidarietà. Strano
e assurdo pensare che i devastatori dei nostri territori vogliano
riutilizzare l’accusa di devastazione e saccheggio come
vendetta contro chi individueranno come colpevoli di aver
rovinato la festa ad Expo. Si parla di un reato che prevede una
pena che arriva a 15 anni. E su questo c’è da riflettere
sopratutto quando ci si abbandona facilmente a condanne:
non possiamo lasciare soli i compagni arrestati o che lo
saranno in futuro, che facciano parte della nostra collettività o
meno. Crediamo sia giusto lanciare da subito un appello a
sostenere questi compagni e ad attivarsi ognuno nelle proprie
città per rompere l’isolamento che cercheranno di creare loro
intorno.
15. Le giornate come questa forse hanno tanti difetti però
sicuramente un pregio ce l’hanno: quello di segnare uno
spartiacque tra chi lotta misurandosi con la realtà per tentare
di cambiarla e chi condanna, si indigna o pretende di dare
lezioni. In questi giorni abbiamo visto un’istantanea di due
mondi inevitabilmente inconciliabili: la società per bene, che
abita le vie ricche del centro e insieme a Lega e PD cancella la
scritta “Carlo vive” da una parte, e le migliaia di “Carlo” senza
nome e col cappuccio che hanno resistito nelle strade.
Lasciamo ad altri la posizione altezzosa di chi si permette di
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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giudicare da lontano quale riot sia giusto e quale è sbagliato e
scegliamo di stare ancora una volta in mezzo alla mischia, in
mezzo alle contraddizioni, dove sta il movimento reale che
abolisce lo stato di cose presenti.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Expo: torna il partito della paura e ci affoga di
debito, cemento e precarietà
Indicom – Indipendenti per il comune:
Laboratorio Acrobax, Alexis Occupato
Dopo qualche giorno dal 1° maggio, prendiamo parola e lo
facciamo a seguito di una condivisione collettiva della piazza
milanese a cui, con determinazione, abbiamo partecipato. Una
mobilitazione ricca e condivisa da migliaia di persone, frutto di
un lavoro lungo e approfondito che i compagni di attitudine no
expo – alcuni peraltro di vecchia data e di cui non abbiamo mai
dubitato della generosità nell’incentivare percorsi di lotta
virtuosi – hanno svolto nei propri territori e in lungo e in largo
per tutta Italia. Nei loro occhi in questi mesi abbiamo visto la
generosità, umana e politica, di chi prova a mettere a
disposizione una data in un percorso più ampio e nell’ottica
della collettività di tutti e per tutti.
Il grande e cospicuo lavoro della rete Attitudine No Expo ha
fatto si che sfilassero più di 30.000 mila persone. Un lavoro a
partire dall’apertura dei territori, dove la sinergia tra i veri
agricoltori a km zero si è fusa con le vertenze antispeciste e
dove i ragionamenti sul lavoro gratuito e sull’economia della
promessa – a cui i 18.500 volontari di expo stanno, purtroppo,
credendo – si sono fusi con le tante esperienze che i
movimenti per il diritto all’abitare stanno producendo a livello
nazionale. Partiamo, quindi, dall’assunto che per noi questa
pluralità di convergenze e istanze di lotta è una ricchezza che
va coltivata, va preservata, va nutrita con intelligenza e
responsabilità collettiva.
E’ inutile fare una ricostruzione in cui molti, sia nel movimento
che dai pulpiti dei media mainstream, si sono già cimentati; ci
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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interessa, invece, riflettere su quelle che sono i risultati politici
prodotti da quella giornata.
Due giorni dopo il primo maggio una manifestazione
capeggiata da Pisapia, ha sfilato per Milano, non facendo altro
che far regredire e diluire i contenuti della Mayday Noexpo,
dando sponda a quell’attivazione di piazza che Renzi non
avrebbe potuto immaginare o sperare. L’Expo2015 ha, così,
trovato i suoi attivisti che si sono assunti la responsabilità di
dare corpo a quello che fino ad oggi era rimasto solo nel
virtuale dei social network, peraltro sfiancati dalle ragioni del
No. E alla 20.000 persone che hanno partecipato alla
manifestazione di Pisapia, la cui chiave elettoralistica è
chiaramente intellegibile, verrebbe da chiedere dove eravate
quando Klodian, a soli 21 anni, è morto cadendo da un
ponteggio dell’Expo? Dove eravate quando il 23 Luglio 2013
CGIL CISL e UIL hanno firmato l’infame accordo con Expo2015
SpA accettando di “ratificare, per la prima volta nel diritto del
lavoro, il ricorso al lavoro gratuito” affossando definitivamente
il futuro di migliaia di giovani? Dove eravate quando la Rete No
Expo denunciava la gestione mafiosa ed affaristica dei
finanziamenti pubblici?
Ma una cosa la dobbiamo dire con chiarezza, quando c’è
spazio per la protesta della “maggioranza silenziosa”, significa
che ci sono ancora molti vuoti da colmare da parte delle forze
anticapitaliste, e quei vuoti vengono riempiti da opzioni
conservatrici, quando non apertamente reazionarie.
Parlando di risultati, quindi, quello che rimane è un partito
della paura, che sventola lo spauracchio dei “black bloc” e di
“duri scontri” per celare l’ipocrisia di una città saccheggiata,
nella terra, nei diritti, nella dignità e nelle casse. Pensi anche a
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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questo Pisapia quando sceglierà se ricandidarsi o meno,
perché le bolle mediatiche sugli scontri si sgonfieranno,
mentre la gestione mafiosa, il cemento, i debiti e la precarietà
generata da Expo2015 rimarranno come fondamenta dell’area
metropolitana di Milano e come caposaldo del nuovo reparto
di geriatria che il ducetto Renzi sta costruendo.
E proprio a questo punto siamo fermi da almeno 7 anni, inizio
della crisi, in cui una larghissima parte del tessuto sociale
italiano rimane assuefatto a galleggiare (pronto a rincorrere la
schiavitù di Expo con la promessa di conquistare un lavoro
qualsiasi) e a guardare Renzi che riscrive l’inno (e la
costituzione) italiana dichiarando la fine del capitalismo di
relazione e inneggiando a quello ugualmente spietato e freddo
delle meritocrazie multinazionali e della precarietà senza diritti
e reti di salvataggio. Neanche quelle famigliari.
Conflitto senza o contro il consenso?
In questo contesto, da mesi una larga rete si è mobilitata,
riuscendo ad organizzarsi, a prendere parola e costruire
visibilità su queste tematiche, provando a costruire una
complessa analisi di un altrettanto complesso e paradigmatico
passaggio rappresentato da Expo.
E qui viene il bello, a che serve discutere e confrontarsi,
trovare un terreno comune e provare a connettersi? A che
serve, se tanto l’orizzonte è rappresentato dalla morte del
capitalismo o dalla vita specchiata in cui comunque vale la
regola del più spregiudicato? Addirittura dove un gesto, a
discapito delle parole e dei pensieri, diviene l’asticella sotto la
quale si diventa inutili, riformisti se non addirittura pericolosi
nemici?
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 47
In una gara costante a chi “ce l’ha più lungo”; noi
tranquillamente rifiutiamo l’ansia da prestazione né abbiamo
voglia di dimostrare le nostre capacità. Chi ci ha conosciuto lo
sa, chi sarà curioso lo scoprirà; tutto il resto è la parte peggiore
di quello che qualcuno ha definito porno-riot ovvero pura
estetica della distruzione.
Nel nostro agire politico, sia chiaro, le rotture sono
considerate più che lecite, a patto però, che esse producano
un reale grado di avanzamento nella lotta di classe,
incanalando rabbia e conflitto in termini affermativi, creando
consenso e processualità nei movimenti. La strategia di
contenimento attuata dalla governance a Milano il 1° maggio è
stata utile, peraltro, a riabilitare le forze dell’ordine elogiate
per la “gestione oculata della situazione” dopo la condanna
della Corte europea per le torture realizzate a Genova 2001.
La giornata milanese, quindi, pone o ri-propone una vecchia
questione sull’egemonia e sul consenso, oltre che,
chiaramente, sulle pratiche. E ci sembra che la lezione, di
gramsciana memoria, sia interpretata nel peggiore dei modi,
per cui si fraintende la propria visibilità e la propria sovra-
determinazione come un’opzione che convince. Se addirittura
“la visibilità si conquista a spinta” a scapito di chi è al nostro
fianco nelle lotte, anche radicali, a fianco, per mesi, nei
processi decisionali, si produce un paradossale rovesciamento
in cui l’alleato diventa lo sciacallo giornalistico. E in questo
paradosso, il processo decisionale collettivo diviene un
ostacolo sulla via della rivoluzione.
Il risultato finale, che prima o poi consigliamo di valutare con
occhio distaccato e critico, è che il movimento è spaccato e il
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 48
resto della prateria a cui si vuole parlare rimane ancora una
volta in secondo piano.
Quindi la questione di consenso posta a Milano, non è tanto
riscontrabile in quello mancante della società civile che i media
mainstream prontamente strombazzano, ma quello contro cui
ci si è attivati.
E’, infatti, con quel consenso minimo costruito in mesi di
assemblee di movimento con cui si deve far i conti. In questo
paradosso (o miseria?) quella dicotomia tra morte e vita, posta
ad esempio da Berardi Bifo, diviene inutile e novecentesca
quanto sfilare per diritti e costituzione, perché è un gioco a
somma zero.
La pentola a pressione (pratiche e conflitto)
E lungi da noi aver trovato una qualche risposta, continuiamo
a trovare, invece, molte domande.
Una delle prime riguarda le pratiche e il loro senso politico
nella volontà di costruire movimento per il conflitto e la
trasformazione. A tal proposito ci interroghiamo, da diverso
tempo ormai, sul perché continuare a costruire pentole a
pressione in cui nessuno è comodo per scegliere le pratiche
che preferisce.
Perché non pensare, come avviene sempre più
frequentemente nelle esperienze più virtuose in Italia e in
Europa, a lavorare per costruire un piano politico condiviso sui
contenuti, che possa rappresentare ed essere condiviso come
piano politico e sociale, riconoscendo cittadinanza a tutte le
pratiche conflittuali? Perché non superare noi stessi in primis
la divisione in “buoni” e “cattivi” scegliendo di costruire
momenti differenziati in cui tutti, in un verso o nell’altro, siano
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 49
costretti a confrontarci per non sfuggire alle proprie
responsabilità politiche?
E’ per noi necessario sprovincializzare l’Italia per connettersi ai
movimenti e alle reti internazionali, costruendo spazi
transnazionali di opposizione all’austerity, così come avvenuto
a Francoforte nella giornata di mobilitazione di Blockupy
durante i blocchi e la manifestazione contro l’inaugurazione
della nuova sede della BCE. Per questo come Scioperiamo
Expo ci siamo diretti verso la sede dell’Unione europea, con
l’obiettivo di denunciare la violenza delle politiche di austerity
imposte dalla Troika.
Probabilmente se riuscissimo ad evitare alibi del “troppo
violento o troppo poco”, riusciremmo anche a costruire un
processo politico centrato sui contenuti da animare con
differente attitudini, senza agitare schermaglie retoriche.
Avere il coraggio di intraprendere scelte in una chiara
composizione politica di classe, a partire anche da questo.
Scioperiamo Expo
Dunque torniamo dall’esperienza milanese con la convinzione
che un difficile lavoro ci attende e, ammettiamolo, con un
discreto amaro in bocca. Abbiamo imparato sulla nostra pelle
che la rabbia sociale è solo uno dei parametri e spesso,
purtroppo, è anche inesatto.
Sappiamo che molto si sarebbe dovuto fare, innanzitutto sul
piano del lavoro precario e volontario, ma che, noi per primi,
non abbiamo avuto la capacità di portare avanti fino in fondo.
Eppure sappiamo che il paradigma di Expo è il paradigma
(anche quello del controllo) con cui ci confronteremo da oggi
in poi. A noi la possibilità di intraprendere un percorso
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 50
ambizioso, che non solo punti ad incendiare quella prateria ma
che sia capace di costruire quella vita che vorremo
contrapposta alla morte del capitalismo. Una vita che non
vogliamo riempire di feticci, ma riempita di capacità attiva
all’insubordinazione, così, come di riappropriazione di spazi
decisionali diretti, oltre che alla costruzione di cooperazione
sociale.
Non è più il momento di dare lezioni ma di imparare a
costruire una sfera orizzontale che sappia produrre, a partire
da quello e senza scorciatoie (tanto meno di tipo elettorale),
eventuali verticalizzazioni.
Noi, nel nostro piccolo e per quel che valiamo in questa fase di
movimento difficile, complicata e pesante, abbiamo deciso di
aderire e portare il nostro contributo allo spezzone
Scioperiamo Expo, insieme agli attivisti dei laboratori dello
Sciopero Sociale. E lo abbiamo fatto perché da mesi, insieme a
tante altre realtà nel territorio nazionale e reti internazionali
stiamo cercando di ri-significare la pratica dello sciopero che in
questa fase storica vediamo praticabile solo nelle forme di uno
“sciopero sociale”. Ovvero un assioma linguistico in cui “la
parola sciopero sottintende il fatto che è di forza di
produzione di lavoro (precario se non addirittura gratuito) di
cui stiamo parlando mentre sociale implica che sono tutti gli
aspetti ed ambiti della vita ad esserne coinvolti rendendo la
condizione precaria l’elemento dirimente dello stesso
sciopero”.
Uno “scioperiamo Expo” che allude ad uno sciopero dentro e
contro la precarietà, contro lo sfruttamento intensivo, il
business della disoccupazione giovanile (Garanzia Giovani) e la
codificazione del lavoro gratuito imposta dai sindacati
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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concertativi. Uno sciopero transnazionale, che blocchi
realmente i flussi produttivi, contro tutte quelle forme plurali
di lavoro gratuito che nell’era del capitalismo cognitivo siamo
costretti a subire. Uno sciopero contro quel dovere imposto di
mostrarsi sempre disponibili, flessibili e occupabili a costo zero
come se fosse meglio essere schiavi a termine piuttosto che
poveri senza un futuro e prospettive.
Noi scegliamo questo processo per costruire quei terreni
comuni, di sperimentazione e confronto, uno spazio collettivo
e sociale che sappia essere spazio politico, senza dover
azzerare le differenze in un supposto soggetto politico.
Il nostro modo per continuare la nostra attitudine NoExpo.
Il nostro modo per affrontare un modello provando a costruire
un tempo da battere, che sappiamo né veloce né immediato,
ma che sia nostro.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà agli attivisti arrestati,
nessuno deve rimanere da solo, soprattutto in un momento in
cui vengono richieste “condanne esemplari”, insistendo
sull’infame reato di “devastazione e saccheggio”.
Tutti Liberi/e.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Lo spazio dei movimenti e la guerra simulata
DinamoPress
Alfano chiede di vietare le trasferte per i cortei, a Milano e in
tutta Italia è caccia ai black bloc, meglio ancora se stranieri, la
procura milanese ha aperto un fascicolo per devastazione e
saccheggio, i telegiornali mandano in loop le immagini degli
incidenti. Arriva il coro unanime di condanna e indignazione.
Qualche immancabile sociologo d’accatto non riesce a
trattenersi dal dire la sua, Saviano tesse le lodi delle forze
dell’ordine. Un film già visto, ma con l’ossessione per il decoro
che diventa soggetto politico della Reazione. Con quella sorta
di riedizione della “Marcia dei 40mila” guidata da Pisapia, con
leghisti e “democratici” che “ripuliscono” insieme la città.
Del fallimento di Expo, dei lavori in deroga e in scarsissime
condizioni di sicurezza, dello sfruttamento intensivo,
dell’ipocrisia delle corporation che affamano il pianeta si
preferisce non parlare. Non ora, adesso è il tempo di costruire
il nemico interno per nascondere lo scempio che sta andando
in onda nella realtà: corruzione, infiltrazioni mafiose, il
pubblico piegato agli interessi di pochi, i ricchi che diventano
sempre più ricchi.
Venerdì 1 maggio abbiamo partecipato assieme ad altre
30mila persone alla May Day No Expo di Milano. Assieme a
molte altre realtà nazionali, europee e milanesi abbiamo
costruito lo spezzone “Scioperiamo Expo”. Perché l’Expo
milanese è soprattutto, per quanto ci riguarda, il paradigma
dello sfruttamento del lavoro contemporaneo. Lo scellerato
accordo sottoscritto da Cgil, Cisl e Uil, istituzionalizza di fatto il
lavoro gratuito, legalizzando forme di neo-schiavismo salariale.
Expo come paradigma dell’economia della promessa, quella
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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che ripaga in “esperienza”, utile per allungare il curriculum e
arricchire il capitale umano, lasciando intatta la miseria
quotidiana con il miraggio di un domani migliore. Ma che resta
sempre un domani. Abbiamo portato in piazza i percorsi di
autorganizzazione sociale dei precari costruiti dall’autunno ad
oggi all’interno dei laboratori per lo sciopero sociale, nella
mobilitazione contro il piano Garanzia giovani, contro il lavoro
gratuito e sfruttato dentro scuole e università.
Dal corteo abbiamo deciso di staccarci per andare verso la
sede dell’Unione europea, con l’obiettivo di denunciare le
politiche neoliberiste e di austerità garantite dalla Bce e della
governance della Ue, come già avevamo fatto lo scorso marzo
a Francoforte nei giorni della mobilitazione di Blockupy. Qui ci
siamo scontrati con determinazione contro l’incredibile
apparato di sicurezza che ha militarizzato la città, portando
gommoni e salvagenti per denunciare le responsabilità della
Fortezza Europa nell’aver trasformato il Mediterraneo in un
cimitero. Abbiamo costruito uno spezzone europeo perché
siamo convinti che ogni rottura del presente possa ormai darsi
solo a livello transnazionale, misurando a questa altezza
ambiziosa la sfida dei movimenti sociali.
Crediamo, però, di dover affrontare i nodi politici che la
giornata ci consegna. Perché di nodi politici si tratta. Proprio
perché non crediamo che quanto accaduto possa essere letto
con la categoria del “teppismo”, riteniamo che questo sia
espressione di una strategia politica e come tale vada trattata.
Per farlo è necessario prima di tutto sgomberare il campo da
equivoci: chi ha praticato l’assalto ai negozi, a filiali bancarie e
dato fuoco alle macchine in sosta, lo ha fatto in maniera
organizzata, praticando un’opzione politica assolutamente
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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legittima ma che non condividiamo e che crediamo non debba
essere confusa con altre forme di espressione. È francamente
ridicolo chi intravede, ogni volta, la ripetizione di una nuova
“Piazza Statuto”, l’irruzione plebea di nuovi soggetti sociali che
farebbero saltare le vecchie logiche organizzative del
movimento. Questo è accaduto e accadrà, ma non questa
volta. Il primo maggio a Milano non ha visto nessun riot o
tumulto, non era Baltimora e neanche piazza del Popolo a
Roma il 14 dicembre 2010. Noi, che al corteo c’eravamo, non
abbiamo visto alcun “evento”, alcuna “eccedenza” né,
tantomeno, alcuna “destituzione”. Forse, per la precisione,
tutto l’opposto: nessuno spazio politico è stato aperto,
nessuna faglia nel consenso all’evento si è prodotta, nessuna
identità, sociale o politica, è stata messa in discussione.
Ognuno può rimanere comodamente ai posti di partenza.
Un corteo partecipato e plurale è stato cannibalizzato da parte
di un’opzione politica significativa ma di certo non
maggioritaria. Non ci dissociamo, non condanniamo quanto
avvenuto, rispediamo al mittente le criminalizzazioni
mediatiche, chiediamo la liberazione di tutti gli attivisti fermati
e che andranno a processo nei prossimi giorni rischiando di
pagare per tutte e tutti. Tuttavia, tutto questo non può far
dimenticare che la potenziale politicizzazione di un campo
sociale è rimasta chiusa nell’ambito della «pura
amministrazione» di un fatto di piazza, uguale nei codici e nei
simboli, nel dibattito stesso che ha prodotto, ad altri che
abbiamo già conosciuto e che continuano a ripetersi uguali a
se stessi a prescindere dal contesto e dagli obiettivi contro cui
si lotta. Proprio come il neoliberalismo, toglie di mezzo
qualsiasi spazio di organizzazione collettiva dei precari e dei
poveri, così l’opzione politica emersa a Milano assume la “folla
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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solitaria” come unico agente della trasformazione. Nessuno
dubita che questa sia, propriamente, un’opzione politica.
Abbiamo invece più di qualche dubbio che essa possa dirsi
rivoluzionaria.
È sotto gli occhi di tutti quanto le élite capitalistiche siano oggi
disposte a congelare le contraddizioni e le spinte alla
trasformazione in una logica di guerra, per conservare i
rapporti sociali di potere che si stanno consolidando nella crisi.
Solo una cosa è per il capitale è preferibile alla guerra: la sua
versione simulata.
Conviene però non chiudere qui la questione. Se è utile partire
da una considerazione critica della giornata di Milano,
pensiamo che questa debba riguardare tutti i soggetti che, in
un modo o nell’altro, hanno dato vita alla manifestazione.
Tempo fa, su questo stesso sito, avevamo provato ad
alimentare una discussione pubblica sui limiti stessi del
movimento italiano e delle culture politiche che lo
compongono. L’abbandono di qualsiasi prospettiva strategica
e programmatica ci era sembrata l’altra faccia da un lato, della
riduzione della forma-movimento ad un confronto asettico e
auto-referenziale tra famiglie e aree politiche e, dall’altro,
dell’iniziativa politica ad una serie di contro-eventi. La
definizione di nuove sperimentazioni organizzative, la
coalizione fra differenti esperienze di “sindacalismo sociale”,
l’articolazione fra radicamento e conflittualità molecolare e
scadenze centrali, l’individuazione di ciò che è “fuori” dal
movimento organizzato come il terreno su cui intervenire, ci
erano sembrate l’unico modo per superare questo stallo. Una
parte consistente del movimento ha intrapreso questa
sperimentazione negli ultimi mesi, nella consapevolezza che
essa comporta, necessariamente, l’abbandono di qualsiasi
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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logica delle “identità”: il rovesciamento dei rapporti sociali si
può agire solo “dentro” la società. Suscitare empatia ed essere
intellegibili per aprire delle contraddizioni.
Non è certo il primo maggio a Milano ad averci fatto scoprire
l’esistenza di queste differenti opzioni in campo. Il corteo
milanese ci ha solo reso maggiormente consapevoli della loro
crescente incomponibilità. Su tutti gli altri, per un motivo
fondamentale: chi agisce la “guerra simulata” ritiene che, oltre
sé stesso e i suoi simboli, vi sia uno spazio sociale già
completamente colonizzato dal capitale. Che fra se stesso e il
bancomat non ci sia nulla, tranne la magra possibilità di
esprimere simpatia per l’uno o per l’altro. Per questo se ne
frega del consenso. Per noi, invece, quello spazio di mezzo è
uno spazio aperto, l’unico che conta perché oggetto di una
contesa continua fra poteri contrapposti. È sulla possibilità di
spostare i termini di questa contesa, di espanderla e di
radicalizzarla, che si misura l’efficacia di un’azione collettiva.
Quello stesso spazio che per noi deve essere attraversato da
processi di politicizzazione e organizzazione, è lo stesso che
rischia ogni volta di essere prosciugato e consegnato ad un
gioco delle parti senza alcun residuo. Quando non apre a
dinamiche di politicizzazione a noi avverse, come quella
capitanata in questi giorni da Pisapia.
La giornata milanese, dunque, lascia sul tappeto, e rilancia con
maggiore forza, la sfida per una trasformazione di ciò che
comunemente intendiamo per movimento. Superati i
commenti e le prese di posizione, è attorno a questa sfida che
conviene riprendere la discussione.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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ExPost
Spazio Politico Comune
Partiamo dai numeri, non per mero calcolo statistico, ma
perché rappresentano un elemento preziosissimo sul piano
politico. Trentamila persone hanno manifestato contro il
dispositivo Expo, contro i nuovi paradigmi di sfruttamento e
finanziarizzazione della vita e dei territori, contro il modello di
metropoli gentrificata ad uso e consumo del capitale, contro
l’idea che a nutrire il Pianeta siano le multinazionali
dell’agricoltura industriale.
Trentamila persone che esprimevano una composizione
transnazionale ed eterogenea, che non si è fatta intimidire dal
clima di terrore imposto sul “movimento No Expo” da
governanti e stampa mainstream e dall’ondata repressiva
scatenatasi nei giorni che hanno preceduto la manifestazione.
Trentamila persone non sono piovute dal cielo, che al massimo
ci ha regalato oltre quattrocento lacrimogeni. Sono il frutto di
un intenso lavoro che da anni è stato messo in piedi dalle
realtà milanesi e che negli ultimi mesi è cresciuto di intensità,
ha coinvolto tante realtà organizzate di movimento sia a livello
nazionale che a livello europeo, costruendo un contesto
all’interno del quale l’evento non è mai fine a sé stesso, ma
parte di un processo che cresce nella pratica della democrazia
dal basso.
Un lavoro che aumenta di valore, se lo collochiamo dentro
l’oggettiva difficoltà che negli ultimi anni c’è stata in questo
Paese, salvo rarissime eccezioni, di attivare un’opposizione
sociale credibile, continuativa e di massa.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Come Spazio Politico Comune siamo stati parte attiva della
mobilitazione milanese, articolata in diverse giornate e partita
il 30 aprile con il corteo studentesco, costruendo lo spezzone
“Scioperiamo Expo”. Lo abbiamo fatto insieme ad altre realtà
organizzate di movimento italiane ed europee e soprattutto
insieme a tanti precari, studenti, migranti e working poors che
hanno animato il percorso di avvicinamento alle giornate No
Expo nelle varie città. Uno spezzone composto da circa 5.000
persone, all’interno del quale vi era una presenza
internazionale, a dimostrazione del fatto che la dimensione
europea dei movimenti e delle mobilitazioni sociali è un
processo già in atto e che si sta sempre più consolidando.
Proprio per questo lo spezzone “Scioperiamo Expo” ha deviato
verso la sede italiana della Commissione Europea, perché la UE
ci affama, ci toglie diritti, umilia il lavoro e ha ridotto il
Mediterraneo ad un cimitero.
L’obiettivo della Commissione Europea crea una continuità
simbolica e materiale con la grande mobilitazione del 18
marzo a Francoforte, proseguendo quel percorso di
destituzione dal basso della troika e di resistenza alle politiche
di austerità. L’azione inoltre, nel modo in cui è stata costruita,
attuata e gestita, dimostra che è possibile praticare forme di
conflitto che sappiano parlare a tanti e tante, che siano
leggibili, comprensibili, riproducibili e che agiscano per il
comune e non contro di esso.
Il problema delle pratiche, infatti, non è semplicisticamente
riducibile al nodo “del conflitto e del consenso”. Il consenso è
un concetto limitativo perché descrive un’adesione esterna e
rischia di ridursi ad una condivisione passiva. Il problema reale
è quello del rapporto tra conflitto e legame sociale: una
pratica degli obiettivi che non riesce a tradursi in una dinamica
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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costituente di legame sociale non esprime alcun conflitto. Una
pratica degli obiettivi che sacrifica a se stessa, alla propria
visibilità ed alle proprie gratificazioni i legami sociali, il senso di
reciproca appartenenza tra chi ha già maturato la scelta di
scendere in piazza e chi ancora, per le mille variabili della
propria esistenza, rimane chiuso nel suo appartamento
gravato dallo sfratto o dal pignoramento, non solo non
esprime alcun conflitto, ma si traduce in un ulteriore fattore di
frammentazione sociale e marginalizzazione.
Nei luoghi fisici e politici che conquistiamo con le nostre
pratiche di lotta, come è stato lo spezzone “Scioperiamo Expo”
nel contesto della manifestazione milanese, la salvaguardia del
legame sociale, la sua ricostruzione, la sua ricomposizione
intorno al conflitto in atto costituisce non solo una priorità, ma
la ragione stessa del nostro agire collettivo. Tutto ciò che
dissocia consapevolmente le pratiche degli obiettivi dal
legame sociale non ci appartiene perché non appartiene ad
alcun processo rivoluzionario. La consunta retorica sulla rabbia
sociale è oramai solo un argomento utile al grande circo
mediatico che si alimenterà sempre di più delle “aree di sfogo”
predeterminate ad hoc dalla polizia: d’altra parte l’utilizzo dei
“circenses” in funzione del controllo sociale non è certo una
delle novità renziane.
La differenza che intercorre tra chi vuole ricostruire legame
sociale e chi, invece, individua nella sua rottura il proprio
strumento di espressione, non è la differenza che intercorre
tra buoni e cattivi, ma semplicemente la differenza tra ciò che
cambia e ciò che conserva: una differenza incolmabile. Tutto il
resto, sia che si parli di streghe o che si parli di fate, che si
racconti di gnomi buoni o di folletti cattivi, non conta niente
perchè si tratta solo di favole: possono essere raccontate per
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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avere il ruolo del più duro tutore dell’ordine oppure quello del
più fedele interprete di fantomatiche istanze insurrezionali,
ma restano sempre favole che non hanno niente a che vedere
con le drammatiche condizioni di vita di milioni di persone. Ed
è su queste vite e con queste vite che vogliamo e dobbiamo
agire, ricomponendo quelle lotte sociali che ci vedono
protagonisti ogni giorno, dai nostri territori al cuore
dell’Europa politica e finanziaria.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Essere parte del problema
Blocchi Precari Metropolitani
Ancora fiumi d’inchiostro dopo una manifestazione di piazza
che potremmo definire “diversamente conflittuale”. Chi ha
deciso di stare dentro questa mobilitazione sa che molte delle
cose scritte rappresentano solo un’elaborazione parziale di ciò
che è avvenuto, spesso dettata dalla necessità di far prevalere
un punto di vista piuttosto che un altro. Riteniamo che per le
migliaia di uomini e donne che hanno attraversato le strade di
Milano il primo maggio i pensieri e le riflessioni siano molto
differenti, anche se qualcosa la cogliamo dai vari comunicati
che circolano in rete.
Non abbiamo mai avuto la pretesa di poter raccogliere, in
questo momento storico, una moltitudine omogenea,
organizzata e dalle idee chiare. Una generazione, o più
generazioni pronte a mobilitarsi senza riversare
pubblicamente la propria rabbia e la propria ostilità contro un
devastante modello di sviluppo basato sullo sfruttamento
delle risorse pubbliche e sull’accettazione del lavoro
volontario, che Expo 2015 tenta di rappresentare come
impegnato verso una nuova etica sostenibile.
Proprio per questo non riusciamo a comprendere come si
possa pensare di utilizzare la vetrina mediatica di un evento
come quello milanese senza poi andarci a sbattere contro.
L’irriducibilità al modello delle grandi opere e delle grandi
kermesse, la necessità di dirottare le risorse verso bisogni
primari oggi mortificati, la rottura definitiva con i modelli della
mediazione classicamente intesa, non può che produrre la
messa in movimento dell’energia immagazzinata in una
quotidianità sempre più precaria. Il terremoto si sa è
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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imprevedibile e quando si manifesta produce danni. Perché
meravigliarsi?
La scelta quindi sta dentro questi spazi di manovra. Il green
washing di Renzi e Mattarella è chiaro, così come il furto di
linguaggio tra rigenerazioni urbane ed orti verticali. Chiare
però anche le contraddizioni, laddove si afferma il diritto
all’acqua e si vara un provvedimento che la nega a chi occupa
uno stabile o un alloggio per necessità. Di fronte a ciò cosa
siamo andati a fare il primo maggio a Milano? Provare ad
essere parte della soluzione o essere parte del problema?
Intendiamo ragionare sulla seconda ipotesi. Rappresentare la
minaccia necessaria contro un governo autoritario e classista,
che non prevede ammortizzatori sociali di sorta e che vuole
ridefinire i rapporti di forza senza fare prigionieri. Che ha
gestito la piazza di Milano consapevole di un problema, ma
invece di affrontarlo direttamente lo sta lasciando nelle mani
di chi ne è spaventato più dello stesso governo.
L’esercizio del riot non ci preoccupa così come non ci interessa
la sua estetica. Continueremo ad avanzare, consapevoli di una
spinta sociale destinata ad allargarsi e che può prendere forme
non sempre politicamente intellegibili. Dentro questi spazi e
lungo queste strade troveremo le complicità necessarie per
resistere e contrattaccare. Lo spezzone meticcio dei
movimenti per l’abitare e le lotte sociali ha fatto la sua parte, il
primo maggio, come sempre.
Ci vediamo in città e nei boschi!
# tutteliberi
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Expo: Renzi si accorge che c’è vita oltre twitter
Redazione Senza Soste
È stata una settimana decisamente dura per l’uomo immagine
del Pd, segretario di un partito senza spina dorsale e
presidente del Consiglio. Il primo colpo, grosso, glielo ha dato
la Corte Costituzionale. La sentenza che liquida il
congelamento degli aumenti delle pensioni (voluto da Monti-
Fornero) come incostituzionale, pone problemi serissimi al
governo. Problemi tipici di chi è assoggettato a Bruxelles e
Francoforte e a qualche fondo d’investimento (persino
Brunetta ha avuto gioco facile alla Camera a svergognare il
governo sui prodotti finanziari tossici). In poche parole,
mentre il governo è in difficoltà per trovare 4-5 miliardi di
tagli, per arrivare a quota 10 a fine anno, almeno altri 5-6 sono
da recuperare dopo la sentenza della Corte. Certo basterebbe
questa situazione per fare capire, anche ad un governo
pallidamente socialdemocratico, che è il caso di allearsi con la
Grecia e mettere seriamente in discussione le politiche di
austerità. Ma Renzi esiste per garantire, in Italia, i sacerdoti
della moneta, quelli che guadagnano con l’austerità. Ma, con
le difficoltà oggettive nelle politiche di bilancio, non sarà
affatto facile tagliare e, allo stesso tempo, trovare il consenso
per nuovi tagli. Oltre al fatto che, come si capisce dalla
sentenza della Corte, nessun potere reale dello Stato ci sta a
farsi disarticolare dalla crisi, e dal conseguente
smantellamento dei poteri istituzionali, come se fosse una
provincia o una comunità montana qualsiasi.
A Renzi, che dovrà penare non poco per farsi approvare la
legge elettorale al Senato (e più penerà più dipenderà dagli
alleati) non è quindi restato che inaugurare Expo facendo un
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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po’ di marketing per il governo. Stiamo parlando
dell’Esposizione universale che è il vero tempio del disastro
economico e sociale della seconda Repubblica. Expo voluta da
Prodi e dall’allora sindaco Moratti nel 2007 doveva essere la
solita bolla immobiliare-finanziaria più o meno adattata a
volano dell’economia lombarda. Come prevedibile, tangenti,
addirittura stabilite da patti tra vecchi ras inquisiti per la
tangentopoli del ’92 (un ex DC e un ex PCI ad esempio),
project-financing, costi gonfiati, contenziosi giudiziari, appalti
al massimo ribasso, crisi del credito, tagli, consigli di
amministrazione surreali, affidamenti di opere in modo
discrezionale hanno trasformato Expo nel consueto buco nero
dell’economia italiana. Per non parlare dei salari, livello zero
tanto per contribuire alle trimestrali di cassa delle imprese,
negati ai volontari che si massacreranno per “un’esperienza”.
Ma la cosa più grave di Expo, che ha fatto solo sorridere il
solito nucleo di ditte e di cooperative che la fa da padrone
dagli anni ‘90 (tutto lottizzato tra centrodestra, centrosinistra
e Lega Nord) è che, di fatto, non lascerà traccia. O meglio,
rischia solo di lasciare traccia nelle opere mai finite. Non è
chiaro infatti non solo quale sarà il destino delle aree
inaugurate ma se esista un futuro, un traino economico,
tecnologico e sociale rappresentato da Expo.
L’Italia, del resto, già con i mondiali ’90 ha dimostrato, a
differenza della Germania con i mondiali 2006, come si possa
arrivare alla costruzione di grandi opere in modo così
disastroso da lasciare terra bruciata a evento finito. Questo
per capirsi sul fatto che al miraggio delle grandi opere ci
possono giusto ormai credere quelli che votano “per Matteo”
sul pulsante del telecomando di Sky al referendum del giorno.
L’inaugurazione di Renzi a Expo è stata poi, dal punto di vista
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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dell’immagine globale, una vera e propria Waterloo. Ora non ci
vuole molto a intendersi sul fatto che per un’esposizione che si
chiama “universale” si ha tanto più successo tanto più si sa
parlare all’audience globale. Renzi, che oltre le polemiche da
pollaio proprio non riesce ad uscire, ha invece usato il suo
discorso come ennesima riedizione della polemica contro
quelli che gufano contro il suo governo. Persino noi, che
vediamo la finanza globale come la peste, sappiamo che più
sai toccare i temi che piacciono all’audience globale più fai
marketing territoriale. Bene, Renzi ha plasticamente
dimostrato di non essere in grado di farlo non avendo il respiro
retorico, e nemmeno i ghost-writer, per questo genere di
occasioni. Ha usato la diretta mondiale per battibeccare con i
compagni di cortile che, secondo lui, gli dicevano che non
avrebbe mai finito Expo. Non ci vuole molto a capire che il
prodotto Italia si vende in un altro modo. Siccome le tv italiane
per Expo sono state, come prevedibile, militarizzate il
problema non è uscito fuori. Ma si tratta di atteggiamenti che,
alla lunga, pesano. Aspettare per credere: l’immagine globale
pesa per gli investitori internazionali, perché catalizza
investimenti, Renzi non può vivere a lungo sul simbolico del
“giovane leader dinamico”. Deve dire qualcosa al mondo,
magari di sensato ed incisivo. E qui ci si rende conto di
chiedere troppo a qualcuno che campa di rendita, dal punto di
vista comunicativo, solo sul riciclo delle parole d’ordine degli
ultimi 20 anni di liberismo.
Nel pomeriggio l’inaugurazione di Expo si è scatenato un riot di
protesta, nel centro di Milano, come non se ne vedevano nella
città lombarda dal settembre del ’94(all’epoca della
rioccupazione del Leoncavallo). Un riot, a nostro avviso, non
delle dimensioni dello storico 10 settembre ma sicuramente
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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espressione di un corteo consistente ad alto impatto
spettacolare (perché c’è un piano di audience che paga molto
di più della fedeltà a “Matteo”: gli incidenti almeno 3 giorni di
prime pagine offline e online, e quindi di pubblicità, li fanno
mentre Expo con il resti di Napolitano fa mezza giornata). Ora
lasciamo, come è naturale che sia, la valutazione più
propriamente politica della giornata a chi l’ha organizzata, e
vissuta. Inoltre, qualcuno farebbe meglio a rendersi conto, e a
volte capire come funziona la vita non è male, che i riot
accadono non per delirio ideologico ma perché c’è un qualcosa
che è ritenuto veramente insopportabile. In questo caso tutta
la vicenda Expo, col suo corollario di corruzione, di esproprio
beni pubblici, di sgomberi e di sfruttamento, e il Jobs Act che
non ha prodotto posti di lavoro ma solo liquefazione dei diritti
e sgravi alle imprese. Del resto la tv, ormai a reti unificate, non
si è nemmeno presa lo sforzo di informare, anche
superficialmente, sulle ragioni della protesta. Come ormai
accade da lustri, e a noi pare un problema di democrazia molto
più grosso di una vetrina in frantumi, la rappresentazione delle
idee, quelle non concordate tra ceto politico e redazioni di tg,
semplicemente non c’è.
Il punto è però che con gli scontri del sabato pomeriggio, il
simbolico della giornata, quello da vendere a milioni di
persone in prime time, si è rovesciato di significato.
L’inaugurazione di Expo, con la trovatina di cambiare le strofe
dell’Inno di Mameli, è finita in secondo piano rispetto ad una
metropoli straniata dagli incendi e dalla circolazione delle tute
nere. In effetti la vera notizia, vera irruzione di novità nella
rappresentazione del panico metropolitano in una città che il
panico lo percepisce ma lo nega, rispetto al rituale renziano
ormai consolidato e metabolizzato dagli stessi media schierati.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Qualcosa di diverso rispetto all’inaugurazione della torre della
Bce, dove comunque la partecipazione alla protesta è apparsa
meno legata all’immaginario del centro città sottratto al
governo come nel pomeriggio milanese. Certo, si parla di
spettacolo, ma così funziona l’emersione dei contenuti nel 21
secolo. Forse un po’ più di costruzionismo, nel capire come si
sedimentano i contenuti, e meno moralismo aiuterebbero a
capire come funzionano le nostre società.
Così con i riot Renzi si accorge così che c’è vita oltre Twitter.
Che fenomeni indistinti, per lui, e oscuri gli sfuggono. E si
inquieta perché non li controlla come se fossero un D’Attorre
o un Fassina. Inquietudine che filtra nel comunicato dedicato
agli incidenti dove, scompostamente, ha dato dei “vigliacchi”
ai manifestanti cercando di ribadire una cosa. L’unica che gli
interessa: che la vera immagine della giornata era il coro di
bambini che cantavano l’inno di Mameli. Tentativo di
ristabilire una gerarchia della percezione delle immagini che,
una volta tanto, non andrà a segno. La rottura dei media ritual,
come sappiamo, favorisce sempre il protagonismo simbolico di
chi la esercita. E ad Expo il media ritual è stato interrotto. Altre
volte non è così, per miriadi di motivi, stavolta lo è stato.
Questo ovviamente sul piano comunicativo. Poi la politica,
come sappiamo, è qualcosa di più articolato fino
all’estremamente complesso. E non ce lo viene certamente a
raccontare un Pisapia. Del resto Pisapia, nel corso degli anni,
ha soccorso Deutsche Bank, ritirando la costituzione di parte
civile del comune di Milano sullo scandalo derivati finanziari
(fatto gravissimo), ha supportato sgomberi di case e centri
sociali. Questo senza soffermarsi al ruolo del comune in Expo.
Diciamola in due parole: se la sua elezione doveva
rappresentare un compromesso accettabile tra sinistre ha
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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completamente fallito. La sinistra istituzionale in Italia,
sapendo che più sinistre sono qualcosa di naturale e persino
inevitabile, ha bisogno di economisti critici e innovativi sui
territori non dei Pisapia, avvocatesco ceto politico colluso che
finisce per accodarsi, in ultima istanza, alle esigenze PD. In
modo politicamente corretto s’intende.
Comunque visto che c’è vita oltre Twitter è meglio che questa
si organizzi. Il presidente del consiglio, oltre a voler durare,
non ha idee precise sul da farsi. Con una situazione economica,
nel migliore dei casi, paralizzata questo rappresenta una
cattiva notizia come uno stimolo a far, presto, qualcosa di
sensato contro l’ultimo, si spera in senso definitivo, degli
improbabili al governo del paese.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 69
Milano. Quello che va detto
Redazione Contropiano
E’ tempo di valutazioni su quanto accaduto a Milano con la
manifestazione nazionale No Expo, ma il primo errore da
evitare è quello di una valutazione circoscritta ai “fatti”
avvenuti durante una manifestazione.
Questa è l’operazione sistematica che il sistema dei media
adotta e dunque non può essere il nostro. Una manifestazione
nazionale, tra l’altro, non è che un momento di passaggio e di
sintesi di un percorso iniziato da tempo e che dovrebbe –
anche in questo caso – indicare i passi del percorso successivo.
Il secondo errore è quello di concentrare l’attenzione e
dividersi nelle valutazioni sugli e degli scontri avvenuti. Non è
la prima e non sarà l’ultima volta che una manifestazione
convive con una dualità al proprio interno. Se non possiamo
che riaffermare una distanza stellare da azioni che colpiscono
allo stesso modo la vetrina di una banca e quella di un normale
esercizio commerciale, di un costosissimo Suv e una utilitaria,
dobbiamo anche sottolineare come non siano gli incidenti in
piazza – più o meno gravi – a “nascondere” le ragioni dei
manifestanti quanto, piuttosto, il sistema dei media e dei loro
azionisti di riferimento.
Spesso, troppo spesso, proprio l’assenza di incidenti fa sì che
manifestazioni pacifiche di migliaia di persone vengano
vergognosamente silenziate. Ignorate come se non fossero
mai avvenute. Come ebbe a dire un veterano del sindacalismo
proprio all’indomani di una manifestazione sindacale a Milano,
anche quella ignorata dai media: “la prossima volta rompo una
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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vetrina, così dovranno accorgersi del perché migliaia di
lavoratori che sono scesi in piazza”.
Non solo. Da mesi ormai, da quando al potere si è insediato
Renzi- quello che Marchionne e soci “hanno messo lì” – nel
paese e nelle sue relazioni si è imposta una governance
autoritaria che nega ogni possibilità di dialogo o modifica delle
decisioni imposte dal governo: dalle leggi contro-costituzionali
al jobs act, dalla scuola alla legge elettorale. E allora? Se le
manifestazioni pacifiche o le opposizioni parlamentari non
hanno la possibilità di incidere sulle scelte, che cosa si
pretende?
Milano ha visto scendere in piazza quasi quarantamila
persone, in larghissima parte giovani e lavoratori dei settori a
rischio, contro l’Expo, ossia contro una costosissima (per noi)
vetrina per le multinazionali che ha devastato un intero
territorio e le casse pubbliche. Ma soprattutto contro
l’”esperimento” politico del lavoro gratuito e del divieto di
sciopero per la durata dell’”evento”.
Contro tale progetto sono otto anni che comitati, reti sociali,
collettivi si stanno battendo punto su punto. Dunque la
mobilitazione No Expo non è nata il 1 maggio a Milano, ma è il
risultato di un lungo lavoro. Il governo e i poteri forti hanno
spinto il piede sull’acceleratore volendone fare un simbolo, un
“pennacchio”, dell’attuale esecutivo. Hanno creato loro stessi
l’evento catalizzatore. Il sistema dei mass media ha fatto il
resto alimentando per settimane la tensione. Un processo
questo che, da un lato vorrebbe allontanare la gente dalle
manifestazioni e dall’altro produce l’effetto opposto. Un
paradosso? No, proprio perché una manifestazione che possa
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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prevedere scontri di piazza produce l’idea che possa essere
una manifestazione più efficace di altre.
Infine, su quanto accaduto in piazza. La partecipazione è stata
ampia e con migliaia di persone. Si era capito che l’aria si
sarebbe saturata di lacrimogeni e quant’altro, ma nessuno se
ne è andato via per questo. Solo alcuni – vedi i soggetti della
Coalizione sociale di Landini – se ne sono tenuti alla larga.
La polizia ha adottato una strategia completamente diversa da
Genova. Le immagini della macelleria messicana del 2001,
anche alla luce della sentenza della Corte Europea, non erano
ripetibili. Dunque ha giocato d’anticipo con alcuni blitz, ha
chiuso il centro di Milano, ha tenuto a distanza il corteo ed ha
ridotto al minimo i danni. Cariche pesanti, lunghe e
indiscriminate, avrebbero esteso a macchia d’olio quello che
invece è rimasto circoscritto a due punti del percorso. Volendo
avrebbe potuto effettuare centinaia di fermi o arresti nel
momento in cui la manifestazione si è sciolta perché l’area era
completamente circondata. Con molta probabilità agirà nei
giorni successivi utilizzando le tecnologie di identificazione e la
deterrenza dei capi di accusa (devastazione e saccheggio)
come strumento di repressione e ritorsione.
Volendo tirare alcune prime conclusioni, con ancora la
stanchezza della manifestazione e del viaggio addosso, ci
sembra che la manifestazione di Milano confermi come oggi il
conflitto sociale non possa agire dentro contesti che si stano
rivelando inefficaci a tutti i livelli – da quello sindacale a quello
parlamentare, da quello sociale a quello politico – e che
nessuno possa più permettersi di usare i cosiddetti black block
come capro espiatorio delle proprie difficoltà. Dall’altra parte
occorre intervenire su alcuni pezzi delle nuove generazioni del
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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conflitto per liberarle “dall’edonismo sfasciatutto” che
prescinde dal contesto, dalla reazione dei soggetti sociali, dalla
possibilità di creare relazioni, amplificare coalizioni e conflitti.
Uno spot che dura il tempo di un telegiornale rimane pur
sempre uno spot, che si tratti di un innocuo flash mob o di un
assalto alla vetrina di una banca.
Il fatto che i mass media parlino di loro, solo di loro e solo in
questo modo, non è la soluzione, è parte del problema. Prima
lo si capisce meglio è.
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#NoExpo #Milano: l’analisi del giorno dopo
blog Abbatto i Muri
I media hanno pescato l’aspirante black bloc pronto a dire
tutto quel che serve ai media per continuare a fare cassa per
un altro po’ di giorni. C’è poi la fascia complottista che
inserisce le parole di Cossiga a spiegazione di tutto. Quelli di
ieri, dunque, sarebbero stati facilitati utilmente dalla polizia
che poi avrebbe così avuto ragione di caricare con tanto di
legittimazione della gente. La fascia complottista include chi
sostiene che tra i “facinorosi” vi siano infiltrati. Ok. Fin qui
nulla di nuovo.
Continua la protesta da parte di chi pensa che i neri abbiano
danneggiato una manifestazione pacifica e altre parti di
movimento. C’è poi chi sostiene l’operato della polizia che
sarebbe stato ineccepibile. Subito pronti, eventualmente, a
difendere anche l’uso di lacrimogeni al Cs, vietati dalla
convenzione di Ginevra, e anche il lancio di lacrimogeni ad
altezza uomo. Dopo Genova ricordo che qualcuno disse che
anche i mezzi blindati della polizia lanciati fino ai marciapiedi
per inseguire le folle erano una fantastica trovata. Come non
pensarci prima.
Ma il punto è che c’è chi vuole la testa dei “ribelli” a
qualunque costo, e non per ragionare del senso politico di
tutto ma solo per metterli alla gogna, per un implacabile gusto
di vendetta che – storicamente – arriva sempre da destra, per
processarli pubblicamente e condannarli di fronte a tutta
l’opinione pubblica. Così si obbliga chiunque a parteggiare per
gli uni e gli altri, in uno schema binario che invisibilizza
qualunque complessità, e questo già lo scrivevo ieri, ma ne
sono ancora più convinta oggi. Perché quel che si vuole fare è
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concentrare l’attenzione su quel che è successo dimenticando
perché la gente ieri è scesa in piazza.
Faccio presente che quando gente dei forconi è stata accusata
o beccata, non so dove, a esprimere un dissenso esasperato, il
centro destra è corso in sua difesa, così i legalitaristi che
solitamente manderebbero alla forca chiunque. Perciò da qui
abbiamo capito che esiste un bisogno di serie A e uno di serie
B.
Esiste la fame di chi vota a destra e quella di chi vota a sinistra
o non vota proprio per niente. Se ti presenti in piazza con il
simbolo di una organizzazione di estrema destra perciò è
comprensibile che tu racconti la tua fame di diritti. Se invece ti
presenti con i centri sociali, gli anarchici, gli autonomi, le
sinistre varie, dall’altro lato ti chiamano “radical chic”, dicono
che sei un figlio di papà, perché si sa che a sinistra, ‘sti cazzi,
siamo tutti ricchi, la precarietà a noi non si tocca affatto, e
mentre da sinistra c’è perfino qualcuno, e ricordo alcune
analisi di Infoaut su questo, che tenta di capire le ragioni di chi
scende in piazza col rischio di farsi cavalcare dalle destre,
dall’altro lato c’è una rigidità identitaria da far spavento.
Un blocco monolitico che difende l’operato della polizia,
sempre, anche quando ammazza un manifestante o colpisce
con il manganello gente inerme, anche quando ci scappa il
morto durante un fermo, ed è lo stesso blocco che ammette la
lotta per fame solo se a cavalcarla, per l’appunto è la destra.
Così mentre insiste nel raccontare che la fame sta da una parte
sola, mentre di qua ci sarebbero soltanto “caste”, la gente
come noi continua ad essere chiamata con il nomignolo gentile
di zecche o altri epiteti vari ed eventuali.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Fino a ieri tutti ce l’avevano con il governo. Tutti odiano il jobs
act. Tutti rivendicano la possibilità di mettere fine all’assenza
di reddito, casa, futuro. Però la destra, quando lo fa, nel
frattempo ha così tanta energia e tempo a disposizione che
stabilisce che reddito e casa prima di tutto devono andare agli
“italiani”. Quindi lottano forse per il bene dei poveri ma poi
sputano su altri poveri per via della differente cultura ed etnia.
Già che ci sono hanno il tempo di mortificare qui e la gay,
lesbiche e trans, e non si capisce questo come e perché
dovrebbe compensare la fame dei poveri che votano a destra,
sono anche antiabortisti, giusto per piazzare bandierine sugli
uteri delle donne, e poi perseguono strenuamente la linea che
li porta alla difesa della famiglia “naturale”.
Per dire: a me che sono precaria non verrebbe mai in mente di
dire “prima io”, perché se siamo precari in tanti il solo fatto
che solo io possa scippare un pezzo di pane o un tetto mi
farebbe sentire una vera merda. E qui si parla di umanità. Ma
tornando a ieri il fatto è che le critiche arrivano anche da chi fa
apologia della violenza contro gli immigrati, contro altre fasce
deboli, contro quelli e quelle che ritengono responsabili per la
propria sorte. C’è chi dichiara di capire l’esasperazione di chi
scrive cose orribili, messaggi d’odio, sul web, prendendo di
mira ora un ministro, poi una deputata, e l’odio arriva chiaro e
forte con un messaggio che fa da cornice a tutto: sono
appartenenti alla casta.
Dunque, se il potere, il governo, la gente che chiamate casta vi
è così antipatica, com’è che non capite perché un ragazzo
abbia voglia di scendere in piazza e spaccare tutto? E tutto non
vuol dire proprio tutto, considerando che sfasciare le
automobili di qualcuno mi pare una cazzata enorme, ma
significa comunque sfasciare gli oggetti, non le teste delle
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persone. E possiamo essere d’accordo o meno su questo ma
davvero non capite qual è il punto in cui ci troviamo? La
situazione economica che tutti ci troviamo ad affrontare? Se
un gruppo di uomini e donne decide di puntare alle banche,
alle agenzia interinali, alle immobiliari, secondo voi il
messaggio qual è?
E siccome siamo tutti d’accordo sul fatto che queste cose
fanno più danno al movimento che altro, dunque cosa diciamo
ai ragazzi e alle ragazze che si sono visti fottere il diritto
all’istruzione, con l’università che diventa sempre più meta di
privilegiati, e poi il diritto al reddito, alla casa, a qualche
opportunità che li faccia muovere dalla condizione nella quale
sono incastrati ora. Perché tra la gente che ieri è scesa in
piazza sono certa che ci sia chi fa tre lavori, chi dorme in uno
sgabuzzino, chi non ha niente e chi ha smesso di sperare in un
ascolto realmente democratico.
Vedete quello che succede nel parlamento. Il governo decide
una riforma elettorale che consente ai grossi partiti, che poi
sono anche più o meno alleati o ammiccano l’un l’altro, di
governare in eterno. Il governo decide tutto quello che vuole.
Il jobs act che metterà in mezzo alla strada altra gente, perché
col cavolo che la precarizzazione del lavoro significa più lavoro
per tutti. E di riforma in riforma, incluso il piano casa che
comprende quel punto in cui si dice che chi occupa per
bisogno, perché non sa dove fare dormire i figli, si vedrà
tagliare gas, luce e acqua, tra una decisione e l’altra siamo
arrivati al punto che abbiamo consumato anche i risparmi dei
padri, le madri, i nonni, e non ci resta più niente. Siamo soli,
spaventati, tanta gente massacrata da debiti a combattere
quando ricevono le cartelle esattoriali, tante persone che si
suicidano per questioni economiche, lo sfruttamento che
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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questa particolare situazione consente, e c’è la privatizzazione
dei servizi, il costo dei bisogni che cresce e tra un po’ avremo
anche le polizie private e le carceri private, perché anche
l’industria della “sicurezza” è diventato un business.
Di fronte a tutto questo, voi, noi, cosa abbiamo da dire di
nuovo? Che tipo di battaglia possiamo suggerire? Oltre a stare
a lamentarci per la censura dei media, per le mistificazioni, per
le cattive decisioni del governo, per il fatto che le elezioni sono
solo la legittimazione di un asse di potere che non potremo
spodestare, per le cattive azioni di ragazzi e ragazze di nero
vestiti. E dunque: che si fa?
Chi sono io per dire a questi ragazzi che sbagliano? Come
faccio a dire loro che ci sono altri modi di farsi sentire? Chi può
fornirglieli? Se per ogni manifestazione i giornalisti, e già
chiamarli così è fargli un complimento, cercano perfino lo
scoppio di un pedardo per fare audience, sapendo che una
manifestazione pacifica non finisce sui giornali mai, come
diciamo loro che si può e si deve comunicare diversamente?
Perché se non ragioniamo su questo è pressocché inutile che
tutti pretendano di deresponsabilizzarsi e dichiararsi migliori di
altri. Parlo degli indignati di bassa lega o delle persone,
compagne e compagni, che per un attimo si lasciano
convincere che il nemico è quaggiù, all’inferno, invece che
lassù, in quello spazio che si vede attraverso la grata con gente
che ci lancia in basso pezzi di pane rancido mentre noi ci
scanniamo per prenderne un morso.
Concludo con un aneddoto, che non vuol dire nulla perché non
si può generalizzare, ma forse vale la pena dirlo: ricordo che
tempo fa si fece una manifestazione, pacifica, per decisione di
chi aveva organizzato. Attorno a noi c’erano sparuti gruppi di
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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poliziotti. Col casco e il manganello. Faceva caldo, sbuffavano,
ci guardavano male perché perfino in quella giornata afosa li
obbligavamo a “lavorare”. Non credo proprio avessero voglia
di beccarsi fumo di lacrimogeni, correre, sudare. Se non ché ci
fu il cazzone di turno, perché ogni tanto lo spaccone c’è e io
non saprei chiamarlo diversamente, e parlo di un singolo che
non ha alcun obiettivo politico se non quello di urlare un paio
di slogan con la bocca impastata d’alcool, dunque a questo
ragazzo, appena vide una divisa, gli si accese l’interruttore
dello scontro. Normalmente chi fa azioni in piazza non cerca lo
scontro fisico. Sta a distanza. Questo invece voleva proprio
fare a gara a chi aveva più testosterone. Così punta il dito,
lancia la bottiglia vuota contro un cassonetto, e nel frattempo
un po’ di file dietro scoppia un pedardo, e noi lì a temere,
impreparati, che sarebbe arrivata la carica. In quel caso quelli
che organizzavano la manifestazione presero sotto braccio il
tizio e lo accompagnarono non so dove. I poliziotti restarono lì
a sbadigliare e a sudare, guardando l’orologio. Che voglio dire?
Niente più di quello che ho detto. L’alternativa non è tra
lasciar fare e la delazione. Forse l’alternativa sta
nell’autogestione.
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Expo, buonismo e indignazione un tanto al chilo
blog errecinque
Premessa: se fai attivismo politico, in qualunque forma, hai
una tua idea del mondo e di come debba andare e, giusta o
sbagliata che sia, ritieni sia giusta.
Esiste un livello minimo di consapevolezze quando fai politica
che non puoi negare mai, che devi tenere sempre presente.
Punto 1: se qualcuno non è con te, è colpa tua perché non sei
stato abbastanza bravo a fargli capire perché dovrebbe essere
con te.
Punto 2: chi non è d’accordo con te e non è in malafede
potrebbe diventare d’accordo con te, per cui devi fare il
possibile per fargli capire perché pensi certe cose.
Punto 3: visti i punti 1 e 2, è assolutamente fuori discussione
pensare di poter liquidare chi non ti capisce, chi non ti ha
capito o chi non ti viene dietro dicendogli che ten’ o
tunn’ncap.
Fatte le dovute premesse, quando succedono certe cose, uno
ogni tanto deve pure esorcizzare questa necessità impellente
di scagliare il cranio ripetutamente contro la parete più vicina,
e a questo punto, vada come vada, io certe cose provo a dirle.
Ma veramente non vi rendete conto che non ci sia nulla che vi
appartiene?
Le vostre case possono esservi ipotecate, le vostre auto
sequestrate, i vostri figli sbattuti in mezzo alla strada. Le vostre
vite sono sotto scacco.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Ma non per dire: basta che un giorno uno si svegli e schiocchi
le dita e la vostra vita è a puttane, e questo può succedere
perché stiamo navigando nella forma più becera di
capitalismo. Gli equilibri economici mondiali sono dettati da
una struttura talmente evanescente che, se dopodomani la
figlia di Douglas Peterson (il presidente di Standard and Poor’s,
l’agenzia di rating che valuta le economie dei paesi nei quali
vivete) esce incinta e il padre si sceta storto, può buttare nel
cesso la vostra economia nazionale e la vostra misera vita.
Ma veramente non vi rendete conto che nulla vi appartiene,
nemmeno quello che tenete in testa? Non vi rendete conto
che hanno costruito un mondo bomboniera e che siamo
vittime del più grande Truman show di tutti i tempi?
Vi dicono che l’esposizione universale è una cosa bella e di
altissimo valore e tutti a dire sì, che è una cosa bellissima; e
non vi fanno vedere che un operaio è morto in uno dei
padiglioni per costruirla; che c’è stato un giro di tangenti e un
livello di corruzione tale che è stato indagato pure uno dei
commissari che doveva indagare sul giro tangenti e sulla
corruzione. Non vi fanno vedere che la grande esposizione
universale che doveva parlare di nutrire il pianeta e di energia
sostenibile è stata sponsorizzata dalla più grande
multinazionale del cibo merda (Mc Donald), responsabile della
deforestazione del più grande polmone verde del pianeta
(l’Amazzonia), per tenere le coltivazioni intensive dei cereali
che utilizza per le produrre le sue salse di merda a buon
mercato. Poi c’è la multinazionale per eccellenza, la Coca Cola,
quella che in Colombia ha fatto rapire, seviziare e massacrare i
sindacalisti che si opponevano a condizioni di lavoro pari a
quelle di schiavitù.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Vi dicono che l’esposizione universale è una vetrina
internazionale e che dobbiamo fare bella figura e voi ci
credete, ma nel frattempo nello stesso paese c’è un pezzo di
terra morta per sempre, che non darà mai più frutti, e c’è un
altro pezzo di terra che dà frutti avvelenati perché ci hanno
seppellito rifiuti tossici. Per vent’anni questa informazione da
niente è stata secretata, e nonostante sia venuta fuori con
tutta l’irruenza che si è stati in grado di produrre ancora nulla
è cambiato.
Di questo non dite niente.
Vi dicono che l’esposizione universale è di tutti, è dell’Italia, e
quindi bisogna lavorare tutti per farla funzionare, però non si è
capito perché Farinetti deve collaborare aprendo una catena
di ristoranti e i giovani devono farlo lavorando a livelli di
schiavismo per quattro spiccioli, o addirittura in cambio di un
tablet.
Voi non dite niente.
Vi dicono che può essere un volano di sviluppo per il paese,
così hanno cementificato mezza periferia di Milano ma anche
questo sarà volano solo per chi di quel cemento saprà
approfittarsi. Nel frattempo l’edilizia popolare è in condizioni
degradate, nel frattempo la gente non sa come avere un tetto
sulla testa e occupa le case o resta per strada.
Però il vostro problema è l’accoglienza ai migranti.
E a proposito di migranti: vi dicono che è buonismo essere
disgustati dal fatto che novecento persone muoiano in mare,
perché non dobbiamo accogliere nessuno, perché teniamo i
problemi nostri a cui badare; però poi vi dicono di indignarvi e
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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storcere il naso per due vetrine rotte rispetto alla sagra del
capitalismo che si sta tenendo sul vostro pianerottolo di casa.
Il buonismo, in questo caso, vi piace.
I problemi nostri, e lo sponsor a Mc Donald.
I problemi nostri, e lo sponsor a Coca Cola.
I problemi nostri, e vieni a fare volontariato all’Expo.
I problemi nostri, e la ‘ndrangheta.
I problemi nostri, e gli appalti truccati.
Stiamo pieni di problemi, però ci hanno fatto l’Expo e pure se è
una cacata, perché l’hanno fatto una cacata, noi dobbiamo
essere entusiasti e sorridenti, e magari con la tessera del PD
nella tasca.
Questo è l’Expo e l’Italia può essere un grande paese se tutti ci
crediamo, se tutti ci lavoriamo.
Chissà perché quelli che da questo lavoro non ci guadagnano
niente siamo sempre noi.
A proposito di lavoro: l’hanno inaugurato il 1 maggio. La posso
dire una cosa populista? Ma che cazzo si merita un paese che
nella festa dei lavoratori inaugura una roba del genere
chiedendo alla gente di lavorarci a gratis?
Io più ci penso e più veramente non riesco a spiegarmi come si
possa non capire che l’esposizione universale, che tanto ci
stanno propinando come l’occasione più importante e la cosa
più bella che il nostro paese possa vivere, è l’esatta
riproduzione del sistema economico di merda nel quale siamo
inseriti. Un sistema in cui le grandi multinazionali diventano
sempre più grandi e mangiano e ingrassano alla faccia nostra e
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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del pianeta. Ai giovani è chiesto di collaborare, di aiutare e di
farlo col sorriso sulle labbra e con tanto entusiasmo, in cambio
di curriculum ed esperienza (e un tablet). I media raccontano
la storia di una dimensione di perfetto equilibrio e armonia
dove nessuno è scontento se non poche frange di violenti, e
l’opinione pubblica è silenziata e consenziente, senza un
guizzo, senza un momento di amor proprio o anche solo di
dubbio che forse non è tutto laminato e scintillante, che forse
dietro alla vetrina c’è il pantano.
Tutti contenti, tutti assuefatti, tutti rassegnati.
Poi arrivano i cortei, arrivano le contestazioni, arrivano le
guerriglie pure quelle regolate ad arte – apro una parentesi su
questo punto: o ammettiamo insieme che c’è qualcuno che
vuole esattamente che succeda quello che è successo oggi a
Milano, oppure ammettiamo insieme che c’è un evidente
problema di reclutamento delle Forze dell’Ordine e della
Magistratura e stann’ sul sciem’ che sequestrano le bottiglie di
vodka a pesca ma non riescono a intercettare materiale da
guerriglia – quando arrivano le guerriglie, regolate ad arte,
come dicevo, sono tutti indignati.
Tutti quanti a criminalizzare, a dire che non si fa così; che
vanno bene le ragioni ma quelli sono imbecilli, e tutt’ o riest.
Io una cosa ve la devo dire.
Io forse non sarei stata in quella piazza violenta, forse non
sarei stata a fare gli scontri, a dare fuoco alle macchine, ai
negozi, alle vetrine e tutto il resto, per il semplice fatto che
difficilmente mi metterei a compiere atti, il cui valore politico
non sarei in grado di spiegare, banalmente, ai miei familiari.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Però resta un dato.
È intollerabile il livello di buonismo (questo sì, non quello dei
cristiani morti affogati) che siete in grado di farvi propinare dai
media di regime.
È veramente vergognoso il modo in cui siano in grado di
manipolarvi, strumentalizzarvi, farvi pensare esattamente
quello che vogliono, farvi indignare per le puttanate e farvi
passare sopra le catastrofi abissali.
È veramente plateale il modo in cui siano in grado di farvi stare
sempre dalla parte dei più forti.
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Una riflessione di un compagna
Zero81 Napoli
Dopo il corteo di ieri a #Milano mi aspettavo la cascata di
merda di oggi… e mi sono più volte detta che questa volta
avrei scelto il silenzio come risposta… purtroppo non ci
riesco… perché ogni parola che leggo è una ferita sul mio
corpo, un’altra ferita da aggiungere alle tante collezionate in
anni di lotte…
Mi colpisce profondamente l’aggressività con cui oggi ci si
scaglia contro studenti e manifestanti.
Mi colpisce profondamente la rabbia che si è manifestata ieri
in piazza a Milano.
Mi colpisce profondamente la violenza che tutti i giorni subisco
tentando di arrivare a fine mese
Mi colpisce profondamente l’incapacità umana di guardare
oltre il proprio naso e l’irrefrenabile desiderio di esprimersi
solo quando si devono attaccare le nuove generazioni
Mi colpisce profondamente l’uso di termini individualistici da
parte di quelle che oggi vengono definiti “i semplici cittadini”…
come se io non lo fossi… l’utilizzo di “la mia macchina” “la mia
vetrina” “la mia casa” “il mio lavoro” “i miei soldi” e pure i libri
di scuola dicono che noi siamo una cultura che mira alla
collettività non all’individualismo
Mi colpisce l’isolamento in cui oggi ci costringono a vivere, o
che noi stessi creiamo per vivere, un isolamento che è
lacerante, demoralizzante, violento…
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 86
Non ho mai visto un’anziana avere così tanta voglia di
aggredire verbalmente e fisicamente i politici, che ci opprimo e
che fanno leggi per il loro tornaconto, come quella che ho
visto oggi scagliarsi contro dei ragazzi che potrebbero essere
suoi figli e augurarsene la morte…
Oggi ho visto un paese palesarsi in tutta la sua difficoltà…
Partendo da un corteo che è stato incapace di incanalare la
propria rabbia verso obiettivi legittimi e leggibili. Perché
sappiamo che questo è il gioco, cercare di essere leggibili agli
occhi di un mondo che non vuole leggerci…
Una piazza incapace di mantenere il controllo, direi anzi una
piazza che non ha voluto mantenere il controllo, non si può
controllare la rabbia. È difficile, forse impossibile. E non si può
pretendere che qualcuno lo faccia. Perché chi lotta per non
essere controllato dovrebbe poi controllare chi come te decide
di sfogare la propria rabbia?
Ho visto il classico gioco dei media mainstrem deviare
l’opinione pubblica verso argomenti più futili per non pensare
al potenziale politico che era in piazza ieri, li ho visti incanalare
l’attenzione su un ragazzetto che in questo mondo non trova
identità e la va cercando da chi questa identità ce l’ha già ben
formata… lo ha fatto diventare emblema di una protesta per
poterla ridicolizzare e il paese è riuscito solo a vedere il
ridicolo che c’era in quelle dichiarazioni.
Ma mattia forse non è diverso dagli altri, cerca se stesso in un
scenario devastante e distruttivo che viviamo tutti i giorni e
non riesce poi a staccarsi dalla dinamica del controllo
parentale…
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Ho visto i politici di turno parlare dei figli di papà, rimembrane
il g8 di Genova ma è troppo semplice citare quelle 4 parole che
fanno presa su tutti, che sono i fantasmi più brutti del nostro
passato.
Ho visto poi una diffusa opinione pubblica scaldarsi e scagliarsi
contro una generazione che, nel giusto o nel torto, è il nostro
futuro. Ho visto l’incapacità o anzi la non volontà di capire che
su un piatto della bilancia pesano di più i danni fatti dall’expo
che quelli fatti dai no expo. Ho visto l’incapacità e la non
volontà di provare a capire chi oggi mette in gioco la propria
vita. Perché qui non parliamo di cosa è giusto o sbagliato, ma
di persone che ogni giorno rischiano la vita per affermare i
proprio ideali, e lo fanno da anni, nei modi più diversi, ma
nessuno si è mai preoccupato di ascoltarli.
E in mezzo ci sono i movimenti, i black block, gli incappucciati…
ci sono persone…
Stanche, incazzate, depresse, frustrate che oggi agiscono nei
modi più disparati.
Cosa credete, che a noi piace farci spaccare la testa, andare in
galera o farci intossicare con i lacrimogeni? Credete sia un
divertimento per noi?
Non ci piace piangere, vomitare, svenire quando ci abboffate
di lacrimogeni.
Non ci piace avere i punti di sutura a causa di una
manganellata.
Non ci piace perdere i denti o un occhio per un lacrimogeno
lanciato ad altezza uomo.
Non ci piace morire nelle piazze…
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 88
Non vi chiedete quanto sia preoccupante che una intera
generazione metta a rischio la propria vita per i propri ideali?
Non vi chiedete quanto sia preoccupante questo fenomeno
sociale? Farsi picchiare per farsi sentire?
Siamo la generazione che non può scegliere…
Non può scegliere quale università fare, che lavoro avere, quali
sogni coltivare, che sentimenti provare.
Non può scegliere come protestare, come incazzarsi, come
dissentire.
Non può scegliere come agire per colpire tutti quelli che fino a
oggi hanno pensato a innaffiare solo il proprio orticello.
PER QUELLO CHE E’ SUCCESSO IERI A MILANO SIAMO TUTTI
RESPOSANBILI. NESSUNO SI SENTA ASSOLTO.
Sono responsabili quelli che rimangono a casa dicendo che
scenderanno solo quando ci sarà la vera rivoluzione, ma
secondo voi chi la fa sta vera rivoluzione? Secondo voi non si
costruisce con il tempo, nei collettivi, nei luoghi
dell’orizzontalità e non della verticalità? Chi dovrebbe
costruire questa rivoluzione per voi? Per permettere anche a
voi di raccontare un giorno ai vostri figli che voi c’eravate?
Siete tutti responsabili, voi che pontificate da dietro una
tastiera senza toccare il disagio, che dite cosa è giusto e cosa
sbagliato, su come noi giovani dovremmo vivere, proprio come
fanno i politici dalle loro case sorvegliate.
Siete tutti responsabili, voi che adesso vi svegliate e attaccate
una generazione che, nel torto o nel giusto, tutti i giorni si
fracassa i coglioni con discussioni, assemblee e ragionamenti
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 89
su quale potrebbe essere il modo migliore per far rispettare le
proprie idee. Perché noi sappiamo di avere ragione, la storia
ce lo insegna, le ragioni di una minoranza si scoprono essere
giuste solo 50 anni dopo, quando ormai è troppo tardi.
Siete tutti responsabili, voi che guardate la vetrina e non cosa
c’è dietro la vetrina, siete quelli dei selfie e della chirurgia
plastica, delle città vetrina.
Siete quelli che non leggono il conflitto ma solo l’estetica della
piazza.
Sono responsabili i movimenti che non sono riusciti a
organizzare una piazza degna della portata politica di quel
giorno e di tutte le persone che erano lì…
Ma scusateci se da soli non riusciamo a gestire la rabbia del
paese, scusateci se dopo giornate in cui lottiamo per arrivare a
fine mese, ci svegliamo all’alba e mangiamo il cibo
dell’eurospin, corriamo a lavoro prendendo mezzi che non ci
faranno mai arrivare puntuali, e meccanicamente svolgiamo il
nostro lavoro sottopagato, poi corriamo a lezione perché ci
avete cresciuti inculcandoci che un pezzo di carta ti aiuterà a
lavorare, poi corriamo alle assemblee quelle in cui dopo
giornate infernali proviamo a ragionare guardando oltre,
raccogliendo le forze che ti rimangono, spremendo le meningi
e cercando di capire cosa succede in questo mondo alienante
e alienato, non pensando alle violenze subite, mettendo da
parte la rabbia per trovare il modo mediaticamente migliore
per farci ascoltare e far capire al mondo che in realtà abbiamo
ragione.
Poi torni a casa, che chiamarla casa è un parolone, una stanza
in affitto fredda e mal curata con un boiler da 10 litri per 5
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 90
persone e da sola poggi la testa sul cuscino, ed è lì che la tua
rabbia cresce quando ti rendi conto della solitudine in cui vivi e
del futuro che non vedi di fronte a te…
Solitudine, isolamento, frustrazione che voi tutti contribuite ad
accrescere…
Scusateci se a fine giornata ci sentiamo violentati, lacerati,
feriti, aggrediti.
Scusateci se la nostra violenza vi balza all’occhio più di quella
che subiamo tutti i giorni.
Scusateci se abbiamo ancora la voglia e la forza di lottare.
Scusateci se per noi esiste ancora un noi…
Scusateci se noi cerchiamo un futuro…
Scusateci se a volte non ci riusciamo, se non riusciamo a capire
come voi la pensate e come vorreste che scendessimo in
piazza.
Scusateci se non abbiamo la palla di vetro, se non capiamo in
anticipo che Milano era una trappola per costringerci ancora di
più nell’isolamento.
Scusateci se non riusciamo a essere così lungimiranti, così
pronti nel prevedere il futuro, così capaci di dare voce anche ai
pensieri di chi sta davanti la tv o dietro un pc, di chi non ho mai
visto nelle assemblee, scusateci ma ci state dando un po’
troppe responsabilità.
Scusateci se a fine giornata siamo stanchi, fisicamente ed
emotivamente…
Scusateci se sappiamo ancora provare sentimenti, se
sappiamo ancora essere umani e non automi o supereroi
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 91
purtroppo batman non esite neanche catwoman, o robin
hood.
Siamo noi e siamo quello che siamo, e preferisco di gran lunga
essere noi che voi…
Siete così indottrinati, così schiacciati dal potere, che non vi
rendete conto che fate lo stesso gioco di chi ci governa, di chi
ci cancella il futuro e ci chiude in un isolamento dal quale a
fatica, con le unghie e con i denti, ogni giorno si cerca di uscire.
Il nostro è odio mosso d’amore… e se vedete solo odio è
perché non ci date la possibilità di esprimere amore…
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Questioni di prospettiva.
Un giudizio politico su Expo, Mayday e dintorni
∫connessioni precarie
Il primo maggio è passato, lasciando dietro di sé qualcosa di
più delle macchine bruciate, delle vetrine rotte, degli abiti neri
abbandonati per strada. Oltre all’Expo trionfalmente aperta, il
primo maggio lascia dietro di sé l’immagine plastica di un
movimento che, nonostante sia riuscito a mobilitare 30.000
persone per la Mayday, si scopre politicamente impotente.
Alla fine è successo quello che tutti prevedevano, anche se
molti avevano detto di volerlo evitare: la logica dell’evento si è
imposta su quella del processo, della costruzione,
dell’accumulazione e della condivisione di forza. Ora scoprire
che i media mainstream si comportano da media mainstream
è quanto meno fuori luogo. Ora il botta e risposta contabile sui
costi di Expo paragonati ai costi dei danneggiamenti lascia
francamente il tempo che trova. Ora risolvere tutto facendo
appello alle ragioni della spontaneità arrabbiata è quanto
meno insufficiente. Ciò che è successo non può essere risolto
grazie a un’estetica del riot che non riesce a coprire i limiti
collettivi di progettualità politica, anche perché la definizione
corrente di riot si avvicina sempre più pericolosamente a
quella di una rivolta magari intensa, ma istantanea e destinata
a essere riassorbita senza particolari problemi dall’oggettiva e
dispotica supremazia militare e simbolica dello Stato. Se il riot
esiste solo nel giorno in cui avviene, a cosa serve il riot?
Sarebbe però limitativo ricondurre i limiti di azione politica che
si sono mostrati in piazza solo a ciò che è successo in piazza.
Forse vale la pena ripensare l’intero discorso prodotto per
l’occasione dell’Expo negli ultimi mesi. A noi pare evidente che
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 93
se, di fronte allo slogan «Nutrire il pianeta», la risposta è il
veganesimo coatto di certi centri sociali, difficilmente si riesce
a opporre un discorso globalmente efficace alle chiacchiere
edificanti che scorrono e scorreranno attorno all’Expo.
Evidente è invece la difficoltà di produrre un discorso politico
all’altezza dell’occasione. Il movimento italiano sembra pagare
un suo specifico e presuntuoso provincialismo rispetto al quale
non è riuscita a stabilire un contrappeso significativo
nemmeno la presenza attiva all’interno di reti internazionali,
come è stata per molti di noi l’esperienza di Blockupy per la
contestazione della Bce a Francoforte. Sarebbe necessario,
infatti, cogliere l’occasione dell’Expo, in modo da sollevare e
far agire argomenti in grado di opporsi pubblicamente alla
celebrazione del cibo come merce globale. Invece non siamo
riusciti finora nemmeno a lasciar intravedere un punto di vista
precario, migrante e operaio oltre che sullo sfruttamento del
lavoro dentro all’Expo, anche su un tema che non riguarda
solamente come si mangia in Italia o in Europa, ma anche e
soprattutto chi mangia, quanto e quando in molte altre zone
del mondo. Sarebbe letale prendere sul serio i proclami
altisonanti di Renzi, che vogliono a tutti i costi fare dell’Expo
una questione italiana. Abbiamo invece assistito a proposte e
dibattiti su come dovrebbe essere Milano in questi sei mesi, su
come ci si dovrebbe comportare nel cortile di casa, sulla dieta
politicamente più appropriata. Il tema della città è oggi
certamente centrale, ma lo è nella sua scala globale, non nel
qui ed ora delle singole identità cittadine. Il grande capitale
multinazionale costruisce una vetrina mondiale, coloratissima
e frequentatissima, per dire che sì, c’è magari qualche
problema, ma che a breve darà da mangiare a tutti. Noi, che
non abbiamo nemmeno approssimato un discorso realistico
sulla questione globale della riproduzione materiale
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 94
dell’esistenza di alcuni miliardi di poveri, precari, migranti e
operai, scambiamo quattro vetrine del centro di Milano per le
vetrine «simbolicamente» più rilevanti. Che poi le vetrine
prescelte e le azioni compiute siano sempre le stesse da anni,
la dice lunga sull’indifferenza per un’occasione che dovrebbe
invece essere colta, proprio per la sua complessità e per il suo
carattere immediatamente globale.
Non stupisce dunque che ora, dopo la Mayday, ci troviamo a
cercare il giusto equilibrio tra conflitto e consenso, in un modo
che però rischia implicitamente di separarli. Ci sono alcuni che
praticano il conflitto, per una rabbia più profonda o per una
maggiore intensità politica, e altri che non lo fanno. Non si
capisce bene se questi ultimi si trovino in una sorta di
anticamera della lotta, dalla quale possono imparare come ci si
dovrebbe comportare, o se invece sono ridotti semplicemente
alla platea che dovrebbe approvare i comportamenti altrui.
Parlare di consenso e conflitto ha senso nella misura in cui si
sovrappongono quotidianamente e non vengono evocati
solamente quando riguardano i comportamenti di piazza.
Riservare il conflitto allo scontro con la polizia, con le vetrine e
con le macchine non restituisce nemmeno lontanamente il
livello di violenza e i sordi livelli di conflitto che si dispiegano
quotidianamente nei luoghi di lavoro, sulle vie delle migrazioni
e nei quartieri. Una violenza e un conflitto che non sono solo
subiti passivamente, ma anche praticati con intelligenza e
continuità. L’idea che un po’ di violenza di piazza possa servire
da innesco a chissà quale presa di coscienza collettiva, così
come quella che l’insorgenza di piazza sia l’unica forma
possibile di espressione collettiva per le esperienze esistenti,
sono semplicemente infantili. Il conflitto nelle piazze non può
essere la rappresentazione esemplare di una conflittualità che
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 95
si considera altrimenti assente o insufficiente. In questo caso
saremmo di fronte all’espropriazione della possibilità di azione
di massa e anche all’impossibilità pratica di costruire forme di
conflittualità condivise.
D’altra parte anche sostenere che chi rompe tutto lo fa per
una spontanea e incontrollabile rabbia, senza la pretesa di
rappresentare nessuno, non si accorge che una simile
individualizzazione dei comportamenti finisce per essere il
rovescio, l’opposto simmetrico, dei comportamenti
assolutamente individuali che il neoliberalismo pretende da
ognuno di noi. Non è forse il caso di rompere con la condizione
quotidiana di isolamento, invece di rappresentarla fedelmente
anche durante le manifestazioni collettive? Ma già ragionare a
partire da questa spontanea individualizzazione non coglie
tutta la portata del problema. Qualche mese fa, prima
dell’assedio e dei blocchi di Francoforte, è uscito un
documento che annunciava il fallimento del movimento no-
global e l’inutilità di ogni tentativo di costruire reti
organizzative transnazionali, declassate direttamente a «reti
solidali», così come chiunque provava a organizzarle era
bollato come burocrate e con il marchio d’infamia di voler
essere «ceto politico di movimento».
Ecco, secondo noi la differenza sta esattamente qui. Ed è a
partire da questa differenza che ognuno deve assumersi le
proprie responsabilità politiche. Qui non si tratta di dividere i
buoni dai cattivi e nemmeno gli arrabbiati dai pavidi. Qui si
tratta di evidenziare, e in caso discutere, una specifica
differenza di prospettiva politica. Qui si tratta di dire
chiaramente che c’è chi pensa che sia necessario costruire
quotidianamente connessioni dentro le lotte e le molteplici
figure che in esse si esprimono, anziché replicare attivamente
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 96
l’individualizzazione altrimenti imposta. Qui si tratta di
stabilire collegamenti non tra la propria singolare quotidianità
e il riot di un giorno, ma tra le molteplici e disomogenee
singolarità che ogni giorno sono costrette dentro e contro il
lavoro precario operaio e migrante. Qui si tratta di ribadire che
tutto questo non è possibile su un piano locale e che la
dimensione europea è il suo minimo piano di sviluppo. Qui
non si tratta dell’espressione immediata di un’identità
sovversiva, ma dell’assenza di ogni identità consolidata e della
difficoltà quotidiana per trovare forme collettive di
espressione. Qui non si tratta di far esprimere qualcosa che già
c’è, ma di costruire lo spazio per qualcosa che ancora non c’è,
proprio perché ancora non riesce a trovare una forma
collettiva di espressione. Noi pensiamo che questo sforzo
verso il collettivo sia il primo punto all’ordine del giorno. Altri
non lo pensano e si comportano di conseguenza. Sarebbe
perciò il caso di smetterla con la facile critica dei giornali, con
gli opinionisti occasionali che sono bravi quando ti danno
ragione e canaglie quando ti danno torto, con il gioco
incrociato delle citazioni. Sarebbe il caso di parlare seriamente
delle prospettive politiche che si vogliono perseguire. Tutto il
resto rischia di essere poco interessante e persino indifferente
per i moltissimi che condividono la nostra condizione.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Alla ricerca di un (reale) conflitto sociale
Ri-make/Communia Net
Alla Mayday milanese si è mostrata in piazza una parte
importante, determinata e determinante delle soggettività
politiche e sociali che si oppongono alle politiche del governo
Renzi e alle narrazioni sulle “magnifiche sorti e progressive”
che si aprirebbero davanti al nostro paese grazie alla “politica
del fare”.
Trentamila persone, dipinte dal Presidente del Consiglio e da
media compiacenti come “gufi” fuori e contro la storia, come
un pittoresco residuo che non riesce a intendere il
cambiamento in atto.
Al contrario i trentamila in piazza hanno compreso bene la
direzione del “cambiamento” imposta da questo Governo. E
hanno compreso bene come l’evento Expo – per certi versi
episodio “marginale” di fronte a quanto succede nel mondo –
sia al tempo stesso simbolo e acceleratore (sul piano politico,
economico e ideologico) di tali politiche.
La rete milanese NoExpo da sette anni lavora, con tenacia e
intelligenza, per demistificare l’evento, rendere chiaro quale
sia il suo significato e quali conseguenze sta producendo. Un
lavoro che ha prodotto riflessioni, analisi, denunce e che ha
provato anche a far circolare proposte alternative, non
all’evento in sé, quanto alla narrazione e alle politiche che
accelera.
Non si può non vedere però che questo lavoro non è bastato a
produrre un allargamento significativo della superficie di
contatto con i soggetti colpiti da quelle politiche e che in
diversi modi avremmo dovuto coinvolgere in maniera diretta e
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 98
comprensibile: promuovendo pratiche di opposizione e
strumenti per l’autorganizzazione e la partecipazione su
obiettivi specifici. Un po’ sul modello di quello che abbiamo
visto in Brasile per le mobilitazioni contro le politiche prodotte
dal Mondiale di calcio. Ma la dimensione
dell’autorganizzazione dei soggetti è stata del tutto assente, o
quasi. È questo il primo problema che tutti ci dovremmo porre,
antecedente alla dinamica fuoriuscita dalla piazza e che in
parte ne spiega anche la difficoltà: come si radica socialmente
la lotta contro Expo?
Il corteo – anche uno importante come questo della Mayday –
non è mai il momento principale e nemmeno il più importante
in cui si pratica il conflitto, ma deve essere un piccolo evento
capace di parlare non solo a chi vi partecipa ma anche, in
questo caso, di svelare alla città la realtà nascosta dietro la
campagna martellante dei media. Per poter poi rilanciare il
conflitto e l’autorganizzazione contro le politiche di
precarizzazione, cementificazione e debito imposte da Expo.
Tale rilancio dalla may day è stato evidentemente reso più
difficile dalle scelte di una soggettività politica organizzata che
ha voluto fare di quel corteo un momento di estetica del riot,
imponendo una pratica di piazza dentro e contro la volontà
della maggior parte delle donne e degli uomini che
partecipavano.
Non prendiamoci in giro. Ciò che si è visto a Milano non è stata
una rivolta spontanea di un conflitto reale, ma la semplice
rappresentazione scenica della rivolta, la manifestazione di
una forza organizzata che ha voluto spezzare il ritmo e il
consenso che in questi anni la rete NoExpo ha cercato di
costruire in maniera aperta alle diverse soggettività. Un modo
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 99
come un altro per mettere il “cappello” ad una
manifestazione, in maniera ormai piuttosto vecchia e scontata.
Noiosa.
Si, noiosa, perché i riot visti a Milano non hanno nulla a che
vedere con quanto accade a Baltimora. Un conto è
l’espressione di una rabbia diretta, autorganizzata e rivolta
direttamente contro ciò che si contesta, altro è una pratica
organizzata da una precisa soggettività politica, per di più
senza un obiettivo comprensibile.
Non ci interessa alcun discorso moralista sentito in questi
giorni, né l’idea di dover educare a una presunta “giusta
pratica rivoluzionaria”. Così come non ci interessano le tante
sciocchezze sentite riguardo a infiltrazioni di vario tipo. A noi
interessa l’autorganizzazione dei soggetti sociali, e la
democrazia dei movimenti, e sono proprio queste le
dinamiche del tutto assenti nei fatti della may day.
L’autorganizzazione non si organizza, produce le sue forme
nelle dinamiche del conflitto, ma in una fase in cui il conflitto
reale va ancora costruito le soggettività sociali e politiche
devono sapersi coalizzare, mettersi in rete rispettandosi e
arricchendosi l’un l’altra. Specie in una fase ben diversa da
quella di 10 o 15 anni fa, in cui qualche soggetto, partito o area
politica poteva dirsi egemone rispetto ad altre.
Non ci interessa separare i buoni dai cattivi, questo giochino lo
lasciamo ad altri. A noi interessa avere corrette relazioni nel
movimento in grado di rispettarne l’eterogeneità, unico modo
in questa fase per costruire reti di opposizione sociale e
politiche più larghe e inclusive, in grado di saper allargare la
partecipazione conflittuale.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 100
Intendiamoci. La scelta della stampa di concentrare tutta
l’attenzione sugli eventi e gli “scontri” – già presa nei giorni
precedenti inventando inesistenti “assalti” a banche e
ritrovamenti di fantasiosi armamentari – è volutamente
strabica. Parlare di una città “devastata” e di Milano a “ferro e
fuoco” per danni limitati ad un triangolo di vie, fa parte della
narrazione tossica che volevano cucire sopra i no Expo,
fomentando un’indignazione del tutto sproporzionata e fuori
luogo sulla città “violata”. La manifestazione organizzata da PD
e maggioranza arancione ha messo in campo un proposta
moralistica del tutto ipocrita. Si fomenta l’indignazione per
danni economici circoscritti e contenuti nei costi, senza aver
provato invece la minima indignazione per i miliardi di euro
sprecati da Expo, per quelli finiti in tangenti e corruzione, e
senza aver sprecato nemmeno un commento per chi è morto
nel cantiere dell’Expo lavorando in condizioni infernali pur di
renderlo “fruibile” il primo maggio. Un’ipocrisia che serve solo
a contrapporre una presunta “Milano città aperta e solidale”
alla possibilità del dissenso, presentandosi di fatto come il solo
cambiamento possibile.
Così come ci fanno venire l’orticaria le richieste di “condanne
esemplari” e l’insistenza sul reato di “devastazione e
saccheggio” (con pene che arrivano fino a 15 anni!),
dispositivo letale reintrodotto per reprimere i fatti di Genova
2001 e da allora sventolato ad ogni manifestazione con scontri
di piazza per criminalizzare il movimento intero, colpendo
singole persone e tentando di affrontare una questione
politica e sociale sul piano penale.
Noi rivendichiamo fino in fondo di aver partecipato
all’organizzazione della Mayday e la nostra internità alla rete
Attitudine No Expo (che è chiamata ad una difficile e
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 101
importante discussione, che comincia con il comunicato uscito
ieri). Rivendichiamo la scelta di stare in un corteo difficile, per
il quale segnali di possibili episodi che non avremmo condiviso
c’erano tutti, ma pensiamo sia stata sbagliata la scelta di alcuni
di porsi fuori, di subire il ricatto delle possibili “violenze”, di
non tentare e inventare pratiche autonome, democratiche ed
efficaci.
Oggi però si impone una riflessione sulle pratiche e sulla
capacità di proteggerne il senso collettivo e la possibilità reale
di raggiungere gli obiettivi che ci si è dati collettivamente –
senza cadere nella scorciatoia (peraltro impossibile da
realizzare) della costruzione di servizi d’ordine capaci di
risolvere le questioni sul piano “militare”. La questione è
politica e politicamente va risolta.
Una riflessione sulle pratiche che investa i modi con cui si
esprime conflitto in un corteo, ma che sappia andare anche al
di là interrogando la quotidianità dell’impegno sociale e
politico, fatta di riappropriazione, percorsi politici capaci di
essere credibili e aperti, relazioni dal basso e conflitto – per
radicare socialmente le lotte e ottenere risultati, pur in un
contesto non facile.
Per questo vogliamo valorizzare quanto la rete ha fatto in
questi giorni, oltre al corteo. Stiamo parlando del nostro
contributo alla realizzazione della “tavolata popolare” davanti
Eataly, insieme allo spazio Fuorimercato e Genuino
Clandestino – momento che ha mostrato le alternative che
esistono e che vanno costruite ogni giorno. Parliamo delle
iniziative della e alla RiMaflow. Parliamo della nostra presenza
nella rete NoExpoPride e così via…
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 102
Pratiche volte a promuovere, salvaguardare e consolidare
percorsi sociali, con l’obiettivo di una politicizzazione
collettiva. Ogni “coalizione sociale” può essere un terreno
dove sperimentare e costruire questa politicizzazione
collettiva, se è capace di produrre iniziativa e di includere
conflitti, vertenze, pratiche dal basso.
I prossimi sei mesi la sfida sarà riuscire a manifestare la nostra
opposizione a Expo e a quello che rappresenta oltre la forma
corteo e oltre la risposta ad ogni evento. E’ la sfida di saper
costruire un conflitto sociale reale.
Quello che vogliamo e dobbiamo fare è consolidare le reti
esistenti, allargare la superficie di contatto con chi è colpito
dalle politiche renziane, costruendo spazi per la loro
autorganizzazione e insieme capire davvero come quelle
politiche incidono sulle nostre vite.
Expo esiste e continuerà a esprimere narrazione tossica,
ideologia, circuiti di relazioni per il rilancio dei profitti. Noi
dobbiamo essere in grado non solo di costruire una diversa
narrazione, ma di saperla comunicare; non solo di costruire
spazi di riappropriazione, ma di saperli aprire e rendere
attraversabili; non solo denunciare le nuove schiavitù e
sfruttamento del lavoro, ma di intercettare i soggetti reali
favorendone l’autorganizzazione realmente conflittuale.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 103
Primo maggio a Milano.
Quella rabbia incontrollabile che fa paura alla
sinistra italiana ed al cittadino comune
Collettivo Exit
Tra le tante certezze di chi la piazza l’ha vissuta con gli occhi
dei professionisti della legalità, che paradossalmente
difendono uno dei più grandi simboli del malaffare e della
corruzione del dopoguerra, vorrei riportare due o tre frasi
ovvie a partire da ciò che ho realmente visto tra le strade di
Milano. Sicuramente queste righe non avranno la capacità di
analisi espressa in qualche tweet da parte di esponenti di una
sinistra decadente o degli articoli e video dei media main
stream i cui giornalisti, in un caso più unico che raro, decidono
addirittura di non farsi fare il dettato dalla questura per
inventare favole più dannose di qualsiasi fantasiosa
ricostruzione poliziesca. Come in tutte le favole che si
rispettino, poi, ci sono addirittura i buoni e i cattivi nelle
persone del manifestante pacifico e del black bloc. Ma
veniamo ai fatti.
Quella del primo maggio a Milano è stata sicuramente una
giornata ricca di contraddizioni con molteplici aspetti sui quali
bisognerà lavorare dall’interno del Movimento ed altri
sicuramente positivi. Rispondendo alle critiche mosse finora va
innanzi tutto chiarito che la distinzione tra pacifici e violenti
non esiste. Volendo partire dall’abc il più delle volte non è mai
esistita. Quello del tentativo, del tutto fallimentare, di mettere
pezzi di un movimento gli uni contro gli altri è forse un chiaro
segnale della paura generata dall’incontrollabilità di questa
massa informe che da anni porta avanti pratiche di autonomia
e conflitto, ciascuno nei propri territori. In Val di Susa, nei
giorni seguenti al corteo del 3 luglio 2011, qualcuno,
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 104
rigorosamente dall’esterno, chiedeva di isolare i violenti. La
risposta delle comunità e del Movimento NoTAV tutto fu
chiara e compatta. Non c’erano violenti e pacifici e questo
concetto è stato ribadito negli anni con le varie iniziative di
solidarietà nei confronti di chi ha pagato sulla propria pelle il
prezzo della repressione come forma di consenso nei governi
democratici.
A Milano probabilmente il tentativo di divisione si è arricchito
di un nuovo elemento, la rabbia diffusa, che per molti è
inaccettabile in quanto emblema di un fallimento delle proprie
strutture politiche di riferimento. Non è un caso che le
stroncature ed i giudizi più pesanti nei confronti delle pratiche
di lotta espresse in piazza a Milano vengano proprio da
“sinistra”. Una sinistra in perenne crisi di identità e largamente
contagiata dalla piaga del savianopensiero che, in linea con
una pluridecennale tradizione socialdemocratica, da del
fascista a chiunque abbia idee e pratiche diverse dalle sue
larghissime vedute. A giudicare da alcuni commenti o pareri
che si possono leggere qua e là sembra che sia inaccettabile
per loro l’esistenza stessa di quella rabbia diffusa, sopra citata,
ed il fatto che stia cercando di emergere in maniera del tutto
autonoma in un blocco anticapitalista sempre più compatto e
numeroso. Una nuova soggettività collettiva che renderebbe
inutile ed invendibile qualsiasi favoletta elettorale.
Provando ad analizzare dall’interno la giornata del primo
maggio a Milano sicuramente, come già detto, ci sono dei
punti critici sui quali bisognerà lavorare. Come sempre non
mancano gli inviti a dissociarsi dai danneggiamenti e dagli atti
di teppismo. Sembra quasi che qualche auto in fiamme o
vetrina rotta siano un danno maggiore rispetto a quello
prodotto da Expo, con i suoi costi/sprechi che gravano su tutti
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 105
i cittadini. Analogamente la violenza che ogni giorno si abbatte
sulle nostre vite, sulle vite delle migliaia di giovani che
lavoreranno gratuitamente per i sei mesi di Expo e sulle vite di
tutti quei cittadini modello che si dicono indignati è ritenuta
meno grave di una legittima manifestazione di rabbia. Sia
chiaro, qui non si intende affermare che l’incendio di un auto
possa ribaltare un intero modello di sviluppo basato su
sfruttamento e precarizzazione del mondo del lavoro (ormai
sinonimo di schiavitù). La violenza, se proprio la si vuole
chiamare così, non è un fine, semmai un mezzo. Un mezzo per
sopravvivere e rispondere alle violenze (quelle vere)
quotidiane che ti spingono ad occupare una casa e provare ad
emanciparti da un precariato esistenziale a tempo
indeterminato spingendoti anche al di fuori del recinto della
legalità. Detto ciò, il punto su cui bisognerà lavorare sarà
proprio la comunicazione, all’interno e verso il mondo esterno.
Qualcuno afferma che il rischio è quello che passino in
secondo piano mesi di studio e lavoro di preparazione alla
contestazione di Expo, anche se in realtà è almeno dal 2009
che è in moto una macchina che giorno per giorno ha prodotto
informazione contro tutto ciò che girava intorno al grande
evento. E bisognerà lavorare ancora tanto per tenere al centro
del dibattito queste rivendicazioni. Ma il punto di partenza
fondamentale sarà far capire al cittadino modello che non è la
rabbia il problema, ma chi negli anni l’ha generata. Che
sarebbe miope cercare di combatterla quella rabbia perché,
ammesso che questo porti a liberarsi da essa, vivremo
comunque tutti in una condizione di sfruttamento perenne. E
questo lavoro può essere fatto soltanto rispedendo al mittente
i vari inviti a dissociarsi, promossi da coloro che hanno
discutibili alleati di governo in Parlamento come nelle
pubbliche amministrazioni. Non cercando, dall’interno del
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 106
nostro mondo, di spegnere o tenere sotto controllo quel
sentimento umano che ti spinge ad azioni forti. Chiudere in
uno spezzone o in una linea dettata dall’alto chi, giustamente,
avrebbe voluto prendere parte alle azioni diffuse per le strade
di Milano non è molto differente dalla politica che
quotidianamente combattiamo con le nostre pratiche di
autogestione. Prendere le distanze per tenere al sicuro le
battaglie all’interno delle proprie micro realtà produce
leaderismo ed autoreferenzialità. Logiche del tutto estranee al
mondo dei movimenti. Sicuramente è giusto far presente che
l’azione simbolica priva di un obbiettivo politico è fine a se
stessa, diventa “danneggiamento” o “teppismo” per i più.
Altro significato avrebbe avuto di certo provare a violare la
zona rossa. Ma le spaccature per evitare di “cadere nel
trappolone mediatico” non hanno senso. Risulta, inoltre,
chiarissimo che ci sia stata una gestione dell’ordine pubblico
studiata a regola d’arte per sbattere il mostro in prima pagina.
Ma parliamoci chiaro, quando mai è successo che una sfilata
colorata e pacifica abbia attratto l’attenzione dei media?
Quando abbiamo deciso che fosse necessario risultare
simpatici ai complici delle stesse strutture di potere che ogni
giorno combattiamo? E, soprattutto, in quale occasione
precisamente la stampa servile ha dato risalto alle nostre
giuste rivendicazioni ed ai nostri lavori di studio per contestare
grandi eventi e grandi opere inutili?
A Milano non si è trattato di “qualche violento”, ma di un
intero blocco che ha resistito simbolicamente ed attuato
pratiche di lotta diffuse nelle strade della città, di una piazza
eterogenea in cui trovavano posto le varie istanze di lotta
territoriali e l’esasperazione di chi vive la precarietà quotidiana
come un lento ed inesorabile soffocamento. A Milano non si è
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Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 107
combattuta la battaglia campale tra i movimenti e ed uno
stato di cose inaccettabili, ma Milano dev’essere un punto di
partenza, soprattutto, con tutte le sue criticità e cercando di
non cancellare i pochi punti di forza a causa di una lettura
miope della realtà.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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1° maggio No Expo
“Un po’ di possibile, altrimenti soffochiamo…”
Milano, corteo no-expo del 1 maggio.
Benvenuti nel deserto del reale… o meglio, benvenuti nella
desertica realtà che viviamo ogni giorno. Qualche tempo fa in
giro per l’Europa, e ieri a Milano vi abbiamo fatto assaggiare
un po’ di quella devastazione con cui la maggior parte di noi è
costretta a convivere ogni giorno. Vi abbiamo fatto vedere un
po’ di quella rabbia che molto probabilmente anche molti e
molte di voi covano sotto la coltre di una vita da miseria. Vi
abbiamo sbattuto in faccia quella guerra in cui siamo ingaggiati
ogni giorno nei nostri quartieri e nelle città in cui viviamo.
Quella guerra che vi ostinate a non voler vedere, quella guerra
nascosta sotto i veli mediatici della pace occidentale,
minacciata, a quanto ci dicono, solo dai cataclismi e dai
cosiddetti terrorismi…
E ora di nuovo riascolteremo il coro dell’indignazione civica: la
violenza degli antagonisti, la cieca follia dei devastatori. Ma
siete davvero così rincoglioniti? Fermatevi un secondo e
provate a guardare con più attenzione tutto quello che la
stampa e la tv hanno prodotto in questi giorni… poi scendete
in strada e confrontatelo con quello che vedono i vostri occhi,
con quello che sentono le vostre orecchie e la vostra pancia,
con la paura che avete di perdere tutto, con quella voglia di
farvi gli affari vostri che vi assale perché vi sentite ridotti
all’impotenza e pensate che qualsiasi cosa facciate tanto tutto
resta uguale. Provate a mettervi in gioco e all’ascolto e forse
riuscirete a capire…
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Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 109
Riuscirete a capire che vivete davvero una vita di merda. E che
molto spesso dite che non c’è niente da fare. Ma così parlano
solo i cadaveri. E forse visto che intorno a voi c’è solo morte
parlate proprio come dei vecchi che stanno per morire. E
questo è il paese di merda in cui vivete, un paese di vecchi.
Vecchio nella mente, vecchio nelle ossa. Qui da noi i “giovani
politicizzati” sono più vecchi dei vecchi e la politica è
l’abitudine più vecchia di sempre. Ecco perché non ci
stupiremo nell’ascoltare, ancora una volta, le litanie di
“movimento”: si dirà che giornate come queste possono
dividerlo, il “movimento”, che i riot fini a se stessi non sono
valorizzabili su un piano politico, e che gli obiettivi colpiti
erano casuali e “capisco la banca ma le macchine non
bisognava toccarle”… Chi utilizza questi argomenti come critica
forse dovrebbe cominciare a chiedersi veramente cosa
vogliono dire giornate come queste.
Cominciamo dal “movimento”…quella strana cosa che collega
l’impolitico del popolo con il politico dello stato. Quella
malattia tutta italiana che spesso affossa e ha affossato la
spinta rivoluzionaria. E forse risentiremo anche i suoi teorici
avventurarsi in complesse analisi politiche, parlare del ’77,
dell’autonomia, diffusa, operaia e stronzate varie. Vi siete mai
chiesti perché la figlia di uno dei peggiori partiti comunisti
d’Europa abbia fallito così miseramente? Perché la grande
spinta rivoluzionaria degli anni ‘70 si sia frammentata in cosi
tante sigle e siglette, lasciandoci in eredità tante teorie e
troppa rassegnazione? Ecco, questa “internazionale” di
compagni e compagne che lottano quotidianamente sui
territori, che si incontrano in giro per l’Europa e sulle barricate,
vuole sbarazzarsi proprio di tutta questa melma politica. E
speriamo dunque che la giornata di Milano metta a tacere
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 110
anche tutti quegli scazzi che finché restano su questioni di
principio e non si misurano con la lotta nelle strade, con il
respiro del compagno e della compagna che ti è accanto e
rischia con te, fa il gioco di tutti quei politicanti che si
nascondono più o meno dietro le loro pre-confezionate
identità.
E così, tutti quelli che erano in piazza a Milano, determinati ad
abbellire un degradato arredo urbano e pronti a scontrarsi con
la polizia (autonomi o anarchici che siano) dovrebbero aver
capito di essere in questo momento l’unica forza reale,
radicale e dirompente in questo paese di fascisti, infami,
delatori e democristiani. E non parliamo delle aree, quelle
resteranno sempre separate, ma dei compagni e delle
compagne che per l’ennesima volta si sono ritrovati insieme
per le strade. E le relazioni, che in questa “internazionale”
sono tutto, condensano anni e anni di lotte comuni. Lotte in
cui la posta in gioco è la vita, lotte che combattano quel
capitalismo che ha devastato e saccheggiato il pianeta e i suoi
abitanti umani e non umani.
E così quello che è successo ieri a Milano era davvero l’unica
opzione possibile. Di fronte ai salamelecchi dei soliti noti, di
fronte alla paura dei soliti gruppetti e di fronte alla clamorosa
ed evidente presa per il culo che rappresenta l’expo non si
poteva fare diversamente. Anzi non si poteva non fare.
Sarebbe disonesto dire che non ci piace infierire su un mondo
di vetro e acciaio ma questa volta l’occasione richiedeva
proprio una bella spallata distruttiva. E a chi cercherà di dare
un significato politico al corteo no expo risponderemo con un
ghigno. La verità è che giornate così non possono essere
capitalizzate politicamente, non esprimono la rabbia dei
precari o della plebe (o come la si voglia chiamare), non
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 111
esibiscono nessuna potenza, non producono e non vengono da
un preciso soggetto politico. Per noi, giornate come queste
esprimono solo un possibile, sono, per chi combatte tutti i
giorni e in diverse forme una guerra sotterranea al capitalismo,
una boccata d’aria fresca.
E chi ci verrà a parlare dei motivi della protesta contro expo
diciamo solo una cosa: a noi di expo ce ne frega poco o niente.
Dovremmo davvero interessarci ad una pagliacciata di tali
dimensioni? Una esposizione universale del nulla, che parla di
fame nel mondo, di capitalismo verde dal volto umano? Il
corteo no expo era un’occasione, domani sarà un’altra. Ma
solo se sapremo o proveremo a ritentare la magia. Perché è
vero, anche con tutta l’organizzazione del mondo ci sono
troppe varianti impossibili da prevedere e solo insieme, tutti e
tutte insieme si può tentare, ogni volta, l’impossibile. Quella
magica alchimia di coraggio, determinazione e, perché no, di
incoscienza che ci fa sentire vivi. Proprio così, come si leggeva
sui muri di Roma il 15 Ottobre 2011, a Milano “abbiamo
vissuto”.
E cosi Milano è uguale a Francoforte, alla valle di Susa o alla
Zad, le sue strade sono quelle di Barcellona come quelle di
Atene o di Istanbul. E i riot inglesi, di Baltimora, di Stoccolma,
del mediterraneo risuonano come melodie di una stessa
musica. Una musica che dice senza mezzi termini che ci avete
stufato. Che non smetteremo di disturbare i vostri sonni pieni
di incubi, di sabotare le vostre misere vite piene di fragilissime
sicurezze, di rovesciare le vostre paure da cittadino attivo.
Siamo tanti e tante, e forse è il caso di iniziare a capire da che
parte stare.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 112
E poche cose in questo mondo ci fanno ridere così tanto come
la scena di tutti quei cittadini milanesi che scendono in strada
per ripulire, o come una ragazza che si fa un selfie con una
macchina bruciata… ma ogni epoca ha il suo ridicolo, questo il
nostro…
Insomma avete voluto la vostra festa? La vostra bella
inaugurazione? Beh…anche noi.
Alla faccia di tutti quelli che si riempiono la bocca di
democrazia, infiltrati e violenza. E qui non serve entrare nello
specifico. Ancora credete che ci siano gli infiltrati? Ancora
credete che questo mondo vada solo sistemato? La
democrazia è questa, e prima o poi ci soffocherete dentro.
E chi crede che ce ne sia una migliore è ancora più sognatore
di chi invece vuole l’insurrezione.
Ci vediamo sulle prossime barricate…
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 113
Il movimento è finito, viva il movimento!
BiosLab, FuXia Block, Di.S.C
Siamo abituati a guardarci indietro solo e soltanto per trovare
nuove traiettorie future e così vogliamo fare anche per quanto
riguarda quello che è accaduto in piazza il primo maggio.
Per noi Milano rappresenta un punto di rottura che ci fa
interrogare complessivamente su cosa voglia dire essere e fare
“movimento” in Italia e nel farlo non possiamo che andare
oltre all’analisi di singoli fatti. Non è certo qualche auto
bruciata a turbarci, in ballo c’è qualcosa di molto più
complesso e importante. Alcuni mesi fa, intorno a un ricco
dibattito sui rapporti tra i movimenti e l’ipotesi di una possibile
proiezione “verticale” delle istanze, qualcuno sottolineava la
crisi o addirittura la fine dei movimenti per come li abbiamo
conosciuti negli ultimi 15 anni. Sapevamo che la May Day ci
avrebbe dato dei segnali in questo senso. I segnali sono
arrivati, e ci sembrano inequivocabili. Crediamo che il
movimento, per come lo abbiamo immaginato negli ultimi
anni, con quella fisionomia a cui ci eravamo tanto abituati,
abbia cessato di esistere. A comunicarci questo intervengono
almeno tre livelli di ragionamento.
Il primo ha a che fare con la preparazione dell’appuntamento.
Siamo arrivati alla piazza di Milano senza un percorso politico
di sufficiente condivisione tra le varie componenti del
“movimento”, questo ci sembra davvero innegabile.
Premettiamo, ci teniamo davvero a farlo, che i compagni e le
compagne di “attitudine no expo” hanno svolto un generoso e
difficile lavoro di preparazione che poneva delle buone basi
politiche e organizzative. Cerchiamo di essere molto essenziali
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 114
su questo punto, le componenti militanti di quella piazza non
hanno una reale tensione a interloquire, a parlarsi, a trovare i
minimi margini per mettere in scena azioni coordinate o
condivise. Ognuno per sé insomma, nell’attesa, a tratti irreale,
di vedere cosa sarebbe successo una volta lì nella strada. Con
la differenza che noi, con lo spezzone di apertura “scioperiamo
expo”, abbiamo detto in modo trasparente quello che
avremmo fatto e nel farlo abbiamo dato la priorità a non
mettere 30.000 persone in balia delle nostre scelte. Questo
non è stato fatto da altri che hanno secondo noi tracciato un
solco tra pratiche di piazza autoreferenziali e “sovra-
determinanti” e le soggettività che quella piazza l’hanno
riempita. Il tutto è stato poi tendenzialmente rivendicato,
nascondendo quello che per noi non è altro che
autoreferenzialità, dietro l’argomentazione insostenibile di
una rabbia sociale che in quel frangente si sarebbe espressa.
Noi abbiamo animato uno spezzone mosso dall’intento di
indicare il luogo simbolico del distaccamento della
commissione europea come coerente obiettivo sensibile e poi
ci siamo preoccupati di tutelare le migliaia di persone che
erano con noi da quello che stava succedendo dietro. Lo
abbiamo fatto e lo faremmo altre mille volte.
Il secondo livello, quello che ci interessa di più, ha a che fare
con quello che da tempo definiamo “tensione maggioritaria
del conflitto”.
Qui siamo davvero all’anno zero. Per rispetto della nostra
intelligenza politica non ci soffermiamo a commentare il
tentativo di accostare i riot di Milano con i fatti di Ferguson,
Baltimora e piazza Taksim, oppure quello di individuare il
“pirla” di turno come soggetto emblematico di una
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 115
ricomposizione possibile. Fuori da ogni stucchevole moralismo
che lasciamo volentieri a Saviano e soci, quella modalità di
scontro si presenta per noi poco comprensibile per quelle
soggettività che vivono ogni giorni, sulle loro vite, i segni
violenti di un modello di sviluppo che sta impoverendo a vari i
livelli le vite delle persone. La soluzione proposta ci sembra
non soltanto dannosa per una moltiplicazione dei conflitti, ma
la più semplice: nell’incapacità manifesta, di tutti lo
precisiamo, di evocare fenomeni di autorganizzazione e rivolta
moltitudinanria, deleghiamo la rappresentazione, tutta
simbolica ed estetica, del conflitto, a gruppi militanti appagati
del fatto che il day after tutti certamente parleranno di loro.
Che sia chiaro gli scontri li abbiamo fatti tutti nelle nostre
storie, non ci siamo mai tirati indietro, ma lo abbiamo fatto in
modo virtuoso e produttivo soltanto quando sono stati
connessi con una composizione sociale che come minimo era
in grado di comprenderli, di individuarli come la giusta risposta
verso l’attacco alla vita che il capitale mette costantemente in
atto. A proposito di scontri e della immancabile violenza della
polizia e dell’apparato della giustizia penale, chiediamo a gran
voce la liberazione di tutti i compagni arrestati in quella
giornata. La battaglia per la libertà di movimento e la denuncia
dei dispositivi repressivi è per noi un terreno comune che va al
di là di ogni tensione critica su discorsi, pratiche e strategie.
Il terzo elemento rispetto al quale i posizionamenti sul campo
sono molto diversi ha a che fare con il senso stesso della
militanza, con il senso stesso di fare politica a partire
dall’autorganizzazione dal basso. Il senso stesso del fare
movimento dunque.
Cambiano le strategie di governance del capitale e le forme di
sfruttamento, cambiano le necessità, i bisogni e i desideri dei
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 116
soggetti, cambia la strutturazione delle nostre città e dei
rapporti di forza che le innervano e noi rischiamo di riprodurre
noi stessi dentro cornici identitarie invece di essere all’altezza
delle trasformazioni in atto. Incapaci troppo spesso di
prendere parola in tanti, muoverci, cioè “fare movimento”
dentro la società, riprenderci la scena e mettere al centro il
tema della vittoria. Non è certo la giornata di Milano che
introduce questo tema, ne stiamo parlando da molti mesi e,
dentro ambiti come lo “strike meeting”, stiamo già
sperimentando uno stile di militanza, un modo di fare
movimento radicalmente in discontinuità col passato.
Parliamo di una nuova metodologia che sappia rifuggire ogni
spinta resistenziale o di “trincea”, che ci faccia definitivamente
uscire da quel blocco che da anni trasmette l’idea che ci si
debba affidare soltanto alle “aree”, alle “strutture” e alle
“famiglie” e, nella migliore delle ipotesi, ad accordi e
negoziazioni tra queste.
Dobbiamo andare oltre a noi stessi per come ci siamo
immaginati finora, strapparci con coraggio a tutte le nostre
derive identitarie che garantiscono al massimo
l’autoconservazione e la sopravvivenza e in questo sapere
parlare e costruire azione politica con gruppi e soggettività
diverse ( non soltanto italiane, ma anche europee) mettendo
al centro la tensione forte alla condivisione dei percorsi.
In questo senso quella della costituzione di coalizioni sociali
ampie, anche con alcuni componenti sindacali più virtuose e
radicali, non può non essere un’importante ipotesi sul campo.
Certo tutto questo, anche la ricerca di una “verticalità” che
sappia dare più peso alle nostre istanze, lo facciamo, come
abbiamo scritto in un editoriale alcuni mesi fa, sempre e
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 117
comunque ripartendo da noi: http://www.bioslab.org/il-basso-
lalto-e-lobliquo/
Le giornate di Milano ci indicano insomma la presenza di
diversi sguardi sulla realtà che ci circonda, diverse attitudini
nel fare movimento che faticano a essere ricomposti oggi in un
terreno comune. Di certo, in comune, viste le condizioni
attuali, sarà difficile immaginare di condividere delle piazze.
Per scrupolo ribadiamo ancora che siamo del tutto
disinteressati a giudicare singoli episodi in sé, poco stimolati a
cercare di capire se sia più politicamente utile spaccare le
vetrate di una banca o di un comune negozio, non può essere
questo il punto. Più in generale non ci appartiene il fatto di
giudicare le scelte altrui, non è sulla legittimità di queste che ci
vogliamo soffermare. Le prese di posizione di questi giorni
riaffermano e purtroppo cristallizzano però una spaccatura di
cui bisogna, anche serenamente, dare atto e da cui bisogna
ripartire.
Da un punto di vista più generale, è intorno alla tensione tra
“processo” ed “evento” che si consuma questa incapacità di
parlarsi, intendersi, e organizzarsi insieme.
Quando gli eventi in cui si esprimono forme radicali di scontro
e conflittualità e i processi di cooperazione e di composizione
tra soggettività diverse smettono di intrecciarsi e coesistere,
allora sentiamo l’irriducibile urgenza di fermarci e di mettere
sul tavolo la necessità di percorre strade nuove, di gettare via
dispositivi organizzativi inefficaci e sperimentare nuove strade.
Se la prospettiva è la trasformazione profonda dell’esistente,
se l’intenzione è quella di favorire l’organizzazione politica
delle espressioni frammentate di rabbia sociale, animati dalla
ricerca di una “rottura costituente” capace di lasciare il segno,
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 118
gli eventi non possono che essere espressione, punto di
precipitazione, di processi ampi e condivisi. I processi di lotta,
attraverso confronti, discussioni, negoziazioni, contaminazioni
e mediazioni tendono a produrre immaginari, discorsi e
narrazioni comuni e l’evento, a questo punto importa poco
quanto “radicale” dal punto di vista delle specifiche strategie
di piazza, deve appunto esprimere le diverse sfaccettature di
questi processi ampi e articolati intorno all’individuazione di
obiettivi comuni. L’evento deve scuotere lo spazio pubblico
con forza e permetterci di riprendere la scena, ma deve, già
mentre avviene, proiettarci verso nuove traiettorie di lotta,
aprire nuovi processi ancora più avanzati dal punto di vista dei
discorsi, delle pratiche e dell’organizzazione.
L’evento senza processo costituente è pura estetica del
conflitto, facile scorciatoia per chi si rassegna alla sconfitta. Il
processo non sostanziato negli eventi e non organizzato è
altrettanto sterile perché si consegna a un pericoloso
determinismo che vede i frammentati processi di
soggettivazione che innervano silenziosamente la società
come autosufficienti nel produrre trasformazione e rottura.
Capiamoci, non è criticando in se, gli scontri e le fiamme che
possiamo garantirci quelle forme di legittimazione larga che
posizionano alla giusta altezza la barra che oscilla tra consenso
e conflitto. Quello che chiamiamo appunto “tensione
maggioritaria del conflitto” può materializzarsi soltanto grazie
all’intreccio tra evento e processo, soltanto attraverso
l’invenzione di nuove formule capaci di essere
immediatamente decifrabili e comprensibili, anche nel “riot”,
da quella rabbia latente e da quelle soggettività precarizzate e
impoverite di cui tanto parliamo.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 119
Una macchina bruciata il 14 dicembre a Roma o una bruciata il
1 maggio a Milano non si può in nessun modo rappresentare
politicamente nello stesso modo. Quel giorno c’eravamo tutti
quindi sappiamo bene di cosa stiamo parlando. Evitiamo però
di guardarci troppo indietro. Oggi abbiamo sensibilità diverse
su come si possa ricominciare a fare movimento.
Noi abbiamo più domande che soluzioni, ma sappiamo bene
come ripartire.
Ripartiamo dallo “strike meeting” e dai Laboratori per lo
sciopero sociale, dalla capacità di quei percorsi di mettere al
centro uno sguardo sulla realtà all’altezza delle sfide che oggi il
capitale ci lancia e di sperimentare nuove traiettorie di lotta
allargate che mettono al centro il tema della precarietà e della
messa a valore delle nostre vite. Ripartiamo immaginando che
intorno al concetto e alle pratiche del cosiddetto
“sindacalismo sociale” si possa fare un salto di qualità nella
battaglia decisiva, appunto quella contro le nuove forme di
sfruttamento del lavoro vivo. Ripartiamo dalla convinzione che
ci sia la necessità di connettere tra territori diversi lotte come
quelle per l’autodeterminazione, per il reddito, per il diritto
alla città e per un nuovo welfare, ma che tutte questi claim
debbano necessariamente posizionarsi in una prospettiva
europea e transnazionale.
Ripartiamo infine da Milano. Lo spezzone “scioperiamo expo”,
che abbiamo animato insieme a centinaia di persone e che
ricordiamo era uno spezzone europeo, ha saputo muoversi
bene dentro la confusione di una piazza complicata, ha saputo
individuare un messaggio politico che lo contraddistingueva e,
cosa per noi molto importante, ha saputo, anche quando ha
deviato verso la Commissione Europea, mantenersi connesso
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 120
con il resto delle persone che stavano alla testa del corteo, è
risultato decifrabile dagli altri nei discorsi e nelle pratiche
adottate. È anche a partire da quello spezzone che vorremmo
ricominciare il nostro cammino rimettendoci in discussione,
come sempre, nella ricerca delle traiettorie migliori per
allargare i fronti del conflitto sociale contro l’austerity e la
governance europea della crisi.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 121
L’Expo e l’Internazionale senza nome
Per l’autonomia diffusa mondiale
Il carattere distruttivo conosce solo una parola d’ordine: creare
spazio […] L’esistente lui lo manda in rovina non per amore
delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso. (Walter
Benjamin)
L’Esposizione Universale, come dice la parola stessa, ha una
vocazione globale: espone lo stato del mondo dal punto di
vista del capitalismo. Tutto quello che accade attorno al suo
evento ha dunque buone possibilità di raggiungere un identico
piano di visibilità e di consistenza. Circa due secoli fa, a Londra,
nei suoi paraggi si tenne a battesimo la costituzione della
Prima Internazionale, tanto per dire. Un movimento che ha
ambizione di essere all’altezza del suo tempo è obbligato in
questo senso a confrontarsi con quello che è lo stato del
mondo dal punto di vista della rivolta e a esporne a sua volta
la consistenza.
Il flic-giornalista del Manifesto a un certo punto se ne rende
conto, che la rivolta milanese risuona con una certa prassi
comune a tutti gli appuntamenti significativi che negli ultimi
tempi hanno attraversato l’Europa, e cerca disperatamente di
dissociarsene invitando tutte “le realtà di movimento” a fare
altrettanto.
Ma la verità è che se è facile e comodo dissociarsi da una
manifestazione è molto più difficile farlo con la realtà; anche
da qui viene tutto l’isterismo che scorre a fiotti sui giornali e
sui social media e che sospettiamo frantumi la serenità di
molte collettività politiche in questi giorni. Fortunatamente vi
sono altrettanti compagni e compagne che invece di
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 122
rimuovere il reale cercano di starci dentro o come minimo di
ragionarci su.
Per anni, guardando a quello che accadeva in altri paesi
d’Europa e del mondo, molti di quelli che oggi si indignano
chiedevano con sconforto come mai in Italia non scoppiasse
una rivolta contro la bulimia del potere capitalistico. Adesso
che è arrivata sperano che la polizia e la magistratura,
corroborata da fantasmatici servizi d’ordine, la faccia
scomparire al più presto. Esponendo così la tradizionale
vigliaccheria delatoria della sinistra nostrana.
È una banalità oggi dire che qualsiasi gesto politico è obbligato
a confrontarsi con lo Spettacolo, meno scontato è assumerlo
come uno dei piani del conflitto, come uno dei suoi terreni più
aspri. Ogni rivolta contemporanea deve simultaneamente
agire su più livelli di percezione, deve creare le proprie
immagini e destituire quelle nemiche. Con ragione Bifo scrive
che se non fosse stato per l’azione dei “teppisti” l’infosfera
sarebbe stata saturata dalle immagini trionfaliste del governo
e dei suoi lacchè, e per questo gli è grato. O qualcuno pensa
davvero che televisioni e giornali avrebbero dedicato più di un
trafiletto a una pacifica marcetta di protesta per i diritti e la
democrazia?
A noi pare in ogni caso che coloro che nel movimento si
lamentano e magari accusano i “teppisti” di cercare la visibilità
mediatica a ogni costo lo facciano perché speravano di averla
loro. A costoro non possiamo che suggerire che anche le
immagini si “conquistano a spinta”.
La rivolta milanese si iscrive in una costellazione che per
quanto riguarda l’Europa ha cominciato a formarsi
immediatamente dopo il riflusso del movimento delle
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Acampades. Una volta terminata la storia degli Indignados e
delle piazze occupate in molti hanno scelto di organizzarsi nei
quartieri delle metropoli, di creare delle nuove basi per vivere
e lottare, cercando di far esistere materialmente quel
“comune” di cui tanto si è parlato negli ultimi anni. Ci si è
cominciato a difendere. La rivolta di Gamonal contro la
gentrificazione, poi la resistenza a Barcellona contro lo
sgombero di Can Vies, l’ondata di émeutes all’indomani
dell’assassinio di Rémi Fraisse in Francia, ucciso dalla polizia
mentre con altri difendeva dei terreni contro le solite Grandi
Opere, l’organizzazione in molte città italiane di reti di mutuo
soccorso contro gli sfratti. Poi si è passato al contrattacco. La
freccia distruttiva che ha attraversato Francoforte il giorno
dell’inaugurazione della BCE e poi Milano per quella dell’Expo
fa parte di questo movimento che, ad oggi, è l’unica ipotesi di
movimento rivoluzionario in campo. Invitiamo chi, anche in
buona fede, non riesce a vedere una “strategia politica” nella
sequenza dei riot europei a decentrarsi e a cercare di guardare
quello che accade da questo angolo visuale, da questo parziale
punto di vista. Crediamo che molte cose gli appariranno più
chiare. A differenza di quanto si dice in giro a proposito della “
poca comprensibilità” delle pratiche, presumiamo che a chi la
crisi l’ha pagata per davvero il tutto sia stato così tanto
comprensibile da non aver bisogno dei sottotitoli. Con tutta
evidenza si tratta di un tentativo di ritorcere la crisi contro se
stessa, di iniziare a far pagare caro coloro che negli scorsi anni
si sono organizzati per devastare le vite di milioni di persone.
Di impedire che i festeggiamenti di governi e padroni
suggellassero il compimento della loro missione e di riaprire la
questione. E la questione da riaprire è quella rivoluzionaria.
Sono le lotte, i conflitti, le insurrezioni che producono il
“popolo che manca” e non il contrario.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 124
Probabilmente bisogna rovesciare il punto di vista anche
rispetto alle dinamiche di ciò che è avvenuto a Milano e
smetterla di pensare solamente a come è stato organizzato il
dispositivo dell’ordine pubblico. La rivolta ha cercato e
praticato i suoi obiettivi tra i quali, certamente, vi era la
ridefinizione dell’arredo urbano ma anche quello di tenere a
distanza la polizia e si è organizzata conseguentemente.
Chiunque guardi con un po’ di attenzione le decine di video in
circolazione può rendersi facilmente conto della tattica
rigorosamente asimmetrica praticata dai rivoltosi. E crediamo
che molti acconsentiranno che seppure le auto incendiate non
sono dei grandi obiettivi da praticare sono preferibili alle
decine di teste spaccate che avrebbe provocato un impatto
frontale. Che un uso determinato della forza riesca ad evitare il
massacro d’altra parte è una vecchia regola ben conosciuta dai
movimenti autonomi del passato.
La rivolta, quando arriva, mette in crisi il legame sociale, quello
che lo Stato vieta di sciogliere, e porta le identità politiche e
sociali a un punto di indistinzione. Non esiste un “soggetto
sociale di riferimento” della rivolta e tutti, volenti o nolenti,
vengono interpellati dall’interruzione che essa imprime nel
tempo e nello spazio: le “pratiche” sono un invito rivolto a
chiunque a prendere posizione.
Ora a noi pare che allo stato attuale delle cose in Europa vi
siano solamente due possibilità a questo proposito. O si pensa
che bisogna puntare al governo, è l’ipotesi Podemos/Syriza,
oppure che valga la pena tentare una diversa
“verticalizzazione” delle lotte, cioè organizzarle in un
movimento rivoluzionario. Le due possibilità non sono
compatibili e a ben guardare nemmeno alternative tra loro:
sono nemiche. Per questo, ancora una volta, l’ostacolo più
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Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 125
ingombrante che i rivoluzionari si trovano davanti è il ceto
politico della sinistra dentro e fuori del movimento. Per il
momento molti tacciano, chi per imbarazzo chi per calcolo.
La battaglia è appena cominciata.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Calato il nuvolone di analisi, editoriali, post, indignazioni,
dissociazioni, provocazioni sui fatti del primo maggio a Milano,
ci limitiamo a rilevare il nodo completamente ignorato e
rimosso da qualsiasi dibattito. Piaccia o non piaccia, il punto
più alto dei processi rivoluzionari contemporanei è stato la
rivoluzione venezuelana. E i rivoluzionari dovrebbero di solito
trarre esperienza e generalizzazioni a partire dai punti più alti
della storia, non dai suoi episodi secondari. La rivoluzione
venezuelana nel suo sviluppo ha dovuto fare i conti con i mass
media come punto d’attacco fondamentale della classe
dominante. I partiti cosiddetti borghesi si erano dissolti, erano
leggeri, privi di iniziativa e struttura. Essi continuavano ad
esistere come propaggini del sistema mediatico dominante.
Nel suo sviluppo la rivoluzione ha dato vita a radio e televisioni
comunitarie, corsi di massa per “decodificare” il messaggio dei
media dominanti. Senza questo approccio, la rivoluzione non
avrebbe superato probabilmente il colpo di Stato del 2002. Nei
fatti di Milano la sinistra politica e antagonista di questo paese
dimostra la propria arretratezza proprio su questo punto.
Tutta l’azione, il dibattito, l’opinione ruota attorno ai media
borghesi. Che si sia trattato di provocazioni preparate ad arte
dalle forze dell’ordine, di settori del movimento che hanno
scelto la tattica del riot come propria forma d’espressione,
tutto ruota attorno ai media. Nessuno è così stupido da
pensare che spaccare una vetrina o accanirsi su un auto porti
qualche danno al sistema. Nessuno. Ma il tema è che quel
gesto trova spazio nei media, i quali ne daranno una
narrazione alla nazione. E qua sta la totale debolezza: l’idea
che il proprio consenso sia costruito attraverso uno scontro
eclatante il cui racconto sia affidato ai media dominanti.
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D’altra parte, tutti coloro che si sono uniti al coro di
indignazione dimostrano di essere l’altro lato del problema.
Quest’ultimi si ritengono danneggiati perché la narrazione dei
media, così facendo, infanga il movimento. Ma, concordiamo
tutti, i media tale narrazione la farebbero in ogni caso
costruendola ad arte, se necessario, con l’aiuto delle forze
dell’ordine.
Allora il problema torna quello di un movimento che non
ritiene di doversi costruire propri strumenti di consenso,
propaganda, narrazione. Non sappiamo dove lavoriate o
viviate, ma nei nostri quartieri o luoghi di lavoro, il dibattito
sull’expo è molto lontano da essere conosciuto nei suoi veri
termini.
E non sarà una telecamera del Tg5 di certo a risolvere questo
nostro problema.
E non valgono a nulla i paragoni con gli scontri di Baltimora o
con le Banlieue francesi. Questi ultimi fatti, ben diversi tra
loro, non sono fatti che esistono per farsi riprendere dai media
e guadagnarsi visibilità. Questi sono fatti che esistono
indipendentemente dai media e su cui i media borghesi
devono tacere o raccontare con imbarazzo quanto accade. Ben
diverso dal primo maggio di Milano. Ben diverso.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 128
1° maggio No Expo
Sempre complici e solidali
Le compagne e i compagni della Rete Evasioni
Come Rete Evasioni esprimiamo la nostra solidarietà a chi è
stat@ colpit@ dalla repressione prima, durante e dopo il
corteo del 1° maggio a Milano e siamo pronti/e ad affiancarci a
chi intraprenderà un percorso in sostegno delle persone
arrestate.
Ciò che ci ha spinto a dare vita alla Rete Evasioni, poco dopo il
corteo del 15 ottobre 2011 a Roma, è stata la voglia che
questo percorso di solidarietà concreta con chi era colpito
dalla repressione, potesse essere da stimolo per i compagni e
le compagne di altre città. Nessuna velleità da specialisti
quindi, bensì voler essere una parte di tante Reti di solidarietà
diffuse nei territori.
In questi ultimi giorni guardiamo con distanza il susseguirsi di
comunicati riferiti alla giornata di lotta del 1° maggio a Milano,
poiché pensiamo che il confronto assembleare sia sempre
preferibile a quello mediatico, pur consapevoli delle difficoltà a
cui si va incontro dovute al vivere in posti lontani tra loro.
Ciò nonostante abbiamo deciso di esprimerci in quanto,
proprio in questi giorni, stiamo per affrontare l’ennesima e
ultima fase del processo di primo grado contro chi era nelle
strade di Roma il 15 ottobre 2011.
A nostro avviso le risposte più adeguate agli attacchi repressivi
sono date da momenti di lotta.
Tra le proposte quella del 12 maggio a Roma.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 129
Dalle aule di tribunale, invece, ci arriva la certezza (nel caso ne
avessimo ancora bisogno) di come la dissociazione agevoli
l’isolamento e la punizione contro chi partecipa a
manifestazioni conflittuali. Insomma veri e propri “oli
lubrificanti” per gli ingranaggi dei sistemi repressivi.
Per noi non si tratta solo di note tecnico-giuridiche quanto
piuttosto di scelte politiche.
Concludiamo ricordando che i dispositivi quali il prelievo
forzato del DNA, il Daspo e la “flagranza differita” sono da
tempo pronti, confezionati e in alcuni casi già applicati, in
completa omologazione con i progetti di controllo sociale
europeo.
Per cui, considerazioni del tipo “grazie a quello che è successo
a Milano, ci sarà un peggioramento dell’accanimento
repressivo” sono, a dir poco, pretestuose.
Libertà per tutte e tutti
Il/la “manifestante buono/a” è chi conosce la solidarietà e la
pratica nel quotidiano.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Expo: La lotta continua
Le compagne e i compagni della
Federazione Anarchica Milanese
“Devastazione e saccheggio”, parole forti, parole da quindici
anni di galera per chi viene beccato con la mazzetta in mano,
per chi è stato preso nel mucchio del riot cittadino, nei pressi
di una vetrina infranta o di un auto in fiamme o, a posteriori,
ne verrà riconosciuta la presenza attraverso analisi
fotografiche e video. Chi ci sta lo sa.
A chi devasta territori e ambiente, a chi saccheggia le risorse
comuni, a chi ci fa morire di amianto, d’inquinamento, di
discariche abusive, a chi ha un altro tipo di “mazzette” in
mano, sappiamo bene che lo Stato e i suoi apparati repressivi
(polizieschi, giudiziari e carcerari) non riserva altrettanto
trattamento. E non potrebbe essere altrimenti: Stato e
Capitale, nella loro complice e collusa alleanza, non possono
certo “accusarsi e arrestarsi” a vicenda. E anche questo noi lo
sappiamo.
A Milano, il Primo maggio, una grande manifestazione di oltre
trentamila persone, in maggioranza di giovani, donne e
uomini, sia del luogo che provenienti da varie parti del paese e
d’Europa, ha animato le vie della città percorrendo, in vario
modo, i pochi chilometri di strade ‘concessi’ dalle Autorità
locali sotto stretto controllo dei vertici nazionali. L’obiettivo
era quello di disvelare il reale significato di quel baraccone
fieristico rappresentato da Expo 2015; di denunciare che
quanti hanno contribuito al disastro alimentare ed agricolo di
paesi e di parti consistenti di interi continenti non possono ora
presentarsi come paladini della lotta della fame nel mondo,
del rispetto delle biodiversità e della vita e del lavoro di che la
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 131
terra la lavora; di accusare il sistema di malaffare, di
corruzione, di speculazione selvaggia che ha regnato su Expo e
che regnerà sulle aree del sito alla conclusione dell’evento; di
opporsi ad un modello di sviluppo basato sul lavoro precario,
gratuito e sulla pauperizzazione del paese.
Un corteo di meno di quattro chilometri ottenuti a fatica, dopo
il divieto, giunto a pochi giorni dalla manifestazione, di passare
per il centro città, trasformata in una sorta di zona rossa, una
sorta di provocazione in una giornata che è sempre stata
simbolo della lotta per la liberazione dalla schiavitù del lavoro
salariato, in una città che ha visto negli anni lo svolgimento di
grandi e partecipate May Day.
Un corteo composito ed eterogeneo, che raccoglieva il lavoro
svolto nel tempo dai comitati No Expo e lo sforzo organizzativo
di rappresentare sul campo le diverse anime e sensibilità che
sul terreno della lotta a quel modello di società e di sviluppo si
muovono. Un corteo costruito assemblearmente dopo diversi
mesi di riunioni, di confronti, di decisioni costruite sul
consenso e sull’accordo. In testa più di duecento musicisti,
appartenenti a bande di vari paesi d’Europa, reduci dalla cena
serale d’accoglienza presso la sede della FAI di Milano curata
dalla Banda degli Ottoni, a dare un segnale di festa e di calore,
a seguire i comitati No Tav, No Muos, No Expo, la rete
‘Genuino clandestino’, quelli di lotta sul territorio e per la casa,
il sindacalismo di base della CUB e dell’USB, lo spezzone rosso
nero con lo striscione ‘Expropriamo Expo’, dietro cui sfilavano
circa duecento compagni e compagne tra FAI, il Circolo
anarchico di Via Torricelli 19, l’USI striscione e Iniziativa
Libertaria di Pordenone con i loro striscioni, oltre a diverse
individualità. A seguire, e a chiudere il corteo, il SI.COBAS, il
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 132
‘Sindacato è un’altra cosa’, e infine vari partiti, da
Rifondazione al PCL.
Imponente lo schieramento di polizia, con mezzi blindati e
reticolazioni semoventi, a chiusura delle varie possibilità
d’accesso al centro città; anche se rimane ‘curioso’ il fatto di
aver lasciato parcheggiare le auto lungo il percorso del corteo,
così come il fatto che siano rimasti al loro posto i cestini per i
rifiuti ed altre suppellettili cittadine che generalmente
vengono rimosse in previsione di cortei ‘caldi e vivaci’ come ci
si aspettava che fosse, soprattutto dopo la campagna
mediatica preventivamente criminalizzatrice e le conseguenti
perquisizioni e sgomberi delle giornate immediatamente
precedenti.
La formazione del corteo è stata lentissima anche perchè si
partiva dalla grande piazza di Porta Ticinese per imboccare lo
stretto omonimo Corso, ma senza grossi problemi perchè il
posizionamento dei vari spezzoni era stata concordato da
tempo. Quello che non poteva essere concordato era il
posizionamento di quanti, provenienti da fuori Milano e da
fuori Italia, non avevano partecipato al percorso organizzativo
e che si presumeva si potessero posizionare alla coda del
corteo. Nei fatti quello che è successo è che queste realtà si
sono posizionate all’interno degli spezzoni a loro più affini,
soprattutto nella parte centrale del corteo dove si è
evidenziato un comportamento assolutamente refrattario al
rispetto degli accordi presi precedentemente. Volontà
politiche, sicuramente autoritarie e prevaricatrici, ed
in/sofferenze sociali si sono mischiate dando origine ad uno
spezzone che ha cercato un suo protagonismo attivistico prima
nella contrapposizione con le forze di polizia, poi con quelli che
sono stati identificati con i simboli del potere capitalistico. Ma
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 133
chi cerca di trovare un nesso unico, una regia unica, in quello
che è successo sbaglierebbe.
Lasciando alla destra tradizionale e a quella renziana le urla di
sdegno e gli editti accusatori, la minaccia di rappresaglie ed i
progetti di leggi liberticide, quello che ci interessa mettere a
fuoco è come il Primo maggio a Milano si sia messo in scena
non tanto una replica di quanto già visto a partire da Seattle in
poi, quanto una prima concretizzazione di quello che le
politiche di austerità, di impoverimento sociale, di
rafforzamento autoritario, di restringimento degli spazi di
espressione e di organizzazione, stanno producendo: una
espressione, fluida, anche contraddittoria, di un malessere
sociale ed esistenziale, che nel conflitto, nelle sue varie forme
possibili, cerca uno sbocco.
Così, alcune centinaia di manifestanti si sono misurati prima
con la polizia che, con un numero spropositato di lacrimogeni
urticanti (si dice più di 400) e con l’uso degli idranti, li ha
respinti, per rivolgere poi la loro attenzione alle vetrine di
banche, negozi di vario tipo, auto, pensiline dei mezzi pubblici,
semafori, ecc., mischiando le banche, simboli classici del
sistema di sfruttamento capitalistico con attività generiche (un
barbiere, un ottico, un ortofrutta…). Insomma tanto lavoro per
assicurazioni ed artigiani mentre Maroni e Pisapia hanno già
offerto rimborsi e organizzato manifestazioni: il 2016 con le
elezioni della nuova giunta non è poi così lontano.
Trovandosi al centro del corteo il rischio del coinvolgimento
dell’intera manifestazione è stato ovviamente molto alto – è
stato avanzato anche il sospetto che alcuni all’interno di quello
spezzone lavorassero per trasformare tutto il corteo in un
terreno di scontro complessivo – ma se così non è stato è
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 134
grazie alla determinazione delle componenti iniziali
organizzatrici della manifestazione che hanno tenuto fede agli
impegni presi assemblearmente sia mantenendo le posizioni,
sia concludendo il percorso tra i fumi dei lacrimogeni e delle
auto incendiate. In questo contesto non si può tacere delle
tattiche poliziesche tese da una parte a contenere i danni tra i
‘suoi’ e dall’altra ad evitare che ci fossero delle vittime tra i
manifestanti, tali da ‘sporcare’ l’inaugurazione di Expo. Del
‘buon cuore’ ipocrita del Ministro degli Interni non sappiamo
che farcene.
Detto questo rimangono sul tappeto alcune considerazioni da
fare.
La crisi sta scavando sempre di più nel corpo sociale del paese,
le politiche riformistiche non hanno più gambe né fiato né
sirene da suonare, la disoccupazione cresce e soprattutto
quella giovanile, non c’è uno straccio di politica industriale
all’orizzonte, le rappresentanze politiche più o meno
tradizionali si sono dissolte, le divaricazioni sociali crescono
così come cresce il controllo sociale fino a prefigurare scenari
di militarizzazione sociale complessiva, leggi sempre più
autoritarie e restrittive sono all’orizzonte sia sul campo degli
scioperi dove si vuole imporre un criterio maggioritario alla
tedesca, sia nel campo delle manifestazioni di piazza. Non ci
vuole molto a capire che, in mancanza di una capacità politica
rivoluzionaria in grado di costruire uno sbocco praticabile e
condiviso alla situazione che stiamo vivendo e che andrà
sempre più aggravandosi, la violenza acefala diventerà l’unica
forma di espressione possibile. Esorcizzare quanto è successo
non ci aiuta, il moralismo perbenista nemmeno, il settarismo
autoreferenziale men che meno. C’è da rimboccarsi le
maniche, sempre più e sempre meglio, sulla strada della lotta
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 135
quotidiana, dell’autorganizzazione, del duro lavoro di
costruzione di un movimento libertario che sappia essere
agente reale e concreto della trasformazione sociale.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 136
Ieri a Milano non è successo nulla
Casa Rossa Occupata
Con ancora negli occhi le immagini infuocate di ieri, la rabbia
più o meno incanalata, l’indignazione di TV e radio e in attesa
che il linciaggio mediatico produca le prime misure restrittive,
fermiamoci un attimo, riavvolgiamo il nastro e raccontiamo
una giornata che avrebbe potuto essere e non è stata.
Oggi, primo maggio 2015, a Milano è una bellissima giornata di
sole. Una di quelle giornate in cui anche la grigia capitale del
nord sembra salutare la primavera, forse un auspicio per un
momento importante: la manifestazione contro l’apertura di
expo.
È il fulcro di un percorso d’analisi che ha coinvolto il
movimento in mesi e mesi e che ha il compito di imporre
all’opinione pubblica i temi di critica e contestazione al
modello expo e alle devastazioni sociali, ambientali e politiche
che ha portato. Si temono incidenti e le strade sono
militarizzate.
Il corteo scorre determinato e pacifico, prova a comunicare
con la città, a toccare tutti i temi in ballo. Le varie anime del
movimento, ognuna alla propria maniera, articolano in
maniera costruttiva e convincente i propri temi su cui è
imperniata l’attività politica quotidiana. Insomma una grande
giornata di lotta.
Tornando a casa proviamo a capire e verificare l’impatto
mediatico e politico che una giornata del genere può aver
avuto. In fondo, ci diciamo, una volta tanto i facinorosi vestiti
di nero non hanno catturato tutta l’attenzione..
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 137
L’ansa dedica alla protesta un piccolo trafiletto tutta
completamente impegnata a raccontare la passerella dei
politici, la Turandot alla Scala, la vetrina di Eataly.
La Repubblica si scatena con le proverbiali analisi sociologiche
del manifestante di turno, animale da circo da smontare e
rimontare come un pezzo da esposizione.
Magari il Manifesto… ma dopo la consueta bella prima pagina,
l’articolo di fondo propone la solita alleanza a sinistra fra
partiti morenti e movimenti buoni per tutte le stagioni, il tutto
sotto l’egida di Sel.
Scoramento.
Come sappiamo non è andata così. Ma per questo, in attesa di
riflettere su ciò che è stata la giornata e su cosa comporterà, ci
prendiamo il diritto di porre qualche domanda. E di rivolgerla
agli esagitati da tastiera, Black Block del perbenismo, magari
fra l’ascolto di una canzone di De Andrè e un salto alla bottega
del commercio equo e solidale, possono trovare il tempo di
rispondere.
1) Sì dice che gli incidenti avrebbero tolto la centralità ai giusti
temi che animavano la protesta. Ma quando mai è successo
che le ammiraglie dell’informazione, televisiva e della carta
stampata, negli ultimi vent’anni abbiano dato spazio alle
ragioni di un movimento radicale?
2) Si afferma che una giornata come quella di ieri ha nuociuto
a chi esprime un bisogno. Ma chi dice questo è mai andato in
piazza a sporcarsi le mani con i senza casa, i senza lavoro? Ha
mai ascoltato la rabbia confusa e nichilista? Ha mai cercato di
deviare l’odio generalmente indirizzato per l’immigrato o il
povero della porta accanto?
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 138
3) Chi attacca il manifestante tacciandolo come “figlio di
papà”, chi delegittima la protesta vaneggiando di una
eventuale ignoranza sui temi della stessa, chi narra di cortei
presi in scacco da sparute minoranze, ha mai provato a
relazionarsi con queste minoranze, che poi sono
semplicemente l’espressione più visibile di stragrandi
maggioranze?
Non staremo qui ad annoiare su chi sono i veri violenti, su
quale sia la prospettiva di vita per la nostra generazione, su un
sistema politico a cui non crede più nessuno, tanto meno chi è
eletto.
Quello che vogliamo dire è che ieri è stata una giornata difficile
per il movimento, in un’ epoca storica in cui o siamo in grado
di contrastare, con ogni mezzo necessario il modello grandi
opere che ci è stato imposto, o semplicemente non siamo.
Tuttavia, pensiamo anche che vi è il bisogno di tornare, al
nostro interno, a ragionare sulla necessità di approfondire il
legame con il corpo sociale intorno a noi, con la classe. Questo
è il nostro primo obiettivo, per il quale una giornata come
quella di ieri, bella o brutta che fosse, costituiva solamente
una tappa.
Tutto il resto sono chiacchiere, da tastiera ma pur sempre
chiacchiere.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 139
Sul corteo NO EXPO di Milano
Progetto Prendocasa Pisa
Partiamo dal dato più importante: EXPO è un evento
DEVASTANTE che ha permesso a mafiosi e speculatori di
intascarsi soldi pubblici. Soldi nostri. Soldi che vengono levati
alle scuole, agli ospedali, ai quartieri popolari.
Il primo maggio, giorno dell’inaugurazione di EXPO, era
necessario fare tutto il possibile per rovinare la festa ai
padroni, che brindavano nel lusso a spese nostre.
Nei giorni precedenti al corteo, la polizia ha compiuto azioni
molto gravi: sgomberi di case e spazi sociali, perquisizioni nelle
sedi di alcuni comitati di quartiere. Tutto ciò è stato fatto per
spaventare la gente e diminuire la partecipazione e la
determinazione del corteo. Con solo due giorni di preavviso è
stato anche vietato alla manifestazione di passare dal centro.
La rabbia in piazza, dunque, era tanta ed era rabbia giusta. La
rabbia di tanti giovani e tante famiglie che vivono nella
miseria, che si sentono dire dagli assistenti sociali: “non ci
sono soldi” mentre i soldi pubblici vengono spesi per le
STRONZATE!
La rabbia nella manifestazione si è espressa in tanti modi,
alcuni migliori ed altri peggiori. Il migliore è stato certamente il
tentativo di centinaia di persone di forzare il blocco della
polizia per raggiungere il centro città. Questo tentativo è stato
fatto nella strada che porta a Piazza Affari e alla Borsa, uno dei
luoghi di potere di Milano, centro della speculazione
economica.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 140
Perché era importante portare la protesta nei luoghi dove
vengono impoverite le nostre vite!
Perché la città è di chi la vive, non di chi la trasforma in una
vetrina per i ricchi durante l’EXPO!
Perché non è accettabile che la polizia provi ad intimidirei
manifestanti, con sgomberi e divieti, per difendere i soliti noti!
Invece, attaccare le macchine e le vetrine di piccoli negozi è
stata una sciocchezza; tuttavia anche questi gesti hanno
dimostrato la collera del corteo, collera che si è diretta verso
gli obiettivi sbagliati.
C’è chi si arrabbia solo su facebook e vorrebbe impiccare i
politici, ma poi a paura a scendere in piazza.
C’è chi si indigna contro le multinazionali ma poi va a lavorare
gratis per EXPO perché “fa curriculum”.
C’è chi si preoccupa più di una vetrina che delle morti sul
lavoro o dei suicidi causati dalla crisi.
Noi preferiamo la rabbia dei ragazzi di Milano, e speriamo che
nelle prossime occasioni ci sia la capacità di indirizzarla verso i
veri obiettivi: verso i palazzi del potere e non le auto e le
botteghe.
Speriamo anche al prossimo corteo di essere di più, che tutte
le persone che soffrono la crisi da sole ed in silenzio, decidano
di combattere unite in piazza.
Ma qui non basta SPERARE, occorre COSTRUIRE!
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 141
Comunicato dei compagni e le compagne
L.o. SKA - c.s.o.a OFFICINA99 Napoli
Chi devasta e saccheggia le nostre vite sono il governo Renzi &
la Bce-Ue
A Milano per il corteo NO EXPO noi c’eravamo. Perché EXPO è
parte del disegno di impoverimento di soggetti e territori,
dello sfruttamento e della precarizzazione delle nostre vite.
Nell’Italia della “ripresa”, del “ce la faremo”, la disoccupazione
giovanile media è di circa il 43% (percentuale che al sud
raddoppia); la precarietà aumenta, come dimostrano i dati
circa le nuove assunzioni targate Job Act; tutto il tessuto
industriale è in forte ridimensionamento con continui
licenziamenti. Infine c’è lo Sblocca-Italia, provvedimento che
rende organici tutti quelli precedenti, che in questi anni, dalla
Campania dell’emergenza rifiuti ancora non conclusa,
passando per il Tav, per il Mose e non solo, blinda le decisioni,
verticalizza ulteriormente il potere, militarizza porzioni di
territorio, tentando di schiacciare o addomesticare ogni
possibilità di partecipazione dal basso delle popolazioni. Altro
che vetrine in frantumi! In quest’Italia democratica si devasta
e saccheggia quotidianamente la nostra terra per il profitto.
Eppure, con la rivoluzione tecnologica di questi ultimi 20 anni,
la ricchezza sociale prodotta è tale da poterci liberare dal
ricatto “lavoro o miseria”, garantendo un’esistenza dignitosa e
nel rispetto dell’ambiente a tutte e tutti.
Abbiamo abitato la piazza milanese ben consapevoli di trovarci
dentro a una composizione eterogenea, dove le pratiche si
sono mischiate e sovrapposte in una rabbia che, se non altro,
racconta un’indisponibilità reale nel subire la violenza del
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 142
capitale sulle nostre vite. Non ci sottraiamo ad analisi e
valutazioni che, come sempre, accompagnano la nostra
presenza nei percorsi, ma in questo momento ci sembra
indispensabile ribadire più di ogni altra cosa la nostra non
estraneità ai fatti di Milano, pur riscontrando, nella
molteplicità delle pratiche, alcune criticità con cui confrontarsi
nei mesi che seguiranno.
Noi il 1° Maggio eravamo a Milano contro la vetrina dell’EXPO
e l’arroganza del Governo Renzi, insieme a migliaia di altri e a
diecimila diverse ragioni.
C’eravamo anche come antagonisti di quel Sud martoriato da
disoccupazione, lavoro precario e nero che il Job Act
incrementerà; quel Sud dove i territori sono preda della
devastazione ambientale sancita dallo Sblocca Italia con il via
libera ad ulteriori trivellazioni, inceneritori, discariche, impianti
a biomasse, centrali a gas e ancora veleni per il profitto di
pochi; quel Sud dove il mare è diventato un cimitero per
uomini e donne in fuga dalle guerre e dalla barbarie del
capitalismo. Non potevamo non esserci contro la logica dei
grandi eventi e delle grandi opere che sprecano risorse
pubbliche. Per rivendicare reddito per tutti, garantito ed
indipendente dal lavoro insieme alla riduzione di orario e
nuovi diritti, per rovesciare la crisi su chi l’ha generata, perché
le comunità conquistino potere decisionale all’insegna della
sostenibilità e di un modello di sviluppo alternativo.
Oltre la cortina di fumo che i media mainstream cercano di
costruire attorno ad EXPO (e questo ben prima che si
spaccasse qualche vetrina) abbiamo ben chiaro che il 1 Maggio
a Milano si sono confrontati due opposti schieramenti, uno
costituito da chi per mestiere legittima e difende la violenza
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 143
del capitale sulle nostre esistenze l’altro da chi difende la vita e
i territori a sue spese e al capitale dichiara (forse a tratti
confusamente) una guerra aperta e senza quartiere.
A questi ultimi dichiariamo con forza la nostra appartenenza
perché come ebbero a scrivere penne assai più virtuose:
“Qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa,
là ci si ribadisce la catena […]C’è che noi, nella storia, siamo
dalla parte del riscatto, loro dall’altra”.
A tutti i compagni e le compagne fermati, arrestati, perquisiti,
videoschedati va la nostra totale solidarietà nella incrollabile
convinzione che le lotte non si arrestano. Mai.
Tutti Liberi.
Tutte Libere.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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No Expo: i media rivomitano il solito copione
Cortocircuito
“Non esistono fatti, ma solo le interpretazioni dei fatti” diceva
Nietzsche, parafrasandolo, potremmo dire che non esistono i
cortei, ma solo la loro “rappresentazione”.
La società dell’informazione continua e pervasiva fa sì che il
“mediatico” plasmi a proprio piacimento qualsiasi evento di
una qualche valenza sociale. Il copione per questo tipo di
manifestazione di solito è il seguente: un corteo pacifico è
stato infiltrato da provocatori violenti (lo spauracchio black
bloc) che hanno rovinato la “festa” a tutti, oscurando le ragioni
della protesta ai fini di scatenare una violenza “insensata” e
fine a sé stessa. Il Canovaccio di Genova 2001 viene
pedissequamente seguito da anni. Stavolta però il meccanismo
si è inceppato nella divisione tra manifestanti buoni e cattivi:
nessuno si è dissociato dagli scontri (al netto di legittimi dubbi
sull’utilità di questi e soprattutto sui danneggiamenti alle auto
in sosta) né in dichiarazioni ufficiali, né, soprattutto durante il
corteo. Mentre a poche centinaia di metri manifestanti e
polizia si fronteggiavano, migliaia di persone continuavano a
sfilare compatte cantando e ballando. Questo è sicuramente
un dato positivo, anche se il risultato finale è stato che non
potendo isolare il “virus” che ha infettato la manifestazione è
stato direttamente criminalizzato tutto il corteo.
Chi a Milano non c’era e si è informato sugli avvenimenti
seguendo le notizie delle grandi testate giornalistiche non può
che aver avuto l’impressione che sia stato un giorno di vera e
propria guerriglia. Infatti, osservando attentamente, si può
notare come nessun media abbia pubblicato anche una sola
foto del corteo che non fosse relativa agli scontri: bande
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 145
musicali, sound system, spezzoni di lavoratori ecc. tutto è
stato oscurato per dare risalto ai tafferugli.
Il copione principale è stato poi arricchito da una serie di
sottotrame. Non è una novità che in questi contesti i media
individuino un fatto o un personaggio di per sé irrilevante e lo
ingigantiscano ai fini di “rafforzare” la trama principale: ci
ricordiamo, ad esempio, di quando si è discusso per settimane
del giovane NoTav che durante una manifestazione in ValSusa
aveva osato dare di “pecorella” a un poliziotto, o più indietro
nel tempo quando il 15 ottobre 2011 la distruzione di una
madonnina da parte di un manifestante era stata messa al
centro dell’attenzione pubblica e, sempre lo stesso giorno, la
gogna mediatica (con tanto di gossip sulla vita privata) a cui fu
sottoposto Fabrizio Filippi detto “Er Pelliccia”.
Stavolta è toccato al giovane Mattia che, imbeccato ad arte dal
giornalista del TGcom, con le sue uscite tanto sgrammaticate
quanto ingenue è stato fatto passare come l’ideologo del
movimento.
Anche l’anarchico Valitutti, fotografato in carrozzina in mezzo
agli scontri, ha subito la sua dose di odio pubblico: dal
“togliamogli la pensione di invalidità” all’accusa di incoerenza
per essere tornato a casa con un Frecciarossa, cosa che
andrebbe in contraddizione col suo appoggio al movimento No
Tav.
A condire la trama con cui i media hanno presentato il No Expo
aggiungiamo anche la demenziale e non provata “accusa” dei
“black bloc” col Rolex al polso, che ha perfino provocato la
reazione del noto marchio svizzero che ha risposto con una
lettera aperta sui principali quotidiani nazionali.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 146
Insomma, la macchina del fango ha funzionato a dovere,
pescando innumerevoli conigli dal cilindro. Questo, tuttavia,
era ampiamente prevedibile, e pone ai Movimenti il problema
su come uscire da cul de sac in cui inevitabilmente si trovano
durante questi grandi appuntamenti di piazza: fai un corteo
pacifico? Verrai ignorato. Fai casino? Verrai criminalizzato.
Se si poteva pensare che sarebbe bastato avere un corteo
unito ed estraneo a grottesche pratiche di delazione interna
per “cortocircuitare” la narrazione mainstream, il 1° maggio ha
radicalmente smentito quest’ipotesi.
Il punto centrale è, a nostro avviso, che ogni lotta che si pone
su un piano simbolico non ha senso di esistere se viene
veicolata da dei media “nemici”. In altre parole è assurdo
colpire una banca cercando di far passare il messaggio “Contro
il capitalismo finanziario che sta distruggendo il pianeta”,
quando poi Repubblica e il Corriere e tutti gli altri oligopolisti
dell’ Informazione titoleranno “Delinquente sfascia vetrina”.
Solo chi condivide il medesimo orizzonte simbolico recepirà il
messaggio nelle sue intenzioni originarie, mentre TUTTI gli altri
(lavoratori o borghesi che siano) vedranno SOLO “delinquenti
che distruggono cose a caso” e chiederanno per loro
repressione, repressione e ancora repressione.
I gesti individuali non possono precedere i percorsi collettivi,
perché, purtroppo, l’opposizione sociale non si sviluppa per
osmosi e “dare l’esempio” con azioni simbolicamente radicali è
un gesto fine a sé stesso, al di là delle generose intenzioni di
chi lo compie.
Questo non significa naturalmente che bisogna abbandonare
la radicalità per paura delle conseguenze, solo che non
possiamo permetterci di praticarla su di un piano che non sia
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 147
quello reale. Ad esempio il cantiere TAV di Chiomonte è lì, è
reale, lo puoi toccare e sabotandolo non ci si limita a “lanciare
un messaggio”. Infatti, benché pagando un prezzo durissimo in
termini di repressione e dovendo subire attacchi mediatici
continui, il movimento No Tav, miracolosamente e, oseremmo
dire eroicamente, resiste, anche in virtù dell’essersi
guadagnato un consenso che va al di là delle solite ristrette
cerchie.
È quando in ballo ci sono la propria terra, la propria vita e il
proprio futuro che è possibile attuare forme di conflittualità di
massa. Altrimenti dopo il solito giorno di gloria ci pioveranno
addosso i soliti mille giorni di merda.
ps solidarietà a tutti i fermati/arrestati
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 148
Ma chi ha detto che non c’è (-ero)
Territori Solidali in Lotta – CSA Oltrefrontiera (Pesaro) –
Collettivo per l’autogestione (Urbino)
dopo il 1 maggio milanese..
“Sta nel sogno dei teppisti e nei giochi dei bambini” G.
Manfredi
“Fin a qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma
l’atterraggio.” L’odio
“Non ricordo se c’ero o non c’ero, ma qualcosa accadeva in
città…” (cit.)
Dopo il primo maggio siamo stati travolti dalla pornografia
giornalistica e dalla smania giustizialista di politicanti, apparati
di controllo e opinionisti da bar. Ci siamo quindi presi del
tempo prima di scrivere, un pò esterefatti dall’improvviso
baccano di una società anestetizzata alle violenze e ai soprusi
quotidiani. Ci piacerebbe invece dare un nostro contributo per
riuscire a vedere in queste giornate milanesi non un
cataclisma, ma un contesto con cui confrontarci per superarne
i limiti e valorizzarne la forza.
Il primo maggio eravamo trentamila persone a sfilare nelle vie
di Milano. Le diverse realtà politiche e sociali che da anni
lottano nei propri territori contro lo sfruttamento di uomini e
risorse ha trovato nella lotta all’Expo un’occasione di
opposizione sociale praticabile collettivamente. Dalla testa del
corteo alla sua coda, dallo spezzone dei comitati territoriali ai
precari, ai facchini e agli occupanti di case, passando per la
samba, la trash e la banda degli ottoni era un unico grande e
netto rifiuto. Un corteo numeroso, vitale ed eterogeneo in cui
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 149
erano presenti tutte le lotte e le realtà che si oppongono a
questo governo e a ciò che l’EXPO rappresenta: lo
sfruttamento nei posti di lavoro, gli sfratti nei quartieri
popolari, la cementificazione a uso e consumo di mafiosi e
capitalisti, lo strapotere e l’arroganza di banche e
multinazionali. La molteplicità dei contenuti, delle esperienze
messe in campo e delle diverse modalità di stare in piazza è
stata reale e visibile, lo sa bene chi in quelle strade c’era. Tutte
e tutti hanno potuto esprimersi e nessuno ha subito le scelte
di altri. C’era chi voleva ballare e chi voleva urlare il proprio
sdegno, chi voleva manifestare pacificamente e chi voleva
creare conflitto: così è stato, per scelta.
In piazza c’erano quindi anche migliaia di giovani che hanno
deciso di non lavorare gratis per nessuno, di agire con il
proprio corpo la rabbia e la frustrazione contro un futuro
negato, un’esistenza precaria, una classe politica e dirigente
marcia, arrogante e corrotta. A queste migliaia di giovani
dobbiamo guardare, per valorizzarne la voglia di riscatto e
portarla nella pratica politica quotidiana, nei nostri quartieri,
nelle nostre città, nelle scuole, nelle università, nei posti di
lavoro se ancora ne rimangono. Ci siamo lamentati per anni
del silenzio, della passività delle nuove generazioni, della
regressione culturale di un paese devastato da vent’anni di
“berlusconismo”: Milano dimostra il contario e ne siamo
sollevati.
Di certo non è stato un primo maggio qualunque. A Milano
EXPO ha aperto i battenti con la città blindata ed il centro
chiuso e vietato a pochissimi giorni dal corteo. A Milano
comanda comunque EXPO: il volto spettacolarizzato e brutale
del capitalismo. Insomma lo specchio di un paese che non ci
piace e che vogliamo cambiare. La scelta di blindare la città è
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 150
stata una provocazione, al pari dei blitz preventivi dei giorni
precedenti nei quartieri popolari, le perquisizioni illegali a casa
di compagne e compagne, la fabbricazione del mostro
mediatico, gli arresti e le espulsioni, la criminalizzazione del
dissenso. Notiamo con dispiacere come negli stessi ambienti di
movimento cresce e si radica pericolosamente la percezione di
una divisione tra buoni e cattivi funzionale alla repressione ed
al controllo sociale. In questo senso abbiamo percepito come
assordante ed incomprensibile il silenzio seguito agli attacchi
polizieschi ai quartieri popolari dei giorni immediatamente
precedenti al corteo, come se quella repressione riguardasse
solo chi la subiva.
E’ ridicolo chi parla di infiltrati. Qualche poliziotto sì, qualche
giornalista di troppo pure, ma l’ultimo spezzone, quello che ha
sostenuto gli scontri lungo tutta la giornata, era uno dei più
numerosi. Ciò non certo perchè fosse un entità distinta, ma
proprio perchè dal resto del corteo continuavano ad affluire
persone e ad ingrossarne le fila. Inoltre, cosa non da poco,
nonostante l’ingente dispositivo di forze dell’ordine, l’aria resa
irrespirabile dai lacrimogeni e la presenza di comitati
territoriali, famiglie e attivisti delle più svariate aree politiche il
corteo è arrivato fino alla fine con determinazione e coraggio,
autotutelato e in sicurezza. Non è quindi nel metodo né nelle
pratiche il limite di giornate come queste, ma nella difficolta di
spiegare il dato politico e sociale di una rabbia diffusa e non
addomesticabile e nella difficoltà a saperla indirizzare
lucidamente e collettivamente contro il modello di
sfruttamento capitalistico, superando paure e pressioni,
legittimando quel conflitto a cui nessuno può sottrarsi.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 151
Chi è rimasto a casa, o indietro, oggi si compiace nel giudicare
le forme di lotta di chi, nonostante tutto, si assume le proprie
responsabilità e mette in gioco la propria vita e il proprio
futuro. Ci auguriamo che questi telespettatori abbiano
l’occasione per ricredersi, si fa in fretta a proletarizzarsi di
questi tempi. Da parte nostra diciamo che dobbiamo rispetto
alle compagne e ai compagni che si sono spesi per quella
giornata di lotta, per la generosità e la coerenza messi in
campo. Così come dobbiamo solidarietà agli arrestati, il cui
status sociale non corrisponde esattamente a quello del
professionista degli scontri con il rolex al polso: una barista,
una disoccupata, un elettricista, uno studente ed un
commesso. Di certo qualcosa di molto più reale e quotidiano
delle favoleggianti narrazioni mediatiche.
La violenza della piazza del primo maggio non è la violenza di
pochi teppisti, ma l’espressione della rabbia di un intera
generazione. Il riscatto della violenza subita quotidianamente
durante gli sfratti nei quartieri popolari, sui posti di lavoro e
nelle Università, nelle strade delle nostre città, nei meccanismi
di esclusione e marginalità di una società che antepone il
profitto a tutti i costi alle esigenze e ai bisogni delle persone.
Certo, crediamo nella necessità di rapportarsi al contesto e
comprendere che porsi degli obiettivi e dei criteri, anche e
sopratutto nelle pratiche di piazza più radicali, sia la premessa
fondamentale alla riproducibilità delle pratiche e alla
generalizzazione del conflitto. Le poche macchine bruciate ed
altre intemperanze difficilmente comprensibili dai più non ci
scandalizzano e di certo non monopolizzano la nostra
attenzione sui fatti, ma evidenziano a nostro modo di vedere
limiti e contraddizioni che, è bene riaffermarlo, tutte e tutti
dobbiamo assumerci e superare. Assumere la rabbia e la sua
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 152
espressione violenta come un fatto sociale e saperla
indirizzare ed auto-organizzare verso obiettivi collettivamente
praticabili e comprensibili è politicamente più intelligente del
credere di evitarne la degenerazione semplicemente voltando
la testa dall’altra parte.
La piazza del primo maggio nonostante tutto ci è piaciuta, ci è
piaciuto il coraggio e la determinazione di migliaia di persone
che hanno sfidato divieti e provocazioni per affermare la
propria incompatibilità ad un sistema capitalista, quello si, che
devasta e saccheggia. Questa incompatibilità, evidente nelle
diverse forme del conflitto sociale presenti nel nostro paese
(non solo a Baltimora o ad Istanbul…) è il nostro punto di
partenza: in una casa occupata cosi come nell’attaccare la
zona rossa di una città-vetrina blindata c’è un agire diretto e
collettivo che crea legami di solidarietà e pratiche di vita
differente. Come in ogni sperimentazione a volte bisogna
fermarsi a riflettare, ma con lo sguardo sempre proiettato in
avanti, consapevoli che in ogni contraddizione c’è una
possibilità di avanzamento.
Difendere l’allegria, organizzare la rabbia!
Tutt* liber*!
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 153
Osare e perdere
(piuttosto che lacrimare e sopravvivere)
PrecariACT
Gli scontri di Milano hanno lasciato il segno ovunque o quasi:
vi è l’indignazione popolare, il fatalismo menegufino,
l’intraprendenza meneghina, il ping pong politico, lo
smarrimento movimentista, la retorica forcaiola, e
l’oltranzismo frontalista e antagonista.
Insomma, più o meno tutto ciò che accade quando accade ciò
che s’è visto a Milano.
Eppure, ‘sto giro servirebbe uno sforzo di comprensione e di
analisi ulteriore poiché ciò che si è visto nella Noexpo Mayday
è intriso di elementi di novità e indicazioni profetiche.
SCONTRI, GLOBALIZZAZIONE E CRISI
Chi ha buona memoria si sarà reso conto che il primo maggio
Noexpo Mayday è intriso di elementi particolari, anzi si può
dire che ci sono abbastanza novità poter pensare a un diversa
fase della contestazione politica. Chi ha creato i disordini lo ha
fatto con un preparazione tecnico militare veramente
notevole, qualitativamente superiore a ciò che si era visto in
altre manifestazioni (Genova 001, Roma dicembre 012, Roma
ottobre 013).
La capacità di comparire dal nulla e scomparire in nebbie
fumogene, fino al cambio d’abito in tempi addirittura minori di
quelli con cui le Ferrari cambiano le proprie ruote, la
particolare velocità con cui gruppi affini si aggregavano e si
disgregavano, inseguendo i diversi obiettivi, la sistematicità, la
precisione tecnica dell’uso di diversi strumenti di scontro;
tutto questo indica una capacità molto alta di coordinazione e
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 154
preparazione, evidentemente affinata, discussa e preparata
approfonditamente.
Non basta dire che la polizia ha lasciato fare… Si può leggere
quindi una tendenza… A Genova 001 a Roma 12/012, e ancora
a Roma 10/013 le “tute nere” (utilizzo questa espressione
giornalistica per semplificare, sarebbe meglio dire: l’area
anarchica intransigente) sono state infatti l’innesco di una più
generale rivolta diffusa, vuoi per l’esasperazione sociale, vuoi
per l’incrudimento dello scontro che tende a colpire un po’ a
caso, coinvolgendo parti sempre più ampie del corteo, che
magari reagiscono anche solo per legittima difesa.
A Milano, il gruppo delle cosiddette Tute Nere ha agito con
una precisa sequenza di azioni e reazioni rendendo complicata
la generalizzazione dello scontro poiché introdursi in modo
estemporaneo all’interno di un’omogeneità estetica e
comportamentale risulta chiaramente rischioso, come
effettivamente è stato.
La facile riconoscibilità, la mancanza di conoscenza delle
dinamiche, dei momenti e dei movimenti coordinati rende
vulnerabile chi prova ad mescolarsi in un corpo omogeneo che
si muove in modo dinamico. Infatti, il confronto muscolare è
rimasto limitato alla falange nera e a un numero relativamente
limitato di individui che si sono aggiunti: e proprio fra questi
sono avvenuti i fermi contestuali.
Ma ciò non deve trarre in inganno, e le facili conclusioni della
stampa (e non solo della stampa) rispetto alla presunta
assenza di legittimità politica (e addirittura morale) di questo
spezzone (e chi lo stabilisce questo?) sono completamente
sballate dall’euforia ossigenante della ragion di stato.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 155
Un alto livello tecnico nella gestione dello scontro non significa
un intento criminale e un assenza di visione politica. Anzi, il
progetto sotteso alle giornate di Milano è assolutamente
chiaro e anche plausibile e dice, in parole povere: se durante
ogni meeting internazionale invece di chiacchierare e fare
azioni simboliche di nessun impatto (che hanno fatto il loro
tempo) si facesse pagare alla città lo scotto più alto possibile,
allora i meeting non si terrebbero più.
L’obiettivo chiaramente è quello di passare dai 500 di ieri, ai
1000 della prossima volta, ai 5000 di un futuro più o meno
vicino. E il danno alla città crescerebbe esponenzialmente.
Inoltre, bisogna valutare bene anche le parole. Anche se in
questa forma di guerriglia urbana l’estetica è importante in
ogni caso non si tratta di sola “estetica del conflitto” ma essa
rientra pienamente in quelle forme mitopietiche di
contestazione comunicazionale. Anzi, la difficoltà di
interpretare i pensieri del blocco nero permette una gestione
del mito ancora più efficace.
Si può desumere che già da un pezzo i più giovani siano attratti
da questa radicalità non impantanata, apparentemente, dal
burocratismo e politicismo, e decisamente più efficace nel
rispondere alle frustrazioni sociali.
L’Expo fa schifo, i commenti dei quotidiani sono stati indecenti
e ridicoli, con dei passaggi ignobili (poi parleremo di quelli
sinistrorsi) e questo genera un circolo vizioso…
Vista la crisi, viste le lacrime di coccodrillo, visto il finto
buonismo, i sacrifici, le false speranze, la sordità verso le
istanze dei più deboli, ma soprattutto il cattivo funzionamento
dei meccanismi della rappresentanza (siamo ancora una
democrazia? ci sono ancora stati democratici?), piaccia o
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 156
meno, il progetto non sembra così velleitario, soprattutto
perché non si propone assolutamente un cambiamento
dell’esistente, ma solo il suo annichilimento (smash
capitalism).
Ciò non significa che un progetto del genere non abbia grosse
falle (anzi, ne ha e di enormi, ma non è questo il momento di
parlarne), ma visto il contesto è un piano semplice che può
funzionare, quasi per inerzia, soprattutto se gli altri movimenti
rimangono impantanati nelle proprie contraddizioni.
Non è apologia: è solo una costatazione.
REAZIONI POLITICHE E FORZE DELL’ORDINE
Preso atto di ciò che si è scritto, per avere un’idea complessiva
bisogna analizzare anche ciò che è successo nel campo
istituzionale. Nel mare – tutto – nostrum dell’indignazione a
comando alcune reazioni politiche potrebbero stupire, almeno
di primo acchito.
Vuoi Alfano e vuoi il Corriere, alla fine in molti han confessato
che per ciò che è successo si è pagato un dazio ragionevole. E
qua, bisogna dirlo, non solo sono sinceri, ma hanno anche
ragione.
D’altronde è grazie a queste affermazioni che possiamo intuire
quali sono state le dinamiche circostanziali in cui è avvenuta la
Noexpo Mayday.
È evidente che la presenza di un blocco nero era nota alla
Digos, ed è altrettanto chiaro che la stessa Digos non nutriva
nessun dubbio sul fatto che una parte degli organizzatori non
aveva idea di ciò che sarebbe successo. Chi invece era a
conoscenza della situazione non aveva il potere di impedirlo.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 157
Facendo un paio di calcoli gli Interni, con le forze dell’ordine e
il sindaco di Milano hanno giustamente valutato che un
centinaio di vetrine (in gran parte assicurate) e qualche decine
di vetture sarebbero state un conto ben solvibile.
Al limite il sindaco a cosa s/fatte (come è stato) avrebbe
potuto stanziare dei fondi facendo anche bella figura: in ogni
caso si sono sprecati così tanti miliardi per l’Expo che qualche
milione in più e in meno non avrebbe fatto nessuna differenza.
Ma la parte più fine del ragionamento inizia proprio da questo
punto. Scontri di questo tipo, ben indirizzati, hanno tre
elementi che possono anche essere rivoltati virtuosamente
nella gestione politica della piazza presente e futura, talmente
positivi da costituire una priorità nella gerarchia delle
decisioni:
Primo: intervenendo e caricando il blocco nero si sarebbe
rischiata la generalizzazione lo scontro coinvolgendo sia il
ventre molle della manifestazione sia i servizi d’ordine
preparati degli spezzoni più organizzati e quindi si sarebbe
ottenuto un effetto boomerang diffondendo il conflitto,
trasformando uno scontro di posizione fra bande militarizzate
(come è stato in pratica) in scontro diffuso.
Ciò implica che a posteriori si sarebbe dovuto fare i conti con
uno scenario che avrebbe dovuto includere considerazioni
socio-politiche più problematiche (la rabbia diffusa, la
precarietà, lo spreco di risorse eccetera).
Secondo: il fatto che una falange nutrita ma ben definita abbia
devastato la città consente a tutti (i soggetti sopracitati) di
nascondersi dietro la retorica degli scontri operati da un
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 158
gruppo di facinorosi, in gran parte stranieri e bla bla bla. Così si
è potuta giocare la carta del corpo estraneo e criminale.
Massima autogiustificazione politica per i Potenti
(semplificazione narrativa efficace).
Terzo: questo consente anche di annoverare (con candido
democraticismo) i poveri organizzatori e gli ignari partecipanti
fra le vittime, ma facendo questo implicitamente si afferma e
sottolinea la loro impotenza, la loro ingenuità, e il fatto che
debbano essere loro stessi tutelati e protetti dalle istituzioni.
Questo è l’obiettivo politico principale: la delegittimazione di
un gruppo autorevole.
In questo senso il blocco nero e le forze dell’ordine hanno
giocato la stessa partita – con obiettivi diversi e su fronti
diversi, sia chiaro. I primi per delegittimare la componente da
loro considerata un competitor politico e accusata di essere in
fondo una componente riformista. Dei secondi abbiam già
detto.
En passant è già chiaro che il Potere (anche questa
semplificazione, non giornalistica, ci aiuta) sta già prendendo
le misure verso il blocco nero, verso le sue tattiche e le sue
debolezze. Chi usa chi? È chiaro che le dinamiche di piazza
sono state incredibilmente mutevoli… e significative.
NOEXPO MAYDAY
Da quello che si è scritto risulta chiaro che dire che la polizia
non è intervenuta è una valutazione completamente sbagliata:
lo ha fatto, prima con un’opera di intelligence evidentemente
accurata, poi ha messo in campo una tattica dettata da
un’analisi costi e benefici (tenendo conto degli avvenimenti
caldi degli ultimi 15 anni, della sentenza europea sulla tortura
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 159
al G8 di Genova, delle priorità legate all’inaugurazione) e lo ha
fatto soprattutto mettendo in campo una strategia
complessiva di minimizzazione dei danni e massimizzazione
degli obiettivi politici.
Si noti che tutti parlano della minimizzazione, nessuno della
massimizzazione, poiché farlo significherebbe ammettere
implicitamente che lo Stato gioca duro per difendere
l’interesse di pochi (magari risarcendo le vittime, ma solo
come secondo fine, nella voce: gestione effetti
collaterali). Quindi le “tute nere” hanno fatto il loro gioco e le
istituzioni, con il loro braccio armato, hanno risposto con le
proprie carte. Ma gli organizzatori? La galassia Noexpo cosa ha
pensato di fare?
(I pareri espressi in questa parte che criticano l’organizzazione
della Mayday riguardano alcuni punti politici e sono formulati
senza lingua biforcuta e senza false diplomazie, ma si devono
prendere come elementi di discussione e non come giudizi.
Sono note perfettamente le insidie di piazza e tutte le
difficoltà annesse e connesse)
E qua viene la parte dolente e la parte più interessante. La
Mayday è nata come manifestazione del protagonismo
precario, il suo senso più pregno probabilmente si era esaurito
con le prime dieci/dodici edizioni (non la necessità del
protagonismo precario, si badi bene, solo la necessità della
Mayday).
È sopravvissuta, giustamente, solo in vista della concomitanza
con l’inaugurazione Expo, e quindi si è riproposta ogni anno in
attesa del big bang. Ma per strada ha perso un certo
mordente, riducendo le proprie prospettive intorno ha
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 160
un’indignazione (giusta, ma non sufficiente) legata agli sprechi,
alla corruzione e catalizzando la propria azione nella critica
delle grandi opere, della cementificazione, concentrandosi
contro lo sviluppo in/sostenibile legato alle politiche di
sfruttamento delle risorse territoriali (anch’esse tutte cose
condivisibili).
Però l’impressione è che si sia perso per strada il nodo
centrale: le dinamiche della precarizzazione (che è un altro
piano rispetto a quello dell’intervento nel lavoro precario e
gratuito dell’Expo, intervento legittimo, ma uno dei tanti
interventi legittimi).
L’Expo è sbagliata per tutte le cose sopra elencate ma
l’esposizione universale, come altre grandi opere, deve essere
combattuta soprattutto poiché sottrae risorse a ciò che
dovrebbe invece essere fatto: cambiare il workare state,
introducendo politiche di reddito capaci di ridurre le
precarizzazione. Ovvero, la necessità è quella di riproporre con
continuità l’orizzonte di un nuova civiltà di diritti per i nuovi
soggetti precarizzati. In questi tempi della precarietà se ne
parla di meno – poiché nella crisi qualsiasi lavoro va bene – ma
rimane la madre di tutti i mali (compresa la crisi).
È la causa della pauperizzazione generale, della perdita dei
diritti, dell’impoverimento della produzione italiana, della fuga
di cervelli, dello spreco delle capacità e delle conoscenze
accumulate dalle generazione precarie e smarrite in lavori
dequalificati, della criminalizzazione dei migranti, e del
razzismo strisciante. E non ultimo – volendo fare i liberal – la
precarietà è anche causa della generale perdita d’importanza
del capitalismo nostrano (poiché le imprese se possono
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 161
guadagnare abbassando il costo del lavoro eviteranno di
investire sull’innovazione).
Quindi l’Expo è un male poiché sottrae risorse a una visione
più giusta e più ampia del futuro che dovrebbe addirittura
unire in un tratto antagonisti e sinceri democratici (sempre
che esistano)
Il primo obiettivo della Mayday avrebbe dovuto essere quello
di una redistribuzione della ricchezza prodotta, prima ancora
di porre il problema legittimo della qualità di questa ricchezza.
Finché ci sono sacche estesissime di povertà e precarietà
subordinare la riappropriazione della ricchezza alla critica
qualitativa dello sviluppo è un errore politico monumentale…
chi non percepisce le implicazioni pratiche di questo passaggio
è miope o non si misura quotidianamente con le
contraddizioni del presente.
Perso di vista questo punto, la contestazione all’Expo è
diventata molto più debole, unione di spezzoni separati, di
lotte importanti ma locali, unite da piccole assemblee, ma non
da una visione comune. La Mayday del 2015 è sempre stata
percepita come una data rischiosa, eppure l’unico modo per
tutelare un corteo senza dover mettere in campo legioni di
servizi d’ordine – cosa difficile e anche, forse, dispersiva di
energie – è quello di caricare politicamente l’evento esigendo
l’appropriazione delle ricchezze da parte dei più, costi quel che
costi, unito alla minaccia profetica di una ferma ritorsione
verso i responsabili delle speculazioni e dello sperpero di ciò
che ci spetterebbe, rilanciando un progetto reticolare potente
con queste indicazioni.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 162
Più è alto l’obiettivo e più alta è la tensione, più chiara è anche
la gestione successiva (ma non per questo è facile). È già
successo – in condizioni diverse, certo.
La “rabbia precaria” sarebbe dovuta rimanere come architrave
del corteo per rappresentarne l’unità progettuale, forse
avrebbe allontanato qualcuno, ma avrebbe anche imposto
un’autorevolezza a un corteo che impostato come sommatoria
di micro-macro-vertenze è diventato fortemente penetrabile e
vulnerabile con tutte le conseguenze che abbiamo visto [le
ripetiamo: gli scontri in piazza sono diventati una guerra fra
bande (questo è il problema, non gli scontri!), e la Reazione (in
questo termine non c’è nessuna semplificazione) ha potuto
giocare le sue carte terrificanti della totale delegittimazione
della contestazione Noexpo nella forma peggiore possibile
“difendendo” le povere vittime dei comitati che hanno preso
parte alla Mayday che avrebbero voluto, ed avrebbero dovuto,
poter manifestare pacificamente!”].
L’Expo rimane il vero blocco di interessi a cui imputare la
devastazione territoriale di Milano e il saccheggio di risorse più
che mai necessari ai territori e precari/e per autogovernare se
stessi e la propria vita. La Mayday poteva diventare un
problema in questo senso, un’azione continua di condanna
avrebbe creato difficoltà e seminato inquietudine.
Il senso è chiaro: la corruzione, i ritardi, l’infiltrazione mafiosa,
i posti di lavoro promessi e mai arrivati, i buchi di bilancio
eventuali devono rimanere motivo di indignazione, al limite
possono essere imputati allo stile tipico della superficialità e
approssimazione italiota, ma non devono assolutamente
essere visti congiuntamente come un Sistema organico e
organizzato che leva risorse ai più per dare a pochi. La
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 163
situazione è così diventata critica per i movimenti e favorevole
per i Poteri Forti: il peggior pericolo è diventato il Capro
Espiatorio…
FEDELI ALLA LIRA: OVVERO, NON CREDERE NEI MEDIA!
Una nota d’obbligo. Ciò che è successo colpisce duramente chi
si era esposto come organizzatore, ma la responsabilità è in
verità limitata da un contesto in cui pochi (chi?) potrebbero
affermare, senza essere ridicoli, di poter dominare una
situazione così difficile e complessa. Semplicemente le
contraddizioni devono essere affrontate anche prevedendole e
non solo sperando che non si manifestino.
Inoltre parecchi punti dolenti vengono da lontano: i movimenti
faticano a trovare una lettura unica delle dinamiche perverse
della società contemporanea, troppe le divergenze forse
alimentate dalla diffidenza fra le diverse realtà, che è alta,
come la gelosia dei propri percorsi. Poi, nella cosiddetta
sinistra tradizionale – e non aiuta – vi è un vuoto culturale e
politico imbarazzante, e una mancanza di coraggio ancora più
eclatante: basti leggere i pezzi sui quotidiani storici (tipo
Manifesto) o ascoltare (fatelo se non ne avete avuto la
possibilità) la registrazione della diretta su Radio popolare,
oppure il microfono aperto successivo alla manifestazione.
Oppure i vari commenti politici…. Anzi di più: non solo
mancano la lucidità o il coraggio, ma vi si nota un
atteggiamento addirittura pre-giudicante!
Non bisogna mai stancarsi di far notare ciò: fa specie che chi è
oggettivamente corresponsabile del dilagare della precarietà
(che tutto ha distrutto… una generazione dopo l’altra, le
nostre generazioni, ma anche l’influenza dei partiti e dei media
sinistrorsi – guarda te il destino quanto è beffardo!) giudichi
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 164
con durezza i tentativi di autorganizzazione in un contesto
obiettivamente difficilissimo.
Si pretendono risultati chiari, politici, immediati, si chiede con
una certa impazienza che ciò che è stato fatto dalla classe
operaia in decine e decine di anni, venga riproposto dai
precarizzati in un decennio, e si ignora (ma perché lo
ignorano? possibile che non rileggano criticamente la storia?)
quali difficoltà umane, culturali, sociali siano necessarie per
un’accumulazione originaria del sapere sperimentale,
elemento vitale per rifondare una scienza politica.
Vista anche e soprattutto l’eredità poco consistente del
patrimonio politico passato (anche questa è colpa nostra?).
Con lo stesso metro, facendo il confronto fra possibilità
economiche, organizzative e esperienza storica dovrebbero
pretendere parimenti che la Cgil prendesse il potere alle
Nazioni Unite ?!
Vabbè, questo, a ben vedere, è quasi scontato…
ERRARE O PERSEVERARE?
Per quanto il primo maggio non sia stata una buona giornata
per le lotte sociali che si sono rappresentate nella Noexpo
Mayday lo sforzo compiuto da queste realtà è enormemente
più importante delle critiche e dei piagnistei
moralisticheggianti che si sono uditi successivamente.
I precari e le precarie fanno quello che possono, sbagliando
molte volte, imparando altre.
Errare è umano, ai precari non resta che perseverare, basta
non rimanere 40 anni dalla parte del torto…
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 165
Dalla parte del mostro: sul primo maggio e oltre
Hobo Bologna
Iniziamo con un punto fermo, con una scelta di campo, con
un’assunzione di parte: noi siamo stati nello spezzone delle
lotte sociali, in quello spezzone cioè che a Milano si è
organizzato per provare a determinare punti di rottura con
l’Expo e la sua logica. Solo a partire da questa presa di
posizione è possibile cominciare a discutere delle valutazioni
del primo maggio.
La prima valutazione da fare è che il primo maggio contro
l’Expo è stata una giornata importante. Lo è stata per la
partecipazione, per i livelli di conflitto, per la multiforme
tensione di rifiuto espressa e anche per le questioni che pone.
I commenti a caldo e del giorno dopo circolati nei media ed
espressi dai rappresentanti politici non stupiscono, vi è una
ricorrenza che non merita qui particolare attenzione: è infatti
inutile sprecare parole sui tentativi di criminalizzazione,
falsificazione e mistificazione, ognuno fa il suo lavoro per la
parte a cui fa riferimento. L’elemento che va invece
sottolineato è un altro: l’ormai completa autonomizzazione di
media e istituzioni politiche rispetto al contesto sociale.
Dentro la crisi, gli uni e le altre si pongono sempre meno il
problema di consenso e di comprensione dei contesti sociali
(anche di quelli da controllare e all’occorrenza criminalizzare),
assumendo invece l’irreversibile distacco rispetto ai soggetti
colpiti dalla crisi. Il loro problema diventa esclusivamente
quello del mantenimento e riproduzione delle proprie forme di
comando e privilegio: il potere diventa definitivamente
autistico. Questa autonomizzazione si riflette anche tra
opinionisti e realtà di movimento che, di fronte alle profonde
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 166
trasformazioni e terremoti prodotti dalla crisi, scelgono la
scorciatoia dell’autoreferenzialità. Meglio conservare quello
che si ha: se non è il potere, almeno è una cattedra da cui
parlare o una struttura da mandare avanti. Non è un caso che
più o meno tutti parlano delle “ragioni del No Expo oscurate”,
anche coloro a cui di quelle ragioni è mai fregato nulla. Come
se le ragioni vivessero disincarnate dai corpi che lottano per
affermarle, nel cielo delle idee e non nella dura materialità
della terra.
Ecco allora la specularità delle versioni. È stata rovinata la
festa, ci dicono in coro Renzi e Repubblica, Mattarella e il
Corriere della Sera, riferendosi alla loro fiera internazionale. È
stata rovinata la festa, ripetono in coro “il manifesto” e vari
compagni ricordando i bei tempi delle sfilate colorate. Ma
piaccia o non piaccia, quelle sfilate non torneranno più, perché
legate a un’altra fase e ad altri pezzi di composizione sociale.
Perché in mezzo c’è una crisi divenuta permanente, un
impoverimento di massa, precarietà e disoccupazione come
elementi strutturali. In chi concretamente non arriva alla fine
del mese, in chi non ha i soldi per pagare l’affitto, in chi per
tirare a campare è costretto a lavoretti per nulla creativi e
completamente serializzati, nei giovani che di un futuro non
hanno nemmeno sentito parlare, la voglia del colore tende a
spegnersi.
Una parte di queste figure era presente al corteo del primo
maggio. Molti di questi componevano lo spezzone delle lotte
sociali, forse il più numeroso, sicuramente quello più giovane e
più europeo – dell’Europa reale, non di quella che popola i
sogni degli europeisti di sinistra. Chi parla riduttivamente di
“blocco nero” è ancora una volta ostaggio della mania dei
colori: una felpa è una felpa e un passamontagna è un
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 167
passamontagna, indipendentemente dal loro colore servono
innanzitutto per impedire l’identificazione. Sotto – ed è la
sostanza che conta – vi sono la determinazione politica a
rompere divieti e compatibilità, la rabbia sociale di chi non
accetta le condizioni di impoverimento e privazione imposte.
Chiariamo ancora una volta: la rabbia non è né buona né
cattiva, è un dato di realtà. Non è in sé un progetto politico,
ma è difficile immaginare un progetto politico che non dia
forma anche alla rabbia.
Lo spezzone delle lotte sociali si è mosso in questa direzione,
provando a praticare l’obiettivo (la conquista dell’agibilità del
centro cittadino) e rivendicando un legittimo uso della forza. In
questa direzione, è definitivamente tramontata quella fobia
dell’immaginario simbolico che per tanti anni – anni molto
diversi da questi, ripetiamo – ha caratterizzato il movimento e
le sue pratiche, nella ricerca del connubio tra conflitto e
consenso, che talora diventava connubio tra simulazione ed
elezioni. Quell’immaginario ha condotto a una sostituzione dei
soggetti sociali con una loro rappresentanza simbolica; ora,
nella durezza della crisi, i primi irrompono sulla scena, in forme
spesso caotiche e contraddittorie, non colorate e
maledettamente crude. Il problema che adesso ci dobbiamo
porre è come evitare di ricadere in altre dimensioni
puramente simboliche, in cui il luccichio della vetrina da
infrangere sostituisce quella dei media da compiacere.
Rompere con l’Expo significa anche rompere con l’attrazione
per la merce-evento. Colpire un simbolo fa male alla
controparte solo se si incarna in un processo di lotta e
possibilità sociale (e ovviamente colpire una gelateria non fa
male nemmeno ai diabetici). L’obiettivo da praticare il primo
maggio erano le recinzioni d’acciaio e di scudi che impedivano
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 168
di conquistare il cuore della metropoli, e i livelli significativi del
conflitto si sono raggiunti nelle ripetute occasioni in cui
migliaia di persone hanno provato a forzarle. Senza arretrare
di fronte ai lacrimogeni e senza farsi abbagliare dai luccichii,
che distraggono lo sguardo e non permettono di praticare
l’obiettivo.
Ancor più dopo il primo maggio di Milano, è evidente come
l’alternativa sia tra una scommessa in avanti e una scelta di
marginalità. E in questa fase marginalità vuole innanzitutto
dire ritrarsi nei propri orticelli di fronte ai nodi sociali e politici,
scegliere cioè di adagiarsi nei propri colori e rifuggire da una
composizione mostruosa, che non si capisce e spaventa. Chi
parla di devastazione di Milano o è in malafede, oppure non
ha idea di cosa sia la devastazione della crisi. In ogni caso,
preferisce guardare altrove, al proprio ombelico, alle proprie
certezze, a quello che non c’è più. A chi parla di movimento
asfaltato chiediamo: chi è questo movimento a cui fate
riferimento? Le sue rappresentanze politiche? Chi aspetta il
sole della coalizione sociale? Chi ha nostalgia di quando i
precari erano creativi e colorati? Prima ancora di ogni critica o
distanza politica, c’è un problema di composizione di
riferimento: la composizione a cui fanno riferimento coloro
che piangono sulla MayDay No Expo rovinata è marginale
politicamente, non espansiva, certo non scomparsa ma in
tendenza non passano da lì i potenziali punti di rottura e
generalizzazione. Il punto è che la crisi ha prodotto nuovi
soggetti, caotici e mostruosi com’è la crisi, che possono
passare dall’accettazione del lavoro gratuito al nichilismo della
vetrina fine a se stessa. Ma è di qui che dobbiamo passare,
dalla scelta del mostro: non per esaltarlo, ma per trasformarlo.
Per trasformare cioè l’apparente rassegnazione in rifiuto e la
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 169
rabbia in progetto di rottura e costruzione di autonomia. Chi
non accetta questa sfida e si volta da un’altra parte, come è
successo a Milano, non solo sta al gioco dei buoni e dei cattivi,
ma non dà alcun contributo alla trasformazione di quelli che –
belli o brutti che siano – sono i soggetti reali.
Il primo maggio contro l’Expo non è stato un riot, perché le
rivolte sono fatte da soggetti sociali che si ribellano alla
condizione di marginalità, non da un insieme di realtà militanti
che si coordinano e provano a dare direzione all’eccedenza. Le
rivolte avvengono, le lotte si organizzano. Le une possono
essere alimento delle seconde, nella misura in cui la politicità
delle prime trova forma organizzata e si generalizza.
Sicuramente, però, dobbiamo porre i problemi all’altezza di
una fase storica in cui la rivolta – dalle banlieue a Londra fino
ad arrivare a Baltimora – diventa piano della politicità per fette
crescenti del proletariato metropolitano. All’oggi sappiamo
quello che non c’è più (e onestamente non ne sentiamo
neppure la nostalgia), non abbiamo ancora trovato quello che
ci può essere – e di questo ne sentiamo l’urgenza. Quello di cui
c’è bisogno sono nuove pratiche di lotta e radicamento
progettuale adeguate alla fase e alla composizione sociale
colpita dalla crisi. C’è bisogno di reti e connessioni non solo
sull’evento, ma sostenute dalla produzione di discorso politico
avanzato e metodi comuni, da tensione strategica e
intelligenza tattica.
A chi osserva il proprio ombelico, voltando sdegnato lo
sguardo dal mostro per cecità o opportunismo, diciamo con il
buon senso materialista: benvenuti nel deserto del reale. In
questo deserto dobbiamo organizzarci, perché l’unico mondo
possibile è quello che passa dal rivoluzionamento di quello che
viviamo. Ben sapendo, come ci ricordava il leader delle
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 170
pantere nere Huey P. Newton, che “il deserto non è un circolo.
È una spirale. Quando siamo passati attraverso il deserto,
niente sarà più lo stesso”.
Ps: due giorni dopo la manifestazione contro l’Expo, a Bologna
insieme a tante e tanti abbiamo contestato il ducetto Renzi a
una Festa dell’Unità svuotata di qualsiasi legittimità. Abbiamo
resistito alle cariche della polizia e al dispositivo di
militarizzazione del PD, abbiamo dimostrato ancora una volta
che attaccare il partito della nazione è possibile e necessario. E
che l’opposizione alla logica dell’Expo si costruisce il primo
maggio a Milano e tutti i giorni sui nostri territori.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 171
Sui “disordini” di Milano
Salvatore Palidda
Tanto per cambiare tutti i commentatori o pseudo-esperti si
sono subito improvvisati analisti dell’ordine pubblico per
commentare i disordini e danneggiamenti provocati il giorno
dell’inaugurazione dell’Expo a Milano dai cosiddetti black bloc.
Come si può facilmente costatare tutti i commenti riflettono la
profonda ignoranza che c’è in Italia dell’ABC della teoria e
delle esperienze in tale campo. Ignoranza che purtroppo è da
sempre dominante anche nei ranghi dei vertici delle forze di
polizia, grazie anche a scuole di formazione di agenti e
dirigenti che evidentemente si contentano di coltivare una
qualità valutata in base alla riverenza ai capi e alle
raccomandazioni (come si sa troppa cultura professionale
disturba chi comanda e preferisce yesmen ignoranti).
Proviamo a fare il punto su quanto è successo e sui diversi
attori nella scena del primo maggio milanese 2015.
1. E’ arci-risaputo che in Italia, in Europa e dappertutto da
sempre ci sono alcune centinaia e a volte anche migliaia di
giovani e giovinastri ma anche persone mature che cercano
l’occasione per “sfogarsi”, per “spaccare”, per “far casino”.
Occasione che a volte trovano in certi eventi come quello di
Milano o allo stadio o anche in certi megaconcerti ecc. La
quantità di queste persone e la loro disponibilità a queste
performances corrispondono, in genere, al “clima” economico,
sociale e politico. E’ ovvio che quando questo “clima” è
“burrascoso” o addirittura da cataclisma, le persone che “non
ne possono più”, che vogliono “sfogarsi” sono molto più
numerose. Ed è anche noto che quando non si sfogano con
queste modalità ne cercano altre, collettive o individuali, non
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 172
meno violente e distruttrici o auto-lesioniste. Nei paesi in cui
non c’è diritto di manifestare scoppiano disordine e violenze
durante le partite di calcio o di altri sport o durante riti
religiosi. Oppure proliferano i sabotaggi di vario tipo o gli atti
di vandalismo o le aggressioni nel vicinato o nelle scuole ecc. E’
sin troppo banale osservare che a Milano, prima ancora dei
black bloc c’erano tanti che volevano “sfogarsi” visto che
l’Italia ha un tasso di disoccupazione senza pari e visto che i
governi che si sono succeduti hanno aggravato le condizioni di
vita della stragrande maggioranza della popolazione e le
condizioni di lavoro da semi-schiavi o neo-schiavi di circa otto
milioni di persone (in maggioranza italiani), mentre è
costantemente aumentata la distanza fra ricchezza e povertà,
mentre si spende somme enormi per aerei da guerra come gli
F35, missioni militari (peraltro bidoni che gli Stati Uniti ci
rifilano grazie ai loro lecchini italiani) e mentre si elargiscono
sempre più risorse alle banche e per opere inutili come la TAV.
2. I black bloc possono essere considerati una sorta di network
di forse un migliaio di militanti europei postmoderni a modo
loro antiliberisti che puntano su alcuni eventi abbastanza
mediatizzati per proporre l’esempio di una pratica distruttiva
secondo loro unica risposta oggi possibile. Alcuni hanno detto
che a Milano sarebbero stati circa 1500, altri cinquecento,
probabilmente anche solo duecento, più o meno seguiti da
alcune centinaia di quelle persone che prima s’è detto “in
cerca di occasioni per sfogarsi”.
Allora, prima domanda ai dirigenti dell’O.P.: fra i vostri grandi
esperti analisti avete qualcuno capace di decriptare le
comunicazioni delle cerchie black bloc? Se sì, avreste dovuto
sapere abbastanza per stimare quanti sarebbero venuti a
Milano e come sarebbero arrivati e dove si sarebbero dislocati
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 173
ecc. (non certo così scemi da andare nei centri sociali come il
Giambellino!).
Seconda domanda: con tutti gli undercover o agenti sotto-
copertura che hanno tutte le polizie nonché i servizi segreti dei
vari paesi europei come mai non è possibile seguirli e fermarli
in tempo? Bisogna sospettare che qualcuno preferisce lasciarli
fare secondo l’adagio che “un po’ di casino fa sempre comodo
a qualche dirigente di polizia se non a tutte le istituzioni
deputate a garantire l’O.P.?
Terza domanda: sin da Delamare, von Justi, Turquet de la
Marenne, Peel (ma vedi caso di italiani teorici della polizia non
ce n’è …) e altri, si sa che la polizia dello stato moderno viene
creata perché non si può usare l’esercito per sedare le rivolte
che inevitabilmente si riproducono a causa dell’aumento delle
ingiustizie economiche e sociali oltre che delle angherie (vedi
Polizia postmoderna, 2000; Polizia e protesta. L’ordine
pubblico dalla Liberazione ai “no global’, 2004. L’esercito
spara, come fece Bava Beccaris che nel 1898 sparò cannonate
contro la folla della “protesta dello stomaco” (per “brillante”
operazione ricevette dal re grandi riconoscimenti, un po’ come
è stato per De Gennaro per la sua performance al G8 di
Genova). Per definizione, l’azione militare è contro un nemico
che deve essere sopraffatto o annientato e costretto alla resa.
Lo sviluppo capitalista non può sempre trattare le “classi
laboriose” come “classi pericolose” (come le chiamava Louis
Chevalier), cioè come i sovversivi perché la guerra civile
permanente “non fa bene” all’economia. Perciò lo stato
borghese un po’ illuminato creò la polizia come istituzione che
avrebbe dovuto essere capace di separare i facinorosi dai
semplici manifestanti. Si tratta quindi di quella che si chiama
“chirurgia sociale”. Per realizzare questa la polizia si dota di
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 174
quella che diventa la “squadra politica” e che oggi dovrebbe
essere la Digos oltre che i servizi e unità simili (vedi i ROS).
Dovrebbero essere questi gli agenti in borghese infiltrati o che
seguono e conoscono i cosiddetti “sovversivi”. E dovrebbero
essere questi “poliziotti politici” in grado di mantenere
rapporti di collaborazione con i leader dei manifestanti pacifici
(sindacalisti, leader di partiti o associazioni ecc.) e quindi con i
“servizi d’ordine” dei manifestanti (come s’è sempre fatto in
passato, esplicitamente o tacitamente). Ne consegue che in
caso di provocatori infiltrati nei cortei sono i “poliziotti politici”
e i militanti dei servizi d’ordine a isolare e a volte arrestare il
provocatore di turno. Allora perché a Milano tutto ciò non è
successo? E, peggio, perché ancora una volta come a Genova, i
veri black bloc non sono stati isolati e intrappolati? E’ ovvio
che questo non di deve e non si può chiedere alle unità mobili
di agenti che palesemente sono sembrati alquanto allo sbando
E anche qui: che formazione hanno in particolare i loro capi?
Dove hanno imparato la gestione del disordine? (dal Dott.
Roberto Sgalla primo funzionario a uscire dalla Diaz al G8 di
Genova?).
3. Un aspetto rilevante non va sottovalutato: checché ne
dicano i benpensanti di regime (stile Servegnini) capaci solo di
coprirli di vituperi, i black bloc sono attori politici che agiscono
a modo loro. Se quest’agire è illegale che lo Stato sia in grado
di punirlo! Ma uno Stato un po’ intelligente dovrebbe chiedersi
perché si riproduce conflittualità politica radicale. E comunque
non va trascurato il fatto che a Milano nessuno ha usato armi
da fuoco; il che vuol dire che, nonostante lo spirito criminale
che si pretende attribuire ai black bloc, questi non possono
essere considerati criminali al pari degli assassini che sono
ancora peggio fra i responsabili di disastri sanitari e ambientali
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 175
e delle guerre e degli annegamenti di persone che le fuggono a
causa del proibizionismo europeo e dei paesi dominanti.
Speculare sui fatti di Milano per criminalizzare ancora una
volta il movimento NO-TAV è vile! E’ arcinoto che questo
movimento non ha nulla a che spartire con i black bloc.
Allora dire che a Milano abbiamo visto all’opera la “nuova
strategia delle forze dell’ordine per la gestione dell’O.P.” non
regala tanto onore alle forze di polizia che peraltro, contro le
norme europee, solo in Italia continuano a essere tante
quando questa come altre attività dovrebbe essere svolta da
una sola forza rigorosamente formata nel rispetto anche del
Codice etico europeo
(http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=
Sindisp&leg=17&id=716903).
Vedi anche
http://www.alfabeta2.it/2015/04/12/g8-genova-2015-fra-ignoranza-e-
falsificazioni/
http://www.alfabeta2.it/2014/11/02/impunita/
http://www.alfabeta2.it/2014/05/11/sulla-polizia-postmoderna/
http://www.alfabeta2.it/2015/04/21/la-strage-continua/
http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=ricerca&action=
risultati&where=Palidda
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 176
Milano, i riot che asfaltano il movimento
Luca Fazio – il manifesto
Le fiamme si sono appena spente, c’è ancora tanto fumo per le
strade di Milano. A freddo, una volta dato sfogo al prevedibile
sdegno, qualcuno dovrà pur avere il coraggio di ammettere
una cosa piuttosto semplice, che ovviamente non nasconde il
problema, anzi, ne pone più di uno: è andata esattamente
come doveva andare. Lo sapevano tutti, era previsto da mesi.
Non è stata una festa la May-Day 2015 e forse il peggio deve
ancora accadere. In questo momento ci sta pure la retorica
della “Milano ferita”, però sarebbe più utile cercare di
abbozzare qualche ragionamento.
I fatti sono noti, è stata la manifestazione più spiata e
fotografata degli ultimi anni. Una parte del centro storico di
Milano, quella intorno a piazzale Cadorna — era previsto
anche quello — è stata attaccata con una furia che non si era
mai vista. Automobili date alla fiamme, finestrini mandati in
frantumi con una rabbia disperata al limite
dell’autolesionismo, lanci di bottiglie contro la polizia, vetrine
infrante, accenni di barricate, negozi sfasciati. Silenzio
assordante, rumori di cose che si spaccano, nuvole di
lacrimogeni e adrenalina che sale quando poliziotti e
carabinieri si innervosiscono e sembrano davvero intenzionati
a fare sul serio.
La confusione è tanta, ci sono stati fermi ma non è chiaro
quanti, si dice una decina di ragazzi. Ci sarebbero undici feriti
tra gli agenti.
Lo spettacolo è desolante, sembrano immagini di un film
girato in un altro paese, e ne sono stati già fatti di
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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ragionamenti sulla rabbia cieca di chi si limita a spaccare tutto
per cercare di resistere in qual-che modo in un contesto dove
è facile sentirsi tagliati fuori. A vent’anni soprattutto.
Sono delinquenti? Può darsi, poi si sfilano l’impermeabile col
cappuccio — per terra ce ne sono decine — e hanno facce da
ragazzini qualunque. Sono violenti? Sicuramente, violenti che
si accaniscono sulle cose e non sulle persone. Lo scontro con la
polizia è solo mimato, virtuale come un video-gioco: viste le
forze in campo gli incappucciati non potrebbero neppure
pensare di avvicinarsi. La loro violenza è anche stupida e
vigliacca. Un’auto inutilmente spaccata, mica tutte Ferrari,
significa una persona colpita alle spalle e con l’aggravante
della casualità. Anche i “black bloc” hanno una macchina
parcheggiata da qualche parte.
A proposito. Qualche commentatore poco razionale, non
l’editorialista di Libero o de il Giornale, a caldo ha detto che la
polizia ha lasciato fare e che dovrà rispondere della gestione
della piazza.
Molto semplicemente, invece, la polizia ha agito con grande
freddezza e intelligenza.
Non c’è stato alcun contatto con i manifestanti. Non si è fatto
male nessuno. Ci sono decine di automobili sfasciate e
probabilmente un conto salato da pagare per tutti quei gruppi
organizzati che invece sono stati almeno capaci di “portare a
casa” un corteo determinato. Molto numerosi, almeno
trentamila, a tratti anche felici di esserci. Per nulla spaventati,
tantomeno sorpresi, per quello che stava accadendo nelle
retrovie.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 178
La polizia poteva evitare lo “sfregio alla città”? Forse sì, se il
ministro degli Interni avesse deciso di rispolverare il metodo
Genova e dare la caccia ai ragazzini che si sono mascherati da
blocco nero. Adesso che (forse) è tutto finito si può azzardare
la domanda: sarebbe forse stato meglio se ci fosse scappato il
morto? Anche quello era previsto che non dovesse accadere, e
meno male.
Angelino Alfano, almeno oggi, non si deve dimettere, le regole
di ingaggio erano queste, la polizia non voleva il contatto con il
blocco nero.
A proposito. Analisti e dietrologi se ne facciano una ragione. I
cosiddetti “black bloc” non vengono da Marte, non si sono
“infiltrati” nel corteo e non sono nemmeno al soldo della
spectre. Ci sono, sono un problema e bisognerà tenerne conto.
Erano nel corteo, dentro, nemmeno in fondo. Gli spezzoni
della manifestazione hanno dovuto giocoforza tollerarli e
cercare di tutelare il corteo da una reazione della polizia che a
un certo punto sembrava scontata.
La May-Day era contro il blocco nero? Questo movimento,
questa piazza, che è pur sempre il massimo che oggi si possa
esprimere, non ne aveva la forza. Né militare, né politica.
Questo è un limite.
Ecco perché questo primo maggio è “politicamente”
disastroso.
Un’altra nota, non marginale. Quella di ieri, al netto di tutti i
dispositivi di protezione che il corteo stesso ha messo in atto,
era una piazza pericolosa. Eppure lì dentro hanno trovato
posto ragazzini e ragazzine smarriti alla prima manifestazione,
persone assolutamente non violente, decine di bande musicali
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 179
che hanno continuato a suonare a festa. Si sono viste anche le
solite vecchie volpi con la coda tra le gambe che non parlano
più la stessa lingua delle piazze. Ma è come se inconsciamente
ci si stesse abituando a considerare che ormai è nelle cose
aspettarsi un conflitto sempre più aspro e con accenti
disperati, senza obiettivi e tantomeno prospettive.
Banalmente: questa stessa piazza, dieci anni fa, sarebbero
state due. I cattivi dietro a prenderle, gli altri davanti con le
loro buone ragioni.
Gli “altri”, adesso, devono fare i conti con la realtà.
D’ora in poi, come governare la piazza, ammesso che ci siano
altre occasioni altrettanto importanti, diventerà un problema
quasi insormontabile. Perché la giornata di ieri significa che
nessuno a Milano, e anche altrove, ha più l’autorevolezza di
poter decidere come si deve stare in un corteo.
Questo è un problema politico: a posteriori, è chiaro che non si
può accettare con leggerezza la convivenza con chi ha come
uno unico obiettivo quello di spaccare tutto e basta.
Quanto al futuro, possiamo dire che sull’opportunità di cedere
fette di sovranità a chi non vive e non lotta in questa città (e
che certo non ne pagherà le conseguenze) è bene aprire un
dibattito una volta tanto sincero.
I ragazzi e le ragazze del “blocco nero” si sono sfilati le felpe e
sono a casa che si godono lo spettacolo dell’informazione
main-stream, hanno vinto.
Qui a Milano, a leccarsi le ferite, rimane un movimento che
rischia di essere asfaltato per i prossimi anni a venire. La
polizia, che oggi è sotto botta, potrebbe anche decidere che il
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 180
limite è stato superato. Questa mattina le “autorità” si
guarderanno negli occhi durante una seduta straordinaria del
Comitato per l’ordine e la sicurezza.
E qui a Milano è già cominciata una campagna elettorale che,
anche alla luce di quello che è successo, non promette nulla di
buono. L’Expo ha ancora sei mesi di vita, i No Expo hanno
cominciato nel peggiore dei modi.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 181
Dalla parte dei “teppisti”
Franco Berardi “Bifo”
Di prima mattina ho fatto una ricognizione per Milano per
decidere che fare.
Piovigginava e l’asma mi rallentava il passo: dopo aver
camminato un’oretta ho capito che era meglio tornarmene a
Bologna. Si sapeva che a un certo punto sarebbe scoppiata la
baraonda. La polizia non poteva farci niente per una ragione
facile da capire: gli occhi di tutto il mondo erano puntati
sull’inaugurazione dell’EXPO, un morto nelle strade di Milano
non sarebbe stato buona pubblicità. A Genova quindici anni fa
(come passa il tempo!) il potere intendeva dimostrare che i
grandi del mondo sono inavvicinabili e se ci provi ti ammazzo.
A Milano intendeva dimostrare di essere tollerante. Da una
parte si fa festa con Armani e Boccelli perché ormai i giovani
sono talmente frollati dalla disperazione che fanno la fila per
poter servire gratis al tavolo di Monsanto e di McDonald.
Dall’altra si permette di sfilare a qualche migliaio di
sessantenni i quali, poveretti, credono che per telefonare ci
vuole il gettone, e quindi sono ancora dietro a quelle vecchie
storie dei diritti.
Poi tremila teppisti hanno rovinato il banchetto, tutto qui.
Ho letto l’articolo di Luca Fazio e vorrei esprimere un’opinione
diversa dalla sua. Fazio scrive che i teppisti hanno rovinato una
manifestazione democratica.
Sarò brutale con spirito amichevole: a cosa serve manifestare
per la democrazia? che utilità può avere sfilare per le vie della
città dicendo: diritti, costituzione, democrazia?
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 182
Io lo faccio talvolta (quando l’asma me lo permette) per una
ragione soltanto: incontro i miei amici e le mie amiche. E’ quel
che ci è rimasto della sfera pubblica che un tempo
chiamavamo movimento. Ma non penso neanche
lontanamente che si tratti di un’azione politicamente efficace.
C’è ancora qualcuno che creda nella possibilità di fermare
l’offensiva finanzista europea, o l’autoritarismo renziano con
pacifiche passeggiate e referendum?
A proposito: ci sarà un referendum contro la legge elettorale
denominata Italicum. Probabile. Giusto per riepilogare voglio
ricordarvi gli antefatti. Esisteva una legge elettorale
denominata Porcellum (perché coloro che la avevano
promulgata dichiararono fra le risate che si trattava di una
porcata). La Consulta dichiarò quella legge incostituzionale,
dunque sancì l’illegittimità del Parlamento eletto con quella
legge. Fino al 2011 c’era almeno un Primo Ministro votato da
una maggioranza. Si chiamava Berlusconi (remember?). Fu
esautorato per volontà della Bundesbank, venne un primo
ministro direttamente eletto dalla finanza internazionale di
nome Monti. Il disastro fu tale che si tornò alle urne. Le urne
risultarono enigmatiche, e dopo varie tergiversazioni emerse
un tizio che nessuno ha votato ma nei sondaggi risultava
vincente. Dal momento che questo tizio ha la fiducia dei
mercati il Parlamento, eletto con una legge incostituzionale,
ora si prostra ai suoi piedi. La cifra vincente del governo Renzi
è il totale disprezzo delle regole costituzionali, perciò un
parlamento incostituzionale vota una legge elettorale
incostituzionale imponendola con il voto di fiducia. Tombola.
A questo punto qualcuno raccoglierà le firme per un
referendum.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 183
Referendum? Io ne ricordo un altro: il 90% del 70% degli
elettori votarono contro la privatizzazione dell’acqua. Vi risulta
che la privatizzazione dell’acqua sia stata fermata? A me
risulta il contrario. E allora perché dovrei andare a votare al
prossimo referendum?
Qualcuno mi risponde: per difendere la democrazia.
Democrazia? Ma di che stai parlando? L’80% dei greci
appoggia il suo governo, ma la Banca Centrale europea ha
detto con chiarezza che le regole non le stabilisce l’80% dei
greci, ma il sistema bancario, quindi che i greci vadano a farsi
fottere, e con loro la democrazia.
Ma torniamo a Milano. Tremila teppisti spaccano tutto? Non
esageriamo, ma certo hanno fatto abbastanza fumo. E i
giornali parlano di loro più che di Renzi Armani e Boccelli.
Come posso non essergliene grato?
Sto forse proponendo una strategia politica? Credo io forse
che spaccando le vetrine di tre banche (o magari di trecento o
di tremila) il potere finanziario si spaventa? Non scherziamo.
So benissimo che il potere finanziario non sta nelle vetrine
delle banche, ma in un circuito algoritmico virtuale che
nessuna azione teppistica può distruggere e nessuna
democrazia influenzare. So benissimo che mentre tremila
spaccavano vetrine diciassettemila e cinquecento correvano a
lavorare gratis e questo è l’avvenimento più importante. So
benissimo che nell’azione teppistica non vi è alcuna strategia
politica. Ma c’è forse una cosa più seria. C’è la disperazione
che cresce, limacciosa e potente, ai margini del mondo
levigato.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 184
Cosa ne pensa Fazio (al quale rivolgo un saluto in amicizia) dei
teppisti di Baltimore e di Ferguson? Pensa che dovrebbero
avere fiducia nella democrazia?
Io ricordo di avere visto (era la CBS?) un’intervista a una
ragazza che stava in strada a New York una notte del
novembre 2014. Il giornalista le chiedeva qualcosa sui bianchi
e sui neri e lei rispose: “This is not about white and black. This
about life and death.”
Nel tempo che viene non capirete niente se penserete alla
democrazia. Occorre pensare in termini di vita e di morte, e
allora si comincia a capire.
Ci stanno ammazzando, capito? Non tutti in una volta. Ci
affogano a migliaia nel canale di Sicilia. Un numero crescente
di ragazzi si impiccano in camera da letto (60% di aumento del
tasso di suicidio nei decenni del neoliberismo, secondo i dati
dell’OMS). Ci ammazzano di lavoro e ci ammazzano di
disoccupazione. E mentre la guerra lambisce i confini
d’Europa, focolai si accendono in ogni sua metropoli.
Perché dovrei preoccuparmi dell’Italicum? E’ una forma di
fascismo come un’altra.
Abbiamo perso tutto, questo è il punto, e il primo maggio 2015
potrebbe essere il momento di svolta, quello in cui lasciamo
perdere le battaglie del passato e cominciamo la battaglia del
futuro. Non la battaglia della democrazia né quella per i diritti,
meno che mai la battaglia per la difesa del posto di lavoro, che
è stata l’inizio di tutte le sconfitte.
La battaglia necessaria (e forse a un certo punto anche
possibile) è quella che trasforma la potenza della tecnologia in
processo di liberazione dalla schiavitù del lavoro e della
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 185
disoccupazione. Quella battaglia si combatterà cominciando a
comportarci come se il potere non esistesse, rifiutando di
pagare un debito che non abbiamo contratto, rifiutando di
partecipare alla competizione del lavoro e alla competizione
della guerra.
E’ impossibile? Lo so, oggi è impossibile, i giovani che hanno
aperto gli occhi di fronte a uno schermo uscendo dal ventre
della madre si impiccano a plotoni perché per loro il calore
della solidarietà politica e della complicità amichevole sono
oggetti sconosciuti. Ma se vogliamo parlare con loro è meglio
che lasciamo perdere i gettoni, la democrazia e i diritti. E’
meglio che impariamo a parlare della vita e della morte.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 186
La prova di forza che mima la rivolta che non c’è
Marco Bascetta, Sandro Mezzadra
Non sappiamo quali siano stati i motivi che hanno indotto la
Rete No Expo a rinviare l’assemblea prevista per domenica 3
maggio (l’assemblea, si legge nel sito della rete, «si riconvoca
nei prossimi giorni»). Resta il fatto che, dopo quanto avvenuto
in piazza durante la May-day, un importante spazio di
confronto politico si è chiuso.
E quelle che dovevano essere le «cinque giornate di Milano»,
preludio a sei mesi di «alterexpo», sono state fagocitate, non
solo sui media mainstream ma anche nell’esperienza di
migliaia di attivisti/e, da un paio d’ore di duri scontri.
Il risultato è un certo spaesamento diffuso, la difficoltà nel
prendere parola e nel rilanciare la mobilitazione (cosa che
comunque la Rete No Expo fa con un comunicato).
Meno di due mesi fa, a Francoforte, le cose erano andate in
modo diverso. Il tentativo di blocco dell’inaugurazione della
nuova sede della Bce era stato accompagnato da azioni e
comportamenti non dissimili da quelli che si sono visti a
Milano (pur in altre condizioni, dispiegandosi parallelamente a
un insieme di blocchi appunto, e non durante il corteo che ha
attraversato la città).
E tuttavia la coalizione Blockupy, sottoposta a duri attacchi da
parte dei media e delle istituzioni, era stata in grado di
riaffermare immediatamente le ragioni dell’opposizione
all’austerity e della costruzione di uno spazio transnazionale di
azione politica contro il management europeo della crisi. Le
stesse iniziative «militanti» assunte da gruppi esterni alla
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 187
coalizione avevano finito per illuminare quelle ragioni, o
comunque non le avevano oscurate.
È quel che non è avvenuto a Milano. A noi pare che nella
preparazione delle iniziative contro expo siano convissute due
prospettive piuttosto diverse: da una parte quella che
individuava nella manifestazione espositiva un grande
laboratorio sociale, in cui venivano sperimentate nuove forme
di sfruttamento e di messa al lavoro della cooperazione
sociale, in cui si forgiavano nuovi spazi urbani, nuove gerarchie
e nuovi immaginari (e se ne rilanciavano al contempo altri,
niente affatto nuovi, come segnalato ad esempio dalla
campagna contro «WeWomen for Expo»); dall’altra quella che
considerava l’Expo come la realizzazione paradigmatica di una
«grande opera».
Ci sembra evidente che la prima prospettiva, attorno a cui in
questi anni sono nate importanti esperienze di inchiesta e
sono stati messi in campo generosi tentativi di
autoorganizzazione e di lotta, è risultata completamente
spiazzata durante la May-day: non è cioè riuscita a imporsi
come polo di aggregazione e di indirizzo politico. A prevalere è
stata la seconda: assunta l’Expo come simbolo delle «grandi
opere», il simbolismo è dilagato tra le fiamme e le bombe
carta, con una serie di slittamenti che dalle banche e dalle
agenzie immobiliari sono giunti a investire normali negozi e
qual-che utilitaria.
È un punto che va ribadito: a Milano tutto si è giocato sul
piano del sim-bo-lico. Non v’è stata espressione di una rabbia
sociale diffusa (che pure non manca), ma azione organizzata di
soggetti che hanno scelto di attaccare i sim-boli del «potere» e
del «cap-tale» perché convinti – almeno una parte significativa
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 188
di essi – che non vi sia alternativa a una politica di pura
distruzione, che non vi sia alcuno spazio per una lotta capace
di distendersi nel tempo, di consolidare delle conquiste e di
affermare nuovi principi di organizzazione della vita e della
cooperazione sociale. Davvero il paragone con Ferguson e
Baltimora, con movimenti di rivolta sociale che attraversano,
coinvolgono e dividono intere comunità, è fuori luogo, a meno
che non ci si voglia fissare esclusivamente sulle apparenze,
sulle forme e sulle immagini dello scontro!
Si potrà poi dire che qualche vetrina infranta, qualche banca e
qualche automobile in fiamme non sono nulla di fronte alla
violenza quotidiana della crisi, della povertà e delle guerre, che
il disordine e la violenza che regnano nel mondo si sono
palesati per una volta con segno rovesciato.
Si potrà aggiungere che il riot milanese ha rovinato lo
spettacolo della città tirata a lustro per l’Expo, ha offerto un
contro-canto alle fiamme tricolori e agli orribili pennacchi dei
carabinieri in tenuta di gala, alle penose retoriche del «futuro
che comincia adesso» e dell’«aspirazione di rimettersi all’onor
del mondo». A noi sembrano, nel migliore dei casi, magre
consolazioni: nelle strade di Milano, il primo di maggio,
abbiamo visto piuttosto l’immagine della nostra impotenza,
della nostra incapacità di mettere in campo forme efficaci di
azione politica orientata alla destrutturazione dei rapporti di
sfruttamento e alla trasformazione radicale dell’esistente.
Abbiamo sempre pensato che l’esercizio della forza da parte
dei movimenti debba essere commisurato prima di tutto a un
principio: quello degli spazi politici che è in grado di aprire,
dell’effettivo avanzamento del terreno di scontro che
determina, delle conquiste e delle mediazioni che garantisce e
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 189
consolida. Difficilmente questo principio può essere appli-cato
a quanto abbiamo visto a Milano: il simbolismo dello scontro è
stato esasperato fino ad assumere forme iperboliche, secondo
una logica della messa in scena e della rappresentazione (mai
troppo lontana dall’aborrita rappresentanza) di una rivolta che
continua a non manifestarsi nella quotidianità.
Ripensare forme conflittuali espansive e condivisibili, radicarle
nei rapporti e nelle lotte sociali in modi capaci di moltiplicare
la partecipazione, il consenso e il «contagio» torna a essere un
problema politico fondamentale.
Non auspichiamo certo piazze e manifestazioni pacificate (del
resto, la «nuova etica» della polizia celebrata dai media, si è
estinta nel giro di due giorni spaccando le teste senza casco
nero di chi fischiava Renzi a Bologna): si tratta piuttosto di
costruire collettivamente, e dunque politicamente, le
condizioni perché la stessa espressione di antagonismo e
rabbia trovi forme di canalizzazione affermativa, al di là di ogni
estetica della distruzione.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 190
Milano, no Expo:
tanti danni alle cose… nessun ferito
Lanfranco Caminiti
Chi c’è stato la racconta più o meno così: «Ho fatto tutto il
corteo. Ho anche seguito da vicino gli incidenti. Ero lì.
Cominciamo a dire le cose come stanno. Gli incidenti ci sono
stati e hanno avuto per protagonisti un corposo, compatto
blocco di cinquecento o poco più ragazzi, per lo più molto
giovani, che forse appartenevano all’area anarchica, ma non
tutti (non è che sono andato a chiedere loro a che cosa
facessero riferimento: diciamo che stavano intruppati dietro a
un camion con insegne anarchiche). Tra loro pochi stranieri:
non è vero che ci fosse un massiccio arrivo di blocchi stranieri.
Era un bel corteo, di venti-trentamila anime. Combattivo e
con le idee chiare. E Milano non è stata messa “a ferro e
fuoco”. Gli incidenti e i danneggiamenti sono circoscritti alle
strade percorse dal corteo. Sono cominciati in via De Amicis e
sono finiti a Largo Pagano, dove c’è stata una carica di
alleggerimento dei carabinieri e della polizia. È su quel
percorso che sono state sfasciate le vetrine (primo obiettivo: le
banche, poi tutto ciò che era lì vicino: questi non vanno troppo
per il sottile). Non ho visto usare molotov. Le auto che avete
visto bruciare non sono state colpite da bottiglie incendiarie. I
“bloc” ne hanno rotto i vetri, poi hanno tirato dentro fumogeni
o altro materiale che bruciava, non molotov. È per questo che
nelle auto che vedete bruciare nei filmati la combustione
sembra avvenire dall’interno. Vengono invece spesso usate le
bombe carta. Si lanciano pietre e bottiglie vuote. Fumogeni.
Quanto alla polizia, ai carabinieri e alla guardia di finanza,
insomma alle forze dell’ordine impiegate ieri a Milano, hanno
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 191
fatto un lavoro essenzialmente di contenimento. Presidiavano
a distanza le strade intorno, i viali di accesso al percorso,
usando i lacrimogeni e compiendo una sola, vera carica,
neppure tanto convinta, a Largo Pagano. Gli ordini
sembravano precisi: evitare i contatti diretti, contenere, a
costo di sacrificare le cose, qualche auto e un po’ di vetrine.
Milano, insomma, non è stata messa “a ferro e fuoco” e il
blocco nero non è “sciamato” per tutta la città».
Sembra un racconto minimalista, ma forse è il più aderente ai
fatti, lasciando da parte le considerazioni politiche. Le
considerazioni politiche le si vanno facendo da quando le
fiamme si sono spente. È andata come si immaginava che
sarebbe andata. I black bloc hanno fatto quello che hanno
voluto e stavolta stavano dentro il corteo. Non che li
coprissero o li tollerassero, i No Expo che hanno lavorato per
mesi a questa MayDay e – come tutti temevano e sapevano –
si sono visti scippare il “significato politico” della giornata.
Tutti i quotidiani del mondo hanno riportato la notizia di una
Milano in fiamme. Eppure, neanche i black bloc cercavano lo
scontro, non solo la polizia. Si sperticano le lodi al ministro
Alfano che “non ha fatto come a Genova”, e si è limitato a
contenere i danni. Il comunicato del ministero dell’Interno
sottolinea che non c’è stato neppure un ferito, né tra le forze
dell’ordine né tra i manifestanti. Zero a zero: ci mancava che
scappasse il morto.
Si potrà discutere quanto si vuole della violenza dei black bloc,
dell’ansia sciocca distruttiva e autodistruttiva che nulla lascia
di sedimentato dietro di sé, dell’impotenza dei movimenti di
arginare, governare, controllare, emarginare questo “pezzo” di
piazza che ormai sembra seguire la logica degli storni nei cieli
di Roma, un algoritmo che si muove preciso ma solo per conto
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 192
proprio e a te sembra sempre come impazzito e spunta a ogni
manifestazione. È come una tempesta di grandine quando
aspetti di prendere il raccolto, e tutte le fave vanno distrutte o
i piselli o le zucchine, e il lavoro paziente di mesi. Epperò,
continua a succedere. Il più concreto sembra il governatore
Maroni, che si è messo a far di conto dei danni – una
quarantina di auto, una trentina di vetrine, poi c’è la ripulitura
dei muri – e ha stanziato dalla Regione un milione e mezzo di
euro. Proprio come dopo che è passata la grandine e bisogna
risarcire i contadini, per un’emergenza di natura. I black bloc
sono un po’ così, una cosa della natura. Un effetto del
riscaldamento globale.
Disprezzarli – «Sono figli di papà» dice Renzi, ma non è vero:
tra i quattordici, di età compresa tra 31 e 57 anni, denunciati
dai carabinieri perché fermati, dopo il corteo, nelle stazioni
della metropolitana di Famagosta, Centrale e Cadorna, ci sono
operai, studenti e disoccupati – non mi pare che serva a
granché. Stigmatizzarli – «Sono squadristi», dice Saviano,
ormai ingabbiato nella “sindrome di Gomorra” – non mi pare
che serva a granché. Qualcuno vorrebbe che ci fossero le
“mamme di Baltimora”, come quella donna che in un video
virale si vede prendere a schiaffi il figlio vestito di nero che
voleva andare a bruciare cose e lei lo ferma. Per non vederlo
morto. Perché la polizia bianca americana uccide. Qualcuno
vorrebbe che la polizia bianca italiana uccidesse? Ancora?
Expo 2015 è la prima Grande Esposizione universale dopo il
fordismo. Niente macchine, niente tecnologie, niente futuro
strabiliante. Il tema è il cibo, certo, ma ogni padiglione mostra
il meglio della propria nazione, il proprio livello di benessere,
di storia e di cultura. È un’esposizione sulla qualità della vita
nel mondo. E la qualità della vita nel mondo è alta come mai è
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 193
stata. Certo, c’è l’insopportabile realtà di una sofferenza per
fame – il diritto al cibo che verrà scritto nella carta delle
Nazioni unite – ma non è un’esposizione contro la fame, è
un’esposizione sull’abbondanza. Perché questo è il nostro
mondo, un mondo d’abbondanza. E che sia a Milano è proprio
una gran cosa, perché l’Italia è il posto del mondo dove la
qualità della vita è straordinaria.
Ora, battersi politicamente contro una cosa grande come Expo
2015 è proprio complicato. Essere come una Grande contro-
Expo, è proprio complicato. Sì, c’è il lavoro nero, ci sono state
le inchieste, c’è la ndrangheta, c’è lo sfruttamento e le grandi
multinazionali, c’è tutto il mangiamangia delle grandi strutture
inutili e di appalti miliardari. Però, alla fine della fiera, la cosa è
passata. Expo 2015 si farà e sarà una gran cosa. Perché il
mondo è proprio una gran cosa. Ecco. L’unica cosa che puoi
fare è rovinargli la festa. È questo che hanno fatto i black bloc,
gli hanno rovinato la festa. Non è che c’è un gran progetto
politico dietro, non è che c’è una grande architettura di
strumentazione teorica. Volevano rompere i coglioni, volevano
rompere le vetrine, volevano che i titoli dei giornali parlassero
di questo. Fatto. Alla prossima. Milano “devastata” dai black
bloc sono l’altra faccia, quella oscura, della Grande esposizione
universale postfordista.
E non è che siccome tu sai che può venire la grandine non ti
metti a coltivare le zucchine. Lo fai lo stesso. È la tua natura.
Verrà un nuovo movimento del lavoro. Verrà. E sarà una cosa
completamente nuova da quello che abbiamo visto sinora, e
sarà una cosa che quando comparirà riconosceremo subito,
perché l’abbiamo sempre visto, da che mondo è mondo.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 194
I black bloc avranno messo la panza e le felpe col cappuccio gli
si saranno ristrette.
Domani, su Milano è previsto bel tempo. Si può ripulire.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 195
Carlo Formenti
A Milano ieri non c’ero e per principio non mi piace disquisire
su eventi ai quali non ho partecipato. Dico solo dire due cose
sui dibattiti del dopo; sia quelli interni al movimento che quelli
esterni (media, opinionisti, politici, forze dell’ordine, ecc.). I
primi sono sempre più ripetitivi (forse perché rispecchiano lo
schema ripetitivo delle manifestazioni): da un lato i violenti
hanno rovinato tutto, dall’altro le anime belle fanno il gioco
del potere che vuole dividerci fra buoni e cattivi. Una litania
inconcludente che non si misura (quasi) mai su contenuti e
progetti politici.
I secondi sono il solito coro delle condanne indignate, però con
due novità interessanti:
1) in primo luogo, l’insistenza sul fatto che la maggioranza dei
manifestanti era pacifica e che le loro ragioni di dissenso sono
rispettabili cresce;
2) i poliziotti intervistati fanno chiaramente capire che una
certa quota di “lasciar fare” ai guerriglieri e la consegna di
evitare attacchi indiscriminati ai cortei sono un dato acquisito.
Genova ha insegnato qualcosa: il prezzo di immagine della
repressione indiscriminata è troppo alto e i militanti più attivi
possono essere individuati e colpiti dopo, a freddo.
Ma soprattutto è come se anche le forze dell’ordine fossero
entrate nella ritualità di eventi che contano soprattutto in
termini di rappresentazione mediatica. Forse ciò dovrebbe
indurci a meditare sull’efficacia di queste modalità e a
ragionare sull’invenzione di nuove forme di lotta…
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 196
Primo maggio: quello che “si dice”
Cristiano Armati – redattore Red Star Press
Si dice che grazie alle “violenze” al primo maggio di Milano, le
ragioni del No Expo siano state completamente oscurate.
Infatti, prima di ieri, queste ragioni erano all’ordine del giorno,
venivano affrontate con correttezza dalla stampa ed esposte
con chiarezza dalla televisione generalista, che invitava gli
esponenti dell’opposizione sociale a dibattiti e ad
approfondimenti, talmente ascoltati da essere quasi riusciti ad
annullare l’evento.
Si dice anche che grazie alle “violenze” al primo maggio di
Milano, ora l’intero Movimento si trovi sotto attacco, esposto
alle sevizie della polizia e della magistratura, pronta a usare
come un ariete l’arma più micidiale del codice (fascista) di
procedura penale: il reato di devastazione e saccheggio.
Infatti, prima di ieri, questo stesso reato non era mai stato
usato, né per colpire i partecipanti al vertice contro il G8 di
Genova e neppure, più recentemente, per processare i
partecipanti alla manifestazione del 15 ottobre utilizzando un
imputazione che prevede pene fino a quindici anni. Alla stessa
maniera, per colpire il movimento No Tav, la magistratura non
si era certo sognata di trattare quattro ragazzi accusati di aver
danneggiato un compressore alla stregua di pericolosi mafiosi,
imponendo loro un isolamento degno di quanto previsto dal
famigerato 41bis.
Si dice persino che da questo momento in poi, considerate le
“violenze” al primo maggio di Milano, nessuno vorrà più
scendere in piazza. Infatti prima di ieri le piazze erano
traboccanti di folle decise a riconquistare i propri diritti, né si
stava cercando, visto il surplus di partecipazione, di giocare la
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 197
delicatissima partita con la quale – magari passando per errori
e sbandamenti – tentare di rompere la stagione del reflusso e
riconquistare una necessaria ricomposizione di classe. E poi
basta guardare quanto accaduto a Cuba con il Movimento 26
Luglio, in Russia con i Soviet o a Parigi con la Comune: quando
si registrano episodi di violenza popolare le piazze si svuotano,
è la storia che lo insegna.
Insomma, si dicono tante cose. Una in più non farà la
differenza, è tanto semplice battere i tasti di un computer,
pare che anche molte scimmie siano in grado di farlo… intanto
Expo non è ancora finito. Mentre fino a prova contraria solo la
lotta paga.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 198
“Nessuno Tocchi Milano”:
una considerazione laterale
Valeria Pinto
Leggere, su una pagina “amica” frequentata da persone non
intellettualmente sprovviste commenti come: “è una
tragedia”; “anche solo una macchina bruciata è una tragedia”;
“mi sto sentendo male per il proprietario della macchina. A me
avrebbero rovinato la vita, davvero”; “a me viene la pelle
d’oca. Sono due giorni che ho paura a uscire di casa. Un insulto
a tutta la gente che lavora”; “è solo gente disadattata”;
“buttagli in testa un calderone di olio bollente” ecc. mi ha fatto
davvero molta impressione. Praticamente l’analogo della
signora che dalla finestra grida “sparategli in fronte” o poco ci
manca. Di sicuro è nulla la distanza dalla peggiore
rappresentazione mediatica del fatto. Ma questo, per certi
versi, è secondario.
Quello che, di qui, più mi ha dato da pensare è stata
l’identificazione della città – e dei suoi cittadini – con il suo
circuito finanziario-commerciale. “Hanno devastato Milano”.
Eppure non sono stati presi di mira monumenti, architetture,
infrastrutture ecc. Sono state bruciate auto, spaccate vetrine
di negozi (per lo più di lusso), banche, agenzie, fatte scritte su
qualche edificio. Ora è invece un fatto che in questi ultimi
decenni le città siano state davvero devastate sotto diversi
punti di vista e sotto gli occhi di tutti e senza alcuna
indignazione. Lasciando qui da parte la devastazione del
tessuto sociale (espulsione dei residenti dai centri storici,
processi di gentrification, ecc.) e considerando anche la sola –
ma ovviamente connessa – devastazione estetica, che non
dovrebbe sfuggire, abbiamo sotto gli occhi brutte insegne
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 199
commerciali su edifici di straordinario valore architettonico
(spesso proprio banche), piazze invase da gazebo di bar e
ristoranti e arredi – cioè vasi, transenne, panettoni ecc. – a
protezione di monumenti e centri storici sempre più snaturati
(e non perché siano vissuti e corrotti, ma anzi proprio perché a
volte preservati come bomboniere su un centrino: degenerati
in parchi a tema, destinati al consumo e nessun’altra
dimensione della vita). Qualche giorno fa richiamavo un
articolo sulla devastazione architettonica della stazione
Termini, ma potrei parlare di Piazza della Signoria a Firenze,
che è ormai una pena guardare. Le denunciate devastazioni di
Milano sono davvero nulla a confronto. Tra l’altro lì entro
pochi giorni tutto ritornerà come prima.
Ma allora, se i danni reali sono stati in fondo poca cosa, ciò che
ha indignato dei gesti di rivolta non sono stati gli effetti ma
evidentemente i gesti di rivolta come tali. E qui mi pare un
fatto significativo che la reazione generale – anche ripeto di
persone non proprio sprovvedute – sia stata il sentire come un
oltraggio a loro stesse l’attacco alla vetrina di un
concessionario di BMW o a una bella coupé: proprio
un’identificazione con la cosa, neppure l’empatia con il
proprietario – una piena identificazione che va interamente al
di là di ogni difesa di reali interessi materiali. Così il giorno
dopo i cittadini si “rimboccano le maniche” e “ripuliscono” la
città. “E’ partita sul web la mobilitazione con il nome di
“Nessuno tocchi Milano” che domenica 3 maggio dalle ore 16
vuol riappropriarsi della città che tutti noi amiamo”. Uno
scenario alla Ballard (sarà che sono fissata con Ballard).
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 200
Milano e l’EXPO a ferro e fuoco,
ovvero la propaganda liberista all’attacco
Francesco Erspamer
I black bloc non hanno lasciato nemmeno uno sgraffio
permanente sul volto di Milano e dell’EXPO, come i neri in
rivolta non l’hanno lasciato su quello di Baltimora; le oscene
cicatrici che vediamo e per sempre le ha fatte la cieca avidità
di un sistema che al denaro ha sacrificato il futuro di quei
ragazzi.
Bisogna stare attenti a usare le parole, a prescindere dalle
proprie convinzioni su un determinato argomento, altrimenti
si svuota il linguaggio della sua capacità di imporre coerenza e
razionalità ai dibattiti e si accetta la degenerazione della
politica in gossip, l’arma vincente del liberismo.
I media sono in questo senso davvero dei cattivi maestri:
“Milano a ferro e fuoco” hanno intitolato La Repubblica e
quasi tutti i quotidiani. Questa la definizione dell’espressione
sul Grande dizionario della lingua italiana: “sterminio e
devastazione per mezzo di armi e di incendi”. Applicarla a
incidenti che non hanno provocato neanche un ferito e in cui a
bruciare sono state solo alcune automobili è puro
sensazionalismo, deliberata manipolazione. I giornalisti di un
paio di generazioni fa, alla Montanelli, si sarebbero ricordatii di
Tito Livio, che nella sua storia di Roma usò varie volte la
locuzione, sempre per indicare una rovina totale: “Ferro
flammaque omnia absunta”. E avrebbero dunque evitato di
inflazionarne e banalizzarne il significato: perché è molto
rischioso gridare al lupo quando il lupo non c’è.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 201
Ma oggi i classici non li legge nessuno, tanto meno gli
arrampicatori sociali e i venditori di fumo mediatico. E la gente
si è abituata a quel fumo. Per molti le uniche emozioni sono a
telecomando: di breve durata, non lasciano traccia (non sono
vere esperienze ma loro surrogati virtuali, una sorta di
pornografia dell’informazione), però possono essere ripetute
frequentemente, oggi per una decapitazione in Siria (purché di
un occidentale), domani per un’epidemia in Africa (purché ci
sia almeno un caso in Europa), ieri era una strage in Ucraina
(purché attribuibile ai filorussi). L’empatia si consuma su
avvenimenti remoti e non ne resta più per quelli locali e
concreti: il precetto evangelico di amare il proprio prossimo
(con gli impliciti rischi di costruire un rapporto di solidarietà,
addirittura un partito) è stato sostituito dal precetto liberista
di amare solo chi sia lontano, a distanza di sicurezza da
pericolose forme di aggregazione e responsabilità.
In molti articoli e in moltissimi post ho letto l’accusa ai black
bloc milanesi di avere “distrutto la città”. Un’iperbole, ma non
sembra che tutti quelli che l’hanno usata se ne rendessero
conto: e purtroppo credere alle figure retoriche, trasformarle
in dati di fatto, è l’indice del successo della propaganda. Per
distruggere una città serve un inferno di fuoco come quello
atomico su Hiroshima o quello convenzionale su Dresda; certo
non un paio di molotov. Oppure serve, molto più
frequentemente, una speculazione edilizia impunita e
incontrollata. Al di là della seconda guerra mondiale e di
qualche terremoto, gli unici veri, enormi, irreversibili danni
subìti dalle città italiane sono stati provocati dal capitalismo,
con la sistematica tolleranza per l’abusivismo, con piani
urbanistici demenziali o disattesi, con la disneyficazione di
alcune aree e l’abbandono di altre. Tutti i cortei, pacifici o
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 202
accompagnati da scontri, che sono avvenuti nell’ultimo secolo,
hanno provocato, nel loro insieme, danni irrilevanti al
patrimonio culturale e architettonico e molto limitati alla
proprietà pubblica e privata. Niente a che vedere con le
gravissime conseguenze della cementificazione, dell’incuria
ambientale (pensate solo all’inondazione in Liguria di pochi
mesi fa), del degrado di interi quartieri, della canalizzazione
delle risorse su progetti di facciata (tipo l’Expo) invece che
sulla tutela del territorio.
I black bloc non hanno lasciato nemmeno uno sgraffio
permanente sul volto di Milano, come i neri in rivolta non
l’hanno lasciato su quello di Baltimora; le oscene cicatrici che
vediamo, e che non potranno essere cancellate, le ha fatte la
cieca avidità di un sistema che al denaro ha sacrificato le
tradizioni, i valori, la storia e il senso di appartenenza e che fa
finta di ricordarsene solo quando ragazzi senza passato e senza
futuro si ribellano come possono, come sanno.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 203
C’è un’autostrada tra Baltimora e Milano?
Cinzia Arruzza e Felice Mometti
Non tutti i riot sono uguali. E nemmeno gli eventi di insorgenza
degli ultimi anni. Persino a limitarsi al panorama statunitense,
ci sono differenze significative tra un evento e l’altro. L’esito
della ribellione a Ferguson è stato l’apertura di un nuovo
spazio politico con la formazione della coalizione Ferguson
Action e l’espansione del movimento Black Lives Matter a gran
parte del territorio nazionale. Questo esito non si è prodotto
due anni fa a seguito della ribellione a Brooklyn East, dopo
l’uccisione di Kimani Grey da parte della polizia di New York. E
gli eventi stanno prendendo una piega ancora diversa a
Baltimora con l’intervento, promosso e sostenuto
dall’amministrazione Obama, delle grandi associazioni afro-
americane organizzate nel National Action Network, come
strumento di mediazione e moderazione del conflitto. E il
tentativo, dall’altro lato, di Nation of Islam di inserirsi in modo
autonomo in questo gioco. Si potrebbe dire che la nottola dei
riot si leva sempre all’imbrunire. In altre parole, un riot
andrebbe valutato e analizzato a partire dagli esiti che produce
in termini di percorsi di soggettivazione e di apertura di nuovi
spazi politici.
Che a fronte della fine del vecchio movimento operaio e della
frammentazione e disorganizzazione della classe ci sia bisogno,
in Italia, di una nuova insorgenza in grado di aprire un nuovo
spazio politico di auto-organizzazione non si può che essere
d’accordo. La domanda che si pone, però, è: c’è un filo diretto
tra Baltimora e Milano? La risposta non può che essere
negativa, a meno che non si pensi che l’evocazione del riot,
attraverso la sua messa in scena in piazza, sia in grado di per sé
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 204
di produrre una nuova soggettività conflittuale. Sarebbe
l’equivalente di pensare che si possa organizzare l’auto-
organizzazione. Ci sembra piuttosto che i soggetti che
praticano il conflitto contro le politiche neoliberiste e di
distruzione del pianeta – ben rappresentate nell’Expo –
debbano essere al tempo stesso il presupposto e il prodotto
del conflitto. In altri termini quello che è assente nell’ipotesi
della rappresentazione scenica del riot è il punto di partenza, il
presupposto, quella soggettività che poi attraverso la pratica
del conflitto trasforma se stessa. Questa soggettività non può
essere prodotta in maniera volontaristica. E certo non può
essere prodotta nemmeno mettendosi in cattedra facendo
lezioni su un passato che non tornerà più ed «educando» i
nuovi giovani ribelli con il manuale del rivoluzionario
consapevole.
Un generico consenso mediatico non è e non dovrebbe essere
la cartina di tornasole del buon esito di una pratica
conflittuale. Ci sarebbe anzi da aprire una riflessione su che
cosa voglia dire consenso mediatico, di fronte alle ambiguità di
media mainstream che sono pronti a fare l’occhiolino ai riot
quando accadono altrove, a Ferguson, a Baltimora, in piazza
Taksim, e poi giocano alla spettacolarizzazione negativa
quando nel salotto buono della finanzia italiana, a Milano,
avviene molto di meno. E tuttavia rimane il problema di
valutare una pratica conflittuale non dal punto di vista del
consenso mediatico, ma dell’apertura di un nuovo percorso di
politicizzazione dello spazio sociale e urbano. L’apertura di un
nuovo percorso di politicizzazione dovrebbe essere la
creazione di uno spazio, di forme di organizzazione e modalità
del conflitto in cui la rabbia sociale diffusa e i soggetti che ne
sono portatori possano riconoscersi e attraverso cui possano
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 205
partecipare e diventare protagonisti. Questo è quello che
intendiamo per autorganizzazione: né i vari esperimenti di
ricomposizione politico-elettorale di questi anni, affetti da
un’impressionante coazione a ripetere, e nemmeno le
trappole meccanicistiche dell’evocazione di piazza del riot. È a
partire da questa prospettiva, quella dell’autorganizzazione,
che si deve porre la questione del consenso, perché il
consenso non rimanga un significante vuoto da riempire in
modo più o meno strumentale a seconda dei contesti. Il nostro
metro di misura non dovrebbe essere solo la capacità o meno
di mettere in difficoltà o in crisi lo storytelling renziano, ma
quella di gettare le basi per una narrazione diversa,
contemporanea, i cui protagonisti siano i soggetti che
producono conflitto oggi, e non le icone del passato. Si è
aperto o si aprirà questo nuovo percorso dopo la Mayday di
Milano? Questa è la domanda che ci si dovrebbe porre.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 206
L’intelligenza strategica
Cristina Morini
«Ci avete visto lanciare sassi, oggetti e bottiglie incendiarie.
Brandire spranghe e bastoni a mo’ di alabarde. Tendere nervi e
muscoli in gesti improbabili e poi scappare, nasconderci,
mimetizzarci, uscire dal niente e rientrare nell’ombra. Certo, vi
piacerebbe sapere che siamo adolescenti ben pasciuti, pargoli
di genitori separati, viziati dal logo e solo per cipiglio passati
dall’altro lato della barricata. Vi piacerebbe credere che siamo
la punta dell’iceberg di una generazione senza valori. Forse la
vostra brutta sociologia vi porterà a vedere solo ciò che
vorreste…».
Sono passati quasi 15 anni da quando, nel dicembre 2001,
poco dopo Genova, uscì il libro Io sono un black bloc. Poesia
pratica della sovversione. Appena conclusa la manifestazione
NoExpo Mayday del 1 maggio 2015 la tentazione di molti è
stata quella di andare, ancora, proprio a cercare epiteti e
definizioni per il cosiddetto “blocco nero”. Tutte sbagliate. Non
sono adolescenti frustrati, non sono per forza stranieri, né
figlie della borghesia con il rolex al polso (“siamo ciò che
distrugge la merce, siamo ciò che volete che siamo”).
Catalogarli, quasi a volerli esorcizzare per distanziarli da sé, è
scorretto e infattibile. L’esempio più clamoroso di questa
tendenza è stato forse l’intervista raccolta dalla solita
informazione italiana, priva di stile e di decenza, al disgraziato
ragazzo che dichiara di amare “il bordello”. Se vi va,
condividetela, ridetene, mettetelo alla berlina.
A Milano noi abbiamo visto una componente del movimento,
legittimamente interna al corteo. Ampia (non 30 persone, ma
forse 1500), determinata e organizzata. Alle tesi complottiste
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 207
sugli infiltrati non è il caso di dedicare parole. Ma,
effettivamente, dentro a quello stesso corteo, in tanti e tante,
(meno giovani e più giovani), in alcuni momenti non siamo
stati “con agio”. Questo è un primo dato. Frutto del trauma
che ci ha regalato Genova 2001, ma anche del fatto che non
esiste un largo tessuto sociale, coeso, in grado di investire
completamente su tali pratiche di “rivolta”, assumendosele,
né, davanti alle vetrine che saltano o a una macchina che
brucia, riesce oggi a esprimersi vero consenso.
Sappiamo benissimo che la “democrazia” è morta e il punto
non è affidarsi al meccanismo di una rappresentanza svuotato
di senso. Sappiamo ancora meglio come gravi su ciascuno di
noi, sempre più precisamente, la radicale violenza degli effetti
sociali della crisi perenne neoliberista con i suoi cascami
ideologici. Ci dichiariamo infatti fuori dall’ideologia cittadina,
quella dei cittadini “buoni” contro i “cattivi” potenziali
criminali, che è ideologia della sorveglianza, la quale ieri,
infatti, ha messo in onda, a Milano, una manifestazione
“civica” per ripulire la città dai resti lasciati dai “violenti”.
Detto questo, chiarito tutto questo, il problema politico ci
resta. Ci resta da affrontare un nodo politico intorno al quale si
gira da tempo, ormai.
Vogliamo guardare davvero, senza romanticismi, alla potenza
e all’empasse dei movimenti nelle piazze, a queste eruzioni
reiterate ma mai collegate? Come uscire dalla
contrapposizione, tra l’affidarsi alle istituzioni da un lato o alla
logica dello scontro dall’altro? Come possiamo trovare
modalità per condividere pratiche dentro grandi cortei
partecipati a livello internazionale e importanti, come era
questo del NoExpo Mayday di Milano 2015? Oppure, ancora,
altra domanda: queste forme nostrane di riot generano
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 208
“immaginari” – e quando scrivo immaginari intendo qualcosa
che costruisca tensioni che resistano, proiezioni capaci di
replicarsi, traiettorie in grado di svilupparsi lungo una qualche
strada? Immaginari, cioè, che mettano in moto desideri e si
coalizzino intorno a progetti, a un’idea diversa del mondo?
Come ben sappiamo, più della rabbia o della
rappresentazione, anche gestuale, della sofferenza, è
l’immaginazione quella che apre le porte, sempre. In realtà,
oggettivamente, questi lampi metropolitani non vanno
appiattiti affatto sulla casualità estemporanea del puro sfogo.
Ma nemmeno sono capaci di rappresentare una risposta alla
nostra collettiva difficoltà nell’incontrare e a organizzare le
soggettività. Così, il rischio di marginalizzazione si mantiene
elevato, mentre è altrettanto elevato il pericolo di una stretta
repressiva che rischia di accompagnare giornate come queste.
Perciò, era giusto ed è giusto far notare le difficoltà che
potrebbero incontrare la rete NoExpo e il movimento milanese
nella sua complessità dopo questo primo di maggio. Non per
pavidità, ma per bisogno di concretezza, dentro questa nebbia
che si taglia con il coltello, tra fumogeni e lacrimogeni, alla
fine, dove andiamo?
Il tema della condivisione, dell’allargamento, della capacità di
parlare a settori sempre più ampi della società resta il nostro
problema e, con il passare del tempo, sempre maggiori dubbi
genera l’idea che la strada giusta sia quella di pestare solo
lungo contraddizioni insanabili, tanto meno pare possibile, a
questo punto della storia, fare affidamento su un soggetto
contrapposto al mondo (l’avanguardia) che lo spinge nella
corretta direzione. Si tratta anche di evitare, se possibile, le
coazioni a ripetere, perché le cose non si presentano mai sotto
la stessa forma che hanno assunto nel passato.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 209
Sul sito urge/urge c’è un testo assai interessante di Amator
Savater, una lettura del libro A nuestros amigos del Comité
Invisible, dal titolo “Riaprire la questione rivoluzionaria”. Nel
finale si legge: “Forzare le cose dall’esterno: le rivoluzioni che si
fanno da questo punto di vista finiscono in un disastro e
bruciano i rivoluzionari nel volontarismo”.
E allora, “ci sarebbe un altro percorso: imparare ad abitare
pienamente, invece che governare, un processo di mutamento.
Lasciarsi trasformare dalla realtà, per poterla trasformare a
sua volta. Darsi tempo, per imparare i possibili che si aprono in
questo o quel momento […] . Il contatto è insieme quel che ci
permette di sentire da dove sta circolando la potenza del
mondo e di accompagnarla senza forzarla, con attenzione. Di
questa sensibilità abbiamo bisogno più che di mille corsi di
formazione politica”.
“L’intelligenza strategica nasce dal cuore… incomprensione,
negligenza e impazienza: il nemico sta qui”.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 210
La ragione e l’odio: NoExpo MayDay 2015
Cock Sparrer
Expo è iniziato, e le tanto attese cinque giornate, le prime a
cancelli aperti, No Expo sono finite.
La complessità di quel che accaduto va molto oltre la cronaca
spiccia di qualche ora del corteo NoExpo MayDay. Il segno
resta e rimane, l’impressionante dispositivo mediatico che ha
cancellato qualsiasi altra cosa che non siano stati gli “scontri”
ha fornito a speculatori della politica l’assist perfetto per
organizzare una triste e grottesca parata benpensate di
“ripulitura” dei danni e delle scritte lungo il percorso del
corteo del primo maggio. Triste e grottesca, ma allo stesso
tempo reale.
Reale quanto la presenza di una modalità di concepire la
manifestazione politica che giornalisticamente parlando ha
preso il nome di “black bloc”. Che piaccia o non piaccia la
componente “nera” non è solo reale ma è anche in crescita.
Bisogna farne i conti. E’ una modalità di stare in piazza. Chi
prova a derubricarla in “infiltrati” non ha capito nulla. Esiste, e
si esprime in molte delle grandi occasioni di piazza in Italia e in
Europa. Certo quello che è accaduto a Milano non è riot, non è
rabbia spontanea. E’ però una nuova esplicitazione di una
presenza anche importante, che comunque ha anche a che
fare con un senso di rabbia generalizzato e rifiuto
generalizzato. Non solo dei simboli del capitalismo, ma anche
delle strutture e degli spazi politici. Non rispetta niente e
nessuno. Modalità di stare in piazza e di espressione politica
che diventa immediatamente mediatico e soprattutto
immediatamente egemonico. Istanbul, Baltimore, Atene o le
banliues francesi non c’entrano assolutamente nulla con
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 211
quello che è accaduto il primo maggio a Milano. Quel che è
successo nelle vie di Milano è accaduto lungo il percorso
autorizzato dalla questura, cioè negli spazi “concessi” al
corteo. Nessuno spazio guadagnato con le azioni. Alcune
centinaia di persone hanno monopolizzato l’attenzione
mediatica, tolto spazio a decine di migliaia di persone e
spostato l’asse del discorso costruito in tanti anni di lavoro
dalla rete Attitudine No Expo. Insomma una sorta di complessa
rappresentazione del conflitto, non conflitto reale. Come
scrive la stessa rete “i sette anni che hanno caratterizzato la
storia della Rete non possono essere ridotti alla
strumentalizzazione mediatica e politica di alcuni momenti del
corteo, che ne hanno sovra determinato l’impostazione
collettiva e che poco hanno a che vedere sia con
un’espressione di rabbia spontanea, sia con lo stesso percorso
No Expo” come invece si è cercato di fare. Non solo il primo
maggio ma anche il giorno seguente quando lo stile, le scelte,
e le modalità dell’agire politico della rete No Expo sono scese
nuovamente in piazza con una critical mass che ha raggiunto i
cancelli del sito espositivo e con un pranzo sociale davanti a
Eataly per raccontare come cibo e food siano concetti diversi,
conflittuali e nemici. E’ difficile parlare di contenuti. Mostrare
macchine in fiamme da una parte fa vendere i giornali
dall’altra rende meno legittima la voce oppositiva al grande
evento a cui il premier Renzi s’appoggia per lanciare e
rilanciare la sua idea d’Italia. Le regole dei media le
conosciamo tutti, anche chi ha deciso di avere un estetica e un
colore diverso da un corteo ampio, moltitudinario, creativo e
radicale.
Il primo maggio alla NoExpo MayDay c’erano oltre 50.000
persone, un numero importante di uomini e donne che hanno
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 212
deciso di dire no ad Expo in tante maniere differenti. Reti di
cittadini, comitati, centri sociali, collettivi studenteschi,
cittadine e cittadini, lavoratori, precarie, migranti, sound-
system, hanno portato in piazza lotte e resistenze, alternative
e conflitti. Questo è il dato reale della manifestazione. Attorno
al grido “No Expo!” si sono riconosciuti una molteplicità di
soggetti che ogni giorno lottano per un mondo diverso.A
quello spazio politico costruito per sette lunghi anni hanno
partecipato tanti soggetti, anche quelli che non solo non si
sono confrontati con la rete Attitudine No Expo, ma anche non
erano interessati alla storia e al futuro di quel percorso ma
solo alla piazza. Expo è paradigma del neoliberismo, quindi il
No Expo è il paradigma dell’alternativa. Questo grido faceva e
fa paura. Oltre alle speculazione mediatica così è arrivata
anche quella politica.
L’operazione politica e culturale promossa da giunta Pisapia e
PD di ieri, domenica 3 maggio, ovvero una sorta di pulitura
collettiva dei danni generati da una parte del corteo, è grave e
vergognosa. Cittadini benpensati che riparano i danni di una
città offesa dalla “violenza politica” di un corteo rimarcando
che l’unica modalità di manifestazione sia quella pacifica. Le
grandi democrazie sono nate dai grandi tumulti, è giusto
ricordarlo. Certo tumulti, rivolte e rivoluzioni sono una cosa
seria. Hanno a che fare con gli obiettivi prima che con le
pratiche. Divisione in buoni e cattivi, spostare l’attenzione
dalla catastrofe Expo 2015 agli scontri del primo maggio è ad
oggi uno dei risultati tangibili della mayday. Dove i cattivi sono
i “noexpo”. Furti, sistemi di potere che legano politica ed
economia, malavita organizzata, eventi nocivi e dannosi per la
città hanno generato meno indignazione. Quasi come ci
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 213
fossero endemicamente anticorpi ai grandi scippi del capitale
vissuti con una normalità disarmante.
Il corteo del buonismo così va ad indicare l’opzione No Expo
come nemica della democrazia e della convivenza, prova a
tratteggiare i confini della protesta possibile e attacca
l’organizzazione dal basso difendendo quindi lo status quo.
Non condividere alcuni episodi del corteo non significa che il
conflitto e la sua pratica siano nemici dei movimenti e delle
lotte sociali.
Ripartire da alcuni punti fermi è quindi necessario per
guadagnare nuovamente spazi di legittimità e forza,
denunciare con nettezza e decisione lo sciacallaggio mediatico
così come le speculazioni politiche di caste,ceti politici (anche
di movimento), sistemi di potere, una certezza e necessità.
I processi costituenti di una alternativa reale vivono, oggi
schiacciati, tra le polarizzazioni del “riot per il riot” e della
politica istituzionale nella ricerca e pratica di un’autonomia dal
capitalismo fatta di conflitti e consenso. La rete No Expo non è
morta, non è stata seppellita, sicuramente è più debole del 30
aprile.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 214
Guardando l’incendio di Milano dal Bronx
Degage
Il Bronx è un quadrato di terra a Roma in fondo alla via
Torrevecchia, due file parallele di palazzi grigi tagliate da una
terza fila perpendicolare.
Il quartiere guarda Primavalle, della borgata è un figlio, un
satellite, negli anni 70 fu costruito per accogliere i figli e i
baraccati che nella vecchia borgata non trovavano più posto.
Fu costruito anche per cercare di allentare la tensione sulla
questione dell’abitazione dopo la rivolta di San Basilio.
Il Bronx è uno dei così detti P.E.E.P, come Tor Sapienza,
Laurentino 38, Vigne Nuove omaggio tardivo dell’architettura
nostrana all’unité d’habitation di le Corbusier.
E per il contrappasso che a volte punisce i potenti le
architetture pensate come antidoto alla rivoluzione di ieri
divengono alleati dell’insubordinazione di oggi. I cortili stretti, i
passaggi pedonali sopraelevati, l’alta densità abitativa
costituiscono un campo di battaglia più favorevole ai residenti
che alle forze dell’ordine.
Questa mattina in decine hanno affollato i balconi e i tetti, le
strade e i cortili per impedire uno sgombero.
Mentre la concitazione animava gli assembramenti spontanei
tra cassonetti da spostare e da incendiare e sassi da
raccogliere in tanti ci hanno chiesto di Milano, dei black bloc (o
bloc busters come qualcuno li chiama) della determinazione di
chi ha sfidato la polizia lontano da casa propria, nel ventre
della bestia, al centro della città nel giorno di festa del
capitalismo italiota.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 215
Mentre ci riposavamo e aspettavamo notizie nei momenti di
stallo abbiamo letto arguti analisti politici spiegare che Milano
non è comprensibile alla gente.
Di quello che è successo questa mattina al Bronx, di quello che
è successo a Milano venerdì non ci interessa farne un mito.
Non in tutto ci riconosciamo: al Bronx il razzismo è un discorso
strisciante a Milano per alcuni tratti si è rischiato
l’autolesionismo, in entrambi i casi un’ampia dose di
individualismo ha rischiato di inficiare il tutto.
Ma in entrambi i casi pensiamo siano “fatti nostri”, situazioni
che ci riguardano, che ci chiamano alla presenza. Lasciamo ad
altri volentieri il compito di puntare l’indice, invocare le forche,
prendere le distanze.
Che sia chi si appassiona a queste discussioni a decidere se il
Bronx assomiglia più a Milano, a Baltimora o a Tor Sapienza.
Noi sappiamo da che parte stare…per le strade!
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Expo, violenze e… quello che nessuno dice
Francesco Della Croce
La violenza scatenata a Milano è da condannare, non solo
perchè nei fatti danneggia un movimento di contestazione
sociale legittimo e serio, che in questi mesi si è strutturato ed
ha avanzato una critica profonda a quello che l’Expo milanese
ha finito per rappresentare (una vetrina d’immagine di
un’Italia che non esiste), ma anche perché chi sinceramente ha
contestato in questi mesi i lavori dell’Expo non può in alcun
modo accettare le finalità di questa violenza urbana che altri
non danneggia se non lavoratori, negozianti e piccoli artigiani.
Di sicuro nessuno tra i potenti manovratori delle speculazioni
dell’Expo. Ma non possiamo limitarci a questo, c’è molto altro
da capire. In questi giorni stanno succedendo fatti importanti
nel nostro Paese, si sta approvando, per esempio, una legge
elettorale che nei fatti cancella ogni dialettica conflittuale nel
Parlamento: le Camere da luogo di conflitto e mediazione di
interessi contrapposti presenti nella nostra società, da
specchio del Paese come le definì Palmiro Togliatti, diventano
ufficialmente Istituzioni serventi nei confronti di un governo
espressione di una minoranza (fateci caso, in Italia il 10% della
popolazione detiene il 46% della ricchezza, è facile immaginare
allora di chi è di quali interessi sarà espressione il governo di
minoranza a cui saremo condannati con questa legge
elettorale). Il tutto reso possibile da un premio di maggioranza
assegnato ad una minoranza ed un meccanismo di ballottaggio
che altererà la rappresentanza parlamentare.
Non bastasse questo, la fretta cieca di cambiare legge
elettorale tradisce le intenzioni; infatti, una legge elettorale
diversa dal Porcellum plasmata dalla Consulta con la sua
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 217
sentenza 01/2014: un proporzionale con preferenze.
Evidentemente è inaccettabile per chi governa pensare che il
voto di tutti i cittadini possa essere ugualmente rappresentato
nelle camere legislative, è probabilmente da rottamare questa
aspirazione che data alla Rivoluzione francese. E’ una torsione
autoritaria che ricalca molto il modello americano. Già,
l’America. E’ proprio da lì che deve continuare questo
ragionamento. In questi giorni soprattutto (ma da molti anni
potremmo legittimamente affermare) esplode in quel paese
un movimento di protesta popolare forte, violento che non ce
la fa più a sopportare quel modello sociale, senza diritti, senza
dignità, che crea deserti e periferie umane degradate e
alienate rispetto a centri opulenti e “civili”. E’ una protesta
senza coscienza, non organizzata, e lì diventa una questione di
ordine pubblico, per cui l’unica istituzione chiamata in causa è
la polizia, visto che questo malessere non ha cittadinanza nel
Congresso americano, dove non da oggi i pensieri critici non
sono accettati ed in passato sono stati anche perseguitati
(come nel caso del partito comunista, “maccartismo” fu
chiamata la caccia alle streghe contro i comunisti in USA). Non
si tratta di un’esagerazione: il noto economista Stiglitz informa
che gli Usa, con circa il 5% della popolazione mondiale, hanno
intorno al 25% dei detenuti nel mondo nei loro confini
nazionali. Lo smantellamento dell stato sociale produce in
quella società miseria diffusa e la protesta contro questa
condizione diventa semplicemente una questione d’ordine
pubblico, per una società impermeabile al conflitto sociale e
alla sua trasposizione nelle istituzioni. Istituzioni elette da un
ristretto numero di cittadini (meno della metà dei cittadini
americani si reca alle urne) e nelle mani salde di interessi
conosciuti e incontrastati.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
Osservatorio sulla Repressione – www.osservatoriorepressione.info Pag. 218
Ecco il rischio più grande che corriamo dunque. Il nostro Paese
sta per vedere un mutamento qualitativo delle sue Istituzioni:
con l’Italicum (e la riforma elettorale in discussione) si sancisce
la cacciata dalle istituzioni del pensiero critico, delle
organizzazione popolari rivoluzionarie che sono capaci di
tradurre la mera protesta in una visione del mondo e della
società differente dall’attuale, dallo stato di cose esistenti. Fa
paura tutto questo infatti, fa paura che vaste fasce di popolo
ritrovino coscienza e sappiano per cosa lottare e si dotino dello
strumento finora più efficace sul piano della lotta politica: un
partito di riferimento, un partito di classe.
Negli anni a venire, si correrà il rischio che con l’estromissione
dal Parlamento di ogni rappresentanza degli interessi
antagonisti a quelli dell’establishment e delle classi dominanti,
la protesta si trasformi o in astensione dalla vita pubblica
(l’alienazione sociale a cui ad esempio i social network stanno
portando dovrebbe allarmarci molto in tal senso, sono
incubatrice di solitudini), o in un mero voto di protesta senza
nessuna coscienza (in questa ipotesi rientra, a giudizio di chi
scrive, gran parte dell’elettorato 5 stelle, un movimento
declinante e compatibilista, l’altra faccia della medaglia
rappresentata da questo modello di società), oppure in uno
sfogo violento, in un conflitto che si concentra nell’estetica del
gesto, in una furia cieca distruttrice che trasforma la questione
dell’ingiustizia sociale in un mero problema di ordine pubblico
(pensate all’incarcerazione americana come fatto di massa
utilizzato per risolvere queste tensioni e per garantire la “pace
sociale”).
Nessuna giustificazione per i black bloc allora (ricordiamoci che
però nel nostro Paese c’è una legge che impedisce di circolare
con volto nascosto da passamontagna e altri simili “accessori”,
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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non si riesce a capire facilmente, quindi, la difficoltà nel
prevenire sul nascere questi fenomeni, visto che attraverso le
nuove tecnologie è sufficientemente semplice intercettare e
anticipare le mosse di centinaia di soggetti che probabilmente
utilizzano la rete per organizzare le loro devastazioni, qualche
dubbio sembra legittimo farselo venire).
Il rischio è grande, grandissimo. Condanniamo ma riflettiamo
e, soprattutto, rispondiamo.
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Milano: la marcia dei 20.000 è la nuova Vandea
Sergio Bellavita
Dovranno lavorare sodo le centinaia di uomini e donne che
hanno raccolto l’invito di Pisapia a manifestare in difesa di
Milano per la semplice ragione che sotto la vernice c’è uno
sporco ben più pervasivo e corrosivo che non si cancella con
detersivi e solventi. Corruzione, devastazione ambientale e
sfruttamento intensivo del lavoro non si lavano con spugne e
ramazze. È stupefacente come il ceto politico milanese abbia
chiamato alla rivolta sulla parola d’ordine “nessuno tocchi
Milano” non su una grande questione sociale, non sul sistema
di potere e malaffare che continua a socializzare costi assurdi
ed alimentare il privilegio e l’arbitrio di pochi. Non sulle
malefatte di multinazionali che pretendono di raccontare
come si combatte la fame nel mondo utilizzando la vetrina di
Expo mentre depredano il pianeta e intere popolazioni. Se la
marcia dei 40.000 a Torino su Fiat (che poi non erano più di
diecimila ma la storia la fa chi vince come sappiamo) ha
segnato una sconfitta durissima per il movimento operaio così
la manifestazione di Pisapia ha il sapore amaro di una nuova
Vandea ammantata di perbenismo. Ordine, pulizia e disciplina
non sono le nuove parole d’ordine della sinistra del
ventunesimo secolo ma lo stesso vecchio ciarpame di sempre
appena abbellito dalla retorica dei buoni sentimenti. Talmente
buoni che rimuovono ogni aspetto della enorme questione
sociale aperta in questo paese. L’ingiustizia, lo sfruttamento, la
diseguaglianza crescente, tutto è travolto dalla furia di
ramazza e spazzole. Il mondo è così diviso in due: c’è chi
sporca e chi pulisce. Non abbiamo alcuna simpatia per le auto
danneggiate o per le vetrine in frantumi e non ci piace
l’estetica del conflitto che non si rapporta al consenso di chi
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vuol rappresentare ma certo colpisce che tanta parte della
cosiddetta intellettualità mostri attenzione e interesse per le
manifestazioni della rabbia sociale in giro per il mondo mentre
quando accade da noi tutto si riduce al teppismo e alle idiozie
sull’esistenza dell’internazionale della violenza.
Così come colpisce la doppia morale sulla violenza. Quella del
potere che certo ha metodi ben più raffinati, seduttivi e colti
rispetto alla barbarica violenza agita con pietre e cartelli
stradali. Una è politicamente ammessa, persino legittimata. A
ingegneri, commercialisti, imprenditori ,consulenti e
faccendieri vari mai nessuno imputerà il reato di devastazione
e saccheggio invocato per i manifestanti in maniera criminale
anche a sinistra. Per gli altri c’è appunto la gogna mediatica e il
processo si è già chiuso con sentenza definitiva. Cosa sarebbe
accaduto se la manifestazione della Milano che si ripulisce
dagli “untori” fosse stata organizzata da una amministrazione
di destra, Vandea? Certamente ci sarebbe stata una contro
manifestazione del popolo che non ha sotterrato le armi della
battaglia politica e sociale per un mondo diverso, più uguale e
giusto. Vale anche per l’Italicum che oggi diverrà legge dello
Stato. Se fosse stato Berlusconi a imporre la fiducia su un
sistema elettorale profondamente autoritario ci sarebbe stata
una sommossa di piazza.
Ancora una volta il nemico cammina nelle nostre di scarpe e
ancora una volta lascia spazio alle peggiori pulsioni reazionarie
che prima o poi, se non succede nulla a sinistra, troveranno,
ahi noi, una rappresentanza pericolosa.
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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Il mondo nuovo che avanza
Giorgio Cremaschi
Le reazioni delle istituzioni, dei mass media e della opinione
pubblica agli incidenti di Milano, hanno mostrato quanto sia
oramai devastato lo spirito democratico in questo paese. È
ovviamente comprensibile la rabbia delle 50 persone a cui è
stata distrutta l’automobile, o dei quindici negozianti che
hanno avuto le vetrine infrante. In effetti essi non c’entrano e
colpire i loro beni per me è ingiusto . Tuttavia quanto è
avvenuto non è minimamente paragonabile ai disordini nelle
città europee in qualcuno degli ultimi grandi eventi . A
Francoforte in occasione della inaugurazione della nuova sede
BCE è successo molto di peggio. Per non parlare di quello che
capita normalmente oramai negli StatiUniti o della rivolta nelle
strade di Rio alla vigilia dei mondiali di calcio. In tutti questi
casi da noi si sono sprecate analisi comprensive e
compassionevoli sul disagio. Ma appena questo disagio è
comparso in casa nostra, i più moderati tra i commentatori di
palazzo hanno chiesto la legge marziale.
Il peggiore mi è apparso il sindaco di Milano. Il grido di sapore
biblico da lui lanciato, nessuno tocchi Milano, che cosa vuol
dire, che altrove si può? E quando la città è stata devastata da
ruberie, tangenti, mafie, disoccupazione, devastazioni
ambientali, vetrine a migliaia chiuse in periferia per lo
strangolamento della crisi e delle banche, non è stata toccata
allora Milano? Certo scendere in piazza in quei frangenti era
più duro e rischioso, magari si sarebbero pestati i piedi a
qualche potere forte, per puro sbaglio naturalmente.
Ma la vera indignazione è stata in realtà per l’immagine
dell’Expo offuscata dai disordini. L’Expo dà lavoro ha detto
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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rabbioso uno dei pulitori volontari, rivolto ad una ragazza
coraggiosa, che ha tutta la mia ammirazione e che da sola ha
provato a discutere con i cittadini indignati.
Modello Expo si disse da destra e sinistra quando la
Confindustria, le istituzioni e CGlL CISL UIL firmarono l’accordo
che autorizzava poco lavoro sottopagato e tanto gratuito.
Modello Expo si aggiunge ora, quando gli ipocriti della sinistra
ben pensante e ancora meglio retribuita hanno presentato la
fiera come una specie di Social Forum di sei mesi, impegnato a
trovare e ricette contro la fame nel mondo.
Modello Expo ha chiarito Renzi, celebrando la fiera come
occasione di grandi affarii, proprio per questo appaltata a
quelle multinazionali che, dice Vandana Shiva, affamano il
pianeta.
Expo è una fiera che serve a mostrare quanto è vendibile il
nostro paese, il suo ambiente, il suo lavoro. L’Italia è sul
mercato e Expo ne è la vetrina. Questa è la vera risposta alla
crisi che Renzi propone e sulla quale, assieme a tutto il potere
economico che lo sostiene, gioca la partita del consenso. Basta
con i vecchi scrupoli, i lacci e lacciuoli che frenano lo sviluppo.
Basta con l’articolo 18 e con i vincoli ambientali, ha promesso
Renzi alla Borsa. Basta con i diritti, rimbocchiamoci le maniche
e mettiamoci al lavoro e chi pone ostacoli è contro la nazione.
Questo messaggio reazionario di massa ha conquistato un PD
sconfitto e rassegnato nei suoi valori, sottomesso al
capitalismo globalizzato e alla ricchezza, ma abbarbicato al
potere. Renzi è la sintesi perfetta di questa storia politica e per
questo ridicolizza ogni opposizione interna, così come rende
oramai inutile la vecchia destra berlusconiana.
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Con il jobsact, la buona scuola, l’italicum il governo ha
devastato ciò che restava dei principi e delle regole fondanti la
nostra Costituzione. Resta solo da cambiare l’articolo uno,
sostituendo lavoro con mercato e popolo con leader e poi
tutto è fatto.
Questa Italia sul mercato è quella che ha assunto l’Expo come
bandiera. La maggioranza del paese è d’accordo? Può essere,
ma essa non è tutto e chi è contro non è piccola cosa. Solo che
chi non accetta questo modello sociale e politico non ha diritto
a veder riconosciute le proprie posizioni. La controriforma
costituzionale di Renzi afferma la dittatura della maggioranza,
anzi della più grossa minoranza. E sopra questo governo
neoautoritario sta il potere delle Troika finanziaria e
burocratica che comanda in Europa. La Grecia non può
decidere liberamente di non far morire di fame i disoccupati,
perché come si diceva una volta, è un paese a sovranità
limitata. Un potere sempre più chiuso e autoritario è poi
sostenuto da un sistema mediatico embedded, come la
stampa che seguiva sui carri armati le guerre di Bush . Che gli
incidenti abbiano oscurato le ragioni dei manifestanti della
Mayday di Milano non è vero.
Il 28 febbraio in diecimila abbiamo manifestato a Milano
contro il jobsact e il lavoro gratuito per Expo. Eravamo in gran
parte militanti del sindacalismo di base e della corrente di
opposizione in Cgil, moltissimi erano i migranti. È stata una
manifestazione serena e viva che si è conclusa con una
assemblea popolare in Piazza S.Babila. Non abbiamo lasciato
per terra neppure le carte delle caramelle e siamo stati
semplicemente ignorati dal circuito dei mass media. D’altra
parte dove ci sono stati pubblici confronti sulle ragioni dei
Noexpo, dove si son potute liberamente confrontare le due
“… nell’incendio di Milano..” appunti per un dibattito
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diverse posizioni? Non facciamo gli ipocriti, chi è contro il
dominio di imprese e mercato nell’Italia di oggi é
sostanzialmente clandestino e se prova a metter fuori la testa
c’è chi minaccia di tagliargliela. I tranvieri di Milano hanno
scioperato il 28 aprile contro i turni gravosi e pericolosi imposti
per Expo. Apriti cielo, ministri della Repubblica han chiesto di
liquidare il diritto di sciopero e i più moderati hanno aggiunto:
solo durante le fiere. In questi giorni in Germania i macchinisti
dei treni scioperano per sei giorni di seguito bloccando il
paese, ma nessun governante chiede leggi speciali. Da noi
avremmo talkshaw ove tra gli applausi si invocherebbe la
galera. Subito dopo i fatti di Milano Renzi è stato contestato
pacificamente a Bologna, ma non uno dei telegiornali ha fatto
vedere gli insegnanti precari bastonati duramente dalla polizia
C’è una sordità ed una prepotenza del potere che porta
naturalmente alla ribellione di chi non ci sta. E chi si ribella lo
fa nei modi che questa società stessa offre. Certo Manpower e
un’automobile non sono la stessa cosa. Certo le azioni dirette
non sono gesto fine a sé stesso, devono comunque essere
parte di un conflitto più vasto e riconosciuto da chi lo pratica.
Ma il tempo delle dissociazioni, della distinzione in buoni e
cattivi è finito. Certo che ci sono azioni sbagliate, ma sarà chi
lotta a giudicarle. Bisogna che si capisca che non si può
distruggere la Costituzione nata dalla Resistenza, ridurre tutto
a merce e mercato e poi usare il linguaggio della prima
repubblica quando si spaccano le vetrine. Per me la distruzione
del mondo dei partiti di massa, del potere sindacale, dei diritti
certi e dello stato sociale è stata una catastrofe. Per chi
governa oggi invece questo è il progresso.
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Di questo progresso i fatti di Milano sono inevitabile
conseguenza. Per questo sto con tutti quelli che sono scesi in
piazza il 1 maggio, anche con coloro che han fatto azioni che
non condivido.