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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari
Corso di Laurea in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e
del Territorio Montano
NUOVE FORME DI ALLEVAMENTO PER LA
MELICOLTURA DEL FUTURO
Relatore: Tesi di Laurea di:
Prof. Lucio Brancadoro Enrico Marchignani
Matricola n. 812152
ANNO ACCADEMICO 2015 2016
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SOMMARIO
INTRODUZIONE.......................................................... 5
CAPITOLO PRIMO
LE ROSACEE............................................................ 7
1.1 Il melo............................................................ 8
1.1.1Classificazione botanica.................................... 8
1.1.2Morfologia................................................... 9
1.1.2.1Albero................................................ 9
1.1.2.2 Rami................................................. 9
1.1.2.3 Foglie................................................ 10
1.1.2.4 Gemme.............................................. 10
1.1.2.5 Fiore.................................................. 10
1.1.2.6 Frutto................................................. 10
1.1.3 Storia......................................................... 11
1.1.4 Storia dell’allevamento in Italia........................... 14
1.1.5 Melicoltura estensiva....................................... 17
1.1.6 Melicoltura intensiva........................................ 18
CAPITOLO SECONDO
FORME DI ALLEVAMENTO............................................ 21
2.1 Forme di allevamento in volume............................ 26
2.1.1 Vaso......................................................... 26
2.1.1.1 Vaso regolare....................................... 26
2.1.1.2 Vaso semplificato.................................. 27
2.1.1.3 Vaso ritardato...................................... 28
2.1.1.4 Vaso Oeschberg.................................... 29
2.1.2 Piramide..................................................... 29
2.1.2.1 Piramide a palchi.................................. 29
3
2.1.2.2 Piramide spiralata.................................. 30
2.1.2.3 Piramide Oeschberg................................ 30
2.1.3 Fuso........................................................... 30
2.1.3.1 Fusetto (Spindle)................................. 31
2.1.3.2 Fusetto libero................................... 32
2.1.3.3 Fusetto per cultivar spur di melo.............. 33
2.1.3.4 Fusetto slanciato................................. 33
2.1.3.5 Fusetto basso o cespuglio....................... 33
2.1.4 Solaxe....................................................... 34
2.1.5 Sistema a Y (Tatura Trellis)................................ 40
2.1.6 Sistema a V................................................... 41
2.1.7 Lincoln Canopy............................................... 42
2.2 Forme di allevamento appiattite............................. 42
2.2.1 Palmetta...................................................... 43
2.2.1.1 Palmetta regolare a branche oblique........... 44
2.2.1.2 Palmetta anticipata................................ 44
2.2.2 Sistema a drapeau......................................... 45
2.3 Le moderne forme di allevamento in melicoltura...... 46
2.3.1 Il Bibaum.................................................... 47
2.3.2 Il Multiasse................................................... 53
2.3.2.1 Meleto semi pedonabile/pedonabile............ 57
CAPITOLO TERZO
NUOVE TECNICHE DI GESTIONE DEL MELETO..................... 63
3.1 Il diradamento meccanico..................................... 63
3.2 La potatura meccanica........................................ 69
3.3 Le reti multifunzionali......................................... 73
3.4 Diserbo meccanico e gestione dell’interfilare............ 76
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CAPITOLO QUARTO
METODO LOUIS LORETTE............................................. 81
4.1 Significato dei termini........................................... 81
4.2 Scelta delle piante di melo................................... 82
4.3 Fattori che contribuiscono alla fruttificazione............. 82
4.4 Regole di potatura con il metodo Lorette.................. 83
4.5 Le pratiche della potatura.................................... 83
4.6 Principali pratiche di potatura............................... 86
4.7 Potatura di Agosto e Settembre.............................. 86
CONCLUSIONI......................................................... 88
RINGRAZIAMENTI..................................................... 101
BIBLIOGRAFIA – SITOGRAFIA....................................... 103
5
INTRODUZIONE
Questo lavoro rappresenta l’esperienza di tirocinio svolta, durante il corso di
laurea triennale in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio
Montano che mi ha reso partecipe alle indagini volte alla valutazione dei
moderni sistemi di allevamento del meleto e all’applicazione delle tecniche
necessarie alla sua gestione, presso l’azienda sperimentale Maso delle Part
della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (TN). L’azienda ha
una superficie coltivata di 10,70 ha, suddivisi in molte parcelle, con indirizzo
frutticolo a scopi sperimentali con prevalenza di meli, ma anche di peri e
ciliegi.
L’obiettivo principale nella coltivazione della mela, oltre ad aumentare la
produttività e la qualità, è quello di aumentare la sostenibilità economica ed
ecologica riducendo l’uso di prodotti chimici.
Lo scopo è quello di illustrare le forme di allevamento del melo partendo
dalle forme in volume (vaso, piramide, fuso, solaxe) fino ad arrivare alle
forme appiattite nel quale si trovano in sperimentazione i multiasse
semipedonabili/pedonabili “Doppio Guyot” presso la suddetta azienda.
In altre zone del mondo, come la Cina, nei sistemi intensivi ancora oggi si
trovano meleti formati da chiome con complesse strutture, con tre livelli di
organizzazione: il fusto principale, la struttura secondaria con rami robusti ed
i rami più corti con portamento legnoso. In esse, ovviamente, si cerca di
mantenere i frutti con la potatura invernale sulla parte periferica della
chioma per ottenere miglior qualità.
Nelle forme di allevamento appiattite o nelle moderne forme di allevamento
del melo si tende a mantenere sempre la struttura primaria, mentre per la
struttura secondaria, si è sperimentato che l’albero non necessita di questa,
perché lo porterebbe ad assumere forme voluminose con un ampiezza di
chioma molto accentuata, oggi non più sostenibile. La struttura primaria
legnosa rimane solamente su gli assi verticali in modo corto, priva di curve e
coperta da germogli fiorali che rivestono completamente il tronco.
I grandi rami causano ombreggiatura di fruttificazione ed hanno bisogno
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dell’operazione di estinzione delle gemme (extinction), di abbondante
potatura invernale a 3 gemme: tutte queste operazioni rendono più
difficoltoso il rinnovamento del legno fruttifero e ostacolano, ove è
consentito, qualsiasi tipo di meccanizzazione come i carri raccolta, il
diradamento meccanico e la potatura meccanica.
Quindi le chiome strette e piatte possono essere ottenute o con processi di
de strutturazione dal normale spindle oppure con la messa a dimora di piante
biasse (Bibaum), preformate in vivaio, dal quale si possono costruire in campo
più assi anche con la tecnica “Doppio Guyot” per ottenere impianti semi
pedonabili e pedonabili. Queste chiome, con profondità non più di un metro,
danno una miglior distribuzione della luce all’interno, e anche in luoghi con
climi caldi come il Cile possono essere applicate grazie alle nuove reti
multifunzione che prevengono la scottatura dei frutti con la loro modalità
ombreggiante.
Pertanto, si può affermare che le tecniche di coltivazione possono creare
differenti chiome in alberi geneticamente identici.
Mentre le forme a spindle raggiungono il loro massimo raccolto intorno al 4^
anno di produzione con una densità d’impianto superintesiva (5.000/6.000
piante ad ettaro) le forme multiasse con una modesta densità d’impianto
(circa 2.000 piante ad ettaro) continuano ad aumentare la produzione il 5/6
anno a scapito di una precoce messa a frutto nei primi anni ma ricompensata
da un minor investimento iniziale. L’ampiezza e l’altezza degli alberi può
essere facilmente ridotta con la potatura estiva “Lorette” per ottenere
impianti semi pedonabili (2,80 metri) o pedonabili (2,30 metri).
Nella gestione delle forme in parete viene ridotta notevolmente la
manodopera ad ettaro ogni anno per facilitare lo svolgimento delle operazioni
colturali nelle suddette chiome, in questo modo si ha anche una migliore
funzionalità nell’apertura e nella chiusura delle reti mono assiali multi
funzionali con la possibilità di effettuare trattamenti con tecniche
d’avanguardia ed il diserbo con pratiche meccaniche entrambi più rispettose
per l’ambiente e conseguentemente più sostenibili.
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CAPITOLO PRIMO
LE ROSACEE
La famiglia delle rosacee include circa 2000 specie distribuite soprattutto
nelle regioni temperate dell’emisfero boreale, che si spingono dalla costa
americana del Pacifico fino all’emisfero australe. Questa comprende piante
legnose ed erbacee con apparato vegetativo provvisto di foglie sparse con
stipole, fiori pentameri, ciclici, con 4 sepali, con 4 7 petali un certo numero
di stami, un certo numero di carpelli formanti un ovario seminifero (Fig. 1.1).
Le notevoli differenze all’interno
della famiglia hanno condotto ad una
suddivisione in sottofamiglie. Le
Spiraeoideae sono formate da un
ricettacolo quasi piano e un gineceo
formato da carpelli. Nelle Rosoideae
i carpelli sono sostenuti da un talamo
piano o concavo. Il frutto è una mora
formata da tante piccole drupe, nel
rovo (Rubus ulmifolius) e nel lampone
(Rubus idaeus); è un cinorrodio, quando numerose nucule si affondano nel
ricettacolo a coppa (Rosa). Nelle
Pomoideae (Fig. 1.2) i carpelli, contenuti
in un talamo cavo e saldati ad esso, sono in
numero di 2/5 e contengono molti ovuli. Il
frutto è il pomo, in cui la parte carnosa è
formata dal ricettacolo avvolgente. Nelle
Prunoideae è presente di solito un solo
carpello ed il frutto è rappresentato dalla
drupa, che può essere carnosa come nel
pesco (Prunus persica) o membranacea
come nel mandorlo (Prunus dulcis). La fecondazione di norma avviene in tutte
Figura 1.1: fiore del melo
Figura 1.2: Pomoideae
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le sottofamiglie per entomogamia. L’importanza economica delle Rosaceae è
rilevante. Basti pensare che buona parte della frutta che si consuma nella
regione mediterranea proviene da specie appartenenti a questa famiglia. Tra
le specie più diffuse ricordiamo il melo (Malus Domestica), il pero (Pyrus
communis), il nespolo del Giappone (Eryobotrya Japonica), il pesco (Prunus
persica), il mandorlo (Prunus dulcis), l’albicocco (Prunus armeniaca), il susino
(Prunus domestica), il ciliegio (Prunus avium), la fragola (Fragaria Vesca) e il
lampone (Rubus idaeus). Alcune rosacee sono diffuse come piante ornamentali
del genere Rosa.
1.1 Il melo
1.1.1 classificazione botanica
Il genere Malus appartiene alla famiglia delle Rosacee, sottofamiglia
Pomoideae. Le specie primarie sono suddivise in 5 sezioni (Malus, Sorbomalus,
Eriolobus, Chloromeles, Docyniopsis), la più importante delle quali è la
sezione Malus suddivisa in tre subsezioni (Pumilae, Sieboldinae, Kansuenses).
Pumilae e Sieboldinae comprendono le specie che hanno contribuito alla
selezione delle varietà coltivate oggi, classificate sotto la specie Malus x
domestica Borkh. Le prime specie nordamericane appartengono sia alla
sezione Malus, subsezione Kansuenses (Malus Fusca) sia alla sezione
Chloromeles (Malus angustifolia, Malus coronaria, Malus ioensis). Il numero
cromosomico del melo è n= 17 che deriverebbe per anfiploidia da due
ancestrali, uno a numero cromosomico n= 8 e uno a numero cromosomico n=9.
La maggior parte delle specie sono diploidi (2n=34), alcune possono essere
anche triploidi (Malus Domestica) e tretaploidi (Malus domestica, Malus
baccata, Malus spectabilis). La Malus coronaria è triploide, ma può essere
anche tretaploide. Alcune specie sono apomittiche, cioè in grado di formare
l’embrione diploide senza fecondazione, come Malus hupehensis, Malus
sikkimensis, Malus sargentii, Malus toringoides e Malus coronaria.
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1.1.2 Morfologia
1.1.2.1 ALBERO
Le tipologie dell’albero del melo sono diverse, ma le più comuni,
caratterizzanti le varietà coltivate, sono l’eretto, l’espanso e il pendulo. La
forma della chioma dipende dall’angolo di inserzione delle branche primarie
sul tronco e delle branche secondarie su quelle primarie, ma anche dalla
vigoria e dalla frequenza dei diversi tipi di rami a frutto. Le piante da seme
sono caratterizzate da una fase giovanile variabile dai 4/5 anni fino a 7/8
anni, in cui le piante sono
spinescenti, hanno foglie
piccole e non differenziano
gemme a fiore. La corteccia
dei rami è di colore rosso
bruno, liscia e con lenticelle
ben evidenti.
1.1.2.2 RAMI
Sono le formazioni assili di
un anno, massimo due, derivanti dai germogli modificati (Fig. 1.1.2.2.1). Si
differenziano in rami a legno quando sono provvisti solamente di gemme a
legno e in rami a frutto, quando sono provvisti sia di gemme a legno che di
gemme a fiore. Particolari tipi di rami a legno sono i succhioni originati da
gemme avventizie o gemme latenti presenti sulle branche e i polloni originati
dalle radici o dal colletto. I rami a frutto del melo sono il brindillo, la
lamburda, la borsa e il ramo misto. Il brindillo è un piccolo ramo, lungo dai 10
ai 30cm, di solito con gemma apicale mista e gemme laterali a legno. La
lamburda si differenzia in lamburda vegetativa (dardo) e in lamburda
fiorifera. La lamburda vegetativa è un ramo molto corto da 1/2cm a 7/8cm,
tozzo provvisto di una sola gemma terminale a legno che nell’anno successivo
evolverà in lamburda fiorifera che ha un gemma terminale mista. Invece, la
borsa deriva dall’ingrossamento della parte basale dell’asse dell’infiorescenza
e porta gemme vegetative che danno origine a dardi, lamburde e brindilli.
Figura 1.1.2.2.1: rami tipici
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1.1.2.3 FOGLIE
Le foglie sono alterne, di colore verde intenso, di forma variabile da
cordiforme a obovata e di varie dimensioni. Il margine può essere crenato,
dentato o seghettato. La pagina superiore, di solito, è glabra mentre quella
inferiore è tomentosa. Il picciolo ha una lunghezza diversa secondo le varietà.
1.1.2.4 GEMME
Nel melo si trovano due tipi di gemme: a legno che sono più piccole e
appuntite e miste che sono più grandi e tondeggianti. Le gemme miste
contengono l’apice vegetativo e i primordi dei fiori.
1.1.2.5 FIORE
È di solito perfetto formato da un calice con 5 lobi e da 5 petali di colore
bianco o bianco rosato, ma anche rosa o rosso, di forma e dimensioni diverse.
Gli stami sono in numero di 15 20 con antere di colore giallo, l’ovario è
infero, suddiviso in 5 logge contenenti ciascuna due ovuli e provvisti di 5 stili
filiformi con stigmi di colore giallastro. Il numero di carpelli è inferiore a 5
fino a un minimo di 2 (Malus fusca). I fiori variabili da un numero di 4 a un
numero di 9 sono riuniti in un corimbo provvisto di una rosetta di foglie. La
fioritura del corimbo inizia dal fiore centrale, dura 10 15 giorni e avviene nel
mese di aprile. Le cultivar triploidi (Renetta del Canada, Bella di Boskoop,
Stayman) producono poco polline con bassa germinabilità, per cui non sono
utilizzabili come impollinatori.
1.1.2.6 FRUTTO
Il frutto commerciale del melo è un falso frutto, detto pomo, che deriva
dall’accrescimento del ricettacolo fiorale ed è formato da un epicarpo, da un
mesocarpo polposo di colore bianco o bianco crema, raramente giallo e rosso
vino, e da un endocarpo coriaceo formato da 5 logge, avvolte da 5 carpelli,
contenenti 2 semi ciascuna. All’esterno si distinguono una cavità peduncolare
e una cavità calicina. Degli elementi di classificazione sono la posizione e la
morfologia della parte centrale del frutto (cuore). Le principali forme del
pomo sono: la sezione longitudinale (appiattito, ellissoidale, sferoidale,
tronco conico oblungo, tronco conico breve) e sezione trasversale (circolare,
costoluto, irregolare solcato).
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1.1.3 Storia
Già dall’antichità il melo era
presente selvatico o coltivato in
un’ampia area compresa tra il Mar
Caspio e l’oceano Atlantico. In
Europa nomi di cultivar appaiono
già nel I°secolo a.C.. Secondo lo
scienziato Valivov la sua origine è
esattamente in Kazakistan nella
parte confinante con la Cina ossia
Turkmenistan, Uzbekistan,
Tagikistan, Kirgizistan. Dopo la colonizzazione romana la sua coltivazione si
diffuse in Europa e in Asia. Prevalentemente esistevano forme selvatiche che
ancora oggi si possono trovare come la Malus sieboldiana (Fig. 1.1.3.1). In
America si diffuse solo dopo 2.000 anni dalla comparsa in Europa. Anche qui si
possono trovare ancora forme selvatiche come Malus docyniopsis. Infatti i
primi coloni trovarono inizialmente solo i crab apples destinate alla
produzione esclusivamente di sidro. Solo successivamente ci fu la prima
spedizione di semi di cultivar europee nel
Massachussets. Lungo il Danubio esistevano
fin dal VII^/VI^ millennio a.C. forme
selvatiche di melo utilizzate da Illiri e Celti
e coltivate nei territori che oggi
corrispondono all’Austria. I Celti
coltivavano questa specie in foresta,
mentre gli antichi sacerdoti celtici
consideravano il melo un albero sacro. In quasi tutta Europa sono state
ritrovate tracce della presenza di questa Rosacea nei villaggi palafitticoli, a
testimonianza dell’uso della mela nell’alimentazione in tempi preistorici.
Molte regioni italiane possono essere ricordate per la sua coltivazione fin
dall’antichità, infatti una varietà antichissima è Mala orcula per la sua
provenienza da Pozzuoli zona famosa per le solfatare e definita da Plinio il
Figura 1.1.3.1: forma selvatica Malus sieboldiana
Figura 1.1.3.2: mela rosa dei Monti Sibillini
12
Vecchio l’ingresso degli Inferi. Con il tempo si arrivò al nome definitivo ancora
in vigore: “Annurca”. Anche nelle vallate pedemontane delle Marche si
coltivava la mela rosa dei Monti Sibillini (Fig. 1.1.3.2), che prende il nome
forse dalla sfaccettatura rosa della buccia o dal profumo del fiore, simile a
quello della rosa. In Friuli i primi grandi produttori di mele furono i romani
che crearono la prima varietà di mela autoctona friulana. La diffusione della
mela nel territorio veronese risale sempre all’epoca romana: all’inizio
esisteva la coltura delle mele lanate perché ricoperte da una leggera
lanuggine poi nell’epoca romana arrivò anche la tecnica dell’innesto che
portò la diffusione dell’albero da frutta nella campagna romana. Le invasioni
barbariche causarono un decadimento dell’agricoltura che si protrasse per
oltre mille anni. Così l’uomo tornò a mangiare frutti selvatici e preferì
dedicarsi alla coltivazione dei cereali. Fortunatamente, alcuni monaci si
preoccuparono di salvaguardare e migliorare le varietà del periodo romano
sopravvissute alle invasioni barbariche. Soprattutto in Toscana, durante il
periodo rinascimentale, ci fu un forte impulso verso la frutticoltura. Sorsero
frutteti con varietà di pregio e condotti con tecniche innovative. La
melicoltura nelle Alpi si espanse quando i Conti del Tirolo trasferirono la loro
residenza da Merano a Innsbruck. Iniziò così l’esportazione del vino e delle
mele dell’Alto Adige.
La coltivazione del melo, soprattutto in provincia di Trento, assunse per
l’economia locale un’importanza cruciale (Carta di Regola della Villa di
Dardine). Questa regola derivò dalla necessità di limitare il taglio degli alberi
per gli usi domestici, e per salvaguardare la sopravvivenza degli alberi da
frutto, fondamentali per l’alimentazione della popolazione. La coltivazione
della mela proseguì con un’economia locale di sussistenza. I frutteti furono
impiantati in orti o in piccoli appezzamenti. Nel XVIII sec. ci fu un nuovo
interesse per la rinnovazione della pomologia. In quasi tutti i Paesi europei si
sperimentarono nuove specie, si conservarono e si diffusero le migliori varietà
del momento.
Tra la fine del XVIII^ secolo e con la seconda metà del XIX^ la coltivazione
della mela diventa di tipo imprenditoriale. In Friuli già nel 1885 si parlava di
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esportazione, le mele prendevano la strada dell’Europa asburgica e
dell’Egitto. Invece la frutticoltura piemontese nacque nel XVIII^, quando i
contadini oltrepassarono le Alpi in cerca di lavoro; essi importarono dalla
Francia nuovi innesti e nuove tecniche colturali. L’attività frutticola si
espanse sempre di più grazie all’Accademia di Agricoltura, fondata nel 1785 a
Torino. Molto importanti in Piemonte furono nel 1800 i vivai Burdin che con i
loro cataloghi oltre a far conoscere l’ampio assortimento varietale (oltre 800
varietà), indicarono nuove tecniche di frutticoltura. In Trentino invece,
sempre per lo stesso scopo, fu affidato il compito dal 1884 al maestro
ambulante di agricoltura. Successivamente per avere materiale cartaceo da
leggere e approfondire le tecniche di coltivazione, nacque il “bollettino
agrario” grazie al quale fu potenziata l’attività e la presenza sul territorio
dell’Istituto Agrario Provinciale di San Michele all’Adige. Partì inizialmente la
diffusione dei vivai privati, per poi arrivare alla costruzione di un vivaio
centrale curato direttamente dai tecnici. Già nel 1823 in Trentino Alto Adige,
con la fondazione della prima scuola di pomologia a Bressanone e
successivamente nel 1874 con il potenziamento dell’Istituto Agrario di San
Michele all’Adige iniziò la coltura del melo su larga scala. Si organizzarono le
prime e importanti mostre frutticole. Nel 1851 con l’istituzione della camera
di Commercio e Industria, a Bolzano si diffuse la frutticoltura con esposizioni,
sovvenzioni e incentivi agli agricoltori. Aumentò la diffusione della coltura con
il commercio della frutta resa possibile dalla costruzione della Ferrovia del
Brennero nel 1866. Nel 1895 fu formata la prima Società per lo scambio di
frutta trentina che contribuì sostanzialmente a far conoscere la produzione
locale e a diffondere i giusti criteri per la lavorazione e l’imballo della frutta.
I primi del Novecento iniziò la produzione frutticola su larga scala anche nel
veronese. Dal 1950 ad oggi parliamo di frutticoltura moderna, che ha visto e
sta vedendo ancora oggi tecniche di coltivazione e varietà in rapidissima
evoluzione. Per esempio la rivoluzione dei portainnesti nanizzanti,
introduzione di nuove varietà (Golden Delicious, Stark Delicious, Gala e Fuji).
Nella frutticoltura italiana più recente dobbiamo registrare un progressivo
spostamento delle coltivazioni dalle zone di pianura alle pedemontane e
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montane dell’arco alpino che, soprattutto negli ultimi anni, hanno confermato
una vera e propria vocazione per la produzione della mela.
La particolare produzione di mele “Renetta del Canada” nel 1949 spinse, oltre
ad attivare specifiche promozioni e pubblicità, l’adozione di un bollino
adesivo, da mettere sui singoli frutti, che garantisse l’origine e quindi la
bontà delle mele che venivano immesse sul mercato.
1.1.4 Storia dell’allevamento in Italia
Durante il primo periodo della dominazione Romana i frutteti venivano
coltivati nell’hortus, piccola proprietà contadina, in un’economia di
autoconsumo. Nel periodo successivo gli alberi da frutto come il melo
concorrono con le piante ornamentali. Con la decadenza dell’Impero Romano
d’occidente si creò un’agricoltura povera al limite della sussistenza. La
frutticoltura medioevale fu ristretta agli orti dei monasteri o ai giardini dei
castelli fortificati, protetta dai danneggiamenti degli animali o dalle
incursioni dei nemici. Nei giardini patrizi medioevali le piante da frutto
avevano un forte valore decorativo. Gli alberi da frutto (meli, fichi, peri,
ciliegi, cotogni, susini, noci, noccioli) si trovavano piantati, oltre che nei
giardini, ai bordi dei coltivi, nei brolii (orti alberati), nei prati o nei campi e
lungo i margini delle vigne per segnalare i confini. Il “giardino dei frutti”
diventa parte di un giardino più ampio e complesso. Con l’aumentare del
carattere ornamentale e di rappresentanza del giardino, il frutteto diventa
sempre più importante principalmente per le sue funzioni produttive. Infatti il
paesaggio agrario è l’insieme delle opere di bonifica e di irrigazione, delle
sistemazioni dei terreni, necessarie per il loro razionale sfruttamento.
Il paesaggio si estende e si apre verso nuovi orizzonti, verso le colline, spesso
trasformate dalle sistemazioni a ciglioni e poi a terrazze con i ripiani sostenuti
dai muri a secco. In Italia il rinnovamento culturale che interessa l’Europa lo
si può riscontrare nelle ville e nelle tenute dei principi che hanno gran parte
delle terre come proprietà. Il paesaggio si riorganizza in grandi aziende che
impiegano capitali non più solo per opere di abbellimento ma ai fini di un vero
e proprio investimento produttivo. In alcuni poderi si adottano modelli
colturali e varietà presenti in altre nazioni. Vengono effettuate opere di
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bonifica per ampliare le superfici coltivabili, sorgono Accademie Scientifiche e
di Agricoltura che diffondono l’istruzione tecnica. Le conoscenze agronomiche
innovative avviano le sperimentazioni in frutticoltura. Nascono i primi vivai
nei quali vengono allevati nuovi fruttiferi. Nonostante tutto, la frutticoltura
rimane di tipo familiare con produzioni eccellenti dovute per di più alla
rusticità delle cultivar e all’ambiente vocato rispetto alle tecniche.
Nel 1800, con l’unificazione d’Italia, il migliorare delle condizioni economiche
e il progredire dei mezzi di trasporto, fanno aumentare la domanda di frutta.
Così inizia la frutticoltura su larga scala nei territori dell’Alta Val d’Adige con
l’impiego di macchine operatrici. Inoltre con le nuove conoscenze scientifiche
e la formazione di tecnici specializzati si è potuto soddisfare le nuove
richieste. In questi anni le piante di mele vengono innestate su portainnesti
franchi (Fig. 1.1.4.1), molto vigorosi in quanto le piante dovevano superare i
50 anni di età. Perciò i meli vengono lasciati sviluppare liberamente. In tal
modo si contribuisce alla formazione di un paesaggio che fa parte della
melicoltura estensiva. Pure negli orti e nei giardini delle ville e dei castelli il
melo abbellisce l’ambiente. In essi prevalgono forme d’allevamento elaborate
da giardinieri esperti di metodologia francese i quali realizzarono palmette.
Successivamente alla seconda guerra mondiale la frutticoltura si espande
grazie all’orientamento dei consumatori non solamente su beni di prima
Figura 1.1.4.1: melo su portainnesto franco
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necessità come pane e pasta. La melicoltura si localizza inizialmente nella
Pianura Padana e sull’Arco Alpino. Si ha un primato produttivo negli anni ’50
in Emilia Romagna. Però dopo venti anni la produzione di mele si sposta verso
le regioni alpine. Così sono state introdotte nuove varietà, principalmente
americane, che hanno sostituito quelle coltivate da secoli. Le forme di
allevamento, piramide e vaso prima, seguite dalla palmetta sono state
sostituite successivamente dal fuso e dal fusetto. È stata mutata la fisionomia
dei meleti e conseguentemente quella dei paesaggi agrari con l’introduzione
di portainnesti nanizzanti, con l’affinamento delle tecniche di gestione del
suolo, con l’adozione di sistemi di irrigazione a goccia, con l’adozione di
difesa dalle avversità meteoriche e la meccanizzazione spinta di tutte le
operazioni colturali. Concludendo muta il paesaggio: dalla melicoltura
estensiva con piante di grossa taglia, sparse e consociate ad altre colture
agrarie si passa alla coltura intensiva moderna con filari ordinati, media alta
densità d’impianto e piante di dimensioni contenute.
Il paesaggio contiene e mostra la storia di un territorio che è segnato dalle
continue metamorfosi attuate dall’uomo che lo hanno abitato e lo abitano
tutt’ora. Principalmente è il luogo dove si incontra la storia e la natura. La
varietà dei paesaggi esprime le diversità naturali, i patrimoni colturali e
culturali e il modo di vivere e lavorare. In molti di questi paesaggi
“addomesticati” dall’uomo si legge la storia degli alberi da frutto da sempre
considerati utili e belli e che secondo Socrate “ è bello ciò che è adatto allo
scopo”. L’evoluzione della melicoltura verso sistemi intensivi e specializzati
ha determinato l’abbandono di vaste aree, soprattutto quelle svantaggiate dal
punto di vista orografico, un tempo destinate alla melicoltura estensiva.
Questi mutamenti hanno fatto sì che in Europa e soprattutto nel nostro paese
si possono distinguere due melicolture che originano paesaggi agrari
profondamente diversi tra di loro: sistemi estensivi quasi scomparsi o sempre
più rari rimanenti in aree marginali e sistemi intensivi tipici delle zone a
frutticoltura “ricca”. Tutte e due svolgono un ruolo importante nella società
contemporanea. Infatti l’agricoltura non si limita a svolgere ruoli primari ma
deve svolgere sempre più spesso ruoli multifunzionali o pluriattivi, legata alla
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produzione di nuovi servizi per la società, come il mantenimento del
paesaggio e della cultura locale. Occorre infatti che pure i paesaggi di
melicoltura intensiva esprimano la loro valorizzazione con i rispettivi ruoli
multifunzionali. L’ambiente frutticolo offre piacere e salute oltre che
paesaggio. Il viaggiatore che si muove con curiosità e interesse per scoprire le
produzioni del territorio è generalmente disposto ad imparare, ed ecco che le
mele acquistate in un certo posto sono in grado di raccontare la loro storia, di
come sono prodotte e di come e quando devono essere consumate per
gustarle meglio. Infatti le aree melicole sono in armonia con il turismo lento,
attento ai particolari, che si sviluppa in sinergia con il territorio.
1.1.5 Melicoltura estensiva
Nelle aree con orografia meno favorevole, dove da secoli l’ambiente serviva
per ottenere raccolti, anche se non abbondanti, di qualità particolare, sono
presenti ancora cultivar antiche, dai frutti con sapori unici e inconfondibili.
Fin da secoli, sistemazioni a terrazzi o gradoni fatti da muretti a secco e
sentieri precedevano gli impianti con ingegnose opere di canalizzazione. In
questi sistemi gli alberi sono disposti in modo sparso nei prati spesso in
coltura promiscua con altre essenze arboree o consociati con piante erbacee.
Questi paesaggi sono capaci di ricordare le vicende umane, il lavoro, la storia
le tradizioni e generazioni dopo generazioni. Nel caso del melo si tratta di
mele antiche che suscitano interesse e fascinazione. Ma per esigenze
economiche le cultivar autoctone sono state sostituite da quelle commerciali.
Esse hanno buone possibilità di sviluppo e interessanti prospettive di reddito
se vengono inserite in comparti economici particolari, con il recupero di usi
tradizionali e l’individuazione di prodotti innovativi per mercati di nicchia.
Mettendo insieme molte tipicità è possibile consentire la sopravvivenza di
aziende situate in zone interne e marginali, a patto che sappiano trasformare
i punti di debolezza (frammentazione, estensività, orografia) in punti di forza
(tipicità, salubrità, paesaggio).
18
1.1.6 Melicoltura intensiva
La totalità dei raccolti proviene da sistemi frutticoli intensivi che
caratterizzano la melicoltura da reddito. In Italia la superficie coltivata a
melo è circa 70.000 ha con
una produzione annua di
circa più di 2 milioni di
tonnellate. Abbiamo sistemi
disposti in lunghi filari, che
formano numerose linee
rette che creano un
paesaggio geometrico (Fig.
1.1.6.1). Gli areali melicoli
italiani più importanti si
trovano sull’Arco Alpino
dove i frutteti sono
incorniciati dalle vette
d’alta quota. I suoli, i
conoidi alluvionali e i depositi glaciali trasportati a valle nel corso di millenni,
sono ricchi di microelementi indispensabili alle funzioni fisiologiche delle
piante. Le valli alpine e le loro vallette laterali sono in grado di fornire ai
frutteti riparo e buona esposizione. I terreni declivi favoriscono lo sgrondo
delle acque e l’intercettazione della radiazione luminosa. L’ambiente
montano migliora le qualità organolettiche delle mele che presentano un
giusto rapporto zuccheri/acidi, polpa croccante e succosa, colorazione più
accentuata; la freschezza notturna riduce la respirazione che consuma gli
zuccheri elaborati attraverso la fotosintesi durante il giorno. L’intensa
radiazione luminosa e gli sbalzi termici giorno/notte accentuano il sovracco
lore della buccia per la presenza di pigmenti colorati (antociani) delle mele
rosse, mentre la bassa umidità atmosferica riduce gli attacchi dei parassiti e
limita gli interventi di difesa fitosanitaria. Le mele di montagna sono, inoltre,
meno rugginose e più intensamente colorate di quelle di pianura, hanno la
polpa più croccante e si conservano meglio. Le regioni dell’arco alpino
Figura 1.1.6.1: paesaggi geometrici che formano numerose linee rette
19
Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige certificano e premiano sia la
qualità dei raccolti sia le valenze paesaggistiche dei luoghi di produzione delle
mele. In Piemonte la coltura si sviluppa tra i 250 e 800 m s.l.m., ai piedi della
catena alpina, nello scenario di rara bellezza del Monviso, dove le mele
prendono la denominazione di “mela rossa di Cuneo”. L’areale piemontese
comprende 58 comuni della provincia di Cuneo e 20 comuni della provincia di
Torino con una superficie di circa 1800 ha e una produzione media di circa
70.000 t/ha. In Valtellina la melicoltura risale al Medioevo. Le prime
associazioni di produttori nacquero negli anni 20 del Novecento, a partire
dalla zona di Ponte dove i vigneti vennero convertiti in meleti per contrastare
la crisi della viticoltura. Nel 1992 si costituì il Consorzio di Tutela delle Mele
di Valtellina. La Valtellina si trova nel cuore delle Alpi Retiche e si estende da
Est a Ovest con quote che variano dai 200 m. s.l.m. ai 4.000 m. s.l.m. della
cima del Bernina. I meleti si estendono dai 200 fino ai 900 m di altitudine sul
versante settentrionale e su quello esposto a sud. La produzione delle tre
cooperative più grandi Ponte in Valtellina, Villa di Tirano e Alta Valtellina
ammonta a 30.000t/annui e interessa una superficie di 1.000 ha distribuita su
circa 1.100 piccole imprese.
Invece la mela della Val di Non in Trentino è stata la prima mela italiana ad
ottenere, nel 2003, il marchio DOP. Le mele DOP Val di Non sono prodotte
nell’area limitata della parte Nord Ovest della provincia di Trento a
un’altitudine compresa tra 450 e 900m s.l.m.. A protezione dell’ambiente i
frutticoltori che aderiscono al consorzio di tutela commercializzano le proprie
mele con il marchio Melinda, e devono rispettare sia il disciplinare della
produzione della DOP sia il disciplinare Melinda. Le regole prevedono il
rispetto del frutteto come parte integrante dell’ecosistema, la coltivazione e
la difesa delle piante come produzione integrata e il confezionamento
manuale delle mele. Inoltre, viene disciplinata anche la qualità intrinseca dei
frutti come il contenuto zuccherino, acidità, durezza; sono stabiliti vincoli per
la produzione/ha di mele e il numero massimo di piante/ha che si possono
mettere a dimora.
La Val Venosta, in Alto Adige, si estende dal Passo Resia fino a Merano. È una
20
delle più importanti zone melicole altoatesine e la commercializzazione dei
frutti interessa soprattutto la Germania. La coltivazione si estende dai 500m
s.l.m. ai 1.100m s.l.m.. Il microclima secco, le ampie escursioni termiche e la
presenza di sole per oltre 200 giorni/anno favoriscono raccolti di qualità.
Tutte le aziende sono di piccole dimensioni e fanno capo a cooperative più o
meno grandi. Le mele della Val Venosta sono distribuite dal consorzio
Associazione Produttori Ortofrutticoli della Val Venosta, con il marchio della
coccinella. Il consorzio delle cooperative ortofrutticole dell’Alto Adige, è la
più importante organizzazione europea per la commercializzazione delle
mele. L’area di coltura delle mele si trova lungo l’Adige tra Salorno e il
Burgraviato e nell’area frutticola nei pressi di Bressanone. Queste sono zone
che godono di condizioni climatiche particolari: circa 300 giorni di sole
all’anno, un’alternarsi di aria fredda e calda, terreni alluvionali leggeri o di
medio impasto e con un modesto contenuto di argilla. Di questo consorzio
fanno parte circa 21 cooperative ortofrutticole per un totale di circa 5600
aziende. Anche nelle regioni Centro Meridionali si stanno evolvendo, anche se
in numero limitato, sistemi melicoli intensivi. Come nel caso degli impianti
sorti nella Val d’Agri in Basilicata e alle pendici dell’Etna in Sicilia.
21
CAPITOLO SECONDO
FORME DI ALLEVAMENTO
La tecnica di riproduzione sessuale (propagazione gamica) della pianta del
melo è desueta perché i semenzali (cioè le piante derivate da seme) sono
molto disformi, impiegano un
tempo molto più lungo per
superare la fase improduttiva.
La disformità delle piante
propagate per seme dipende
dall’elevata eterogeneità gene
tica (eterozigosi). Le piante
sono ottenute mediante
moltiplicazione agamica cioè
una tecnica molto antica che
già veniva citata nel Libro del profeta Ezechiele (17, 22 23).Tale tecnica
consiste nell’unire porzioni di piante diverse in modo da ottenere un unico
individuo: il nesto (chioma) o oggetto o gentile (epibionte) e il portainnesto
(radici) o soggetto (ipobionte) (Fig. 2.1). Questa moltiplicazione consente sia
uno sviluppo più rapido della pianta rispetto alla semina sia di ottenere
individui identici alla pianta madre. In questa situazione bisogna fare molta
attenzione alla trasmissione dello
stato sanitario. Nel caso del melo
il portainnesto può essere
propagato da seme, e in questo
caso si chiama franco oppure come
lo è nella melicoltura moderna
propagato per auto radicazione
(portainnesto clonale).
I portainnesti clonali
Serie M
Figura 2.2: sistema di allevamento per portainnesti clonali
Figura 2.1: innesto
22
Sono il frutto di ricerche iniziate nel 1912, con la raccolta di numerosi tipi
spontanei in tutta Europa, ad opera di Wellington e proseguite da Hatton
presso la East Malling Research Station di East Malling, Maidstone, Kent,
Inghilterra.
Serie MM
È il frutto della collaborazione, iniziata nel 1922, tra la stazione sperimentale
di East Malling e lo John Innes Horticoltural Institute di Merton. A questo
progetto collaborarono Tydeman di East Malling e Crane di Merton. Lo scopo
iniziale era quello di formare portainnesti resistenti all’afide lanigero
(Eriosoma Lanigerum) che in quegli anni stava arrecando gravissimi danni ai
frutticoltori australiani. La fonte di resistenza a questo parassita fu
individuata nel Northern Spy e successivamente per molto fu utilizzato questo
portainnesto americano che poi cadde in disuso per la suscettibilità ad alcune
virosi.
Il portainnesto M7 è di media vigoria, ha l’apparato radicale espanso, ha una
buona precocità di messa a frutto con elevata tendenza ad emettere polloni
radicali. Preferisce buoni terreni ma sopporta anche quelli umidi e siccitosi.
Spesso è una valida alternativa all’MM106 per terreni umidi. È resistente agli
attacchi di Phytophtora mentre è sensibile agli attacchi di Agrobacterium
tumefaciens.
L’MM106 è un portainnesto di medio vigore che possiede un apparato radicale
ben sviluppato, con ancoraggio che varia da buono ad ottimo. Fornisce piante
di sviluppo paragonabile a quelle su M7. In alcune combinazioni d’innesto
induce una buona messa a frutto però è suscettibile all’oidio. Da evitare in
terreni poco drenati perché è sensibile al marciume del colletto.
I portainnesti conferiscono alla pianta da frutto precise caratteristiche:
vigoria, resistenza alla siccità e condizioni climatiche, adattamenti ai diversi
tipi di terreno e molto importante la regolazione della produzione e qualità
della frutta. La vigoria determina lo sviluppo e le dimensioni che verranno
raggiunte nel corso degli anni dalla pianta, ossia lo spazio fisico che verrà ad
occupare. Dal portainnesto dipende la distanza che le piante avranno nel
luogo d’impianto e il numero che potrà essere messo a dimora. Secondo la
23
vigoria il portainnesto viene
classificato in: vigoroso, di media
vigoria, debole o poco vigoroso.
Portainnesti vigorosi ritardano la
“messa a frutto” mentre quelli
deboli o di media vigoria
consentono una più rapida
entrata in produzione. Le forme
di allevamento si basano sulla
resistenza alla siccità e alle
condizioni climatiche ossia la
capacità per esempio di
adattarsi a una coltivazione
senza impianto di irrigazione. Il portainnesto influenza il rapporto vegetazione
e quantità di frutti prodotti, interferisce con la regolazione della produzione e
qualità della frutta e inoltre per alcune cultivar interviene sulle qualità
organolettiche e sulla conservazione post raccolta.
Successivamente negli anni ’60 vennero proposti degli impianti fitti di melo
per razionalizzare la frutticoltura italiana. Diffusi già da tempo in Olanda e in
Belgio su portainnesti deboli M9 e M26. All’inizio si ritenne che i portainnesti
deboli non avrebbero sopportato il freddo invernale, che le piccole strutture
delle piante non portassero le produzione desiderate e che un simile sistema
d’impianto fitto su portainnesti deboli fosse troppo complicato nella gestione
e troppo costoso. All’inizio si consigliarono distanze di 3,5 x 1,25m fino a 3,5 x
1,50m nel sistema a fila singola. Si passò ad una densità d’impianto dalle 600
800 piante fino ad arrivare alle 1800 2000 piante/ha. La forma dello slender
spindle (Fig. 2.3) assomiglia ad un cono/piramide con una parte basale più
larga mentre si restringe verso la sommità. Presenta tre o quattro branche
che si dipartono dal fusto intorno ai 50cm di altezza da terra, accompagnate
da branchette molto corte inserite elicoidalmente lungo il fusto che raggiunge
un’altezza di 2,5m/3m. All’impianto se l’astone è provvisto di rami anticipati,
di questi si scelgono i più adatti a formare il primo palco di branche, oppure si
Figura 2.3: slender spindle con ampiezza di chioma di 0,70 0,90 cm
24
spunta l’astone a 80 90cm da terra, allevando il germoglio più alto per
formare la freccia e altri 3 4 per formare il primo palco di branche. Verso la
fine dell’estate del primo anno di vegetazione i rami destinati a formare il
primo palco di branche vengono inclinati in posizione orizzontale. I rami sorti
sotto il primo palco vengono eliminati, come eventuali concorrenti dell’asse
centrale e della freccia. Durante la vegetazione del secondo anno si cimano e
si piegano i germogli vigorosi (soprattutto quelli con portamento verticale).
Alla fine del secondo anno si individuano altri rami adatti a formare un
secondo gruppo di branche. Il numero di esse dipende dallo sviluppo che
hanno assunto quelle più basse, per evitare di richiamare vegetazione in alto
e di limitare la vigoria della prima impalcatura. Al terzo anno la potatura di
formazione si fonde con quella di produzione. Gli interventi consistono nel
favorire lo sviluppo di rami tendenti all’orizzontale, nel diradare le formazioni
fruttifere per proporzionare la produzione allo sviluppo dell’albero,
alleggerire la parte alta della chioma e eliminare i rami sorti dorsalmente alle
branche. L’obiettivo è quello di mantenere anche la larghezza dell’albero
entro i 70 90cm per agevolare le operazioni meccanizzabili. Furono realizzati
anche sistemi a due o più file con un numero di piante/ha più elevato, per
avere produzioni iniziali ancora più abbondanti. I sesti potevano variare da
3,5m x 1/1,5m a 4 x 1,2/1,8m; gli investimenti teorici sono compresi fra le
2850 4000 piante per ettaro. Negli impianti ultrafitti vennero proposti di 0,5
1m con corsie di passaggio di 2,5m; la densità d’impianto risultava di 7000
14000 piante/ha. Lo scopo a più file fu l’utilizzo ancora più intenso della
superficie con minor corsie di transito per le macchine. La difficoltà era nel
ricavare spazio sufficiente tra le file interne, per facilitare il passaggio degli
operatori nelle operazioni colturali, e nell’ottenimento di una sufficiente
illuminazione della vegetazione per ottenere una buona produzione di qualità
soprattutto nell’età della piena capacità produttiva degli impianti. Si può
ottenere più produzione sulla fila singola del fusetto (slender spindle)
aumentando l’altezza delle piante fino ad un massimo circa di 3 metri. Si
prevede che per ogni 10 cm di altezza delle piante si ottengono circa 2 t/ha di
incremento produttivo. Per le operazioni colturali si ha maggior onerosità:
25
raccolta, potatura, diradamento manuale dei frutti (carri raccolta o uso di
scale). Si corre il rischio di un eccessivo ombreggiamento della parte inferiore
e interna delle piante, minor efficienza produttiva e qualità meno pregiata
dei frutti in queste parti della chioma. Per esempio la potatura verde può
essere applicata sia a mano, sia con barre falcianti, che portano ad avere una
lunghezza dei rami al di sotto di 0,5m. La potatura verde effettuata ad inizio
estate e quella effettuata in post raccolta è la principale tecnica che
permette di contenere la taglia delle piante e illuminare costantemente la
parte prossimale ai rami. Le piante coltivate a slender spindle possono
originare un muro fruttifero in questo caso chiamato parete. Questa parete
fruttifera è un frutteto siepe in cui la parte bassa del filare è stretta quasi
quanto la cima. Questo è possibile in ambienti dove gli alberi ad asse singolo
vegetano molto poco, come nel caso di numerose zone montane.
Portainnesto M9: induce una vigoria estremamente contenuta; gli alberi su di
esso innestati entrano precocemente in produzione; i frutti sono grossi e di
buon colore anche se tendenzialmente rotondi rispetto ad allungati.
L’apparato radicale è superficiale, con scarso ancoraggio, e per questo
necessita di sostegni. Predilige terreni fertili, umiferi, permeabili, irrigui ma
ha dimostrato buona adattabilità anche a terreni un po’ difficili, purché non
soggetti a ristagni idrici. Quando la temperatura del terreno raggiunge o
supera i 25 °C si ha un rallentamento dell’accrescimento dell’apparato
radicale di questo portainnesto. Induce sui giovani frutticini abbastanza
resistenza ai danni causati dalle gelate tardive. Ha una buona affinità
Figura 2.4: esempi di vigoria di alcuni portainnesti
26
d’innesto con tutte le cultivar anche se presenta un vistoso e caratteristico
ingrossamento al punto d’innesto. È adatto alla formazione di piante di vigoria
contenuta con forma di allevamento a fusetto, a palmetta e a spindel.
Portainnesto M16: caratteristiche da vigoroso a molto vigoroso; induce una
discreta resistenza ai freddi invernali ed un ritardo nel germogliamento alla
primavera; sopporta temperature
del terreno fino a 28°C. Mostra
buon ancoraggio ma non induce
una messa a frutto precoce. Si
propaga meglio per margotta di
ceppaia e propaggine di trincea.
Portainnesto M26: ottenuto
dall’incrocio M16 x M9. È stato
diffuso commercialmente nel 1959. Di limitato vigore, intermedio tra M9 e
M7, assicura un discreto ancoraggio della pianta pur mantenendo la necessità
di sostegni. Non radica molto facilmente. È molto sensibile, durante la
stagione vegetativa, agli eccessi di umidità. Adatto per la formazione di
piante di dimensioni medio piccole. Induce una certa resistenza ai danni dalle
gelate tardive.
2.1 Forme di allevamento in volume
Chioma sviluppata sia in altezza, che in larghezza che in spessore.
2.1.1 Vaso
Questa forma (Fig. 2.1.1.1), ormai oltrepassata, può essere ottenuta tramite
portainnesto propagato da seme (franco). Il franco presenta un apparato
radicale molto espanso che assicura un ottimo ancoraggio. Esso risulta rustico,
di notevole vigoria ed è caratterizzato da un buon adattamento alle diverse
condizioni del terreno, anche alle più difficili. Purtroppo, essendo derivato da
seme, è molto eterogeneo nel suo comportamento. È sicuramente un
portainnesto esente da virus. L’utilizzazione del franco come portainnesto del
melo è nettamente in contrazione con le metodologie della moderna
melicoltura. Il franco va a costituire nella pianta una forma a vaso.
2.1.1.1 VASO REGOLARE
Figura 2.1.1.1: forma a vaso
27
Il vaso è formato da un tronco dal quale si dipartono tre branche principali
inclinate di circa 30 45°rispetto alla verticale rivestite da branche secondarie
e terziarie disposte elicoidalmente. Le branche vanno a formare la struttura
scheletrica della chioma. Le branche secondarie sono inserite lateralmente
alle primarie, con distanza dall’inserzione delle primarie al fusto di 60 100
cm. Le secondarie sono più inclinate rispetto alle primarie. Ciascuna branca
secondaria porta branchette di sfruttamento e produzioni fruttifere. Delle
varianti potrebbero essere, per esempio, il vaso californiano con una
ramificazione in due e il vaso ritardato con l’impalcatura del primo e del
secondo anno. Le operazioni necessarie per la costruzione di un vaso sono:
primo anno a Marzo effettuare la spuntatura dell’astone a circa 60 80cm, a
Giugno Luglio scelta di tre germogli, con angolo di inserzione sul piano
orizzontale di 120°, che formeranno le branche principali poi in inverno
raccorciamento dei tre rami; il secondo anno a Giugno Luglio scelta di due
germogli per branca di cui il primo per prolungare la branca primaria e il
secondo per prolungare la sottobranca poi in inverno raccorciamento delle tre
branche e delle tre sottobranche; terzo e quarto anno scelta di due germogli
per branca e la seconda sottobranca sarà posizionata nella parte opposta alla
prima poi in inverno raccorciamento delle tre branche primarie a 80 100cm
dal taglio precedente. Le branche secondarie che sulle principali sorgono più
vicine al tronco sono chiamate branche secondarie di primo ordine; quelle
successive, branche secondarie di secondo ordine, e così via. Di solito, in un
vaso regolare ogni branca principale porta 3 4 branche secondarie.
2.1.1.2 VASO SEMPLIFICATO
È un vaso formato da tre branche principali inclinate di circa 45°rispetto alla
verticale, rivestite con branche secondarie molto corte e ricche di
vegetazione fruttificante, è adottata soprattutto per il pesco, con cultivar non
vigorose o in terreni di modesta fertilità. Non si provvede alla formazione di
normali branche secondarie e terziarie; già sulle branche principali si lascia
sviluppare subito (nel secondo anno dopo la piantagione) una certa
produzione e dopo, ricorrendo alla potatura a tutta cima, si utilizzano alcune
ramificazioni laterali di ogni branca principale per formare corte branchette
28
laterali. Le parti terminali delle branche principali devono sempre essere
mantenute leggere diradando i germogli anticipati. Per le cultivar meno
vigorose l’allungamento delle branche principali è frenato dalla fruttificazione
del prolungamento che si curva sotto il peso dei frutti; alla base cresce un
nuovo germoglio che lo sostituisce senza determinare un ulteriore
allungamento. Per le cultivar più vigorose è necessario un taglio di ritorno da
effettuare, durante il terzo o quarto anno, al di sopra del ramo di un anno,
diradando fortemente i rami vicini. Sulle branchette secondarie si diradano i
rami cercando di lasciare quelli inseriti più vicino alla base.
2.1.1.3 VASO RITARDATO
Dall’omonimo nome è un vaso che assume la sua forma dopo alcuni anni dalla
sua impostazione. Questa forma si ottiene facendo rivestire, nei primi anni,
l’asse principale dell’albero allevando a partire da 40 50cm alcune branche
laterali, distanziate e disposte su una linea elicoidale. Quando le branche si
sono ben sviluppate, si procede al taglio dell’asse di prolungamento sopra
l’ultima branca (Morettini,
1963). Per formare esso, dopo
aver spuntato l’astone all’altezza
voluta, si scelgono i 4 5 germogli
destinati a formare le branche
del vaso e si cimano gli altri
tranne quello che, sorto vicino al
taglio, riforma il prolungamento dell’astone. Questo prolungamento nei primi
tre/quattro anni, viene lasciato crescere in base alla proporzione delle
branche del vaso. Dopo i primi tre/quattro anni l’asse centrale viene
eliminato e così l’albero assume la forma definitiva. Le branche principali
sono rivestite da branche secondarie molto corte e ricche di vegetazione
fruttificante. L’abbondante fruttificazione iniziale permette di contenere lo
sviluppo vegetativo a vantaggio di tutte le operazioni colturali.
Ci sono inoltre, anche alcune varianti del vaso: il globo tipico degli agrumi, il
vaso cespugliato tipico dell’olivo e l’alberello tipico della vite.
29
2.1.1.4 VASO OESCHBERG
Negli anni cinquanta, in melicoltura, come forma si usava la Oeschberg,
originaria della Svizzera (dall’omonima località) che, nonostante la struttura
molto grande delle piante, permetteva una migliore penetrazione della luce
nella chioma e quindi anche una migliore qualità dei frutti prodotti, rispetto
al vaso naturale, grande e fitto. Per gli alberi su franco si consigliano sesti di
6 8m x 5 7m; per quelli innestati su portainnesti clonali, di meno vigore, i
sesti appaiono leggermente minori. Si arriva ad una densità d’impianto di 180
330 piante/ha. Si raggiunge un’altezza della pianta di circa 8 metri. La
precocità è veramente molto scarsa con un raggiungimento della messa a
frutto di anche 8 10 anni. Sono forme molte onerose dal punto di vista della
mano d’opera, impraticabili per le moderne operazioni di meccanizzazione.
Conseguentemente necessitano di scale per la potatura e la raccolta che sono
dei mezzi molto pericolosi dal punto di vista di sicurezza dell’operatore. La
forma di allevamento a vaso suscita ancora un certo interesse nei frutteti di
certe dimensioni, soprattutto in aree marginali, in agriturismi e frutticoltura
amatoriale.
2.1.2 Piramide
L’economia di mercato ha causato molti cambiamenti. Uno di questi è stato
anche l’intensificazione dell’agricoltura che ha comportato l’alta efficienza
della produzione e la capacità di
concorrenza dei produttori sul
mercato. Sono forme di melo più
basse. In questo metodo la pianta
viene lasciata ramificare natural
mente. Secondo gli schemi classici in
questa forma di allevamento l’albero è formato da un fusto verticale in cui la
freccia sorpassa la chioma e sul quale sono inserite le branche primarie,
inclinate di circa 45°e lunghe circa 1/3 della distanza che intercorre fra la
loro inserzione e l’apice del fusto.
2.1.2.1 PIRAMIDE A PALCHI
Qui le branche sono disposte a palchi ben distinti, ossia 50 100cm l’uno
30
dall’altro a seconda della vigoria dell’albero. Ogni palco è formato da 3 o 4
branche ed ogni branca è rivestita con branche secondarie e terziarie. La
forma può essere effettuata con la spuntatura dell’astone a 60 80cm da terra.
Vengono individuati i germogli che devono formare l’asse centrale e le
branche del primo palco. Le branche di quest’ultimo devono essere inclinate
di circa 45° rispetto alla verticale e dirette in modo da formare l’una con
l’altra angoli di 120°o di 90°. Questa forma può essere molto conveniente per
specie e cultivar con forte dominanza apicale, nelle quali la spuntatura
determina la nascita di vari germogli dalle gemme più vicine al punto di
taglio.
2.1.2.2 PIRAMIDE SPIRALATA
In questa forma le branche sono distribuite a spirale sull’asse centrale, con
opportuna distanza a seconda della vigoria dell’albero. Può essere formata
con discreta facilità con specie che emettono facilmente germogli anticipati
fra i quali è possibile scegliere ogni anno quelli meglio distribuiti lungo la
freccia.
2.1.2.3 PIRAMIDE OESCHBERG
Questa forma è formata da un asse centrale e da un unico palco di branche
che si trovano ad una altezza di 100 120cm da terra, rivestite con branche
secondarie e terziarie con andamento tendente all’orizzontale. L’asse
centrale, sopra l’impalcatura, è rivestito di corte branche orizzontali di
lunghezza decrescente dalla base verso l’apice. Tutti i germogli che sorgono
dorsalmente vengono eliminati. Le branche primarie vengono fatte crescere
con un’inclinazione limitata, pari a circa 30°rispetto alla verticale. È una
forma molto adatta per una razionale utilizzazione dell’energia luminosa nelle
regioni settentrionali.
2.1.3 Fuso
È simile alla piramide, ma differisce da questa per la lunghezza delle branche
che è pari ad 1/5 della distanza che intercorre fra la loro inserzione e l’apice
del fusto. La chioma assume un profilo più stretto e slanciato. Le branche
primarie sono rivestite di formazioni vegetative corte, con andamento
orizzontale e vengono potate in modo che ognuna forma un cono di
31
Figura 2.1.3.1.1 forma di
allevamento: fusetto tradizionale
vegetazione.
2.1.3.1 FUSETTO (SPINDLE)
Forma simile al fuso e alla piramide
ma con branche fruttifere
liberamente distribuite lungo il
fusto e con la chioma contenuta
mediante interventi di potatura
estiva. Si rinuncia alla rigida
disposizione dei vari palchi di
branche. Forma di allevamento
(Fig. 2.1.3.1.1) indicata per la
produzione in massa ma anche nel
giardino. Il melo a forma di fusetto ha l’altezza massima di 2,5/3,0 metri.
Nel melo la costruzione di questa forma è molto aiutata da portainnesti
nanizzanti. Almeno l’80% della frutta si può raccogliere direttamente già da
terra. Il fusetto a cespuglio (fuso basso), per esempio, è formato da un
insieme di branche più o meno erette, inserite a varia altezza sul fusto senza
alcuna gerarchia tra di loro. In essa l’asse centrale può anche mancare. È una
forma adatta per allevare alberi bassi con cultivar “spur” o su portainnesto
debole. Il fusetto per il melo prende origine da una forma adottata
nell’Europa centro settentrionale con il nome di spindelbush (cespuglio
fusiforme). Esso è simile a una specie di piramide libera, alta mediamente
3/3,5m, formata da un fusto provvisto di palco di branche a 60 80cm da terra
e di altre branche di lunghezza più o meno decrescente dal basso verso l’alto.
Nella formazione del fusetto il punto d’innesto dovrebbe essere almeno 10cm
sopra la superficie del terreno. L’obiettivo iniziale è quello di ottenere una
freccia di 2,5m di altezza sulla quale ci siano collocate in una spirale, quasi
regolare, delle branche secondarie. Non si può permettere la crescita di
branche primarie. Queste potrebbero rovinare l’equilibrio dell’albero cioè la
forma basale dell’albero potrebbe risultare deformata. L’albero dovrebbe
mantenere per tutta la sua vita la forma piramidale per captare la luce solare
nel migliore dei modi. Nella formazione del fusetto il primo anno in primavera
32
viene effettuata una spuntatura dell’astone a 80 90 cm da terra, inoltre se
non è provvisto di rami anticipati il germoglio più alto o l’apice dell’astone
indisturbato formerà la freccia. Successivamente viene effettuata una
cimatura dei germogli vicini alla freccia e scelta dei germogli più aperti. A
fine estate bisogna porre in orizzontale i primi 3 4 rami che formeranno il
primo gruppo di branche. Effettuare un’eliminazione dei rami sottostanti il
primo palco e di quelli concorrenti della freccia. Al secondo anno si cimano o
si piegano i germogli vigorosi verticali e quelli sorti sotto l’impalcatura con la
potatura secca. Al terzo anno si effettua una potatura di formazione e di
produzione insieme. Alla fine di questo anno bisognerà individuare il secondo
palco, favorire lo sviluppo di rami orizzontali, alleggerire la parte alta della
chioma, eliminare i rami sorti sulle branche dorsalmente, eliminare le
formazioni fruttifere invecchiate e infine mantenere le branche entro una
lunghezza di circa 70 120cm con tagli di ritorno. L’albero preformato in vivaio
presenta un asse centrale sul quale sono inserite 4 6 branche laterali inclinate
di circa 75 80° e distanziate tra di loro 50 60cm. Purtroppo risulta essere una
forma non completamente meccanizzabile e non può restringere molto i sesti.
Su portainnesto M7 o MM106 abbiamo sistemi con distanze di 5 x 3m e 4,5 x
3m con una densità d’impianto di 600 800 piante.
2.1.3.2 FUSETTO LIBERO
Si è diffuso per migliorare e accelerare la sua formazione e la sua messa a
frutto (Errani, 1982). Si procede con la spuntatura dell’astone e la scelta di
germogli più aperti, ponendo orizzontalmente verso la fine dell’estate i 3 4
rami che formeranno il primo gruppo di branche. Sulla freccia non si effettua
nessuna spuntatura fino a dopo il germogliamento del secondo anno.
Successivamente alla fine della fioritura si spunta la freccia sopra a un
germoglio debole e ben aperto e così si favorisce lo sviluppo delle branche
basali. Se queste, durante l’estate, mostrano ancora uno sviluppo debole
rispetto all’asse centrale, non si farà alcun tipo di intervento sulle
ramificazioni ma si interverrà nuovamente sulla freccia con un taglio di
ritorno che permetterà di ridare equilibrio a tutta la pianta. La spuntatura
della freccia dopo il germogliamento e il taglio di ritorno effettuato in estate
33
evitano lo sviluppo della vegetazione verso la parte alta della pianta.
Soprattutto la spuntatura se viene effettuata a fine Giugno, favorisce la
formazione di gemme a fiore. Oltre al taglio di ritorno, si può effettuare una
curvatura della freccia, eseguita sempre verso fine Giugno, con liberazione
alla ripresa vegetativa.
Ci sono state due modificazioni di esso condotte in Alto Adige per astoni privi
di rami anticipati (Sansavini e Corelli,l.c.). La prima modificazione prevede di
curvare ad arco l’astone poco dopo la piantagione, in modo da favorirne il
rivestimento con vari germogli, per poi riportarlo in posizione verticale in
estate. La seconda (superspindel) prevede di porre a dimora gli astoni con
distanze molto ridotte e di allevarli a tutta cima cercando di farli vegetare
poco e farli entrare prima in produzione.
2.1.3.3 FUSETTO PER CULTIVAR SPUR DI MELO
Le cultivar spur sono caratterizzate da comportamento basitono e precoce
entrata in produzione. In esse il fusetto si presenta sempre con branche
inclinate ma sempre dirette verso l’alto, al fine di evitarne la basitonia. La
formazione dell’albero non prevede né forti inclinazioni né piegature; è utile
quindi, nei primi anni spuntare i prolungamenti del fusto e delle branche per
richiamare la vegetazione verso l’alto. La potatura verde si limita a dare
un’inclinazione di circa 45°alle branche principali verso la fine dell’estate ed
a togliere i germogli che possono fare concorrenza alla freccia nei primi anni.
Molto importante è la potatura invernale che viene effettuata con
diradamenti e spuntature e con eliminazione o accorciamento energetico di
branche invecchiate.
2.1.3.4 FUSETTO SLANCIATO
Proposto da Lespinasse, in Francia, prevede un allevamento a tutta cima con
fusto rivestito di branchette fruttifere senza formazione di branche
permanenti. La densità di piantagione è molto elevata (circa 2.000 alberi/ha)
potendo porre le piante a circa 1 metro di distanza sulla fila.
2.1.3.5 FUSETTO BASSO O CESPUGLIO
Con questa forma si sfrutta la basitonia costituendo una specie di cespuglio
formato da numerose branche più o meno erette. La formazione è molto
34
facile, ma occorre molta attenzione per mantenere vitale la pianta attraverso
imminenti diradamenti e accorciamenti di branche. Anche le cultivar standard
possono essere allevate con questo sistema se vengono innestate su soggetti
molto deboli (portainnesto M27).
2.1.4 Solaxe
Sistema d’impianto proveniente dalla Francia che ha come obiettivo la
diminuzione dei costi d’intervento e della manodopera con una riduzione
della densità di piante per ettaro, precoce
messa a frutto, riduzione dell’alternanza di
produzione e controllo sulla carica
fruttifera. In questo sistema lasciando
sviluppare la branca liberamente si
favorisce l’accrescimento e fruttificazione
migliorandone la qualità e la regolarità
(Lespinasse,1990; Hucbourg e Aymard,
1996), le varietà meno alternanti hanno
borse terminali molto voluminose e
l’autonomia dei brindilli permette
produzioni più regolari e di qualità
superiore (Lespinasse et Delort,1993)(Fig.
2.1.4.1), c’è una relazione tra
diradamento naturale delle lamburde, detto
extinction e la regolarità di produzione borsa
su borsa, si risalta il diradamento artificiale
delle lamburde come mezzo di allevamento
per migliorare la qualità e la regolarità della
fruttificazione nelle varietà che a differenza di
Granny non riescono ad autoregolarsi (Larrive
et al.,2001 ; Larrive, 2002; Lauri et al., 2000;
MAFCOT, 1999), messa in opera della conduite
centrifuge per migliorare la penetrazione della
luce nell’albero, si ha miglior colorazione dei
Figura 2.1.4.1 forma di allevamento: solaxe
Figura 2.1.4.2: acrotonia
35
frutti e perennità degli organi fruttiferi (Larrive et al.,2000; MAFCOT, 2000).
La pianta allevata con questo sistema presenta una forma assiale evolutiva
verso l’acrotonia (gradiente vegetativo per cui i germogli terminali di un ramo
tendono a svilupparsi più di quelli mediani e basali) con un portamento più
libero (Fig. 2.1.4.2). Sull’asse centrale, che viene lasciato intero, sono
inserite le branche fruttifere, lasciate anch’esse sempre intere. Quindi, né
l’asse centrale né le branche dovranno essere accorciati o semplificati.
Durante lo sviluppo le branche si rivestono di fruttificazioni secondarie
(brindilli e lamburde), mentre la gemma apicale delle branche fruttifere
evolve a frutto con l’effetto dell’inibizione della dominanza apicale e
contenimento dello sviluppo della branca. In questo modo la pianta raggiunge
in modo naturale un equilibrio tra la messa a frutto e l’accrescimento
vegetativo. La pianta assume una forma di salice piangente, poiché, le
branche con il peso dei frutti o con interventi di piegatura, si orientano verso
il basso. Il controllo della fruttificazione può essere riassunto in 5 punti: 1
favorire la ramificazione alta per assicurare un buon sviluppo delle branche
fruttifere, 2 piegare le branche fruttifere lasciate libere per anticipare
l’induzione fiorale, 3 controllare lo sviluppo dell’albero e del suo equilibrio
con la piegatura della cima e il mantenimento completo della ramificazione, 4
controllare la densità dei punti di fruttificazione con l’eliminazione di parte di
gemme (extinction) per mantenere l’autonomia di produzione sull’intero
albero cercando di distribuire in modo equilibrato il carico produttivo e la
spinta vegetativa, 5 privilegiare i punti di fruttificazione che si sviluppano
nella parte periferica della ramificazione con l’eliminazione graduale di
formazioni fiorali poste nella parte interna della pianta (conduite centrifuge).
Durante la messa a dimora è importante rispettare un’altezza minima di 10
15cm tra il suolo e il punto d’innesto, importante per l’omogeneità del
frutteto e legare le giovani piante per evitare che il vento le scuota troppo
penalizzando l’inizio dell’attività delle radici. Dalla giovane piantina devono
essere eliminati i rami anticipati al di sotto del metro e quelli di vigore uguale
o superiore all’asse centrale. Bisogna favorire lo sviluppo dell’asse centrale e
piegare le branche. Continuare la legatura dell’astone ai fili superiori e
36
conservare le ramificazioni. Successivamente piegare i rami al di sotto
dell’orizzontale, di circa 110°rispetto alla verticale, per anticipare
l’induzione a fiore nella parte apicale del ramo. La piegatura deve essere
effettuata o in autunno o all’inizio della primavera su branche che hanno
raggiunto una lunghezza maggiore ai 60cm. Inoltre evitare la piegatura delle
branche lungo il filare, ma disporle verso l’esterno tra i filari, per favorire una
migliore penetrazione della luce. Per dare alle branche il giusto angolo di
curvatura si consiglia l’utilizzo di un filo di ferro di 1,5mm di diametro e di
lunghezza variabile secondo l’esigenza. È consigliato non piegare più di 3 o 4
ramificazioni per pianta perché la piegatura di tutte le branche potrebbe
penalizzare il volume produttivo dell’albero. Rimane il fatto che comunque
più la pianta è vigorosa e più branche verranno piegate. Durante il periodo
Giugno Luglio risulta efficace eliminare i ricacci vegetativi che si sono formati
sul dorso delle branche vicino alle piegature. Al terzo anno viene piegata la
cima dell’asse centrale. La piegatura si effettua quando la cima supera i 70 90
cm l’ultimo filo di sostegno e con una curvatura piuttosto ampia. Questo
migliora l’equilibrio generale dell’albero. In alcune varietà non è sempre
necessario piegare le cime perché si piegano da sole con il peso dei frutti. Al
quarto anno vengono effettuate ancora le piegature alle branche più vigorose
che non si piegano sotto il peso dei frutti. Durante il periodo invernale si crea
un camino di luce nella parte centrale della pianta asportando le lamburde
dell’asse centrale e quelle poste nei primi 15 20cm dal punto di inserzione
delle branche con il tronco.(Conduite Centrifuge) Questa operazione si attua
creando una zona senza vegetazione intorno al tronco che permette alla luce
di penetrare anche nelle parti più basse e interne della pianta. Quest’ultime
operazioni descritte sono un’evoluzione supplementare del solaxe nella
conduzione della ramificazione fruttifera. Questo quarto anno, secondo la
varietà e se non ci sono stati problemi durante la formazione delle piante,
corrisponde al primo anno di forte produzione. Ad esempio, l’assenza di tagli
di ritorno sulla ramificazione porta all’invecchiamento delle branche e
all’aumento, nel tempo, dei punti di fruttificazione. Diventa quindi
importante intervenire sulla pianta per regolare il rapporto tra produzione e
37
accrescimento ed evitare di incorrere in fenomeni di alternanza.(Extinction
finale). Si effettua un diradamento degli organi fiorali. Quest’operazione sarà
realizzata manualmente solo sulle branche piegate sotto l’orizzontale e ben
equilibrate, iniziando con l’eliminazione di tutte le lamburde più deboli e di
tutte quelle che si sono sviluppate sotto la ramificazione, perché poco esposte
alla luce e perché producono frutti di scarsa qualità. Appena dopo risulta
importante determinare l’intensità dell’extinction, cioè il numero di organi
fruttiferi ideale da lasciare sulla piante per ottenere produzioni di qualità.
Questa extinction, come tutte le potature, se troppo severa rischia di far
prevalere il vigore mentre se troppo blanda rischia di produrre frutti di scarsa
qualità. Tutti i lavori principalmente riguardanti la conduite centrifuge e
l’extinction sul melo si sono sviluppati in Francia sotto la guida di Jean Marie
Lespinasse (ricercatore INRA di Bordeaux ideatore della taille lounge). Il
gruppo MAFCOT mise a punto un metodo oggettivo di misurazione e controllo
del numero di gemme per ottenere la produzione desiderata. Semplicemente
una sorta di dosaggio dell’operazione extinction. Il metodo si basa sulla
misurazione del diametro delle branche fruttifere e sul calcolo del numero di
gemme a fiore da lasciare per ogni branca. La misurazione delle branche è
improponibile da effettuare sull’intero frutteto, per questo si fanno una serie
di simulazioni misurando un numero di piante rappresentative
dell’appezzamento. In base ad un calcolo che considera la pezzatura
desiderata dei frutti e la produzione ad ettaro che si vuole realizzare viene
deciso il numero di gemme da lasciare per ogni cm² di branca.
Il dosaggio dell’extinction per l’impostazione del calcolo:
valutazione del potenziale produttivo del frutteto con l’aiuto di un
tecnico.
determinare la somma delle sezioni delle branche selezionando 5 piante
rappresentative del frutteto, misurando il diametro delle branche e
calcolando l’area della sezione di ogni branca e per ogni pianta effettuare
il calcolo della media.
determinazione del numero dei punti di fruttificazione per cm² di sezione
della branca.
38
CALCOLO AREA DELLA SEZIONE IN CM²: 3,14 x (raggio in mm)²/100
Raggio=diametro/2
Stimando, ad esempio, un potenziale produttivo di un frutteto a 300q/ha di 4
anni, con sesto d’impianto 4 x 1,25m e densità d’impianto di 2.000
piante/ha,per l’obiettivo commerciale di 5,2 frutti per kg (pezzatura frutti
75/80mm per un peso di circa 192 grammi) si ha: 30.000kg/ha x 5,2/2.000
piante x ha= 78 frutti per pianta. Con gli opportuni rilievi in campo ricaviamo
un’area con sezione media delle branche delle piante prese in considerazione
di 20,7 cm².
78frutti/20,7 cm²= 3,76 frutti/cm²di sezione
Considerando un frutto per mazzetto con un margine del 10% per ottenere una
produzione stimata a 300q/ha, con frutti di 190 grammi circa, durante
l’operazione di extinction si dovranno lasciare 4 punti di fruttificazione per
ogni cm² di sezione di branca.
Questo calcolo serve per distribuire il potenziale produttivo del meleto sulla
ramificazione fruttifera; determinando il numero delle gemme da lasciare, in
base alla sezione delle branche, si procede con l’extinction. Questa
operazione trova la sua migliore attuazione nel periodo che va dai mazzetti
affioranti fino alla fioritura. Per migliorare la distribuzione degli organi
fruttiferi sull’insieme della chioma e per velocizzare le operazioni di
extinction viene usato un regolatore chiamato equilifruit (Fig. 2.1.4.3) su cui
è indicata l’area della sezione
della branca e il corrispondente
numero di gemme da mantenere sulla branca stessa; passati i due anni di
extinction la potatura annuale
diventa più semplice basandosi
sull’equilibrio fisiologico della
pianta. Nel solaxe, non essendo
previsti cospicui e laboriosi
interventi di potatura di rinnovo,
quando l’accrescimento della
ramificazione fruttifera nella parte
Figura 2.1.4.3: regolatore equilifruit
39
più periferica inizia ad esaurirsi, diventa necessario ringiovanirla con moderati
interventi di ritorno per rinvigorire i punti restanti. Con questa forma de
allevamento si hanno densità d’impianto di circa 2.000 piante/ha, facendole
crescere fino a 2,5m/3,0m di altezza. Una problematica di essa potrebbe
essere che la cima piegata ombreggia spesso in modo eccessivo le parti
sottostanti; nel condurre questa forma di allevamento ci possono essere dei
casi particolari: Jeromine (Red delicious standard), gruppo fuji, gruppo
braeburn e ambrosia.
Jeromine (Red Delicious Standard)
Per questa varietà, poiché è molto sensibile alla butteratura amara, si devono
evitare eccessive eliminazioni di formazioni fruttifere e piegature dei rami
troppo accentuate. Nelle piante più vigorose, dove si devono asportare le
branche mal inserite o in numero eccessivo, si possono effettuare eliminazioni
mediante la tecnica dello strappo che però andrebbe evitata su piante deboli.
Gruppo fuji
Degli accorgimenti che si possono applicare, oltre alla normale gestione a
solaxe, sono: mantenimento del portainnesto al di sopra del piano campagna;
mantenimento di branche un po’ più vigorose nella parte bassa della
pianta per limitare il portamento acropeto;
nelle piante con vigoria scarsa, oltre al primo anno, eliminare la
produzione del secondo in modo di favorire la formazione di punti a frutto
su legno di età diverse;
concentrare le operazioni di potatura in fioritura in modo da riconoscere
le gemme fiorali;
mantenere il più possibile la complessità delle branche evitando tagli di
ritorno che provocherebbero riscoppi vegetativi notevoli;
applicare il diradamento meccanico al fine di regolare il carico produttivo
a partire dalla fioritura;
eventuali raccorciamenti vanno eseguiti nel periodo estivo.
Ambrosia
Cultivar di mela nata in Canada alla fine degli anni ’80. La particolarità di
questa mela è di essere nata per caso grazie ad una mutazione naturale, non
40
generata e prodotta in laboratorio. È l’unione di tre tipi di mele diverse: Red
Delicious, Gold Delicious e Jonagold. Fu scoperta dalla famiglia Mennel nella
Similkameen Valley.
Nella fase di produzione è molto importante favorire l’esposizione dei frutti
alla luce eliminando eventuali rami ombreggiati. Infatti è importante formare
il camino centrale e distanziare le branche almeno 40 50cm l’una dall’altra.
Nel corso della potatura secca con buon equilibrio vegeto produttivo è
possibile eseguire tagli di ritorno su due o più anni in prossimità della
lamburda: questa operazione è da evitare in impianti molto vigorosi dove si
consiglia di mantenere le branche lunghe.
Gruppo braeburn
A causa dell’elevata potenzialità di questo gruppo di cultivar la potatura di
produzione dovrà essere attuata anche sui rami di un anno. Per questo deve
essere effettuata con raccorciamenti su rami di due anni su una gemma a
fiore. Sulle piante in piena produzione si dovranno effettuare raccorciamenti
anche sui rami dell’anno. L’applicazione dell’extinction si dovrà operare
solamente da inizio fioritura cioè quando è ben definito il potenziale
produttivo.
2.1.5 Sistema a Y (tatura trellis)
Forma di allevamento proposta in Australia (dal nome della stazione
sperimentale australiana Tatura) adottata maggiormente in cerasicoltura
(figura 2.1.5.1). Dall’astone della
pianta si fanno partire due
germogli che si legano a forma di Y ai fili di sostegno, in modo che dall’alto
possono arrivare i raggi solari a
tutte le parti interne della pianta.
Ogni pianta è formata da due
branche principali a V inserite su
un tronco di 30 50cm e orientate
in direzione opposta all’interfila e
inclinate dai 30° ai 45° rispetto
alla verticale. Una maggior
Figura 2.1.5.1: forma di allevamento ad Y
41
apertura conviene per cultivar di melo più vigorose (Bellini, 1990; Sansavini e
Corelli, 1990) Le branche si dipartono dal tronco ad un’altezza di 50 60cm:
questo sistema prevede una doppia intelaiatura fissa di pali e fili. Le
ramificazioni laterali delle due branche vengono fissate all’intelaiatura in
modo da formare una lisca di pesce, mentre quelle che nascono dorsalmente
o inferiormente vengono contenute attraverso cimatura o speronatura o
addirittura eliminate con scacchiatura. Si consiglia per portainnesti di medio
elevato vigore con cultivar di medio elevato vigore; le distanze consigliate
sono di 5,5m x 1,25/2,5m a dipendenza della combinazione prescelta.
L’altezza da terra della parete inclinata raggiunge circa i 3,5m. Questa forma
consente un’elevata densità di piantagione, un’uniforme distribuzione delle
ramificazioni e del fogliame permette una notevole intercettazione
dell’energia luminosa e rende massima l’efficienza fotosintetica delle foglie,
la superficie piana e uniforme della parete consente di poter effettuare
facilmente la potatura di produzione verde e la raccolta. Questo sistema non
si è diffuso nella pratica della melicoltura per un forte impiego di manodopera
nella fase di allevamento come per esempio l’eliminazione di germogli sul lato
della parete rivolta verso l’alto. I costi di produzione e le forti spese per
formare l’intelaiatura di sostegno, risultano molto elevati.
2.1.6 Sistema a V
Serve per preferire il sistema a fila singola e contemporaneamente
intensificare l’impianto. Le distanze d’impianto sono 3,5 x 0,7/0,8m con una
densità d’impianto che varia da 3.500 a 4.000 piante/ha. Con tale sistema si
aumentano le produzioni iniziali e la capacità produttiva. Ciascuna pianta
della fila si lega in modo alternato a destra e a sinistra a un sostegno a forma
di V. I paletti di sostegno si piantano inclinati di 25/30°rispetto alla
perpendicolare del terreno e devono essere alti almeno 2m e aperti in alto
circa 1 metro in modo da permettere alla luce di penetrare tra queste piante
a forma di V. Se viene effettuata una formazione del fusetto corretta si
potrebbe avere una migliore qualità finale per una migliore distribuzione della
luce all’interno della vegetazione. Le varietà a frutto rosso sono quelle che si
adattano meglio a questo impianto, necessita mantenere però una forma
42
molto slanciata della pianta altrimenti nella parte bassa e interna dell’albero
si potrebbe verificare una zona d’ombra. Questo tipo di allevamento necessita
di strutture più costose poiché lo sviluppo degli organi vegetativi tende a
forzare verso l’interno con la posizione inclinata, pertanto si richiede più
lavoro di potatura di allevamento e di produzione. Rispetto alla fila singola si
hanno produzioni qualitativamente più elevate, dato il maggior numero di
piante/ha ma non aumentano i quantitativi. Infatti questo sistema di
allevamento è stato applicato molto poco nei frutteti.
2.1.7 Lincoln Canopy
Forma di allevamento studiata presso il Lincoln College di Christchurch in
Nuova Zelanda per formare una chioma che possa permettere l’esecuzione a
macchina della potatura e della raccolta. È formata da un fusto alto circa
1,50m e da una chioma formata a pergolato piatto. Il fusto viene spuntato a
circa 1,50m da terra, e i rami che sorgono presso il punto di taglio, quelli
migliori vengono incrociati. Questi formano due branche orizzontali disposte
lungo il filare. La pergola è larga 2,5/3,0m. Le branche che formano il piano
della pergola sono distanti tra di loro di 30/40cm e sono formate da corte
branchette. I sesti d’impianto consigliati sono 4,5m x 2,4m con una densità di
piantagione di 750 alberi per ettaro. Questa è una forma di allevamento che
richiede un notevole impegno di potatura, soprattutto verde, per limitare lo
sviluppo di germogli e rami verticali sulla parte superiore della pergola. Il
vantaggio rimane in una migliore intercettazione luminosa con possibilità di
realizzare potatura e raccolta meccanizzate.
2.2 Forme di allevamento appiattite
La chioma è sviluppata secondo un piano verticale (spalliera) o orizzontale
(pergolati). Sono numerose le forme di allevamento dei fruttiferi aventi in
comune la distribuzione del fusto e delle branche in un unico piano verticale
sostenuto da un’armatura di pali e fili. Lo spessore delle spalliere risulta
molto ridotto. In queste forme si ha una migliore esposizione dell’apparato
fogliare alla luce, una più facile esecuzione dei trattamenti antiparassitari e
delle altre operazioni colturali (potatura e raccolta).
2.2.1 Palmetta
43
Forma di allevamento alta, molto antica, nel tempo ha subito molte
evoluzioni: innanzitutto modello rigidamente geometrico palmetta Verrier o
candelabro. Essa è formata da più palchi sovrapposti formati da una coppia di
branche a U. Ci sono diverse tipologie: palmetta regolare a branche
orizzontali, palmetta regolare a branche oblique, palmetta irregolare
anticipata a cui corrisponde il massimo sfruttamento economico della pianta.
Nella palmetta irregolare (o libera), le branche sono oblique ed inserite
irregolarmente sul fusto verticale mentre nella palmetta irregolare anticipata,
la formazione dello scheletro parte dai rami anticipati e si attua secondo i
criteri della potatura a tutta cima.
Alla fine degli anni’50 e negli anni’60 in pianura Padana, soprattutto nel
ferrarese, si sviluppa la forma a palmetta (palmetta ferrarese o palmetta
Baldassarri a branche oblique), con branche portanti oblique che si dipartono
dall’astone centrale su 2 4 piani. Fu introdotta dall’esperto frutticoltore
dell’ispettorato provinciale dell’agricoltura di Ferrara Tomaso Baldassarri. I
principi fondamentali si basarono su: ridurre al minimo la struttura scheletrica
degli alberi, non raccorciare mai i rami di un anno, tranne quelli a formare le
parti principali dello scheletro, limitare al minimo i tagli durante la potatura
di formazione e curare l’opportuna inclinazione delle branche principali per
mantenere in equilibrio la vegetazione delle varie parti della pianta
(Fideghelli e Monastra, l.c.). Essa si presentava come una parete a frutto
stretta e alta lungo il filare. Anche in Alto Adige negli anni ’60 si adottò
questa forma di allevamento. Dopo qualche anno si adottò una nuova forma di
palmetta formata da una o al massimo due impalcature con distanza tra le
due di circa 1 metro. L’asse centrale invece formava uno spindle. Infatti
nell’Alto Adige c’era un solo palco con due branche oppure due palchi formati
da quattro branche. I due palchi formati da quattro branche potevano essere
innestati anche su portainnesto franco con distanze d’impianto di 5m x 5m
oppure 5m x 4m con densità d’impianto di 400/500 piante/ha, mentre con
l’impiego di portainnesti un po’ più vigorosi le distanze risultavano di 4m x 4,5
x 3m con densità d’impianto di circa 800 piante/ha. In questo modo si ottenne
una maggior entrata in produzione, con produzioni più elevate durante gli
44
anni e più facile impiego delle macchine lungo i filari.
2.2.1.1 PALMETTA REGOLARE A BRANCHE OBLIQUE
Per la formazione della palmetta il primo anno viene effettuata una
spuntatura dell’astone a 80/90cm. Nel mese di Luglio vengono scelti tre
germogli: quello più vicino al taglio formerà il prolungamento dell’asse
centrale mentre i due laterali, opposti e con angolo di inserzione ampio, le
branche (Fig. 2.2.1.1.1). Poi le branche laterali vengono inclinate a 45°.
Nell’inverno viene tagliato l’asse centrale per la seconda impalcatura. Il
secondo anno, a Luglio,
viene scelta e effettuata
l’inclinazione di tre rami
per la formazione del
secondo palco, mentre in
inverno viene effettuato il
taglio dell’asse centrale
per la terza impalcatura. Il
terzo anno si procede con
le stesse operazioni del
secondo anno. Tra la prima
e la seconda impalcatura si lasciano 2 o 3 rami in posizione orizzontale per
formare branchette di sfruttamento. Esse potranno essere eliminate più tardi
quando verranno sostituite dal rivestimento delle branche primarie. I rami
destinati a formare branche secondarie sulla prima impalcatura vengono messi
in posizione orizzontale lungo la linea del filare. Queste branche sono
destinate a riempire lo spazio che resta libero fra due branche primarie di
piante vicine. Una volta che, in relazione alle distanze fra le piante, scelte in
base alla loro vigoria, le branche laterali hanno raggiunto la lunghezza voluta,
i loro prolungamenti vengono lasciati intatti in modo che fruttifichino. La
pianta raggiunge un’altezza di 3/4 m.
2.2.1.2 PALMETTA ANTICIPATA
È ottenuta partendo da un astone robusto provvisto di rami anticipati che si
sono sviluppati nel vivaio, in maniera che il primo palco di branche possa
Figura 2.2.1.1.1: palmetta regolare a branche oblique
45
essere formato con due di essi così subito al primo anno viene individuato il
secondo palco, o utilizzando altri due rami anticipati presenti alla giusta
altezza o utilizzando due rami anticipati che si formano all’altezza voluta. Il
tipo di potatura utilizzato è la potatura a tutta cima. Occorre far sviluppare
nei primi anni la prima impalcatura, prima di procedere alla sua inclinazione
definitiva: questa forma di allevamento è conveniente per terreni fertili e
cultivar vigorose.
2.2.2 Sistema a drapeau
È un vecchio sistema d’allevamento sviluppato inizialmente per gli impianti di
pero negli anni’60 soprattutto in Belgio e in Francia. Si adottò perché le
piante a quel tempo erano innestate su portainnesti più vigorosi con problemi
dovuti allo sviluppo vigoroso delle piante, infatti per questo era troppo
elevato l’impiego di manodopera per la formazione della chioma. Negli anni
’70 e ’80 si pensò che sul melo, con l’impiego di portainnesti deboli, con il
sistema a drapeau, si potesse avere una rapida entrata in produzione, cioè
piante con produzioni più elevate per unità di superficie e ottenere piante di
facile gestione. Le piante si mettono a dimora in fila singola, inclinate con
una angolazione di 45° lungo il piano del filare. Si lasciano crescere germogli
in posizione dorsale. Con la potatura verde, se i germogli risultano essere
numerosi, possono essere frenati in modo da individuare quelli che dovranno
formare le branche primarie. Quest’ultime risultano disposte lungo il piano
del filare ad angolo retto con il fusto, e quindi dirette dalla parte opposta a
quella a cui è rivolto il fusto. I germogli si lasciano crescere liberamente e poi
si inclinano a fine stagione senza spuntatura. Il germoglio più basso deve
trovarsi a 40/50cm da terra mentre gli altri saranno distanziati tra di loro di
50/80cm a secondo del vigore della pianta.
L’inclinazione dei rami favorisce lo sviluppo dei germogli dorsali. Essi possono
essere utilizzati per il rivestimento delle branche con la formazione di corte
branchette secondarie. Nei successivi anni si creano maglie di branche che
vengono riempite delle ramificazioni che sorgono su di esse. Quindi la ripetuta
inclinazione delle branche e le frequenti cimature delle formazioni più giovani
frenano la crescita generale dell’albero. Questa forma, non essendo più
46
conveniente della palmetta per l’impiego di manodopera necessario alla
formazione, ha avuto scarsa diffusione in Italia.
2.3 Le moderne forme di allevamento in melicoltura
Per parlare di queste moderne forme di allevamento bisogna partire dal
presupposto che un’attività produttiva è sostenibile se si può mantenere nel
tempo. Innanzitutto è molto importante un adeguato ritorno economico per il
produttore che è misurabile e in seconda battuta un basso impatto ambientale
e sociale anche se i costi ambientali e sociali si avvertono solo quando nel
lungo periodo danno luogo a fenomeni di accumulo difficilmente reversibili.
Quindi è necessario uno schema più complesso che garantisca la durata e la
redditività della melicoltura sul lungo periodo. Questa nuova strategia si basa
anche su una più attenta lettura dei cambiamenti dei consumatori. Oltre a
capire il consumatore (domande che si pone in relazione alla sicurezza,
all’aspetto sanitario e alla provenienza degli alimenti), si devono considerare
tutte le fasi del processo produttivo. Dal punto di vista tecnico la frutticoltura
ha raggiunto ottimi traguardi raddoppiando le rese negli ultimi 25 anni e
mantenendo la qualità. Il diradamento dei frutti è una operazione di potatura
complementare alla potatura stessa in quanto interviene nel regolare la
produzione attraverso gli anni. Viene effettuato perché la maggior parte delle
cultivar tende naturalmente all’alternanza di produzione o a produrre
numerosi frutti ma di limitata pezzatura. Oltre che manualmente il
diradamento può essere fatto anche con numerosi composti chimici. Il NAD
(ammide dell’acido α naftalenacetico), avendo un’azione meno energica di
quella espletata dall’NAA (acido α naftalenacetico), può essere usato con
diametri dei frutti maggiori e anche sulle cultivar che potrebbero essere
diradate dall’acido. L’NMC (carbaryl) chimicamente 1 naftil metilcarbammato
ha purtroppo causato alcuni inconvenienti a livello ambientale, in cui
danneggiando l’entomofauna utile, favorisce lo sviluppo degli acari, è dannoso
per gli insetti pronubi, induce l’insorgenza di rugginosità nella cultivar Golden
Delicious e sembra che aumenti il riscaldo. L’ATS (ammonio tiosolfato) è un
concime fogliare a base di azoto e zolfo che a dosaggi elevati svolge un
47
effetto diradante, poiché provoca la disidratazione degli organi fiorali
impedendone la fecondazione. I fiori ancora chiusi o quelli già fecondati non
subiscono nessuna azione diradante. Si possono effettuare diverse
applicazioni: un primo intervento ad inizio caduta petali dei fiori centrali sul
legno vecchio, un secondo intervento, a distanza di 2 3 giorni, per completare
l’azione sul legno giovane in cui i fiori si aprono in un secondo momento e un
eventuale terzo intervento si può effettuare in caso di fioriture intense e
prolungate. Le condizioni ottimali per l’impiego di questo prodotto sono:
pianta asciutta, temperatura compresa tra i 16 e i 20°C e tempo buono e
stabile. Le dosi d’impiego sono: ATS sale (98%) 0,8 kg/hl, azos 300 1,2l/hl e
ger. ATS LG 1l/hl. In termini di sostenibilità ci sono stati dei passi avanti (cioè
principi attivi meno tossici) ma anche indietro (ossia maggior numero di
trattamenti). L’efficacia dei prodotti diradanti è influenzata dalle condizioni
climatiche che si verificano durante l’applicazione e nel corso dei giorni
successivi al trattamento. La strategia diradante da adottare nei diversi
frutteti deve tener conto della varietà, dell’intensità di fioritura e
dall’andamento climatico che si registra durante questa delicata fase.
In particolare la forma di allevamento ha ripercussioni su come si potano le
piante, come si regola la carica dei frutti, come si diserba, sul parco
macchine dell’azienda e sull’efficacia dei trattamenti fitosanitari. Il
fabbisogno annuale di manodopera in un frutteto ben condotto si aggira sulle
500/600 ore ad ettaro (Lang et al.,2004) e forma circa il 55% del costo
d’esercizio globale. Tra le attività manuali come raccolta, potatura e
diradamento comprendono circa 450 ore. La semplificazione delle tre
operazioni colturali contribuirà ad aumentare la sostenibilità economica del
sistema.
2.3.1 Bibaum
L’impianto multiasse ha origini antiche e fu già descritto nel 1925 dal
ricercatore Louis Lorette, che lo preferiva ad altre tipologie d’impianto, per
la formazione di spalliere fruttifere. Un’azienda di Ferrara propone la
produzione in vivaio di alberi a doppio asse, provvisti di rami anticipati,
ottenuti con l’innesto a due gemme direttamente sul portainnesto. Questo
48
Figura 2.3.1.1:impianto Bibaum (biasse)
sistema di allevamento è molto apprezzato dove il fusetto non riesce a
formare una parete stretta (fondovalle e pianura). Il bibaum (Fig. 2.3.1.1)
forma un’innovazione tecnica nella gestione della chioma dell’albero
consentendo di ottenere una forma in parete che ne semplifica la gestione
durante la fase di produzione. Si basa sul concetto di allevare piccoli alberi
simili al fusetto utilizzando alberi con due astoni per pianta. Si tratta di astoni
di piccola taglia indipendentemente dalla fertilità indotta dall’ambiente.
In questo caso le giovani piantine si formano a Y
già in vivaio. Per la loro formazione bisogna
ottenere una successione di assi verticali uguali
e disposti alla stessa distanza tra di loro. Il
materiale di base deve essere sdoppiato appena
sopra il punto d’innesto e i due assi devono
essere di pari vigoria e ben ramificati, per
garantire un accrescimento equilibrato di
entrambi gli assi ed è importante mantenere il
punto d’innesto a un’altezza minima di 10/15cm
dal suolo. I sesti da adottare sono di 1,20m sulla
fila, in modo da disporre un’asse ogni 0,60m, e
di 3,80/4,00m (Fig. 2.3.1.2) tra le file, per una densità ad ettaro di
2.000/2.800 piante. Nella
palizzatura degli assi è
necessario mantenere, nella
biforcazione un angolo
inferiore a 50°per evitare
la formazione di ricacci
nella parte interna,
posizionando il primo filo
di ferro per il sostegno
delle piante a 1,20m da terra. Al di sopra del primo filo (Fig. 2.3.1.3), bisogna
mantenere gli assi verticali ed equidistanti tra loro. Eliminare i rami troppo
bassi e quelli troppo vigorosi che ostacolano l’accrescimento dell’asse. Vanno
Figura 2.3.1.2: sesto d'impianto forma Bibaum con distanza tra le file di 4,00m
49
asportati i rami che hanno un vigore uguale o superiore del 50% a quello
dell’asse centrale. Le cime non devono
essere spuntate, ma devono essere
lasciate libere di crescere, scaricandole
di frutta e rimuovendo i germogli
concorrenti fino al raggiungimento
dell’ultimo filo in altezza prestabilita
circa 3/3,5m. Di solito è necessario
effettuare la legatura dei rami in quanto
quelli lasciati sono di piccolo calibro.
Conclusa la fase di vigoria nella
formazione dei due assi, l’albero forma dei rametti produttivi orizzontali,
poco vegetativi, tipo brindilli e lamburde che non richiedono piegature.
Completata la formazione della pianta, ogni anno si provvederà alla potatura
di produzione che ha come obiettivo principale il mantenimento
dell’equilibrio vegeto produttivo. Le operazioni di potatura serviranno per:
eliminare le branche troppo vigorose. Durante l’asportazione dei rami, i
tagli non devono essere eseguiti a raso ma è necessario effettuare “un
taglio sporco”, a “becco di luccio”, mantenendo uno sperone di 1 2cm dal
quale prenderanno origine uno o più germogli in sostituzione di quello
eliminato;
raccorciare di 1/3 della loro lunghezza i rami produttivi troppo deboli
oppure procedere con l’eliminazione delle gemme (extinction);
eliminare i succhioni che si trovano sulle branche o all’interno della
biforcazione dei 2 assi;
le cime, una volta raggiunta l’altezza voluta, possono essere lasciate
libere di piegarsi sotto il peso naturale dei frutti, oppure si può effettuare
la cimatura estiva intorno alla metà di Giugno.
50
Il bibaum, come la palmetta, tende a formare una parete stretta senza la
necessità di piegare rami e, quando è in produzione, non richiede la potatura
lunga perché distribuisce la vigoria sulla fila anziché verso l’interfila. La
frutta viene tenuta
attaccata al fusto, limitan
do la formazione di legno
strutturale che serve alla
formazione degli assi.
Utilizzando portainnesti
efficienti non si formano i
tipici palchi che richiedono
una fase di allevamento
complessa, ombreggiano e
fanno spostare la produ
zione verso l’alto. Si può
dire che il biasse è più
semplice nell’allevamento, nella precocità e nella produttività e quindi
ottimizza l’intercettazione luminosa. Molto importante di questa forma è la
forte predisposizione per la meccanizzazione oltre lo scopo di superare le rese
produttive delle forme monoassiali. L’obiettivo iniziale di questo impianto
bibaum fu quello di ottenere i vantaggi dell’impianto superfitto con un sesto
d’impianto simile o addirittura inferiore ad esso, quindi con meno di 3000
piante/ha, per eliminare gli inconvenienti di costo, durata e difficoltà della
conduzione del superfitto che dopo anni diventa ingestibile nel suo piccolo
spazio assegnato (Dorigoni et al.,2006). Si dimostrò infatti che negli impianti
biasse si ebbe un accrescimento minore dei germogli rispetto al fusetto.
Gli obiettivi principali che si stanno raggiungendo sono:
aumentare la qualità delle produzioni grazie al mantenimento del
rapporto tra superficie e volume degli alberi su valori elevati,
ottimizzando l’esposizione dei frutti;
sfruttamento della vigoria: se l’ambiente stimola la vegetazione, invece di
contrastare sempre la tendenza a crescere mediante fitoregolatori,
Figura 2.3.1.3: sesto d'impianto Bibaum.
Angolazione della biforcazione. In giallo evidenziato il passaggio del primo e secondo
filo mentre con le frecce in blu si indicano le
legature degli assi
51
piegature dei rami o taglio delle radici, si può trasformare quello che è
considerato un punto debole in un vantaggio per il frutticoltore;
avere il controllo dell’altezza degli alberi che può essere regolata in base
alle necessità, raggiungendo anche valori molto bassi, con riduzione delle
operazioni da effettuare con strumenti ausiliari (scale,carri, ecc.);
ridurre di molto la distanza tra le file, con miglior sfruttamento della
superficie;
ottenere una parete fruttifera che crea le condizioni di massima
efficienza per il diradamento meccanico dei fiori;
aumento della resa di manodopera nelle operazioni colturali e alla
raccolta per facilitare l’accesso ai frutti;
ridurre il numero di alberi ad ettaro e quindi l’investimento economico;
formare strutture esili (brindilli e lamburde) che richiedono meno
interventi di piegatura con conseguente riduzione della dipendenza dai
brachizzanti.
limitare la dipendenza dai fitoregolatori ad azione diradante, integrando
il diradamento meccanico;
facilitare la penetrazione dei trattamenti antiparassitari all’interno di una
parete fruttifera di spessore contenuto, continua e con meno fenomeni di
deriva;
rendere possibile la sostituzione del diserbo chimico con il controllo
meccanico delle infestanti nel sottofilare per la maggior distanza degli
alberi sulla fila;
migliorare la sostenibilità in generale del frutteto, e anche la durata degli
impianti a causa del minor numero di piante ad ettaro.
Questa tipologia d’impianto non ha nulla a che vedere con i sofisticati
allevamenti ad Y ed a V. Chi osserva questi impianti ha l’impressione di
trovarsi davanti ad un impianto superfitto però con il doppio delle piante in
questo caso. Si può dedurre che il bibaum può rappresentare un ibrido tra lo
spindel e la palmetta. Le buone metodologie per ottenere questa forma di
allevamento sono:
partire già all’impianto con materiale sdoppiato appena sopra il
52
portainnesto e ben ramificato perché è utile raggiungere in tempi brevi i
vantaggi di questa forma di allevamento;
il sesto d’impianto viene scelto in base alla fertilità e quindi mediamente
distanze tra le file di 3,70/3,30m e distanze tra le piante sulla fila di
1,0/1,5m;
mantenere sempre la simmetria della struttura ad U anche se un asse è
più sviluppato dell’altro;
tenere un angolo stretto tra i due assi con angolazione inferiore ai 50° per
evitare il ricaccio nella parte interna. Per questo scopo è necessario
tenere il primo filo di ferro alto circa 1,20m da terra;
dal primo filo di ferro in su mantenere gli assi paralleli, quindi verticali ed
equidistanti tra di loro, allevandoli come due piante singole;
favorire la formazione rapida della pianta nei primi due anni con un
apporto frazionato di azoto in primavera e curando la pulizia del
sottofilare;
eliminare i rami che si sviluppano nella parte bassa, interna alla V.
L’impianto con alberi biasse innestati su portainnesti deboli M9 è indicato per
zone fertili dove persiste il problema di enorme vigore. Le piante biasse
hanno fatto registrare un aumento della sezione del tronco, ma gli assi presi
singolarmente anche se raggiungono la stessa altezza degli alberi a una cima
hanno la sezione del tronco ridotta. Questo è dovuto al fatto che un solo
apparato radicale deve alimentare contemporaneamente due assi. In un
impianto al secondo anno abbiamo una migliore pezzatura, mentre al quarto
anno il numero di frutti per albero incomincia a diventare elevato sia perché
abbiamo due assi sia perché la distanza sulla fila arriva a circa 1,5m. Nei
primissimi anni dell’impianto viene frenata la precocità dalla maggior distanza
delle piante sulla fila. La produzione del biasse trae benefici dalla pezzatura e
dal sovracolore ottenibili nella parte alta della pianta, avendo due cime e una
base più debole. La resa ad ettaro notevole si ha al quarto anno quando
l’impianto entra in piena produzione. Grazie al minore sviluppo di robustezza
del palco di base si hanno filari di minor spessore. La sezione di un asse, di
solito, è maggiore dell’altro e si può affermare in questo caso, allevandoli
53
Figura 2.3.2.1: melo triasse con le legature sui fili evidenziati in giallo
sempre verticalmente senza far morire la cima, che la produttività dell’asse
più debole è poco inferiore all’altro e le differenze con il tempo tendono ad
attenuarsi.
2.3.2 Il multiasse
La forma di allevamento multiasse si sviluppa in una parete molto stretta,
quindi più semplice per pali e fili e, soprattutto, può essere molto
meccanizzato. Per la formazione di essa si parte da astoni biasse preformati
in vivaio o allevando in vari modi la pianta (Dorigoni et al., 2008). Occorre
decidere da subito quanti e quali rami anticipati devono essere trasformati in
verticali. Una volta impostati gli assi, vanno gestiti ognuno come un fusetto a
sé, quindi in posizione verticale ed equidistanti, senza incrociarli tra di loro.
Le formazioni da lasciare sull’asse sono esili. La distanza ideale tra un asse e
l’altro è compresa tra 40 e 60cm e di conseguenza la distanza tra gli alberi e
tra le file dipende dal numero di assi che si vogliono ottenere. In questo modo
la pianta si autoregola, formando naturalmente germogli più corti ed esili
perché con un solo apparato radicale deve alimentare più fusti.
Per la formazione della pianta a 3 assi (Fig. 2.3.2.1) si parte da uno spindle
scegliendo due rami anticipati nella parte basale tra loro contrapposti,
eliminando gli altri concorrenti lasciando solo speroni e brindilli lunghi meno
di 30cm . I due futuri assi vengono legati in verticale sul filo di ferro, posto a
un’altezza di 0,9/1,2m.
54
Per la formazione della pianta a 4 6 assi (Fig. 2.3.2.2) partendo da un bibaum
si divaricano i due astoni preformati in vivaio e si legano sul filo di ferro a 1
1,5m. Se ci sono rami anticipati idonei se ne scelgono 1 o 2 per asse in modo
da riempire lo spazio in mezzo, oppure la pianta emetterà 1 2 succhioni che
verranno trasformati in assi legandoli al filo di ferro.
Per la formazione della pianta a 6, 8 o 10 assi si può inclinare uno spindle a 90
gradi dalla verticale eliminando gli anticipati sul lato inferiore. Così
otteniamo gli assi voluti stile Guyot (Fig. 2.3.2.3, 2.3.2.4, 2.3.2.5). Un’altra
via (doppio Guyot) è di inclinare l’asse Nord di un Bibaum a Sud e l’asse Sud a
Nord ottenendo oltre 15 assi con un forma che ricorda l’allevamento a Guyot
della vite(Fig. 2.3.2.6, 2.3.2.7, 2.3.2.8).
Figura 2.3.2.4: spindle legatura sul filo di
banchina con angolazione
Figura 2.3.2.3: messa a dimora con leggera inclinazione del gambo
Figura 2.3.2.5: sistema d'impianto con distanza tra le file: 2,25m tra le piante: 1,50m, 1,80m, 2,20m
Figura 2.3.2.2: quattro assi con le relative rilegature indicate dalle frecce blu nei punti gialli
55
Figura 2.3.2.6: Bibaum preformato in vivaio
Figura 2.3.2.7: imminente creazione del Doppio Guyot prima dell'inserimento dei fili nell'impianto
56
Figura 2.3.2.8: creazione della forma Doppio Guyot
Figura 2.3.2.9: legatura della forma sui rispettivi fili dell'impianto
57
Figura 2.3.2.1.1: impianto semi pedonabile, cultivar Golden Delicious, forma di allevamento Bibaum, distanza sulla fila tra le piante 1,20m
2.3.2.1 MELETO SEMI PEDONABILE/PEDONABILE
Partendo da un triasse o multiasse (4 5 6 Guyot Doppio Guyot) si può ottenere
un meleto semi pedonabile (Fig. 2.3.2.1.1, 2.3.2.1.2) ossia con un’altezza
raggiungibile delle piante a circa 2,60 metri.
58
Per ottenerlo dobbiamo passare da un tipo di albero con struttura primaria (il
tronco), secondaria (le branche) e una terziaria (i rami produttivi) a un albero
completamente assente della struttura secondaria che forma l’impalcatura di
base nello spindle o le branche vigorose tipiche della potatura lunga. In
termini di vigoria trasformare uno spindle in un albero a più assi equivale a
passare da un portainnesto più forte a uno più debole in seguito alla
ripartizione di un unico apparato radicale su un numero crescente di assi o
“mini spindle”. Molto importante, quindi, risulta essere la scelta all’impianto
del numero di assi perché è una variabile fondamentale per realizzare meleti
con sesti d’impianto diverso, con diversa forma e altezza. È fondamentale
intervenire spesso con la potatura verde per eliminare i rametti concorrenti
anche nell’impianto adulto, legare gli assi che si stanno formando e rimuovere
la frutta da essi. È necessario curare la struttura di sostegno perché la frutta
grava sui fili di ferro e sui pali, infatti i fili non devono essere più distanti di
Figura 2.3.2.1.2: impianto semi pedonabile, cultivar Golden Delicious, altezza massima piante 2,60m, distanza tra le piante 1,20m
59
50 cm tra di loro (figura 2.3.2.1.3, 2.3.2.1.4).
Figura 2.3.2.1.3: impianto pedonabile, cultivar Golden Delicious, distanza tra le piante 1,50m, 1,80m, 1,90m
Figura 2.3.2.1.4: impianto pedonabile con
distanza tra le file 2,25m
Figura 2.3.2.1.5: impianto pedonabile, cultivar Gaia e Fujion, distanza tra le piante 1,50m, 1,90m
60
Quindi la lenta entrata in produzione e le cure nei primi anni rappresentano il
maggior svantaggio del multiasse semi pedonabile/pedonabile finché non si
disporrà di materiale preformato in vivaio. Se si sceglie di costruire la
struttura primaria (gli assi) in campo, la precocità è molto inferiore sia perché
è inferiore il numero di alberi/ha sia perché nei primi anni parte del
potenziale produttivo dell’albero è indirizzato a completare la struttura
primaria anziché alla produzione.
Tabella 2.3.2.1.2: produzione di cultivar Fuji allevata con uno o più assi
Per non perdere in produttività si tende a ridurre la distanza tra i filari,
piuttosto che aumentare l’altezza degli alberi diminuendo la densità ad ettaro
(tabella 2.3.2.1.1). Si stimano circa 250 ore di manodopera in più nel primo
anno rispetto alle forme passate soprattutto per potature e rilegature sul filo
di banchina (Fig. 2.3.2.1.6, 2.3.2.1.7).
N°assi Distanza tra gli alberi (m)
Distanza tra gli assi (m)
Distanza tra le file (m)
N° piante/ha
1 0,6 0,60 3,3 5.051 2 1,0 0,50 3,0 3.333 3 1,5 0,50 2,8 2.381 4 1,8 0,45 2,7 2.058 6 2,4 0,40 2,5 1.667 10 2,8 0,28 2,2 1.623
Tabella 2.3.2.1.1
Anni 2 3 4 5 6 2 3 4 5 6 N°di assi
Alberi/ha
Kg per albero Tonnellate per ettaro
1 2597 5 8 17 24 19 13 24 52 76 60 2 2381 10 5 25 27 31 25 12 59 64 73 3 2151 10 12 33 18 51 22 25 70 38 110 4 1587 10 3 27 18 44 16 5 42 29 70 6 1515 0,8 14 21 27 64 1 22 32 40 97 8 1299 0,4 13 16 30 56 1 17 20 39 73
61
Più assi si formano meno vigore abbiamo e più un meleto a parete stretta
otteniamo. I numerosi assi che si formano hanno un calibro ridotto.
Figura 2.1.3.1.7: legature sul filo di banchina e fiori all'apice dell'asse da togliere
Figura 2.3.2.1.6: impianto pedonabile "Doppio Guyot" cultivar Fuji, si può notare come sono stati tolti i fiori all'apice di ogni piccolo asse per farli avanzare meglio in altezza
62
In un triasse di cultivar golden abbiamo circa 230 mele in totale che si
possono ottenere da una singola pianta. Un singolo asse può portare fino a
circa 100/105 mele. Nel multiasse “Doppio Guyot” possiamo avere fino a 15
assi in verticale con in media 8 gemme per asse, quindi in una pianta si
possono raggiungere fino a quasi 200 gemme. Mediamente 10 frutti per metro
lineare, quindi circa 450 frutti a pianta con 15 assi. Con questi sistemi
“Doppio Guyot” otteniamo mediamente circa 20.000 assi in un appezzamento
di un ettaro coltivato a melo. Questi sistemi con numerosissimi assi servono
per l’ottenimento di un Pedonabile in cui l’altezza delle piante rimane
compresa intorno ai 2 metri.
Lo scopo di questi meleti semi pedonabili e pedonabili è di ottenere minor
sacrificio durante la raccolta da parte degli operatori senza l’utilizzo di scale
e carri raccolta (costosi) e nello stesso tempo più sicurezza soprattutto in quei
luoghi con l’orografia non ottimale (sistemazioni a rittochino con pendenze
intorno al 30/40%) tipica dei luoghi alpini e appenninici. Molto importante
risulta essere il raggiungimento di una minor deriva nella distribuzione di
fitofarmaci e una maggior penetrazione di luce all’interno della chioma
perché più radiazione luminosa porta ad avere frutti più colorati. Nel meleto
pedonabile si può affermare che si può fare tutto “a piedi”. Le piante basse
sono meglio predisposte alle reti “multifunzionali” che difendono dalla
grandine, da insetti dannosi, dalla pioggia, regolano la carica della frutta e
proteggono da un’eccessiva intercettazione dell’energia radiante. Si può
produrre la stessa quantità di frutta con piante basse aumentando il numero
di file e quindi stringendo la distanza tra e sulle file. La distanza tra le file
può arrivare anche a 2,05m soprattutto nelle zone montane a bassa vigoria.
Le novità in sperimentazione sono le reti anti pioggia e gli impianti fissi
multifunzione. Le reti antipioggia hanno lo scopo di proteggere le piante
evitando che la pioggia scateni infezioni fungine e dilavi i prodotti
fitosanitari, mentre i secondi oltre alla funzione climatizzante, ha lo scopo di
agevolare i trattamenti fitosanitari limitando o eliminando l’utilizzo degli
atomizzatori anche sotto rete senza il loro avvolgimento.
63
CAPITOLO TERZO
NUOVE TECNICHE DI GESTIONE DEL MELETO
Fino ad oggi gli aspetti più studiati e ricercati nelle forme di allevamento sono
stati quelli di massimizzare l’intercettazione luminosa per ottenere la
massima quantità e qualità nelle produzioni, migliorare l’utilizzo degli spazi e
mantenere produttivo un impianto il più a lungo possibile con “l’ormai nota”
forma d’allevamento a Spindle. Il futuro, di cui si è parlato precedentemente,
rappresenta una miglioria nella distribuzione degli agrofarmaci riducendo gli
input chimici nella gestione della vigoria e della carica produttiva. Questo
traguardo viene raggiunto con l’applicazione di una gestione agronomica
efficace che permette l’impiego delle macchine e non solo nelle operazioni
colturali.
3.1 Il diradamento meccanico
Il diradamento è una tecnica
agronomica fondamentale per la
melicoltura moderna e competiti
va. Attraverso degli interventi
mirati in fasi di poco antecedenti
la piena fioritura (bottoni rosa),
l’agricoltore è in grado di ottenere
produzioni costanti e di elevata
qualità per tutta la durata dell’im
pianto. Un intervento più tardivo
potrebbe provocare un’elevata percentuale di frutti deformati. Il diradamento
meccanico nasce in Germania più di 15 anni fa nel Bodensee dall’intuizione di
Hermann Gessler e risulta facilmente applicabile a questi moderni impianti di
melo con metodologia simile all’extinction (tecnica francese che prevede
l’asportazione manuale delle gemme a fiore prima e durante la fioritura). Il
periodo ottimale di esecuzione del lavoro va dalla completa divaricazione dei
Figura 3.1.1: Darwin
64
mazzetti fiorali sul legno vecchio fino a inizio caduta petali, per un periodo di
3/5 giorni (Strimmer e Kelderer, 1997) e consiste in una sorta di spazzolatura
dei fiori mediante dei fili in materiale plastico posizionate su un rotore
verticale di altezza di 2/3m portato anteriormente alla trattrice o mediante
attacco a tre punti per l’attacco all’impianto idraulico anteriore della
trattrice (Fig. 3.1.1) o mediante l’attacco senza tre punti per il montaggio in
assenza di un impianto idraulico anteriore, in questo caso la piastra di
montaggio deve essere adattata individualmente per ogni trattrice. Inoltre un
optional valido è lo spostamento idraulico laterale che consente lo
spostamento dell’operatrice di 40 cm. Questa macchina è chiamata e
commercializzata con il nome “Darwin”. Le versioni disponibili sul mercato
oggi sono la Darwin 200, la Darwin 250 e la Darwin 300. Per la 200 l’altezza di
lavoro è di 1,9m, l’altezza macchina di 2,28m e il peso dell’attrezzo di 148
Kg; per la 250 l’altezza di lavoro è di 2,39m, l’altezza macchina di 2,74m e il
peso dell’attrezzo di 155 Kg; per la 300 l’altezza di lavoro è di 2,85m,
l’altezza macchina di 3,20m e il peso dell’attrezzo di 165 Kg. Per ogni
tipologia di Darwin la superficie lavorata è di 1,5/2,5 ha/h con lunghezza dei
fili di 60cm, un numero di essi variabile e con un impianto idraulico che
necessita di 20 l/min di olio. È improponibile in altri tipi di allevamento come
nel caso delle potature lunghe e centrifughe. Nelle nuove forme multiasse
appiattite lo spazzolamento avviene bene anche al centro della pianta con
velocità ridotta di rotazione delle spazzole. L’operazione può essere svolta ad
una velocità di avanzamento della trattrice compresa tra i 4/15Km/h con una
velocità di rotazione dell’apparato spazzolante compreso tra i 180/320
giri/min, inoltre è molto importante stare molto vicini alla parete con la
macchina per ottenere una buona efficacia (Fig. 3.1.2).
65
L’asportazione meccanica dei fiori comporta dei rischi di sovra diradamento
legati ad un possibile andamento sfavorevole dell’annata. Per questo motivo
si preferisce non puntare ad un diradamento intenso con la macchina, ma
piuttosto rimuovere solamente il 30/40% dei fiori con rotazioni moderate
(220/240 giri/min). Infatti come si può vedere (tabella 3.1.1) l’efficacia
diradante aumenta con la velocità di rotazione ma diminuisce al crescere
della velocità di avanzamento.
Velocità di avanzamento (Km/h)
Efficacia diradante Velocità di rotazione (rpm)
4 210 6 240
8 270 10 300
Figura 3.1.2: macchina in azione
Tabella 3.1.1
66
Cultivar Adattabilità Fuji Molto adatta Red Delicious Molto adatta Gala Adatta Golden Adatta Braeburn Abbastanza adatta Pink Lady Abbastanza adatta Granny Smith Poco adatta Morgenduft Poco adatta
Si può affermare che ci possono essere delle cultivar che si adattano meglio o
peggio a questo tipo di operazione (tabella 3.1.2). Nelle 3/4 settimane
seguenti questa operazione, per il leggero shock subito la pianta induce anche
una reazione ormonale che provoca una maggiore cascola dei frutticini. Il
vantaggio risulta essere: operare sia con il freddo, con il vento e perfino con
la pioggia; azione indipendente dalla cultivar aumentando la rotazione delle
spazzole si possono avere risultati diversi e quindi si può scegliere di diradare
tra 0 e 100% dei frutti, già con una variazione di rotazione 10 20 giri/min si
nota molto l’effetto ottenuto sul melo (altissima modulabilità); visibilità
immediata dell’azione diradante che permette di correggere in corso d’opera
l’uso della macchina; autosufficienza dell’agricoltore svincolato dal mezzo
chimico; rapidità di esecuzione circa 1h/ha; le piante diradate
meccanicamente risultano essere molto sensibili all’eventuale successivo
diradamento chimico con acido naftalenacetico e benziladenina (NAA+BA);
integrazione con il diradamento chimico; la precocità ossia diradare presto
permette una carica finale più abbondante; il rispetto per l’ambiente perché
si riduce l’utilizzo in quantità e numero di interventi di prodotti chimici ad
azione diradante; in ambito sociale parziale riduzione del disturbo acustico
rispetto all’intervento con atomizzatore e riduzione del rischio legato alla
manipolazione di prodotti fitosanitari (Fig. 3.1.3, 3.1.4, 3.1.5, 3.1.6, 3.1.7).
Tabella 3.1.2
67
Figura 3.1.3: filare ant diradamento
Figura 3.1.4: filare post diradamento ambo i lati effettuato con Darwin
Figura 3.1.5: mazzetti affioranti post diradamento con Darwin
68
Le problematiche riscontrate in questo metodo risultano essere:
appezzamenti non del tutto transitabili in zone collinari e di montagna; la
precocità da un lato è un aspetto positivo, dall’altro espone al pericolo di
gelate tardive; i filari spessi più di 2 metri sono difficilmente spazzolabili;
provoca qualche danno alla vegetazione; possibilità di trasmissione di
malattie e in particolare del colpo di fuoco batterico in zone infette; costo di
acquisto elevato della macchina.
Figura 3.1.6: mazzeti affioranti ant diradamento con Darwin
Figura 3.1.7:petali di fiore in parte distrutti dovuti al diradamento meccanico
69
3.2 La potatura meccanica
La potatura meccanica può essere eseguita con una o più barre falcianti
applicate anteriormente alla trattrice. Essa è uno degli strumenti più efficaci
per plasmare le piante e mantenerle nelle dimensioni volute, sia in larghezza
che in altezza. La macchina è provvista o di flangiatura standard oppure del
sollevatore frontale, inoltre ha un distributore idraulico per il movimento dei
motori, per lo spostamento laterale, per l’inclinazione della testata falciante
e per la regolazione dell’altezza del gruppo falciante. La barra falciante
verticale è di lunghezza o di 2,10m oppure di 2,50m. Gli elementi opzionali
sono un impianto idraulico indipendente con scambiatore di calore e una
barra orizzontale per il topping (Fig. 3.2.3) e la lama da taglio di 1,20/1,50m
con rientro a comando idraulico. La velocità di avanzamento della trattrice
durante questa operazione deve essere intorno ad 1,5 Km/h.
Cultivar Località Spindel Parete fruttifera
Spessore (cm)
Altezza (cm)
Spessore (cm)
Altezza (cm)
Gemme a fiore sul taglio
“Lorette” (%)
Golden Delicious
Valle dell’Adige 157 324 93 327 17
Gala Valle dell’Adige 203 371 107 367 91 Fuji Valle dell’Adige 212 331 103 346 10 Pink Lady Valle dell’Adige 184 374 97 369 75 Renetta Val di Non 155 371 63 360 25 Gala Val di Non 155 357 101 304 41
Un meleto potato meccanicamente, soprattutto nel periodo di potatura
verde, è più accessibile e richiede meno tempo per la maggior parte delle
operazioni manuali e per la raccolta.
Tabella 3.2.1: variazioni dimensionali da trasformazione di un classico Spindel in parete fruttifera
70
Figura 3.2.1: potatrice meccanica metodo "Lorette"
Migliorare l’accessibilità in meleti di difficile transitabilità. Formare una parete fruttifera, con i conseguenti vantaggi (gestionali, agronomici e di sostenibilità) senza l’utilizzo di brachizzanti. Riavvicinare le mele al tronco (azione centripeta). Predisporre il meleto al diradamento meccanico. Contenere lo sviluppo delle cime, soprattutto sotto le reti antigrandine. Semplificare la potatura invernale. Indurre la differenziazione a fiore.
Si può potare a macchina sia un meleto multi asse sia un classico spindle
(tabella 3.2.1), però con inclinazione della barra falciante di 20/30°rispetto
alla verticale dando così una forma conica alle piante. A questa macchina
possono essere applicate delle “finestre” di taglio che asportano i rami vicino
al tronco anche fino al diametro di 35mm, essa si applica soprattutto in
meleti con interfila superiore ai 3,5m permettendo di far entrare la luce in
alberi voluminosi e riducendo le ore di potatura invernale. Queste finestre
consistono in barrette lunghe
36cm, disposte in secondo
piano di taglio quasi verticale e
il numero può variare in
funzione delle esigenze fino ad
un massimo di 4. Ogni
intervento di “potatura ver
de”, dalla fioritura alla caduta
delle foglie, stimola meno il
ricaccio. In questa operazione
è molto importante il metodo
di potatura “Lorette” (Louis
Lorette, 1925) applicabile
nell’epoca di formazione di
10/14 foglie sul germoglio
dell’anno. Siccome il metodo originale è impossibile proporlo nei moderni
Tabella 3.2.2: vantaggi potatura meccanica estiva
71
frutteti con i costi attuali della manodopera allora gli sperimentatori francesi
del Ctifl proposero una versione semplificata con la macchina
precedentemente descritta (Fig. 3.2.1). La pianta di melo in seguito
all’interruzione della dominanza apicale dei germogli tende a risvegliare le
gemme stipolari all’ascella delle foglie vicine al taglio del ramo con
produzione di gemme miste o corte lamburde. Facendo questo
raccorciamento negli anni si ottiene un effetto “centripeto”, cioè si promuove
il rivestimento dei rami con gemme a fiore nella parte interna, vicino al fusto.
Vengono esposte di più le mele perché vengono eliminate le foglie più
esterne. Questo comporta maggior agevolazione delle operazioni colturali,
compresa la raccolta, e la potatura invernale può essere ridotta al minimo.
L’uso di questa macchina nel periodo invernale è importante per velocizzare
la potatura manuale
soprattutto se si impiegano
cimatrici con 2/3 finestre o
per stimolare piante poco
vigorose (tabella 3.2.2).
Nei meleti molto vigorosi
questo tipo di potatura può
essere affiancato dalla pota
tura meccanica delle radici
entro inizio estate per facili
tare la chiusura della vegeta
zione ripristinando il corretto
rapporto tra chioma e radici.
Figura 3.2.2:macchina in azione
72
Figura 3.2.3: elementi optional Figura 3.2.4: multiasse post potatura meccanica estiva rifinita manualmente
Figura 3.2.5: quattro assi potato meccanicamente e manualmente in estate
73
3.3 Reti multifunzionali
Le reti multifunzionali mono filari, nate in Francia, sono state sperimentate e
introdotte principalmente per sopperire alla regolazione della carica dei
frutti. La rete è di tipologia anti insetto, viene semplicemente appoggiata sul
filo di colmo del filare e lasciata scendere sui lati dell’albero. La larghezza
della rete va da 5 a 8 metri in funzione dell’altezza degli alberi e deve
fasciare completamente gli alberi di melo su entrambi i lati, gli obiettivi da
raggiungere sono due in questo caso: da una parte assicurarsi che la fioritura
si traduca in una produzione abbondante e dall’altra limitare il numero di
frutti per garantire qualità e prevenire l’alternanza. Data la precarietà delle
condizioni meteorologiche primaverili c’è la necessità di favorire
l’impollinazione, a volte, anche con prodotti alleganti e con l’apporto di
pronubi. Successivamente, visto che ogni mazzetto è formato da almeno 5
fiori, mentre si vogliono 1 o 2 frutti per mazzetto, di solito si ricorre a
complesse strategie di diradamento che richiedono fino a 5 trattamenti
chimici. Queste reti, invece, prima permettono che i fiori centrali sul legno
vecchio vengano impollinati liberamente, o anche con alleganti e l’utilizzo di
bombi; trascorso il tempo necessario si chiude la rete intorno alle piante di
melo. Da questo momento in poi i pronubi vengono “fisicamente” esclusi dal
meleto e si ostacola l’impollinazione, che per varietà come Fuji si
protraggono per una o due settimane. La rete esercita anche un’azione
ombreggiante, variabile a seconda del colore e della fittezza delle maglie, in
un periodo in cui i frutticini appena allegati hanno poca capacità di
richiamare i nutrienti necessari alla crescita (Zibordi et al.,2009). Questi due
effetti, sommandosi, normalmente provocano la caduta dei frutticini più
deboli, quelli meno impollinati e di diametro più piccolo.
Le cultivar Golden e Fuji sono mediamente sensibili al diradamento mentre
Gala risulta essere la più difficile da diradare anche chiudendo presto la rete.
Per le varietà che allegano facilmente, se le si vuole diradare occorre
chiudere entro la piena fioritura, quindi 1 o 2 giorni dopo che si sono aperti i
fiori centrali sul legno vecchio, mentre per le cultivar sensibili
all’ombreggiamento, per evitare un possibile sovradiradamento, è necessario
74
attendere l’impollinazione e chiudere alcuni giorni dopo la piena fioritura.
All’utilizzo di reti, trattandosi nella maggior parte dei casi di un trattamento
precoce, si possono far seguire diradanti chimici vecchi e nuovi (NAD, NAA,
BA, metamitron) quindi la chiusura della rete in funzione diradante va vista
come uno strumento addizionale, non necessariamente sostitutivo degli
interventi chimici, meccanici o manuali fino ad oggi impiegati per regolare la
carica dei frutti. La funzione di protezione antigrandine della rete è ben
svolta sui meleti, anche per la presenza di un distanziatore in cima a ogni palo
intermedio e 1 filo di ferro per parte. I distanziatori a livello della cima
permettono minor danneggiamento delle mele da parte della grandine. Come
alternativa si può avere la copertura in alto nera per proteggere le scottature
dal sole andando a gestire un problema che il cambiamento climatico in atto
sta aumentando sempre di più ogni anno. Un punto di forza delle reti è la loro
inclinazione quasi verticale, che permette uno scarico totale della grandine e
della neve, aspetto molto importante per le zone montane, in pendenza ed
esposte al rischio di nevicate precoci (figura 3.3.1, 3.3.2, 3.3.3, 3.3.4).
Figura 3.3.1: nelle frecce i due rispettivi capi delle aste dove inserire la manovella per il riavvolgimento e lo svolgimento delle reti
Figura 3.3.2: i distanziatori e le due aste che corrono lungo l'intero filare parallelamente
75
Per la coltivazione di meleti sotto rete è vantaggioso eseguire almeno un
intervento di potatura verde a inizio estate, sia della parte laterale sia delle
cime delle piante, tale intervento può essere effettuato a mano o anche a
macchina, facendo seguire il diradamento manuale di rifinitura. Uno scopo
valutato di queste reti è l’effetto brachizzante che hanno sulla pianta di
melo, si contiene così lo sviluppo della pianta rendendolo completamente
pedonabile. Lavorare manualmente camminando sotto la rete è piuttosto
scomodo, quindi è utile mettere a punto dei sistemi semplici per facilitare la
Figura 3.3.3: nelle frecce i distanziatori posti lungo il filare ad ogni palo intermedio
Figura 3.3.4: impianto "Doppio Guyot" pedonabile predisposto a nuove tecniche di reti multifunzionali
76
scopertura temporanea dei filari. Se si solleva la rete è importante farlo in
base al comportamento e al ciclo della carpocapsa (Cydia Pomonella) per
evitare ovodeposizioni (Tasin M. et al., 2008) e della Drosophila Suzukii.
Siccome la copertura con rete aumenta l’effetto vela del vento sui filari,
questa multifunzionale è più adatta ad impianti bassi, con altezza inferiore ai
3 metri. Le reti mono filari sono l’unica forma di difesa antigrandine che si
appresta anche all’utilizzo delle irroratrici a tunnel, in questo modo occorre
fare più attenzione agli afidi e all’afide lanigero, perché sono favoriti
dall’ombreggiamento esercitato dalla rete. Queste reti possono essere
utilizzate sui filari di bordo degli appezzamenti delle aree urbane per limitare
sia l’uso di insetticidi sia la deriva dei fitofarmaci (Triloff et al., 2012); le reti
hanno anche la funzione di anti pioggia allo scopo di limitare le infezioni
fungine e ridurre o eliminare il dilavamento dei fitofarmaci. Pertanto se il
fitofarmaco non viene dilavato si può ridurre la dose dello stesso.
Concludendo queste reti, poiché creano un ambiente semi protetto, possono
facilitare il lancio di insetti utili a diretto contatto con i meli.
3.4 Diserbo meccanico e gestione dell’interfilare
Questa tecnica consiste nella pulizia del sottofilare utilizzando dischi, lame,
coltelli e fruste. Essa elimina principalmente il rischio di contaminazione delle
falde con sostanze chimiche diserbanti, quindi meno impattante dal punto di
vista ambientale. Partendo dal presupposto che la corretta gestione delle
malerbe del sottofila garantisce un agevole svolgimento delle operazioni
colturali, riduce la presenza di patogeni fungini e insetti dannosi e limita la
competizione tra la vegetazione spontanea e arborea (Fig. 3.4.1, 3.4.2,
3.4.3), negli ultimi tempi soprattutto sulle nuove forme di allevamento di
melo in parete (bibaum, multiasse semipedonabile/pedonabile) si rende
necessario effettuare lavorazioni del terreno con macchine interceppo,
trinciatura rispetto ad un utilizzo di erbicidi di sintesi. Per esempio nelle
aziende di tipo biologico, dove non è consentito assolutamente l’utilizzo del
diserbo, la gestione delle malerbe è esclusivamente di tipo meccanico.
77
Figura 3.4.1: nuovo impianto cultivar Galant ad inizio estate
Figura 3.4.2: filare prima del taglio erba
78
Figura 3.4.3: filare post taglio erba
Figura 3.4.4: macchina tagliaerba portata posteriormente alla trattrice
79
In passato fu proposto l’impiego del pirodiserbo (lessatura dei tessuti con
fiamma GPL), nelle coltivazioni melicole che purtroppo non ha avuto gli
effetti auspicati a causa dell’elevato costo di gestione e della forte attenzione
da porre in situazioni ambientali di elevata aridità. Le macchine attualmente
disponibili sono di diverso tipo:
le macchine trinciaerba con tagliaerba laterale è costituita da una trincia
portata posteriormente alla trattrice (Fig. 3.4.4) e lateralmente può essere
provvista da un utensile a flagelli, un disco con coltelli oppure altri utensili
per la lavorazione interceppo, tale macchina procede sia alla pulizia
dell’interfila e sia sottofila.
La macchina tagliaerba laterale serve solamente per pulire il sottofilare, di
questo tipo vi sono macchine a coltelli e a flagelli.
Macchine interceppo per la lavorazione del suolo nel sottofila possono essere
portate anteriormente o posteriormente alla trattrice e la stessa macchina
può essere abbinata a diversi tipi di utensili, che possono essere alimentati
autonomamente dal proprio impianto idraulico o da quello del trattore e,
attraverso appositi sensori a sensibilità variabile, possono spostarsi
Figura 3.4.5: inerbimento nuovo impianto forma di allevamento Davor Baum
80
automaticamente al contatto con la pianta permettendo di lavorare anche in
impianti fitti, i meccanismi sono azionati dal posto di guida dell’operatore
tramite un distributore idraulico o elettro idraulico. Oltre al controllo delle
infestanti, è stato notato che la lavorazione meccanica del sottofila va a
disturbare l’attività delle arvicole, controllandole indirettamente.
Le macchine interceppo in posizione ventrale sono invece posizionate
lateralmente alla trattrice, consentendo all’operatore una agevole
visualizzazione e controllo della stessa sempre attraverso comandi
elettromeccanici.
Le nuove tecniche di diserbo meccanico saranno rappresentate dall’utilizzo di
acqua ad alta pressione, che irrorata violentemente sulle infestanti ne
provoca la distruzione e rappresenterà una possibilità di controllo naturale ed
ecosostenibile.
Con queste macchine si ha un maggior avvicinamento al tronco senza
danneggiamenti grazie a dei dispositivi elettromeccanici all’avanguardia con
un aumento della velocità di lavoro degli utensili che permette un incremento
della resa oraria di lavoro, lo stesso possono operare anche in situazioni
difficili ossia in presenza di elevato scheletro. Un limite alla diffusione di
queste macchine è il capitale di anticipazione necessario per l’acquisto,
infatti per ovviare a questo inconveniente si è cercato di abbinare ai suddetti
macchinari i diversi tipi di utensili, ottimizzando il capitale investito. Con
questi macchinari il numero di interventi necessari durante l’anno varia in
funzione dell’andamento climatico, che è determinante per lo sviluppo della
cotica erbosa. Mediamente si necessitano 4 interventi e dalle sperimentazioni
risulta molto elevato il costo annuo totale relativo all’impiego di macchine
per la lavorazione ma diventerà un passaggio obbligatorio anche nelle aziende
a produzione integrata in primo momento magari alternandolo al prodotto
chimico ma successivamente sarà l’unica soluzione: questo perché si ha
sempre più necessità di rispettare dei disciplinari che rispettano l’ambiente.
81
CAPITOLO QUARTO
METODO DI POTATURA “LOUIS LORETTE”
Questa potatura prende origine da un ricercatore francese, Louis Lorette capo
coltivatore e professore della scuola di agraria di Wagnonville, che a inizio del
1900 sviluppò una tecnica di potatura estiva su melo e pero con degli ottimi
risultati.
4.1 Significato dei termini
La gemma è un nucleo meristematico “germoglio” allo stato embrionale, di
forma subconica o emisferica che di solito si trova all’ascella delle foglie.
Le gemme stipulari sono quelle gemme poco appariscenti che si trovano
all’ascella delle stipule, cioè quei piccoli organi fogliacei che si trovano ai lati
della gemma principale.
Le gemme latenti non si sviluppano e possono rimanere inattive per anni
assecondando lo sviluppo diametrale e rimanendo nella cerchia cambiale.
Il germoglio, o cacciata, è la gemma sviluppata. Una volta arrivato allo stato
legnoso prende il nome di ramo.
Rami anticipati sono i germogli di seconda generazione che possono
svilupparsi sul germoglio o ramo, nello stesso anno in cui questo si è formato.
Il dardo è la gemma rimasta stazionaria ed accompagnata da una rosetta di 2
3 foglie; “è la promessa di fruttificazione del pero”.
La lamburda è un bottone che darà fiori e frutti, infatti termina con una
gemma a legno o con un corto asse con gemme a fiore laterali e apice
vegetativo.
La borsa è tutto quel corpo ingrossato e carnoso, sul quale erano inseriti i fiori
e dopo i frutti. Quest’organo dà, quasi sempre, luogo a dei dardi e a delle
lamburde.
Il corsoncello è la formazione o piccola branca che si forma in seguito alle
vegetazioni sviluppatesi dalla borsa lasciata da un dardo dopo aver fruttificato
e comprende anche il brindillo che è un germoglio debole che diventa ramo,
82
ma non raggiunge mai la grandezza di una matita, che invece è quella voluta
in questo metodo per la potatura alla base da giugno a settembre.
4.2 Scelta delle piante
“È meglio acquistare solamente 20 piante sane che 50 ammalate” cioè è
meglio pagare un po’ più care le piante e riceverle di prima scelta piuttosto
che voler usufruire del buon mercato. È molto importante la verifica dello
stato delle piante al ricevimento e non bisogna accontentarsi di ordinare le
piante da un qualsiasi vivaista con la semplice scelta delle varietà ma è
importante che queste piante siano vigorose e sane. La corteccia deve essere
liscia mentre se non lo è vuol dire che le piante sono avvizzite cioè hanno
passato troppo tempo esposte all’aria. I muschi che ricoprono il fusto e i
cancri sono sinonimi di vecchi scarti rimasti a lungo in vivaio. Le radici, ben
conservate e sane, devono essere assenti da ammaccature e muffe. Una
giovane pianta attecchisce poco se le sue radici sono state per molto tempo
esposte all’aria, al sole e ad una temperatura inferiore ad 1°C.
Le piantine che hanno sofferto per il freddo, non devono essere tolte
dall’imballaggio ma devono essere messe in un fosso esposto a Nord ed essere
seppellite ricoprendole con terra in modo di farle disgelare lentamente.
Dopo una quindicina di giorni si toglierà l’imballaggio dalla fossa perché esse
saranno ritornate allo stato normale e saranno pronte per il trapianto.
4.3 I fattori che contribuiscono alla fruttificazione
È ben noto che, ad una certa età, le piante da frutto fruttificano
naturalmente a 5 o 6 anni mentre altre con una potatura lunga dei rami a
legno che si trovano all’estremità delle branche (prolungamenti) fruttificano
già al terzo anno dell’impianto. Ma non bisogna dimenticare che il pieno sole
e la grande aereazione sono delle condizioni indispensabili per permettere
alle formazioni erbacee di trasformarsi velocemente in formazioni fertili. Per
questo occorre saper distanziare le piante tra di loro e lasciare sempre, tra le
branche dell’impalcatura, uno spazio necessario ai raggi del sole perché
eserciti la sua azione vitale.
83
Le foglie sono per le piante come i polmoni per l’essere umano e pertanto
bisogna conservarle numerose e ben sviluppate mentre la formazione di
piante per mezzo di gemme stipulari porta ad una fruttificazione più grande,
e questo diminuisce il vigore di certe cultivar.
4.4 Regole di potatura con il metodo “Lorette”
La forma appiattita da lui preferita è l’“U doppio” perché con questo metodo
la linfa è, per due volte, obbligata a suddividersi per ripartirsi su 4 branche
simmetriche e di forza uguale che si riempiono di formazioni fruttifere e
lamburde. I due germogli “cacciate” che devono formare il primo U e quelli
destinati a preparare le seconde U devono partire da uno stesso punto ossia
dallo stesso livello. Però il taglio su due gemme opposte porta dei rami situati
uno più alto dell’altro e per questo bisogna equilibrarli con cura. I
professionisti afferma sono in grado di ottenere l’U perfetto con i germogli
stipulari. L’astone viene piantato a novembre, ad aprile viene effettuata la
potatura a circa 25cm sopra il terreno. Dalla gemma superiore si sviluppa un
ramo che si taglia alla base verso la fine di giugno quando è già legnoso e ad
1/2cm dall’inserzione. Da questa base si sviluppano 2 germogli di forza uguale
situati allo stesso livello. Questi daranno origine alle branche principali.
L’anno seguente, ad aprile, anche questi rami vengono tagliati nei punti in cui
vogliamo che avvenga la biforcazione. Da ognuno si svilupperà un germoglio
(cacciata) che verrà tagliato sulle gemme stipulari e darà luogo a 2 germogli:
così si sono formati con semplicità e in modo perfetto i due U superiori.
4.5 Le pratiche della potatura
Al contrario del metodo classico, che vuole che le piante siano potate in
inverno durante il loro periodo di riposo e sottoposte a cimature durante la
primavera e l’estate, questo sistema si basa su una potatura da eseguirsi a
fine aprile, quando le piante sono completamente in vegetazione: ma poco e
solo sui prolungamenti; una potatura cortissima dei rami verdi che si effettua
a partire da giugno. Si applica a tutti i rami semilegnosi e deve essere assistita
da un’altra a luglio, agosto e settembre secondo i casi.
84
I VANTAGGI
La potatura invernale non è necessaria, ed i mesi di cattiva stagione possono
essere dedicati ad altri lavori. Ad aprile il tempo per potare i prolungamenti
richiede solamente un giorno rispetto alla potatura normale in cui serve una
potatura di svariate settimane. Questo metodo è molto semplice, in estate
richiede un leggero lavoro monotono che può essere ritardato anche di
qualche settimana senza che ne derivino inconvenienti. Louis Lorette
afferma:“ la differenza di produzione rispetto alla potatura classica è così
notevole che i professionisti non ne vogliono più sentir parlare”.
POTATURA DEI PROLUNGAMENTI
I prolungamenti, cresciuti all’estremità delle branche di impalcatura nella
primavera precedente e che sono stati conservati per la loro lunghezza,
entrano in vegetazione ad aprile. Il taglio avviene quando la linfa è
abbastanza in movimento e le gemme hanno dato origine a delle cacciate
erbacee di 5/6cm. Un periodo preciso per effettuare questa operazione non
esiste ma varia in base al clima (Fig. 4.5.1, 4.5.2).
Figura 4.5.1: tagli "Lorette" eseguiti con macchina potatrice
85
Prima di effettuare la potatura bisogna assicurarsi che le gemme abbiano
ricevuto il sole e l’aria, siano ben formate ed in grado di svilupparsi in rami a
legno; ecco che può essere effettuato il taglio lungo conservando, del
prolungamento, i ¾ della sua lunghezza. Quindi esse nella parte terminale
delle branche di impalcatura, quando hanno raggiunto l’altezza dei sostegni
per essere preparati, in aprile devono essere tagliati alla base cioè nel punto
d’inserzione, e così via per tutti gli anni.
FORMAZIONE DEI RAMETTI A FRUTTO
Mentre la potatura classica vuole che si formino i rami a frutto dai rami di
prima generazione (nati in numero limitato sui prolungamenti e tagliati a tre
gemme durante l’inverno), questa potatura permette di ottenere delle
formazioni più corte di minor vigore e facilmente provviste di bottoni. Il punto
focale è il bottone, che si forma sui prolungamenti. Una volta fiorito il
bottone si forma una borsa di cui non bisogna dimenticare che porta sempre
delle gemme o dei dardi suscettibili di dare dei nuovi bottoni o dei rami a
legno. Di solito succede che su una prima borsa se ne formino spesso altre in
grado di generare piccole, corte e ramificate formazioni che sono rivestite da
uno spesso fogliame dando origine a numerosi mazzetti di frutti: il motivo di
Figura 4.5.2: tendenza di produzione sempre più vicino al fusto principale
86
indirizzare la linfa in queste nuove produzioni, praticando una potatura corta
durante l’estate, è che si possono conservare per metro lineare di ramo, circa
12 frutti assicurando la trasformazione dei dardi di nuova formazione, in
bottoni per l’anno seguente. Brevemente si vuole distribuire la linfa tra frutti
e dardi per ottenere una produzione regolare e costante.
4.6 Principali pratiche di potatura
Nel corsoncello a tre rami se abbiamo un ramo fruttifero troppo vigoroso che
abbia prodotto tre rami o cacciate a legno, questi vengono tagliati tutti e tre
alla base.
Nel corsoncello con un ramo a legno e vari dardi, si taglia il ramo a legno a
qualche centimetro dall’inserzione in modo da conservare oltre alle gemme
stipulari, una gemma normale capace di sviluppare un ramo a legno.
Nel corsoncello con due rami a legno si deve tagliare alla base il ramo
inferiore dove va lasciata una fogliolina mentre il ramo superiore sopra una
gemma ben formata tuttavia il trattamento per essere completo ha bisogno
ad agosto/settembre di essere tagliato alla base il moncone del ramo
superiore.
Anche sulle borse le soppressioni vengono effettuate ugualmente ai rami
vigorosi cioè quando in esse si sviluppano uno o due rami bisogna tagliarli
all’inserzione. Se, successivamente, nascono dalle gemme stipulari uno o più
rami di seconda generazione si tagliano anch’esse alla base: questo processo
viene effettuato fino a quando esse non si trasformano in dardi. Quando su
una borsa c’è un solo brindillo questo deve essere piegato, solamente dopo
questa operazione si riempirà di formazioni fruttifere. Queste potature corte,
con lo scopo di far nascere dei dardi nuovi o di rafforzare quelli esistenti,
danno luogo a formazioni fruttifere che possono assumere aspetti differenti.
4.7 Potatura di agosto e settembre
Dopo aver eseguito i vari tagli in varie volte durante l’estate, la maggioranza
dei dardi che si sono sviluppati per primi si sono trasformati in bottoni. Quindi
in questo periodo molti di essi sono incerti, cioè non sappiamo con sicurezza
87
se rimangono dardi oppure sono realmente bottoni per la prossima primavera,
per questo si ricorre a una potatura tardiva ed energica. Questo porta
vantaggio a dardi di sviluppo più avanzato, i quali dopo questa operazione di
taglio ricevono il sufficiente nutrimento per completare la loro trasformazione
in bottoni, il taglio non deve essere troppo abbondante perché potrebbe
trasformarsi in un ramo a legno. Riassumendo, questa potatura consiste nel
taglio sopra un dardo o un bottone, i rami a frutto che terminano ancora con
un ramo a legno: è indispensabile su cultivar vigorose e permette ai dardi, di
completare la loro evoluzione a fine stagione senza aver necessità di vederli
sviluppare in rami a legno.
88
CONCLUSIONI
Questo lavoro evidenzia una costante evoluzione delle forme di allevamento
del melo con il trascorrere del tempo che partono dall’antico, bellissimo e
oneroso vaso per passare dalle forme a spindle e palmetta per arrivare ai
giorni nostri con le modernissime forme a multiasse e addirittura semi
pedonabili e pedonabili: tutte tecniche sperimentante dai nostri frutticoltori
nel corso di secoli i quali durante le suddette sperimentazioni erano sempre in
dubbio su come fossero andati i loro risultati in futuro; ma come affermò “il
buon” Lorette: “è meglio sbagliarsi in buona fede, cioè con l’intenzione di
essere utili per il futuro, che parlare inutilmente per impedire di creare e di
produrre per un futuro prodigioso”.
Così si può capire quanto scritto precedentemente: l’altezza e la larghezza
degli alberi non solo influenza la produttività e la qualità ma anche tutte le
pratiche colturali e i sistemi di difesa delle piante di melo. Esiste una
relazione tra l’altezza dell’albero e la distanza tra le file, che a sua volta è
funzione dell’ampiezza della chioma e delle macchine disponibili in azienda
(trattrici, falciatrici, carri raccolta). Senza sminuire le forme di allevamento
in volume, come ad esempio il solaxe che con una robusta struttura
secondaria con la potatura centrifuga ha sempre lo scopo di avere un buon
legno produttivo e maggior raccolto nella parte più esterna della pianta, è
ben noto come sia oneroso e costoso produrre le mele in cima alle piante a
più di 2,5 metri di altezza. Se l’azienda se lo può permettere deve acquistare
il carro o i carri raccolta altrimenti deve fare uso delle scale che sono
scomode, pericolose e comportano un lavoro di raccolta ad ettaro molto
scarso in termini di tempo. Per esempio, si è visto che la parete fruttifera di
un multiasse (3/4 assi) di cultivar Golden Delicious produce circa 80t/ha
(53kg*albero con densità di 1650 alberi/ha) cambiando i sesti d’impianto
come in un normale mono asse. I sesti d’impianto adottati sono di 2,80m tra
le file rispetto allo spindle di 4/5m. Questo comporta un maggior numero di
89
file in un appezzamento con altezze e ampiezze di piante di melo più
contenute. La qualità delle mele è più omogenea perché non esiste la
distinzione tra produzione tra dentro e fuori dalla chioma. Cambiando
“l’architettura” della pianta di melo si contribuisce alla sostenibilità
economica ed ecologica dell’intero processo produttivo molto richiesto dalle
ultime misure della PAC. Si notino i valori di ore/ha per i relativi processi
produttivi nei due differenti casi di allevamento e di potatura riportati nella
tabella seguente (tabella 1).
Potatura lunga (2250 piante a spindle; 2250
cime)
Potatura in parete (1680
piante triasse; 5050 cime)
Differenza (ore/ha)
In allevamento i primi 3 anni Sesto d’impianto 3,7 x 1,2 m 3,3 x 1,8 m Legature cime (ore/ha)
94 210 116
Piegatura rami (ore/ha)
105 0 105
Potatura verde (ore/ha)
0 45 45
Ore totali dei primi 3 anni
199 255 56
In produzione (ore/ha per anno) Potatura 91 60 31 Raccolta 420 355 65 Dirado manuale 80 50 30 Diserbo 15 25 10 Totale 606 490 116
La bassa densità di piantagione per ettaro nei multi asse (<2000 piante/ha)
compensa la scarsa precocità di essi. Il progetto di parete fruttifera serve ad
utilizzare dei sistemi di trattamento chimico che esplicano la loro azione in
ambedue i lati come i tunnel e i sistemi fissi in sperimentazione. La superficie
per ettaro di questa parete fruttifera può essere calcolata dalla sua altezza e
Tabella 1: pro e contro riscontrati nelle operazioni effettuate per la formazione e il mantenimento dei due sistemi di allevamento
90
dalla distanza tra le file e questo permette di attuare il sistema TRV (Tree
Row Volume). Le finalità di questo sistema è mantenere la costanza del
deposito di formulato sulla superficie fogliare della fila di melo andando ad
adeguare i relativi dosaggi in funzione dell’effettivo volume di vegetazione
riscontrato al momento dell’intervento. Questo sistema negli impianti semi
pedonabili e pedonabili è più facilmente applicabile perché la coltura
presenta una forma regolare che ne consente una determinazione matematica
della volumetria per unità di superficie. Esso ci indica che il volume delle
chiome e la superficie fogliare sono fra loro correlati e il volume fogliare può
servire come scala della superficie fogliare. Il valore finale trovato è espresso
in m³/ha e risulta variabile in base alla specie considerata, forma di
allevamento, portainnesto ecc. . Questo valore di volumetria risulta in
evoluzione nel corso della stagione con un andamento diverso nel corso
dell’habitus vegetativo del melo quindi dal tipo di potatura effettuato e dalla
gestione della chioma delle piante. Per applicare ed avere valori attendibili,
riferito a quanto detto, a questo metodo bisogna fare un sopralluogo sul posto
e al momento della precisa applicazione. Il TRV forma la base per quantificare
il volume di acqua da impiegare in funzione di un coefficiente che esprime
l’entità di vegetazione bagnabile al limite del gocciolamento con un volume
unitario di acqua. Tiene conto delle indicazioni riportate in etichetta (g/hl o
g/ha commisurate ad un volume convenzionale di 1600l/ha ritenuto adeguato
per volumi nell’ordine di 10.000 m³/ha. Presuppone la necessità di 400l/ha
per irrorare al limite del gocciolamento volumi di chioma nell’ordine di 10.000
m³/ha da cui deriva, in funzione del volume di riferimento di 1600l/ha, un
coefficiente di concentrazione base del fitofarmaco 4x, valore che rimane
costante indipendentemente dal volume di bagnatura precedentemente
definito. La dose da applicare (Kg o l/ha)= C(g/l)*V(l/ha)*4
C= concentrazione, calcolabile rapportando volume di bagnatura
convenzionale di riferimento di 1600l/ha e la dose riportata in etichetta (g o
ml/ha)
V= volume di bagnatura calcolata con il metodo TRV
TRV= (altezza della chioma * larghezza della chioma * 10.000)/ distanza tra le
91
file di piante di melo.
Questo porta a dei vantaggi di coltivazione e sostenibilità impiegando minori
volumi distributivi di agrofarmaci e conseguentemente, grazie a delle forme
regolari, abbiamo minor volumi di bagnatura con una asciugatura più rapida e
minor deriva con gli innovativi e sperimentali metodi di distribuzione. La
miglior asciugatura è resa possibile sia dal minor quantitativo di prodotto
impiegato che dalla parete stretta che crea un ambiente più facilmente
intercettabile in ogni parte della pianta di melo.
Il concetto di potatura verde dell’inestimabile Louis Lorette si basa sulla sua
filosofia del 1900 che diceva già all’epoca: “la potatura è fatta per dare una
grande superficie produttiva sul più piccolo volume possibile e la forma
principalmente ha la sua influenza perché ogni ramo ha diverse difficoltà di
potatura a seconda della sua posizione”. Questa produce il suo effetto subito
e dirige la linfa verso gli organi che ne hanno bisogno. Già all’epoca, dopo ben
15 anni di esperienze, dimostrò che le gemme stipulari furono molto più fertili
di quanto non furono le gemme poste all’ascella delle foglie. Ogni ramo a
legno si sviluppava a scapito loro. Quindi tagliando i rametti a legno si fanno
formare alla loro base dei dardi e dei bottoni fiorali e gli organi fruttiferi, che
si trovano sul fusto o sulle branche, possono usufruire della linfa, che prima
veniva assorbita da tutti i germogli inutili, perciò essi diventano più grossi e
forti. Dopo la fioritura questi organi lasciano una borsa che darà dei rami a
legno i quali dovranno essere asportati per ottenere dei dardi al posto dei
rami a legno. I successivi bottoni, che si accumulano anno dopo anno, danno
altre borse le quali sono sempre delle riserve di frutta per il futuro. In questo
modo i bottoni fruttiferi invece di avere 5/7 fiori arrivano ad averne fino a 20.
Lorette diceva: “più fiori si hanno e più riescono a ripararsi reciprocamente
dalle intemperie, e quindi si possono avere sempre dei fiori preservati dalle
gelate tardive mentre se si lasciano sviluppare i rametti sulle borse si ha che
questi ultimi tolgono ogni probabilità di fruttificazione”. Questi principi
differiscono tantissimo dai vecchi metodi di potatura invernale a 3 gemme.
Questo ci trasmette che un metodo sperimentato più di un secolo fa e a quel
tempo tanto discusso, criticato e perfino ignorato può essere ripreso in mano,
92
anche se in modo semplificato ma per fortuna con la meccanica, magari, si
può dire anche migliorato, ottenendo davvero degli ottimi risultati in termini
di sostenibilità agronomica, ecologica e sociale per un futuro innovativo e
sempre più all’avanguardia per un settore economico come l’agricoltura che
può essere parte integrante dell’ambiente.
Secondo Lorette: “la potatura estiva è molto più facile della potatura
invernale e il numero delle persone che sappiano eseguire bene l’ultima è
molto limitato. Quanti sono in Italia i bravi potatori? Pochi, molto pochi! E lo
vediamo noi professori che ci riusciamo pochissimo a formarne molti. La
grande maggioranza di potatori è costituita solamente da assassinatori di
piante. Questo metodo può essere applicato anche da un ragazzino di 10 anni
senza nessun problema”. Riducendo molto lo spessore e l’altezza dei filari si
ottiene anche una buona percentuale di gemme a fiore sul taglio praticato.
L’effetto brachizzante di questa potatura estiva a macchina è enorme nel
rimodellamento da spindle a parete fruttifera. Porta ad una migliore
esposizione delle mele e anche del sotto pianta. Alla raccolta quasi tutta la
frutta si trova a portata di mano con un aumento della resa oraria di raccolta
di circa il 20%. La potatura a parete ha permesso una riduzione del numero di
ore di potatura invernale da circa 90 ore/ha a circa 60 ore/ha con valori di 40
ore/ha nei multi asse. Il lavoro di piegatura estiva dei rami era una parte
essenziale dell’allevamento centrifugo con circa 35 ore/ha per anno che sono
state la maggior parte eliminate perché i moderni impianti non necessitano di
particolari piegature.
Le reti multifunzionali hanno dato una maggiore pezzatura dei frutti e il
sistema di rete monofilare sembra integrarsi bene con le forme a parete
stretta. Se il filare ha la parete stretta inferiore al metro si può pensare di
scoprire la rete solo da un lato per diradare a mano. La rete assume non più
solamente una funzione antigrandine ma ben di più, come di anti pioggia e
quindi conseguentemente di cambiare il microclima intorno alla pianta a suo
favore. Le ultime reti adattabili alle forme di allevamento “Doppio Guyot”
semi pedonabili/pedonabili permettono di essere chiuse o aperte con un
semplice sistema a manovella applicabile in ogni asta posta lungo tutto il
93
filare nella parte bassa della rete e distanziate in cima con degli appositi
distanziatori in plastica che permettono di ridurre il danneggiamento dei
frutti fino al 95%. Questo sistema a manovella può funzionare efficacemente
per filari lunghi circa 100 metri (Fig. 1).
Sistemi d’impianto che si adattano bene a macchine scavallanti per i
trattamenti come ad esempio la macchina trainata LOCHMANN LIPCO (Fig. 2,
3) con un sistema di riciclaggio del prodotto non depositato sulla pianta, ossia
viene raccolto, rifiltrato e ripompato nella cisterna (Fig. 4, 5).
Figura 1: impianto pedonabile con reti monofilari aperte con il sistema a manovella
94
Figura 2: macchina scavallante portata Lochmann LIPCO
Figura 3: attacco macchina portata
Figura 4: sistema di raccolta ambo i lati
95
La lunghezza della parete del tunnel è di circa 1,25m con un’altezza globale
della macchina di circa 2,20m. Questi trattamenti con questo sistema
comportano una minor deriva verso luoghi pubblici e abitati. Altri sistemi in
fase di sperimentazione, sempre per il solito scopo e con il vantaggio di essere
messi in funzione sotto rete, sono i sistemi di impianti fissi (figura 6, 7, 8).
Figura 5: sistema di raccolta
Figura 6: tipo Cool Figura 7: tipo Strip
96
Da come si nota dalle figure precedenti sono in sperimentazione diversi
modelli che prendono il nome dalle diverse tipologie di ugelli. Essi
differiscono tra di loro in base alle tipologie di particelle che vogliamo
ottenere e in base alla portata. Per fare una distribuzione completa
sull’intera fila occorrono circa 3/3,5 minuti e infine finiti i trattamenti la
linea di tubazione può essere completamente lavata internamente.
Il controllo meccanico delle infestanti infine rappresenta un’alternativa
sempre più diffusa all’impiego di prodotti chimici, anche in produzione
integrata, in virtù del minore impatto ambientale richiesto dalla grande
distribuzione e della sempre più frequente comparsa di specie infestanti
resistenti agli antibiotici.
Concludendo è un sistema tutto in evoluzione e in piena sperimentazione in
cui dati certi al 100% su alcune metodiche, non si possono ancora trarre ma si
spera in buone prospettive future sia della tecnica che dell’occupazione
essendo l’agricoltura un ramo che fornisce alla società bene primari
soprattutto in quelle zone montane caratteristiche per le loro tipicità da
portare avanti con processi all’avanguardia che richiedono sempre di più e
con il passare del tempo, oltre al rispetto ambientale e al mantenimento
economico, migliorie a livello territoriale sia sociali che produttive, perché la
Figura 8: tipo Vibro
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tutela del paesaggio e del territorio sono un valore facente completamente
parte delle attività di melicoltura. Un domani, avendo acquisito ancora più
competenze in questo ramo, spero di essere in grado di gestire determinati
aspetti chiave che sono fondamentali per la melicoltura e la frutticoltura del
futuro.
Figura 9: estensione del multiasse pedonabile in parete
Figura 10: prime produzioni di un giovane impianto pedonabile in ambiente montano
98
Figura 11: impianto bibaum semi pedonabile in produzione
Figura 12: produzione impianto al secondo anno cultivar Golden Delicious "Doppio Guyot" pedonabile
99
Figura 13: produzione impianto di due anni cultivar Golden Delicious e Red Delicious "Doppio Guyot" pedonabile con distanza tra le file di 2,05m
100
Figura14: produzione di un multi asse cultivar Golden Delicious
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RINGRAZIAMENTI
Tutto è iniziato con il mio sogno nel cassetto, non appena data la maturità
tecnica, di entrare a far parte del Corpo Forestale dello Stato, previa
acquisizione di una base culturale e scientifica atta alla specializzazione nel
vasto campo delle scienze agrarie. Ho deciso così di intraprendere un primo
percorso universitario iscrivendomi al corso di laurea triennale in
“Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio Montano”.
Ho deciso pertanto di trasferirmi dalla mia città di Orvieto a Edolo: un
cambiamento di paesaggio e di stile di vita, dalla bella campagna umbra,
lontana diverse decine di chilometri dalla catena appenninica alla
pedemontana delle grandi e affascinanti montagne alpine dove i lunghi inverni
rigidi e le abbondanti nevicate favoriscono il raccoglimento e lo studio.
Il settore della frutticoltura ed in particolare della melicoltura, argomento di
discussione della mia tesi di laurea, è particolarmente sviluppato ed in
espansione nelle adiacenti Province autonome di Trento e Bolzano; sarebbe
innovativo sperimentare nell’immediato futuro anche nella mia Umbria (unica
regione dell’Italia peninsulare a non avere sbocchi sul mare e avere un
territorio con il 30% di aree montuose e 70% di aree collinari), queste nuove
tecniche di coltivazioni frutticole ed in particolare delle mele, visto che nel
passato anche i nostri contadini, in piccoli appezzamenti, hanno provato a
impiantare frutteti, magari solo per soddisfare le loro esigenze del pasto
quotidiano e facendone scorta per l’inverno. Naturalmente non si poteva
soddisfare la domanda del consumo sul mercato locale.
Al termine di questo mio lavoro mi corre il dovere ringraziare il chiarissimo
professor Lucio Brancadoro, docente di coltivazioni arboree e relatore di
questo mio lavoro, il dottor Alberto Dorigoni, ricercatore del settore filiere
agroalimentari che mi hanno supportato fino ad oggi e mi hanno fatto scoprire
e illustrare la bellissima “palestra a cielo aperto” dell’azienda sperimentale
Maso delle Part di Mezzolombardo, la commissione di laurea, l’istituto tecnico
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agrario di San Michele all’Adige (fondazione Edmund Mach), la foresteria per
avermi ospitato al meglio durante il mio periodo di tirocinio ed infine ma non
ultimi i miei famigliari che hanno creduto nelle mie capacità ed hanno
sostenuto gli oneri degli studi e della permanenza fuori sede. Un
ringraziamento a tutti coloro che sono presenti per assistere alla mia laurea in
questa bella giornata a coronamento del mio primo approccio universitario.
103
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Dottrina
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Documenti
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diradare il melo a macchina: cosa sapere per farlo bene;
L. Nari, G. Vittone (N°19 2016), soluzioni per il diserbo meccanico in
frutticoltura;
104
A. Dorigoni, N. Dallabetta (N°40 2006), biasse: meno spese per l’impianto e
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A. Dorigoni, N. Dallabetta, F. Micheli, I. Piffer, P. Lezzer, J. Pasqualini (N°43
2008), il multiasse del melo per il “ dopo carbaryl”;
A. Dorigoni, F. Micheli (N°35 2015), come ottenere un frutteto semi
pedonabile;
A. Dorigoni, P. Lezzer, F. Micheli, N. Dallabetta, J. Pasqualini, A. Guerra
(N°48 2009), parete fruttifera stretta per mele redditizie e sostenibili;
A. Dorigoni, F. Micheli, P. Lezzer (N°34 2012), nuovo obiettivo in frutteto:
sostenibilità a 360 gradi;
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P. Bertanza (N°36 2011), mele sostenibili: la chiave del successo;
G. Bassi (N°22 2009), alternative al carbaril per il diradamento del melo.
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