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Verso” ufficiale dell’Associazione Culturale “L’Alveare” - Anno I n ° 5 Settembre - Ottobre MI RIFIUTO! DALL’OTTO SETTEMBRE ALLA COSTITUZIONE: UN PERCORSO DI LIBERTA’ L’armistizio dell’otto settembre è stato il punto più basso, eppure rigeneratore dell’Italia unita. La democrazia riconquistata si identifica con il ritrovato uso del teatro dove si esercitano, più che altrove, le proprie libertà. Q uest’anno, senza grandi festeggiamenti, è ricorso il sessantesimo anniversario dell’ armistizio , meglio conosciuto con l’espressione di “otto settembre”. Data sicuramente importante, forse la più importante della storia d’Italia, poiché proprio in quei giorni di quasi anarchia isti- tuzionale iniziò un processo lento ma costante che sfociò, qualche anno dopo, nella proclamazione della Costituzione Italiana. Questa data rappresenta da un lato la fine dell’istituzione fascista e il tradimento monarchico, dall’al- tro l’incipit di un nuovo corso. Chi scrive la vuole ricordare con poche parole e immaginando la disperazione di un popolo, di ogni singola famiglia, di ogni singolo giovane; come una situazione caratterizzata dall’assenza di rego- le, una sorta di dominio della legge naturale della foresta; come un per- corso di vita in cui le distanze da percorrere, dal fronte (o dalle retrovie) per raggiungere la pro- pria famiglia, divennero abissali. Distanze abissali che solo col tempo, meglio con la speranza, mai vana, potevano o sembravano ridursi. Il pensiero inevitabilmente va a tutti coloro che, fortunati all’inter- no di una tragedia, trovarono asilo presso compagni di sventura e con questi furono spettatori o addirit- tura artefici della rinascita del nostro Paese. Rinascita che ebbe spinta dal- l’impulso democratico e antifasci- sta dei Partigiani: uomini, donne e giovanissimi che diedero la loro vita per dare a noi una nuova pos- sibilità. Persone, queste, quasi sco- nosciute singolarmente, ma che vivono saldamente nei nostri ricor- di. Persone vestite alla meglio maniera e senza nessuna “piuma” ad onorare i loro copricapo, senza nessuna icona a rappresentarli, nascoste sui monti a guerreggiar per un’ideale. Ma dopo tante morti e sofferen- ze quell’ideale si è concretizzato in una società retta da regole: la Repubblica, di cui la Costituzione è garante. Tale rivista non è la sede e soprat- tutto chi scrive non è la persona più adatta a discutere tali aspetti, ma si vorrebbe porre all’attenzio- ne del lettore alcuni aspetti di dirompente portata che la Costituzione porta in sé. In parti- colare il concetto di piazza e l’utilizzo che ne fanno i popoli e i governanti. La piazza, luogo in cui il regime soleva raccogliere il popolo per celebrare la sua, allora indiscutibi- le, onnipotenza e somministrare anesteticamente la sua voglia di accentrare tutto, diviene, oggi, il crogiolo delle diversità. Non solo ognuno è libero di par- tecipare ed organizzarsi, ma è anche libero di non partecipare e di dissentire dalle voci che circola- no e che vi si propongono. La piazza, il condominio di tutti e di tutto, il cui “unico” proprietario è chi la vive. Non vi sono affitti politici da pagare per viverla. Noi figli della Grecia, madre di tutte le democra- zie occidentali, in cui l’agorà era il fulcro, il centro, l’ombellico del mondo, non dobbiamo fare altro che rispettare tale aspetto. Concetto espresso con forza e chiarezza nella nostra Costituzione, sorretto e difeso dai fiumi di sangue dei nostri nonni. La piazza, che per antonomasia è il concetto di pubblico, rende tutto e tutti coloro che la vivono di dominio pubblico. La vita politica è vita pubblica! Ed in quanto pubbli- co tutti i cittadini hanno il diritto di esprimere la loro opinione, per quanto lontana possa essere dall’o- pinione altrui. Ma la pratica non segue quasi mai la teoria! Capita di essere spet- tatori di personali interpretazioni del concetto di pubblico che tocca il fondo con l’espressione, sempre di moda,“vi concediamo la piazza”. Tuttavia finché l’azione di “grup- pi di cittadini” è rivolta al pubblico, alla collettività, vera ed unica pro- prietaria, è dovere di ogni istituzio- ne salvaguardare chi opera in tale direzione. Non si sa cosa pensare di fronte a tali scenari: delusione, rabbia ed infine anche “simpatia”, forse. Ci si chiede quale possa essere l’origine di tali esotiche interpreta- zioni? Sono figlie di una lettura diversa oppure, cosa molto più grave, di una volontà politica deter- minata? Si potrebbe sottolineare che qualsiasi persona, in quanto cittadi- no, esprime la sua opinione politi- canessuno, proprio nessuno, può completamente fregiarsi del titolo di cittadino se non esprime e non cerca di comunicare agli altri la propria idea. Si tratta, dunque, di capire se quella che si osserva è politica o un “blando politichese”. Ai posteri l’ardua sentenza! Lottare sul piano dialettico con- tro le opinioni altrui è un bel eser- cizio di democrazia e rispettare taluni aspetti potrebbe essere un modo alternativo ma essenziale per ricordare l’otto settembre!!! Arturo Stabile Van Gogh. “Spettatori nell’arena”, 1888. E siste una cultura del rifiuto, come possono esistere infinite sculture di rifiuto e da rifiuto … e se voles- simo continuare a giocarci su, con la parola rifiu- to, ne uscirebbero delle belle. Il bello è (anzi il brutto) che di bello nel rifiuto c’è ben poco, soprattutto se il rifiuto è una maleodorante discarica, lecita e/o abusi- va, in bella mostra, o oculatamente nascosta, tra le stra- de del nostro paese. Beata “cultura” del menefreghismo alla meridionale, per cui a liberarsi di un rifiuto un po’ ingombrante basta caricarlo in macchina ed indivi- duare la discarica più vicina…con buona pace della regola per cui “lo fanno tutti, perché non dovrei anch’io?”. Ed eccole in bella mostra, le discariche del nostro paese, di facile accesso quanto di difficile smaltimento, perché a deturpare le zone verdi del “proprio” paese, ci vuole lo stesso interesse che ad impedirlo, tanto per il pubblico che per il privato cittadino.Comunque, sembra che il problema dei rifiuti affligga oggi una moltitudine di paesi e non sia neppure di facilissima risoluzione, ma, a voler ripetere una nota pubblicità progresso, basterebbe “evitare che i nostri rifiuti finiscano nel futu- ro dei nostri figli”e il senso civico e la coscienza ambien- tale di un’intera comunità ne uscirebbero “puliti”. Tanto più che, giusto per chi lo avesse dimenticato, abitiamo nel decantato Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, apprezzato e rinomato “fuori le mura”, quindi presumibilmente protetto e preservabile da chi lo abita e lo vive. A proposito, all’interno del parco scorre anche il nostro caro fiume Calore, risorsa idrica altrettanto da preservare, eppure… andate a fare un bagno estivo lungo le rive della frazione Mainardi (Aquara) ma non stupitevi che qualcuno giunga con ceste di lenzuola e litri di candeggina a riproporre l’an- tica usanza del lavaggio di bucato - posto che i nostri nonni usavano sapone naturale – e che al minimo rim- provero risponda “mi è lecito farlo, perché a casa mia manca l’acqua”. Già, la candeggina nel fiume, lo stesso dove noi facciamo il bagno, dove i pescatori fanno ago- nistiche competizione a suon di canna ed esca e vici- nissimo al costruendo “Centro lontra”. Postilla ad alcuni pescatori: ci sono serie e severe regole per la pesca di fiume e “sarebbero”interdette pra- tiche brutali, quali lo scoppio di piccole bombe e l’uti- lizzo di ingegni elettrici al solo scopo di facilitare il bot- tino ittco. Lo sanno quei non ligi pescatori che ad agire così si deturpa l’ecosistema di tutto il complesso? Ancora, nel bel mezzo dell’area pic-nic, attrezzata alle scampagnate della suddetta zona, vigerebbe il divieto di campeggiare, ma allora perché qualcuno lo fa col tacito consenso di tutti? Intanto, l’estate è finita, ci rivediamo l’anno prossimo sulle rive del Calore, ingenuamente speranzosi che la cultura del rifiuto abbia prevalso su quella dello scari- co, perché a vivere e vacanzare come si fa adesso, io mi rifiuto! Elvira Ragosta Le contraddizioni di una terra. 1

Verso ”ufficiale dell’Associazione Culturale “ L’Alveare ...€¦ · Arturo Stabile Van Gogh. “Spettatori nell’arena”, 1888. E siste una cultura del rifiuto, come possono

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“Verso” ufficiale dell’Associazione Culturale “L’Alveare” - Anno I n ° 5 Settembre - Ottobre

MI RIFIUTO!DALL’OTTO SETTEMBRE ALLA COSTITUZIONE: UN PERCORSO DI LIBERTA’

L’armistizio dell’otto settembre è stato il punto più basso, eppure rigeneratore dell’Italia unita.

La democrazia riconquistata si identifica con il ritrovato uso del teatro dove si esercitano, più che altrove, le proprie libertà.

Quest’anno, senza grandifesteggiamenti, è ricorso ilsessantesimo anniversario dell’ armistizio , meglio

conosciuto con l’espressione di“otto settembre”.Data sicuramenteimportante, forse la più importantedella storia d’Italia, poiché proprioin quei giorni di quasi anarchia isti-tuzionale iniziò un processo lentoma costante che sfociò, qualcheanno dopo, nella proclamazionedella Costituzione Italiana.

Questa data rappresenta da unlato la fine dell’istituzione fascistae il tradimento monarchico, dall’al-tro l’incipit di un nuovo corso. Chiscrive la vuole ricordare conpoche parole e immaginando ladisperazione di un popolo, di ognisingola famiglia, di ogni singologiovane; come una situazionecaratterizzata dall’assenza di rego-le, una sorta di dominio della leggenaturale della foresta; come un per-corso di vita in cui le distanze dapercorrere, dal fronte (o dalleretrovie) per raggiungere la pro-pria famiglia, divennero abissali.Distanze abissali che solo coltempo, meglio con la speranza, maivana, potevano o sembravanoridursi.

Il pensiero inevitabilmente va atutti coloro che, fortunati all’inter-no di una tragedia, trovarono asilopresso compagni di sventura e conquesti furono spettatori o addirit-tura artefici della rinascita delnostro Paese.

Rinascita che ebbe spinta dal-l’impulso democratico e antifasci-sta dei Partigiani: uomini, donne egiovanissimi che diedero la lorovita per dare a noi una nuova pos-sibilità. Persone, queste, quasi sco-nosciute singolarmente, ma chevivono saldamente nei nostri ricor-

di. Persone vestite alla megliomaniera e senza nessuna “piuma”ad onorare i loro copricapo, senzanessuna icona a rappresentarli,nascoste sui monti a guerreggiarper un’ideale.

Ma dopo tante morti e sofferen-ze quell’ideale si è concretizzato inuna società retta da regole: laRepubblica, di cui la Costituzioneè garante.Tale rivista non è la sede e soprat-tutto chi scrive non è la personapiù adatta a discutere tali aspetti,ma si vorrebbe porre all’attenzio-ne del lettore alcuni aspetti didirompente portata che laCostituzione porta in sé. In parti-colare il concetto di piazza e l’utilizzo che ne fanno i popoli e igovernanti.

La piazza, luogo in cui il regimesoleva raccogliere il popolo percelebrare la sua, allora indiscutibi-le, onnipotenza e somministrareanesteticamente la sua voglia diaccentrare tutto, diviene, oggi, ilcrogiolo delle diversità.

Non solo ognuno è libero di par-tecipare ed organizzarsi, ma èanche libero di non partecipare edi dissentire dalle voci che circola-no e che vi si propongono.

La piazza, il condominio di tutti edi tutto, il cui “unico” proprietarioè chi la vive.

Non vi sono affitti politici dapagare per viverla. Noi figli dellaGrecia, madre di tutte le democra-zie occidentali, in cui l’agorà era ilfulcro, il centro, l’ombellico delmondo, non dobbiamo fare altroche rispettare tale aspetto.

Concetto espresso con forza echiarezza nella nostra Costituzione,sorretto e difeso dai fiumi di sanguedei nostri nonni.

La piazza, che per antonomasia

è il concetto di pubblico, rendetutto e tutti coloro che la vivono didominio pubblico. La vita politica èvita pubblica! Ed in quanto pubbli-co tutti i cittadini hanno il diritto diesprimere la loro opinione, perquanto lontana possa essere dall’o-pinione altrui.

Ma la pratica non segue quasimai la teoria! Capita di essere spet-tatori di personali interpretazionidel concetto di pubblico che toccail fondo con l’espressione, sempredi moda,“vi concediamo la piazza”.

Tuttavia finché l’azione di “grup-pi di cittadini”è rivolta al pubblico,alla collettività, vera ed unica pro-prietaria, è dovere di ogni istituzio-ne salvaguardare chi opera in taledirezione.

Non si sa cosa pensare di frontea tali scenari: delusione, rabbia edinfine anche “simpatia”, forse.

Ci si chiede quale possa essere l’origine di tali esotiche interpreta-zioni? Sono figlie di una letturadiversa oppure, cosa molto piùgrave, di una volontà politica deter-minata?

Si potrebbe sottolineare chequalsiasi persona, in quanto cittadi-no, esprime la sua opinione politi-canessuno, proprio nessuno, puòcompletamente fregiarsi del titolodi cittadino se non esprime e noncerca di comunicare agli altri lapropria idea. Si tratta, dunque, dicapire se quella che si osserva èpolitica o un “blando politichese”.Ai posteri l’ardua sentenza!

Lottare sul piano dialettico con-tro le opinioni altrui è un bel eser-cizio di democrazia e rispettaretaluni aspetti potrebbe essere unmodo alternativo ma essenziale perricordare l’otto settembre!!!

Arturo Stabile

Van Gogh. “Spettatori nell’arena”, 1888.

Esiste una cultura del rifiuto, come possono esistereinfinite sculture di rifiuto e da rifiuto … e se voles-simo continuare a giocarci su, con la parola rifiu-

to, ne uscirebbero delle belle. Il bello è (anzi il brutto)che di bello nel rifiuto c’è ben poco, soprattutto se ilrifiuto è una maleodorante discarica, lecita e/o abusi-va, in bella mostra, o oculatamente nascosta, tra le stra-de del nostro paese. Beata “cultura” del menefreghismoalla meridionale, per cui a liberarsi di un rifiuto un po’ingombrante basta caricarlo in macchina ed indivi-duare la discarica più vicina…con buona pace dellaregola per cui “lo fanno tutti, perché non dovreianch’io?”.

Ed eccole in bella mostra, le discariche del nostropaese, di facile accesso quanto di difficile smaltimento,perché a deturpare le zone verdi del “proprio” paese, civuole lo stesso interesse che ad impedirlo, tanto per ilpubblico che per il privato cittadino.Comunque, sembrache il problema dei rifiuti affligga oggi una moltitudinedi paesi e non sia neppure di facilissima risoluzione,ma, a voler ripetere una nota pubblicità progresso,basterebbe “evitare che i nostri rifiuti finiscano nel futu-ro dei nostri figli”e il senso civico e la coscienza ambien-tale di un’intera comunità ne uscirebbero “puliti”.

Tanto più che, giusto per chi lo avesse dimenticato,abitiamo nel decantato Parco Nazionale del Cilento edel Vallo di Diano, apprezzato e rinomato “fuori lemura”, quindi presumibilmente protetto e preservabileda chi lo abita e lo vive. A proposito, all’interno delparco scorre anche il nostro caro fiume Calore, risorsaidrica altrettanto da preservare, eppure… andate a fareun bagno estivo lungo le rive della frazione Mainardi(Aquara) ma non stupitevi che qualcuno giunga conceste di lenzuola e litri di candeggina a riproporre l’an-tica usanza del lavaggio di bucato - posto che i nostrinonni usavano sapone naturale – e che al minimo rim-provero risponda “mi è lecito farlo, perché a casa miamanca l’acqua”. Già, la candeggina nel fiume, lo stessodove noi facciamo il bagno, dove i pescatori fanno ago-nistiche competizione a suon di canna ed esca e vici-nissimo al costruendo “Centro lontra”.

Postilla ad alcuni pescatori: ci sono serie e severeregole per la pesca di fiume e “sarebbero” interdette pra-tiche brutali, quali lo scoppio di piccole bombe e l’uti-lizzo di ingegni elettrici al solo scopo di facilitare il bot-tino ittco.

Lo sanno quei non ligi pescatori che ad agire così sideturpa l’ecosistema di tutto il complesso? Ancora, nelbel mezzo dell’area pic-nic, attrezzata alle scampagnatedella suddetta zona, vigerebbe il divieto di campeggiare,ma allora perché qualcuno lo fa col tacito consenso ditutti?

Intanto, l’estate è finita, ci rivediamo l’anno prossimosulle rive del Calore, ingenuamente speranzosi che lacultura del rifiuto abbia prevalso su quella dello scari-co, perché a vivere e vacanzare come si fa adesso, io mirifiuto!

Elvira Ragosta

Le contraddizioni di una terra.

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L’ARGONAUTA

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Osservare il cielo di notte è sicuramente uno deglispettacoli più belli che la Natura ci possa offrire. IlSole, la Luna, le stelle, i pianeti, le galassie, le comete

hanno sempre suscitato negli uomini di ogni tempo e luogostupore, dipendenze, paure e il lasciarsi condizionare dalleloro presenze.Basti pensare a tal proposito che per un lungoperiodo si è creduto che le comete fossero astri forieri disventure. I corpi celesti più abbondanti nel cielo sono sicu-ramente le stelle; se ne contano a miliardi con svariate lumi-nosità. Ma gli oggetti più luminosi risultano essere senzadubbio il Sole, la Luna,Venere e Marte.

Proprio questo ultimo, nelle notti di agosto e settembrescorsi, ha dato appuntamento a tutti gli amanti del firma-mento per uno spettacolare evento.

Alzando gli occhi verso Sud, nella costellazionedell’Acquario, si è osservato senza equivoco un brillantissi-mo puntino rosso: Marte, che in questi mesi è stato partico-larmente vicino alla Terra. Essendo Marte in opposizione(questo quando Sole, Terra e Marte sono allineati), è statopossibile assistere a tale fenomeno. L’opposizione avvieneogni ventisei mesi circa; tuttavia, essendo l’orbita di Marte equella della Terra ellittiche, questo fenomeno non accadesempre con la stessa distanza tra noi ed il pianeta. Ma que-sto non basta a giustificare la straordinaria luminosità.Infatti,il cosiddetto “pianeta rosso” in questo periodo è in perielio(distanza minima dal Sole).

Tutto ciò è avvenuto il 28 agosto scorso, ma la minimadistanza si è avuta il 27 dello stesso mese, quando il pianetaè arrivato a “soli”55.600.000 Km, cosa che non accadeva dacirca 60.000 anni! La prossima volta sarà nel 2287!.

E’ il quarto pianeta del Sistema Solare, caratterizzato dauna colorazione rossastra (appunto detto il pianeta rosso),orbita intorno al Sole ad una distanza media di circa228.000.000 Km. Nel suo moto di rivoluzione è accompa-gnato da due piccoli satelliti, Phobos e Deimos, scoperti nel1877.

La storia dell’astronomia presenta diversi esempi di pre-

visioni centrate sulla base di ricerche meticolose e prove con-vincenti; ma pure numerosi sono gli episodi in cui si è arriva-ti a conclusioni azzeccate grazie a ragionamenti inconsisten-ti o addirittura per caso. La scoperta delle lune di Marte nesono un esempio. Nel 1610 Galileo aveva appena scoperto lequattro lune di Giove; e Keplero, astronomo di ispirazionepitagorica e cultore di un’armonia numerologica dei cieli,maldigeriva una situazione che vedeva la Terra con un satellite,Giove con quattro e Marte con nessuno. La conclusione diKeplero fu che Marte, in quanto pianeta intermedio, ne dove-va aver due, non ancora scoperti, così da soddisfare la suc-cessione numerica 1, 2, 4… Tale fu l’influenza che un certomonaco,A.M. Schyrl, credette perfino di vederli!

La ricerca fu senza successo, fino a quando nell’agosto del1877 l’astronomo Asaph Hall scoprì due lune battezzate Paura

e Terrore (Phobos e Deimos), i nomi dei cavalli che nella mito-logia greca trainavano la biga del dio della guerra Ares, il roma-no Marte.

Dalle osservazioni ravvicinate la superficie di Marte pre-senta molte differenze tra l’emisfero settentrionale e quellomeridionale. Nell’emisfero Nord troviamo vulcani gigante-schi, flussi solidificati di lava, pianure, mentre scarpate e can-yon rendono la superficie estremamente varia. Nell’emisferoSud troviamo una crosta molto antica, satura di crateri; talecrosta è percorsa da numerosi canali larghi centinaia di Km elarghi qualche decina, che sembrano essere prodotti in un

lontanissimo passato da inondazioni catastrofiche. Pianureun po’ più giovani interrompono di tanto in tanto la mono-tonia del paesaggio. Per avere un’idea di come sia il suolomarziano non occorre andare sul pianeta rosso. Sulla Terraesistono, infatti,dei luoghi molto simili, tra i quali il paesaggiodell’Etna presenta, pur in scala ridotta, strette analogie conquelli presenti su Marte. La temperatura superficiale è moltorigida: la temperatura media planetaria è di - 50° C, contro i15° C della Terra. L’atmosfera è costituita quasi interamentedi anidride carbonica, con una piccola aggiunta di altri gas.La superficie è estremamente inospitale: l’acqua non esiste

allo stato liquido e, se ne fosse rimasta, dovrebbe trovarsisotto forma di ghiaccio misto al suolo (permafrost) ad unaprofondità di qualche chilometro.Altro ghiaccio è imprigio-nato nei sedimenti delle regioni polari e sotto le calotte dianidride carbonica ghiacciata. Marte è senza dubbio il piane-ta che ha più analogie con la Terra: ruota su se stesso in circaventiquattr’ore e presenta un’inclinazione simile a quella ter-restre con il conseguente susseguirsi delle quattro stagioni.

Fin da quando è stato osservato e soprattutto da quando siè riusciti a fotografarlo (con le varie sonde spaziali), esso hasempre alimentato la fantasia (o la speranza) per una possi-bile vita extraterrestre.

L’osservazione, inoltre, di grossi canali, l’ormai sicura pre-senza di acqua in alcune parti del sottosuolo marziano e lestrette analogie con la Terra sono delle ottime motivazioniper studiare ed analizzare l’evoluzione del pianeta. Questosoprattutto nella speranza di capire perché Marte, in untempo remoto, coperto da oceani e con un’atmosfera similealla nostra, sia divenuto uno scenario inospitale per la vita.Temi, questi, che esulano dalla pura conoscenza scientificama che trovano fondamento e motivazioni anche per lo studiodell’evoluzione del nostro pianeta.

Dalla possibile vita su Marte ad una possibile, in un temporemoto,civiltà marziana il salto è breve. Sicuramente,oggi, suMarte non vi è nessuna civiltà. Potremmo noi, civiltà umanaterrestre, essere i figli di quella possibile civiltà marziana cheabbandonò il pianeta quando le condizioni ambientali diven-nero inospitali?

Antonio Stabile

MARTE: IL PIANETA ROSSONell’agosto scorso Marte ha raggiunto la sua maggiore prossimità alla Terra.

Marte appare, fra i pianeti del Sistema Solare, il più “simile” alla Terra, tanto che milioni di anni fa potrebbe anche aver ospitato una qualche forma di vita. Conoscere il passato di Marte rappresenterebbe un’assicurazione sul futuro per la Terra.

Il monte Olimpo è il più alto vulcano di Marte ed è uno dei più altiin assoluto del Sistema Solare: si erge per venticinque Km sullapiana circostante si estende alla base per seicento Km. La sua vettaè spesso coperta da nubi che lo fanno apparire al telescopio comeuna macchia bianca: per questo era conosciuto come “NixOlympica” (neve dell’Olimpo).

Massa: 6,57X1027 Kg;Raggio: 3.393 Km;Temperatura: da – 87 °C a + 17 °C (Inoltre è presente il fenomeno dell’alternarsi delle stagioni);Distanza Marte – Sole: 227.900.000 Km (distanza media su un anno).Distanza Terra – Marte: 399.000.000 Km (massima distanza)Periodo di rotazione: 24,6 ore;Periodo di rotazione intorno al Sole: 686,2 giorni;Accelerazione di gravità: 3.72 m/sec2

(Terra:9,8 m/sec2;ciò che pesa 1 Kg sulla Terra su Marte pesa 0,38 Kg)Satelliti naturali: Phobos e Deimos.

La “Faccia su Marte”, che alcuni hanno interpretato fantasiosa-mente come prova di vita intelligente sul pianeta, è probabilmenteuna collina erosa dai forti venti marziani.

Primavera sull’emisfero Nord di Marte: il ghiaccio della calotta polare e’ sublimato ed essa si è ritirata.

CARTA DI IDENTITA’ DI MARTE

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ATTUALITA’: ECONOMIA

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La finanza etica, a differenza di quella tradizionale, sicaratterizza per il fatto che l’investitore mira nonsolo alla speculazione, quindi al rendimento del capi-

tale, ma punta su attività che rispondono a determinatirequisiti di carattere sociale ed ambientale. Si ritiene chegli investimenti con finalità sociale risalgano alla protestaattuata negli USA contro la guerra in Vietnam, dove lamaggior parte degli studenti criticava il modo in cui veni-vano investiti i fondi delle proprie Università. In seguitodivenne uno strumento per boicottare tutte quelle impre-se che intrattenevano rapporti commerciali con paesi raz-zisti o dittatoriali. Nel corso degli anni la finanza etica èentrata sempre di più nel raggio di azione dell’investitore.Infatti attualmente sono circa 200 in 33 paesi le societàquotate in borsa che rispondono a requisiti etici; il lorovalore è pari a circa 4300 miliardi di dollari. Bisogna inol-tre aggiungere che l’investimento etico attualmente inte-ressa quasi il 50% degli investitori. Per questo motivo dalgiugno del 1999 la società Dow Jones, che rileva l’indiceazionario di Wall Street, ha istituito un sottoindice, ilDJSGI (Dow Jones Sustainability Group Index), il quale hail compito di misurare le performance borsistiche dellecosiddette imprese “sostenibili“.

Per quanto riguarda i prodotti offerti dalla finanza etica,bisogna rilevare che la punta di diamante è rappresentatadal microcredito. Nei paesi in via di sviluppo, ma nonsolo, vi è una massiccia presenza di microimprese, fonda-mentali per lo sviluppo delle economie locali, che pre-sentano elevate difficoltà di accesso al credito bancario acausa della mancanza di garanzie reali o personali da offri-re agli istituiti di credito. Il microcredito è nato proprioper risolvere questo tipo di problemi: esso si pone l’o-biettivo di erogare piccoli prestiti a microimprenditoriche presentano elevate difficoltà nel gestire la propriaattività economica. Inoltre accanto alla emissione del pre-stito vengono offerti una serie di servizi complementari,come la formazione tecnica e gestionale nonché la crea-zione di reti commerciali.

Accanto al microcredito vi è da rilevare la categoria deiprodotti umanitari, i quali hanno l’obiettivo di incremen-tare le risorse destinate alla solidarietà internazionale. Unesempio è costituito dalle Mutue di Auto Gestione (MAG).Si tratta di consorzi costituiti sotto forma di società

cooperative, formate da soci dotati di personalità giuridi-ca. Hanno l’obiettivo di garantire l’accesso al credito aquelle cooperative ed associazioni che operano senza finidi lucro in attività sociali ed ambientali. Ecco infine, qualè dal punto di vista geopolitico, la situazione della finanzaetica in Europa e negli Stati Uniti: in Italia è fortementeattiva la COSIS S.p.A.,nata nel 1985 dalla collborazione tral’Ente Cassa di risparmio di Roma ed altri soggetti legatiall’economia sociale;si prefigge lo scopo di sostenere iniziati-ve sociali per lo sviluppo dell’occupazione e fornire alle impre-se sociali supporto tecnico e finanziario.Inoltre il 10 giugno 1995 viene costituita, da 22 associa-zioni del “Terzo settore”, la Cooperativa Verso la BancaEtica, con l’obiettivo di raccogliere il capitale socialenecessario alla costituzione della prima Banca Etica italiana.

Tale risultato venne raggiunto l’8 marzo del 1999, gior-no in cui viene aperto a Padova il primo sportello diBanca Etica in Italia; si utilizza la forma di una banca popo-lare con un capitale sociale di 12,5 miliardi di lire. InFrancia opera la SIDI (Société InvestissementDéveloppement International), una società commercialeche finanzia le piccole e medie imprese locali e dei paesiin via di sviluppo con gli utili provenienti dalle SICAV edai fondi di rotazione o di investimento a finalità etica oumanitaria. In Inghilterra opera il CAF (Charities AidFoundation), una fondazione che finanzia il volontariato esensibilizza le banche ad attuare politiche di sostegno delno-profit.Negli Stati Uniti gli Americani dall’inizio del 2000, a causadella caduta del Nasdaq, hanno deciso aumentare il gradodi diversificazione degli investimenti, puntando propriosui fondi etici e sui titoli delle società socialmente respon-sabili. Si è così verificato che il patrimonio impiegatodagli investitori in titoli etici nello stesso anno ha rag-giunto la quota del 13% del capitale investito in borsa.

Vi è infine da segnalare l’operato della FondazioneChoros che implementa programmi di supporto allamicroimpresa nei Balcani, in Africa ed in America Latina,attraverso la raccolta di fondi presso soggetti privati epubblici,programmi di formazione ed accompagnamentoed incontri pubblici finalizzati alla sensibilizzazione deitemi della solidarietà e della pace.

Pasquale Durso

IL RUOLO DELLA FINANZA ETICA NEL CONTESTO DELL’ECONOMIA GLOBALE

Dal microcredito alla Banca Etica: un aiuto per i più deboli.

La storia, gli obiettivi e gli strumenti di un importante forma di finanza alternativa.

Jean Miró. “La fattoria”, 1921 - 22.

COMMERCIO EQUO E SOLIDALE:FAIR TRADE

Qualche tempo fa, passeggiando per le strade diSalerno, sono stato attratto da un’insegna “TiendaSolidar a Sud di nessun Nord”. Incuriosito, sono entrato e come per incanto mi sono sentito parte di quel

mondo…appunto “solidale”.Tutto ciò che mi circondava eratutto ciò che cercavo da anni, ciò che i documentari televisi-vi mi avevano mostrato sul Sud del mondo ed era lì, sotto imiei occhi. Notato, nel mio evidente interesse per i prodottiesposti, sono stato garbatamente avvicinato dalla responsa-bile, una volontaria (la maggior parte delle persone chelavorano all’interno delle botteghe sono volontarie).Con cor-tesia e passione, Simona mi ha delucidato sulle attività chesi svolgono nelle botteghe equo e solidali.

D. Che cos’è il commercio equo? R. E’ un’alternativa concreta ai sistemi tradizionali di mer-cato e ai meccanismi di sfruttamento del Sud del mondo.L’altro mercato costituisce rapporti di parità con piccoligruppi di contadini e artigiani, privilegiando fasce socialidiscriminate o emarginate dall’economia che gira nei loropaesi. Nel commercio equo si evitano le intermediazioni cheportano a speculazioni internazionali e le intese vengonosiglate direttamente con i produttori. Questo tipo di com-mercio offre la possibilità di dare senso al quotidiano, appa-rentemente poco importante, gesto della spesa.D. Perché acquistare equo e solidale?

R.Perché si ha la garanzia che i benefici dell’acquisto rica-dano sui produttori e perché c’è trasparenza sui prodotti esulla destinazione del denaro speso dal contribuente. Il com-mercio equo è una sfida agli iniqui rapporti commercialiche regolano gli scambi tra Nord e Sud, allo strapotere dellemultinazionali che sacrificano al proprio interesse lavorato-ri locali e ambiente, all’indifferenza dei consumatori, chespesso non sanno quale sia il percorso produttivo e lucrati-vo che si nasconde dietro ad un prodotto. Stare nel Sud delmondo è conoscere le persone, programmare insieme a lorole produzioni, imparare, dalle loro lingue, culture e modi di

vivere diversi e non per questo sbagliati. Significa combatte-re per il diritto dei più deboli, finanziare i loro progetti,ascoltare e sostenere…non elemosinare, ma soprattuttointrecciare vite e sogni senza confini. E allora, a noi inquili-ni del Nord del Mondo, affatto equo né tanto più solidale,non resta che sostenere chi ha avuto il coraggio di creareun’alternativa alle logiche di un’economia liberoscambista,ma estremamente egoista, e continuare a consumare.Si, con-sumare, ma “equo e solidale”.

Mario Di Gioia

Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambiprima la vita di colui che lo esprime. Che cambi in esempio.(A. Camus).

Pablo Picasso. “Uomini e donne con il cocomero”, 1965.

Jean Miró. “La fattoria”, 1921 - 22.

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Il tarantismo è un fenomeno storico-religioso, natonel Medioevo e protrattosi sino al ‘7oo ed oltrenell’Italia Meridionale in particolare in Puglia

(anche la tradizione orale aquarese ne annovera uncaso attorno alla metà del ‘800).

E’caratterizzato dal morso della taranta (lycosa taren-tula,un ragno) che avveniva solitamente nella stagioneestiva, nel periodo della mietitura, della spigolatura edi altri lavoro agricoli. Venivano pizzicate soprattuttole donne, che cadevano al suolo tramortite con perdi-ta delle forze e dei sensi.

L’unico rimedio per riemergere dallo stato di males-sere provocato dal morso era ballare.Il rito poteva averluogo sia a domicilio sia all’aperto, in entrambi i casicon l’osservanza cerimoniale di alcune precise parti-colarità dell’ambiente: dal soffitto si faceva calare unafune robusta in mezzo alla stanza cui il malato potevaaggrapparsi durante il ballo per evitare di cadere. Sualcune sedie disposte in cerchio prendevano posto ifamiliari più stretti della tarantata. Si stendeva a terraun lenzuolo bianco su cui si ponevano pampini di vite,rami di alberi, mentre attorno ad esso si adagiavanovasi di basilico, menta e cedrino, che servivano da sti-molo olfattivo. Si faceva, inoltre, passare un filo conappesi panni colorati in modo che la tarantata, duran-te il ballo, ne sceglieva uno, dal cui colore si deducevaquello della taranta avvelenatrice.

Quando tutto era pronto, la tarantata veniva posta sullenzuolo, i parenti intorno cominciavano a battere lemani e i musicanti attaccavano con i violino, il tambu-rello e l’organetto. L’inferma cominciava a muoversi, sialzava dal suolo e iniziava a battere ritmicamente ipiedi, a girare e a urlare. Il ballo poteva durare ore e avolte si protraeva per giorni.

A volte accadeva che le tarantate fossero costrette afermarsi, non già per stanchezza, ma per aver recepitoqualche dissonanza nella musica. Uno dei caratterifondamentali della tarantata era la ripetizione dellacrisi e della cura ogni anno,per un numero variabile dianni: vi era un primo morso curato a domicilio, con lamusica, la danza e i colori, ma ogni anno la crisi e lacura tendevano a rinnovarsi, producendo una serieperiodica, quasi regolare, di ri-morsi.. Ogni cura annua-le era seguita da una visita alla cappella Galatina(Lecce) dedicata a San Paolo, protettore di tutti i tara-tati. E sembra che le crisi diventavano più frequentiproprio all’approssimarsi del 29 giugno, festa dei SantiPietro e Paolo.

Oggi il tarantismo è scomparso, ma l’interesse cheruota intorno a questo fenomeno è ancora moltoforte. La musica e la ritualità, soprattutto, mantengono

LA TERRA DEL RI-MORSOIl “tarantismo”: sogni, sintomi, danze e preghiere.

“Se vuoi capire un popolo, il posto in cui vivi, devi capirne il ritmo, ascoltare il battito..”. (un tarantato)

un fascino particolare tra i giovani, che del fenomenoprediligono e salvano gli aspetti più immediati ed edo-nistici: la gestualità e il ritmo. Migliaia di giovani sidanno appuntamento la notte del 15 agosto per misu-rarsi, duellare, socializzare la propria energia, la propriavoglia di “danzare la vita” con il ritmo essenziale delSalento: la pizzica-pizzica. Senza legami, lacci, impedi-menti. Liberi di succhiarsi il midollo del proprio essere.

Sono ormai mutati profondamente i modelli di riferi-mento di una volta: non ci sono più le cause che ave-vano spinto tante persone, soprattutto le donne, a rifu-giarsi nel tarantismo, come ultima spiaggia per manife-stare e superare le proprie angosce, almeno una voltal’anno. Oggi, in un società progredita e tecnologica-mente avanzata, vediamo sorgere nuove frustrazioni enuove forme di alienazione dovute ai problemi delnostro tempo, quali la solitudine, il disamore, il disagioaffettivo dei giovani che vivono situazioni familiari dif-ficili, o degli anziani, spesso vittime di abbandono, maanche gli insuccessi, il senso di insicurezza o la man-canza di prospettive, che spinge molte persone, le piùfragili e vulnerabili, a rifugiarsi in altre forme di taranti-smo: il tarantismo del nostro tempo.

Gilda Marino

Luigi Caiuli. Terapia musicale con aioresis.

P er quanto la pizzica-tarantata costituisca il tipodi ritmo e di melodia normalmente impiegatinella terapia coreutica-musicale del tarantismo, la

più antica letteratura sul tarantismo, da EpifanioFerdinando in poi ha sottolineato l’impiego occasionale,nel corso della cura di canti malinconici, o addiritturadi nenie funebri.

MEMORIE IN CORSO

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CULTURA

I primi teatri, come avvenne anche per il dramma,si collegarono con il culto di Dioniso. Il luogo aperto e a forma di cerchio, in cui avveniva l’a-

dorazione, si trasformò gradualmente nella determi-nata forma architettonica del teatro antico. E’ possi-bile individuare, tuttora, nella struttura architettonicadel teatro tre moduli: il teatro principale, l’orchestrae la scena.

Il primo (o koìlon) era costituito dalle postazioniriservate al pubblico, di forma semicircolare edabbracciava l’orchestra posta ai piedi dello stesso.Questo modulo (che oggi chiameremmo spalti) eradiviso in due o tre zone, delineate da uno o da duelarghi corridoi orizzontali (diasònata) che facilitava-no l’accesso degli spettatori ai propri posti.Vi erano,infine, dei corridoi, perpendicolari ai primi, (klìma-kes) che collegavano l’orchestra con i posti più altidel teatro. La capienza raggiunse numeri che ancoraoggi sono competitivi: il teatro di Dioniso ad Atenepoteva contenere 17.000 spettatori, quello di Efeso16.000 e quello di Epidauro 14.000.

L’orchestra, di forma circolare o semicircolare, eraposta tra il teatro principale e la scena.Agli albori siail coro che gli attori stazionavano sullo stesso piano,ma successivamente questi ultimi se ne distaccaronorecitando su una pedana rialzata. Il coro entrava inscena attraverso due ingressi laterali (paròthous).

Al centro dell’orchestra vi era l’altare (thimèli) inonore di Dioniso, dietro al quale si posizionavano ilflautista ed il suggeritore. Infine vi era la scena, postadietro l’orchestra. Generalmente essa era costituitada uno spazio (il palco odierno) con in fondo unasorta di muro e la pavimentazione del palco (loghìo)era in legno. Il muro fungeva da enorme schermo sucui rappresentare tutto ciò che era legato alla mani-festazione. Di solito raffigurava la facciata di un tem-pio o di un palazzo a due piani, con una o tre porteda cui eventualmente uscivano gli attori presenti nel-l’edificio. Gli altri personaggi, invece, entravano inscena attraverso gli ingressi laterali destinati al coro.A tal proposito, è tuttora un mistero perché l’entratain scena avvenisse dall’ingresso laterale destro,secondo lo spettatore, per chi veniva dalla città o dalporto, e sinistro per quelli che arrivavano dai campi.Tale usanza divenne predominante soprattutto adAtene, sicché si è cercato di legare questa caratteri-stica alla posizione topografica della città. Per unarappresentazione teatrale completa ed avvolgenteoccorrevano anche e soprattutto attrezzature mecca-niche per la scenografia e per la realizzazione dell’e-ventuale successo tributato dagli spettatori.Infatti, gli Ateniesi già utilizzavano una sorta di pan-nello divisorio rotante, grazie al quale era possibilecambiare scenografia, dei loggioni posti sul tettodella scena, da cui recitavano personaggi rappresen-tanti le divinità,una specie di gru dalla quale far scen-dere o salire in cielo gli dei ed una botola posta sullapavimento dalla quale far entrare in scena i morti,oltre a strumenti per la realizzazione di lampi e tuoni.Le rappresentazioni teatrali divennero una vera epropria competizione artistica, con premiazionedella migliore, in cui ogni anno poeti e tragediografipresentavano le loro nuove opere. Il periodo princi-pale in cui si soleva rappresentare era la primavera,come retaggio delle origini; tuttavia esistevano anchedei motivi molto pratici per tale scelta.

In primavera i lavori agricoli erano in diminuzionee quindi anche la popolazione legata ai campi pote-

IL TEATRO ANTICO E LE GARE DRAMMATICHELa seconda parte del nostro viaggio nel teatro antico.

Nel numero precedente abbiamo descritto la più valida ipotesi attuale circa la nascita del dramma. Sarebbe altrettanto interessante descrivere i luoghi, i momenti e lemodalità in cui si realizzava la rappresentazione e tentare di immaginare l’atmosfera che le avvolgeva.

va assistere alle manifestazioni. Dall’altra parte lanumerosa presenza ad Atene, durante questo periodo,di stranieri e di commercianti favoriva il successodelle manifestazioni con la conseguente celebrazionedi gloria e grandezza di un popolo.A supervisionare le rappresentazioni era lo Stato ate-niese. Un funzionario era delegato a sceglier le operedei poeti, gli attori e soprattutto, per l’effettiva realiz-zazione, possibili benefattori (horigìa) per sopperirealle spese di realizzazione. L’individuazione di soggettidediti al sostentamento non era affatto un problema,poiché questo compito al tempo era motivo di orgo-glio e di ammirazione pubblica. Il poeta che vinceva lagara era incoronato con l’edera, la pianta sacra diDioniso. Si incidevano, infine, su apposite tabelle affis-se in luoghi pubblici, i nomi dei poeti, dei benefattorie dei protagonisti.

I danzatori, membri del coro, riscuotevano un com-penso, anche se dilettanti ed i benefattori assicurava-no loro,per l’intero periodo delle prove,vitto ed allog-gio. Anche la responsabilità per l’attrezzatura degliattori, la scelta del flautista e dell’insegnante per ilcoro erano a carico del benefattore, mentre per lecomparse era garantito un minimo di ricompensa. Inprincipio l’autore dell’opera (che era ne era ancheregista, scenografo, compositore musicale e coreogra-fo), era anche attore, ma con il passar del tempo e conl’aumento del numero dei personaggi impiegati nac-quero dei veri e propri ordini professionali. L’aspettoed i vestiti degli attori erano molto curati ed il carat-tere teleturgico dell’antico teatro richiedeva un’adattaattrezzatura.

Così i re portavano tuniche lunghe fino ai piedidecorate con dei colori vivaci, quando erano felici, egrigie quando cadevano in disgrazia; gli dei si distin-guevano con i loro simboli tradizionali, gli indovini,come Teresìa, portavano un vestito di lana (agrinòn)sopra la tunica, mentre l’abbigliamento del coro erasemplice e rispecchiava anch’esso il tema della trage-dia. Il volto degli attori era coperto da una maschera,simbolo di un legame mai sopito con i riti dionisiaci,ma anche un espediente per modellare l’aspetto del-

Il teatro di Epidàuro (IV sec. a.C.). Capace di contenere 14.000 spettato-ri, era diviso da un passaggio orizzontale in due setttori, il superiore di21 gradini, l’inferiore di 34, l’uno e l’altro divisi da scalette (klìmakes).

l’attore all’opera. L’utilizzo della maschera inducevanegli spettatori un’idealizzazione degli eroi e garanti-va uno scollamento dalla quotidianità per tuffarsi inun mondo dove gli eroi agivano e soffrivano. Questiaspetti erano determinanti per valutare la bravuradell’attore. Egli doveva utilizzare movenze particolaried assumere posizioni maestose poiché la mascheranon lasciava trapelare lo stato d’animo e l’espressio-ne.Ed in particolare la modulazione e la tonalità dellavoce risultavano di importanza vitale.

Le parti femminili erano sempre interpretate dauomini; l’accompagnamento del flauto per le opereepiche dipendeva dalla metrica dell’opera. Drammiin prosa non esistevano e le parti liriche del drammaerano cantate dal coro. Il coro, oltre a cantare, ballavaper armonizzare e trasmettere compiutamente ilcarattere dell’opera. Entrando dalle porte laterali didestra il coro, mostrando sempre le spalle al pubbli-co, era accompagnato nella danza dal flautista e soloil capo del coro interloquiva con gli attori. Da questapiccola e non completa discrezione del drammagreco si evince come era necessario un gran numerodi persone per il successo della tragedia.

Molti Ateniesi, uomini, donne, bambini, meticci estranieri nel corso dell’anno potevano partecipare aquesta grande festa della Repubblica Ateniese. Era loStato stesso, infatti, ad interessarsi di chi poteva resta-re escluso, donando agli indigenti i biglietti di ingres-so.

I miti raccontati erano tramandati da generazioni egli argomenti erano gia conosciuti ma ogni volta laparticolare interpretazione del regista e degli attoridonava alla rappresentazione originalità ed emozioni.Nel mondo antico nessun altro popolo ha raggiuntotale connubio con l’arte del dramma e con la filoso-fia dell’opera, e l’istituzione di gare annuali è emble-matica dell’amore sviscerato per un modo di rappre-sentare ed interpretare la realtà sociale, religiosa epolitica del proprio tempo.

Ma, come ogni altro popolo ed in ogni tempo,anche gli Ateniesi non si risparmiavano dal contesta-re e dal disapprovare un’opera infelice.

Georgia Gratsia

Maschera tragica, Museo Archeologico Nazionale di Atene

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TERRITORIO

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Uno che,emulo del “Barone rampante”di Calvino,voles-se percorrere tutto il centro storico di Felitto, in lungoed in largo, camminando esclusivamente sui tetti, non

avrebbe problemi tanta é la continuità delle abitazioni che sisuccedono e si addossano senza soluzione le une alle altre.Notevolissima é la sua estensione, in assoluto e se paragona-ta ai centri storici degli altri Comuni della Valle del Calore.

Le origini di Felitto si perdono, ricorrendo ad un’espres-sione usuale ”nella notte dei tempi”; però soffermandosianche solo sui resti imponenti della cinta muraria e sullaposizione veramente inespugnabile, é facile immaginare unpassato ricco di avvenimenti, purtroppo sconosciuti. Il cen-tro storico di Felitto é impostato su uno spuntone di rocciacalcarea, allungato in direzione NW-SE, con la sommità a”schiena d'asino”.

Strategicamente la posizione era, al momento dei primiinsediamenti e per tutto il Medioevo, veramente straordina-ria, sopraelevata, inaccessibile o accessibile con molta diffi-coltà dai quattro lati con possibilità di controllare con facili-tà tutta la Valle del Calore ed in particolare la parte di vallepiù prossima: insomma, citando il Manzoni, comel’Innominato, il Felittese poteva “contare a suo bell’agio ipassi di chi veniva, e spianargli l’arme contro, cento volte”.

Facile difesa naturale del posto, possibilità di avvistarecon molto anticipo eventuali pericoli, presenza abbondan-te sul posto di ottima pietra da costruzione e da calce, non-ché di sabbia in zona relativamente vicina (Casale), possi-bilità di rifornirsi di acqua sia per la vicinanza del fiumeCalore e sia per la presenza nel raggio di pochi chilometridi diverse piccole sorgenti, rendevano il posto ideale perun insediamento sicuro.

Tenendo conto della giacitura del terreno, indubbiamentela parte del centro storico di Felitto che consentiva un inse-diamento più facile, era quella precedentemente indicatacome “schiena d'asino”. E’ molto probabile che il primonucleo abitativo di Felitto sia stato costituito dall’area di piazza Matteo De Augustinis e dall’inizio di via Centrale.A questo punto potrebbe essere presa in considerazioneun’ipotesi suggestiva ma non inverosimile,un’origine “greca”di Felitto, molto più antica di quanto comunemente si ritiene.

Se si ammette come primo nucleo abitato di Felitto, per leragioni menzionate, l’area di piazza Matteo De Augustinis edintorni, e si considera che la stessa si estende ai piedi dellospuntone sopraelevato del Castello, allora la topografia delprimo sito abitato di Felitto, ripete del tutto quella di moltiinsediamenti greci, sia nella Grecia e sia nella Magna Grecia:lo scrivente ha osservato tali sorprendenti analogie topogra-fiche a Micene,Tirinto e nella Napoli greca.

Tali insediamenti si articolavano intorno a delle vie paralle-le (decumani) delle quali la principale e posta in posizionecentrale era il decumano maggiore, collegate da vie secon-darie (cardini). In più avevano, in posizione sopraelevata(acropoli) l’area, per così dire, religiosa con templi più omeno imponenti: non é inverosimile “vedere” in piazzaMatteo De Augustinis e in via Centrale necessariamente nonrettilinea per la topografia del terreno, il decumano maggio-re e nell’area del Castello l'acropoli.

Per quanto riguarda gli altri assi viari principali, via XIFebbraio e via Pomerio, il primo potrebbe identificarsi comedecumano, mentre il secondo, che si sviluppa a ridosso dellacinta muraria, nacque molto probabilmente come via logisti-ca prima a supporto della costruzione della cinta muraria esuccessivamente per il movimento di uomini e materiali.

A differenza di altri centri abitati in cui le opere di fortifi-cazione riguardano aree molto ristrette ed in genere limitatead un “castello” che rappresentava la struttura difensiva fon-damentale, a Felitto ci si trova di fronte a una vera e propriaarea fortificata, essendo la parte di centro storico entro lemura di circa 35.000 mq; é notevole inoltre che il “castello”,nell'ambito dell'intera area fortificata, rappresenti una parteimportante ma non preponderante.

Il carattere di centro abitato fortificato é evidenziato anche

FELITTO: ORIGINI GRECHE?Prima tappa di un viaggio fra i paesi degli Alburni e della Valle del Calore.

Una riflessione urbanistica, toponomastica e storica sull’ipotesi di un’origine greca di Felitto.

dai nomi di alcune vie che hanno conservato la denomina-zione originaria, in particolare via Pomerio e via Posterola,essendo il “pomerio”, presso i Romani, una striscia di terrenoche si estendeva lungo le mura di una città, all’esterno e all'in-terno, sulla quale era interdetta l'edificazione e la coltivazio-ne, perché luogo consacrato agli dei, e la posterla (postierla)una piccola porta secondaria, segreta, di soccorso, nelle muradi una città, di un castello, di un luogo fortificato.

Anche altre denominazioni di vie del centro storico (via XIFebbraio, via Marconi, via Centrale) sono recenti e sostitui-scono vecchie denominazioni quali, ad esempio, via Marconiper via Ebrea.

Altra singolarità del centro storico di Felitto, oltre allo svi-luppo veramente imponente della cinta muraria, circa 700 mcome attestato dalla posizione delle “torri”, é la sicura realiz-zazione della stessa in un solo momento costruttivo: manca-no, infatti, resti di mura intermedie.

Le abitazioni del centro storico di Felitto, realizzate in pie-tra calcarea locale bianco-avana a luoghi, con riflessi rosa emalta di calce e sabbia anch’essa locale (“arena del Casale”),sono prive di fondazione, attestandosi le murature diretta-mente sulla roccia priva della copertura del terreno.

La pavimentazione delle vie principali e delle piazze, fino ametà anni sessanta di pietra calcarea, fu inopinatamente rico-perta con una pavimentazione di materiale vulcanico; é pos-sibile osservare ancora, in qualche vicolo, lembi di pavimen-tazione antica sfuggiti allo zelo innovatore.

Nei vicoli di collegamento, tra gli assi viari principali,gli sca-lini sono quelli originari e sono costituiti di pietra, semprelocale ma diversa dal calcare bianco avana che costituiscepressoché tutti i manufatti del centro storico di Felitto: si trat-ta di una calcarenite di colore variabile dal grigio all'azzurro-acciaio con chiazze più o meno estese di colore giallo dovu-te all'azione degli agenti atmosferici, conosciuta come “pietradi Roccadaspide”, ma presente anche a Felitto sulla collinadenominata “Terone”.

Giuseppe Pagnotto

Le nuove frontiere della farmacologia.

IMATINIB: UNA SPERANZA IN PIÙ PER LA CURA DELLA LEUCEMIA

SALUTE

Rita Corrente. “Via centrale”

I l termine leucemia significa “sangue bianco” (da leucos = bianco ed ematos = sangue). La leucemia,

il cosiddetto “cancro del sangue”, è una malattia chepuò colpire chiunque, senza distinzioni di sesso o di età.Fino a non molti anni fa, essa era una malattia mortalenella quasi totalità dei casi, ma i progressi della ricercascientifica e le terapie sempre più efficaci, compreso iltrapianto di midollo osseo, hanno reso la leucemia gua-ribile in una percentuale maggiore rispetto agli altritumori.

La leucemia ha origine dalla trasformazione malignadella “cellula staminale”, cioè di quella cellula dallaquale derivano i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine.Le cellule maligne, proliferando, invadono dapprima ilmidollo osseo, quindi il sangue ed infine gli altri organi e tessuti.

Ci sono diverse forme di leucemia, una di esse è la leu-cemia mieloide cronica (LMC); tale patologia deriva daun’anomalia genetica che comporta un’abnorme produ-zione di granulociti (globuli bianchi). Le cause di taleanomalia non sono note ma è possibile che uno dei fat-tori scatenanti possa essere l’esposizione ad elevate dosidi radiazioni.

Un farmaco recentemente posto in commercio che hauna grande efficacia nel trattamento della leucemia mie-loide cronica è l’”Imatinib mesilato”: il suo meccanismod’azione consiste nell’inibire l’attività del gene “anoma-lo” in modo da impedire che i segnali che causano iper-produzione di globuli bianchi arrivino alle cellule delmidollo.

Su tale farmaco sono stati condotti studi di sperimen-tazione che hanno avuto come scopo quello di valutare

l’efficacia dell’Imatinib, comparando i suoi effetti conquelli ottenuti con l’Interferone (antitumorale); i datihanno mostrato che il trattamento con Imatinib erasignificativamente migliore rispetto all’altro: ad esempio,Imatinib ha mostrato uno 0,7% di intolleranza contro il23% dell’Interferone. Dai risultati ottenuti è emersoanche che Imatinib presenta una minore tossicità e scar-si effetti collaterali rispetto ad altri antitumorali(Druker, B. J. et al.).

Tale farmaco rappresenta una vera e propria svolta neltrattamento delle leucemie e i suoi risultati sono statidefiniti entusiasmanti.

Tutto ciò si riflette sui veri protagonisti di questo argo-mento, cioè sui pazienti affetti da leucemia mieloide cro-nica per i quali Imatinib rappresenta una speranza; talefarmaco, infatti, rende possibile non solo un migliora-mento della qualità della vita ma anche un aumentodella sopravvivenza.

Le straordinarie qualità di Imatinib non sono passateinosservate, infatti, questo farmaco, brevettato dallaNovartis con il nome di Gleevec™, già in commercio inUSA, ha ricevuto meritatamente il “Premio GalenoInternazionale”.

Giovanna Dorato

Pare essere un farmaco di svolta nella lotta contro la leucemia tanto per l’efficacia diretta, quanto per la qualitàdella vita che garantisce durante il trattamento.

Rembrandt. “Lezione di anatomia del dottor Tulp”, Mauritshuis L’Aja.

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SEGNALE ORARIO

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La nostra specie intelligente è comparsa sulla Terra soloda pochi milioni di anni: è un tempo lungo se comparato agli standard cui siamo abituati,ma in termini astro-

nomici è un battito di ciglia.Basti pensare al fatto che l’Universo è vecchio di ben 15

miliardi di anni. Immaginiamo allora di comprimere la suastoria entro un anno terrestre e supponiamo che l’era pre-sente coincida con la mezzanotte del 31 dicembre, mentrel’atto di nascita del Cosmo si sia prodotto, con il Big Bang, ilprimo gennaio. In questo calendario il Sole e la Terra esisto-no dagli inizi di ottobre e le prime specie di ominidi com-paiono nelle savane della Tanzania intorno alle 22h del tren-tuno dicembre. La nostra preistoria di uomini si sviluppatutta entro queste due brevissime ore che ci separano dalnuovo capodanno.

Alle 23h 10m cominciamo a costruire utensili di pietra, masolo alle 23h 54m apprendiamo l’uso del fuoco. L’uomomoderno comparve alle 23h 58m 50s; i primi lavori agricolifurono intrapresi a 16 secondi dalla mezzanotte; le piramidisorsero a 9 secondi; Colombo scoprì l’America quando man-cava meno di un secondo e il volo di Gagarin precedette disoli 5 centesimi di secondo quello del tradizionale tappo di

spumante, cioè l’oggi.La storia dell’astronautica si consuma dentro una sola gene-

razione, eppure in questi 0.05 secondi abbiamo conquistatola Luna (forse!!). Fra altrettanto tempo appoggeremo il piedesulla superficie di Marte. Poiché le nostre capacità tecnolo-giche stanno crescendo a ritmi vertiginosi, in modo moltopiù che proporzionale allo scorrere del tempo, è facile pre-vedere che entro il prossimo secondo saremo padroni delSistema Solare.

Poi probabilmente ci avventureremo fra le stelle, cercandonuovi mondi da colonizzare, esportando in altri angoli dellaGalassia le nostri genti, forti dell’intelligenza e dell’abilità tec-nica acquisita. E se verremo in contatto con altri esseri intel-ligenti dialogheremo con loro, avidi di conoscere le lorociviltà e le loro conquiste in ogni campo. Quando avverràtutto questo? Forse solo fra un paio di minuti sul nostrocalendario fittizio.E quanto impiegheremo a colonizzare l’in-tera Galassia? Una settimana? Esageriamo: venti giorni, cioèun miliardo di anni!

Se una civiltà intelligente come la nostra impiega al più unmiliardo di anni per espandersi in tutto il sistema stellaregalattico e, visto che il Sole non è una delle stelle primoge-

Sul quadrante del tempo l’Uomo rappresenta le lancette dei secondi.

nite della Via Lattea, chissà quante sono le stelle che hannogià partorito in passato delle specie intelligenti con una spic-cata tendenza alle migrazioni. Questi nostri fratelli cosmicipotrebbero aver iniziato l’espansione dal loro pianeta miliar-di di anni fa e avrebbero avuto tutto il tempo di giungereanche da noi. Invece non vi è traccia né qui né sulle stellevicine.

Evidentemente c’è qualcosa che non funziona nel nostroragionamento. Forse i viaggi interstellari non sono facilicome li abbiamo immaginati. O forse le civiltà evolute, svi-luppando armamenti sempre più distruttivi per fini di con-quista, finiscono con lo scatenare conflitti sul proprio piane-ta che azzerano il progresso e magari cancellano la speciestessa. Oppure anche le specie intelligenti e tecnologichecompiono il loro ciclo evolutivo in tempi relativamente brevie poi si estinguono come già è successo per tante famiglie diinsetti, rettili, dinosauri nella storia del nostro pianeta.

Non è da escludere, in ogni modo, neanche la possibilità incui la vita si sia sviluppata solo e soltanto sulla Terra.Tuttavia,vorrei fermamente scartare quest’ipotesi! Nel caso in cuifosse vero, a mio avviso, sarebbe di una tristezza inaudita:guardare quasi l’infinito, stupirsi delle forze che governanol’Universo, restare affascinati da immagini spettacolari e nonpoter condividere con nessuno tali emozioni!

Ma la speranza è dura a morire! Osservando il nostro pia-neta dal di fuori, vedere questa sfera bianco-azzurra sospesanel vuoto, di dimensioni piccolissime, quasi inghiottita dalbuio del Cosmo, che viaggia alla velocità di 72.000 Km/h,penso ad un’immensa astronave.Astronave il cui equipaggiosiamo noi.Un viaggio iniziato nella notte dei tempi con desti-nazione ignota, almeno per noi equipaggio.

Arturo Stabile

I l 15 settembre scorso è venuto a mancare unnostro illustre concittadino: il prof. GiovanniGiordano, figura esemplare di studioso e di

educatore.A lui si deve la prima opera sistematica sul dia-

letto aquarese: un vocabolario, integrato da nozio-ni di grammatica, di cui aveva curato due edizioni.

Ad Aquara, nella prima settimana di ottobre inizieranno le riprese del nuovo film di ItaloSabetta, gia regista di “Lucido di Aquara”,

dal titolo “I Cavalieri del Disonore”. La sceneggiatu-ra originale è di Massimo Garancini ed il film saràgirato interamente in digitale. Protagonista del film è l’epcamedivale e caval-leresca. I nobilicavaliri manda-ti in bataglia daRe Anterius tor-nano sconfitti.Affinché possa-no riprendersil’onore perduto,il re affida lorouna nuova missione: recar-si, insieme almago Wark, nelregno di Otthatgovernato dalRe Longarus perimpossessarsi diun acqua mira-colosa che salvi la vita di suo figlio gravementeammalato. I cavalieri dovranno affrontare unlungo e pericoloso cammino…

Questa nuova avventura è anche il primo pro-getto della neonata Associazione Culturale “ArtiVisive”, che ha tra i suoi fini statutari la divulga-zione cinematografica e l’avvicinamento di chiun-que abbia voglia al mondo di celluloide. Il film saràrealizzato anche con un contributo del Comune edella Banca di Credito Cooperativo di Aquara.

Vincenzo Scotillo

DIECI MINUTI A MEZZANOTTE

LUTTO. LA SCOMPARSA DEL PROFESSORE GIORDANO

UN NUOVO CIAK AD AQUARA

CRONACA

La nostra amata e possibile “astronave”.

L’esplosione di una stella.

Nucleo di una galassia.

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ARCHITETTURA LETTERATURA

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Quel che resta dell’antico convento dell’Annunziataad Aquara è un edificio privato, oggi abitato, e ilpiazzale antistante il portale della chiesa, utilizzato come parcheggio da chi può, chi vuole, pro-

babilmente da chi non sa. Magro reperto di un com-plesso, risalente al ‘500, che a rigor di logica avrebbedovuto essere conservato nel tempo, o quantomenonon cancellato dalla memoria storica, artistica e religio-sa del paese.

La prima notizia storica sulla chiesa della SantissimaAnnunziata di Aquara risale al 1 Novembre 1512. Ilmonastero viene dato per costruito ed affidato al fonda-tore Padre Mattia Ivone il 6 Marzo 1586. Il complessodella SS.Annunziata dal 1586 viene dato per funzionan-te fino al 7 Agosto 1809,quando Gioacchino Napoleonedecreta la soppressione degli ordini religiosi.

L’impianto architettonico della SS.Annunziata ricordamolto quello precedente (sec. XIII) dell’Abbazia diFossanova, dove la chiesa detta la direzione principale,alla quale si accorpano le altre fabbriche del complesso.Anche nel complesso dell’Annunziata la facciata dellachiesa è ortogonale a quella del convento, collegata dalgiardino posto ad est della chiesa ed a nord del convento.

Questo complesso per Aquara è molto importante poi-ché è l’unica fabbrica del XVI sec. documentata dallostorico Di Stefano, che descrive molte fasi della vita ditale complesso. Dopo la soppressione il convento vienevenduto a privati, la chiesa definitivamente soppressa,agli inizi degli anni ’20, e tutti i beni vengono annessialla chiesa parrocchiale S. Nicola Di Aquara. I resti dellachiesa, ormai fatiscente, vengono abbattuti negli annisessanta.E’ sbalorditivo come si sia potuto abbattere con tanta

facilità una fabbrica del XVI sec. anche se ormai rudere,e come l’interesse sia pubblico che privato non sia statoproprio toccato dall’idea di preservare un complesso ditale importanza, facendo in modo che la sede della chie-sa (dove ci sono ancora i resti del portale) diventasse un

LA SS. ANNUNZIATA DI AQUARA,CONVENTO E PARCHEGGIO

MA RACCONTI FAVOLE?

parcheggio e la fabbrica del convento non conservassealmeno esteriormente l’antico schema architettonico.Oggi per parlare del complesso dell’Annunziata occorreuna buona dose di immaginazione, poiché tutto neglianni è stato stravolto.

Noi abbiamo cercato di ricostruire la vecchia disposi-zione urbanistica del complesso in ogni sua parte, con ilrammarico che, probabilmente, a pochi importerà e conla delusa convinzione che non servirà a rendere imperi-tura la memoria di un pezzo di storia aquarese.

Gianpietro ConsolmagnoPianta dell’abazia di fossanova: Foresteria (1), chiesa (2), Salacapitolare (3), Chiostro (4), Refettorio (5), infermeria (6).

Ruderi della chiesa della SS. Annunziata (anni sessanta).

Ciò che resta della chiesa.

Fatti e dis-fatti. La favola come aforisma della condizione umana,fra folklore, focolare e letteratura.

Una caso esemplare di cinica indifferenza al valore dell’arte e della memoria.

La FAVOLA come genere letterario risale, secondo la tra-dizione, ad Esopo, che la fissò definitivamente comeracconto breve, di poche righe, con una massima mora-

leggiante in principio o in chiusura, arricchita dalle battutedi un breve dialogo tra due o più personaggi non umani;quasi sempre animali colti nelle loro qualità tradizionali.

Un esempio di favola esopiana ci rimanda alla storiella diun’aquila che ghermisce tra gli artigli un agnello. Una cor-nacchia assiste alla scena e cerca di imitarla piombando suun montone; ma resta impigliata con le zampe nella foltalana dell’animale. Il pastore allora l’afferra, le spunta le ali ela regala ai figlioletti.Questi gli chiedono:“Che uccello è?”.“Una cornacchia che voleva fare l’aquila” risponde il pasto-re. La morale risiede nell’ammonimento per chi pretende digareggiare con il più forte senza averne i mezzi. Il rischio è,nella migliore delle ipotesi, quello di suscitare ilarità.

In questa favola il protagonista è la cornacchia, ma il dia-logo avviene tra il pastore e i suoi figli. In altri casi il dialogoè fra gli stessi animali, oppure fra gli uomini e gli animali,

come se fosse la cosa più naturale del mondo. E’ in questacircostanza che la favola si arricchisce di significati più impe-gnativi e magari drammatici, come in questa del latinoFedro: narra di un vecchio pauroso che sta pascolando unsuo somaro.All’arrivo dei briganti il vecchio grida all’asino discappare. “Perché” chiede la bestia “credi che questi, se miprendono, mi metteranno un doppio carico?”. Il vecchiorisponde di no.”E allora che m’importa essere tuo servo o dialtri se il peso che devo portare è sempre quello?”.

L’asino è il simbolo di chi è sfruttato comunque da unpadrone, la cui sorte gli è estranea. Una morale amara,“anti-ca come le montagne”, ma sempre attuale.

Nel mondo moderno il più importante cultore del generefu il poeta francese La Fontaine; in Italia ha scritto belle favo-le Ariosto, nelle Satire, e in tempi più recenti il poeta dialet-tale romano Trilussa.

Fioravante Serraino

“Il corvo e la volpe”

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RACCONTO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

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Econtinuarono ad incontrarsi di notte senzaalcun appuntamento, a dividersi tra i fumi delmondano e le musiche assordanti, senza mai

rivelarsi di quegli amplessi solo fantasticati, di queivortici immaginati esattamente uguali dalle due parti,di quei giochi fatti di Danae che bacia il suo Klimt.Come tacito accordo siglato dinanzi a quella Parca chenon c’era, a quell’osservatore che non dettava regolee ai loro sensi imbavagliati nel circolare intricarsi divoglie infinite. Come se tutto fosse normale, visto chetutto sembrava essere tale. Solo i loro occhi si tradiva-no. Incontrandosi in quelle strane direttrici volte all’in-finito e al reale, gli sguardi si lambivano in scintilleinvisibili al resto della notte brava, si avvicinavanoavvicinando i loro corpi fino al contatto dei seni tondicol torace scolpito e come se ciò bastasse si scambia-vano parole irreali, motti di lingue sconosciute e maicomunicate da alcuno. E la guerriera di Luna lasciavascendere il gladiatore novello dal podio, isolava ilbronzo dal mare delle false ninfe cui era solito dis-pensare sorrisi e occhiate di gusto…e lo attirava a sé.Incantato come da un sortilegio, invasato come da uncerimoniale da strega, impavido come un dio greco difronte ad umana tracotanza.

E la notte restava a guardare e passava veloce rega-lando loro solo questi esili incontri di nulla,questi stra-ni scambi di energie tra seno e torace e tra direttrici diocchi diretti altrove, mentre il resto dei loro mondi siimmobilizzava, tra l’incuriosito ed il divertito, tra l’in-vidioso e l’incomprensibile…tra l’avorio e il cioccolato.

Fu un modo come un altro per giocare la prima par-tita, per studiare le mosse dell’alfiere e comprendere igusti della regina. Un modo mai sperimentato perduellare tra astri troppo brillanti per poter dividersiuna sola costellazione. Un modo speciale per salutarsida pari, per evitare di amalgamarsi al resto dei bronzicostruiti su se stessi e delle bellezze contraffatte. Ilmodo meno banale di voltare gli assi al momento giusto.

Ma gli assi rimasero nelle maniche, fino a quando laParca che non c’era decise di legare i fili dei due desti-ni e l’Osservatore invisibile prese sembianze notturneper dettare il decalogo di quei dipinti profumati chedecisero di smacchieggiarsi in un’unica tela.

Epilogo 1

Come per ogni capolavoro l’artista ha bisogno disana ispirazione.

Il pittore disegna un oggetto nella mente, assoldauna modella cui scoprire il velo, prepara un cavallettoche lo trasumanerà in un mondo che “significar per

AVORIO E CIOCCOLATOEcco la seconda parte del racconto che vi abbiamo proposto nel precedente numero

verba non si porìa”(*). La bozza era di per sé già prepa-rata, i contorni della tela già delineati, i soggetti troneg-giavano già gaudenti nel centro di un tondo che mai sifarà quadrare. Ma l’evoluzione si era arrestata d’im-provviso. Il tumultuoso cavalcare di sensi sprovvisti diechi aveva frenato di colpo la sua corsa e… la Parca siera paralizzata, l’Osservatore vanificato, i loro sensi cri-stallizzati.

Tutto si era rarefatto in un tempo senza tempo da nonpoter scandire né toccare, per uno strano gioco deldestino, per un inusitato rigore che d’improvviso avevacongelato l’equinozio.

Le Anormalità di quel mondo parallelo erano insortea convito per discutere la Danae peccaminosa, perscongiurare l’iniquo scempio lunare,per condannare larincorsa dei poli che da soli dovettero smettere di rin-corrersi e confluire di beati nel centro perfetto del tondo.

Il consesso delle impure Vergini di Satana avevadecretato la rottura del sortilegio, la mancata purezza,perché fatta di eccessiva purezza, di quel Bacio su con-torni bizantini, e vi aveva posto fine.

Ora i contorni si sfumavano, i colori si affievolivano egli odori del cioccolato lenivano invano il lucido avoriodi insistente invasione, di non più accettabile unione.

Paralizzato il tutto, il pittore restava a guardare quellatela smacchieggiata da Ignoto, quel finale impossibileda colorare, quell’opus non autorizzata a terminare.

Come un Dorian di colpo accoltellato a morte, unaVenus improvvisamente imprigionata nella conchiglia,una sindrome mossa dall’alto delle Erinni che avevanoormai espresso la loro irreversibile condanna. Senzache lui potesse nulla; senza che lei desiderasse altro.

Improvviso ed inatteso, come l’evolversi di una storiache non può evolvere, la Danae ripiegò la gamba alladormiente posizione del pennello di Klimt; tornò asognare sogni impudichi, ritrasse i seni ad occhi indi-screti, lasciando, senza neppure fermarlo, che l’uomoambrato tornasse sul podio d’origine, che il bronzomodellato riaprisse il suo abbraccio alle false ninfe, chelo statuario esteta rispecchiasse il suo volto nello sta-gno di Narciso.

Con buona pace della regola che vuole non si incon-trino mai, i due poli opposti ripresero a girare intronoal girasole, ognuno sulla propria direttrice, senza piùrincorrersi, consapevoli, adesso, che di fronte al voleredella triade infuriata nessun incontro li avrebbe più uniti.

Epilogo 2

Come per ogni capolavoro l’artista ha bisogno di sanaispirazione.

Di giorno pensa, di notte riflette ed abbozza unoggetto, all’alba sorge irrequieto e delinea un contor-no, all’imbrunire s’inventa un colore e riempie il suotondo.

Col decalogo già improntato e i due destini sapien-temente uniti dalla Parca, l’artista fissava la sua tela,cercava l’unione delle due nell’una, ipotizzava mac-chieggi e figure di sfondo senza sapere come iniziare,come contaminare la sua Danae con il Gaugin con-traffatto dal Van Gogh, senza riuscire a capire donde sipartisse per arrivare al centro del tondo.

E se ogni centro è il confluire di opposte correnti,se ogni cioccolato non tende ad altro che ad avoriovanigliato, il pittore non aveva che da rincorrere queigirotondi pensati di giorno,che da segnare quelle figu-re abbozzate di notte, che contornare quelle sfumatu-re delineate all’alba.

Il pittore non aveva che seguire il suo istinto, quelsogno che nell’estasi gli era apparso mostrandogli unaVenere trasparente avvinghiata di gusto ad un bronzoambrato. Doveva solo eseguire il ritratto di una realtàritratta dagli echi mondani ed immortalarla, laddove idue volevano essere immortalati, in una tela di duetele, in un Immenso privo di equinozi e solstizi, in unacornice appesa alla parete di nessuna stanza nel palaz-zo dell’Infinito sentire, dell’Incontrollabile volere,dell’Irraggiungibile piacere. Ma chi muove la manodell’artista? Chi intinge il pennello nei colori per dis-porli in macchie smacchiate e in contorni decisi? Chidirige la mente nel gioco delle ombre stemperate daeburnei fasci di luccichio?

Forse l’artista, o forse la sua stessa arte? Quel realeche diviene immaginifico, sopraelevato in sogno daifumi di una città mondana, tra le musiche di un’inno-cua primavera e i pensieri di un pittore che osserva ilmondo tra i tavoli di una notte brava, che aspetta alvarco l’incontro dei due modelli, che studia le mossedi quegli strali di avorio e cioccolato, che ritrae boz-zetti di bronzi modellati e di Danae dormienti e gau-denti.

E’ l’arte del reale a guidare la mano dell’artista, che ètale solo quando riesce a concepire una realtà fatta ditutti tondi, di poli opposti e di profumi che si incon-trano solo quando si scontrano i loro sensi.

E’ l’arte che si rivela nel trasumanar su tela ciò che“per verba mai non si porìa” (*).

E il quadro è finito e… consegnato all’Infinito.

* da “La Divina Commedia” (Dante Alighieri)

Elvira Ragosta

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PAROLANDO

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abbáni (-are) (-à), v. D. dall’ant. fr. GAB,che è dallo scandinavo GABB [SCHERNO].Ita \ PRENDERE IN GIRO, SCHERNIRE.

acciáomu,sm.Contrazione della locuzionelatina ECCE HOMO: l’immagine scolpita odipinta di Gesù flagellato e con la corona dispine. ECCO (ECCE) L’UOMO (HOMO)sono le parole che secondo la tradizionefurono pronunciate da Ponzio Pilato nelpresentare Gesù al popolo. Ita \ PERSONAMALCONCIA, INSANGUINATA.

allancáni (-are) (-à), v. E1) Comp. di A2 - +un deriv. del lat. LANCE (m) [SCODELLA,PIATTO]. E2) Comp. di A2 - + un deriv. diLANGUÍSCI. Ita\MORIRE DI FAME,DESIDE-RARE, BRAMARE.

ammasunáni (-are) (-à), v. Contrazionedell’espressione francese À LA MAISON[RINCASARE]. Nel dialetto aquarese l’azio-ne si riferisce all’appollaiarsi delle galline altermine della giornata. Esse, dopo aver raz-zolato, RINCASANO \ RIENTRANO.

ènchi (-ere), v. D. dal lat. IMPL_RE [RIEM-PIRE], comp . di IN- (ÉN -) [DENTRO] +PLERE (CHIERE) [EMPIRE]. Ita \ RIEMPIRE,EMPIRE.

érgia, (pl. GHÉRGI ) sf. D. dall’ antico fr.GORGIÈRE, deriv. di GORGE [GORGIA,GOLA] che è dal tardo lat. GURGA[GOLA],con riferimento alla striscia di seta o di linoche fasciava il mento, la gola e il collo delledonne; per estenzione alla GORGIERAindossata nel XVII° sec. Fig. : la parte pros-sima alla mandibola. Ita \ MANDIBOLA.

érmice, sm. D. dal lat. IMBRICE(m) [TEGO-LA], deriv. di IMBER, IMBRIS [PIOGGIA]. Ita\ EMBRICE.

linzulo, sm. D. dal lat. LINTEOLUM, dimi-nutivo di LINTEUM, che significa “tela dilino”. Ita \ LENZUOLO

marenna (merenna), sf. D. dal verbo lat.MEREO [MERITO]. Difatti presso i Romanila merenda, vista come un ulteriore appun-tamento con la tavola,era un premio per unservizio reso e come tale bisognava meri-tarselo. Ita \ MERENDA.

murèia, sf. Deriv. di MÒRA (vdMURÌCINU). La MURÈIA [ OMBRA] èproiettata dal MURÌCINU. Per estensione èetim. anche di murìare [STARE ALL’OM-BRA]. Ita \ OMBRA.

murìcinu, sm. D. da MÒRA, voce di origi-ne pre-romana che significa MUCCHIO DI PIE-TRE.Ita \ MUCCHIO DI PIETRE.

ói, avv. D. dal lat. HODIE, deriv. di HOC DIE[IN QUESTO GIORNO]. Ita \ OGGI.

pìcchia, agg. D. dal diminutivo del terminelat. PICCA [PUNTA]. Quando si chiedePICCHIA\POCU si chiede una punta diqualcosa. Ita \ POCO.

ramiggiàna, sf. D. dall’espressione fr.DAME JEAN [SIGNORA GIOVANNA]. Nonsappiamo chi fosse questa signoraGiovanna ma non è difficile immaginare lecaratteristiche anatomiche.Ita \ DAMIGIANA.

tùmmilu, sm. D. dal lat. medioevale TUMU-LU(m), che è dall’arabo THUMN, propria-mente TÙMMUNU.Ita \ UN OTTAVO (misu-ra di capacità)

vàrda, sf. D. dall’arabo BARDA’A [GUAL-DRAPPA, ricamo ornamentale posto sullasella del cavallo]. Ita \ SELLA.

zaarédda, sf. D. dal longobardo ZAHHAR[GOCCIA] che è dell’italiano ZACCHERA[COSA DI POCO CONTO, DI POCO PRE-GIO,BAGATTELLA,MINUZIA] come un tru-ciolo. Ita \ TRUCIOLO.

zambagliòne, sm. Questo termine, cheoggi indica una crema di tuorlo di uovo conzucchero o marsala, deriva da SABÀIA, paro-la con la quale si denominava nel Medioevo una bevanda rigenerante a base d’orzo, diorigine illirica. Ita \ ZABAGLIONE.

zánga, sf. D. dal longobardo ZAHHAR [GOCCIA,SCHIZZO DI FANGO].Ita \ FANGO.

zimmìlli, sm pl. D. dal provenzale CEMBEL[PIFFERO, FISCHIO]. Ita \ TESTICOLI.

zannóla. sf.D.dal lat.TALUS [TALLONE],diabito che arriva al tallone. Meno probabilederivi dall’italiano ZANELLA, di etim. incer-ta, che è un tessuto di colore satinato perfoderare gli abiti. Ita \ TALARE,VESTE DELPRETE.

zannu, sm. D. dal longobardo ZANN[DENTE] nell’accezione di ZANNA stru-mento d’avorio o di osso usato in passato inorificeria e legatoria. Per lustrare e lisciare.Ita \ ROTTURA DEL FILO DI UNA LAMA,INTACCATURA.

zapariáni (-are) (-à), v. D. dal lat. PARE(m).Il prefisso ZA- interviene a spaiare, a rende-re disordinato ciò che prima era ordinato.Ita \ RIMESTARE, MESCOLARE.

zicchinéttu, sm.Alterazione di (LAN)ZICHENECCHI, cheintrudussero il gioco in Italia nel sec. XVIsovrapposto a ZECCHINO che era la postain palio. Ita \ TOPPA (gioco d’azzardo).

zinnïani (-are) (-à), v. D. dal lat. parlatoSTRICTIARE [STRINGERE]. Ita \ FARECENNO, STRIZZARE L’OCCHIO.

Fioravante Serraino

RA DDONNI VÉNI STA PAROLA?Alcune etimologie di vocaboli del dialetto aquarese, fra rigore linguistico e verosimiglianza.

Ha scritto Fernando Pessoa: ”la miapatria è la lingua portoghese”.Certo, l’idea di patria va maneg-

giata con cura, soprattutto quando assu-me connotati aggressivi di chiusura edintolleranza. Il rischio è quello di ridurretutto al massimo comune denominatoredell’identità.

Ma allora di che patria parla Pessoa?Certamente di quella del ricordo.La gentesa che ognuno possiede una patria grazieall’egemonia della propria memoria. Maquesta memoria possessiva ebbe inizio ilgiorno in cui gli “abitanti” capirono chela parte essenziale del mondo terminavasugli orizzonti che riuscivano a scorgerecon i propri occhi.

Da questa delimitazione nasce l’uso deldialetto come lingua madre e capitale diquella patria un po’ autarchica ed auto-referenziale, a cui ognuno di noi assegnaun confine.

All’interno vi affiorano odori, oggettiche suscitano l’impellente necessità diessere nominati, riconosciuti perché nonci spaventino; e ancora condizioni simili

a stati d’animo che corteggiano un agget-tivo terapeutico, immediato.

L’essenziale oralità del dialetto servedunque a nominare le cose, nella vertigi-ne un pò malinconica della loro fioritu-ra: colte senza filtri ex-cathedra, per senti-to dire, a sedimento di un altro passaggiodi tempo.

La patria è dunque una toponomasticadella memoria che l’emigrato percorre adun mondo di distanza e l’indigeno caval-ca ostinato e moderno.Il punto di non ritorno è perdersi, e senti-re le cose nuove, troppo nuove;nate senzache la prudente verginità delle parole leaccompagni. Bisogna, in fondo, nutriredei dubbi sul linguaggio che occorre perdescrivere il mondo senza perderlo.

Oggi esistono troppi bivi e troppa e con-fusa segnaletica da poter rinunciare auna lingua sentimentale , alle sue istinti-ve onomatopee, ai suoi incroci etimologi-ci, ai suoi marchi fonetici.Perché la nostra storia è tutta un’altragrammatica.

Fioravante Serraino

Scrittura egiziana su papiro.

Lorenzo Lotto. Un particolare del “Ritratto digiovane nello studio”, 1520.

CONFINI E PAROLE(

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Che cos’è il desiderio? Potremmo affermare che èun istinto insito in ognuno di noi e che rappre-senta l’aspirazione ad un bisogno, ad un piacere,

tutto sommato alla vita, e in quanto tale caposaldo del-l’attività umana.

Desiderare: ma fino a che punto? Di sicuro possiamoasserire che il prolungamento del desiderio, ossia l’atte-sa,per un bisogno o piacere che sia, ce lo faccia apprez-zare di più una volta esaudito. Facciamo degli esempi.

Dopo una lunga gavetta - e c’è ancora chi la fa - il tra-guardo raggiunto ha un sapore che difficilmente sidimentica,e ancor più difficilmente lo si mette da parte… è simile ad una medaglia al valore che si porta sulpetto e nelle parole.

Il penar d’amore per una persona: l’accontentarsi diuno sguardo oppure didue parole scambiatein fretta sotto un por-tone con la paura diesser “scoperti” perchéci sono persone“brave” che pensanoche “questo matrimo-nio non s’ha da fare”.Ecco, pensate a quantoinscindibile sarà “quel-l’unione”una volta chetutti avranno accon-sentito …

Tuttavia oggi va dimoda il “tutto e subito”perché il nostro tempoc’impone di andaresempre più veloci (madove non si sa), seabbiamo un oggetto,ne dobbiamo possede-re più di due (altri-menti siamo deglistraccioni), il compa-gno/a non è più uno/aComunista, ma unpartner che si prende,si lascia o si “scambia”a proprio piacere (cono senza figli).

Ad ogni modo, desi-derare e desiderare,comprare, consumare,acquistare, guadagna-re, possedere, control-lare sempre e sempredi più, finché non ci riempiamo una casa … e poi due… e poi quella al mare di tutte quelle cose inutili, chehanno avuto il loro effimero valore solo nel momentoche le abbiamo desiderate, ma purtroppo già c’erapronto un portafoglio, o una carta di credito ad esaudi-re e ad annullare ogni nostro desio.

Tutte queste cose non fanno altro che darci l’illusionedi riempirci la pancia, l’abbaglio che circondandoci diquesti beni non saremo mai soli, e infine, una reale“preoccupazione e dipendenza” da tutti questi oggettiche possediamo,ma in realtà sono loro che posseggononoi … (Che me ne faccio di un Mercedes ultimo tipo seposseggo già due macchine, non c’è posto dove par-cheggiarla, ho il timore che me la rubino, ma soprattut-to devo pagare ancora la maxi rata finale della seconda

DESIDERARE (DI NON DESIDERARE)Oggi desiderare coincide con consumare. La voracità parossistica dell’Uomo moderno ha addentato la tenera carne del superfluo.

OSSERVATORIO

Bimestrale dell’Associazione Culturale “L’Alveare”Viale della Vittoria, 41 84020 Aquara (SA)C.F. 91030050651.

Iscritto al n° 243 del registro della stampa perio-dica del tribunale di Salerno il 23/01/2003

Tiratura: 1000 copie.

Distribuzione: Albanella, Aquara, AltavillaSilentina, Baronissi, Bellosguardo, CapaccioScalo, Castelcivita, Castel S. Lorenzo,Controne, Corleto Monforte, Felitto, Lancusi,Ottati, Roccadaspide, Roscigno, Sant’Angeloa Fasanella, Serre.

Informazioni spazi pubblicitari: 3288754326

E-mail: [email protected]

Sito internet: http: www.associazionelalveare.it

Presidente: Arturo Stabile

Direttore responsabile: Elvira Ragosta

Coordinamento editoriale: Fioravante SerrainoRedazione: Gianpietro Consolmagno, PasqualeDurso, Georgia Gratsia, Roberto Marino,Vincenzo Scotillo, Antonio Stabile.

Collaboratori: Angela Accarino, LeonardoAmendola, Lucido Andreola, ValeriaConsolmagno, Jorge Cuadrelli, Mario DeLaurentis, Roberto De Luca, Sara Di Bello,Giovanna Dorato, Zairo Ferrante, Savino Gaudio,Gilda Marino, Marco Marino, Giuseppe Pagnotto,Alexander Perito, Pasquale Sorgente.

Foto: Italo Sabetta

Progetto grafico: Medi@rt - via Certosa, 1520149 Milano

Stampa: CTM – C.so Europa, 92 Matinella (SA)

Qualsiasi collaborazione è da ritenersi a titologratuito.

E’ possibile ricevere per spedizione postale sei numeri de “Il Ronzio” con un semplice maimportantissimo contributo di

20 euro. Il versamento deve avvenire sul

C.C.P n° 43372200 intestato a“Associazione Culturale L’Alveare”,

viale della Vittoria, 41 84020 Aquara (SA)

Anche grazie a tale contributo sipotrà continuare...

auto?). La necessità accomuna e l’abbondanza divide,poiché se possiamo avere tutto quello di cui necessi-tiamo, scioccamente pensiamo di poter fare a menodelle persone che ci stanno vicino e della loro compa-gnia, e distrattamente, presi dal vortice della vita “ultra-moderna”, ci incamminiamo per il sentiero della soli-tudine e le nostre metropoli ne sono un fulgido esempio.

La nostra società porta in sé i frutti della solitudineperché chi è venuto prima di noi ci ha insegnato a desi-derare solo quelle cose che lui non aveva avuto,poichéegli è cresciuto in un ambiente dove valori come lafamiglia, il rispetto, la rettitudine, l’onore, l’onestà, l’au-tostima erano principi fondamentali. Adesso la situa-zione si sta invertendo e degenerando: possediamocose e ne desideriamo sempre di più e i valori perdo-

no sempre di più …valore.

Fare i nostalgiciper la classica etàdell’oro perdutanon è la giusta pana-cea.Bisogna solo ral-lentare i nostri bio-ritmi quotidiani peravere tempo diriflettere su checosa è giusto deside-rare, di che cosaabbiamo realmentebisogno, prolungaretale stato di riflessio-ne per verificare seè un bisogno pas-seggero o concreto,ma soprattutto con-centrare tale deside-rare sulla conoscen-za delle persone edelle cose che ci cir-condano, non sulloro controllo o sulloro possesso, percomprendere comepensano e comefunzionano, e perpoi capire, infine,anche un po’ comesiamo fatti noi stessi.La società odierna siidentifica nella paro-la “consumare” subi-to e sempre di più, e

“non riflettere” assolutamente su che cosa si sta facen-do … dannata televisione e affini.

Se la nostra pancia è ormai piena, diciamo satura, ini-ziamo a riempire la testa, la nostra materia grigia condella conoscenza … Iniziamo a desiderare la cono-scenza, il sapere di quello che sta oltre la nostra puntadel naso ne ricaveremo sicuramente qualcosa dimeglio di una terza autovettura, di un quinto televiso-re da mettere nel bagno, oppure dell’ennesimo cellula-re che ha in più quello stupido optional che non use-remo mai. Non lasciamo che questo nostro istinto deldesiderare degeneri ulteriormente. “Desiderare”… efacciamolo “bene”.

Alexander Perito

Caravaggio. “Narciso”, 1599.

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Non c'è più bisogno di andare allaricerca di schede di ricarica o dibancomat; per noi è tutto più sem-plice, immediato ed efficace.

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Ogni operazione avviene gratuitamente,senza alcuna commissione o spesa aggiunti-va a favore della Banca.Provare per credere.