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Université de Fribourg Faculté des Lettres Domaine d’Italien Semestre Autunnale 2012-2013 Corso introduttivo Avviamento all’analisi del testo poetico Prof. Uberto Motta MIS 3026, giovedì 15-19h

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Université de FribourgFaculté des LettresDomaine d’Italien

Semestre Autunnale 2012-2013Corso introduttivo

Avviamento all’analisi del testo poetico

Prof. Uberto MottaMIS 3026, giovedì 15-19h

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Bibliografia (1)

• Manuale di riferimento

P. G. Beltrami, Gli strumenti della poesia, Bologna, Il Mulino, 2002.

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Bibliografia (2)• Opere di consultazione

D’A. S. Avalle, L’analisi letteraria in Italia: formalismo, strutturalismo, semiologia, Milano-Napoli, Ricciardi, 1970.L. Renzi, Come leggere la poesia, con esercitazioni su poeti italiani del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1985.C. Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985.M. Martelli – F. Bausi, La metrica italiana: teoria e storia, Firenze, Le Lettere, 1993.Il testo letterario. Istruzioni per l’uso, a cura di M. Lavagetto, Roma-Bari, Laterza, 1996.P. V. Mengaldo, Prima lezione di stilistica, Roma-Bari, Laterza, 2001-P. V. Mengaldo, Attraverso la poesia italiana: analisi di testi esemplari, Roma, Carocci, 2008.G. Lavezzi, I numeri della poesia: guida alla metrica italiana, Roma, Carocci, 2002.L. Serianni, La lingua poetica italiana: grammatica e testi, Roma, Carocci, 2009.B. Mortara Garavelli, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, Roma-Bari, Laterza, 2010.S. Bozzola, La lirica. Dalle origini a Leopardi, Bologna, Il Mulino, 2012.A. Afribo – A. Soldani, La poesia moderna. Dal secondo Ottocento a oggi, Bologna, Il Mulino, 2012.

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Calendario delle lezioniGiovedì 20 settembre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 27 settembre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 4 ottobre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 11 ottobre 15:15 – 17:00 MIS 3026Mercoledì 17 ottobre 17:15 – 19:00 MIS 3026Giovedì 18 ottobre 15:15 – 17:00 MIS 3026

Martedì 23 ottobre: Giornata di studi italianiGiovedì 25 ottobre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 8 novembre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 15 novembre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 22 novembre: lezione sospesaGiovedì 29 novembre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 6 dicembre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 13 dicembre 15:15 – 17:00 MIS 3026Giovedì 20 dicembre 15:15 – 17:00 MIS 3026

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T. S. Eliot, Le frontiere della critica, 1956 (I)

Capire una poesia vuol dire gustarla pienamente per la ragione giusta. […] Capire una poesia travisandola significa compiacersi di una mera interpretazione della propria mente. […] È impossibile gustare appieno una poesia se non la si è capita; d’altro canto è ugualmente vero che non possiamo capirla fino in fondo se non la gustiamo.

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T. S. Eliot, Le frontiere della critica (II)

Le fonti e i modelli “non offrono alcuna chiave per l’intendimento di qualsiasi poesia scritta da qualsiasi poeta”.

Capire una poesia vuol dire afferrare la sua ragione d’essere e la sua ‘entelechia’.

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T. S. Eliot, Le frontiere della critica (III)

Spiegazione causale: l’evento è il risultato di una causa → critica biografica e psicologica

Spiegazione finalistica: l’evento è il suo effetto → critica ‘reader oriented’

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Eliot, The frontiers of criticism (IV)

“In tutta la grande poesia c’è qualcosa che deve restare inesplicabile, per quanto completa possa essere la nostra conoscenza del poeta, e anzi è questo il più importante. Quando nasce una poesia è accaduta una cosa nuova che non può essere interamente spiegata da qualsivoglia cosa avvenuta prima. È questo, io credo, ciò che s’intende per creazione”.

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Eliot, The frontiers of criticism (V)

1. Di una poesia non c’è una sola interpretazione giusta.

2. Un’interpretazione non è giusta se e perché corrisponde a ciò che l’autore si proponeva di fare.

3. Nessuna interpretazione deve preclude al lettore la possibilità di continuare a gustare la poesia.

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Eliot, The frontiers of criticism (VI)

Leggere una poesia non è solo un esercizio archeologico, un viaggio a ritroso nel tempo: è uno spalancamento su una scintilla.

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Contini, Filologia ed esegesi dantesca, 1965 (I)

Una apparente aporia nell’esperienza di ogni lettore

(A) l’abbandono all’incanto dell’esecuzione; il godimento, la fruizione della poesia

(B) l’acclaramento penetrante della lettera;lo studio, il giudizio culturale, la spiegazione sistematica

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Contini, Filologia ed esegesi (II)

“Leggere e godere prima di avere capito tutto”

Consentire che sia la gioia della lettura a stimolare la ricerca e lo studio (e non viceversa) → dall’ispirazione alla tecnica

Passare dalla critica ideologica alla critica verbale: l’esecuzione del testo

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Contini, Filologia ed esegesi (III)

Citazione da B. Croce, La poesia di Dante, 1921

“Proposizioni filosofiche, nomi di persone, accenni a casi storici, giudizi morali e politici e via dicendo, sono, in poesia, nient’altro che parole, identiche sostanzialmente, a tutte le altre parole, e vanno interpretate in questi limiti”.

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Contini, Filologia ed esegesi (IV)

A proposito della critica verbale:

limitare il giudizio ai casi di flagrante intenzionalità è arbitrario, perché spesso la scrittura poetica ha una velocità che si sottrae alla coscienza

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V. Sereni, Il silenzio creativo, 1962“Si convive per anni con sensazioni, impressioni, sentimenti, intuizioni, ricordi. Il senso di rarità o eccezionalità che a ragione o a torto si attribuisce ad essi, forse in relazione con l’intensità con cui l’esistenza li impose, è forse la prima fonte di insoddisfazione creativa, anzi di riluttanza di fronte alla messa in opera, che si traduce (peggio per chi non la prova) in nausea metrica, in disgusto per ogni modulo precedentemente sperimentato… Si convive con le proprie invenzioni, con spettri di poesie non scritte…Non è prodotto del caso (e direi anche che è salutare) la rinunzia a chiedersi che cosa sia, in assoluto, la poesia. Molto più senso di una simile domanda mi pare abbia l’individuazione di un piano di sviluppo delle emozioni che porti a raffigurare sotto un angolo specifico il rapporto tra esperienza e invenzione: la ricerca d’un tale angolo e d’un tale rapporto segna il passaggio dalla fase negativa del silenzio di cui discorrevo alla fase per cui gli spettri dell’insoddisfazione prendono corpo.Ma ci sono tanti modi d’inventare e non s’inventa una volta per tutte. Al contrario, s’inventa volta per volta… Avere ben presenti queste cose significa evitare per quanto possibile di fare anche dell’invenzione, dei propri collaudati modi inventivi, una formula e un’abitudine, sapere sempre – a rischio d’altri silenzi – che l’angolo utile, il rapporto illuminante non è mai dato, ma è da trovare; e al tempo stesso mettersi in grado di aderire meglio a quanto ha di vario il moto dell’esistenza. E questo è il prezzo della comunicazione”.

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Due ‘ipotesi’ a confronto

GentileEttore Serrapoesia è il mondo l’umanitàla propria vitafioriti dalla parolala limpida meraviglia di un delirante fermento

Quando trovo in questo mio silenziouna parolascavata è nella mia vitacome un abisso(G. Ungaretti, Commiato, 1916)

«Secondo quale criterio linguistico si riconosce empiricamente la funzione poetica? In particolare, qual è l’elemento la cui presenza è indispensabile in ogni opera poetica? [...] La funzione poetica proietta il principio d’equivalenza dall’asse della selezione all’asse della combinazione. L’equivalenza è promossa al grado di elemento costitutivo della sequenza».(R. Jakobson, Linguistica e poetica, 1963)

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Gen|ti |le 3Et|to|re | Ser|ra 5po|e|si|a 4è il | mon|do | l’u|ma|ni|tà 8la | pro|pria | vi|ta 5fio|ri|ti | Dal|la | pa|ro|la 8la | lim|pi|Da | me|ra|vi|glia 8di un | De|li|ran|te | fer|men|to 8

Quan|dO | trO|vO 4in | que|stO | mi|O | si|len|ziO 8u|nA | pA|ro|lA 5scA|vA|tA è | nel|lA | mi|A | vi|tA 9co|me un | a|bis|so 5

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Versi liberi

Montale, Forse un mattino, v. 8

tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Montale, Felicità raggiunta, v. 8

è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.

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Versi spezzati

Montale, La bufera, 18-20

lo scalpicciare del fandango, e sopraqualche gesto che annaspa…

Come quandoti rivolgesti e con la mano, sgombra

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G. Ungaretti, Eterno

Tra un fiore colto e l’altro donatol’inesprimibile nulla

I redazione, “Lacerba”, 8 maggio 1915EternitàTra un fiore colto e l’altro donatol’inesprimibile vanità.Fiore doppionati in grembo alla madonnadella gioia.

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La misura dei versi

• «di retro da Maria, da quella costa» (Purg., X 50)

• «L’amoroso pensero» (Petrarca, RVF, LXXI 91)

• «Nel mezzo del cammin di nostra vita» (Inf., I 1)• «lo ciel perdei che per non aver fé» (Purg., VII 8)• «che noi possiam ne l’altra bolgia scendere»

(Inf., XXIII 32)

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Sistole e diastole

Né dolcezza di figlio, né la piètadel vecchio padre, né ’l debito amorelo qual dovea Penelopé far lieta (Inf. XXI 94-6)

E ’l duca disse a me: - Più non si destadi qua dal suon dell’angelica tromba,quando verrà la nimica podèsta. (Inf. VI 94-6)

Come quando la nebbia si dissipa,lo sguardo a poco a poco raffiguraciò che cela il vapor che l’aere stipa (Inf. XXXI 34-6)

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I versi della poesia italianaMono- e Bisillabo «Qui / non si sente / altro»

(Ungaretti)Trisillabo (2) «Si tace» (Palazzeschi)Quadrisillabo (1,3) «sono priso» (Giacomo da

Lentini); «vuoto e tondo» (Boito)Quinario (1/2,4) «ninfa gentile» (Pindemonte);

«bandiera bianca» (Fusinato)Senario (2,5 o 1,3,5) «Dal core mi vene» (Giacomo

da Lentini); «non voler soffrire» (Jacopone da Todi); «fantasma tu giungi» (Pascoli)

Settenario (1-4,6) «Meravigliosamente» (Giacomo da Lentini); «Chiare, fresche et dolci acque» (Petrarca); «Ei fu. Siccome immobile» (Manzoni)

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I versi della poesia italiana

Quinario doppio (4,9) «Dal mio cantuccio, donde non sento» (Pascoli)

Senario doppio (2,5,8,11) «Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti» (Manzoni)

Settenario doppio (alessandrino o martelliano) (6,13) «Sui campi di Marengo | batte la luna; fosco» (Carducci) «tra la Bormida e il Tanaro |s’agita e mugge un bosco» (Carducci)

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I versi della poesia italianaOttonario (3,7) «Quant’è bella | giovinezza»

(Lorenzo de’ Medici) «Su ’l castello | di Verona» (Carducci)

Novenario (2,5,8) «tremava | un sospiro | di vento» (Pascoli)

Decasillabo (3,6,9) «Dilongato | mi son da la via» (Jacopone); «Soffermati | sull’arida sponda» (Manzoni)

Endecasillabo (4/6,10) «Nel mezzo del cammin | di nostra vita» (2,6,10: endecasillabo a maiore, con accenti fissi di 6a e 10a); «mi ritrovai | per una selva oscura» (4,8,10: endecasillabo a minore, con accenti fissi di 4a e 10a)

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L’accento metrico

• Regola generale: accento metrico = accento grammaticale

• Atoni: articoli, preposizioni, congiunzioni

pron. pers. di una sillaba seguiti da verbonon in posizione non enfaticaagg. poss. in posizione debole (mia vita)agg. di una sill. + sost.verbi ausiliari monosill. + part. (è stato)verbi ausiliari di 2 sill. + accento del part. (avea fatto >< abbia perduto)

es. (6,10) «che di lagrime son fatti uscio e varco» (Rvf 3,11)

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Ipermetria e ipometria

• Boccaccio, Teseida, I 38I denti batte e rugghia e gli speditisen¦tie¦ri a¦ sua¦ sa¦lu¦te¦ cer¦ca e¦ pe’ ¦ro¦mo¦rich’egli ha in qua in là in giù e su uditi,non sa qua’ vie per lui sien migliori.

• Saba, Canzoniere, A mamma, v. 108Sugli ultimi mari i naviganti [1948] < Di su gli ultimi mari i naviganti [1911 e 1921]

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Figure metriche (1)

Sinalefe «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono» (RVF I 1)

Dialefe «O anima cortese mantoana» (Inf. II 58)

Sinèresi «di quei sospiri ond’io nudriva il core» (RVF I 2)

Dieresi «Sì travïato è ’l folle mi’ desio» (RVF VI 1)

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Figure metriche (2)

• «e come albero in nave si levò» (Dante, Inf., XXXI 145) → sinalefe

• «che fece me a me uscir di mente» (Dante, Purg., VIII 14) → dialefe

• «Io venia pien d’angoscia a rimirarti» (Leopardi, Alla luna, v. 3) → sineresi

• «O grazïosa luna, io mi rammento» (Leopardi, Alla luna, v. 1) → dieresi

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Testo“Spesso il male di vivere ho incontrato:era il rivo strozzato che gorgoglia”.

Parafrasi di I gradoDal verso (due endecasillabi a maiore) alla prosaDisposizione delle paroleHo incontrato spesso il male di vivere: era come un corso d’acqua che, bloccato da un ostacolo, ribolle.

Parafrasi di II gradoRisoluzione e scioglimento delle figure retoricheIo ho sperimentato spesso il male di vivere, e ne ho trovato l’equivalente metaforico, per esempio, in un corso d’acqua che, impedito nel suo scorrere naturale, ribolle.

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Spes|so^il |ma|le| di |vi|ve|re ^ho^ in|con|tra|to: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

e|ra ^il |ri|vo |stroz|za|to| che| gor|go|glia. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

Cfr. Dante, Inf. VII 125, “quest’inno si gorgoglian nella strozza”

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La rima (1)

La rima può essere piana (amore : dolore), tronca (sentì : compì) o sdrucciola (cantano : piantano).

Si parla di assonanza se coincidono solo le vocali, mentre sono diverse le consonanti (campane : celare), e di consonanza nel caso di uguaglianza delle consonanti (ardo : morde).

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La rima (2)

baciate (AA, es. valore : signore)alternate (ABAB, es. bella : oro :

stella : lavoro)incrociate (ABBA, es. colore : morta :

porta : valore)invertite (ABC.CBA, es. piagenza :

vertute : mostra : nostra : salute : conoscenza, in Cavalcanti)

replicate (ABC.ABC, es. tutto : sovente : vergogno : frutto : chiaramente : sogno, in Petrarca)

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La rima (3)

Facili campare : andare : parlare in Inf. II 68-72

Difficili Inf., XXIX 74-78, con la serie tegghia-stregghia-vegghia

Ricche regi : dispregi, in Inf. VIII e Par. XIX

Derivative parte : sparte, degna : indegna, in Inf. III

Equivoche porta : porta, in Inf. XXIV 37-39

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F. Petrarca, R.v.f. XVIII

Quand’io son tutto vòlto in quella parteove ’l bel viso di madonna luce,et m’é rimasa nel pensier la luceche m’arde et strugge dentro a parte a parte, 4

i’ che temo del cor che mi si parte,et veggio presso il fin de la mia luce,vommene in guisa d’orbo, senza luce,che non sa ove si vada et pur si parte. 8

Così davanti ai colpi de la mortefuggo: ma non sì ratto che ’l desiomeco non venga come venir sòle.

Tacito vo’, ché le parole morte 12farian pianger la gente; et i’ desioche le lagrime mie si spargan sole.

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La rima (4)

Frante in Inf. XXVIII 119-123, la serie come-chiome-Oh me; in Inf. XXX 83-87, la serie oncia-sconcia-non ci ha

Ripetute o identiche «Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; / ché quella croce lampeggiava Cristo, / sì ch’io non so trovare essempro degno; / ma chi prende sua croce e segue Cristo, / ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, / vedendo in quell’albor balenar Cristo» (Par. XIV 103-108)

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La rima (5)

Rima ipermetra tempesta : restano«che ti lessi negli occhi, ch’erano / pieni di pianto, che sono / pieni di terra, la preghiera / di vivere e d’essere buono!» (Pascoli)«Ah l’uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a se stesso amico, / e l’ombra sua non cura che la canicola / stampa sopra uno scalcinato muro!» (Montale)

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A che cosa serve la rima

• Funzione strutturante o demarcativa in relazione alla forma del testo

• Funzione musicale: valorizzazione della componente eufonica del segno

• Funzione semantica: attivazione di rapporti produttori di senso

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La rima 

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono ABBAdi quei sospiri ond’io nudriva ’l corein sul mio primo giovenile errorequand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono: 4

del vario stile in ch’io piango et ragiono, ABBAfra le vane speranze, e ’l van dolore,ove sia chi per prova intenda amore,spero trovar pietà, nonché perdono. 8

Ma ben veggio or sì come al popol tutto CDEfavola fui gran tempo, onde soventedi me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, 12 CDEe ’l pentérsi, e ’l conoscer chiaramenteche quanto piace al mondo è breve sogno.

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La rima

Arso completamente dalla vita io vivo in essa felice e dissolto. La mia pena d’amore non ascolto più di quanto non curi la ferita.(S. Penna)

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La rima (6)

rima interna / rima al mezzoLeopardi, La ginestra«Con lungo affaticar l’assidua gente avea provvidamente al tempo estivo»

(vv. 209-10); «Non ha natura al seme dell’uom più stima o cura» (vv. 231-

232)

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L’enjambement (1)

Molto forteLessicale «Poi non vi piace ch’eo

v’ami, ameraggio- / vi dunque per forza? Non piaccia unque a Deo!» (Guittone)

Sintagmatico «Ma, sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete» (Leopardi); «che vanno al nulla eterno; e intanto fugge / questo reo tempo, e van con lui le torme» (Foscolo)

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L’enjambement (2)

Forte «Ma ben veggio or sì come / al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente» (Petrarca); «Giovin signore, o a te scenda per lungo / di magnanimi lombi ordine il sangue» (Parini)

Debole «Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte» (Dante).

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Petrarca, R.f.v. CCCIX, 1-8

L’alto et novo miracol ch’a’ dì nostriapparve al mondo, et star seco non volse,che sol ne mostrò ’l ciel, poi sel ritolseper adornarne i suoi stellanti chiostri, 4

vuol ch’i’ depinga a chi nol vide, e ’l mostri,Amor, che ’n prima la mia lingua sciolse,poi mille volte indarno a l’opra volse ingegno, tempo, penne, carte e ’nchiostri. 8

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Schemi metrici

Sonetto ABAB.ABAB oppure ABBA.ABBA + CDC.DCD, CDE.CDE oppure CDE.EDC

Terzina ABA.BCB.CDC.DED…Ottava AB.AB.AB.CC, oppure

AB.AB.AB.AB, AB.AB.CC.DDCanzone stanze formate da ‘fronte’

(divisa in due ‘piedi’) e ‘coda’ (o ‘sirma’)

Ballata ritornello + stanzeMadrigale + Sestina

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La stanza di canzone (R.v.f. 126)

FRONTE (se indivisibile)1° piede 1 Chiare, fresche et dolci acque, settenario a

2 ove le belle membra settenario b3 pose colei che sola a me par donna; endecasillabo C

2° piede 4 gentil ramo ove piacque settenario a5 (con sospir’ mi rimembra) settenario b6 a lei di fare al bel fiancho colonna; endecasillabo C

SIRMA7 herba et fior’ che la gonna settenario c8 leggiadra ricoverse settenario d9 co l’angelico seno; settenario e10 aere sacro, sereno, settenario e11 ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: endecasillabo

D12 date udïenza insieme settenario f13 a le dolenti mie parole estreme. endecasillabo F

vv. 6-7, concatenatiovv. 12-13, combinatio

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Il congedo di canzone (R.v.f. 126)

Se tu avessi ornamenti quant’hai voglia, Apotresti arditamente buscir del boscho, et gir in fra la gente

B

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La ballataritornello/ripresa + strofe/stanze

grande, con ritornello di quattro versi (endecasillabi, o endecasillabi e settenari);

mezzana, con ritornello di tre versi (endecasillabi, o endecasillabi e settenari);

minore, con ritornello di due versi (endecasillabi, o endecasillabi e settenari);

piccola, con ritornello di un solo endecasillabo;

stravagante, con ritornello formato da più di quattro versi

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Petrarca, R.v.f. 69 (ballata)

Tolta m' è poi di que' biondi capelli,lasso, la dolce vista;e 'l volger de' duo lumi honesti et bellicol suo fuggir m' atrista;ma perché ben morendo honor s' acquista,per morte né per doglianon vo' che da tal nodo Amor mi scioglia.

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Petrarca, R.v.f. 69 (ballata)RipresaPerché quel che mi trasse ad amar prima, Yaltrui colpa mi toglia, xdel mio fermo voler già non mi svoglia. XI Stanza piedeTra le chiome de l' òr nascose il laccio, Aal qual mi strinse, Amore; bpiedeet da' begli occhi mosse il freddo ghiaccio, Ache mi passò nel core, bvoltacon la vertú d' un súbito splendore, Bche d' ogni altra sua voglia xsol rimembrando anchor l' anima spoglia. X

II Stanza piedeTolta m' è poi di que' biondi capelli, Alasso, la dolce vista; bpiedee 'l volger de' duo lumi honesti et belli Acol suo fuggir m' atrista; bvoltama perché ben morendo honor s' acquista, Bper morte né per doglia xnon vo' che da tal nodo Amor mi scioglia. X

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F. Petrarca, R.v.f. 106

Nova angeletta sovra l' ale accorta Ascese dal cielo in su la fresca riva, Blà 'nd' io passava sol per mio destino. C

Poi che senza compagna et senza scortaA

mi vide, un laccio che di seta ordiva Btese fra l' erba, ond' è verde il camino. C

Allor fui preso; et non mi spiacque poi, Dsí dolce lume uscia degli occhi suoi. D

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esercizio F. Petrarca, R.v.f., 12

Se la mia vita da l'aspro tormentosi può tanto schermire, et dagli affanni,ch’i’ veggia per vertù de gli ultimi anni,donna, de’ be’ vostr’occhi il lume spento, 4

e i cape’ d'oro fin farsi d'argento,et lassar le ghirlande e i verdi panni,e ’l viso scolorir che ne’ miei dannia·llamentar mi fa pauroso et lento: 8

pur mi darà tanta baldanza Amorech’i’ vi discovrirò de’ mei martiriqua’ sono stati gli anni, e i giorni et l’ore;

et se ’l tempo è contrario ai be’ desiri, 12non fia ch’almen non giunga al mio dolorealcun soccorso di tardi sospiri.

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Analisi di Rvf XII (1)

ParafrasiSchema metrico Sonetto, rime ABBA ABBA CDC DCDConsonanza tra C e D (-ore e –iri); rima

interna ai vv. 6-8 (lassar : lamentar) e (identica) ai vv. 3-11 (anni)

Rima ricca e franta ai vv. 11 e 13 (l’ore : dolore)

Enjambementsai vv. 1-2 (con iperbato e allitterazione), 7-8,

10-11, 13-14Effetti fonici

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Se la mia vita | da l'aspro tormento 4 7 10si può tanto schermire,^et | dagli^affanni,

2 3 6 10ch’i’ veggia per vertù | de gli^ultimi^anni,

2 6 8 10donna, de’ be’ vostr’occhi^il | lume spento,

1 4 6 8 10

e^i cape’ d'oro fin | farsi d'argento,3 4 6 7 10

et lassar le ghirlande^e^i | verdi panni, 3 6 8 10e ’l viso scolorir | che ne’ miei danni

2 6 10a·llamentar mi fa | pauroso^et lento:

4 6 8 10

pur mi darà | tanta baldanza Amore4 5 8 10

ch’i’ vi discovrirò | de’ mei martiri 6 10qua’ sono stati gli anni,^e^i | giorni^et l’ore;

2 4 6 8 10

et se ’l tempo^è | contrario^ai be’ desiri,3 4 6 8 10

non fia ch’almen non giunga^al | mio dolore2 4 6 10

alcun soccorso | di tardi sospiri. 2 4 7 10

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Analisi di Rvf XII (2)Il tema della poesiaLa speranza di trovare in vecchiaia consolazione

delle pene amorose sofferte in gioventù.Un artificio prospettico: posta l’incomunicabilità

che separa l’amante dalla visione e dal contatto desiderati, ci si augura che i pensieri d’amore possano essere rivelati e condivisi in futuro.

Rovesciamento del motivo classico (Tibullo) dell’invecchiamento ostile agli amanti: originale è il sogno di una vecchiaia che finalmente riunisca gli amanti in una virtuosa reciprocità.

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Analisi di Rvf XII (3)

Analisi linguistica e stilisticada veggia (v. 3) dipendono

(asimmetricamente: Contini) sia un sostantivo con predicato dell’oggetto, sia tre subordinate infinitive con verbo medio, transitivo o intransitivo

la poesia si regge su un doppio periodo ipotetico: Se… (vv. 1-8: PROTASI), pur mi darà… (vv. 9-11: APODOSI); et se… (v. 12: PROTASI), non fia… (vv. 13-14: APODOSI). NB: Protasi al presente, apodosi al futuro

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Analisi di Rvf XII (4)

vv. 4-7, ritratto di lei per frammenti (occhi, capelli, panni, viso) → l’irraggiungibilità dell’intero

v. 5, e i cape’ d’oro fin | farsi d’argento: elemento chiave della donna del Libro (i

capelli biondi) + segmento centrale allitterante ma separato da cesura + diametralità oro/argento

NB assonanza interna che lega fin a schermire (v. 2) e a scolorir (v. 7): con la ‘i’ tonica sempre in 6a posizione

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Analisi di Rvf XII (5)v. 8, a ·llamentar mi fa | pauroso e lentouno dei rari casi in Rvf di raddoppiamento

fonosintatticoforte cesura alla fine del primo emistichiorima interna fa : darà (v. 9), che lega

fonicamente quartine e terzine (ribadita da qua al v. 11)

dittologia in fine verso: l’inadeguata reazione dell’amante alle sue pene

mi fa: il cuore del sonetto; al sogno di un futuro diverso si oppone il tempo presente del timore e dello smarrimento (pauroso/baldanza)

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Analisi di Rvf XII (6)

vv. 10-11, de’ mei martiri / qua’ sono stati gli anni, e i giorni et l’ore

prolessi che enfatizza la lunghezza del tempo del dolore

v. 13, non fia ch’almen non giunga…perifrasi con doppia litote, che

rallenta e sfuma l’immagine del futuro

v. 14, tardi sospirispeculare alla lentezza del poeta-

amante (al v. 8)

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Analisi di Rvf XII (7)Intertestualitàv. 3, ultimi anni → Verg. Ecl. IV 53-54 , «O mihi tum longae maneat pars ultima vitae, / spiritus et quantum sat erit tua dicere facta!»v. 7, e ‘l viso scolorir → Inf. V 131, “e scolorocci il viso”v. 8, a llamentar mi fa pauroso et lento → Inf. V 117, “a lagrimar mi fanno tristo e pio”la serie rimica martiri : desiri : sospiri → Inf. V 115-120 (“Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, / e

cominciai: - Francesca, i tuoi martiri / a lagrimar mi fanno tristo e pio. / Ma dimmi: al tempo de’ dolci sospiri, / a che e come concedette Amore / che conosceste i dubbiosi disiri?-”

v. 12, tempo → Inf. V 118 («al tempo de’ dolci sospiri»)v. 14, alcun soccorso di tardi sospiri → Inf. II 65, “Ch’io mi sia tardi al soccorso levata”

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G. Leopardi, A Silvia, vv. 49-63

7 Anche peria fra poco50 11 La speranza mia dolce: agli anni miei

7 Anche negaro i fati7 La giovanezza. Ahi come,7 Come passata sei,11 Cara compagna dell'età mia nova,

55 7 Mia lacrimata speme!7 Questo è quel mondo? questi11 I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi11 Onde cotanto ragionammo insieme?11 Questa la sorte dell'umane genti?

60 7 All'apparir del vero,11 Tu, misera, cadesti: e con la mano11 La fredda morte ed una tomba ignuda

7 Mostravi di lontano.

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Denotazione e connotazione

significato denotativo = referenziale, oggettivosignificato connotativo = supplementare, contestuale

«Dolce color d'orïental zaffiro, / che s'accoglieva nel sereno aspetto / del mezzo, puro infino al primo giro , / a li occhi miei ricominciò diletto, / tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta / che m'avea contristati li occhi e 'l petto» (Purg. I 13-18)

DOL |ce | cO| LOR ||D’O|RI|en|taL |zaf|fI |RO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

11

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I valori fonosimbolici

«di me medesmo meco mi vergogno» (RVF I 11)

(Virgilio, Buc. III 76: «Phyllida mitte mihi, meus est natalis»)

«il pietoso pastor pianse al suo pianto» (Tasso, GL, VII 16)

«Spesso il male di vivere ho incontrATO: / era il rivo strozzATO che gorgoOGLIA, / era l’incartocciarsi della fOGLIA / riarsa, era il cavallo stramazzATO» (Montale)

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Onomatopea

Dante, Paradiso, X, 139-148 Indi, come orologio che ne chiamine l'ora che la sposa di Dio surgea mattinar lo sposo perché l'ami, che l'una parte e l'altra tira e

urge,tin tin sonando con sì dolce nota,che 'l ben disposto spirto d'amor

turge; così vid'ïo la gloriosa rotamuoversi e render voce a voce in

temprae in dolcezza ch'esser non pò nota se non colà dove gioir s'insempra.

Giovanni Pascoli, Arano, vv. 7-10

ché il passero saputo in cor già gode,

e il tutto spia dai rami irti del moro;

e il pettirosso: nelle siepi s’ode il suo sottil tintinno come d’oro.

«Quest’ultima immagine è complessa, costruita com’è su un doppio ordine di rapporti analogici: esplicito il primo, fra il movimento ingegnoso e il suono dell’orologio e il moto e il rispondersi delle voci nel coro dei beati; implicito il secondo, fra la liturgia conventuale del mattutino e il canto delle anime. L’onomatopea, i vocaboli rari traducono in preziosità di linguaggio la tensione fantastica» (N. Sapegno)

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Ritmo e sintassi: U. Foscolo, A Zacinto

Né più mai toccherò le sacre spondeove il mio corpo fanciulletto giacque,Zacinto mia, che te specchi nell'ondedel greco mar, da cui vergine nacque 4

Venere, e fea quell’isole fecondecol suo primo sorriso, onde non tacquele tue limpide nubi e le tue frondel'inclito verso di colui che l'acque 8

cantò fatali, ed il diverso esiglioper cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio, 12o materna mia terra; a noi prescrisseil fato illacrimata sepoltura.

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Parafrasi[1-4] Io non potrò mai più toccare le sacre sponde (del luogo dove sono nato), dove il mio corpo da piccolo giacque, o Zacinto mia, che ti rispecchi nelle onde del mare greco (cioè, non potrò mai più ritornare in patria). [4-6] Dalle acque di questo mare nacque la dea Venere, che rese feconde (cioè felici) quelle isole attraverso il suo primo sorriso. [6-11] Per questo motivo, del tuo candido cielo e dei tuoi boschi (ossia, delle tue bellezze naturali) non poté non parlare la nobile poesia di Omero, che raccontò le avventure (di Ulisse) sul mare governato dal fato, e l’esilio di colui, bello nella fama e nella disgrazia, che è arrivato alla fine a baciare la sua rocciosa Itaca. [12-14] Tu invece, o Zacinto, non avrai altro che la poesia del tuo figlio; a noi, infatti, il destino ha riservato una sepoltura senza lacrime (cioè lontana dalla patria).

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Esercizio: FOSCOLOAnalisi metricaABAB ABAB CDE CEDrima ricca ai vv. 10-14enjamb. 1-2, 3-4, 4-5, 6-7, 7-8, 8-9, 10-11, 13-14Analisi lessicalesacre (v. 1), giacque (v. 2)feconde (v. 5), limpide (v. 7)inclito (v. 8)fatali e diverso (v. 9), bello (v. 10)materna (v. 13), illacrimata (v. 14)Analisi sintatticavv. 1-11 + vv. 12-14: Periodo iniziale di inusitata

ampiezza + secchezza epigrafica della terzina finale;

Funzione strutturante dei nessi relativi; Frequenti e vistosi iperbati ai vv. 6-11.

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Esercizio: FOSCOLO

Né più mai toccherò le sacre spondeove il mio corpo fanciulletto giacque,Zacinto mia, che te specchi nell'ondedel greco mar, da cui vergine nacque

Venere, e fea quell’isole fecondecol suo primo sorriso, onde non tacquele tue limpide nubi e le tue frondel'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglioper cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,o materna mia terra; a noi prescrisseil fato illacrimata sepoltura.

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M. Pagnini, Il sonetto «A Zacinto», in Semiosi. Teoria ed ermeneutica del testo letterario, Bologna,

Il Mulino, 1988

Zacinto partecipa della stessa sostanza che generò la dea; ha praticamente la stessa genesi: sorse dal mare. […] Visto poi nella prospettiva nostalgica del passato felice e irrecuperabile, il complesso semico Zacinto = Venere si inscrive nell’idea archetipica del Paradiso Perduto. […] Con che si pongono in rapporto i due termini del viaggio esistenziale: l’inizio come grembo materno; la fine come grembo ctonio. […] Peraltro il verbo «giacque» sembra portare con sé il desiderio di un altro «giacersi», distante di una vita tormentosa da quello del pargolo. Il ritorno all’isola natale sarebbe, per «regressione», un ritorno al grembo materno, e quindi alla felicità primeva, fonte anche del mito e della poesia.

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Sonetto Foscolo

Allitterazionev. 1 Né più mai toccherò le SacrE

SpondEvv. 4-5 del gReco maR, da cui

VERgiNE nacque / VENERe, e FEa quell’isole Feconde

v. 8 L’inCLito vErso di CoLui ChE L’ACQUE

v. 12-14 Tu non aLTRo che il canTo avRai deL figlio, / o maTeRna mia TeRRa; a noi pRescRisse / iL faTo iLLacRimaTa sepoLTuRa

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Leopardi, A Silvia, vv. 1-6

 Silvia, riMeMbri ancora 7quel teMpo della tua vita Mortale, 11quando beltà splendea 7negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, 11e tu, lieta e pensosa, il liMitare 11di gioventù salivi? 7

Principale (interr.) + 2 sub. temp. fra loro coordinate

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Leopardi, A Silvia, vv. 7-14

Sonavan le quiete 7stanze, e le vie dintorno, 7al tuo perpetuo canto, 7allor che [all'opre femminili inteNTA ] 11sedEVI, assai conteNTA 7di quel vago avvenir [che in mente avEVI]. 11Era il maggio odoroso: e tu solEVI 11così menare il giorno. 7

due periodi: I, principale + sub. tempor. da cui dipendono una modale implicita e una relativa; II, principale + coordinata

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Leopardi, A Silvia, vv. 15-27

Io [gli studi leggiadri 7talor lasciando E le sudate carte, 11ove il tempo mio primo 7E di me si spendea la miglior parte], 11d'in su i veroni del paterno ostello 11porgEA gli orecchi al suon della tua voce, 11ED alla man veloce 7che percorrEA la faticosa tela. 11Mirava il ciel sereno, 7le vie dorate E gli orti, 7E quinci il mar da lungi, E quindi il monte. 11Lingua mortal non dice 7quel ch'io sentiva in seno. 7

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Leopardi, A Silvia

vv. 10-12 allor che^all’opre ¦ femminili^intenta, 2 4 8 10sedevi,^assai contenta 2 4 6di quel vago avvenir ¦ che^in mente^avevi 2 6

8 10av.23-25Mirava^il ciel sereno, 2 4 6le vie dorate^e gli^orti, 4 6e quinci^il mar ¦ da lungi,^e quindi ^il monte 2 4 6 8

10

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Le figure retoriche

    Dante, Inferno, XVII vv. 16-18: «Con più coloR, sommesse e sovRaposTe / non feR mai dRappi TaRTaRi né TuRchi, / né fuoR Tai Tele peR aRagne imposTe».

L. Ariosto, Satire, I vv. 226-228: «Il qual se vuol di calamo et inchiostro / di me servirsi, e non mi tor da bomba, / digli: Signore, il mio fratello è vostro ».

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Le figure retoriche operanti sulla costruzione sintattica

l’iperbato: Tasso, «O belle agli occhi miei tende latine»; Parini, «La nascente del sol luce rifrange»;l’anastrofe: Pascoli, «dalle fratte / sembra la nebbia mattutina fumare»;l’epifrasi: Leopardi, «dolce e chiara è la notte e senza vento»;il chiasmo: Pascoli, «con tonfi spessi e lunghe cantilene»;l’enumerazione: Ariosto, «Altri in amar lo [il senno] perde, altri in onori, / altri in cercar, scorrendo il mar, richezze; / altri ne le speranze de’ signori, / altri dietro alle magiche sciocchezze»;l’anafora: Ariosto: «Vedete il meglio de la nobiltade… Vedete quante lance e quante spade… Vedete che ’l destrier sotto gli cade… Vedete gli omicidi e le rapine»;il climax: Leopardi, «ogni stento, ogni danno, / ogni estremo timor subito scordi»;l’anticlimax: Leopardi, «posa per sempre… t’acqueta omai».

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Tra sintassi e semantica

• l’ipallage: Foscolo, «sorgon così tue dive / membra dall’egro talamo»; Montale, «e gli alberi discorrono col trito / mormorio della rena»

• lo zeugma: Dante, «parlare e lagrimar vedrai insieme»; Dante, «fuori sgorgando lacrime e sospiri»

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Lessico e semantica

Significato denotativo (oggettivo e comune)

↓Significato connotativo (evocativo e

contestuale) ← trama fonica, ritmica e

sintattica ← echi letterari (fonti):

intertestualità

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Lessico e semantica• “e il naufragar m’è dolce in questo mare” (G. Leopardi,

L’infinito)→ il contesto (ultimo orizzonte, infinito silenzio, immensità, s’annega)→ le fonti (Dante, Par. I; Mme De Staël, Corinna)«L’infinito rimane per sua natura indefinibile, per quante precisione e varietà lessicali siano state messe in campo; e allora ecco che Leopardi […] termina il testo rappresentandolo non più in sé ma nella sua azione sull’io […] ed è qui che si situa più probabilmente il ricordo del canto di Ulisse di Dante»• «Osservare tra frondi il palpitare / lontano di scaglie di

mare / mentre si levano tremuli scricchi / di cicale dai calvi picchi» (E. Montale, Meriggiare pallido e assorto); «Il cammino finisce a queste prode / che rode la marea col moto alterno» (Montale, Casa sul mare)

• “Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede” (G. Ungaretti, Sono una creatura)cfr. Tutto ho perduto (Il dolore): “La vita non mi è più / […] / che una roccia di gridi”; Mio fiume anche tu (ivi): “E pietà in grido si contrae di pietra”

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Similitudine e metafora

• «Ella non ci dicea alcuna cosa, / ma lasciavane gir, solo sguardando / a guisa di leon quando si posa» (Dante, Purgatorio, VI 64-66)

• «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi» (Petrarca, Rvf, XC 1)

• «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie» (G. Ungaretti, Soldati)

• «È il mio cuore / il paese più straziato» (G. Ungaretti, San Martino del Carso, vv. 11-12)

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La similitudine Intesi ch’a sì fatto tormentoenno dannati i peccator carnali,che la ragion sommettono al talento. E come li stornei ne portan l’alinel freddo tempo, a schiera larga e piena,così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena;nulla speranza li conforta mai,non che di posa, ma di minor pena. E come i gru van cantando lor lai,faccendo in aere di sé lunga riga,così vid’io venir, traendo guai, ombre portate da la detta briga.

(Inf., V 37 -49)

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La similitudine

E come li stornei ne portan l’alinel freddo tempo, a schiera larga e piena,così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena.- l’elemento comune ai due termini della comparazione- la funzione o ragione della similitudine (A) la gentilezza (B) la lussuria L’Ottimo Commento (1333): «questa comperazione induce l'Autore per mostrare la forma di queste anime che andavano a schiera come stornelli, li quali sono uccelli molto lussuriosi, e però se ne vanno a stare il verno in paesi molt[o] caldi; e così queste anime diven[ute] fredde erano portate contrario alli loro desiderii». - eventuali fonti o modelli (intertestualità) Verg. Aen. VI 311-312, «quam multae glomerantur aues, ubi frigidus annus / trans pontum fugat et terris immittit apricis»; Alberto Magno, De animalibus XXIII 24, 104, «sturnus… gregatim volat et compresse»- giudizi critici     B. Lombardi (1791): «sceglie, al paragone dell’irregolare mossa data dal vento a quelli spiriti, il volo degli stornelli, perché di fatto è irregolarissimo».

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La similitudine

E come i gru van cantando lor lai,faccendo in aere di sé lunga riga,così vid’io venir, traendo guai, ombre portate da la detta briga.- l’elemento comune ai due termini della comparazione- la funzione della similitudine- eventuali fonti o modelli (intertestualità)Verg. Aen. X 264-266: «quales sub nubibus atris / Strymoniae dant signa grues atque aethera tranant / cum sonitu»; Brunetto Latini, Tesoro, I 5, 27: «Grue sono una generazione di uccelli che vanno a schiera...e sempre vanno l’uno dietro l’altro». - giudizi criticiA. M. Chiavacci Leonardi: «La prima immagine si riferisce a tutti gli spiriti del cerchio, travolti dalla bufera; questa indica una particolare schiera (vid’io venir ... ombre) che si avanza verso Dante, in lunga fila. Come si preciserà più avanti (v. 69), si tratta di coloro che a causa di amore hanno subito morte violenta».Bibliografia: Lawrence Ryan, Stornei, Gru, Colombe: The Bird Images in Inferno V, «Dante Studies», 94 (1976), pp. 25-45

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Montale, I limoni, vv. 1-10Ascoltami, i poeti laureatisi muovono soltanto fra le piantedai nomi poco usati: bossi ligustri o

acanti.Io, per me, amo le strade che riescono agli

erbosi fossi dove in pozzangheremezzo seccate agguantano i ragazziqualche sparuta anguilla:le viuzze che seguono i ciglioni,discendono tra i ciuffi delle cannee mettono negli orti, tra gli alberi dei

limoni.

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G. Ungaretti, Stelle (da Sentimento del tempo)

Tornano in alto ad ardere le favole.

Cadranno colle foglie al primo vento.

Ma venga un altro soffio,

Ritornerà scintillamento nuovo.

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G. Ungaretti, StelleTornano in alto ad ardere le favole.Tor¦na¦no^in¦ al¦to^ad ¦ar¦de¦re¦ le¦ fa¦vo¦le. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

12Cadranno colle foglie al primo vento.Ca¦dran¦no¦ col¦le¦ fo¦glie^al ¦pri¦mo ¦ven¦to. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

11

Ma venga un altro soffio,Ma ¦ven¦ga^un¦ al¦tro ¦sof¦fio, 1 2 3 4 5 6 7Ritornerà scintillamento nuovo.Ri¦tor¦ne¦rঠscin¦til¦la¦men¦to ¦nuo¦vo.1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

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G. Ungaretti, Stelle (da Sentimento del tempo)

Tornano in alto ad ardere le favole.11

< Tornano le favole a ardere in alto

Cadranno colle foglie al primo vento.11

Ma venga un altro soffio,7

Ritornerà scintillamento nuovo.11

< Parrà l’incendio nuovo a un altro soffio

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U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendodi gente in gente, me vedrai sedutosu la tua pietra, o fratel mio, gemendoil fior de’ tuoi gentili anni caduto.

4La madre or sol suo dì tardo traendo

parla di me col tuo cenere muto,ma io deluse a voi le palme tendoe sol da lunge i miei tetti saluto.

8Sento gli avversi numi, e le secrete

cure che al viver tuo furon tempesta,e prego anch’io nel tuo porto quïete.

11Questo di tanta speme oggi mi resta!

Straniere genti, almen le ossa rendeteallora al petto della madre mesta.

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ContestualizzazioneLettera di U. Foscolo a V. Monti, dicembre 1801La morte dell’infelicissimo mio fratello ha esulcerato tutte le mie piaghe: tanto più ch’ei morí d’una malinconia lenta, ostinata, che non lo lasciò né mangiare né parlare per quarantasei giorni. Io mi figuro i martirij di quel giovinetto e lo stato doloroso della nostra povera madre tra le cui braccia spirò. Ma io temo che egli stanco della vita siasi avvelenato […]. La morte sola finalmente poté decidere la battaglia che le sue grandi virtù, e i suoi grandi vizj manteneano da gran tempo in quel cuore di fuoco.

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Catullo, Carmina, CI

Multas per gentes et multa per aequora vectusadvenio has miseras, frater, ad inferias,ut te postremo donarem munere mortiset mutam nequiquam alloquerer cinerem,quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,heu miser indigne frater adempte mihi.Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentumtradita sunt tristi munere ad inferias,accipe fraterno multum manantia fletu,atque in perpetuum, frater, ave atque vale.

Per molte genti portato e per molti mari/ arrivo a queste misere, fratello, esequie, / per donarti l'ultimo tributo di morte/ ed invano parlare con le tue mute ceneri, / dal momento che la sorte mi ha tolto proprio te,/ ahi, misero fratello indegnamente sottrattomi./ Ora tuttavia, intanto, queste offerte, che secondo l’antico rito / degli avi sono state rese con triste tributo alle esequie, / accogli stillanti di fraterno pianto, / ed in perpetuo, fratello, salute e addio.

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Parce, per inmatura tuae precor ossa sororis: Tibullo, Elegie, II 6, vv. 29-40

sic bene sub tenera parva quiescat humo.Illa mihi sancta est, illius dona sepulcro et madefacta meis serta feram lacrimis,illius ad tumulum fugiam supplexque sedebo et mea cum muto fata querar cinere.Non feret usque suum te propter flere clientem: illius ut verbis, sis mihi lenta, veto, ne tibi neglecti mittant mala somnia Manes, maestaque sopitae stet soror ante torum, qualis ab excelsa praeceps delapsa fenestra uenit ad infernos sanguinolenta lacus.

Risparmiami, ti prego, per le ossa di tua sorella morta anzitempo: / riposi la piccola in pace sotto la terra morbida. / Lei mi è sacra: al suo sepolcro porterò offerte / e corone intrise delle mie lacrime; / accanto al suo tumulo mi rifugerò, sedendo supplichevole, / e col suo cenere muto compiangerò il mio destino. Lei non permetterà che il suo protetto pianga di continuo per causa tua: / in nome suo ti proibisco di mostrarti indifferente con me, / se non vuoi che i suoi Mani trascurati ti mandino sogni terrificanti / e nel sonno non ti / appaia davanti al letto la sorella afflitta, / com'era il giorno in cui, precipitata dall'alto di una finestra, / sanguinante raggiunse gli stagni infernali.

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Alfieri, Rime, CLXXV 1-4 e 12-14

Misera madre che di pianto in piantovai strascinando la tua triste sera;e ad uno ad uno i figli amati tantovedi acerbi ingoiar da morte fera.[…]E per me mai non stringerai tu al senoun pargoletto, che a te sia richiamo,a sperar quaggiù ancor un dì sereno.

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La matrice petrarchesca

v. 4: Rvf CCLXVIII 39, «al fior degli anni suoi»

v. 5: Rvf XVI 5, «Indi trahendo poi l’antiquo fianco»

vv. 10-11: Rvf CCCLXV 9-10, «Sí che s’io vissi in guerra, et in tempesta, / mora in pace, et in porto»

v. 12: Rvf CCLXVIII 32, «Questo m’avanza di cotanta speme»

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G. Leopardi, Alla luna

O graziosa luna, io mi rammentoche, or volge l'anno, sovra questo colleio venia pien d'angoscia a rimirarti:e tu pendevi allor su quella selvasiccome or fai, che tutta la rischiari.

5Ma nebuloso e tremulo dal piantoche mi sorgea sul ciglio, alle mie luciil tuo volto apparia, che travagliosaera mia vita: ed è, né cangia stile,o mia diletta luna. E pur mi giova

10la ricordanza, e il noverar l'etatedel mio dolore. Oh come grato occorrenel tempo giovanil, quando ancor lungola speme e breve ha la memoria il corso,il rimembrar delle passate cose,

15ancor che triste, e che l'affanno duri!

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Alla luna, vv. 12 ss.

I red. (1819)del mio dolore. Oh come grato occorreil sovvenir delle passate cose,ancor che triste, e che il pianto duri.II red. (1835-36)del mio dolore. Oh come grato occorrenel tempo giovanil, quando ancor lungola speme e breve ha la memoria il corso,il rimembrar delle passate cose,ancor che triste, e che l’affanno duri!

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O graziosa luna, io mi rammentoche, or volge l'anno, sovra questo colleio venia pien d'angoscia a rimirarti:e tu pendevi allor su quella selvasiccome or fai, che tutta la rischiari.Ma nebuloso e tremulo dal piantoche mi sorgea sul ciglio, alle mie luciil tuo volto apparia, che travagliosaera mia vita: ed è, né cangia stile,o mia diletta luna. E pur mi giova

la ricordanza, e il noverar l'etatedel mio dolore. Oh come grato occorrenel tempo giovanil, quando ancor lungola speme e breve ha la memoria il corso,il rimembrar delle passate cose,

ancor che triste, e che l'affanno duri

colle < poggiopien < carcoselva < bosco

che travagliosa < perché dolente

ricordanza < rimembranza

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U. Saba, La capra

Ho parlato a una capra. Era sola sul prato, era legata. Sazia d'erba, bagnata dalla pioggia, belava.

Quell'uguale belato era fraterno5

al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia, poi perché il dolore è eterno, ha una voce e non varia. Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria.

10

In una capra dal viso semita sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita.

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Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

«Qualche bene o contento / avrà fors’altri; a me la vita è male. / O greggia mia che posi, oh te beata, / che la miseria tua, credo, non sai! / Quanta invidia ti porto!» (vv. 103-107); «O forse erra dal vero, / mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: / forse in qual forma, in quale / stato che sia, dentro covile o cuma, / è funesto a chi nasce il dì natale» (vv. 139-143) .

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Biograficamente, il tempo in cui Saba compose questo idillio è quello in cui l’uomo attivo sente più vivace l’obbligo di assumere nel mondo una figura che lo renda necessario. Invece, in Saba, si conferma a questo punto l’assoluta insensibilità ad ogni impulso d’agire: a giustificare la sua vita gli basta il desto e delicatissimo sentimento delle cose; in cui si obblia. E, se tutta la sua personalità non si dissolve passivamente nelle cose, ciò proviene dall’intensissimo amore che egli porta ad esse e che è già, da solo, una sufficiente e originale ragion di vivere. […] C’è una devozione seria ed assorta per gli aspetti in cui il mondo si rivela. […] La malinconia che Saba ha musicato trae forse le sue confuse ragioni dall’instabilità di un centro morale; in luogo del quale è un succedersi di stati d’anima, tutti facenti capo ad una certezza del dolore umano, più garantita dalle affermazioni degli altri che da una autentica ricognizione; e la logorante insidia di questo caos è mantenuta dall’assenza di ogni travolgente iniziativa: donde il gusto di starsene a ruminare in un ozio faticoso la propria atonia (G. Debenedetti, La poesia di Saba, 1923) .