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Universita degli Studi di NapoliFederico II
Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Tesi di Laurea in Fisica
Anno Accademico 2003-2004
Gravitazione quantistica euclideaed alcune sue applicazioni
Relatori :
Dott. Paolo Scudellaro
Dott. Gampiero Esposito
Candidato :
Guglielmo Fucci
Matricola 60/837
Indice
Introduzione ii
1 Approccio di Dirac alla quantizzazione e formalismo ADM per la Relativita
generale 1
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Sistemi vincolati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.3 Equazioni del moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.4 Vincoli di prima e seconda classe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.5 La procedura di quantizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.6 Formalismo ADM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.7 Curvatura estrinseca e tensore di Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.8 La lagrangiana di Einstein-Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
1.9 Formalismo di Dirac per la relativita generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
1.10 Quantizzazione alla Dirac della relativita generale . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
1.11 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
2 Approccio tramite l’integrale funzionale 46
2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
2.2 L’integrale funzionale per la relativita generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
2.2.1 Condizioni al contorno in cosmologia quantistica . . . . . . . . . . . . . . 52
2.2.2 Proprieta dell’integrale funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
2.3 Termini di bordo per l’azione gravitazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
2.4 Un modello di minisuperspazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
2.5 L’entropia di un buco nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
2.6 L’integrale funzionale per le teorie di gauge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
2.7 Formalismo manifestamente covariante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
2.8 Equazione dei piccoli disturbi e l’operatore di ghost classico . . . . . . . . . . . . 87
i
2.9 Teoria quantistica dei campi manifestamente covariante . . . . . . . . . . . . . . 89
2.10 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
3 Quantizzazione manifestamente covariante della relativita generale 97
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
3.2 Le trasformazioni infinitesime di invarianza per il campo gravitazionale . . . . . 99
3.3 Operatore dei campi di Jacobi e operatore di ghost . . . . . . . . . . . . . . . . 104
3.4 Approssimazione ad 1-loop dell’integrale funzionale e funzione ζ . . . . . . . . . 112
3.4.1 La funzione ζ di Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
3.5 Le condizioni al contorno in gravitazione quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . 121
3.6 Autoaggiuntezza e positivita dell’operatore dinamico sulle perturbazioni metriche 127
3.7 Perdita dell’ellitticita forte dell’operatore dinamico . . . . . . . . . . . . . . . . 132
3.8 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
4 Gravitazione quantistica euclidea ad un loop sulla 4-palla 139
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
4.2 Equazioni per le funzioni di base e loro soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
4.3 I coefficienti dello sviluppo in armoniche ipersferiche . . . . . . . . . . . . . . . . 146
4.4 Le condizioni al contorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151
4.5 La funzione ζ di Riemann ed il nucleo del calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157
4.6 I contributi aggiuntivi alla funzione ζ di Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
4.7 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
Conclusioni 170
A Appendice al primo capitolo 173
A.1 Invarianza classica e vincoli classici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173
A.2 Parentesi di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
A.3 Struttura causale dello spazio-tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177
B Appendice al secondo capitolo 181
B.1 Il path-integral in meccanica quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
B.2 Principio di azione di Schwinger-Weiss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186
B.3 Il momento coniugato ad hij . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189
B.4 Gravita di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192
ii
C Appendice al terzo capitolo 194
C.1 Gli autovalori della matrice T per la gravitazione quantistica euclidea . . . . . . 194
D Appendice al quarto capitolo 197
D.1 L’equazione agli autovalori per le perturbazioni metriche . . . . . . . . . . . . . 197
D.2 Il determinante per i modi scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201
Bibliografia 202
iii
Introduzione
La teoria della relativita generale, sviluppata da A. Einstein agli inizi del novecento, ha fornito
un nuovo e rivoluzionario punto di vista circa la struttura dello spazio-tempo e la gravitazione.
Fino ad allora lo spazio-tempo era considerato una entita “assoluta”, ovvero indipendente dal-
la materia in esso contenuta. Newton stesso scriveva nei suoi PHILOSOPHIAE NATURALIS
PRINCIPIA MATHEMATICA che: “lo spazio assoluto, per sua propria natura e senza riferi-
mento ad alcunche di esterno, rimane sempre costante ed immobile”, ed a proposito del tempo,
invece, “il tempo assoluto, vero e matematico, in se e per sua natura senza relazione ad alcunche
di esterno, fluisce egualmente”. Queste nozioni di spazio e di tempo assoluti furono le basi delle
ben note tre leggi della meccanica classica. Einstein, invece, grazie allo studio delle critiche di
Mach alla meccanica newtoniana, fondo la sua nuova teoria su due idee fondamentali:
1) Concepire lo spazio ed il tempo non piu come due entita distinte, ma come un continuum
tetradimensionale chiamato spazio-tempo.
2) Principio di inerzia: le traiettorie spazio-temporali dei corpi in caduta libera vengono descritte
dalle geodetiche nello spazio-tempo.
Quindi, sulla base di queste idee, Einstein ha sviluppato la teoria che per alcuni, da un punto
di vista matematico, e la piu elegante di tutti i tempi. Grazie alla nuova teoria della gravi-
tazione, si riuscı ad ottenere una chiara comprensione teorica di osservazioni sperimentali quali,
ad esempio, la precessione del perielio di Mercurio oppure la deflessione dei raggi luminosi in
prossimita di un corpo celeste, i quali risultavano del tutto inspiegati, o predetti in parte, nella
teoria della gravitazione newtoniana. Tuttavia la relativita generale e una teoria classica. In
effetti e noto che tutte le interazioni della natura, sino ad adesso conosciute, sono descritte, a
livello fondamentale, dai principi della meccanica quantistica. Come e ben noto, in meccanica
quantistica gli stati fisici sono descritti da vettori in uno spazio di Hilbert, e gli osservabili ven-
gono rappresentati da operatori autoaggiunti definiti sullo stesso spazio, che agiscono sui vettori
di stato. La teoria, dunque, e in grado di prevedere solamente la probabilita che una data osserv-
abile abbia un preciso valore in seguito ad una misurazione effettuata sul sistema in esame. La
relativita generale, invece, e una teoria classica, nel senso che le osservabili della teoria, come ad
iv
esempio lo scalare di curvatura intrinseca, hanno sempre un valore definito in ogni punto dello
spazio-tempo. Adesso, siccome si pensa che la teoria fondamentale per descrivere la natura sia
la meccanica quantistica, mentre la meccanica classica e solamente una approssimazione valida a
basse energie, lo stesso si puo immaginare che valga per la relativita generale. Ovvero si e indotti
a pensare (vedasi piu in basso) che la teoria della relativita generale sia solamente una approssi-
mazione di una teoria piu fondamentale della gravita, come l’elettromagnetismo di Maxwell e
una approssimazione dell’elettrodinamica quantistica. A questo punto, dunque, sembra naturale
tentare di studiare il campo gravitazionale da un punto di vista quantistico. Le ragioni princi-
pali che spingono in questa ricerca sono essenzialmente due. La prima ragione risiede nel fatto
che si crede che una vera e fondamentale teoria della natura preveda l’unificazione di tutte le
interazioni fondamentali, in altre parole si dovrebbe essere in grado di descrivere tutte le frze
nell’ambito di una stessa teoria. Questo obiettivo e stato, in parte, raggiunto. Classicamente le
equazioni di Maxwell unificano il campo elettrico e quello magnetico in un’unica entita chiamata
campo elettromagnetico. Piu recentemente il modello di Weinberg-Salam ha descritto l’unifi-
cazione del campo elettromagnetico e della forza debole in un’unica interazione: l’interazione
elettrodebole. Con la teoria di Grande Unificazione, invece, si descrivono l’interazione forte e
quella debole come un’unica entita. Il passo successivo sarebbe, logicamente, quello di inserire in
questo schema generale anche il campo gravitazionale. Per perseguire questo obiettivo e sperare,
quindi, nella costruzione di una teoria unificata, si rende necessario lo sviluppo di una teoria
quantistica della gravitazione. La seconda ragione, invece, e legata alla teoria della relativita gen-
erale stessa. Infatti, quando si considerano soluzioni delle equazioni di Einstein che presentano
un alto grado di simmetria, inevitabilmente la metrica spazio-temporale presenta singolarita.
Gli esempi piu noti sono la metrica di Schwarzschild per la descrizione del campo gravitazionale
generato da una massa perfettamente sferica, che presenta una singolarita per r = 0, e la metrica
di Friedmann–Lemaitre–Robertson–Walker che descrive la struttura di un Universo omogeneo
ed isotropo il quale possiede una singolarita nell’origine dei tempi. In principio si penso che l’ap-
parizione delle singolarita nella teoria fosse conseguenza dell’alto grado di simmetria imposto ai
sistemi in esame per risolvere le equazioni di Einstein. Quest’ultimo, quindi, si presentava sola-
mente come un mero problema matematico, in quanto i sistemi fisici reali, non possedendo queste
simmetrie, si allontanavano dallo schema formale utilizzato per descriverli. Il problema, pero,
e stato riportato all’attenzione di tutti nel momento in cui Hawking e Penrose dimostrarono i
“teoremi sulle singolarita”. I teoremi dimostrano, sotto ipotesi generali, che le equazioni di Ein-
stein conducono a delle soluzioni che presentano inevitabilmente delle singolarita. E opportuno,
pero, prima di passare alla descrizione dei teoremi, fornire una definizione chiara di singolarita
spazio-temporale. Uno spazio-tempo e una coppia ordinata (M, g), dove M e una varieta e g
v
e un campo tensoriale metrico definito su M . Se g e definito positivo, si puo considerare una
distanta ρ(x, y), tra due punti su M . Questa funzione induce una topologia su M , nel senso che
un aperto A di M e definito come
A(x, r) ≡ y ∈ M : ρ(x, y) < r.
Quindi la coppia (M, g) e detta metricamente completa (o piu brevemente m-completa) se ogni
successione di Cauchy converge ad un punto di M rispetto alla topologia indotta dalla metrica.
Ne segue che la m-completezza implica la completezza geodetica, ovvero ogni geodetica puo es-
sere estesa ad arbitrari valori del suo parametro affine. Nel caso in cui su M sia definito un campo
tensoriale metrico a segnatura lorentziana, non e possibile indurre sulla varieta una topologia
nella maniera illustrata in precedenza. E importante, quindi, in questo caso, prendere in consid-
erazione solamente la completezza geodetica. Tuttavia, nella metrica lorentziana possono esistere
geodetiche di tipo tempo, luce e spazio ottenendo, cosı, tre tipologie differenti di completezza
geodetica. Si puo, in definitiva, affermare che la condizione minima affinche uno spazio-tempo
sia considerato privo di singolarita e che quest’ultimo possegga la completezza geodetica di tipo
tempo oppure luce. D’altra parte, se uno spazio-tempo non ha questa caratteristica, ossia e
geodeticamente incompleto, si puo affermare che presenta certamente delle singolarita.
Le precedenti definizioni hanno una interpretazione fisica immediata ed interessante, infatti
le geodetiche di tipo tempo descrivono il moto di osservatori non soggetti ad alcuna forza, ossia
in caduta libera, ed il parametro affine, come e noto, e legato al tempo proprio di un osservatore
che percorre questa geodetica. Le geodetiche di tipo luce, invece, descrivono il moto di corpi
privi di massa. Ora, se uno spazio-tempo e geodeticamente incompleto le linee di universo di
osservatori in caduta libera oppure di corpi privi di massa, non potranno essere estese a valori
arbitrari dei loro parametri affini. Cio implica che esisteranno punti di M , ossia le singolarita
in cui le geodetiche “terminano”. In altre parole sia l’osservatore che i corpi privi di massa
“vedrebbero la fine del tempo e dello spazio”.
I teoremi sulle singolarita, dei quali verranno esposte solamente le idee fondamentali, sono es-
senzialmente tre, e dimostrano l’esistenza di singolarita, nel senso esposto in precedenza, sotto
condizioni rilevanti nell’ambito della cosmologia e del collasso gravitazionale. Un quarto teo-
rema, invece, stabilisce l’esistenza di singolarita sotto ipotesi molto piu deboli. I teoremi che
riguardano l’ambito cosmologico possono essere interpretati in questi termini: se l’Universo e
globalmente iperbolico, ed in un istante qualunque comincia ad espandersi con una velocita non
nulla, allora esso deve aver avuto necessariamente inizio in uno stato singolare raggiungibile in un
intervallo di tempo finito. Nella dimostrazione di questo teorema l’ipotesi di iperbolicita globale
gioca un ruolo fondamentale. I due teoremi che seguono, invece, riguardano il collasso gravi-
vi
tazionale e fanno esplicito riferimento al concetto di trapped surface. Una sottovarieta S di tipo
spazio di M compatta e detta una trapped surface se le geodetiche di tipo luce ortogonali ad S
sono convergenti in S. Fisicamente S e interpretabile come una superficie immersa in un campo
gravitazionale talmente intenso da impedire anche ai raggi luminosi di propagarsi all’esterno di
essa. Uno dei teoremi sulle singolarita mostra proprio che sotto opportune ipotesi compare una
singolarita dopo che si sia formata una trapped surface. In definitiva, in base a questi teoremi,
l’esistenza di una singolarita e una conseguenza inevitabile della teoria della relativita generale.
Questi, dunque, sono i motivi principali, oltre ovviamente all’instancabile sete di conoscenza
dell’uomo, che hanno spinto allo studio di una teoria quantistica della gravitazione.
Lo scopo di questo lavoro, quindi, e quello di studiare due dei formalismi piu importanti
utilizzati in letteratura per tentare di costruire una teoria quantistica della gravitazione. Ossia
viene descritto il formalismo utilizzato da Dirac per i sistemi hamiltoniani vincolati, e l’ap-
proccio alla quantizzazione manifestamente covariante, descritto da DeWitt, che fa esplicito uso
dell’integrale funzionale di Feynman. Nell’ambito di quest’ultimo formalismo viene analizzata
l’approssimazione ad un-loop delle ampiezze di transizione da una 3-metrica ad un’altra con
una opportuna scelta della gauge. Tuttavia un importante risultato formale fa sı che questa
procedura, utilizzata ampiamente per le altre teorie di campo, non sia del tutto ben definita
per il campo gravitazionale, ovvero nelle ampiezze di transizione calcolate utilizzando questa
tecnica dovrebbero comparire delle divergenze. Nell’ultima parte del lavoro, quindi, si studia
questo problema su di una particolare varieta piatta che possiede come bordo una 3-sfera. I cal-
coli espliciti svolti, pero, dimostrano che esistono solamente contributi regolari, e quindi finiti,
all’ampiezza di transizione ad un-loop. Il problema, quindi, e quello di capire come mettere in
relazione i dettagliati calcoli svolti nell’ultimo capitolo con il risultato generale.
vii
Capitolo 1
Approccio di Dirac alla quantizzazione
e formalismo ADM per la Relativita
generale
1.1 Introduzione
Questa parte del lavoro si propone di descrivere l’approccio di Dirac alla quantizzazione dei sis-
temi hamiltoniani vincolati. La procedura che si andra delineando prende in considerazione, in
prima istanza e per semplicita, lo studio di un sistema dinamico classico ad un numero finito di
gradi di liberta, tramite il quale, in seguito, si e in grado di studiare ed analizzare il comporta-
mento di campi, ossia di sistemi classici ad infiniti gradi di liberta, del tutto generali. L’approccio
e finalizzato alla costruzione della teoria classica, per questi sistemi, in forma hamiltoniana, in
modo da poter utilizzare il principio di corrispondenza per ottenere una prima approssimazione
della teoria quantistica.
Il punto di partenza e l’ipotesi che esista un funzionale d’azione che sia stazionario lungo le
soluzioni delle equazioni del moto. Considerare come punto di partenza un principio d’azione ha
un enorme vantaggio: si e in grado, molto semplicemente, di rendere la teoria invariante rispetto
ai principi della relativita. Infatti quest’ultima formulazione non dipende dal particolare sistema
di riferimento utilizzato per scrivere la lagrangiana. Si consideri, dunque, il funzionale d’azione
I =
∫L dt, (1.1)
tramite quest’ultimo si ottiene la lagrangiana del sistema in esame a meno di una divergenza
totale. Una volta ottenuta la lagrangiana si prosegue, quindi, alla costruzione della corrispettiva
1
hamiltoniana, tramite la quale e possibile procedere verso la teoria quantistica. Il motivo fonda-
mentale per il quale non si comincia la descrizione del sistema direttamente con l’hamiltoniana
sta nel fatto che non e molto agevole rendere la teoria covariante quando si utilizza quest’ultima
descrizione. Tuttavia si potrebbe pensare di costruire la teoria quantistica a partire dalla la-
grangiana senza passare attraverso lo studio dell’hamiltoniana. Si puo procedere, pero, in questa
maniera solamente in alcuni semplici casi: cioe quando la lagrangiana e una funzione quadratica
nelle velocita. In questo caso esistono dei metodi che permettono di passare direttamente alla
teoria quantistica partendo da una formulazione lagrangiana della teoria stessa. Siccome non ci
si vuole precludere lo studio di sistemi che siano rappresentati da lagrangiane la cui dipendenza
dalle velocita sia del tutto generale, e necessario utilizzare la procedura delineata in precedenza.
Allo scopo di descrivere il formalismo di Dirac dei sistemi vincolati nella maniera piu semplice
possibile, si studieranno sistemi dinamici che possiedono solamente un numero finito di gradi
di liberta. La generalizzazione ad infiniti gradi di liberta si ottiene nella maniera usuale, sos-
tituendo all’indice discreto n una variabile continua, x, ed alle “somme degli integrali”. Come si
vedra in seguito, e come si e gia notato nell’espressione (1.1), la variabile temporale t gioca un
ruolo importante nello sviluppo della teoria. Dal punto di vista relativistico si sta selezionando
un particolare osservatore e si sta costruendo l’intero formalismo riferito ad esso. Questo, pero,
puo sembrare un approccio non coerente ai princıpi della relativita, dove nessun osservatore e
privilegiato nella descrizione del sistema. Tuttavia, quest’ultima e una peculiarita del presente
formalismo che non puo essere evitata se si vogliono studiare lagrangiane che posseggano una
dipendenza arbitraria dalle velocita. Si puo essere certi, pero, che il contenuto della teoria, che si
andra sviluppando, e relativistico anche se le equazioni non lo manifestano a causa della presenza
costante ed esplicita della variabile temporale t.
1.2 Sistemi vincolati
Dopo queste considerazioni introduttive si puo discutere in maggiore dettaglio il metodo di Dirac.
Sia L la lagrangiana del sistema in esame
L : (qi, vi) ∈ TM −→ R, (1.2)
ove si e indicato con TM il fibrato tangente alla varieta delle configurazioni M . Si noti che, nel
seguito, si utilizzera il formalismo al second’ordine per la lagrangiana nel quale si pone vi ≡ dqi
dt,
in luogo del formalismo al prim’ordine nel quale le variabili qi e vi sono supposte indipendenti.
Le ragioni dei nomi al ”prim’ordine” e al ”second’ordine” sono le seguenti: nel primo caso si
ottengono equazioni di Lagrange nelle quali compaiono derivate prime temporali, nel secondo
2
caso, invece, compaiono esplicitamente le derivate seconde rispetto al tempo. Si consideri l’ap-
plicazione
ρL : (qi, vi) ∈ TM −→(
qi, pi =∂L (qi, vi)
∂vi
)∈ T ∗M, (1.3)
ove T ∗M e il fibrato cotangente ad M . L’applicazione ρL e la trasformata di Legendre che mappa
il sistema di n equazioni differenziali del secondo ordine di Lagrange in un particolare sistema
di 2n equazioni differenziali del primo ordine esplicitate rispetto alla derivata temporale delle
variabili canoniche (qi, pi). Come si puo notare dalla forma di ρL questa dipende in maniera
essenziale dalla lagrangiana stessa. Ora, nella usuale teoria dinamica si assume che i momenti
siano funzioni indipendenti delle velocita, ma questa assunzione e troppo restrittiva per le appli-
cazioni che ci si appresta a studiare (Appendice: A.1). A tal proposito e importante la seguente
definizione:
Definizione 1.2.1 La lagrangiana L e detta singolare se ρL non e suriettiva.
Condizione necessaria e sufficiente affinche si verifichi l’eventualita descritta sopra e che
det
(∂2L
∂qi∂qj
)= 0, (1.4)
ovvero il determinante della matrice hessiana della lagrangiana deve essere nullo. In questo caso
non si possono esprimere univocamente le velocita in termini delle coordinate e dei momenti
coniugati. Infatti, sia m = dim M e si supponga che il rango della matrice (1.4) sia m − r con
0 < r < m. Per il teorema delle funzioni inverse si possono risolvere, almeno localmente, m− r
velocita in funzione di m− r momenti e delle rimanenti velocita, quindi
pA =∂L
∂vi(q, v) ⇒ vA = uA(qa, pA, vi), (1.5)
ove a, b, . . . = 1, . . . , m , A, B, . . . = 1, . . . , m− r e i, j, . . . = 1, . . . , r. Ne segue che, inserendo la
(1.5) nelle rimanenti equazioni pi = ∂L∂vi , queste ultime non possono dipendere dalle vi altrimenti
il rango sarebbe maggiore di m− r. Si ottengono, quindi, r equazioni della forma
pi =∂L
∂vi(q, v) = πi(q
a, pa), (1.6)
che mostra che le pa non son tutte indipendenti tra loro. Si definiscono, quindi, le funzioni
ϕ(1)i : T ∗M −→ R tali che ϕ
(1)i (qa, pa) = pi − πi(q
a, pa), (1.7)
3
la cui interpretazione geometrica e la seguente: le funzioni (1.7) hanno supporto su tutto lo
spazio delle fasi T ∗M e si annullano quando l’equazione (1.6) e soddisfatta. In quest’ultimo caso
esse definiscono l’equazione implicita di una superficie Ξ di T ∗M . Sotto opportune ipotesi di
regolarita delle funzioni (1.7) la superficie summensionata e sottovarieta regolare di T ∗M . Le
funzioni (1.7) vengono chiamate vincoli primari e la varieta Ξ, da essi definita, si chiama varieta
vincolare. E chiaro, a questo punto, che i vincoli primari si annullano sulla varieta vincolare Ξ
mentre, in generale, sono non nulli in T ∗M − Ξ. E necessario, quindi, introdurre una notazione
che tenga presente questa proprieta dei vincoli primari. Si consideri la notazione
ϕ(1)i (q, p) ≈ 0, (1.8)
ove il simbolo ”≈ 0” si legge debolmente nullo, e l’apice che presenta il numero uno tra parentesi
tonda indica che si tratta di vincoli primari. Questa notazione rende esplicito il fatto che tutte le
relazioni che presentano ≈ 0 sono nulle sulla varieta vincolare e possono essere non nulle sul resto
dello spazio delle fasi. Inoltre, proprio per i motivi discussi in precedenza, quando si calcolano le
parentesi di Poisson con altre variabili canoniche definite nello spazio delle fasi, ϕ(1)m puo essere
posto a zero solamente dopo che le parentesi siano state calcolate.
In definitiva si e visto che: partendo dalla lagrangiana (1.2), tramite la trasformata di Leg-
endre (1.3), si ottiene una funzione definita sul fibrato cotangente ad M che non e altro che
l’hamiltoniana
H : (qi, pi) ∈ T ∗M −→ R. (1.9)
Ora, se la lagrangiana e singolare, l’hamiltoniana non puo essere definita univocamente, il prob-
lema, quindi, e quello di estendere fuori dalla varieta vincolare Ξ la trasformata di Legendre
della lagrangiana. Si denoti con HC la trasformata di Legendre della lagrangiana sulla varieta
vincolare Ξ, detta anche hamiltoniana canonica, da cui il pedice C. Per estendere l’hamiltoniana
a tutto lo spazio delle fasi si puo aggiungere ad HC una combinazione lineare di vincoli. Si puo
definire allora, seguendo Dirac [1],
H = HC + um(q, p)ϕ(1)m (q, p), (1.10)
dove le funzioni um(q, p) definite sullo spazio delle fasi sono, per il momento, arbitrarie. Si noti
che H si riduce ad HC se (p, q) ∈ Ξ ⊆ T ∗M ossia
H|Ξ ≡ HC con Ξ ⊆ T ∗M. (1.11)
Si puo immediatamente notare, dall’equazione (1.10), che l’hamiltoniana estesa a tutto lo spazio
delle fasi non e univocamente determinata a causa della presenza delle funzioni arbitrarie um(q, p).
4
1.3 Equazioni del moto
Tramite l’hamiltoniana H si ottengono nuove equazioni del moto. E noto che a partire dal-
l’hamiltonana le equazioni del moto si scrivono
qi = qi, Hpi = pi, H.
Calcolando queste parentesi di Poisson si ottiene (Appendice: A.2)
qi = qi, H =∂qi
∂qj
∂H
∂pj
− ∂qi
∂pj
∂H
∂qj=
∂
∂pi
[HC + um(q, p)ϕ(1)
m (q, p)]
=
=∂HC
∂pi
+∂um(q, p)
∂pi
ϕ(1)m (q, p) + um(q, p)
∂ϕ(1)m (q, p)
∂pi
. (1.12)
Una volta effettuato il calcolo si possono porre fortemente, ovvero su tutto T ∗M , a zero i vincoli
per ottenere cosı
qi = qi, H ≈ ∂HC
∂pi
+ um(q, p)∂ϕ
(1)m (q, p)
∂pi
. (1.13)
In completa analogia, l’equazione del moto per il momento canonicamente coniugato e
pi = pi, H =∂pi
∂qj
∂H
∂pj
− ∂pi
∂pj
∂H
∂qj= − ∂
∂qi
[HC + um(q, p)ϕ(1)
m (q, p)]
=
= −∂HC
∂qi− ∂um(q, p)
∂qiϕ(1)
m (q, p)− um(q, p)∂ϕ
(1)m (q, p)
∂qi. (1.14)
Come in precedenza, si possono annullare le funzioni rappresentanti i vincoli ed ottenere
pi = pi, H ≈ −∂HC
∂qi− um(q, p)
∂ϕ(1)m (q, p)
∂qi. (1.15)
Sono state ottenute, dunque, le equazioni hamiltoniane del moto che descrivono come le funzioni
p e q variano nel tempo. Tuttavia si scopre che queste ultime dipendono in maniera essenziale
dalle funzioni incognite um(q, p). Si noti ora una particolarita interessante che emerge dallo
studio dei sistemi vincolati. E noto che assegnate posizione e velocita al tempo t = t0 sullo
spazio delle fasi T ∗M , sotto opportune ipotesi di regolarita, le equazioni di Hamilton forniscono
un’unica soluzione per il moto del sistema a tempi t > t0. In questo caso, invece, partendo
dalle stesse condizioni iniziali il sistema puo evolvere verso differenti stati finali a seconda della
scelta che si effettua per le funzioni um(q, p). Se si vuole che la fisica rimanga deterministica e
necessario assumere che questi gradi di liberta siano non fisici. Seguendo Dirac [1] due stati, che
evolvono da un singolo stato in questa maniera, devono essere definiti fisicamente equivalenti, ed
5
una trasformazione che trasformi questi stati uno nell’altro e chiamata trasformazione di gauge.
Per sviluppare una teoria che sia consistente e necessario imporre che i vincoli primari
ϕ(1)m (q, p) siano preservati durante l’evoluzione temporale. Per fare cio si calcola la derivata
temporale dei vincoli e la si pone uguale a zero
ϕ(1)m (q, p) = ϕ(1)
m (q, p), H = ϕ(1)m (q, p), HC + ul(q, p)ϕ
(1)l (q, p) ≈
≈ ϕ(1)m (q, p), HC+ ϕ(1)
m (q, p), ul(q, p)ϕ(1)l (q, p). (1.16)
Esplicitando le parentesi e annullando, successivamente, i vincoli, si giunge alla seguente espres-
sione:
ϕ(1)m (q, p) = ϕ(1)
m (q, p), H ≈ ϕ(1)m (q, p), HC+ ul(q, p)ϕ(1)
m (q, p), ϕ(1)l (q, p) ≈ 0. (1.17)
Si e condotti, cosı, ad m condizioni di consistenza e bisogna ora esaminare queste relazioni e
vedere dove conducano. La prima possibilita e che queste relazioni conducano direttamente ad
una inconsistenza, se cio accade significa che la lagrangiana, dalla quale si e partiti, fornisce
delle equazioni del moto inconsistenti. Un esempio banale e la lagrangiana L = q. Si evince
da questo piccolo esempio che la lagrangiana non puo essere del tutto arbitraria, in effetti sono
necessarie restrizioni sulla sua forma funzionale in modo che non conduca ad equazioni del moto
inconsistenti. Supponendo che la lagrangiana non presenti queste patologie si possono verificare
tre possibilita:
• L’equazione (1.17) si riduce ad una identita (0 = 0) grazie ai vincoli primari ϕ(1)m
• L’equazione (1.17) puo essere risolta per uj(q, p)
• L’equazione (1.17) conduce a vincoli secondari ϕ(2)j (q, p) indipendenti da ul(q, p).
La prima possibilita avverte che non ci sono piu vincoli, oltre a quelli primari, da imporre alla
teoria. La seconda possibilita, invece, permette di risolvere il sistema per le funzioni incognite
um(q, p). La terza possibilita, infine, implica una nuova relazione fra le variabili q e p. Queste
ultime relazioni vengono chiamate vincoli secondari e devono essere aggiunte ai preesistenti
vincoli primari. La differenza tra vincoli primari e secondari e sostanzialmente la seguente:
i vincoli primari sono legati esclusivamente alla forma funzionale della lagrangiana, dunque
discendono direttamente dalla lagrangiana stessa, mentre i vincoli secondari sono legati alla
condizione che i vincoli primari siano preservati durante l’evoluzione temporale. Il sistema (1.17)
e un sistema di m equazioni nelle incognite um(q, p). Come e stato sottolineato in precedenza,
alcune di queste equazioni possono ridursi a delle identita. Le restanti equazioni possono ricadere
6
nelle altre due possibilita elencate in precedenza. Si supponga che alcune equazioni conducano
solamente a nuove relazioni tra le variabili canoniche (q, p) indipendenti dalle funzioni um(q, p).
Queste nuove relazioni non sono altro che i vincoli secondari. Una volta ottenuti questi vincoli,
bisogna imporre ad essi la stessa condizione di consistenza che e stata imposta ai vincoli primari.
Procedendo in questa maniera si otterranno equazioni del tipo
ϕ(2)j (q, p), HC+ um(q, p)ϕ(2)
j (q, p), ϕ(1)m (q, p) ≈ 0. (1.18)
Nuovamente, a questo sistema di equazioni si applica la casistica precedente. Se queste equazioni
non conducono a nuovi vincoli, la procedura puo arrestarsi, altrimenti si imposta la condizione
di consistenza sugli ulteriori vincoli trovati e cosı via. Dopo aver trovato tutti i vincoli della
teoria, che nel seguito verranno chiamati secondari, le equazioni che rimangono permettono di
determinare le funzioni um(q, p), e saranno della forma
ϕ(2)l (q, p), HC+ um(q, p)ϕ(2)
l (q, p), ϕ(1)m (q, p) ≈ 0. (1.19)
Analizziamo queste equazioni dal seguente punto di vista. Si nota che le equazioni (1.19) sono
relazioni lineari non omogenee nelle incognite um(q, p), con coefficienti che sono funzioni delle q
e delle p. La soluzione del sistema deve esistere, altrimenti le equazioni del moto di Lagrange
sarebbero inconsistenti. Tuttavia la soluzione non e unica, infatti se si e trovata una soluzione
si puo sempre aggiungere ad essa una qualunque altra soluzione del sistema omogeneo associato
ovvero
Vmϕj(q, p), ϕm(q, p) = 0, (1.20)
quindi la soluzione piu generale sara la somma della soluzione del sistema (1.19) e di una soluzione
del sistema (1.20) moltiplicata per un coefficiente arbitrario. Piu esplicitamente
um(q, p) = Um(q, p) + vaVam(q, p), (1.21)
ove Um(q, p) e la soluzione del sistema inomogeneo e Va e una soluzione del sistema omogeneo.
Ora e auspicabile analizzare piu in dettaglio le equazioni (1.20). Si consideri, a tal proposito, la
matrice antisimmetrica
∆jm = ϕj(q, p), ϕm(q, p). (1.22)
E noto che se det[∆jm] 6= 0 l’unica soluzione del sistema e quella identicamente nulla. Mentre
se det[∆jm] = 0 allora la soluzione non e univocamente determinata. Quindi in base alla (1.21)
si puo affermare che se det[∆jm] 6= 0, cioe se la matrice ∆jm e invertibile, l’unica soluzione
per um(q, p) e quella fornita dal sistema (1.19). Mentre se det[∆jm] = 0 si presenta il termine
7
arbitrario vaVam(q, p). Chiaramente le funzioni um(q, p) trovate devono essere sostituite all’in-
terno dell’hamiltoniana, che, a sua volta, fornira equazioni dinamiche che presentano funzioni
arbitrarie. Esplicitamente si definisce l’hamiltoniana totale
HT = HC + Umϕm + vaVamϕm, (1.23)
che si puo scrivere come
HT = H ′ + vaϕa, (1.24)
ove
H ′ = HC + Umϕm e ϕa = Vamϕm. (1.25)
Questa osservazione e importante per ribadire un concetto gia espresso in precedenza. Sono
comparse funzioni arbitrarie del tempo nella soluzione generale delle equazioni del moto con
date condizioni iniziali. Il concetto importante che emerge da questo ragionamento e il seguente:
le condizioni di consistenza imposte in precedenza non sono state in grado di eliminare com-
pletamente l’arbitrarieta delle funzioni um(q, p). E, quindi, presente ancora un certo grado di
arbitrarieta, che rende il metodo sviluppato particolarmente adatto, ad esempio, allo studio della
relativita generale.
In definitiva l’insieme dei vincoli sara costituito dagli (L + M) vincoli
SC ≡ ϕ(1)i , i = (1, · · · , L); ϕ
(2)j , j = (1, · · · ,M), (1.26)
1.4 Vincoli di prima e seconda classe
Fino a questo punto i vincoli sono stati classificati come primari e secondari. Tuttavia esiste una
classificazione piu profonda che divide i vincoli in quelli di prima classe e di seconda classe. Per
poter studiare questa classificazione si considerino le seguenti definizioni: Sia F : T ∗M −→ Runa funzione definita su T ∗M a valori nel campo reale:
Definizione 1.4.1 La funzione F e detta di prima classe se:
F (q, p), ϕ(q, p) ≈ 0 , ∀ϕ ∈ SC .
Si noti che se F (q, p) e di prima classe allora F (q, p), ϕ(q, p) deve essere uguale ad una funzione
lineare delle ϕj come, d’altronde, ogni oggetto nella teoria che risulti debolmente nullo. Infatti
le ϕj sono, per definizione, le uniche quantita indipendenti che sono debolmente nulle. Quindi
la parentesi di Poisson della definizione precedente puo essere espresso come
F (q, p), ϕj(q, p) = ajm(q, p)ϕm(q, p).
L’altra definizione e la seguente:
8
Definizione 1.4.2 La funzione F e detta di seconda classe se:
∃ϕ ∈ SC : F (q, p), ϕ 6= 0.
Ora e interessante applicare, come caso particolare, queste definizioni ai vincoli. Un vincolo
ϕm(q, p) e di prima classe se ϕm(q, p), ϕl(q, p) = 0 per ogni ϕl(q, p), oppure, piu in generale, si
puo esprimere come combinazione lineare di vincoli di prima classe, ovvero ϕm(q, p), ϕl(q, p) =
ckml(q, p)ϕk(q, p). Mentre e di seconda classe se esiste almeno un ϕl(q, p) per il quale la parentesi
di poisson sia diversa da zero. E stato detto in precedenza ,(1.22), che le parentesi di Poisson
dei vincoli formano una matrice antisimmetrica ∆lm. Quindi, in base alle definizioni date, di
vincoli di prima e seconda classe, si puo affermare che:
• Le parentesi di Poisson dei vincoli di prima classe formano una matrice ∆lm che e singolare
• Le parentesi di Poisson dei vincoli di seconda classe formano una matrice ∆lm che non e
singolare [1].
Questa differente caratterizzazione dei vincoli di prima e di seconda classe sara utile nel seguito
quando si andranno a definire le parentesi di Dirac.
Bisogna notare, pero, che un certo numero di vincoli di seconda classe puo essere trasformato
in vincoli di prima classe tramite combinazioni lineari. Si chiameranno irriducibili i vincoli
di seconda classe per i quali questa riduzione non e possibile. Si denoteranno, quindi, con
ϕ(I)(q, p) i vincoli di prima classe e con ϕ(II)(q, p) i vincoli di seconda classe. Grazie a questa
notazione ϕ(1,I)(q, p) e ϕ(1,II)(q, p) indicheranno rispettivamente vincoli primari di prima classe
e vincoli primari di seconda classe, mentre ϕ(2,I)(q, p) e ϕ(2,II)(q, p) indicheranno rispettivamente
vincoli secondari di prima classe e vincoli secondari di seconda classe. Si noti che H ′ e ϕa dati
dall’equazione (1.25) sono di prima classe, infatti calcolando la parentesi di Poisson di ϕa con ϕj
si ottiene, tramite la (1.25), il risultato Vamϕm, ϕj sommato ad un termine che e identicamente
nullo. Ora ,siccome le Vam devono soddisfare le (1.20), le ϕa sono di prima classe. Similmente
l’equazione (1.19) mostra che anche H ′ e di prima classe. Quindi l’hamiltoniana HT e scritta in
termini di oggetti di prima classe. Esplicitamente
HT (q, p) = H ′(q, p) + vaϕ(1,I)a (q, p). (1.27)
E importante, a questo punto, analizzare il significato dei vincoli di prima classe. Come e gia
stato detto in precedenza le condizioni iniziali devono determinare univocamente la dinamica del
sistema ad istanti futuri. Ma le variabili q e p a tempi futuri non sono determinate univocamente
dai dati iniziali a causa della presenza delle funzioni arbitrarie va. Esistono, quindi, piu punti
9
(q, p) nello spazio delle fasi che rappresentano lo stesso stato del sistema preso in esame. Si e,
dunque, di fronte al problema di dover determinare l’insieme delle q e delle p che corrispondono
ad un particolare stato fisico. Tutti quei valori delle q e delle p ad un certo istante che evolvono
un determinato stato iniziale devono corrispondere allo stesso stato fisico in quell’istante. Si
consideri, ora, che le variabili q e p abbiano un fissato valore per t = t0, e se ne studi l’evoluzione
fino ad un istante t = t0 + δt. Per una variabile dinamica generica g, il cui valore per t = t0 sia
g0, si ottiene
g(δt) = g0 + gδt
= g0 + g,HTδt= g0 + δt [g,H ′+ vag, ϕa] , (1.28)
dove i coefficienti v sono completamente arbitrari. Si consideri, adesso, un differente valore, v′,
per questi coefficienti. Questi nuovi valori forniranno un differente g(δt) che corrisponde, pero,
allo stesso stato fisico in quanto l’evoluzione parte con gli stessi dati iniziali. La differenza tra i
due valori e
∆g(δt) = (va − v′a)g, ϕ(1,I)a δt, (1.29)
che si puo scrivere come
∆g(δt) = εag, ϕ(1,I)a dove εa = (va − v′a)δt.
Si giunge, in questo modo, alla conclusione che le ϕa, che appaiono nella teoria come vincoli
di prima classe, hanno il seguente significato: esse sono funzioni generatrici di trasformazioni
infinitesime di contatto, che conducono a variazioni delle q e delle p che non modificano lo stato
fisico [1]. I vincoli di seconda classe, invece, non possiedono un immediata interpretazione fisica
nella teoria classica, e si puo porli, come si vedra tra breve, fortemente a zero tramite le parentesi
di Dirac. E stato visto, in precedenza, che le parentesi di Poisson dei vincoli di seconda classe
formano una matrice ∆lm antisimmetrica non singolare
∆lm = ϕl, ϕm,
siccome la matrice non e singolare esiste la sua inversa ∆−1lm che soddisfa
∆ml ∆n −1
m = ∆n −1m ∆m
l = δnl . (1.30)
Si proceda ora a costruire, per ogni variabile dinamica A, una nuova variabile A′ che ha parentesi
di Poisson nulla con tutti i vincoli di seconda classe. Si definisce
A′ := A− A,ϕ(II)l ∆−1
lmϕ(II)m . (1.31)
10
Tramite quest’ultima posizione si verifica esplicitamente che
A′, ϕ(II)j = A− A,ϕ
(II)l ∆−1
lmϕ(II)m = A,ϕ
(II)j − A,ϕ
(II)l ∆−1
lmϕ(II)m , ϕ
(II)j =
= A,ϕ(II)j − A,ϕ
(II)l ∆−1
lm∆mj = A, ϕ(II)j − A,ϕ
(II)l δlj = 0, (1.32)
ovvero queste quantita hanno parentesi di Poisson nulla con tutt i vincoli di seconda classe. Ora
si postula semplicemente che le parentesi di Poisson di due quantita A e B vengano sostituite
con le parentesi di Poisson delle quantita A′ e B′
A,B =⇒ A′, B′.
Si noti che anche se A′ ≈ A e B′ ≈ B, la parentesi di Poisson A′, B′ non e debolmente uguale
ad A,B. Se si definiscono le parentesi di Dirac come
A,B∗ := A,B − A,ϕl∆−1lmϕm, B. (1.33)
Quindi se tutte le parentesi di Poisson vengono sostituite con le parentesi di Dirac si possono
porre tutti i vincoli di seconda classe fortemente a zero poiche la parentesi di Dirac di qualunque
oggetto con un vincolo di seconda classe e nulla, come si puo banalmente verificare sostituendo,
nella (1.33), a B un vincolo di seconda classe. Inoltre si puo verificare facilmente che le parentesi
di Dirac soddisfano a tutte le proprieta delle parentesi di Poisson, in particolare soddisfano
all’identita di Jacobi
A, B, C∗∗ + B, C, A∗∗ + C, A, B∗∗ ≈ 0, (1.34)
tuttavia, utilizzando la definizione (1.33), si puo mostrare direttamente che la (1.34) e un
equazione forte.
1.5 La procedura di quantizzazione
La teoria sviluppata nelle sezioni precedenti in ambito classico, e un potente mezzo utile a
sviluppare una teoria hamiltoniana del tutto generale. E interessante, a questo punto, analizzare
la procedura di quantizzazione, delineata da Dirac, per questi sistemi. Fa d’uopo specificare, da
principio, che il formalismo sviluppato fino ad ora, che si applica a sistemi con un numero finito
di gradi di liberta, si puo estendere al caso di un numero infinito di gradi di liberta. A livello
euristico si sostituiscono alle variabili qn e pn, con indici discreti, le variabili qx e px ove il suffisso
x puo assumere tutti i valori con continuita, inoltre bisogna sostituire tutte le somme con degli
integrali. Per discutere la procedura di quantizzazione supponiamo, d’apprima, che la teoria
11
non contenga vincoli di seconda classe ma solamente vincoli di prima classe. Questa distinzione
e necessaria poiche la quantizzazione di un sistema che contiene vincoli di seconda classe e
leggermente differente. Siano qi e pi le variabili dinamiche e i loro momenti coniugati classici, a
queste quantita si sostituiscono operatori su di uno spazio di Hilbert H che soddisfano a regole
di commutazione corrispondenti alle parentesi di Poisson della teoria classica. Si denoteranno
questi operatori con q e p, essi agiscono su funzioni d’onda, vettori di H , nel seguente modo:
(qψ)(q) ≡ qψ(q) (pψ)(q) ≡ −ı~∂ψ
∂q(q), (1.35)
insieme con le regole di commutazione
[ql, qj] = [pl, pj] = 0, [ql, pj] = ı~δlj. (1.36)
In seguito si impone che l’evoluzione del sistema sia retta dall’equazione di Schrodinger
ı~∂ψ
∂t= HT ψ, (1.37)
ove ψ e la funzione d’onda, e HT e la versione operatoriale dell’hamiltoniana di prima classe
(1.27). Per un sistema hamiltoniano privo di vincoli la procedura di quantizzazione potrebbe
arrestarsi a questo punto. In questo caso, invece, i vincoli devono essere imposti come ulteriori
condizioni operatorali sulla funzione d’onda. Esplicitamente
ϕ(1)l ψ = 0. (1.38)
Ora la domanda alla quale e necessario rispondere concerne la compatibilita di tutte le condizioni
(1.38). A tal proposito consideriamo l 6= l′ e le condizioni sulla funzione d’onda
ϕ(I)l ψ = 0 ϕ
(I)l′ ψ = 0, (1.39)
moltiplicando la prima equazione a sinistra per ϕ(I)l′ e la seconda equazione a sinistra per ϕ
(I)l e
sottraendo i termini si ottiene
(ϕ(I)l ϕ
(I)l′ − ϕ
(I)l′ ϕ
(I)l )ψ = 0 da cui [ϕ
(I)l , ϕ
(I)l′ ]ψ = 0. (1.40)
Quindi affinche le condizioni operatoriali (1.38) siano compatibili l’una con l’altra e necessario che
valga l’equazione (1.40). Si noti ora che nella teoria classica l’equazione (1.40) e automaticamente
soddisfatta, in base alla definizione (1.4.1). Nella teoria quantistica, invece, bisogna prestare piu
attenzione, infatti
[ϕ(I)l , ϕ
(I)l′ ] = Cll′m(q, p)ϕ(I)
m (q, p). (1.41)
12
In generale la funzione Cll′m(q, p) non commuta con ϕ(I)m (q, p) e quindi affinche valga la condizione
(1.40) il membro destro dell’equazione (1.41) deve presentarsi nell’ordine in cui e stato scritto.
In questa maniera ϕ(I)m (q, p) agisce direttamente sulla funzione d’onda ψ per fornire un risultato
nullo. In definitiva, se vale la condizione (1.41) i vincoli di prima classe sono condizioni sulla
funzione d’onda consistenti tra loro. D’altra parte, se la condizione (1.41) non e verificata, la
teoria quantistica che si sta sviluppando non e ben definita. Oltre alla condizione di consistenza
dei vincoli tra loro e necessario verificare che le condizioni imposte dai vincoli sulla funzione
d’onda siano compatibili con l’equazione di Schrodinger. Lo scopo si raggiunge nella seguente
maniera: l’equazione di evoluzione per lo stato e la (1.37), utilizzando la decomposizione (1.27)
si ottiene
ı~∂ψ
∂t= H ′ψ + vaϕ
(I)a ψ, (1.42)
tuttavia l’ultimo termine si annulla sugli stati fisici, e quindi resta solamente il primo termine.
Affinche la condizione imposta dai vincoli sia presente ad ogni istante sullo stato ψ si pone
ϕ(I)l
(ı~
∂ψ
∂t
)= ϕ
(I)l H ′ψ, (1.43)
utilizzando l’equazione
ϕ(I)l H ′ψ = [ϕ
(I)l , H ′]ψ + H ′ϕ(I)
l ψ, (1.44)
si nota subito che il membro destro della (1.44) si riduce al solo commutatore in quanto vale
la condizione (1.39). In definitiva bisogna imporre che la condizione imposta dai vincoli sia
preservata durante l’evoluzione temporale, in altre parole l’equazione (1.43) deve essere nulla.
Quest’ultima condizione comporta
[ϕ(I)l , H ′]ψ = 0, (1.45)
la quale significa che la (1.45) deve essere uguale ad una combinazione lineare di vincoli
[ϕ(I)l , H ′] = Clm(q, p)ϕ(I)
m (q, p). (1.46)
Come si e in grado di notare facilmente si ripresenta il problema descritto in precedenza: affinche
valga la condizione (1.45) e necessario che la funzione Clm(q, p) compaia alla sinistra del vincolo.
Passiamo ora allo studio della quantizzazione dei sistemi che presentano vincoli di seconda classe.
E istruttivo analizzare, a tal proposito, un semplice esempio descritto da Dirac. Si supponga che
esistano vincoli di seconda classe della forma
ql ≈ 0 e pl ≈ 0, (1.47)
ora i corrispondenti operatori quantistici ql e pl non possono essere imposti come condizioni sulla
funzione d’onda. Infatti se si pone
qlψ = 0 e plψ = 0, (1.48)
13
esi verificano le condizioni di consistenza si ottiene una contraddizione
[ql, pl]ψ = 0, (1.49)
in quanto il commutatore e [ql, pl]ψ = ı~ψ. Ora in virtu della (1.47) si puo affermare che le ql e
le pl non sono di interesse. Quindi si definiscono nuove parentesi nella teoria classica ove i gradi
di liberta corrispondenti all’indice l vengono scartati, ovvero
A,B∗ =∑
n 6=l
(∂A
∂qn
∂B
∂pn
− ∂A
∂pn
∂B
∂qn
). (1.50)
Si tenta, allora, di costruire una teoria quantistica in termini di tutti igradi di liberta ad eccezione
di quelli per i quali n = l. Si cerca una rappresentazione operatoriale delle parentesi di Dirac tale
che i vincoli di seconda classe siano equazioni tra operatori. Nell’ esempio precedente siccome le
parentesi di Poisson sono
ql, pl∗ = 0 e qi, pj∗ = δij ∀i, j 6= l, (1.51)
allora una rappresentazione delle parentesi di Dirac e la seguente:
ql = pl = 0
qiψ = qiψ ∀i 6= j
pmψ = −ı~∂ψ
∂qm∀m 6= j, (1.52)
cioe l’usuale rappresentazione di Schrodinger per qi e pi, ∀i 6= l, e l’operatore nullo per ql e pl.
Da notare, pero, che, ad eccezione di alcuni semplici esempi, non e sempre possibile trovare una
rappresentazione irriducibile dell’ algebra delle parentesi di Dirac [2].
1.6 Formalismo ADM
Nelle sezioni precedenti e stata studiata la procedura di quantizzazione dei sistemi vincolati, ora
si utilizzeranno questi strumenti per analizzare la teoria della relativita generale. Innanzitutto e
necessario sviluppare un formalismo che renda chiara l’applicazione delle tecniche precedenti alla
teoria della gravita. A questo scopo e utile descrivere il formalismo di Arnowitt-Deser-Misner
che permette di riscrivere le equazioni di campo di Einstein in una forma al prim’ordine ed
esplicitate rispetto alla variabile temporale. La descrizione ADM si basa sulla foliazione 3+1
dello spazio-tempo, ossia
14
Definizione 1.6.1 Si dice che una foliazione (k-dimensionale) e definita su M se la varieta
M e ”fogliettata” in superfici k-dimensionali; cio significa che per ogni punto di M passa una
superficie differenziabile k-dimensionale che dipende in maniera differenziabile (o con continuita)
dal punto in esame.
E importante, pero, specificare sotto quali condizioni lo spazio-tempo (M, gab) ammette una
foliazione. Affinche (M, gab) possegga questa struttura e necessario che sia globalmente iperbolico.
Infatti un teorema molto importante garantisce la foliazione sotto l’ipotesi che lo spazio-tempo
sia globalmente iperbolico (Appendice: A.3).
Nel seguito, quindi, si supporra che lo spazio-tempo possegga proprio questa proprieta. Data
una 4-geometria, ovvero uno spazio-tempo munito di metrica gµν , si consideri una famiglia ad
un parametro di ipersuperfici di tipo spazio (t = cost)1, sulle quali siano definite le coordinate
xi con i = 1, 2, 3. La metrica su queste ipersuperfici si denota con hij che e indotta da gµν .
Piu esplicitamente si puo scrivere che
gij = hij,
ovvero le componenti spaziali coincidono. Le componenti temporali di gµν vengono interpretate,
invece, nella seguente maniera: si considerino due ipersuperfici Σ1 e Σ2 di tipo spazio abbastanza
vicine. Siano t e t+δt le corrispondenti coordinate temporali. Ora seguendo il vettore normale di
tipo tempo dal punto P con coordinate (t, xi) sulla ipersuperficie Σ1 al punto R sulla ipersuperfi-
cie Σ2 si consta che quest’ultimo ha coordinate (t+δt, xi−N idt) dove N i(x, t) e chiamato vettore
di shift, che misura la differenza tra un punto spaziale p ed il punto che si raggiunge se invece di
seguire p da una ipersuperficie all’altra si segue la curva tangente alla normale n. In altri temini
le coordinate spaziali sono ”comoventi” se N i(t, xk) = 0. Il tempo proprio trascorso da P ad R
e Ndt ove N(t, xi) e chiamata funzione lapse. Si noti che entrambi gli oggetti introdotti sono
funzioni del tempo e delle coordinate, quindi variano a seconda della ipersuperficie considerata e
del punto specifico su di essa. E importante osservare che la funzione lapse N(t, xi) deve essere
una funzione continua che non possegga zeri. Essa, infatti, puo essere o strettamente crescente o
strettamente decrescente, eventualita, queste ultime, che rappresentano rispettivamente una fo-
liazione future-directed oppure past-directed. Non puo verificarsi l’eventualita in cui la funzione
N(t, xi) cambi segno, poiche, in quel caso, non sarebbe piu una foliazione ben definita in quanto
i fogli si intersecherebbero tra loro. Si e in grado, ora, di scrivere esplicitamente l’elemento di
1Una ipersuperficie Σ e detta di tipo spazio, se, in ogni punto, la sua normale giace all’interno del cono luce
che ha origine in quel punto.
15
lunghezza ds2 di (M, gµν) in termini delle ipersuperfici di tipo spazio
ds2 = gµνdxµdxν = hij(dxi + N idt)(dxj + N jdt)− (Ndt)2 =
= hijdxidxj + hijNjdxidt + hijN
iN jdt2 −N2dt2 =
= hijdxidxj + (Nidxi + Njdxj)dt + (NiNi −N2)dt2, (1.53)
dove hij il tensore metrico sulla ipersuperficie Σ e utilizzato per abbassare o alzare gli indici dei
vettori v ∈ TpΣ, mentre gµν e utilizzato per alzare o abbassare gli indici di vettori u ∈ TpM .
Nell’espressione (1.53) N iNi e la norma quadra del vettore di shift mentre N2 e il quadrato della
funzione lapse. Si puo quindi scrivere che
gµν =
(g00 g0i
gi0 gij
)=
(N iNi −N2 Ni
Nj hij
), (1.54)
utilizzando, inoltre, la relazione gµνgµρ = δρ
ν si ottiene facilmente l’espressione per la metrica
inversa
gµν =
(g00 g0k
gk0 gik
)=
(− 1
N2Nk
N2
N i
N2 hik − N iNk
N2
). (1.55)
Il vettore normale unitario future-directed dell’ipersuperficie a t = cost corrisponde alla 1-forma
nµ data da −Ndt con componenti
nµ = (−N, 0, 0, 0), (1.56)
per ottenere, invece, il corrispondente vettore bisogna utilizzare la formula nµ = gµνnν , esplici-
tamente le componenti sono
nµ =
(1
N,−Nm
N
). (1.57)
Si nota, quindi, che il vettore unitario normale alla ipersuperficie a t = cost in generale non
possiede solamente la componente temporale, ma anche le componenti spaziali rappresentate
dal vettore di shift. Ora se in particolare il vettore di shift e nullo la foliazione e detta canonica.
Si puo dimostrare che se lo spazio-tempo e fogliettabile allora esiste certamente una foliazione
canonica. Infatti per una data foliazione di M in ipersuperfici Σt e sempre possibile scegliere
coordinate gaussiane normali in termini delle quali si puo scrivere
ds2 = −dt2 + hijdxidxj, (1.58)
queste sono coordinate comoventi (Ni = 0) con la proprieta che t rappresenta il parametro di
tempo proprio (N = 1). E utile, per gli sviluppi successivi, definire un proiettore. A tal fine si
noti che l’ipersuperficie Σ e definita dalle equazioni [3]
yµ = yµ(x), (1.59)
16
in termini delle funzioni yµ(x), dove le xi sono le coordinate su Σ e le yµ quelle su M . Dunque,
la metrica intrinseca, ωij, sulla ipersuperficie Σ e data in termini della metrica gµν su M da
ωij = gµν∂yµ
∂xi
∂yν
∂xj. (1.60)
Invertendo l’equazione, e ricordando che nµ e la normale alla ipersuperficie, si trova che
gµν = γµν − nµnν , (1.61)
dove
γµν =∂yµ
∂xi
∂yν
∂xjωij. (1.62)
Il campo tensoriale γµν e equivalente a ωij e puo essere visto come la metrica indotta su Σ, nella
sua forma controvariante. L’espressione esplicita per γµν e
γµν = gµν + nµnν =
(N iNi Nk
Ni hik
). (1.63)
Si definisce il corrispondente tensore controvariante con la formula γµν = gµρgνσγρσ ottenendo
γµν =
(0 0
0 hik
). (1.64)
Si noti, come accennato prima, che le componenti spaziali del campo tensoriale appena introdotto
coincidono con il campo tensoriale metrico 3-dimensionale hij. Si e in grado, adesso, di definire
il proiettore qνµ in un sottospazio 3-dimensionale ortogonale ad nµ. Quest’ultimo e definito in
base al campo tensoriale (1.63) tramite la formula
qνµ = gνργρµ.
Infatti valutando esplicitamente qνµ si ottiene
qνµ =
(0 N i
0 δji
). (1.65)
Vale per qνµ il seguente teorema:
Teorema 1.6.1 Sia qνµ un proiettore. Allora esso possiede le seguenti proprieta:
1. qνµq
λν = qλ
µ
2. qνµnν = 0
17
3. qµµ = 3
Dimostrazione: Verifichiamo la proprieta (1):
qνµq
λν = (gν
µ + nµnν)(gλ
ν + nνnλ) = gν
µgλν + gν
µnνnλ + gλ
νnµnν + nµn
νnνnλ
= δλµ + nµn
λ + nµnλ − nµn
λ = δλµ + nµn
λ = qλµ.
Verifichiamo esplicitamente la proprieta (2):
qµν = gµν + nµnν → qνµ = gν
µ + nνnµ
qνµnν = (gν
µ + nµnν)nν = gν
µnν + nµnνnν
nνnν = −1 → qν
µnν = nµ − nµ = 0.
La proprieta (3) si verifica semplicemente notando che gµµ = 4 e nµn
µ = −1.¥
1.7 Curvatura estrinseca e tensore di Riemann
E necessaria, a questo stadio, una maniera geometrica per descrivere la variazione della 3-metrica
nella direzione normale, per essere in grado di discutere la dinamica gravitazionale. Questa
descrizione e fornita dalla curvatura estrinseca di una ipersuperficie 3-dimensionale immersa in
una 4-geometria. Si definisce, dunque, il campo tensoriale
vλµ = −qαλq
βµ∇βna, (1.66)
che e ortogonale ad nµ in entrambi gli indici, infatti
vλµnµ = (−qα
λqβµ∇βnα)nµ = −qα
λ(qβµn
µ)∇βnα = 0 (1.67)
vλµnλ = (−qα
λqβµ∇βnα)nλ = −(qα
λnλ)qβ
µ∇βnα = 0, (1.68)
ove si e fatto uso della proprieta (2). A causa di questa proprieta si puo ottenere vλµ direttamente
dalle sue componenti spaziali vik. Il corrispondente tensore spaziale e chiamato seconda forma
fondamentale che ha la seguente espressione:
Kil = −∇lni, (1.69)
infatti si puo dimostrare facilmente che
Kil = −qαiq
βl∇βnα, (1.70)
18
in base all’ espressione (1.65) per il proiettore si ottiene
Kil = −qjiq
ml∇mnj = −δj
iδml∇mnj = −∇lni. (1.71)
E interessante notare che il tensore Kil e un tensore simmetrico solamente nel caso in cui la
connessione e priva di torsione. Infatti si consideri la differenza
Kil −Kli = −∇lni +∇inl, (1.72)
si supponga che si possa scrivere che ni = ∇if ove f e l’equazione esplicita della ipersuperficie;
sostituendo nella (1.72) si ottiene
Kil −Kli = ∇i∇lf −∇l∇if, (1.73)
quindi se la connessione e priva di torsione l’equazione (1.73) fornisce un risultato nullo, nel caso
contrario, invece, si giunge alla seguente espressione:
Kil −Kli = ∇i∇lf −∇l∇if = −T cil∇cf, (1.74)
dove T cil e il tensore di torsione. Siccome sara utile nel seguito, e importante valutare esplici-
tamente la derivata covariante che compare all’interno della definizione della seconda forma
fondamentale. Si scrive, dunque,
Kil = −∂kni + Γjilnj, (1.75)
e noto pero che nµ = (−N, 0, 0, 0) quindi si ottiene
Kil = −NΓ0il, (1.76)
che risulta essere l’unico contributo non nullo. Anche in questa forma si puo notare esplicitamente
la simmetria di Kil rispetto ai due indici covarianti, in quanto di questa proprieta gode anche
il simbolo di Christoffel (sempre nel caso di torsione nulla). Ritornando all’equazione (1.76) si
puo scrivere
Kil = −NΓ0il = −Ng0µΓµil, (1.77)
da cui
Kil = −N[g00Γ0il + g0mΓmil
], (1.78)
sapendo che g00 = − 1N2 e che g0m = Nm
N2 sostituendo nella (1.78) si ottiene
Kil =1
NΓ0il −NmΓmil , (1.79)
19
ora scrivendo esplicitamente il simbolo
Γmil =1
2∂lgim + ∂igml − ∂mgil , (1.80)
e sapendo che gil = hil, si puo, infine, scrivere che
(4)Γmil =1
2∂lhim + ∂ihml − ∂mhil = (3)Γmil, (1.81)
ove le quantita scritte con l’indice (4) in alto a sinistra si riferiscono ad oggetti definiti sullo
spazio-tempo M 4-dimensionale, mentre le quantita con l’indice (3) in alto a sinistra si riferiscono
ad oggetti definiti sulle ipersuperfici Σ, 3-dimensionali. Quindi scrivendo esplicitamente (4)Γ0il e
ricordando la (1.63) si puo scrivere che
Kil =1
N
1
2
[∂lNi + ∂iNl − ∂hil
∂t
]−Nm(4)Γmil
, (1.82)
da cui
Kil =1
2N
∂lNi − (3)ΓmilN
m + ∂iNl − (3)ΓmilNm − ∂hil
∂t
. (1.83)
Definendo ora la derivata covariante 3-dimensionale tramite la posizione
(3)∇kvi = ∂kvi − (3)Γmikvm, (1.84)
si ottiene, finalmente, l’espressione per il tensore di curvatura estrinseca
Kil =1
2N
(3)∇lNi + (3)∇iNl − ∂hil
∂t
. (1.85)
Si nota, immediatamente, che Kil presenta l’evoluzione della 3-metrica hil rispetto al parametro
t che caratterizza il fogliettamento. In generale si puo fornire una ulteriore definizione del tensore
di curvatura estrinseca in termini della derivata di Lie
Kµν = −1
2(Lnh)µν , (1.86)
calcolata derivando la 3-metrica h lungo la normale alla ipersuperficie. Questa definizione e
del tutto equivalente a quella precedente, infatti calcolando esplicitamente la derivata di Lie si
ottiene
(Lnh)kl =1
N
[∂hkl
∂t−N ihkl|i −Nm
|k hml −Nm|l hkm
], (1.87)
notando che
−Nm|k hml = −((3)∇kN
m)hml = −(3)∇k(hmlNm) = −(3)∇kNk = −Nl|k
−Nm|l hkm = −((3)∇lN
m)hkm = −(3)∇l(hkmNm) = −(3)∇lNk = −Nk|l
20
N ihkl|i = N i(3)∇ihkl = 0, (1.88)
si giunge alla conclusione
1
2(Lnh)il =
1
2N
[∂hil
∂t−Nl|i −Ni|l
]= −Kil. (1.89)
La definizione del tensore di curvatura estrinseca in termini della derivata di Lie, pur rendendo,
a mio parere, il suo significato geometrico piu intuitivo, non evidenzia che Kil in generale non e
simmetrico. Infatti nella prima definizione fornita si rendeva evidente che Kij fosse simmetrico
solamente nel caso di connessioni a torsione nulla, mentre in quest’ultima definizione la presenza
della derivata di Lie non rende manifesta questa osservazione. Questo discorso diventa parti-
colarmente importante quando ci si appresta a studiare teorie che presentano connessioni con
torsione non nulla, come, ad esempio, le teorie ECKS [4].
A titolo di esempio si puo valutare la curvatura estrinseca per un universo di Robertson-
Walker con k = +1, con l’elemento di linea
ds2 = −N2dt2 + a2dΩ2,
ove
dΩ2 = dχ2 + sin2 χ(dϑ2 + sin2 ϑdφ2),
e la metrica di una tre-sfera unitaria, e
N = N(t) , a = a(t).
Si noti che, per semplicita, i vettori di shift sono stati considerati nulli N i = 0. Allora
Kil = − 1
2N
∂hil
∂t
= − 1
aN
da
dthil
= −1
a
da
dτhil,
ove τ e il tempo proprio.
Per giungere all’ equazione (1.85) si e utilizzato il concetto di derivata covariante 3-dimensionale,
e necessario, ora, definire piu accuratamente questo oggetto. Si consideri un covettore Xµ tale
che Xµnµ = 0 si definisce la derivata covariante 3-dimensionale come [5]
(3)∇µXν := qαµq
βν(
(4)∇αXβ), (1.90)
21
ove Xβ e una arbitraria estensione continua in un intorno σ ∈ (M, g) di Xβ definito in un intorno
ω ∈ Σt necessaria affinche la differenziazione abbia senso. La definizione fornita di connessione
3-dimensionale ha l’importante proprieta di essere metrica. Infatti
(3)∇µγνλ = qαµq
βλq
δν [
(4)∇αγβδ], (1.91)
sapendo che γβδ = gβδ + nβnδ e sostituendo nella espressione (1.91) si ottiene
(3)∇µγνλ = qαµq
βλq
δν
nβ
(4)∇αnδ + nδ(4)∇αnβ
, (1.92)
da cui(3)∇µγνλ = qα
µ(qβλnβ)qδ
ν(4)∇αnδ + qα
µqβλ(q
δνnδ)
(4)∇αnβ, (1.93)
ma siccome qβλnβ = qδ
νnδ = 0 si ottiene che
(3)∇µγνλ = 0. (1.94)
L’equazione (1.94) ha un’interpretazione geometrica semplice ed intuitiva: il prodotto scalare
tra due vettori sulla ipersuperficie rimane costante quando vengono trasportati parallelamente
lungo una curva sulla ipersuperficie stessa. Infatti siano vν e uλ due vettori sulla ipersuperficie
Σ, si supponga che essi vengano trasportati parallelamente lungo una curva su Σ, cioe (3)∇µvν =
(3)∇µuλ = 0. Valutando la derivata covariante del loro prodotto scalare si ottiene
(3)∇µ[γνλvνuλ] = ((3)∇µγνλ)v
νuλ + γνλ(3)∇µ(vνuλ) =
= ((3)∇µγνλ)vνuλ + γνλ(
(3)∇µvν) + γνλ(
(3)∇µuλ), (1.95)
e chiaro, adesso, che in base all’equazione (1.94) e alla definizione di trasporto parallelo, l’espres-
sione (1.95) e nulla.
Si puo mostrare, ora, che le componenti spaziali (3)∇iXj coincidono con la derivata covariante
spaziale definita come
Xj|i = ∂iXj − (3)ΓkijXk. (1.96)
Infatti
(3)∇iXj = qµiq
νj[
(4)∇µXν ] = q0iq
νj(
(4)∇0Xν) + qliq
lj(
(4)∇lXν) =
= q0iq
0j(
(4)∇0X0) + q0iq
mj(
(4)∇0Xm) + qliq
0j(
(4)∇lX0) + qliq
mj(
(4)∇lXm). (1.97)
Alla luce dell’espressione (1.65) si puo scrivere che
(3)∇iXj = qliq
mj(
(4)∇lXm) = δliδ
mj(
(4)∇lXm) = (4)∇iXj =
= ∂iXj − (4)ΓµijXµ
= ∂iXj − gµλ(4)ΓijλXµ. (1.98)
22
Utilizzando l’equazione (1.63) si ottiene
gµλXµ = (γµλ − nµnλ)Xµ = γµλXµ − nλnµXµ ma Xµnµ = 0
quindi gµλXµ = γµλXµ.
Sostituendo all’interno dell’ultima riga della (1.98)
(3)∇iXj = ∂iXj − γµλ(4)ΓijλXµ
= ∂iXj − hlm(3)ΓijmXl
= ∂iXj − (3)ΓlijXl
= Xj|i. (1.99)
Alla luce di questa dimostrazione si puo notare che l’equazione (1.85) puo essere riscritta come
Kil =1
2N
2N(i|l) − ∂hil
∂t
.
Per raggiungere lo scopo di descrivere con il formalismo hamiltoniano la relativita generale,
e importante capire la decomposizione 3+1 del tensore di Riemann. Utilizziamo, dunque, la
derivata (3)∇ per mettere in relazione il tensore di Riemann 3-dimensionale (3)Rijlm con quello
4-dimensionale (4)Rµνρσ. Si consideri un covettore di tipo spazio Xµnµ = 0, e la definizione
(3)∇i(3)∇jXl − (3)∇j
(3)∇iXl = Xl|ij −Xl|ji = (3)RijlmXm. (1.100)
Per studiare la relazione tra le due forme del tensore di Riemann si utilizza la formula (1.90), si
ottiene, quindi,(3)∇i
(3)∇jXl = (3)∇i[qαjq
βl(
(4)∇αXβ)], (1.101)
siccome l’argomento di (3)∇i e un tensore covariante a due indici si puo scrivere
(3)∇iAjk = qγiq
δjq
εk[
(4)∇γAδε],
per cui sostituendo nella (1.101), ed esplicitando i calcoli si ottiene
(3)∇i(3)∇jXl = qγ
iqµjq
νl(4)∇γ[q
αµq
βν(4)∇αXβ] =
= qγiq
µjq
νl(4)∇γ(q
αµq
βν)
(4)∇αXβ + qγiq
µjq
νlq
αµq
βν(4)∇γ
(4)∇αXβ =
= qγiq
µjq
νlq
βν [
(4)∇γqαµ](4)∇αXβ + qγ
iqµjq
νlq
αµ[(4)∇γq
βν ]
(4)∇αXβ +
+qγiq
µjq
νlq
αµq
βν(4)∇γ
(4)∇αXβ. (1.102)
Utilizzando la proprieta ”1” del teorema (1.6.1) si ottiene che l’espressione (1.102) si riduce a
qγiq
µjq
βl[
(4)∇γqαµ](4)∇αXβ + qγ
iqαjq
νl[
(4)∇γqβν ]
(4)∇αXβ + qγiq
αjq
βl(4)∇γ
(4)∇αXβ. (1.103)
23
Utilizzando l’espressione (1.63) per i proiettori si ottiene, per il primo termine della (1.103)
qγiq
µjq
βl[
(4)∇γqαµ](4)∇αXβ = qγ
iqµjq
βl[
(4)∇γgαµ + (4)∇γnµn
α](4)∇αXβ =
= qγiq
µjq
βl[(4)∇γnµ]nα + nµ[(4)∇γ]n
α(4)∇αXβ, (1.104)
tenendo conto del fatto che qµjnµ = 0 e dell’equazione (1.70) si ottiene che
qγiq
µjq
βl[
(4)∇γqαµ](4)∇αXβ = qβ
lnαKij
(4)∇αXβ. (1.105)
Analogamente per il secondo termine della (1.103) si ha
qγiq
αjq
νl[
(4)∇γqβν ]
(4)∇αXβ = qγiq
αjq
νl[
(4)∇γgβν + (4)∇γ(nνn
β)](4)∇αXβ =
= qγiq
αjq
νl[(4)∇γnν ]n
β + [(4)∇γnβ]nν(4)∇αXβ, (1.106)
notando che qνlnν = 0 ed utilizzando l’espressione per la curvatura estrinseca si giunge all’e-
quazione
qγiq
αjq
νl[
(4)∇γqβν ]
(4)∇αXβ = qαjn
βKil(4)∇αXβ. (1.107)
In definitiva si puo scrivere che
(3)∇i(3)∇jXl = qγ
iqαjq
βl(4)∇γ
(4)∇αXβ + qαjn
βKil(4)∇αXβ + qβ
lnαKij
(4)∇αXβ. (1.108)
Tuttavia, antisimmetrizzando rispetto ad i e j, l’ultimo termine della (1.108) si annulla poiche
Kij e simmetrico rispetto ai suoi indici covarianti. Ora, e agevole dimostrare che il secondo
termine della (1.108) si puo mettere nella forma
qαjn
βKil(4)∇αXβ = −KilK
βj Xβ, (1.109)
tramite il quale si scrive
(3)∇i(3)∇jXl = qγ
iqαjq
βl(4)∇γ
(4)∇αXβ −KilKβj Xβ
(3)∇j(3)∇iXl = qγ
iqαjq
βl(4)∇α
(4)∇γXβ −KjlKβi Xβ. (1.110)
Sottraendo i due termini che compaiono nella (1.110) si ottiene, finalmente, l’equazione di Gauss-
Codazzi, che lega il tensore di Riemann 4-dimensionale con quello 3-dimensionale attraverso il
tensore di curvatura estrinseca
(3)R mijl = qγ
iqαjq
δlq
mη(4)R η
γαδ −KilKlj + KjlK
mi = (4)R m
ijl −KilKmj + KjlK
mi . (1.111)
Analizziamo l’espressione per la curvatura intrinseca tramite la quale si scrive l’azione per il
campo gravitazionale. Si ha, quindi
hkihmj(4)Rkmij = (gki + nkni)(gmj + nmnj)(4)Rkmij =
= (4)R + 2gkinmnj(4)Rkmij + nkninmnj(4)Rkmij =
= (4)R + 2nmnj(4)Rmj. (1.112)
24
Usando l’equazione (1.112) e l’equazione di Gauss-Codazzi si e in grado di esprimere in formu-
lazione 3+1 lo scalare di curvatura intrinseca da porre nell’espressione per l’azione di Einstein-
Hilbert, ovvero
(3)R = (4)R + 2nmnj(4)Rmj − hilhjmKilKjm + hilhjmKjlKim, (1.113)
notando che
hilhjmKilKjm = (hilKil)(hjmKjm) = K2 ove K = Tr(Kij),
si deduce agevolmente che
(4)R = (3)R− 2nmnj(4)Rmj + K2 −KijKij. (1.114)
Rimane, adesso, da valutare il termine 2nmnj(4)Rmj, dopo il calcolo si ottiene
2nmnj(4)Rmj = 2∇µ[nν∇νnµ − nµ∇νn
ν ] + 2K2 − 2KijKij, (1.115)
sostituendo quest’ultima espressione all’interno della (1.114) si ricava
(4)R = (3)R−K2 + KijKij − 2∇µ[nν∇νn
µ − nµ∇νnν ]. (1.116)
Questa espressione per (4)R e ancora in una forma covariante, e utile, per gli sviluppi successivi,
analizzarne la decomposizione 3+1. A partire dalla (1.116), dopo un lungo calcolo, si ottiene [9]
√−g (4)R = N√
h [(3)R + KijKij −K2]− 2[
√hK],0 + 2[
√h (N iK − gij∇jN)],i. (1.117)
1.8 La lagrangiana di Einstein-Hilbert
Il formalismo sviluppato nei paragrafi precedenti verra, ora, utilizzato per analizzare l’azione per
il campo gravitazionale. L’azione di Einstein-Hilbert per la relativita generale ha la forma
SEH =
∫
M
d4xL ove L =1
16π
√−g (4)R, (1.118)
in unita in cui c = G = 1, inoltre si e indicato con g il determinante del tensore metrico
g = det(gµν) e con M la varieta spazio-temporale. Sostituendo esplicitamente si ha
SEH =1
16π
∫
M
d4x√−g (4)R, (1.119)
ove d4x√−g e la misura invariante sulla varieta M . Applicando il principio di Hamilton ad SEH
si ottengono le equazioni classiche di campo di Einstein. Dall’espressione (1.54) per il tensore
metrico si puo ottenere un risultato semplice, ma non banale, per il determinante, ovvero
g = det(gµν) = −N2 det(hij) = −N2h da cui√−g = N
√h, (1.120)
25
e quindi
SEH =1
16π
∫
M
d4xN√
h (4)R. (1.121)
Per descrivere la teoria in forma hamiltoniana e necessario porre l’azione nella forma 3+1. A tal
fine bisogna riscrivere la (1.121) tenendo in mente la (1.117), cosı facendo si ottiene
SEH =1
16π
∫
M
d4xN√
h (4)R =
=1
16π
∫
M
d4x
N√
h [(3)R + KijKij −K2]− [
√hK],0 + 2[
√h(N iK − gij∇jN)],i
=
=1
16π
∫
M
d4xN√
h [(3)R + KijKij −K2]− 1
8π
∫
M
d4x[√
hK],0 +
+1
8π
∫
M
d4x[√
h(N iK − gij∇jN)],i. (1.122)
E opportuno, ora, analizzare i singoli integrali che contribuiscono all’azione. Si consideri, dunque,
il secondo integrale, utilizzando il teorema di Gauss si ha
− 1
8π
∫
M
d4x[√
hK],0 = − 1
8π
∫
M
d4x∂
∂t[√
hK] = − 1
8π
∫
Σ
d3x
∫
Rdt
∂
∂t[√
hK] =
= − 1
8π
∫
Σ
d3x[√
hK], (1.123)
mentre per il terzo integrale si ottiene, utilizzando ancora il teorema di Gauss
1
8π
∫
M
d4x[√
h(N iK − gij∇jN)],i =1
8π
∫
Rdt
∫
Σ
d3x∂i[√
h(N iK − gij∇jN)] =
=1
8π
∫
Rdt
∫
∂Σ
dσi[√
h(N iK − gij∇jN)], (1.124)
ma ∂Σ = ∂∂M , e la frontiera della frontiera di una varieta M e un insieme di misura nulla,
quindi l’integrale (1.124) diventa nullo. In definitiva l’azione puo essere scritta come:
SEH =1
16π
∫
M
d4xN√
h (4)R =1
16π
∫
M
d4xN√
h [(3)R + KijKij −K2]− 1
8π
∫
Σ
d3x[√
hK].
(1.125)
Una volta scritta l’azione in formulazione 3+1 si puo procedere a ricavare la forma hamilto-
niana della gravia, che permette di utilizzare la procedura di quantizzazione di Dirac descritta in
precedenza. Come si puo notare la funzione di lapse ed il vettre di shift devono essere prescritti
dall’esterno per specificare la deformazione della ipersuperficie, quindi non ci si puo aspettare che
le equazioni di Hamilton le vincolino in qualche maniera. D’altra parte la forma delle equazioni
di Hamilton non deve dipendere da queste quantita poiche rappresentano un arbitrario sistema
26
di riferimento. Per questi motivi la lagrangiana non deve dipendere dalle derivate della fun-
zione di lapse e del vettore di shift. Inoltre, siccome nelle equazioni di Hamilton compare la
derivata prima di hij rispetto al tempo, e necessario eliminare dalla lagrangiana quei termini
che conducono a derivate seconde di hij rispetto al tempo. Quindi l’azione (1.119), scritta de-
componedola in forma 3+1, assume l’aspetto descritto in (1.122), si nota, pero, che tutte le
quantita che non devono comparire si trovano all’interno delle derivate totali. Piu precisamente,
nel secondo integrale della (1.122) compare la derivata seconda di hij rispetto al tempo, mentre
nel terzo integrale della stessa equazione compaiono le derivate della funzione lapse e del vettore
shift. Per questo motivo si definisce l’azione di Einstein-Hilbert modificata che si ottiene da
quella originale sommando il termine di derivata totale che cancelli quello che compare nella
(1.125)
Smod =
∫
M
d4x√−g (4)R + 2
∫
Σ
d3x√
hK. (1.126)
In definitiva la densita lagrangiana, punto di partenza per la costruzione dell’hamiltoniana, ha
la forma
L =
∫d3xL =
∫d3xN
√h ((3)R + KijK
ij −K2), (1.127)
che non contiene piu le quantita non volute descritte in precedenza. Inoltre si consideri il caso
di un Universo chiuso, ovvero lo spazio-tempo possiede la topologia R×Σ, dove Σ e una ipersu-
perficie compatta. Si prenda in esame una regione, U , dello spazio-tempo M , che ha per bordo
due ipersuperfici di tempo costante Σ1 e Σ2. L’azione di Einstein-Hilbert modificata (1.126),
ricevera dei contributi dai bordi Σ1 e Σ2. Tuttavia, questi contributi verranno cancellati dall’ul-
timo termine del membro destro della equazione (1.116). Quindi, in definitiva, l’hamiltoniana
che si andra a costruire, utilizzando la densita lagrangiana (1.127), rimane invariata, in uno
spazio-tempo chiuso, quando si reinseriscono i termini di bordo.
Per raggiungere lo scopo di descrivere la teoria in forma hamiltoniana, e necessario individuare
le variabili atte alla descrizione del sistema. Si considerino come variabili dinamiche la 3-metrica
hij ed il suo momento canonicamente coniugato πij. Prima di tutto bisogna individuare proprio
il momento coniugato, quest’ultimo e definito come
πij =δL
δhij
=N
16π
√h
δ (4)R
δhij
. (1.128)
Adesso bisogna valutare la derivata funzionale che compare nella definizione, utilizzando l’e-
spressione (1.116) per (4)R si ottiene
δ (4)R
δhij
=δ
δhij
[(3)R−K2 + KijK
ij − 2∇µ(nν∇νnµ − nµ∇νn
ν)], (1.129)
27
si noti, pero, che all’interno della derivata totale e in (3)R non compaiono termini che dipendono
da hij, l’unica dipendenza e contenuta nella curvatura estrinseca. Alla luce di questa osservazione
si puo scrivere cheδ (4)R
δhij
=δ
δhij
[−K2 + KijKij]. (1.130)
Valutando, adesso, queste derivate funzionali si ottiene
δ(KilKil)
δhij
=δKil
δhij
K il + KilδK il
δhij
, (1.131)
dall’espressione (1.85) per il tensore di curvatura estrinseca si evince che
δK il
δhij
= − 1
2Nδjl,
sostituendo all’interno della (1.129) si giunge al risultato
δ(KilKil)
δhij
= − 1
2NK ilδj
l −1
2NKilδ
jl = − 1
NK ij. (1.132)
Per l’altra derivata funzionale si ottiene
δK2
δhij
=δ(K i
iKjj )
δhij
=δKi
i
δhij
Kjj + Ki
i
δKjj
δhij
= 2KδK
δhij
, (1.133)
ma siccome K = Tr(Kij) = hijKij, si ottiene il risultato
δK2
δhij
= 2KδK
δhij
= −hijK
N. (1.134)
Quindi, in definitiva, il momento canonicamente coniugato ad hij e
πij =√
h−K ij + hijK
. (1.135)
E utile, per il seguito, valutare la traccia πll del momento coniugato ad hij, esplicitamente,
πll = hijπ
ij =√
h−hijKij + hijh
ijK = 2√
hK. (1.136)
Scrivendo la lagrangiana in termini di hij e di πij si effettua il primo passo verso la costruzione
dell’hamiltoniana. Infatti e noto che la lagrangiana si puo scrivere, in generale
L = piqi −H,
nel caso che si analizzando, invece, si scrive:
L = πij ∂hij
∂t−H.
28
Risulta chiaro, adesso, che l’hamiltoniana della teoria si puo ricavare proprio da quest’ultima
relazione. Per fare cio e necessario invertire le equazioni (1.133) e (1.134) in modo da esprimere
il tensore di curvatura estrinseca e la sua traccia in termini della 3-metrica e del suo momento
coniugato. Invertendo le relazioni si ottiene
K =1
2√
hπl
l
Kij =1√h
[−πij +
1
2hijπl
l
]. (1.137)
Sostituendo, dunque, le espressioni (1.135) all’interno della lagrangiana si raggiunge lo scopo di
ottenere l’hamiltoniana. Valutando i singoli termini si ottiene
K ijKij =1
h
[−πij +
1
2hijπl
l
] [−πij +
1
2hijπ
ll
]
=1
h
[πijπij − πij 1
2hijπ
ll − πij
1
2hijπl
l +π2
4hijh
ij
]
=1
h
[πijπij − (πl
l)2
4
], (1.138)
da cui si ottiene che
N√
hKijKij =N√
h
h
[πijπij − (πl
l)2
4
]=
N√h
[πijπij − (πl
l)2
4
]. (1.139)
Mentre il quadrato della curvatura estrinseca, K2 si esprime
K2 =1
4h(πl
l)2 ⇒ N
√hK2 =
N√
h
4h(πl
l)2 =
N
4√
h(πl
l)2. (1.140)
Si consideri, adesso, una identita, utilizzando le forme (1.85) e (1.137) per il tensore di curvatura
estrinseca si puo scrivere
Kij = − 1√h
[πij − 1
2hijπ
ll
]=
1
2N
2N(i|j) − ∂hil
∂t
, (1.141)
da cui
hij =2N√
h
[πij − 1
2hijπ
ll
]+ Ni|j + Nj|i, (1.142)
moltiplicano entrambi i membri per πij si ha
πij ∂hij
∂t=
2N√h
[πijπij − 1
2(πl
l)2
]+ 2πijNi|j. (1.143)
Inserendo questa identita all’interno della densita lagrangiana (1.127) si ottiene
L = πij ∂hij
∂t+√
hN (3)R− N√h
[πijπij − 1
2(πl
l)2
]− 2πijNi|j, (1.144)
29
valutando l’ultimo termine di questa espressione si ha
−2πijNi|j = −2[πijNi]|j + 2πij|j Ni, (1.145)
sostituendo nella (1.144) si giunge al risultato
L = πij ∂hij
∂t+√
hN (3)R− N√h
[πijπij − 1
2(πl
l)2
]+ 2πij
|j Ni. (1.146)
Si noti che in quest’ultima espressione e stato omesso il termine di derivata totale, −2[πijNi]|jche sarebbe presente dopo la sostituzione. Questa divergenza spaziale e nulla se la ipersuperficie
di tipo spazio Σ e compatta o se, quest’ultima, e asintoticamente piatta con Ni = 0 a grandi
distanze. Ci sono molti casi dove queste condizioni sono soddisfatte, tuttavia esistono casi in
cui gli Ni tendono a zero solo lentamente a grandi distanze ed il termine −2[πijNi]|j fornisce un
importante contributo al bordo per la massa e per l’azione all’infinito spaziale [5].
Si e in grado, adesso, in base all’espressione (1.146), di costruire esplicitamente la densita
hamiltoniana. E noto che
L = πij ∂hij
∂t−H,
quindi la densita hamiltoniana H, trasformata di Legendre della densita lagrangiana (1.146), e
H = −N√
h (3)R +N√h
[πijπij − 1
2(πl
l)2
]− 2πij
|j Ni. (1.147)
1.9 Formalismo di Dirac per la relativita generale
Nel paragrafo precedente e stata scritta l’azione di Einstein-Hilbert in maniera tale da predis-
porla all’analisi tramite il formalismo di Dirac sviluppato nei primi paragrafi. Si procedera,
poi, verso una prima approssimazione della teoria quantistica della gravita, seguendo sempre la
metodologia descritta da Dirac. A differenza della procedura delineata in precedenza, dove le
variabili dinamiche erano etichettate da indici discreti ed erano funzioni del tempo, ora sono
funzioni del punto ”x” su (M, gab). Questo comporta la modifica dell’apparato matematico che
permetta di lavorare con questi nuovi oggetti introdotti. In particolare e importante definire
la parentesi di Poisson di due generici funzionali A[h(x), π(x)] e B[h(x′), π(x′)], quest’ultima si
scrive
A[h(x), π(x)], B[h(x′), π(x′)] =
∫
Σ
d3x′′
δA
δhij(x′′)δB
δπij(x′′)− δA
δπij(x′′)δB
δhij(x′′)
, (1.148)
ove Σ e la ipersuperficie 3-dimensionale che e il dominio dei campi hij e πij. Le variabili, atte
alla descrizione univoca del sistema, sono le seguenti: la 3-metrica hij(x), la funzione lapse N(x)
30
e il vettore shift N i(x) nonche i loro momenti canonicamente coniugati. Non e arduo calcolare
le parentesi di Poisson, a tempi uguali, di queste quantita che risultano essere
N(x, t), π(y, t) = δ3(x, y) N i(x, t), πi(y, t) = δijδ3(x, y)
hij(x, t), πkl(y, t) = δklij δ
3(x, y) =1
2(δk
i δlj + δl
iδkj )δ3(x, y),
con le altre parentesi nulle. Per cominciare si noti che la lagrangiana per la relativita generale
e singolare: infatti al suo interno non compaiono le derivate temporali della funzione lapse N
e del vettore shift N i. Per questa ragione si ottengono immediatamente i vincoli primari della
teoria
πi =δL
δNi
≈ 0
π =δL
δN≈ 0. (1.149)
Il motivo per il quale la lagrangiana e indipendente dalle velocita N(x) e N i(x) e che queste
quantita rappresentano un particolare sistema di coordinate, ovvero specificano la foliazione
che si e introdotta per (M, gab). Alla luce del fatto che la teoria deve essere indipendente dal
sistema di coordinate scelto, e chiaro il motivo per il quale la funzione di Lagrange risulta essere
indipendente dalle velocita N(x) e N i(x). D’altra parte i vincoli primari, (1.149), esplicano
proprio questo. In effetti in virtu dell’ indipendenza della teoria dal sistema di coordinate, e
possibile scegliere dei particolari valori per la funzione lapse ed il vettore shift, ad esempio si
possono scegliere i valori N(x) = 1 e Ni(x) = 0 che riducono l’hamiltoniana alla forma
H =
∫d3xH⊥.
Ora, in base all’espressione (1.147), l’hamiltoniana puo essere riscritta nel seguente modo:
H =
∫(H⊥N + H iNi)d
3x ove
H⊥ = −√
h (3)R +1√h
[πijπij − 1
2(πl
l)2
]
H i = −2πij|j , (1.150)
dove si e ottenuto un termine H⊥ che moltiplica la funzione lapse, e un termine Hi che moltiplica
il vettore shift. Questa hamiltoniana, pero, e la trasformata di Legendre della lagrangiana sola-
mente quando le equazioni (1.149) sono soddisfatte come equazioni forti. Per definire l’hamiltoni-
ana totale e necessario sommare alla (1.150) una combinazione lineare, con coefficienti arbitrari,
dei vincoli trovati in precedenza: esplicitamente si ottiene
HT =
∫(H⊥N + HjN
j + λjπj + λπ)d3x. (1.151)
31
Affinche si possa sviluppare una teoria consistente bisogna imporre che le derivate temporali dei
vincoli siano nulle. E importante, quindi, valutare
π = π,H ≈ 0,
πi = πi, H ≈ 0 (1.152)
esplicitamente si ha
π(y), H =
π(y),
∫d3x(H⊥(x)N(x) + Nj(x)Hj(x) + λi(x)πi(x)
+ λ(x)π(x))
=
∫d3x
[π(y), H⊥(x)N(x)+ π(y), Nj(x)Hj(x)
+ π(y), λi(x)πi(x)+ π(y), λ(x)π(x)]
=
∫d3x
[π(y), H⊥(x)N(x)
+ π(y), N(x)H⊥(x) + π(y), Nj(x)Hj(x) + π(y), Hj(x)Nj(x)
+ π(y), λi(x)πi(x) + π(y), πi(x)λi(x) + π(y), λ(x)π(x)
+ π(y), π(x)λ(x)], (1.153)
in virtu delle parentesi di Poisson descritte prima e delle seguenti:
π(y), H⊥(x) = π(y), Hj(x) = 0,
nonche del fatto che πi puo essere posto a zero dopo che siano state calcolate le parentesi di
Poisson, si ottiene che
π =
∫d3x δ3(y, x)H⊥(x) = H⊥ ≈ 0. (1.154)
Analogamente si calcola la derivata temporale del momento coniugato al vettore shift, esplicita-
mente
πi(y), H =
πi(y),
∫d3x(H⊥(x)N(x) + Nj(x)Hj(x) + λj(x)πj(x)
+ λ(x)π(x))
=
∫d3x
[πi(y), H⊥(x)N(x)+ πi(y), Nj(x)Hj(x)
+ πi(y), λj(x)πj(x)+ πi(y), λ(x)π(x)]
=
∫d3x
[πi(y), H⊥(x)N(x)
+ πi(y), N(x)H⊥(x) + πi(y), Nj(x)Hj(x) + πi(y), Hj(x)Nj(x)
+ πi(y), λj(x)πj(x) + πi(y), πj(x)λj(x) + πi(y), λ(x)π(x)
+ πi(y), π(x)λ(x)], (1.155)
in base alle precedenti parentesi di Poisson e alle seguenti:
πi(y), H⊥(x) = πi(y), Hj(x) = 0,
32
oltre al fatto che π puo essere posto a zero dopo il calcolo delle parentesi, si ottiene
πi =
∫d3x δi
j δ3(y, x)Hj(x) = H i ≈ 0. (1.156)
In definitiva, sono stati ricavati i quattro vincoli secondari
H⊥ ≈ 0
H i ≈ 0. (1.157)
La prima di queste equazioni e chiamata vincolo hamiltoniano in virtu della forma della funzione
H⊥ che presenta la differeza fra le curvature estrinseca ed intrinseca, in analogia con la forma
classica dell’hamiltoniana ove e presente la somma delle energie cinetica e potenziale. Questa
hamiltoniana, tuttavia, e nulla come, d’altra parte, l’hamiltoniana (1.151). Questo implica che,
in ogni spazio-tempo Ricci-piatto, ossia che soddisfa alle equazioni di Einstein nello spazio vuoto,
la curvatura estrinseca ed intrinseca di ogni ipersuperficie e uguale.
Non esistono ulteriori vincoli nella teoria, infatti se si impone che la derivata temporale delle
(1.157) sia nulla non si giunge a nuovi vincoli. Questo accade poiche l’algebra delle parentesi di
Poisson e chiusa, ossia le parentesi di Poisson di ogni coppia di vincoli e una funzione lineare dei
vincoli stessi. Questo si puo verificare valutandole esplicitamente, infatti
π(x), πi(y) = π(x), H i(y) = π(x), H⊥(y) = πi(x), Hj(y) = πi(x), H⊥(y) ≈ 0,
(1.158)
ma ogni oggetto della teoria che e debolmente nullo, e uguale ad una combinazione lineare dei
vincoli stessi, ovvero se A ≈ 0, allora e lecito scrivere che A = clϕl. Mentre le parentesi di
Poisson dei vincoli secondari sono [1]
Hi(x), Hj(x′) = −Hj(x)δ3
,i(x, x′)
Hi(x), H⊥(x′) = H⊥(x)δ3,i(x, x′)
H⊥(x), H⊥(x′) = hij(x)Hi(x)δ3,j(x, x′)− hij(x′)Hi(x
′)δ3,j(x, x′). (1.159)
Come si puo ben notare, anche queste ultime parentesi di Poisson forniscono, come risultato,
una combinazione lineare, tramite delta di Dirac, dei vincoli secondari. Inoltre, in base alla
classificazione dei vincoli fornita nel par: (1.4), questi ultimi sono tutti di prima classe.
Le equazioni che reggono la geometrodinamica, ossia l’evoluzione temporale di una ipersuper-
ficie Σ di tipo spazio, si ottengono, nella forma hamiltoniana, calcolando le parentesi di Poisson
33
delle variabili hij e πij con l’hamiltoniana totale HT , e sono [10]
hij = hij, HT =2√h
N
(πij − 1
2hijπ
)+ 2∇(iNj)
πij = πij, HT = −N√
h
((3)Rij − 1
2(3)Rhij
)+
1
2
N√hhij
(πklπ
kl − 1
2π2
)−
− 2N√h
(πilπj
l −1
2ππij
)+√
h(∇i∇jN − hij∇l∇lN) +
+√
h∇l
(N l
√hπij
)− 2πl(i∇lN
j), (1.160)
dove, per giungere al risultato, e stata utilizzata la seconda delle equazioni (1.157). I vincoli, che
sono stati trovati precedentemente, devono essere imposti come condizioni sui dati iniziali delle
equazioni (1.160), ovvero non e possibile assegnare ad esse arbitrarie condizioni iniziali. Come si
evince, dalla loro scrittura esplicita, le equazioni del moto non determinano univocamente, una
volta assegnate le condizioni iniziali, la dinamica della teoria. Infatti la presenza delle funzioni
N(x) e Ni(x) fa sı che nelle soluzioni sia presente la scelta arbitraria del sistema di riferimento.
Tuttavia la teoria e indipendente dal sistema di coordinate, e dunque tutte le soluzioni che dif-
feriscono l’una dall’altra per la scelta delle funzioni N(x) e Ni(x), sono fisicamente equivalenti.
Ovviamente questo discorso coinvolge anche il tempo. E stato detto in precedenza che l’hamil-
toniana di uno spazio-tempo Ricci-piatto e nulla. La densita hamiltoniana totale si puo scrivere
come [1]
HT = H ′ + λµπµ, (1.161)
ma H ′ deve essere una hamiltoniana di prima classe, siccome 0 e certamente di prima classe,
si puo porre H ′ = 0. In questo caso l’hamiltoniana totale e scritta interamente in termini dei
vincoli primari di prima classe e dei coefficienti arbitrari
HT = λµπµ.
Le equazioni del moto, quindi, si scrivono
hij ≈ λµhij, πµ e πij ≈ λµπij, πµ. (1.162)
Si puo notare, esplicitamente, che le derivate temporali delle variabili dinamiche possono essere
moltiplicate per un arbitrario fattore α diverso da zero, senza modificare le equazioni del moto.
Questo in virtu della presenza delle funzioni λµ. D’altra parte, moltiplicare la derivata temporale,
di un qualunque oggetto, per un fattore α significa modificare la scala temporale, infatti, si
consideri una qualunque funzione del tempo g(t), e si supponga, adesso, di voler cambiare il
parametro temporale da t a τ . La trasformazione che permette il cambiamento di variabile
34
sia τ = τ(t), una funzione strettamente crescente se si vuole preservare la direzione temporale.
Supponendo che quest’ultima trasformazione sia, almeno localmente, invertibile, si puo ottenere
la trasformazione inversa t = t(τ). Valutando, infine, la derivata rispetto alla variabile τ della
funzione g si ottienedg
dτ=
d
dτg(t(τ)) =
(dt
dτ
)dg
dt. (1.163)
Si evince, dunque, da quest’ultima espressione, che moltiplicare g per una qualunque funzione
positiva implica cambiare il parametro temporale senza modificare la direzione del tempo. In
definitiva, tornando alle (1.162), si hanno equazioni di Hamilton con una scala del tempo arbi-
traria, ossia uno schema di equazioni di Hamilton nel quale non esiste un tempo assoluto. In
particolare, nella forma hamiltoniana della relativita generale che si sta sviluppando, l’arbitra-
rieta della scala temporale e fornita dalla funzione lapse N(x), infatti per ogni scelta di N(x) si
ottiene un differente parametro temporale e, dunque, una differente foliazione.
1.10 Quantizzazione alla Dirac della relativita generale
Una volta descritta la relativita generale in forma hamiltoniana si e in grado di sviluppare una
prima approssimazione della versione quantistica della teoria. La procedura di quantizzazione,
che si sviluppera, e del tutto analoga a quella descritta nel caso generale. Le variabili dinamiche
classiche della teoria sono, come e noto, la 3-metrica hij ed il suo momento coniugato πij. A
queste quantita si sostituiscono operatori quantistici che agiscono su funzionali d’onda ψ[hij].
Nella rappresentazione metrica le regole di corrispondenza sono le seguenti: alla variabile hij
si associa l’operatore moltiplicatico hij, mentre al momento canonicamente coniugato si associa
l’operatore derivativo funzionale πij = ı~ δδhij
. Questi operatori agiscono sul funzionale d’onda
nella maniera
hijψ = hijψ
πijψ = ı~δ
δhij
ψ. (1.164)
Le regole di commutazione, invece, sono
[N(x), π(x′)] = ı~δ(x,x′)
[Ni(x), πj(x′)] = ı~δji δ(x,x′)
[hij(x), πlm(x′)] = δlmij δ3(x,x′), (1.165)
35
con tutti gli altri commutatori nulli. Inoltre, come nel caso generale, si impone che l’evoluzione
del sistema sia retta dall’equazione di Schrodinger
ı~∂ψ
∂t= HT ψ. (1.166)
In virtu del fatto che si e in presenza di una teoria che possiede vincoli, bisogna imporre questi
ultimi come condizioni operatoriali sul funzionale d’onda, si ottengono cosı
πψ = 0
πiψ = 0
H⊥ψ = 0
H iψ = 0. (1.167)
Si considerino le prime due condizioni operatoriali sul funzionale d’onda, gli operatori π e πi
possiedono la rappresentazione
π = −ı~δ
δNe πi = −ı~
δ
δNi
,
quindi la versione operatoriale dei vincoli primari mostra, esplicitamente, che il funzionale d’onda
ψ dipende solamente da hij. Come si vede nella (1.167), le condizioni operatoriali sul funzionale
d’onda sono quattro, sorge, quindi, il problema di verificare se queste condizioni siano compat-
ibili tra di loro. La consistenza della teoria puo essere dimostrata se si riesce a stabilire che i
commutatori dei vincoli non conducano, a loro volta, a nuovi vincoli. Per quel che concerne i
vincoli primari, non e arduo verificare che essi commutano tra loro e con i vincoli secondari,
infatti
[π(x), πi(x′)] = [π(x), H i(x′)] = [π(x), H⊥(x′)] = [πi(x), Hj(x′)] = [πi(x), H⊥(x′)] = 0. (1.168)
Rimane, adesso, da verificare solamente che i commutatori dei vincoli secondari tra loro non
conducano a nuovi vincoli. Si utilizzera, per l’ultima delle condizioni (1.167), la forma con l’indice
covariante definita come Hi = hijHj. In base a questa posizione la condizione operatoriale
diventa Hiψ = 0, che ha l’importante proprieta di essere bilineare nelle hij e πij, con i primi che
compaiono a sinistra e gli ultimi a destra. I restanti tre commutatori sono [9]
[Hi(x), Hj(x′)] = −ı~
∫
Σ
Hk(x′′)ck
ij(x, x′, x′′)d3x′′
[Hi(x), H⊥(x′)] = ı~H⊥δ,i(x, x′)
[H⊥(x), H⊥(x′)] = 2ı~H iδ,i(x, x′) + ı~H i,iδ(x, x′), (1.169)
36
ove le quantita ckij(x, x′, x′′) sono definite come
ckij(x, x′, x′′) = δk
i δlj δ,l(x, x′′)δ(x′, x′′)− δk
j δli δ,l(x
′, x′′)δ(x, x′′).
Quindi dalle equazioni (1.169), si nota esplicitamente che i commutatori dei vincoli secondari
non conducono a nuovi vincoli, ovvero essi sono compatibili tra loro.
E importante, a questo stadio, analizzare in dettaglio l’equazione di Schrodinger. A tal fine
scriviamo esplicitamente l’hamiltoniana totale che compare nella (1.166), si ha
ı~∂ψ
∂t= (NH⊥ + N iHi + λπ + λiπ
i)ψ =
= N(H⊥ψ) + N i(Hiψ) + λ(πψ) + λi(πiψ), (1.170)
in base alle condizioni (1.167) il secondo membro di quest’ultima equazione e nullo, il che im-
plica l’annullarsi della derivata temporale del funzionale d’onda. Da cio si evince che lo stesso
funzionale d’onda e indipendente dal parametro temporale t. Questo accade, come e stato gia
detto in precedenza, poiche la teoria e invariante per riparametrizzazione, e siccome il parametro
t non e il tempo fisico, il funzionale d’onda non puo dipendere esplicitamente da esso. Analizzi-
amo, dunque, le conseguenze di questa osservazione. Constatato che il funzionale d’onda non
dipende da t, l’evoluzione temporale puo essere imposta, in un certo senso, agli operatori. Ora
si supporra che valga per essi la rappresentazione di Heisenberg, ossia [9]
hij(t,x) = eıHthij(0,x)e−ıH0
, (1.171)
dove hij(t,x) e la 3-metrica indotta sulla ipersuperficie Σt e hij(0,x) e la 3-metrica indotta sulla
ipersuperficie iniziale Σ0. In base ai vincoli (1.167) si ottiene
Hψ = 0 , ψ†H = 0. (1.172)
Considerando, adesso, il valore di aspettazione del funzionale d’onda ψ sull’equazione (1.171) si
ottiene
ψ†hij(t,x)ψ = ψ†eıHthij(0,x)e−ıH0
ψ = ψ†hij(0,x)ψ. (1.173)
Alla luce di quest’ultima equazione si potrebbe concludere che non esiste evoluzione nella ge-
ometrodinamica quantistica, e che la teoria quantistica non fornisce altro che una rappresen-
tazione statica dello spazio-tempo. Questo problema si risolve, nell’ambito di uno spazio-tempo
asintoticamente piatto, ricorrendo al termine di bordo dell’hamiltoniana che, in questo caso,
deve essere preso in considerazione. Infatti e proprio il termine di bordo che fa sı che l’equazione
(1.170) non fornisca un risultato nullo, in questo caso l’equazione si puo scrivere [9]
ı~∂ψ
∂t= (H + H∞)ψ = H∞ψ, (1.174)
37
dove si nota che la presenza di H∞ fa in modo che la derivata temporale del funzionale d’onda sia
non nulla. Cio significa che nella teoria esiste un parametro temporale privilegiato in base al quale
costruire la dinamica. Infatti, poiche lo spazio-tempo e asintoticamente piatto, all’infinito un
sistema di riferimento privilegiato e quello di Minkowski che ha un tempo ben definito. Quindi, in
definitiva, in uno spazio-tempo asintoticamente piatto, l’equazione (1.173) deve essere sostituita
dalla seguente:
ψ†hij(t,x)ψ = ψ†eıH∞thij(0,x)e−ıH∞tψ. (1.175)
D’altra parte, se lo spazio-tempo possiede la topologia R × Σ, con Σ ipersuperficie compatta,
si ripresenta il problema dell’equazione (1.173). In questo caso l’interpretazione che si da all’e-
quazione non e quella che prospetta un universo statico, ma e quella che informa che il sistema di
coordinate e realmente irrilevante. In effetti si puo assegnare un significato fisico solamente alla
dinamica intrinseca dell’universo, e, per la sua descrizione, e necessario un sistema di coordinate
che rispecchi la geometria stessa. Ad esempio, in un universo asintoticamente piatto, le coor-
dinate di Minkowski possiedono una rilevanza fisica indipendente come sistema di coordinate
basata sull’assunzione che esista, all’infinito, il gruppo di isometria di Poicaire. Nel caso, invece,
di uno spazio-tempo compatto, solamente i vincoli forniscono una completa descrizione quanto-
meccanica dello spazio-tempo. Per concludere, le equazioni dei vincoli, da sole, descrivono la
teoria in modo che nient’altro sia necessario.
In base, quindi, a queste osservazioni, e necessario ritornare alle equazioni (1.167), in parti-
colare si considerino le ultime due
H⊥ψ = 0 , Hiψ = 0,
in virtu della forma classica dei vincoli e delle regole di corrispondenza esplicate all’inizio del
paragrafo, si ottiene, per la seconda di queste equazioni
H iψ = −2∇j
(−ı~
δ
δhij
)ψ[hij] = 2ı~∇j
(δψ
δhij
)= 0. (1.176)
Per quel che concerne la prima equazione, invece, si introduca il campo tensoriale di rango 4,
chiamato metrica di DeWitt, definito come
Gijkl =1
2√
h[hikhjl + hilhjk − hijhkl] , (1.177)
in base ad esso il vincolo classico si puo scrivere
H⊥ = Gijklπijπkl −
√h(3)R. (1.178)
38
In virtu di quest’ultima equazione e alla forma della metrica di DeWitt, si ottiene l’importante
relazione
H⊥ψ =
Gijkl
(−ı~
δ
δhij
)(−ı~
δ
δhij
)−√
h(3)R
ψ[hij] =
=
−~2Gijkl
δ2
δhijδhkl
−√
h(3)R
ψ[hij] = 0, (1.179)
che e chiamata equazione di Wheeler-DeWitt. E solamente questa equazione che, in uno spazio-
tempo finito, regge la dnamica delle ipersuperfici 3-dimensionali, come e stato notato in prece-
denza.
Ritornando all’equazione (1.176), e interessante osservare le conseguenze a cui essa giunge. A
tal fine si consideri la trasformazione infinitesima di coordinate su di una ipersiperficie Σ
xi −→ x′i = xi + ξi(xk) (1.180)
la variazione della 3-metrica per azione di questa trasformazione e (par:3.2)
hij −→ h′ij = hij + 2(3)∇(iξj) da cui δhij = 2(3)∇(iξj). (1.181)
La variazione del funzionale d’onda risulta essere
δψ = ψ[hij(x′)]− ψ[hij(x)], (1.182)
ma il primo termine del membro di destra ha la seguente espansione:
ψ[hij(x′)] = ψ[hij(x
i + ξi(xk))] ' ψ[hij(x)] +
∫
Σ
δψ[hij]
δhij
δhijd3x, (1.183)
da cui sostituendo nella (1.182) ed utilizzando la (1.181) si ottiene
δψ = 2
∫
Σ
δψ[hij]
δhij
(3)∇(iξj)d3x. (1.184)
Integrando per parti si ottiene
2
∫
Σ
δψ[hij]
δhij
(3)∇(iξj)d3x = 2
∫
Σ
d3x(3)∇(i
[ξj)
δψ[hij]
δhij
]− 2
∫
Σ
d3xξ(i(3)∇j)
δψ[hij]
δhij
, (1.185)
ma il primo integrale e nullo, quindi si giunge alla conclusione
δψ = −2
∫
Σ
d3xξ(i(3)∇j)
δψ[hij]
δhij
. (1.186)
Adesso in virtu della condizione (1.176), quest’ultimo integrale e nullo, e, di conseguenza, anche
la variazione del funzionale d’onda. Da cio si deduce che ψ e invariante sotto l’azione della
39
trasformazione (1.180), ovvero in uno spazio-tempo che possegga una foliazione tramite ipersu-
perfici compatte, cio implica che ψ deve dipendere solamente da quantita che siano invarianti
topologici.
E importante, adesso, per completezza, analizzare piu dettagliatamente l’equazione di Wheeler-
DeWitt ed il dominio del funzionale d’onda ψ. Come si e gia visto, il funzionale d’onda ha come
argomento la 3-metrica indotta su di una ipersuperficie Σ, dunque e proprio nell’insieme delle
3-metriche che bisogna cercare il dominio del funzionale. Si consideri, quindi, una varieta 3-
dimensionale compatta Λ e si denoti con Ω l’insieme di tutte le 3-metriche che la varieta Λ puo
avere, ovvero
A ≡ hij ∈ T2Λ : hij e la metrica per Λ .
Non e difficile mostrare che questo insieme, indicato con il nome Riem(Λ), e uno sottospazio
aperto dello spazio di tutte le matrici simmetriche 3 × 3 i cui punti sono proprio le 3-metriche
hij. Tuttavia questo non e ancora il dominio del funzionale ψ poiche, come e stato visto in
precedenza grazie all’equazione (1.176), esso e invariante rispetto al gruppo dei diffeomorfismi
della ipersuperficie 3-dimensionale. Sia, quindi, Diff(Λ) il gruppo di tutti i diffeomorfismi C∞
agenti su Λ. Ogni elemento f ∈ Diff(Λ) mappa Riem(Λ) in se stesso tramite la nota legge di
trasformazione dei tensori simmetrici covarianti, che si puo scrivere come
h′ = f ∗h.
In particolare Diff(Λ) agisce come un gruppo di trasformazione ad un parametro
f : (t, h) ∈ R×Riem(Λ) −→ ft(h) ∈ Riem(Λ),
che per t = cost si riduce ad un diffeomorfismo di Riem(Λ), e per t = 0 si riduce all’identita. In
base a cio l’orbita di ciascun punto h ∈ Riem(Λ) sotto l’azione di Diff(Λ) e definita come la
curva differenziabile
γ : t ∈ R −→ ft(h) ∈ Riem(Λ), (1.187)
ovvero l’orbita di h e formata da tutte le 3-metriche che si ottengono da h tramite un diffeomor-
fismo di Λ identificato dal parametro t. Si definisce, quindi, il superspazio, e si indica con S (Λ),
lo spazio quoziente
S (Λ) =Riem(Λ)
Diff(Λ), (1.188)
ossia, vengono identificate tutte le 3-metriche che si trovano sulla stessa orbita. In definitiva,
S (Λ) e l’insieme delle geometrie di Λ che sono classi di equivalenza di metriche riemanniane
isometriche. Il dominio, dunque, del funzionale d’onda ψ e lo spazio, infinito dimensionale,
40
prodotto diretto Λ⊗S (Λ), ovvero ad ogni punto x ∈ Λ si associa lo spazio S (Λ). Sul superspazio
si puo definire una famiglia ad un parametro di supermetriche data dall’espressione
Gijkl(α) =1
2√
h[hikhjl + hilhjk + αhijhkl] (1.189)
La metrica di DeWitt (1.177), invece, e una delle possibili metriche sul superspazio ottenuta
ponendo α = −1, ed e proprio la metrica che permette di scrivere i vincoli nella forma (1.178).
La sua inversa e definita dall’equazione
GijmnGmnkl =1
2(δk
i δlj + δl
iδkj ),
ove esplicitamente
Gijkl =1
2
√hhikhjl + hilhjk − 2hijhkl (1.190)
Tuttavia, come Fischer [6] ha dimostrato, il superspazio non e una varieta, ma tutte le geometrie
con lo stesso tipo di simmetria hanno intorni omeomorfi e sono, quindi, varieta. In altre parole
il motivo per il quale il superspazio non e una varieta e il seguente: se un punto h ∈ Riem(Λ)
rimane invariato sotto l’azione di un sottogruppo non triviale del gruppo Diff(Λ), ossia
∃ Υ ⊆ Diff(Λ) : ∀f ∈ Υ =⇒ h = f ∗h,
allora la corrispondente orbita differisce omeomorficamente dall’orbita generica, ed i suoi intorni,
nello spazio delle orbite, differiscono strutturalmente da quelli di un orbita generica. Un esempio
semplice e rappresentato dallo spazio R3 e dal gruppo delle rotazioni U(1) attorno all’asse z. Le
orbite sono circonferenze che hanno l’asse z come centro. I punti che rimangono invariati sotto
l’azione del gruppo sono proprio i punti dell’asse. Quindi lo spazio delle orbite e il semipiano
euclideo, e le orbite, corrispondenti ai punti dell’asse z, giacciono al bordo di questo semipiano.
Tuttavia, sono proprio i punti al bordo che impediscono che lo spazio delle orbite sia una varieta.
Quindi, le geometrie con un alto grado di simmetria si trovano al bordo di geometrie meno
simmetriche [7].
Una importante proprieta topologica del superspazio, necessaria per dimostrare i teoremi
sulla sua struttura, e la seguente:
Teorema 1.10.1 (Teorema di metrizzazione del superspazio) Il superspazio S (Λ) e uno
spazio connesso, che soddisfa il secondo assioma di numerabilita, ovvero ammette una base di
aperti numerabile per la sua topologia, ed e metrizzabile, ossia esiste su S (Λ) una distanza che
induce la topologia assegnata.
41
Prima di poter capire come le varieta, costituite da geometrie della stessa simmetria, contribuis-
cano a formare il superspazio, sono necessarie alcune definizioni. Sia G un sottogruppo compatto
di Diff(Λ), e si denotino con (G) tutti i sottogruppi compatti di Diff(Λ) che sono coniugati a
G mediante un elemento in Diff(Λ), ovvero
(G) =
fGf−1 : f ∈ Diff(Λ)
.
Se qualche elemento di (H) e incluso in qualche elemento di (G), allora si dice che (H) ≤ (G).
Quest’ultima relazione e un ordinamento parziale. L’insieme parzialmente ordinato di classi di
coniugazione di sottogruppi compatti di Diff(Λ) viene utilizzato per indicare una partizione di
S (Λ).
Una partizione di uno spazio topologico X di Hausdorff che soddisfa il secondo assioma di
numerabilita, e un insieme di sottospazi Xαnon vuoti tale che
X =⋃α
Xα e
Xα ∩Xβ 6= ∅ =⇒ α = β.
Il sottospazio Xα e di Hausdorff, a base numerabile, e le sue componenti
X i
α : i ∈ Cα
,
operano una partizione di Cα. Se Xα e una partizione per X, Xjα e la partizione completa
di X, indiciata da (α, i) : α ∈ A, i ∈ Cα
.
Una partizione e detta una partizione in varieta se ogni Xα e una varieta.
Una stratificazione di uno spazio topologico X connesso, a base numerabile e di Hausdorff, e
una partizione in varieta di X che e numerabile, parzialmente ordinata, la cui partizione completa
gode della proprieta di frontiera,
X iα ∩Xj
β 6= ∅ ⇐⇒ (α, i) 6= (β, j)
=⇒ X iα ⊂ Xj
β e α < β ⇐⇒ (α, i) < (β, j).
Le varieta Xα sono dette gli strati della stratificazione, e le varieta X iα gli strati connessi.
Si possono, adesso, enunciare i teoremi di struttura del superspazio.
Teorema 1.10.2 La decomposizione di S (Λ) nei sottospazi SG(Λ) e una partizione in va-
rieta di Frechet, che sono varieta quasi normate e complete, di classe C∞, ed e numerabile e
parzialmente ordinata.
42
Teorema 1.10.3 La partizione in varieta SG(Λ) di S (Λ) e una stratificazione invertita
indiciata dal tipo di simmetria.
Quest’ultimo teorema, quindi, dice che le geometrie di un dato grado di simmetria sono com-
pletamente contenute nel contorno di geometrie meno simmetriche. Tuttavia, per poter scrivere
equazioni differenziali, sarebbe necessario estendere il superspazio ad una opportuna varieta, il
teorema di estensione del superspazio viene in aiuto proprio in questo senso.
Una volta identificato il dominio del funzionale d’onda e la sua struttura, si puo procedere
a studiare l’equazione di Wheeler-DeWitt (1.179). Quest’ultima e una equazione differenziale
funzionale iperbolica del secondo ordine sul superspazio esteso, S ext(Λ). Siccome quest’ultima
e una equazione differenziale funzionale, non si possono trovare soluzioni all’equazione completa,
ovvero a causa del termine di curvatura scalare, presente nell’equazione, non sono note, tutt’og-
gi, soluzioni esatte. Tuttavia, si possono ottenere soluzioni, solamente se si escludono dei gradi
di liberta della teoria, in pratica si considerano solamente geometrie con un alto grado di sim-
metria, in modo che gli infiniti gradi di liberta del campo gravitazionale possono essere ridotti
ad un numero finito, in altre parole si restringe l’equazione al bordo del superspazio, dove sono
presenti le geometrie con il piu alto grado di simmetria. Questi modelli si chiamano modelli di
mini-superspazio.
Si supponga di aver trovato una soluzione all’equazione di Wheeler-DeWitt, e necessario,
dunque, definire un prodotto scalare da inserire nello spazio di Hilbert. Una definizione puo
essere la seguente [8]:
〈ψ|φ〉 =
∫d[h]ψ∗[h]φ[h], (1.191)
tuttavia questa definizione deve affrontare il problema del tempo. Infatti, in gravita canonica
classica, la 3-metrica hij non contiene solamente informazioni circa i gradi di liberta della teoria,
ma anche circa il tempo su Σ. In effetti e necessaria una ben precisa nozione di tempo prima di
poter fornire una definizione di probabilita che abbia senso, in quanto se si integra la (1.191) su
tutte le 3-metriche, si presenta anche una integrazione nel tempo, e quindi l’integrale diverge.
Questo problema, pero, sorge poiche non e stata fatta una scelta di gauge nel prodotto scalare. Il
vincolo hamiltoniano non coinvolge solamente il campo, ma esso genera anche trasformazioni che
lasciano lo stato fisico invariato. Quindi questi stati gauge-equivalenti devono essere, in qualche
modo, eliminati dall’integrazione. Questo argomento va in favore, come si vedra in seguito,
della definizione del prodotto interno formulato tramite l’integrale funzionale. Sono possibili
altre definizioni di prodotto interno, ma anche queste ultime hanno problemi matematici e di
interpretazione.
Anche se si riuscisse a definire un prodotto interno, l’equazione di Wheeler-DeWitt non e
43
esente da problemi. Il primo di questi e la presenza, al suo interno, di due derivate funzionali
che sono valutate nello stesso punto. Quando queste ultime agiscono su un funzionale di hij,
forniscono un fattore δ3(0). Quindi l’equazione deve essere rinormalizzata. Tuttavia DeWitt [9]
osserva che non c’e nulla di automaticamente patologico nell’avere due derivate funzionali che
agiscono nello stesso punto. Infatti, si consideri, ad esempio, il funzionale
I =1
2
∫dx
∫dx′ϕ(x)K(x, x′)ϕ(x′),
ove ϕ e una funzione arbitraria, e K e un fissato Kernel. Allora
δ2I
δϕ(x)δϕ(x)= K(x, x),
il problema sorge solamente quando K(x, x) e singolare. Un’altro importante problema concerne
la questione dell’ordinamento degli operatori non commutanti, all’interno della teoria. Per ul-
timo, ma non per importanza, c’e il problema di quali condizioni al contorno bisogna imporre
all’equazione per ottenere una soluzione fisicamente accettabile.
1.11 Conclusioni
Nella prima parte di questo capitolo e stata studiata l’analisi di Dirac dei sistemi hamiltoniani
vincolati classici e la procedura di quantizzazione. In quest’ambito sono stati definiti i vincoli,
e sono state ricavate le equazioni del moto. Una particolarita interessante, che possiedono le
equazioni del moto dei sistemi vincolati, e la seguente: all’interno delle equazioni, e quindi delle
soluzioni, sono presenti funzioni arbitrarie definite sullo spazio delle fasi. Queste ultime fanno sı
che l’evoluzione del sistema non sia univocamente determinata una volta assegnate le condizioni
iniziali. Per preservare l’unicita della soluzione, tutte le evoluzioni che si ottengono a partire da
un unico dato iniziale devono essere considerate equivalenti. In altre parole, sono fisicamente
equivalenti tutte quelle soluzioni che si ottengono l’una dall’altra tramite una trasformazione
di gauge. D’altra parte, come e stato visto nel lavoro, i vincoli di prima classe sono proprio i
generatori infinitesimi delle trasformazioni di gauge. Una volta descritto il formalismo in ambito
classico, si e passati alla quantizzazione del sistema. La procedura di quantizzazione consiste nel
sostituire, tramite le regole di corrispondenza, le variabili dinamiche classiche con i corrispettivi
operatori quantistici, i quali soddisfano a regole di commutazione corrispondenti alle parentesi
di Poisson classiche. Imporre, come equazione di evoluzione, l’equazione di Schrodinger, ed,
infine, imporre la versione operatoriale dei vincoli di prima classe come condizione sulla funzione
d’onda. Il formalismo sviluppato, grazie all’arbitrarieta che presenta, si presta, in particolare,
44
allo studio della relativita generale. Per utilizzare l’analisi di Dirac, e stato necessario porre
la teoria in forma hamiltoniana, a tal fine e stato sviluppato il formalismo di Arnowitt, Deser
e Misner che si basa sulla foliazione 3+1 dello spazio-tempo. L’arbitrarieta della scelta del
sistema di riferimento, si presenta nelle due quantita che caratterizzano la foliazione, ovvero il
vettore di shift e la funzione di lapse. Queste ultime quantita, infatti, diventano, nella forma
hamiltoniana della teoria, moltiplicatori di Lagrange. La variazione dell’azione rispetto ad essi
fornisce i quattro vincoli primari, mentre dalla condizione che i vincoli primari siano preservati
durante l’evoluzione temporale, fornisce quattro vincoli secondari. Nel passaggio alla teoria
quantistica, i quattro vincoli primari indicano che il funzionale d’onda non puo dipendere dalla
funzione lapse e dal vettore shift, mentre i vincoli secondari conducono all’equazione di Wheeler-
DeWitt ed all’invarianza del funzionale d’onda rispetto ai diffeomorfismi. Si e visto, tuttavia,
che l’equazione di Wheeler-DeWitt non rappresenta una equazione di evoluzione, proprio perche
non esiste una definizione intrinseca di tempo, infatti scegliere un parametro temporale significa
operare un gauge-fixing. Pertanto l’arbitrarieta di gauge della relativita generale, sta proprio
nell’arbitrarieta della scelta del sistema di riferimento. Constatato, dunque, che il formalismo
presenta dei problemi, come visto nell’ultimo paragrafo, e che la sua struttura 3+1 va contro lo
spirito della relativita, sarebbe opportuno affrontare il problema da un altro punto di vista che
risulti, tra l’altro, adatto a trattare le teorie che presentano invarianza di gauge. Il formalismo,
che verra sviluppato nel prossimo capitolo, e quello dell’integrale funzionale di Feynman.
45
Capitolo 2
Approccio tramite l’integrale funzionale
2.1 Introduzione
Come e stato visto in precedenza, l’approccio di Dirac alla quantizzazione del campo gravi-
tazionale, conduce ad alcuni problemi. Al fine di risolvere, almeno in parte, questi problemi, si
puo pensare di utilizzare una procedura alternativa di quantizzazione. Quest’ultima e fornita
dall’integrale funzionale sviluppato da Feynman, che puo considerarsi il punto di partenza per
la teoria quantistica. Questo approccio fornisce l’ampiezza di transizione, per un sistema, di
passare da uno stato A al tempo t1 ad uno stato B al tempo t2, tramite una somma su tutti i
cammini, nello spazio delle fasi, che uniscono A con B, pesati con l’azione classica. Questa idea
si trasferisce direttamente alla quantizzazione del campo gravitazionale nella maniera seguente:
l’ampiezza di transizione da una 3-metrica hij su di una ipersuperficie Σ1 ad una 3-metrica h′ijsu di una ipersuperficie Σ2, e fornita dalla somma su tutte le 4-metriche che coincidono con hij
su Σ1 e con h′ij su Σ2, ciascuna pesata tramite l’azione classica. Da notare che le geometrie sulle
quali si somma non sono solamente quelle classicamente permesse, ossia quelle che si ottengono
dalla ipersuperficie iniziale tramite uno sviluppo di Cauchy, ma sono tutte le geometrie che ab-
biano la proprieta descritta sopra.
Per costruire una teoria quantistica della gravita utilizzando l’integrale funzionale, e neces-
sario descrivere gli elementi di base di questo approccio, che sono i seguenti [11]:
1) Si introduce una varieta M i cui punti non hanno un significato fisico in se, e sulla quale
non si opera mai una scelta definita di una metrica.
2) Particolarmente importanti sono i sottoinsiemi di questi punti σ1, σ2 . . . σi, le ipersuperfici,
che sono sottovarieta di M .
3) L’introduzione di una metrica gab in un punto x di M , rende possibile definire un prodotto
46
interno tra i vettori v ∈ TxM , ossia introducendo un sistema di coordinate locali
u · v = g(u,v) = gabuavb. (2.1)
4) Si introduce una storia di campo per la metrica g, oppure per un campo generico f ,
fornendo, per ciascun punto x ∈ M , il valore del campo g(x) oppure f(x) in quel punto.
5) Se i valori g(x) oppure f(x) vengono specificati solamente su di una ipersuperficie σi,
vengono denominati configurazione del campo g oppure f su σi.
6) Si considerano, per ogni ipersuperficie σ, funzionali di stato ψσ, che differiscono dalla piu
ristretta classe dei funzionali di stato fisici. Un particolare funzionale di stato ψσ e definito
assegnando, per ogni configurazione di campo g(x), un numero complesso ψσ(g).
7) L’equazione di Schrodinger seleziona, fra tutti i possibili funzionali di stato, alcuni di essi,
ammissibili, chiamati stati. Si determina l’intera famiglia ammissibile di funzionali di stato se
si fornisce un membro, ad esempio ψ0. Quando ψ e rappresentato da ψ0, si sta utilizzando la
rappresentazione di Heisemberg, mentre se ψ e rappresentato dall’intera famiglia ψt, allora si
sta utilizzando la rappresentazione di Schrodinger. Similmente, in teoria dei campi, uno stato ψ
puo essere rappresentato da un funzionale di stato ψ0 su di una data ipersuperficie σ0, oppure
tramite una famiglia di funzionali di stato ψσ, che soddisfano ad un principio dinamico.
8) Come principio dinamico si utilizza quello di Feynman (Appendice: B.1), in base al quale
a partire da un funzionale di stato ψ0 su σ0, gli altri membri della famiglia ψσ per lo stato
determinato da ψ0 si ottengono tramite la formula
ψσ(gσ) =
∫K(gσ, σ; g0, f0)ψ0(g0)µ(g0), (2.2)
dove si e eseguita una integrazione funzionale sulle configurazioni di campo g0 su σ0, e K,
nell’integrando, e il propagatore di Feynman.
9) Il propagatore di Feynman e definito tramite una integrazione funzionale sulle storie di
campo
K(g2, σ2; g1, σ1
)=
∫µ(g) e
ı~SV (g), (2.3)
ove SV (g) e il funzionale d’azione classico, valutato per la particolare storia di campo g sulla
regione V , 4-dimensionale, che ha σ2 e σ1 come bordi. Tuttavia, come si vedra in seguito, SV [g]
non e propriamente l’azione classica in quanto, per le teorie di gauge, saranno presenti termini
di gauge fixing e termini contenenti ghost. Per il momento, pero, supponiamo che questi termini
siano assenti. L’integrazione funzionale si estende su tutte le storie di campo g che coincidono
con g1 su σ1 e con g2 su σ2. La misura, tuttavia, e ben lungi dall’essere un concetto rigorosamente
47
definito.
10) La richiesta di invarianza di gauge conduce ad una ulteriore condizione, in modo che non
tutti i funzionali di stato ψ0 su σ0 definiscono, tramite la (2.2), uno stato ψ utilizzabile. Quei
ψ0 che definiscono uno stato utilizzabile ψ, e lo stato stesso, vengono chiamati stati fisici.
11) L’invarianza di gauge in relativita generale ha la sua origine nell’invarianza topologica
della teoria. Ovvero, si considerino due varieta M ed M ′ che siano topologicamente equivalenti.
Se si costruiscono tutti gli oggetti della teoria sulle due varieta e poi si sceglie un particolare
omeomorfismo tra M ed M ′, allora e sempre possibile estendere questo omeomorfismo ad una
corrispondenza 1-1 tra gli oggetti costruiti sulla varieta M e quelli costruiti sulla varieta M ′.
In altre parole, se e presente una invarianza topologica, la teoria non distingue tra una varieta
M ed una topologicamente equivalente ad essa. Quindi se due ipersuperfici σ1 e σ2 sono topo-
logicamente equivalenti ad altre due ipersuperfici σ3 e σ4, allora i corrispettivi propagatori di
Feynman K(2, 1) e K(4, 3) devono essere equivalenti. Tutto questo si ripercuote sul funzionale
di stato ψ costruito a partire da ψ0 su σ0, infatti se non esiste nessun criterio topologico che
distingua la relazione che esiste tra σ1 e σ0 e la relazione tra σ2 e σ0, allora i funzionali ψ1 e ψ2
sono equivalenti.
12) Le idee di base delle rappresentazioni di Heisenberg e di Schrodinger, familiari nelle altre
teorie di campo, possono essere estese alla gravitazione quantistica solamente per analogia, in
quanto non esiste una metrica o una definizione di tempo utilizzabili per definirle rigorosamente.
Per esempio non si puo parlare di ipersuperficie di tipo spazio, ma solamente di funzionale di
stato di tipo spazio, ovvero un ψσ che si annulla per ogni configurazione di campo g che non
rende σ di tipo spazio. Similmente, il principio dinamico di Feynman (2.2), che e stato costruito
per analogia con la meccanica quantistica, non descrive una evoluzione, ossia non e in realta
dinamico, questo accade poiche il funzionale ψ e indipendente da σ.
2.2 L’integrale funzionale per la relativita generale
E stato visto, nell’introduzione, che l’approccio alla quantizzazione della gravita assume che
l’ampiezza di transizione da una 3-metrica hij su di una ipersuperficie σ ad un’altra 3-metrica
h′ij su σ′, e
〈h′ij|hij〉 =
∫
C
Dg eıS[g], (2.4)
dove l’integrale e svolto sull’insieme di tutte le 4-metriche gµν che coincidono con hij su σ e con
h′ij su σ′. In quel che segue si considereranno spazio-tempi chiusi, ossia dotati di un bordo di
tipo spazio compatto. Da notare che, nella definizione del propagatore, non e presente il tempo.
48
Questo poiche, come e stato detto in precedenza, in un Universo chiuso non esiste una nozione
ben definita di tempo. Infatti il parametro temporale, che misura la distanza tra le ipersuperfici,
dipende strettamente dalla 4-metrica sulla quale si sta sommando.
All’interno della definizione (2.4) compare, inoltre, la misura Dg definita sul’insieme C di
tutte le 4-metriche che coincidono con hij su σ e con h′ij su σ′. La definizione di questa misura,
pero, e uno dei maggiori problemi che si incontra utilizzando l’approccio alla quantizzazione
tramite l’integrale funzionale. Semplicemante non e noto un modo per dare un senso matem-
aticamente rigoroso al Dg. Tuttavia, nonostante la mancanza di una definizione rigorosa della
misura, si possono considerare operazioni formali che conducono a risultati soddisfacenti.
Inoltre, nell’ordinaria teoria quantistica dei campi, l’integrale funzionale presenta la seguente
difficolta: siccome l’azione S e finita, l’integrale oscilla, e quindi tende a non convergere. D’al-
tra parte, la soluzione che estremizza l’azione si ricava da una equazione iperbolica con dati
al contorno assegnati tra due ipersuperfici iniziale e finale, che non e un problema matemati-
camente ben posto, in quanto puo ammettere infinite soluzioni oppure nessuna. Per risolvere
questo problema si effettua una rotazione di Wick a tempi immaginari t → −ıτ e si considera
l’integrale funzionale formulato in termini dell’azione euclidea, I = −ıS. L’azione, in questa
maniera, e definita positiva, e all’interno dell’integrando compare un esponenziale negativo che
dovrebbe condurre alla convergenza dell’integrale. E necessario, tuttavia, fare una precisazione
sul significato della rotazione di Wick [12]. E noto che un punto euclideo complesso e una n-upla
z = (z1, z2, . . . , zn) tale che
zj ≡ (~xj, ısj), con sj ∈ R, ~xj ∈ R3. (2.5)
Mentre un punto euclideo reale e una n-upla y = (y1, y2, . . . , yn) tale che
yj ≡ (~xj, sj), con sj ∈ R, ~xj ∈ R3. (2.6)
La corrispondenza tra punti euclidei reali e complessi e uno-a-uno, e una trasformazione di
Lorentz complessa Λ che mappa l’insieme dei punti euclidei complessi in se stesso, induce una
rotazione di SO(4) sui corrispondenti punti euclidei reali. Ora, l’insieme dei punti euclidei
non-coincidenti e l’insieme delle n-uple (y1, y2, . . . , yn) con yi 6= yj ∀i, j. Nell’ordinaria teoria
quantistica dei campi sullo spazio di Minkowski, le funzioni di Wightman sono le funzioni di
correlazione del campo, ovvero per un campo scalare hermitiano esse si scrivono
W(x1, x2, . . . , xn) = 〈Ψ0|ϕ(x1) · · ·ϕ(xn)|Ψ0〉, (2.7)
dove Ψ0 e lo stato di vuoto. Adesso, le funzioni di Schwinger sono definite nei punti euclidei
non-coincidenti come
S(y) = S(y1, y2, . . . , yn) = W(z1, z2, . . . , zn) = W(z), (2.8)
49
dove zj ed yj sono definiti come nelle (2.5) e (2.6), con yi 6= yj ∀i, j. La condizione yi 6= yj e
necessaria per eliminare i punti che giacciono all’esterno del dominio di analitcita delle funzioni di
Wightman. Quindi, in generale, la definizione (2.8) e data semplicemente fornendo la prescrizione
di cambiare il parametro temporale da t a ıt, ma questo non puo essere soddisfacente. Ad
esempio per garantire che la rotazione di Wick, t −→ ıt, conduca ad una formulazione euclidea
equivalente all’originaria teoria relativistica, si dovrebbe essere sicuri che questa rotazione non
passi attraverso regioni di non-analiticita delle funzioni di Wightman. Se questo requisito non
e soddisfatto, le funzioni di Wightman a tempi immaginari possono differire sostanzialmente
dall’insieme originale delle funzioni di Wightman. In definitiva e alla luce del discorso appena
svolto che bisogna pensare alla rotazione di Wick.
Inoltre anche il problema di trovare un estremo per l’azione diventa quello di risolvere una
equazione ellittica con condizioni al contorno che risulta essere un problema matematicamente
ben posto. Si puo applicare lo stesso metodo anche alla gravita quantistica, sostituendo l’azione
lorenziana −ıS, con l’azione euclidea I, e considerando la somma su tutte le metriche con seg-
natura (+ + ++) che inducono la 3-metrica hij su σ e la 3-metrica h′ij su σ′.1
L’integrale funzionale euclideo per la gravita quantistica, presenta, pero, una ulteriore diffi-
colta. Diversamente da quanto accade nella descrizione quantistica dei campi ordinari, l’azione
gravitazionale non e definita positiva. Questo puo essere esplicitamente visto scrivendo il tensore
metrico gµν in termini di gµν che rientra nella classe di equivalenza conforme di gµν , esplicitamente
gµν(x) −→ gµν(x) = Ω2(x)gµν(x), (2.9)
dove Ω(x) e una funzione continua definita sullo spazio-tempo chiamata fattore conforme. Per
valutare la variazione dell’azione sotto riscalaggio conforme, e necessario calcolare lo scalare di
curvatura (4)R in termini della metrica gµν . A tal fine, e importante notare che, mentre a gµν e
associata la connessione ∇a, a gµν e associata la connessione ∇a. La relazione tra le due e
∇aωb = ∇aωb − Γcabωc, (2.10)
dove il simbolo di Christoffel e
Γcab =
1
2gcd
∇agbd +∇bgad −∇dgab
. (2.11)
1E interessate, a questo punto, fare una precisazione. In letteratura si parla sempre di integrale funzionale
euclideo, pero questo puo condurre a malintesi. Piu precisamente si dovrebbe parlare di integrale riemmaniano,
in quanto la parola euclideo induce a pensare a spazio-tempi piatti. Invece si considerano, in quest’ambito,
varieta che possiedono una metrica con segnatura (++++) ma che, in generale, possiedono curvatura non nulla,
e queste sono chiamate varieta riemanniane.
50
Sostituendo l’espressione (2.9) all’interno della (2.11) si ottiene
Γcab = 2 δc
(a∇b) log Ω(x)− gcdgab∇d log Ω(x) (2.12)
Tramite l’equazione (2.12) si e in grado di studiare la relazione fra i tensori di Riemann scritti
nelle due metriche. Utilizzando l’espressione che definisce il tensore di Riemann,
R dabc ωd = ∇a∇b ωc − ∇b∇aωc, (2.13)
si ottiene la relazione
R dabc = R d
abc − 2∇[aΓdb]c + Γe
caΓdbe − Γe
cbΓdae
= R dabc − 2∇[aΓ
db]c + 2Γe
c[aΓdb]e, (2.14)
ove
A[iBj] =1
2
(AiBj −BiAj
).
L’equazione (2.14), quindi, e la relazione cercata tra i due tensori di Riemman. Sostituendo la
(2.12) nell’equazione (2.14) si ha
R dabc = R d
abc + 2 δd[a∇b]∇c log Ω(x)− 2gdegc[a∇b]∇e log Ω(x) + 2(∇[a log Ω(x))δd
b]∇c log Ω(x)
− 2gefδd[agb]c(∇f log Ω(x))(∇c log Ω(x))− 2gdigc[a(∇b] log Ω(x))(∇i log Ω(x)). (2.15)
Contraendo gli indici ”b” e ”d”, e considerando uno spazio-tempo arbitrario di dimensione m,
da quest’ultima espressione si ottiene il tensore di Ricci
Rac = Rac − (m− 2)∇a∇c log Ω(x) + (m− 2)(∇a log Ω(x))(∇c log Ω(x))
− gacgbe∇b∇e log Ω(x)− (m− 2)gefgac(∇f log Ω(x))(∇e log Ω(x)). (2.16)
Da quest’ultima relazione si ottiene, in definitiva, lo scalare di curvatura
R = Ω−1(x)R− 2(m− 1)Ω−1(x)gac∇a∇c log Ω(x)
− (m− 2)(m− 1)Ω−2(x)gac(∇a log Ω(x))(∇c log Ω(x)). (2.17)
Al fine di scrivere l’azione in termini delle quantita riscalate, e necessario studiare la relazione
tra la curvatura estrinseca Kab e la curvatura estrinseca Kab. Ovvero
Kab = Ω(x)Kab − nb(∂aΩ(x)) + gabnf (∂fΩ(x), (2.18)
ove, come al solito, na e la normale alla iprsuperficie. Mentre per la traccia di Kab si ottiene
K = Ω−1(x)K + Ω−2(m− 1)nf (∂fΩ(x)). (2.19)
51
A questo punto si puo valutare esplicitamente la variazione dell’azione sotto riscalaggio conforme.
Sostituendo le quantita trovate in precedenza all’interno dell’azione si ha
S =
∫
M
d4x√
g
Ω2(x)R− (m− 1)(m− 6)(∂aΩ(x))(∂aΩ(x))
+ 2
∫
∂M
d3x√
h Ω2(x)K. (2.20)
Per l’ordinario spazio-tempo 4-dimensionale si ottiene, quindi,
S =
∫
M
d4x√
g
Ω2(x)R + 6(∂aΩ(x))(∂aΩ(x))
+ 2
∫
∂M
d3x√
h Ω2(x)K. (2.21)
Quindi, si nota chiaramente che la (2.21) diventa arbitrariamente negativa per Ω(x) che varia
rapidamente. Di conseguenza l’integrale funzionale euclideo per la gravitazione, pesato con
l’azione (2.21), e manifestamente divergente. Per costruire un integrale funzionale euclideo che
sia convergente, Gibbons, Hawking e Perry proposero una ulteriore operazione formale chiamata
rotazione conforme. Quest’ultima consiste nel dividere l’integrale in una integrazione sul fattore
conforme ed una integrazione su metriche che definiscono differenti classi di equivalenza conforme
[5]. Per selezionare un membro fra le classi di equivalenza, si consideri Ω → 1 all’infinito, e che
sia tale da soddisfare l’equazione R = 0. Quindi in base all’espressione (2.17), ponendo m = 4
si ottiene l’equazione per Ω
¤(Ω−1(x))− 1
6RΩ−1(x) = 0, (2.22)
con la condizione che Ω → 1 all’infinito. Per rendere l’integrale funzionale sul fattore conforme
Ω convergente si riscrive quest’ultima quantita come Ω = 1 + Y e si applica una rotazione
Y → ıY , cosı l’integrale gaussiano su Ω che risulta essere positivo, diventa negativo. Inoltre la
convergenza dell’integrale sulle metriche gab, e garantita dal teorema di positivita dell’azione.
Tuttavia, dopo aver trasformato l’integrale funzionale in questa maniera, la somma deve essere
estesa anche a metriche complesse, ovvero bisogna considerare un contorno di integrazione che
assuma valori complessi. Nel caso di spazio-tempi chiusi, si puo ripetere la procedura delineata
in precedenza, ma in questo caso non esistono teoremi sul segno dell’azione. Inoltre, utilizzando
questa procedura, si presenta il problema di trovare, in maniera del tutto generale, un cammino
di integrazione. Nei modelli di mini-superspazio, costruiti assumendo un alto grado di simmetria
dello spazio-tempo, si possono trovare cammini di integrazione ad hoc per ogni modello.
2.2.1 Condizioni al contorno in cosmologia quantistica
Nell’approccio canonico alla quantizzazione della gravita, ogni particolare soluzione dell’equazione
di Wheeler-DeWitt, dipende da quali condizioni al contorno vengono imposte al funzionale d’on-
da ψ. Nell’approccio tramite l’integrale funzionale, una particolare soluzione dell’equazione di
Wheeler-DeWitt dipendera, in modo simile, dal contorno di integrazione e dalle 4-metriche sulle
52
quali si somma. Sfortunatamente non e noto come la scelta del cammino di integrazione e
la classe delle 4-metriche prescrivano le condizioni al contorno sul funzionale d’onda nel caso
generale. La proposta di Hartle ed Hawking, per definire il funzionale d’onda, e quella di restrin-
gere la somma solamente a varieta 4-dimensionali euclidee compatte, per le quali l’ipersuperficie
spaziale Σ, sulla quale e definita ψ, sia l’unico bordo. Nel seguito, quindi, si considerera questa
prescrizione per l’integrale funzionale, che risulta particolarmente utile per lo studio della cos-
mologia quantistica. Questa scelta e motivata dal seguente ragionamento: E noto che nel caso
dell’ordinario path-integral la misura e concentrata sui cammini non differenziabili. Tuttavia
questi cammini sono il completamento, in una opportuna topologia, dell’insieme dei cammini
differenziabili per i quali l’azione e ben definita. Similmente, ci si puo aspettare che l’integrale
funzionale per la gravitazione quantistica debba essere preso sul completamento dello spazio delle
metriche continue. Cio che l’integrale funzionale non deve includere sono le metriche singolari
per le quali l’azione non e ben definita. In base a cio ed alle condizioni di convergenza spiegate
in precedenza, l’integrale funzionale deve essere calcolato sulle metriche euclidee non singolari.
Una volta trovato l’insieme delle metriche sulle quali si somma, bisogna cercare le condizioni al
contorno alle quali queste ultime devono soddisfare. Esistono, a tal fine, solamente due scelte
naturali di condizioni al contorno. La prima di queste considera le metriche che tendono, al di
fuori di un insieme compatto, alla metrica euclidea piatta. Mentre la seconda possibilita con-
cerne le metriche che siano compatte e senza bordo. La prima classe di metriche asintoticamente
euclidee e chiaramente appropriata per calcoli di scattering. Tutte le misure sono eseguite all’in-
finito dove la metrica e quella euclidea piatta, e le piccole perturbazioni sono interpretate, nella
maniera usuale, come particelle. Tuttavia, in cosmologia, si e interessati a misure che avvengono
in una regione finita dello spazio-tempo, questo poiche si guarda l’Universo dall’interno e non
dall’esterno. In effetti ci sono due tipi di contributi alle misure di probabilita che si effettuano
in una regione finita. Il primo e fornito da quelle metriche connesse asintoticamente euclidee,
mentre il secondo e fornito da metriche disconnesse che consistono di uno spazio-tempo compat-
to, contenente la regione nella quale si effettua la misurazione, e di uno spazio-tempo separato
asintoticamente euclideo. Non si possono escludere dall’integrale funzionale le metriche discon-
nesse in quanto esse possono essere approssimate da metriche connesse nelle quali le differenti
componenti sono unite tra loro tramite ”tubi” di azione trascurabile. Regioni disconnesse dello
spazio-tempo non contribuiscono al calcolo di ampiezze di scattering poiche non sono connesse
all’infinito dove avvengono le misure. Tuttavia contribuiscono alle misure che vengono svolte in
una regione finita. Quindi i contributi provenienti da queste metriche disconnesse dominano su
quelli provenienti da metriche connesse asintoticamente euclidee. In definitiva, anche se l’inte-
grale funzionale e svolto su metriche asintoticamente euclidee, il risultato e equivalente a quello
53
ottenuto se si considerano, nella somma, metriche compatte. Allora sembra piu opportuno con-
siderare l’integrale funzionale su metriche compatte senza bordo, ovvero il cui unico bordo e
quello sul quale e definito il funzionale d’onda [13].
2.2.2 Proprieta dell’integrale funzionale
E importante notare, a questo punto, che l’esistenza di metriche compatte, le quali ricadono
all’interno della classe di metriche sulle quali si somma, e garantita dalla teoria del cobordismo,
tramite la quale si puo dimostrare che una 3-superficie S compatta e tale che esiste almeno
una varieta compatta a quattro dimensioni di cui S e il bordo. La teoria del cobordismo si
occupa della questione di verificare se, una volta assegnata V ∈ D, ove D e una classe di varieta
compatte, V e il bordo di qualche altra varieta G ∈ D. Alcune definizioni renderanno piu chiaro
il discorso. Se V e una varieta chiusa ed orientata di dimensione k, si denota con −V la stessa
varieta con orientazione opposta. Si dice, dunque, che V e cobordante a W , e si scrive V ∼ W ,
se esiste una varieta M compatta ed orientata con bordo orientato tale che ∂M = V + (−W ).
La relazione ∼ e una relazione di equivalenza, e le classi di equivalenza formano un gruppo
abeliano Ωk, il gruppo di cobordismo di dimensione k. Un teorema molto importante, dovuto a
Pontrjagin e Thom, stabilisce che una varieta V ∈ D a k dimensioni e il bordo di una varieta
G ∈ D a k + 1 dimensioni se e solo se tutti i numeri di Stiefel di V sono nulli. Quindi, grazie
a questo teorema, la classe di varieta compatte, che ammettano delle date ipersuperfici come
bordo, esistono.
Nonostante tutto, il formalismo dell’integrale funzionale risulta essere particolarmente inter-
essante poiche, tramite esso, si definiscono in modo naturale:
1. Lo stato fondamentale, ovvero lo stato di minima eccitazione.
2. Il limite semiclassico.
Per capire meglio il primo punto, e opportuno spiegare il concetto nell’ambito della meccanica
quantistica. Si consideri una hamiltoniana H con un termine di potenziale V che ammetta uno
stato di minima energia ψ0, e, per semplicita, uno spettro discreto di autovalori. Chiaramente
lo stato ψ0 soddisfera all’equazione
Hψ0(x) = E0ψ0(x).
Il propagatore per questo sistema si puo scrivere come
〈x′′, t′′|x′, t′〉 =
∫Dx(t)e−
ı~S[x(t)]. (2.23)
54
Si impongano, adesso, le condizioni x′ = 0 e t′′ = 0, si ottiene quindi, utilizzando la risoluzione
dell’identita,
〈x, 0|0, t〉 =∑
n
〈x, 0|n〉〈n|0, t〉, (2.24)
ma, valutando il membro di destra, si ottiene
〈n|0, t〉 = ψ∗n(0)eı~Ent e 〈x, 0|n〉 = ψn(x). (2.25)
Sostituendo quest’ultima espressione all’interno della (2.24) si ha
〈x, 0|0, t〉 =∑
n
〈x, 0|n〉〈n|0, t〉 =∑
n
eı~Entψn(x)ψ∗n(0). (2.26)
Si effettui, ora, una rotazione di Wick ponendo τ → −ıt, si ottiene cosı
∑n
e−En~ τψn(x)ψ∗n(0) = 〈x, 0|0,−ıτ〉 =
∫Dx(τ)e−
I[x(τ)]~ , (2.27)
dove I[x(τ)] e il funzionale d’azione euclideo. Adesso, ridefinendo l’energia in maniera tale che
E0 = 0, e considerando il limite per τ → −∞, si ottiene, supponendo, inoltre, che si possa
scambiare il limite con la somma,
limτ→−∞
∑n
e−En~ τψn(x)ψ∗n(0) = ψ0(x)ψ∗0(0), (2.28)
ma siccome vale l’uguaglianza (2.27), si puo scrivere che
cost · ψ0(x) =
∫Dx(τ)e−
I[x(τ)]~ . (2.29)
In definitiva, lo stato fondamentale e fornito dall’integrale funzionale euclideo dove la somma e
eseguita su tutti i cammini che partono dal punto x al tempo euclideo τ = 0, e procedono per
τ → −∞ al punto x = 0. Analogamente in gravita quantistica, lo stato fondamentale si scrive
come
ψ0[h] =
∫
Φ
Dg e−IE [g], (2.30)
ove IE[g] e l’azione euclidea per la gravita. E importante, pero, precisare che in gravita quan-
tistica lo stato fondamentale non corrisponde allo stato di minima energia, come accade nella
meccanica quantistica ordinaria, semplicemente perche in uno spazio-tempo chiuso non esiste
una nozione ben definita di energia. La classe Φ sulle quali si somma e, seguendo la proposta di
Hartle ed Hawking, quella delle 4-geometrie compatte che inducono la 3-metrica hij su Σ che e il
loro unico bordo. In base a cio si puo interpretare l’integrale funzionale su tutte le 4-geometrie
55
compatte limitate da una data 3-geometria come un oggetto che fornisce l’ampiezza di proba-
bilita, per questa 3-geometria, di provenire da una 3-geometria nulla, ovvero un singolo punto.
In altre parole, lo stato fondamentale rappresenta l’ampiezza di probabilita che l’universo appaia
dal “nulla” [14].
Un altro importante vantaggio dell’integrale funzionale, gia accennato in precedenza, riguarda
il limite semiclassico. Quest’ultimo si ottiene valutando l’integrale funzionale tramite il metodo
di steepest descents. Questo metodo permette di valutare integrali della forma
I =
∫
C
ef(z)dz, (2.31)
e si basa sull’osservazione che il contributo maggiore, nell’integrando della (2.31), deriva da quelle
regioni lungo C dove Ref(z) assume grandi valori oppure ha un massimo. Tuttavia in queste
regioni ci saranno, di solito, grandi oscillazioni, e di conseguenza importanti cancellazioni, dovute
al termine expıImf(z). Queste oscillazioni rendono il calcolo di I molto difficoltoso. L’idea
principale e quella di deformare il cammino di itegrazione da C a C0 in modo da soddisfare le
seguenti condizioni:
• Lungo C0, Imf(z) e costante
• C0 e un cammino che passa attraverso il punto z0, ove(
df(z)
dz
)
z=z0
= 0
• Il cammino C0 e scelto in modo tale che, per z = z0, Ref(z) passa attraverso un massimo
relativo.
La prima condizione garantisce che non si presentino oscillazioni lungo C0. Inoltre, la prima
condizione ed il fatto che C0 passa attraverso il punto z0, determinano l’equazione del cammino
C0
Imf(z) = Imf(z0). (2.32)
L’ultima condizione, infine, assicura che l’integrando e piccato nel punto z = z0, in modo che
si possa sperare che il contributo principale all’integrale provenga proprio dai punti nell’intorno
di z = z0. Utilizzando questo metodo, e se esiste un unico punto di fase stazionaria, si giunge
all’approssimazione semiclassica del funzionale d’onda [14]
Ψ[hij] = N√
∆[hij] e−Icl[hij ], (2.33)
dove Icl[hij] e l’azione gravitazionale euclidea valutata nel punto di fase stazionaria, ovvero
valutata per la soluzione gclab delle equazioni di campo euclidee. Il termine
√∆, invece, e una
56
combinazione di determinanti dell’operatore d’onda che definiscono le fluttuazioni attorno alla
soluzione gclab. Adesso, se esiste piu di un punto di fase stazionaria, e necessario considerare piu
accuratamente il contorno di integrazione dell’integrale funzionale per decidere quale di questi
punti fornisca il contributo dominante. Nel caso generale questo punto di fase stazionaria sara
quello che minimizza il valore di ReI, a meno che non ci siano due punti di fase stazionaria che
corrispondono a metriche conformemente equivalenti. Inoltre se non esiste nessun punto di fase
stazionaria il funzionale d’onda sara nullo nell’approssimazione semiclassica.
Per concludere, e interessante verificare che come nella meccanica di una particella il path-
integral implica l’equazione di Schrodinger, cosı l’integrale funzionale per la relativita generale
implica l’equazione di Wheeler-DeWitt. Si e visto che la funzione lapse ed il vettore shift indicano
la maniera nella quale e fogliettato lo spazio-tempo. Siccome la teoria sviluppata e indipendente
dal fogliettamento, il funzionale d’onda non puo dipendere da N ed N i. Adesso, in termini
dell’integrale funzionale, Ψ si scrive come
Ψ[hij] =
∫K(hij, σ; h′ij, σ
′)Ψ[h′ij]Dh′ij, (2.34)
quindi derivando rispetto ad Nµ, e ricordando che il funzionale d’onda non dipende da Nµ, si
ottieneδΨ
δNµ=
∫δK(hij, σ; h′ij, σ
′)
δNµΨ[h′ij]Dh′ij = 0. (2.35)
In base all’espressione (2.4) del propagatore si ottiene
δK(hij, σ; h′ij, σ′)
δNµ=
∫Dg
δ
δNµ
[e−ıS[g]
]= −ı
∫Dge−ıS[g]
(δS
δNµ
). (2.36)
Per valutare la derivata funzionale che compare nella (2.36), e opportuno scrivere l’azione per
esteso, ovvero
δS
δNµ=
δ
δNµ
∫d4x′
πijhij −Nµ(x′)Hµ(x′)
= −
∫d4x′Hµ(x′)δ(x, x′) = −Hµ(x). (2.37)
Sostituendo quest’ultimo risultato all’interno della (2.35), si ottiene
ı
∫K(hij, σ; h′ij, σ
′)HµΨ[h′ij])
Dh′ij = 0, (2.38)
affinche queta uguaglianza sia verificata, e necessario e sufficiente che
H⊥Ψ[h′ij] = 0
HiΨ[h′ij] = 0, (2.39)
dove, come e stato gia visto, la prima condizione indica che il funzionale Ψ e invariante sotto
l’azione di diffeomorfismi, mentre la seconda condizione e l’equazione di Wheeler-DeWitt per Ψ.
57
2.3 Termini di bordo per l’azione gravitazionale
Nella discussione sul limite semiclassico del funzionale d’onda, svolta nel precedente paragrafo, e
stato osservato che il punto di fase stazionaria, che estremizza l’azione, si puo trovare risolvendo
l’equazione
δS = 0. (2.40)
L’equazione (2.40), oltre a fornire le equazioni di campo classiche di Einstein, presenta, come si
vedra in seguito, dei termini di bordo. Questi ultimi, tuttavia, devono essere posti a zero affinche
continui a valere l’equazione (2.40). Ovviamente le condizioni al bordo, che si impongono per
soddisfare la (2.40), devono essere compatibili con la prescrizione fornita per costruire l’integrale
funzionale.
E noto che a partire dall’azione S, utilizzando il principio di Hamilton, si possono ricavare le
equazioni del moto. Tuttavia questo non e l’unico principio dinamico per ricavare le equazioni
del moto. Infatti, tramite il principio di Hamilton, si ricavano le equazioni del moto ponendo a
zero la variazione dell’azione, che e indotta da variazioni della traiettoria dinamica che lasciano
i punti finali fissi. Tuttavia si possono considerare variazioni piu generali che non lasciano i
punti finali fissi. Il principio dinamico che prende in considerazione queste variazioni, e quello
di Schwinger-Weiss.
Si consideri un sistema dinamico descritto dall’azione S. La variazione, δS, indotta da
variazioni del cammino dinamico che non lasciano i punti finali fissi e (Appendice; B.2)
δS =
∫ t2
t1
∂L
∂qs− d
dt
∂L
∂qs
δqsdt +
[ps∆qs −H∆t
]t2
t1, (2.41)
dove ∆qs e la variazione dovuta ai punti finali. Si nota esplicitamente, dalla (2.41), che le
traiettorie dinamiche sono tutte e sole quelle per le quali la variazione dell’azione riceve solamente
contributi dai punti finali, ovvero
δS =[ps∆qs −H∆t
]t2
t1. (2.42)
In quel che segue si considereranno le due forme del principio d’azione, nonche differenti forme per
l’azione stessa, per analizzare quali condizioni al bordo bisogna imporre. Cominciamo l’analisi
considerando l’azione di Einstein-Hilbert nella forma 3+1, poiche in questa maniera saranno piu
espliciti i termini che devono essere fissati al bordo per i due principi. A tal fine si consideri
S =
∫
M
d4xN√
h[(3)R + KijK
ij −K2]− 2
∫
∂M
d3x√
h K. (2.43)
Si consideri, adesso, il primo integrale, che sara denotato con S1. La sua variazione e
δS1 =
∫
M
d4xN[δ(√
h (3)R) + δ(√
h KijKij)− δ(
√h K2)
]. (2.44)
58
La variazione del termine che presenta lo scalare di curvatura intrinseca e [9]
δ(√
h (3)R) =√
h hijhkl∇l
[∇j(δhik)−∇k(δhij)]−
√h
[(3)Rij − 1
2hij(3)R
]δhij, (2.45)
mentre, ricordando che
N√
h KijKij −N
√h K2 =
N√h
[πijπ
ij − (πmm)2
2
], (2.46)
per gli altri termini si ottiene
δ(√
h KijKij −
√h K2) = δ
[1√h
(πijπ
ij − (πmm)2
2
)]. (2.47)
Valutando esplicitamente la variazione (2.47), si giunge al risultato
δ
[1√h
(πijπ
ij − (πmm)2
2
)]= − 1√
h
[kkl
2
(πijπ
ij − (πmm)2
2
)+ πm
mπkl
]δhkl
+1√h
(2πij − πm
mhij
)δπij. (2.48)
In definitiva si ha che
δS1 =
∫
M
d4xN
−√
h
[(3)Rij − 1
2hij(3)R
]− 1√
h
[hij
2
(πklπ
kl − (πmm)2
2
)+ πm
mπkl
]δhij
+
∫
M
d4xN√h
(2πij − πm
mhij
)δπij +
∫
∂M
d3x√
h hijhkl∇l
[∇j(δhik)−∇k(δhij)]nl. (2.49)
Adesso l’integrale sul bordo, che compare nella (2.50), si puo scrivere come
(δS1)∂M =
∫
∂M
d3x√
h∇jhij(δhiknk − hik(δhik)n
j+
∫
∂M
d3xπijδhij, (2.50)
da cui il primo termine si annulla poiche il dominio di integrazione ha misura nulla. La variazione,
invece, del secondo integrale che compare nella (2.43) e
δS2 = −2
∫
∂M
d3xδ[√
h K], (2.51)
ma sapendo che K = 12√
hπ, si ottiene che
δS2 = −∫
∂M
d3x(δhijπij)−
∫
∂M
d3x(hijδπij). (2.52)
In definitiva si ottiene per la variazione di S al bordo il seguente risultato:
(δS)∂M = (δS1)∂M + (δS2)∂M = −∫
∂M
d3xhijδπij (2.53)
59
A questo punto si puo affermare che se si utilizza il principio di Hamilton, devono essere soddis-
fatte le equazioni di Einstein in forma 3+1, ed inoltre si deve fissare il momento πij al bordo.
Mentre se si utilizza il principio di Schwinger-Weiss, si fissa al bordo la 3-metrica hij.
L’analisi, invece, dei termini di bordo per l’azione di Einstein-Hilbert modificata, ovvero per
l’azione al prim’ordine, risulta immediata una volta studiata l’azione di Einstein-Hilbert. Infatti,
l’espressione per l’azione al prim’ordine e
S(1) =
∫
M
d4xN√
h[(3)R + KijK
ij −K2], (2.54)
mentre, seguendo le equazioni dalla (2.44) alla (2.50), si nota subito che la sua variazione al
bordo e
(δS(1))∂M =
∫
∂M
d3xπijδhij. (2.55)
Quindi, per quel che riguarda l’azione al prim’ordine, se si utilizza il principio di Hamilton si
fissa al bordo la 3-metrica hij, mentre se si utilizza il principio di Schwinger-Weiss la quantita
che deve essere fissata al bordo e πij.
Si puo scrivere l’azione in un’utile forma alternativa alle due gia descritte in precedenza. Si
consideri l’azione (1.125), e si riscriva l’integrale al bordo in termini del momento coniugato πij.
Si ottiene, quindi per la variazione al bordo dell’azione di Einstein-Hilbert il contributo
(δS)∂M = −∫
∂M
d3xhijδπij. (2.56)
Si consideri, adesso, il cambiamento di variabile
hij(x) = h−13 hij(x)
πij(x) = h13
(πij(x)− πl
l(x)
3hij(x)
)
πll(x) = hij(x)πij = −2Kh
16 , (2.57)
dove il momento canonicamente coniugato ad hij(x), si calcola supponendo che abbia la forma
πij(x) = h13 (πij + απl
lhij), e imponendo che (Appendice: B.3)
hij(x), πkl(y) =1
2(δk
i δlj + δl
iδkj )δ(3)(x, y).
Si noti che
δπll = δ[hijπ
ij] = (δhij)πij + hij(δπ
ij), (2.58)
da cui
hijδπij = δπl
l − πijδhij = δ[h13 πl
l]− πijδhij
= δ[h13 πl
l]− πijδ[h13 hij] = (δh
13 )πl
l + h13 δπl
l − πij[δhij]h13 − πijhijδh
13 , (2.59)
60
ma sapendo che πij = h−13 πij +
πll
3hij, e sostituendo nella (2.59) si ottiene
hijδπij = δ[h
13 ]πl
l + h13 δπl
l −(
h−13 πij +
πll
3hij
)(δhij)h
13 −
(h−
13 πij +
πll
3hij
)hijδh
13 . (2.60)
In definitiva, si giunge al risultato
hijδπij = h
13 πl
l − πijδhij −[πl
l
3hijh
13 δhij + h−
13 πl
lhijδh13
]. (2.61)
E necessario, a questo punto, valutare il termine tra parentesi quadra che compare nell’ultima
equazione, quindi
πll
3hijh
13 δhij + h−
13 πl
lhijδh13 =
1
3πl
lhijδhij + h−
13
(πij − πl
l
3
)hijδh
13 =
1
3πl
lhijδhij, (2.62)
tuttavia si puo dimostrare, prestando attenzione alla formula hijδhij = δh, che il termine presente
nella (2.62) si annulla. In definitiva si ottiene che
(δS)∂M = −∫
∂M
d3xhijδπij = −
∫
∂M
d3x[h13 δπl
l − πijδhij]. (2.63)
Dunque l’azione e stazionaria, secondo il principio di Hamilton, se e solo se valgono le equazioni di
Einstein ed inoltre sul bordo restano fissate la 3-metrica conforme hij e la variabile πll = −2Kh
16 ,
chiamata talvolta tempo estrinseco. Si puo verificare, pero, che πll non e uno scalare rispetto
a trasformazioni spaziali di coordinate, e quindi non e una scelta naturale per una variabile
temporale estrinseca. In base a cio si consideri come scalare temporale estrinseco proprio K =
hijKij, oppure una funzione monotona di K . Quindi riscrivendo la quantita che compare nella
(2.63) si ottiene
(δS)∂M =
∫
∂M
d3x[πijδhij − h13 δ(−2h
16 K)] =
∫
∂M
d3x[πijδhij + 2h13 (δh
16 )K + 2h
13 h
16 δK]
=
∫
∂M
d3xπijδhij + 2
∫
∂M
d3x√
h h−16 K(δh−
16 ) + 2
∫
∂M
d3x√
h δK
=
∫
∂M
d3x
[πijδhij +
4
3
√h δK
]+
∫
∂M
d3x√
h
[2h−
16 K(δh
12 )
12 +
2
3δK
], (2.64)
da questa espressione si puo notare che
(δS)∂M = δSK +
∫
∂M
d3x
[2
3
√h δK + 2h−
16 K(δh
12 )
12
]. (2.65)
Da questa ultima equazione si ottiene, in definitiva, l’azione cosmologica SK
SK =
∫
M
d4x√
g (4)R +2
3
∫
∂M
d3xK√
h. (2.66)
61
Si puo verificare, partendo dalla (2.63) e utilizzando lo scalare di tempo estrinseco K, che la
variazione al bordo dell’azione cosmologica e
(δSK)∂M =
∫
∂M
d3x[πijδhij + pkδK], (2.67)
dove pk = −2√
h, si puo interpretare come momento coniugato a K. Dunque, l’equazione (2.67)
indica che l’azione cosmologica e stazionaria, per il principio di Hamilton, se e solamente se sono
soddisfatte le equazioni di Einstein ed inoltre sono mantenute fisse sul bordo di M sia la 3-
metrica conforme hij, che la traccia della curvatura estrinseca K. Mentre, per quel che concerne
il principio di Schwinger-Weiss, devono valere le equazioni di Eistein ed inoltre devono essere
fissati al bordo il momento coniugato alla 3-metrica conforme πij, ed il momento coniugato a K.
E utile, a questo punto, riassumere i risultati ottenuti in una tabella, che indica quali oggetti
debbano essere fissati al bordo nei due principi:
Azione di
Einsein-Hilbert
Azione al prim’ordine Azione cosmologica
Principio di Hamilton Momento coniugato
πij
3-metrica hij Metrica conforme hij e
lo scalare K
Principio di
Schwinger-Weiss
3-metrica hij Momento coniugato
πij
Momento πij e il mo-
mento coniugato a K
Tabella 2.1: Quantita da fissare al bordo quando si utilizzano i due principi
L’azione cosmologica, introdotta nella (2.66), e utile per definire la trasformata di Laplace
del funzionale d’onda Ψ[hij]. In effetti, siccome l’equazione di Wheeler-DeWitt e una equazione
iperbolica sul superspazio, e naturale imporre condizioni al contorno su due ipersuperfici di tipo
spazio nel superspazio stesso. A tal fine e conveniente scegliere come direzione di tipo tempo
quella definita dalla quantita√
h, in questa maniera si impongono le condizioni al contorno sui
limiti di variabilita inferiore e superiore di√
h. Il limite superiore e infinito, mentre il limite
inferiore e zero poiche se hij e semidefinita positiva, allora√
h ≥ 0. Introducendo questa quantita
nel funzionale d’onda tramite la metrica conforme hij =hij3√
h, si ottiene l’importante condizione
al contorno
Ψ[hij,√
h] = 0, per√
h < 0. (2.68)
Siccome l’intervallo di variabilita di√
h e il semiasse positivo della retta reale, e conveniente
introdurre una rappresentazione nella quale√
h e sostituita dal suo momento canonicamente
coniugato −43K che possiede un dominio di variabilita infinito. In termini di queste variabili il
62
funzionale d’onda si scrive
Φ[hij, K] =
∫
C
Dge−SKE [g], (2.69)
ove SKE [g] e l’azione cosmologica euclidea per la quale sono tenuti fissi al bordo sia hij che K. Si
ottiene, dunque, trasformando secondo Laplace
Φ[hij, K] =
∫ ∞
0
D√
k e−ı 43
∫d3x
√hKΨ[hij], (2.70)
ed inversmante
Ψ[hij] =
∫ ∞
−∞DKeı 4
3
∫d3x
√hKΦ[hij, K]. (2.71)
La condizione (2.68), attraverso la (2.70), implica che Φ[hij, K] e analitica nel semipiano inferiore
delle K. Il contorno di integrazione, dunque, che e implicito nella (2.71), puo essere, quindi,
distorto nel semipiano delle K negative. Inversamente, se si ha Φ[hij, K], si puo ricostruire il
funzionale d’onda Ψ tramite l’integrale (2.71), che soddisfa alla condizione al contorno (2.68),
svolgendo l’integrazione su di un contorno che giace alla destra di ogni singolarita di Φ[hij, K]
[14].
2.4 Un modello di minisuperspazio
Siccome, come e gia stato visto, la teoria completa della gravita risulta essere molto complessa
a causa della sua natura non lineare, e utile studiare modelli che presentano un alto grado di
simmetria, in modo che i gradi di liberta del campo gravitazionale si riducano ad un numero
finito. Come esempio si puo studiare il modello cosmologico di Friedmann-Lemaitre-Robertson-
Walker con k = +1. Per questo modello la metrica e convenientemente scritta come
ds2 = [−N2(t)dt2 + a2(t)dΩ 23 ], (2.72)
ove dΩ 23 e la metrica della 3-sfera, esplicitamente
dΩ 23 = dθ2 + sin2θ (dφ2 + sin2φ dω2).
Cio che interessa, per gli sviluppi successivi, e la versione euclidea della metrica, ovvero
ds2 = [N2(τ)dτ 2 + a2(τ)dΩ 23 ]. (2.73)
Si consideri, per lo studio di questo modello, l’azione contenente anche il termine di costante
cosmologica, ovvero, in regime euclideo
SE = −∫
d4x√
g [(3)R + K2 −KijKij − 2Λ]. (2.74)
63
Valutiamo, adesso, tutti i termini che compaiono all’interno dell’azione, in particolare si ottiene
Kij =1
2N
∂hij
∂τ=
a(τ)a(τ)
Nδij, (2.75)
dove si e posto hij = a2(τ)δij. Da quest’ultima espressione si ottiene che
KijKij = hilhjmKijKlm = a−4(τ)δilδjm
[a(τ)a(τ)
Nδij
] [a(τ)a(τ)
Nδlm
]
= a−4(τ)δilδjm a2(τ)a2(τ)
N2δij δlm =
a2(τ)
N2a2(τ)δlj δ
jl = 3
a2(τ)
N2a2(τ). (2.76)
Mentre sapendo che,
K = hijKij = a−2(τ)δij
[a(τ)a(τ)
Nδij
]= 3
a(τ)
Na(τ), (2.77)
si ha per il quadrato della curvatura estrinseca il seguente risultato:
K2 = 9a2(τ)
N2a2(τ). (2.78)
In definitiva, si ottiene che
K2 −KijKij = 6
a2(τ)
N2a2(τ), (2.79)
mentre lo scalare di curvatura intrinseca e
(3)R =6
a2(τ). (2.80)
Tramite queste ultime espressioni, quindi, si puo scrivere l’azione euclidea per il modello consid-
erato, ovvero sostituendo i precedenti risultati nella (2.74), e notando che il volume dello spazio
e∫
d3x√
h = 2π2a3(τ), si ha
SE =1
2
∫dτ
(N
a(τ)
)[−a2(τ)a2(τ)
N2− a2(τ) + A2a4(τ)
], (2.81)
dove e stato posto A2 = Λ3. Ora il momento coniugato alla variabile a(τ), e
πa = ı∂L
∂a= −ı
a(τ)
Na. (2.82)
Tramite il momento coniugato si puo scrivere l’azione in termini dell’hamiltoniana
SE =
∫dτ [−ıπaa(τ) + NH⊥], (2.83)
dove l’hamiltoniana H⊥ ha l’espressione
H⊥ =1
2a[−π2
a + U(a)], (2.84)
64
ove si e posto U(a) = −a2(τ) + A2a4(τ). Siccome N e un moltiplicatore di Lagrange, si ottiene
il vincolo classico tramite la variazione δSE
δN= 0. Dall’espressione del vincolo classico si ricava,
tramite le regole di corrispondenza, l’equazione di Wheeler-DeWitt. In particolare se si pone
π2a = −~2 1
a
∂
∂a
[a
∂
∂a
], (2.85)
il vincolo classico diventa
−~2 1
a
d
da
[a
d
da
]Ψ(a) + (a2 − A2a4)Ψ(a) = 0. (2.86)
Per costruire soluzioni dell’equazione (2.86) che corrispondono allo stato fondamentale del mod-
ello di minisuperspazio che si sta prendendo in esame, si passa all’integrale funzionale. A tal fine
sia Σ0 una ipersuperficie tale che il valore di a(τ) su questa ipersuperficie sia a0. Esplicitamente
il funzionale d’onda, che e soluzione dell’equazione di Wheeler-DeWitt come visto alla fine del
par. 2.2, puo essere scritto come
Ψ0(a0) =
∫Da e−S[a], (2.87)
dove, definendo dη = dτa
, l’azione si esprime nella seguente maniera:
S =1
2
∫dη
[−
(da
dη
)2
− a2 + A2a4
]. (2.88)
In quel che segue sara necessario valutare l’approssimazione semiclassica del funzionale d’on-
da tramite il metodo dello steepest descent descritto in precedenza, e risolvere l’equazione di
Wheeler-DeWitt con le condizioni al contorno imposte proprio dall’approssimazione semiclassi-
ca. A tal fine si noti che l’integrale (2.87) e scritto rispetto alla variabile a(τ) che rappresenta
geometrie compatte le quali possiedono, come bordo, 3-sfere di raggio a. Prima di tutto bisogna
trovare gli estremi di SE corrispondenti alla soluzione dell’equazione euclidea classica del moto,
ossiad2a
dη2− a + 2A2a3 = 0. (2.89)
Questa equazione ha un integrale, ovvero l’energia che puo convenientemente essere posta a zero
(da
dη
)2
− a2 + A2a4 = 0, (2.90)
da quest’ultima equazione si ricava, sostituendo la variabile η con la variabile τ
(a
a
)2
=1
a2− A2, (2.91)
65
che non e altro che l’equazione di Einstein per la metrica
ds2 = [dτ 2 + a2(τ)dΩ 23 ].
La soluzione dell’equazione (2.91), quindi, e la seguente:
Aa(τ) = cos(Aτ) con − π
2≤ τ ≤ π
2, (2.92)
che rappresenta una 4-sfera di raggio A−1, dove si puo osservare che τ = −π2
e il “polo sud” e
τ = π2
e il “polo nord”. Tuttavia per a < 1A
esistono due possibili estremi per l’azione SE, che
sono le due regioni nelle quali una 3-sfera di raggio a divide una 4-sfera di raggio 1A: in un caso
la parte della 4-sfera limitata dalla 3-sfera e piu grande di una semisfera, e nell’altro caso e piu
piccola di una semisfera. In base a cio ed alla equazione (2.92) si puo scrivere che
dτ = ± 1√1− A2a2
da. (2.93)
La corrispodente azione classica risulta essere
SE = ±1
2
∫ a
0
a−1 1√1− A2a2
[−a2(1− A2a2)− a2 + A2a4]da
= ∓∫ a
0
a√
1− A2a2da = ±2
3
(− 1
3A2
) ∫ 0
a
3
2
√1− A2a2(−2A2a)da
= ±(− 1
3A2
)[(1− A2a2)
32
]0
a
da cui
SE(a) =
(− 1
3A2
)[1± (1− A2a2)
32 ], (2.94)
dove il segno + si riferisce alla regione superiore della semisfera, mentre il segno − si riferisce
alla regione inferiore della semisfera. Allo stesso modo si ricava, nella rappresentazione K, che
SKE = − 1
3A2
(1− 3k
1√9k2 + A2
)(2.95)
dove si e posto k = K9. Per scrivere il funzionale d’onda nella rappresentazione K, si noti
innanzitutto che
SKE = −2
3
∫
∂M
K√
h d3x−∫
M
√g (4)R d4x, (2.96)
inoltre
SE = −2
∫
∂M
K√
h d3x−∫
M
√g (4)R d4x. (2.97)
Da queste due espressioni si ottiene
SKE − SE =
4
3
∫
∂M
K√
h d3x. (2.98)
66
Quindi si puo scrivere l’esponenziale come
e−SE = e(SKE −SE−SK
E ) = e[43
∫∂M K
√h d3x]e−SK
E , (2.99)
da cui il funzionale d’onda si esprime come
Ψ[hij] =
∫
C
Dg e−SE [g]
=
∫
Γ
DK
∫
C
Dg e[43
∫∂M K
√h d3x]e−SK
E
=
∫
Γ
DK e[43
∫∂M K
√h d3x]
∫
C
Dg e−SKE
=
∫
Γ
DK e[43
∫∂M K
√h d3x]Φ[hij, K], (2.100)
dove, quest’ultima, e proprio l’equazione (2.71). A questo punto, ponendo k = K9, si ottiene
l’espressione adatta per l’azione
SKE = ka3 + SE. (2.101)
In definitiva, in base a queste ultime equazioni, si puo scrivere l’integrale funzionale in rappre-
sentazione K, ossia
Ψ[a] =Nk
2πı
∫
Γ
dk eka3−SKE , (2.102)
ove Nk e un fattore di normalizzazione, ed il contorno Γ e parallelo all’asse Imk. Esplicitamente
si scrive
Ψ[a] =Nk
2πı
∫
Γ
dk e
[ka3+ 1
3A2
(1−3k 1√
9k2+A2
)]
. (2.103)
Per giungere all’approssimazione semiclassica bisogna applicare il metodo dello steepest descent.
In questo caso il contributo dominante al calcolo di Ψ proviene dai punti nei quali l’esponente
della (2.103) possiede un estremo, ovvero
a3 − (9k2 + A2)−23 = 0 =⇒ 9k2A−2 = a−2A−2 − 1. (2.104)
Ora se a < 1A, si puo considerare la seguente radice dell’equazione (2.104):
k∗ =A
3
√a−2A−2 − 1, (2.105)
da cui il funzionale d’onda, in approssimazione semiclassica, si puo esprimere come
Ψ[a] ∼= Nke
[a2
3
√1−a2A2+ 1
3A2 (1−√1−a2A2)]
= Nke 1
3A2 [1−(1−a2A2)(√
1−a2A2)]. (2.106)
67
Invece nel caso in cui a > 1A, si avranno due soluzioni
k = k∗+ , k∗−,
dove
k∗+ =ıA
3
√1− a−2A−2 (2.107)
k∗− = − ıA
3
√1− a−2A−2. (2.108)
In termini di queste soluzioni il funzionale d’onda si puo scrivere come
Ψ[a] ∼= Ck e−ıπ4 ek∗+a3−S
k∗+E + Ck e
ıπ4 ek∗−a3−S
k∗−E , (2.109)
dove esplicitamente
k∗+a3 − Sk∗+E =
1
3A2[1 + ı(a2A2 − 1)
32 ]. (2.110)
Analogamente l’altro termine ha l’espressione
k∗−a3 − Sk∗−E =
1
3A2[1− ı(a2A2 − 1)
32 ]. (2.111)
Da queste ultime relazioni si puo esprimere il funzionale d’onda come
Ψ[a] = Nke1
3A cos
[(a2A2 − 1)
32
3A2− π
4
]. (2.112)
Quindi dalla (2.106) si ha che, se a < 1A, il funzionale d’onda e esponenzialmente piccolo,
come ci si puo aspetattare, d’altronde, per un raggio che e classicamente proibito. Se, invece,
a > 1A, il funzionale d’onda oscilla con ampiezza costante, come indica la (2.112), questo implica
che ogni valore di a che soddisfa la diseguaglianza appena scritta, si presenta circa con la stessa
probabilita. Questo corrisponde ad un regime lorentziano permesso. Gli stati eccitati, invece, non
possono essere calcolati tramite la semplice prescrizione dell’integrale funzionale. Questi ultimi
si ricavano risolvendo l’equazione di Wheeler-DeWitt, con le condizioni al contorno richieste per
mantenere l’hermitanieta dell’operatore hamiltoniano fra questi stati e lo stato fondamentale.
2.5 L’entropia di un buco nero
Un ulteriore ed istruttivo esempio di applicazione dell’integrale funzionale alla quantizzazione
della teoria della relativita generale e il calcolo dell’entropia di un buco nero. E noto, nella
teoria quantistica dei campi ordinaria, che a partire dall’integrale funzionale si puo definire la
68
funzione di partizione per il campo in esame. Infatti, sia Pr la probabilita di trovare il sistema
nel microstato r, corrispondente all’energia Er, ossia si scrive come
Pr =e−βEr
Z, (2.113)
dove Z e la funzione di partizione dell’insieme canonico, ovvero,
Z =∑
r
e−βEr .
Introducendo, adesso, l’operatore densita definito come
ρ =e−βH
Z, (2.114)
si puo mostrare facilmente, essendo Tr(ρ) = 1, che la funzione di partizione si scrive come
Z = Tr(e−βH) =∑
n
〈n|e−βH |n〉. (2.115)
E importante, ora, confrontare quest’ultima espressione con la definizione di propagatore, il
quale e definito come
K(q′, T ; q, 0) = 〈q′|e−ıHT |q〉. (2.116)
Si supponga, pero, che T sia un parametro puramente immaginario, in modo che lo si possa
scrivere come T = −ıβ, ove β e un numero reale. In questa maniera l’equazione (2.116) si
riscrive
K(q′,−ıβ; q, 0) = 〈q′|e−ıH(−ıβ)|q〉 = 〈q′|e−βH |q〉= 〈q′|e−βH
∑j
|j〉〈j|q〉 =∑
j
〈q′|e−βEj |j〉〈j|q〉
=∑
j
e−βEj〈q′|j〉〈j|q〉, (2.117)
ponendo, in quest’ultima equazione, q = q′ ed integrando su q si ottiene∫
dqK(q,−ıβ; q, 0) =∑
j
e−βEj〈j|∫
dq|q〉〈q|j〉
=∑
j
e−βEj〈j|j〉 =∑
j
〈j|e−βEj |j〉 = Z. (2.118)
In definitiva il propagatore, valutato per un tempo immaginario negativo, rappresenta proprio
la funzione di partizione Z. E chiaro, a questo stadio, che una volta definita la funzione di
partizione si puo calcolare, tra l’altro, l’entropia per il sistema in esame. Applichiamo, ora, il
69
discorso precedente al calcolo dell’entropia di un buco nero. E stato detto, in precedenza, che
l’azione per il campo gravitazionale ha la forma (1.126). Il termine di superficie, che compare
nella (1.126), deve essere scelto in modo tale che per metriche g, che soddisfano alle equazioni
di Einstein, l’azione S sia estremale sotto variazioni della metrica che si annullano al bordo ∂M .
Questa richiesta e soddisfatta se il termine di superficie si puo scrivere come
B = 2K + C,
dove K e la traccia della seconda forma fondamentale, e C e un termine che dipende solamente
dalla 3-metrica hij indotta su ∂M . Quest’ultimo termine, che non dipende dalla metrica g, puo
essere assorbito dalla misura sullo spazio di tutte le metriche. Tuttavia, nel caso di metriche
asintoticamente piatte, dove il bordo puo essere costruito come prodotto dell’asse temporale per
una 2-sfera di ampio raggio, e naturale scegliere il termine C in modo che S = 0 per la metrica
piatta η. In questa maniera, il termine di bordo dell’azione e 2[K], dove [K] e la differenza tra
la traccia della seconda forma fondamentale di g su ∂M , e quella di η su ∂M . La metrica, atta
a descrivere un buco nero, e quella di Schwarzschild che e usualmente scritta nella forma
ds2 = −(
1− 2M
r
)dt2 +
(1− 2M
r
)−1
dr2 + r2dΩ2. (2.119)
Come e noto questa metrica possiede delle singolarita per r = 0 e per r = 2M . Tuttavia la
singolarita che compare per r = 2M , e solamente dovuta al sistema di coordinate scelto per
scrivere la metrica. Quest’ultima, quindi, si puo eliminare passando alle coordinate introdotte
da Kruskal, in termini di queste ultime la metrica si puo scrivere
ds2 = 32M3
re−
r2M (−dz2 + dy2) + r2dΩ2, (2.120)
dove
−z2 + y2 =[ r
2M− 1
]e
r2M , (2.121)
y + z
y − z= e
t2M . (2.122)
La singolarita, presente per r = 0, nelle coordinate di Kruskal giace sulla superficie z2 − y2 = 1,
e non puo essere rimossa poiche non dipende dalla scelta del sistema di coordinate. Ovviamente
l’azione non e definita in quei punti per i quali la metrica e singolare, dunque per costruire
l’integrale funzionale per la metrica di Schwarzschild bisogna definire delle nuove coordinate. A
tal fine si ponga ξ = ız, in questo modo la metrica assume la forma euclidea, ovvero
ds2 = 32M3
re−
r2M (dξ2 + dy2) + r2dΩ2, (2.123)
70
dove r e ora definito come
ξ2 + y2 =[ r
2M− 1
]e−
r2M .
Nella sezione nella quale ξ ed y sono reali, ovvero la sezione euclidea, r e reale e maggiore o
uguale a 2M . Si definisca, ora, il parametro di tempo immaginario τ = ıt. Si puo mostrare, a
partire dalla (1.118), che τ e un parametro periodico con periodo pari a 8πM . Infatti la (1.118)
puo essere scritta comey − ıξ
y + ıξ= e−ı τ
2M , (2.124)
ma il numeratore della frazione a primo membro della (2.124) e il complesso coniugato della
quantita presente al denominatore. Ponendo, quindi, a = y + ıξ e a∗ = y − ıξ, la (2.124) puo
essere espressa comea∗
a= e−ı τ
2M =|a|e−ıϕa
|a|eıϕa, (2.125)
da cui si ottiene che
e−2ıϕa = e−ı τ2M da cui τ = 8πM. (2.126)
Si giunge al risultato, nella (2.126), semplicemente notando che ϕa e periodica di periodo 2kπ.
Inoltre, nella sezione euclidea, τ ha le caratteristiche di una coordinata angolare attorno all’“asse”
r = 2M . Infatti l’equazione (2.124) rappresenta, per τ = cost, una retta nel piano (y, ıξ), e quindi
definisce un angolo rispetto all’asse y. Siccome la sezione euclidea non e singolare, si puo valutare
l’azione su di una regione Y di essa limitata dalla superficie r = r0. Il bordo ha la topologia
S1× S2 ed e, quindi, compatto, dove S2 e una 2-sfera di tipo spazio di grande raggio all’infinito
e S1 corrisponde alla direzione del tempo immaginario che e identificato periodicamente. La
curvatura sclalare R e nulla, quindi l’azione si riduce al solo termine
S =1
8π
∫
∂Y
[K]dΣ, (2.127)
dove dΣ e la misura sul bordo. E interessante, adesso, analizzare una riscrittura della formula
(2.127). A tal uopo si noti che∫
∂Y
KdΣ =
∫
∂Y
gabKab
√h d3x = −
∫
∂Y
gab(∇anb)√
h d3x, (2.128)
da cui si ricava, utilizzando la regola di Leibnitz ∇b(nb
√h) = (∇bnb)
√h + nb(∇b
√h), che
−∫
∂Y
(∇bnb)√
h d3x = −∫
∂Y
∇b(∇bnb)√
h d3x +
∫
∂Y
nb(∇b√
h)d3x. (2.129)
Tuttavia il primo integrale e nullo in quanto, utilizzando il teorema di Gauss, si ottiene un
integrale sul bordo della frontiera ∂Y , che e un insieme di misura nulla. In definitiva si ottiene∫
∂Y
KdΣ =
∫
∂Y
nb(∇b√
h)d3x. (2.130)
71
Si noti, adesso, che il covettore normale nb ha componenti nb ≡ (−N, 0, 0, 0), con N funzione
solamente di r. Per questa ragione nb puo essere portato fuori il segno di integrale, quindi∫
∂Y
nb(∇b√
h)d3x = nb
∫
∂Y
(∇b√
h)d3x = nb
∫
∂Y
(∂b√
h)d3x, (2.131)
siccome l’unica componente non nulla di nb e quella temporale, si ottiene
nb
∫
∂Y
(∂b
√h)d3x = n0
∫
∂Y
(∂t
√h)d3x. (2.132)
Notando che n = nµ∂µ e il versore ortogonale alle ipersuperfici di tipo spazio, si puo scrivere che
n =1√N
∂t − N i
√N
∂i da cui ∂t =√
Nn + N i∂i.
Sostituendo quest’ultima espressione all’interno della (2.132), e ricordando che N i = 0, si ha
n0
∫
∂Y
(∂t
√h)d3x =
1√N
∫
∂Y
√N n
√hd3x = n
∫
∂Y
√hd3x. (2.133)
Tuttavia e noto che n e un operatore di derivazione direzionale lungo le curve integrali del campo
vettoriale ortogonale in ogni punto alle ipersuperfici di tipo spazio (e quindi sono curve di tipo
tempo). In base a cio essendo l’integrale sul bordo, che compare nell’ultimo passaggio della
(2.133), una funzione scalare si puo scrivere che
n
(∫
∂Y
√hd3x
)=
∂
∂n
∫
∂Y
√hd3x, (2.134)
dove il membro di destra di quest’ultima equazione rappresenta la derivata dell’area del bordo
∂Y , quando ciascun punto del bordo stesso si muove ad una uguale distanza lungo la nor-
male unitaria diretta verso l’esterno. Si e ottenuta, quindi, una formula che permette di calco-
lare agevolmente l’integrale (2.128). Valutiamo, ora, proprio quest’integrale per la metrica di
Schwarzschild, la cui parte spaziale si scrive in forma matriciale come− (
1− 2Mr
)0 0
0 r2 0
0 0 r2 sin2 θ
. (2.135)
Valutando la radice del determinante nella sezione euclidea si ha
√−hE =
[−
(1− 2M
r
)r4 sin2 θ
] 12
= ıεr2 sin θ
[(1− 2M
r
)] 12
, (2.136)
dove ε = ±1, a seconda del segno che si sceglie quando si estrae la radice. Continuando nel
calcolo dell’integrale si ha che
∫
∂Y
√−hE d3x = ıεr2
[(1− 2M
r
)] 12∫
∂Y
sin θ dτ dθ dφ. (2.137)
72
Siccome la sezione euclidea della metrica di Schwarzschild ha una topologia equivalente a quella
di S1 × S2, si ottiene facilmente che
∫
∂Y
dΣ = 32ıεπ2Mr2
[(1− 2M
r
)] 12
. (2.138)
Valutando, ora, la derivata rispetto alla normale si ottiene che
∂
∂n
∫
∂Y
√h d3x = 32επ2M
(1− 2M
r
) 12 d
dr
[ır2
(1− 2M
r
) 12
]
= 32επ2M
(1− 2M
r
) 12
[2ır
(1− 2M
r
) 12
+ ır2 d
dr
(1− 2M
r
) 12
]
= 32επ2M
(1− 2M
r
) 12
[2ır
(1− 2M
r
) 12
+ ı
(1− 2M
r
)− 12
M
]
= 32επ2Mı(2r − 3M). (2.139)
D’altra parte questo stesso integrale, valutato per la metrica euclidea piatta, e pari a [15]
∫
∂Y
K dΣ = 32επ2ıM
(1− 2M
r
) 12
2r. (2.140)
Siamo, adesso, in grado di valutare l’espressione (2.127) per l’azione, ovvero
S =1
8π
∫
∂Y
[K]dΣ =1
8π
[32επ2Mı(2r − 3M)− 32επ2ıM
(1− 2M
r
) 12
2r
]
= 4επıM
[(2r − 3M)−
(1− 2M
r
) 12
2r
]. (2.141)
Utilizzando, pero, la formula di approssimazione√
1− x ' 1− 12x + o(x2), si ha che
(1− 2M
r
) 12
' 1− M
r+ o
(M2
r20
),
sostituendo quest’ultima espressione nella (2.141), si ha, in definitiva, il risultato
S = −πεıM
k+ o
(M2
r20
), (2.142)
dove k = 14M
e la gravita di superficie della soluzione di Schwarzschild (Appendice: B.4). Si puo,
a questo punto, calcolare la funzione di partizione Z e quindi l’entropia. Prima, pero, si noti che
l’azione e S = S[g], il contributo dominante all’integrale funzionale e fornito da quelle metriche
vicine a g0 che rende stazionaria l’azione, ossia si scrive
g = go + g,
73
dove g descrive proprio la variazione della metrica rispetto alla soluzione classica. Sviluppando
l’azione S in serie di Taylor intorno alla soluzione classica si ottiene
S[g] ' S[g0] +
(δS
δg
)
g=g0
g +
(δ2S
δg2
)
g=g0
g2 + · · · , (2.143)
ma siccome g0 estremizza l’azione, la derivata funzionale prima e nulla. L’azione si puo scrivere,
dunque,
S[g] ' S[g0] +
(δ2S
δg2
)
g=g0
g2 + · · · = S[g0] + S2[g] + · · · . (2.144)
La funzione di partizione si esprime come
Z = Tre−βH =
∫Dg eıS[g], (2.145)
da cui, sostituendo in essa l’espansione (2.143), si ha
Z = eıS[g0]
∫Dg eıS2[g], (2.146)
e considerando il logaritmo di questa ultima espressione si ottiene
log Z ' ıS[g0]. (2.147)
Tuttavia, dalla termodinamica ordinaria, e noto che log Z = −WT
, dove W e il potenziale ter-
modinamico del sistema. Quindi, utilizzando quest’ultima definizione ed il risultato (2.142), si
puo scrivere che
−W
T= log Z = ı
−πεıM
k
=
πεM
k, (2.148)
Notando, pero, che W = M − TS si ha,
M[1 +
πε
kT
]= TS (2.149)
Adesso, si consideri la formula di Smarr generalizzata, che mette in relazione la massa con l’area,
la carica ed il momento angolare di un buco nero tramite la formula
1
2M =
k
8πA +
1
2ΦQ + ΩJ,
che nel caso qui analizzato si riduce a
1
2M =
k
8πA. (2.150)
Da cui sostituendo nella (2.149), si ottiene [15]
k
4πA
[1 +
πε
kT
]= TS. (2.151)
74
Infine, notando che T = k2π
, si ottiene il risultato
S =A
2
[1 +
ε
2
]con ε = ±1. (2.152)
Si nota esplicitamente, in quest’ultima formula, che l’entropia dipende dalla scelta che si effettua
per il valore di ε. Questo parametro e stato introdotto, all’inizio del calcolo, per evidenziare i
due termini opposti che si ottengono al momento di estrarre la radice. La scelta, quindi, non
puo essere arbitraria, e deve essere, in qualche maniera, motivata. In effetti i due segni che
puo assumere ε rappresentano le due differenti orientazioni che puo assumere il campo delle
normali alla ipersuperficie ∂Y . Adesso, siccome la normale alla ipersuperficie nµ ha componenti
nµ = (−N, 0, 0, 0) e la derivata che compare al membro destro dell’equazione (2.134) si calcola
rispetto alla normale uscente alla ipersuperficie stessa, allora il valore che deve assumere ε e −1.
In questa maniera si ottiene l’espressione per l’entropia di un buco nero, ossia
S =A
4. (2.153)
2.6 L’integrale funzionale per le teorie di gauge
E stato visto, nel primo capitolo, che la relativita generale e una teoria che possiede vincoli di
prima classe. D’altra parte il significato fisico di questi ultimi, come e stato gia ribadito, e il
seguente: sono funzioni generatrici di trasformazioni infinitesime di contatto, che non conducono
a variazioni delle variabili, atte a descrivere il sistema dinamico, che modificano lo stato fisico.
In altre parole i vincoli di prima classe sono i generatori infinitesimi delle trasformazioni di
gauge del sistema. In relativita generale, il gruppo di trasformazioni che non modifica lo stato
fisico del sistema e quello dei piu generali diffeomorfismi dello spazio-tempo. Nella costruzione
dell’integrale funzionale, svolta nei paragrafi precedenti, non e stata, pero, presa in consider-
azione questa importante proprieta del campo gravitazionale. E necessario, dunque, sviluppare
il formalismo dell’integrale funzionale in modo che in esso sia contenuta l’informazione dell’in-
varianza della teoria per azione del gruppo dei diffeomorfismi dello spazio-tempo. E importante
notare che l’estensione dell’integrale funzionale alle teorie di gauge e, pero, delicata. Infatti, le
trasformazioni del gruppo di gauge lasciano l’azione, delle teorie che possiedono questo tipo di
invarianza, immutata. Ora, nell’integrazione su tutti i campi si considerano anche quei campi
che si ottengono da altri tramite una trasformazione di gauge, ovvero si somma su campi fisi-
camente equivalenti. Cosı facendo si finisce con il sommare infinite volte sullo stesso campo, il
che rende l’integrale funzionale piu divergente dell’usuale. La soluzione del problema, quindi,
consiste nell’evitare questa ridondanza di integrazioni, concentrando la misura dell’integrale su
75
di un sottoinsieme di configurazioni contenente un solo punto per orbita del gruppo di gauge.
Ovviamente e essenziale che i risultati fisici della teoria siano indipendenti dalla gauge, ossia dal
criterio tramite il quale si sceglie il rappresentante per ogni orbita. Per raggiungere lo scopo
si costruira l’integrale funzionale a partire dalla teoria di Dirac dei sistemi hamiltoniani vin-
colati sviluppata nel primo capitolo. Nella descrizione della teoria di Dirac e stata introdotta
l’hamiltoniana
HT = H ′(q, p) + vaϕ(I)a (q, p), (2.154)
dove H ′(q, p) e l’hamiltoniana di prima classe e ϕ(I)a (q, p) sono i vincoli, primari e secondari, di
prima classe. Come e stato gia verificato, i vincoli sono proprio i generatori delle trasformazioni
di gauge nello spazio delle fasi. E per questo motivo, l’evoluzione delle coordinate canoniche
(q, p), generata da HT , non e determinata univocamente dai dati iniziali. Cio indica che si sta
fornendo una descrizione ridondante dello stato fisico. Si osservi, pero, che l’orbita del gruppo
di gauge passante per un punto (q, p) e data, almeno localmente, dall’insieme delle traiettorie,
passanti per quel punto, dei momenti aventi come hamiltoniana arbitrarie combinazioni lineari
dei vincoli. Dato che i vincoli sono di prima classe , quei moti non lasciano la superficie vincolare
ed inoltre, siccome i vincoli sono indipendenti, le traiettorie che si ottengono riempiono una
superficie n-dimensionale contenente il punto di partenza. Per eliminare i gradi di liberta non
fisici, si impongono n condizioni indipendenti gi(q, p) = 0, che siano in grado di determinare un
unico punto per orbita. La condizione, necessaria e sufficiente, affinche questo accada, almeno
localmente, e che si verifichi
detga(q, p), ϕb(q, p) 6= 0, (2.155)
nei punti appartenenti alla superficie vincolare. Inoltre si faccia l’ipotesi che le n condizioni
ga(q, p) = 0 siano in involuzione, ossia
ga(q, p), gb(q, p) = 0 con a, b ∈ 1, . . . , n. (2.156)
Questa ulteriore condizione permette di considerarle come le prime n coordinate di un sistema
di coordinate canonico
Qa ≡ ga(q, p) ; P a ≡ P a(q, p) ; Qi ≡ Qi(q, p) ; P i ≡ P i(q, p), (2.157)
dove a ∈ 1, . . . , n ed i ∈ n + 1, . . . , N. Ora la condizione (2.155), implica che
detQa, ϕb = det
(∂ϕb
∂P a
)6= 0, (2.158)
e quindi l’imposizione dei vincoli ϕb(Qa, P a, Qi, P i) = 0, fa sı che i momenti coniugati alle
condizioni di gauge, ovvero i P a, diventino funzione delle rimanenti coordinate
P a = P a(Qa, Qi, P i) con a ∈ 1, . . . , n , i ∈ n + 1, . . . , N. (2.159)
76
A questo stadio e necessario determinare, nella (2.154), le funzioni va, in modo che la condizione
di gauge ga(q, p) sia soddisfatta lungo i moti che la verificano al tempo iniziale. Cio comporta
che
ga(q, p) = ga, H ′+ vbga, ϕb ≈ 0, (2.160)
ed inoltre la condizione (2.155), assicura che le equazioni teste scritte ammettano un’unica
soluzione vga(q, p). L’hamiltoniana del sistema con la gauge fissata, e cosı univocamente deter-
minata
Hg(q, p) = H ′ + vga(q, p)ϕa(q, p). (2.161)
Ora, le prime n equazioni del moto, nel sistema di coordinate (2.157) si scrivono come
Qa =∂Hg
∂P a(Qa, P a, Qi, P i), (2.162)
dove queste ultime, considerate come equazioni implicite, non possono che essere equivalenti alle
(2.159), e permettono, quindi, di eliminare dalle equazioni del moto le 2n coordinate (Qa, P a).
L’hamiltoniana per le rimanenti 2(N − n) coordinate e, dunque, data da
Hg(Qi, P i) = Hg(Q
a, P a(Qa, Qi, P i), Qi, P i)|Qa=0. (2.163)
Le coordinate (Qi, P i) rappresentano, allora, gli effettivi gradi di liberta fisici nella gauge prescelta
e sono completamente libere da vincoli. Tutto questo suggerisce di scrivere l’integrale funzionale
per il sistema con la gauge fissata nella seguente forma:
∫ N∏j=1
DQjDP iexp
ı
∫ +∞
−∞dt
[N∑
i=n+1
P iQi − Hg(Qi, P i)
]=
∫ N∏j=1
DQjDP i
n∏a=1
δ[Qa]δ[P a− P a(Qa, Qi, P i)]exp
ı
∫ +∞
−∞dt
[N∑
j=1
P jQj −Hg(Q,P )
],(2.164)
ove, nell’esponente della seconda espressione, e stato aggiunto il termine∑n
a=1 P aQa che, gra-
zie al fattore∏n
a=1 δ[Qa] nell’integrando, non contribuisce all’integrale. E, a questo punto,
utile riesprimere la delta di Dirac dei momenti, all’interno dell’integrale, in termini dei vincoli
ϕa(Q,P ). Ricordando la regola di sostituzione di variabili nella funzione delta
δ(y(x)) = δ(y)dx
dy,
si ha chen∏
a=1
δ[P a− P a(Qa, Qi, P i)] =n∏
a=1
δ[ϕa] det
(∂ϕa
∂P b
)(Qa, Qi, P a, P i), (2.165)
77
ma siccome vale l’espressione (2.158), quest’ultima equazione si trasforma nella seguente:
n∏a=1
δ[P a− P a(Qa, Qi, P i)] =n∏
a=1
δ[ϕa] detQa, ϕb. (2.166)
In definitiva, sostituendo questo risultato nella (2.164), si ha
∫ N∏j=1
DQjDP j
n∏a=1
δ[Qa]δ[ϕa] detQa, ϕbexp
ı
∫ +∞
−∞dt
[N∑
j=1
P jQj −Hg
]. (2.167)
L’ultimo passo da compiere, prima di giungere al risultato finale, e il ritorno alle coordinate
canoniche originarie (q, p). Nell’effettuare il cambiamento di coordinate (Q,P ) −→ (q, p), e nec-
essario tener presente i due seguenti fatti:
1) poiche lo jacobiano di una trasformazione canonica e pari ad 1, la misura nell’integrale
funzionale rimane formalmente la stessa, ovvero
N∏i=1
DP iDQi =N∏
i=1
DpiDqi. (2.168)
2) poiche per una trasformazione canonica si ha
pidqi − PidQi = dS, (2.169)
nel cambiamento di variabili, nell’esponenziale dell’integrando appare un termine di superficie
che puo essere ignorato.
Si ottiene, cosı, l’espressione conclusiva
∫DpDq
n∏a=1
δ[ga]δ[ϕa] detga, ϕbexp
ı
∫ +∞
−∞dt
[pj qj −HT
], (2.170)
dove nell’esponenziale si e sostituito HT ad Hg, visto che il termine vaϕa(q, p) non contribuisce
all’integrale, a causa della presenza delle δ[ϕa]. Il determinante che compare nell’integrale (2.170)
e il ben noto determinante di Faddeev-Popov, che non rappresenta altro che il determinante della
matrice delle variazioni delle funzioni di gauge ga(q, p) sotto le trasformazioni di gauge
detga, ϕb = det
(δga
δωb
),
dove con ωb si e indicato un insieme di parametri per le trasformazioni di gauge nel punto (q, p).
Un altra maniera per ricavare l’integrale funzionale per teorie che presentino invarianza sotto
l’azione di un gruppo di gauge, e che non faccia esplicito riferimento al formalismo hamiltoniano,
78
e la seguente: sia Φ lo spazio dei campi, su di esso insiste un sistema di coordinate ϕi. Nel caso in
cui, come espresso in precedenza, su Φ operi un gruppo di gauge G, non tutte le configurazioni di
campi ϕi sono fisicamente distinte. Infatti ϕi ∈ Φ tale che ϕi = G(ϕi), e fisicamente equivalente
a ϕi. Quindi nel momento in cui si va a considerare l’integrale funzionale nelle variabili ϕi, in
quest’ultimo si sommano anche campi fisicamente equivalenti. Per risolvere il problema, dunque,
bisogna integrare solamente su classi di equivalenza di gauge; ovvero se I etichetta le classi di
equivalenza di gauge, allora l’integrale puo essere espresso come∫DI eıS[I], (2.171)
dove si e posto S[I] = S[ϕ(I)]. Tuttavia, per sommare su classi di equivalenza e necessario
fissare una gauge, in modo da considerare un elemento rappresentativo per ogni orbita. Cio
viene realizzato introducendo l’integrazione in Dχ, con una delta di Dirac che fissi il valore della
χ ad un arbitrario punto ζ, quindi∫DI eıS[I] =
∫DχDI δ(χ− ζ)eıS[I]. (2.172)
Come si puo notare questa espressione e del tutto generale in quanto consente di cambiare
arbitrariamente la gauge, semplicemente cambiando il punto χ che compare nella delta di Dirac.
In termini, pero, delle iniziali variabili ϕ, l’integrale (2.172) viene riespresso come
∫DI eıS[I] =
∫Dϕ δ(χ(ϕ)− ζ)eıS[I]J [ϕ], (2.173)
in cui il termine J [ϕ] e lo jacobiano della trasformazione di coordinate (Ia, χα) −→ ϕl, ossia
J [ϕ] = det
(δIa
δϕl,δχα
δϕl
)T
≡ det M. (2.174)
E interessante, adesso, fare alcune precisazioni a proposito dell’integrale (2.173), e delle coor-
dinate (Ia, χα). Queste ultime coordinate sono utilizzate poiche riflettono la scomposizione in
orbite dello spazio dei campi. Tuttavia il loro carattere e locale e quindi, quando si tenta di
studiarne le proprieta globali, bisogna affrontare alcuni problemi. Tra questi il problema del-
l’ambiguita di Gribov merita un’attenzione speciale. Infatti nello spazio delle orbite, la scelta
del gauge-fixing sui campi
χ(ϕ)− ζ = 0, (2.175)
descrive una superficie che interseca le orbite di gauge. A livello perturbativo, quando si impone
un gauge-fixing, si richiede che ciascuna orbita intersechi la superficie definita dalla (2.175) una
ed una sola volta in maniera tale da assicurare l’unicita del campo che soddisfa alle equazione
79
dinamiche per ogni scelta di gauge. Estendendo questa procedura globalmente nello spazio delle
orbite, si incontrano delle difficolta dovute alla natura non banale della topologia del fibrato allo
spazio delle orbite. Puo accadere, quindi, che la superficie di gauge-fixing intersechi piu di una
sola volta le orbite di gauge. Se questo accade, a livello globale le funzioni di transizione possono
assumere differenti valori nei differenti settori topologici del fibrato allo spazio dei campi [16].
E importante, a questo punto, analizzare piu in dettaglio le proprieta di questo determinante,
in particolare si condideri la derivata logaritmica
δ log J [ϕ]
δϕl=
δ(log det M)
δϕl=
δTr(log M)
δϕl= Tr
(M−1 δM
δϕl
), (2.176)
dove M−1 =(
δϕi
δIa , δϕi
δχα
)T
. Notando che
δϕl = Qlαδχα = (F−1)β
αRlβδχα,
ed esplicitando il prodotto tra le matrici M−1 e δMδϕl , si ottiene
δ log J [ϕ]
δϕl=
δϕi
δχα
δ2χα
δϕiδϕl+
δϕi
δIa
δ2Ia
δϕiδϕl= (F−1)β
αRiβ
δ2χα
δϕiδϕl+
δϕi
δIa
δ2Ia
δϕiδϕl. (2.177)
Del resto, il fattore Riβ
δ2χα
δϕiδϕl che compare in quest’ultima espressione e esprimibile come
Riβ
δ2χα
δϕiδϕl=
δ(Fαβ)
δϕl− δRi
β
δϕl
δχα
δϕi.
Pertanto si ottiene
δ log J [ϕ]
δϕl= (F−1)β
α
δ(Fαβ)
δϕl− (F−1)β
α
δRiβ
δϕl
δχα
δϕi+
δϕi
δIa
δ2Ia
δϕiδϕl
=δ(log det F )
δϕl− (F−1)β
α
δRiβ
δϕl
δχα
δϕi+
δϕi
δIa
δ2Ia
δϕiδϕl. (2.178)
Da questa ultima relazione segue che lo jacobiano ammette la seguente fattorizzazione:
J [ϕ] = N [ϕ] det F, (2.179)
avendo posto cheδ log N [ϕ]
δϕl= −(F−1)β
α
δRiβ
δϕl
δχα
δϕi+
δϕi
δIa
δ2Ia
δϕiδϕl. (2.180)
D’altra parte si puo verificare che moltiplicando la (2.180) per Rlα, si ha
Rlα
δ log N [ϕ]
δϕl= −Rl
α(F−1)βµ
δRiβ
δϕl
δχµ
δϕi+ Rl
α
δϕi
δIa
δ2Ia
δϕiδϕl, (2.181)
80
ma notando cheδ
δϕl[Rl
αRiβ] =
δRlα
δϕlRi
β +δRi
β
δϕlRl
α, (2.182)
e che
(F−1)βµR
iβ =
δϕi
δχµ, (2.183)
si giunge a concludere che l’equazione (2.180) soddisfa alla seguente relazione:
Rlα
δ log N [ϕ]
δϕl=
δRlα
δϕl+ Cβ
αβ, (2.184)
dove e stato posto
Cβαβ = Rl
α
δϕi
δIa
δ2Ia
δϕiδϕl− (F−1)β
µ
δ
δϕl[Rl
αRiβ]
δχµ
δϕi.
In virtu, quindi, della fattorizzazione (2.179) l’integrale funzionale si puo scrivere, inglobando il
funzionale N all’interno della misura a sua volta regolarizzata,∫DI eıS[I] =
∫Dϕ det Fδ(χ(ϕ)− ζ) eıS[ϕ]. (2.185)
Del resto, a causa del fatto che la teoria e invariante sotto trasformazioni di gauge, l’integrale
funzionale non puo dipendere dal punto ζ in cui e stata fissata la gauge. Pertanto utilizzando la
seguente identita, valida per variabili bosoniche e per una generica matrice costante ed invertibile
βµν : ∫dζ eıζµβµνζν
det β12 = 1, (2.186)
si puo inserire una integrazione in dζ nella (2.185), che renda l’integrale indipendente dal punto
ζ fissato. Ovvero∫Dϕ det Fδ(χ(ϕ)− ζ) eıS[ϕ] =
∫dζ
∫Dϕδ(χ(ϕ)− ζ) eıζµβµνζν
det β12 det F eıS[ϕ]
=
∫Dϕ eı χµ[ϕ]βµνχν [ϕ] det β
12 det F eıS[ϕ]. (2.187)
Si osservi che in questa maniera si realizza di fatto una media gaussiana su tutte le possibili
scelte di gauge. Ora, si puo mostrare che i due determinanti che compaiono nella (2.187), sono
esprimibili come
det β12 =
∫dω e
ı2ωµβµνων
, (2.188)
det F =
∫dCdC∗ eıC∗αF α
βCβ
, (2.189)
81
in cui ω e C, insieme al suo complesso coniugato, sono campi fermionici, rispettivamente reale e
complesso, denominati campi di ghost. Il determinante det F , puo essere scritto anche come
det F =
∫dTdR exp
ı
2(T,R)
(0 F
−F 0
)(T
R
)=
∫dTdR eıT FR, (2.190)
nella quale T ed R sono campi fermionici reali ed indipendenti. Pertanto, utilizzando quest’ul-
tima forma per esprimere il det F , all’interno dell’integrale funzionale si ottiene, in definitiva
l’espressione ∫Dϕ dT dR dω eıS[ϕ]+βµνχµ(ϕ)χν(ϕ)+TαF α
βRβ+ 12ωµβµνων. (2.191)
2.7 Formalismo manifestamente covariante
Nel paragrafo precedente sono stati analizzati due modi per giungere alla descrizione della teo-
ria tramite l’integrale funzionale. Il primo metodo descritto si basa su di una formulazione
hamiltoniana del sistema, mentre il secondo metodo fa uso della formulazione lagrangiana. Lo
scopo di questo paragrafo e quello di descrivere un formalismo manifestamente covariante che
sia particolarmente adatto all’analisi di teorie che possiedono un gruppo di invarianza infinito-
dimensionale come la teoria della relativita generale. Questo formalismo, sviluppato da DeWitt
[17], e di fondamentale importanza per quelle teorie la cui dinamica discenda dal principio di
azione stazionaria. A tal fine, DeWitt stesso ha sviluppato una notazione condensata che risulta
particolarmente utile allo scopo.
In questa notazione un indice “i” etichetta non solo le varie componenti di un campo, ma
indica anche il punto spazio-temporale, ovvero le coordinate (x0, x1, x2, x3). In questa maniera
la convenzione di Einstein di somma su gli indici ripetuti, si estende ad includere anche una
integrazione. Inoltre, in questa notazione, l’ultima parte dell’alfabeto greco viene utilizzata
per gli indici 4-dimensionali, mentre la prima parte viene utilizzata per gli indici di gruppo.
In definitiva, le variabili di campo vengono indicate con ϕi, ed Mij rappresenta, con questa
notazione, una matrice continua. La derivata funzionale rispetto ad una qualunque variabile di
campo, e indicata da una virgola seguita da uno oppure piu indici latini. Ad esempio le equazioni
di campo si scriveranno
S,i = 0,
oppure, piu in generale, dato un funzionale delle variabili di campo F [ϕ], la differenziazione si
esprime come
δF [ϕ] =
∫δF [ϕ]
δϕiδϕidx = F,i[ϕ]δϕi.
82
Quando e necessario distinguere tra differenti punti spazio-temporali, si aggiunge un “primo”
all’indice considerato, ad esempio
ϕi′′ = ϕi(x′′).
Lo stesso discorso si applica alle derivate funzionali valutate in diversi punti dello spazio-tempo,
ovvero
F, µν ′ =∂
∂xµ
∂
∂x′νF,
dove in quest’ultima formula si e indicata la derivazione rispetto ad una coordinata xµ in una
data carta, con una virgola seguita da uno oppure piu indici greci. Un importante oggetto a due
punti e la δ di Dirac. Con questa notazione si ha
δij′ = δi
jδ(x, x′) ; δµν′ = δµ
νδ(x, x′).
In ultima istanza, sono particolarmente utili le seguenti identita:
ϕi,j′ = δi
j′ = δijδ(x, x′) ; (ϕi
,µ), j′ = δij′,µ = δi
jδ, µ(x, x′)
Grazie a questa notazione, quindi, si e in grado di studiare una teoria di campo del tutto generale
in una forma manifestamente covariante.
Adottando il principio di azione stazionaria, la natura e le proprieta dinamiche di un sistema
classico sono completamente determinate specificando per esso un funzionale d’azione S. Infatti
a partire da esso si ottengono, per derivazione funzionale, le equazioni che regolano la dinamica
del sistema in esame, ovvero
0 = S,i[ϕ] =∂L
∂ϕi−
(∂L
∂ϕi,µ
)
,µ
. (2.192)
Si consideri, adesso, un sistema che possieda un gruppo di invarianza. Tuttavia, per procedere
con l’analisi di tali sistemi e necessario fornire alcune definizioni. Sia M una varieta, e si supponga
che su di essa sia definito un atlante, in modo che ogni intorno P di un punto p di M sia munito
di una carta (P, ψ). Sia ϕ un campo definito su M , e si denoti con ϕi(x) la collezione di
componenti di ϕ in una carta locale (U , ψ); l’insieme di tutte le ϕi(x) per tutti gli x ∈ M in
tutte le carte definisce una storia di campo. Si indica, dunque, con Φ lo spazio di tutte le possibili
storie di campo classiche, sia quelle che soddisfano le equazioni del moto e sia quelle che non le
soddisfano; Φ e una varieta infinito-dimensionale.
Sia, quindi, T (Φ) l’insieme di tutti i campi vettoriali su Φ. Si definisce flusso locale di un
campo vettoriale Xα nel punto φ ∈ Φ la mappa
F : I × U −→ Φ, (2.193)
83
dove I e un intorno aperto dell’origine in R, e U e un intorno aperto di φ, tale che, ∀ψ ∈ U , la
mappa
Fψ : I −→ Φ, (2.194)
e una curva integrale di Xα attraverso ψ. Si puo dimostrare, inoltre, che ∀Xα ∈ T (Φ) e ∀ψ ∈ Φ
esiste un flusso locale F : I × U −→ Φ di Xα in ψ, e la mappa Ft definita da F (t, ψ) per ogni
ψ ∈ U e un diffeomorfismo di U in un certo sottoinsieme aperto Ut di Φ. I sistemi che in questo
luogo verranno presi in considerazione, sono quelli, tra i quali rientra la relativita generale, per
i quali esiste sullo spazio delle storie Φ un insieme infinito di flussi che lasciano invariato il
funzionale d’azione. Ovvero esiste un insieme infinito di campi vettoriali non nulli Qα su Φ tali
che
SQα = 0, (2.195)
dove si sono scritti i campi vettoriali come operatori che agiscono da destra. Quest’ultima
equazione in notazione condensata prende la forma
S,iQiα = 0. (2.196)
In virtu dell’equazione (2.196), il funzionale d’azione rimane invariato sotto variazioni infinites-
ime delle variabili dinamiche della forma
δϕi = Qiαδξα, (2.197)
dove i parametri infinitesimi della trasformazione δξα, sono funzioni definite su M . Infatti si
consideri
δS = S[ϕi + δϕi]− S[ϕi], (2.198)
tuttavia il primo termine della differenza puo essere scritto come
S[ϕi + δϕi] ' S[ϕi] + S,iδϕi, (2.199)
sostituendo, quindi, lo sviluppo (2.199) nella (2.198), e tenendo conto dell’espressione (2.197), si
ottiene
δS = (S,iQiα)δξα = 0, (2.200)
in virtu della condizione (2.196). Considerando, adesso, il commutatore di due trasformazioni
infinitesime di invarianza, i cui parametri siano δ1ξα e δ2ξ
β, si ottiene una trasformazione di
invarianza infinitesima del secondo ordine
δϕi = [Qα, Qβ]δ1ξαδ2ξ
β, (2.201)
84
dove con [Qα, Qβ] si e indicato il commutatore dei campi vettoriali Qα e Qβ. E agevole verificare,
srivendo esplicitamente l’espressione del commutatore, che l’espressione (2.201) e ancora una
trasformazione di invarianza. Infatti
S[Qα, Qβ] = 0. (2.202)
A questo stadio, tuttavia, e bene ricordare che si stanno trattando gruppi continui infinito-
dimensionali, che differiscono sostanzialmente dai gruppi con dimensioni finite. Per assicurarsi
la validita di alcune caratteristiche che si vuole associare ai gruppi di invarianza trattati, e
necessario imporre due condizioni sui campi vettoriali Qα.
La prima condizione comporta che la rappresentazione del gruppo fornita dalle ϕi sia fedele.
Il criterio di fedelta si esprime assumendo che i campi vettoriali Qα in ogni punto ϕ ∈ Φ
costituiscano un insieme di vettori linearmente indipendenti per lo spazio tangente T (Φ), ossia
Qαδξα = 0 se e solo se δξα = 0 ∀α . (2.203)
La seconda condizione, invece, e quella di completezza, ovvero si impone che i Qα generino tutti
i flussi che lasciano S invariato. Tale completezza implica che il commutatore (2.202) deve avere
la forma
[Qα, Qβ] = cγαβQγ + S,iT
iαβ, (2.204)
dove le cγαβ sono campi scalari antisimmetrici negli indici α e β, e i T i
αβ sono campi tensoriali
su Φ antisimmetrici nello scambio sia degli indici interni sia degli indici gruppali, ossia
T ijαβ,j = −T ji
αβ,j . (2.205)
Tuttavia le teorie di gauge possono suddividersi in tre tipi, a seconda del carattere dei commu-
tatori utilizzati per descriverle.
Il commutatore di tipo I, e specificato da
Tαβ = 0 ∀ α, β e cγαβ indipendenti dalle ϕ. (2.206)
Il commutatore di tipo II, invece, e caratterizzato da
Tαβ = 0 ∀ α, β e cγαβ dipendenti dalle ϕ. (2.207)
Infine per il commutatore di tipo III si ha
Tαβ 6= 0 ∀ α, β e cγαβ dipendenti dalle ϕ. (2.208)
85
L’unico caso che verra analizzato nel seguito, e che, tra l’altro, compete anche alla relativita
generale, e il primo. Esplicitamente il commutatore prende la forma
[Qα, Qβ] = cγαβQγ, (2.209)
dove i campi scalari cγαβ sono le costanti di struttura del gruppo di Lie infinito-dimensionale.
I vettori di flusso, dunque, formano un’algebra di Lie chiusa g, e quindi decompongono lo
spazio delle storie Φ in orbite, ovvero nelle curve su Φ che connettono ogni punto ϕ a tutti
gli altri punti che si ottengono da esso tramite l’azione del gruppo i cui generatori infinitesimi
sono proprio i campi vettoriali Qα. Infatti ogni elemento Qα genera un gruppo globale ad un
parametro di diffeomorfismi Ft, determinato dal flusso globale F (t, ϕ). Viceversa, ogni gruppo
globale ad un parametro Ft determina un solo elemento Qα dell’algebra dei generatori. La mappa
definita da questo isomorfismo e detta mappa esponenziale
exp : Qα −→ Ft(ϕ0) , ϕ0 e l’origine di Φ. (2.210)
I campi connessi da trasformazioni infinitesime di invarianza sono fisicamente identici, ovvero
tutti i punti che appartengono all’orbita generata da un vettore di flusso Qα, sono differenti
caratterizzazioni matematiche di una stessa entita fisica. Per distinguere, quindi, i campi che
sono fisicamente non equivalenti da campi che si ottengono gli uni dagli altri tramite una trasfor-
mazione di invarianza, e naturale introdurre delle nuove coordinate che riflettano la decompo-
sizione in orbite dello spazio delle storie Φ. Quindi, come gia e stato accennato in precedenza, si
introducono in regioni aperte di Φ le coordinate Ia e Kα in luogo delle coordinate ϕi. In questo
nuovo sistema di coordinate le Ia etichettano le orbite, e le Kα individuano un punto sull’orbita.
Si puo procedere, adesso, una volta sviluppato il formalismo, allo studio di una teoria dei
campi classica. La dinamica si basa sui piccoli disturbi prodotti sui sistemi classici da agenti
esterni, in tale maniera sara favorito il passaggio alla teoria quantistica. Piu precisamente la
teoria quantistica e essenzialmente una teoria di piccoli disturbi. Questi ultimi, infatti, sono
molto importanti nel procedimento di misura e quindi nella fondatezza del passaggio ad una
teoria quantistica. Tuttavia questo argomento esula dagli scopi di questa tesi, e si rimanda, per
una trattazione piu completa ed accurata, alla monografia di DeWitt [18].
86
2.8 Equazione dei piccoli disturbi e l’operatore di ghost
classico
Si consideri un sistema la cui azione sia S. La sua dinamica e completamente determinata una
volta risolte le equazioni
S,i = 0. (2.211)
Siano, ora, ϕi e ϕi + δϕi due soluzioni infinitesimamente prossime delle equazioni dinamiche
(2.211), ovvero
S,i[ϕi] = 0
S,i[ϕi + δϕi] = 0, (2.212)
Sviluppando la seconda di queste equazioni al primo ordine in δϕi si ottiene
S,ijδϕj = 0, (2.213)
che e nota come equazione dei piccoli disturbi. Le soluzioni di questa equazione sono note
con il nome di campi Jacobi, mentre l’operatore S,ij e chiamato operatore dei campi di Jacobi.
Fisicamente l’equazione (2.213) rappresenta la risposta lineare di un sistema dinamico alla per-
turbazione rappresentata dalla variazione dell’azione. Il caso in cui la variazione e prodotta da
un agente esterno, si puo descrivere tramite l’equazione inomogenea dei piccoli disturbi che ha
la forma seguente:
S,ijδϕj = −εAi, (2.214)
dove A rappresenta il campo scalare causa della perturbazione, ed ε e un numero reale in-
finitesimo. La soluzione dell’equazione (2.214) si ottiene sommando una soluzione dell’equazione
omogenea associata, ovvero la (2.213), ad una soluzione particolare della (2.214) soddisfacente
a determinate condizioni al contorno. Di particolare importanza sono le condizioni al contorno
avanzate e ritardate, dalle quali le soluzioni che si ottengono si indicano, rispettivamente, con
δ+ϕi e δ−ϕi, e si esprimono come
limx→±∞
δ±ϕi = 0, (2.215)
dove +∞ e −∞ indicano rispettivamente il futuro remoto ed il passato remoto.
Nel caso in cui non sia presente un gruppo di invarianza infinito-dimensionale, l’equazione
(2.214) ha soluzione
δϕi = εGijA,i , (2.216)
87
dove Gij e una appropriata funzione di Green soddisfacente l’equazione
S,ikGkj = −δj
i . (2.217)
Si ottengono, dunque, differenti soluzioni dell’equazione considerata purche si considerino differ-
enti condizioni al contorno.
E interessante notare che se si considera il campo vettoriale Qα, generatore infinitesimo delle
trasformazioni di invarianza, e le equazioni dinamiche sono soddisfatte, la derivata funzionale
seconda dell’azione, S,ij, soddisfa l’equazione
S,ijQiα = 0. (2.218)
Tuttavia tutte le funzioni della forma Qiαδξα dove i δξα hanno supporto compatto su tutto
lo spazio-tempo, sono autofunzioni, con autovalore nullo, dell’operatore dei campi di Jacobi.
L’esistenza di tali funzioni implica che S,ij, in presenza di un gruppo di invarianza, e un operatore
singolare e non puo essere invertito, ovvero non ammette funzioni di Green. Quindi se ad
una qualunque soluzione dell’equazione dei piccoli disturbi si aggiunge la funzione Qiαδξα, si
ottiene, come risultato, un’altra funzione che pur essendo matematicamente differente dalla
prima, e fisicamente equivalente ad essa. Per ovviare a questo problema e necessario imporre
una condizione supplementare sui piccoli disturbi della forma
Pαiδϕi = 0, (2.219)
dove i Pαi sono tipicamente combinazioni lineari di distribuzioni delta e di loro derivate. L’unica
condizione che si impone sulla scelta di queste condizioni, e che l’operatore differenziale
Fαβ = PαiQiβ, (2.220)
sia un operatore non singolare avente come funzione di Green G αβ. L’operatore che e stato
introdotto nella (2.220) e chiamato operatore di ghost classico. Una scelta naturale per le con-
dizioni supplementari e dettata dalla richiesta di manifesta covarianza, ovvero, quando lo spazio
delle storie Φ e dotato di una metrica invariante γ, conviene porre
Pαi = −Qjαγji. (2.221)
L’operatore di ghost Fαβ, quindi, diviene autoaggiunto e l’indipendenza lineare dei vettori di
flusso Qα e la non singolarita della metrica γ garantiscono la non singolarita di Fαβ, ossia si puo
scrivere
Fαβ = −QiαγijQ
jβ. (2.222)
88
Piu in generale si puo porre
Fαβ = kαγ[ϕ]Kγ,i[ϕ]Qi
β[ϕ], (2.223)
dove kαγ e una matrice continua locale non singolare, ossia una combinazione lineare di delta di
Dirac e di loro derivate con coefficienti locali, e le Kγ sono le coordinate introdotte per riflettere
la decomposizione in orbite dello spazio delle storie.
In definitiva quando la condizione supplementare sui piccoli disturbi (2.219) e soddisfatta, si
puo sostituire all’operatore singolare S,ij il seguente operatore:
Fij = S,ij + PiαkαβPβj, (2.224)
il quale non e singolare, ed ammette soluzioni del tipo
δ±ϕi = εG±ijA,i , (2.225)
dove si sono indicate con G±ij le funzioni di Green avanzate o ritardate soddisfacenti all’equazione
FikG±kj = −δj
i. (2.226)
2.9 Teoria quantistica dei campi manifestamente covari-
ante
E ben noto che un sistema quantistico e definito assegnando una legge di corrispondenza tra le
sue variabili classiche e gli elementi di un’algebra di operatori definiti sullo spazio degli stati. Per
i sistemi con un numero finito di gradi di liberta questa corrispondenza e data stabilendo una
relazione di proporzionalita tra le parentesi di Poisson classiche ed i commutatori quantistici.
Invece, questa procedura non si applica in modo automatico ai sistemi che possiedono un numero
infinito di gradi di liberta. Tuttavia si ritiene che il metodo di Feynman della somma sui cammini
abbia un dominio di applicabilita del tutto generale. Nel formalismo sviluppato fino adesso, il
punto di partenza per un’analisi dettagliata dell’integrale funzionale e il principio di azione
di Schwinger che mette in relazione la variazione di un elemento di matrice con la varizione
dell’operatore quantistico δS, ovvero [19]
δ〈A|B〉 = ı〈A|δS|B〉, (2.227)
dove |A〉 e |B〉 sono autovettori degli operatori A e B corrispondenti alle osservabili A e B,
mentre δS rappresenta la variazione dell’azione in forma operatoriale. Poiche la (2.227) e una
trasformazione unitaria, il principio di Schwinger garantisce la preservazione dell’interpretazione
89
probabilistica della teoria quantistica e della normalizzazione unitaria della probabilita totale.
Quando l’azione non possiede alcun flusso invariante, una scelta conveniente per variare
l’azione e quella di aggiungere un termine di sorgente della forma Jiϕi, dove le funzioni a valori
reali sullo spazio-tempo Ji sono chiamate sorgenti esterne. Siano, quindi, δJi le variazioni delle
sorgenti esterne, con supporti confinati nella regione dello spazio-tempo che giace, nel tempo,
tra le regioni associate con i vettori di stato |A〉 e |B〉. In questo caso l’ampiezza di transizione
subisce la variazione
δ〈A|B〉 = ı〈A|δJkϕk|B〉, (2.228)
ossia1
ı
δ
δJk
〈A|B〉 = 〈A|ϕk|B〉. (2.229)
Sia |ϕi〉 un insieme completo di autovettori fisici normalizzati di ϕi, ossia
ϕi|ϕi〉 = ϕi|ϕi〉,
in virtu della loro introduzione la (2.229) puo essere riscritta come
1
ı
δ
δJk
〈A|B〉 =∑
〈A|ϕ〉ϕk〈ϕ|B〉. (2.230)
Operando una seconda variazione si ottiene
δ1
ı
δ
δJk
〈A|B〉 = ı∑
〈A|δJiϕi|ϕ〉ϕk〈ϕ|B〉 = 〈A|δJiϕ
iϕk|B〉, (2.231)
da cui in definitiva si puo scrivere
1
ı
δ
δJi
1
ı
δ
δJk
〈A|B〉 = 〈A|ϕiϕk|B〉. (2.232)
Continuando in tal maniera, del tutto in generale si giunge all’espressione
δ
ıδJi1
· · · δ
ıδJin
= 〈A|T(ϕi1 · · ·ϕin)|B〉, (2.233)
dove T e l’operatore di ordinamento cronologico, il quale riarrangia i campi ϕi1 · · ·ϕin in modo
che i tempi associati con gli indici appaiano in sequenza cronologica da sinistra verso destra.
Sia ora A[ϕ] un funzionale qualsiasi delle variabili classiche ϕ, che possiede uno sviluppo
funzionale in serie di Taylor intorno a ϕ = 0 con raggio di convergenza non nullo, ossia
A[ϕ] = A[0] + A,i[0]ϕi +1
2!A,ik[0]ϕiϕk + · · · , (2.234)
da cui si puo scrivere, utilizzando l’espressione (2.233) e quelle precedenti, che
〈A|T(A[ϕ])|B〉 = A1
ı
δ
δJ〈A|B〉, (2.235)
90
dove
A1
ı
δ
δJ= A[0] + A,k[0]
1
ı
δ
δJk
+1
2!A,ik[0]
1
ı
δ
δJi
1
ı
δ
δJk
. (2.236)
Quest’ultima equazione fornisce un modo per associare un operatore T(A[ϕ]) ad ogni funzionale
classico A[ϕ] con le appropriate prorieta. Questa corrispondenza e valida, pero, solamente nel
caso in cui T(A[ϕ]) risulti essere autoaggiunto. Tuttavia, in generale, T(A[ϕ]) non e autoaggiun-
to anche quando A[ϕ] e reale. Affinche T(A[ϕ]) sia autoaggiunto, A[ϕ] deve essere un funzionale
locale, ovvero costruito tramite le ϕ e le loro derivate prese nello stesso punto dello spazio-tempo.
Tuttavia, anche questa ulteriore condizione non e necessaria per garantire in ogni caso l’autoag-
giuntezza di T(A[ϕ]): infatti, ad esempio, T(S,i[ϕ]) non e autoaggiunto. Le equazioni dinamiche
della teoria quantistica, quindi, non devono essere della forma T(S,i[ϕ]) = 0. Constatato cio si
postula che:
Esiste un funzionale µ[ϕ] determinato a partire dall’azione classica S[ϕ], tale che le equazioni
dinamiche operatoriali prendano la forma
T
(δ
δϕiS[ϕ]− ı log µ[ϕ]
)= −Ji, (2.237)
con µ[ϕ] noto come funzionale di misura. Si noti inoltre che, esplicitando i calcoli nella (2.237),
si haδ
δϕiS[ϕ]− ı log µ[ϕ] = S,i[ϕ]− ı
δ
δϕilog µ[ϕ], (2.238)
tuttavia il logaritmo si srive come
δ
δϕilog µ[ϕ] =
1
µ[ϕ]µ,i[ϕ], (2.239)
quindi, in definitiva, si ottiene l’espressione
T
(S,i[ϕ]− ı
1
µ[ϕ]µ,i[ϕ]
)= T(S,i[ϕ])− ıT
(1
µ[ϕ]µ,i[ϕ]
)= −Ji. (2.240)
Si evince da quest’ultima espressione che il funzionale di misura precedentemente introdotto rap-
presenta una correzione all’autoaggiuntezza dell’operatore T(S,i[ϕ]). Siccome l’ampiezza di tran-
sizione e un funzionale delle sorgenti esterne, si puo riesprimere tramite un integrale funzionale
di Fourier. A tal uopo si consideri l’espressione
〈A|B〉 =
∫X[ϕ]eıJϕ
∏i
dϕi, (2.241)
dove le ϕi sono variabili di integrazione a valori numerici piuttosto che componenti di un campo
classico di background, e il prodotto e un prodotto continuo infinito, e quindi sia esso che l’in-
tegrale sono espresioni formali. Assumendo, quindi, la validita dell’integrazione per parti, si ha
91
che∫ (
δ
ıδϕkX[ϕ]
)eıJϕ
∏i
dϕi = −∫
X[ϕ]
(δ
ıδϕkeıJϕ
) ∏i
dϕi =
= −∫
X[ϕ]JkeıJϕ
∏i
dϕi = −Jk
∫X[ϕ]eıJϕ
∏i
dϕi = −Jk〈A|B〉. (2.242)
Quindi, in virtu del risultato dell’ultima espressione, e dell’equazione (2.237), si ottiene che
−〈A|Jk|B〉 = 〈A|T(
δ
δϕiS[ϕ]− ı log µ[ϕ]
)|B〉. (2.243)
Tuttavia, in base all’equazione (2.235), l’espressione (2.243) si puo riscrivere come
〈A|T(
δ
δϕiS[ϕ]− ı log µ[ϕ]
)|B〉 =
S,i
[δ
ıδϕ
]− ıµ
[δ
ıδϕ
]−1
µ,i
[δ
ıδϕ
]〈A|B〉 =
=
∫δ
δϕkS[ϕ]− ı log µ[ϕ]X[ϕ]
∏i
dϕi (2.244)
Siccome la rappresentazione integrale di Fourier e unica, si ottiene l’eguaglianza
δ
ıδϕkX[ϕ] =
δ
δϕkS[ϕ]− ı log µ[ϕ]X[ϕ], (2.245)
dalla quale si ha l’espressione
δX[ϕ]
X[ϕ]= ı
δ
δϕkS[ϕ]− ı log µ[ϕ]δϕk. (2.246)
Una possibile soluzione della (2.246) e la seguente:
X[ϕ] = N expıS[ϕ]µ[ϕ], (2.247)
dove N e una costante di integrazione. Tuttavia la soluzione piu generale che si puo ottenere
dall’equazione (2.246) e
X[ϕ] =
∫dβ
∫dαN [α, β]eıS[α,β,ϕ]µ[ϕ], (2.248)
dove α e un insieme di parametri associati alla regione dello spazio-tempo che compete al-
l’osservabile A, mentre β e un insieme di parametri associati alla regione dello spazio-tempo che
compete all’osservabile B. La rappresentazione di Fuorier dell’ampiezza di transizione 〈A|B〉,quindi, assume la forma
〈A|B〉 =
∫µ[ϕ]
∏i
dϕi
∫dα
∫dβN [α, β]eıS[α,β,ϕ]+Jϕ, (2.249)
92
che rappresenta proprio l’integrale funzionale di Feynman. Si postula, pero, che questa forma
per l’integrale funzionale valga anche quando lo spazio delle configurazioni C non e uno spazio
vettoriale. In questo caso l’accoppiamento con le sorgenti esterne del tipo Jϕ non e appropriato
e si dovrebbe scrivere
〈A|B〉 =∑
γ
∫µ[ϕ]
∏i
dϕi
∫dα
∫dβN [α, β]eıS[α,β,ϕ], (2.250)
dove γ e un’etichetta che distingue le differenti classi di equivalenza di omotopia di storie, dis-
tinzione che si rende necessaria quando lo spazio C e topologicamente non banale. Quest’ultimo
contempla proprio il caso della relativita generale, in quanto lo spazio delle storie, ovvero il
superspazio, non puo essere considerato una varieta, bensı una stratificazione di varieta che
possiede una topologia non banale.
Si puo procedere, adesso, ad analizzare le teorie di gauge. Poiche la fisica di queste ultime
ha luogo nello spazio H = Φ/G, l’integrale funzionale si puo esprimere come
〈A|B〉 =
∫µ[ϕ]
∏A
dIA
∫dα
∫dβN [α, β]eıS[α,β,I], (2.251)
dove le IA etichettano le orbite di gauge. Analogamente al discorso precedente, se la topologia
di H e non banale e necessario includere anche la somma sulle classi di omotopia delle curve
di gauge. Tuttavia, l’espressione (2.251) per l’integrale funzionale e strettamente formale per
due ragioni: in primo luogo le etichette IA, che compaiono come variabili di integrazione, sono
solamente concettuali, ossia non vengono scelte esplicitamente. In secondo luogo, invece, tutte
le scelte esplicite note dipendono in maniera non locale dalle ϕi. Tutto questo conduce alla
situazione di non poter interpretare in maniera chiara le funzioni di Green che se ne ricavano.
La maniera per ritrovare l’interpretazione adatta delle funzioni di Green, e quella di introdurre,
in qualche modo, le variabili ϕi. Tuttavia per poter procedere in questo senso e necessario
introdurre prima le restanti variabili KA del sistema di coordinate adatto alle fibre. A tal fine,
sia Ω[I, K] un funzionale scalare reale su Φ tale che l’integrale
∆[I] =
∫eıΩ[I,K]µk[I,K]
∏α
dKα, (2.252)
esista e sia non nullo per tutte le I. E bene notare che tramite questo integrale si e in grado di
reintrodurre, nell’espressione dell’integrale funzionale, le variabili ϕi grazie all’identita
1 = ∆−1[I]
∫eıΩ[I,K]µk[I,K]
∏α
dKα. (2.253)
93
Quest’ultima procedura e nota con il nome di metodo di Faddeev e Popov, mentre la quantita
∆−1[I] e chiamata determinante di Feynman, DeWitt,Faddeev e Popov. Inserendo quest’ultima
nell’espressione che fornisce l’ampiezza di transizione 〈A|B〉 si ottiene
〈A|B〉 =
∫ ∏A
dIA
∫ ∏α
dKα
∫dα
∫dβN [α, β]eıS[α,β,I]+Ω[I,K]∆−1[I]µI [I]µk[I, K]. (2.254)
Adesso per operare il cambiamento di variabili e passare dalle (IA, Kα) alle ϕi, occorre includere
anche lo jacobiano formale
J [ϕ] =δ(I, K)
δ(ϕ), (2.255)
in questo modo il funzionale (2.254) diventa
〈A|B〉 =
∫ ∏i
dϕi
∫dα
∫dβN [α, β]eıS[α,β,ϕ]+Ω[ϕ]∆−1[ϕ]µI,KJ [ϕ]. (2.256)
Si puo mostrare che il prodotto J det G , e indipendente sia dalle IA che dalle Kα ed e, dunque,
gauge invariante. Se si sceglie, per il funzionale Ω, la forma
Ω =1
2Kα%αβKβ, (2.257)
dove %αβ e una matrice continua simmetrica invertibile che si puo scegliere costante oppure
dipendente da un certo punto nello spazio base. E se si adopera la scelta semplificatrice per il
funzionale di misura
µK [I, K] = 1,
notando, inoltre, che in virtu delle note identita degli integrali gaussiani, si puo scrivere che
∆ = cost(det %)12 , (2.258)
l’equazione (2.256) prende, allora, la forma
〈A|B〉 =
∫µ[ϕ]
∏i
dϕi
∫dα
∫dβN [α, β]e(ıS[α,β,ϕ]+ 1
2Kα%αβKβ)(det G )−1. (2.259)
Dove si e posto
µ[ϕ] = costµI [ϕ](det %)12 J [ϕ](det G ).
Tuttavia, a partire da quest’ultima forma dell’integrale funzionale, utilizzando integrazioni gaus-
siane sui campi bosonici e le corrispondenti integrazioni sui campi fermionici, si ottiene nuova-
mente l’espressione (2.191), ovvero, in questa notazione
〈A|B〉 =
∫µ[ϕ]
∏i
dϕi
∫dα
∫dβN [α, β]e(ıS[α,β,ϕ]+ıχαFα
β ψβ+ωαKα− 12ωα%−1αβωβ), (2.260)
dove l’operatore Fαβ e chiamato operatore di ghost, ed e la controparte quantistica dell’operatore
classico definito nella (2.220).
94
2.10 Conclusioni
Nella prima parte di questo capitolo sono stati forniti gli elementi base sui quali si fonda lo
studio della teoria quantistica della gravitazione tramite l’integrale funzionale descritto da Feyn-
man. Si e postulato, quindi, che l’ampiezza di transizione da una 3-metrica definita su di una
ipersuperficie di tipo spazio ad un’altra 3-metrica definita su di una differente ipersuperficie
sempre di tipo spazio, sia la somma su tutte le 4-metriche che coincidono con le 3-metriche
prese in considerazione sulle rispettive ipersuperfici, ciascuna pesata con l’azione classica. A
tal proposito e stato visto, nei paragrafi successivi, che, a causa dell’invarianza della teoria per
azione dei diffeomorfismi infinitesimi, l’azione classica e da intendersi come la parte in ~0 della
somma dell’azione gauge-inavriante, del termine di gauge fixing e dal termine di ghost. Tuttavia,
mentre nell’ordinaria teoria quantistica dei campi l’integrale funzionale puo essere reso conver-
gente tramite una rotazione di Wick, applicando lo stesso metodo all’integrale funzionale per la
gravitazione non si ottiene lo stesso risultato, questo accade poiche l’azione gravitazionale non
e definita positiva (cf: par:2.2). Per risolvere il problema Hawking, Gibbons e Perry proposero
di applicare la rotazione conforme. In questo modo si divide l’integrale in una integrazione sul
fattore conforme ed una integrazione su classi di equivalenza di metriche conformi, e si estende
la somma anche a metriche complesse. Mentre la prima integrazione conduce ad un risultato
finito, nel caso di spazio-tempi chiusi non esiste un teorema di positivita dell’azione che assi-
curi la convergenza della seconda integrazione. Di particolare importanza, in questo approccio,
sono le condizioni che bisogna imporre per definire il funzionale d’onda a partire dall’integrale
funzionale, queste ultime, infatti, sono definite dal cammino di integrazione che si utilizza e
dalle 4-metriche sulle quali si somma. Siccome non e noto come il cammino di integrazione e
le 4-metriche sulle quali si somma prescrivano le condizioni al contorno sul funzionale d’onda
in maniera del tutto generale, Hartle ed Hawking [14] hanno proposto di restringere la somma
solamente sulle 4-metriche euclidee compatte che abbiano l’ipersuperficie sulla quale e definita
la particolare 3-metrica come loro unico bordo. Nonostante tutto, tramite questo approccio si
definiscono in maniera naturale due concetti fondamentali per una teoria quantistica, ovvero lo
stato fondamentale ed il limite semiclassico. E stato notato, inoltre, che questo approccio non
esclude quello canonico, il funzionale d’onda definito tramite l’integrale funzionale e soluzione,
sotto opportune ipotesi, dell’equazione di Wheeler-DeWitt. Sono stati studiati, quindi, due
esempi di applicazione dell’integrale funzionale euclideo, ovvero e stato analizzato il modello
cosmologico di Friedmann-Lemaitre-Robertson-Walker con k = 1, ed e stata calcolata l’entropia
di un buco nero. Come e stato evidenziato nel primo capitolo, pero, la teoria della relativita
generale e invariante sotto l’azione dei diffeomorfismi dello spazio-tempo, questo implica che
95
soluzioni delle equazioni di campo che si ottengono l’una dall’altra tramite diffeomorfismi sono
fisicamente equivalenti. Questo stesso problema si ripresenta nell’approccio tramite l’integrale
funzionale, ovvero se si somma su tutte le metriche si finisce con il sommare anche su metriche
fisicamente equivalenti rendendo l’integrale funzionale piu divergente dell’usuale. Per questo
motivo nell’ultima parte di questo capitolo si e analizzato l’integrale funzionale per le teorie che
possiedono gruppi di invarianza infinito-dimensionali, ossia le teorie di gauge. In ultima istanza
e stato studiato il formalismo manifestamente covariante sviluppato da DeWitt, la cui generalita
permette di trattare anche il campo gravitazionale. Nell’ambito di questo formalismo, quindi, e
stato sviluppato l’integrale di Feynman per le teorie che possiedono gruppi di invarianza infinito-
dimensionali, quali anche la teoria della relativita generale. Questo formalismo, sviluppato in
maniera generale, verra utilizzato in modo specifico, nel prossimo capitolo, per analizzare alcuni
aspetti della teoria quantistica della gravitazione.
96
Capitolo 3
Quantizzazione manifestamente
covariante della relativita generale
3.1 Introduzione
Nell’ultima parte del capitolo precedente e stato analizzato il formalismo manifestamente covari-
ante applicato ad una teoria di campo generica, nell’ambito del quale e stato evidenziato che
l’ampiezza di transizione, da una 3-metrica hij su di una ipersuperficie Σ ad un’altra 3-metrica h′ijdefinita su Σ′, si puo esprimere come integrale funzionale di Feynman. Questo stesso formalismo
verra ora applicato, in maniera specifica, al campo gravitazionale. Ovvero verranno analizzati in
dettaglio tutti i concetti introdotti, alla fine del capitolo precedente, per un campo generico, nel-
l’ambito della relativita generale. In particolare, sono di fondamentale importanza l’operatore di
ghost e quello di gauge-fixing per la costruzione esplicita dell’integrale funzionale, non solo per il
campo gravitazionale ma anche per la teoria generale. Si discutera, in quest’ambito, l’approccio
perturbativo alla gravitazione quantistica, tramite il metodo del campo di background. Il metodo
del campo di background fu originariamente introdotto per conservare la manifesta gauge covar-
ianza malgrado l’introduzione di gauges particolari per assicurare l’esistenza di propagatori ben
definiti. Quest’ultimo approccio, inoltre, puo essere formulato in termini dell’integrale funzionale
euclideo, ossia in termini di ampiezze di transizione da una 3-metrica su di una ipersuperficie
di tipo spazio, ad un’altra 3-metrica su di una differente ipersuperficie sempre di tipo spazio. Si
supporra, inoltre, che sia possibile il prolungamento analitico dello spazio-tempo complessificato
alla sua sezione riemanniana reale. Attraverso il metodo del campo di background si sviluppa
la 4-metrica g attorno alla 4-metrica g0 soluzione delle equazioni classiche di campo. In questo
caso, se e valida l’approssimazione ad un loop, la parte dominante all’ampiezza di transizione
97
quantistica, proviene dai termini, nell’azione, quadratici nelle fluttuazioni attorno alla soluzione
classica g0. Tutto questo conduce ad un prodotto infinito di integrali gaussiani ed ad ampiezze
di transizione formalmente divergenti, poiche il risultato ad un loop coinvolge il determinante di
operatori ellittici del secondo ordine.
Tuttavia si riesce a regolarizzare le divergenze utilizzando il metodo della funzione ζ. A tal
uopo, seguendo Hawking, si definisce, dapprima, una funzione zeta, ζ(s), generalizzata ottenuta
a partire dagli autovalori dell’operatore ellittico B che appare nel calcolo. La funzione ζ(s) cosı
definita puo essere prolungata analiticamente ad una funzione meromorfa, la quale presenta dei
poli solamente a valori finiti di s. Come si vedra, nel corso del capitolo, i valori di ζ e della sua
derivata prima nell’origine, forniscono l’espressione dell’ampiezza quantistica ad un loop. Inoltre
accade frequentemente che gli autovalori dell’operatore B non possano essere calcolati esatta-
mente, in questo caso il valore regolarizzato ζ(0) puo essere ottenuto studiando il nucleo del
calore dell’operatore ellittico B. Il corrispondente nucleo del calore integrato G(τ) possiede uno
sviluppo asintotico per τ → 0+ per quelle condizioni al contorno che assicurano l’autoaggiuntez-
za di B. La quantita ζ(0) e data, in questo modo, dal termine costante della forma asintotica
di G(τ), la quale determina anche le divergenze ad un loop delle teorie fisiche. Inoltre, nell’am-
bito della gravitazione quantistica euclidea, sono state studiate condizioni al contorno che sono
completamente invarianti per azione dei diffeomorfismi infinitesimi sulle perturbazioni metriche.
Questo tipo di condizioni al contorno sono importanti per diversi motivi. Infatti l’invarianza per
azione del gruppo dei diffeomorfismi infinitesimi sulle perturbazioni del campo tensoriale metrico
ricopre un ruolo importante gia nell’analisi classica della teoria linearizzata della gravita, quindi
e desiderabile mantenere questa proprieta anche a livello quantistico e sopratutto in presenza di
bordi. Inoltre, e ben noto che in relativita generale se si fissa la 3-metrica al bordo, il corrispon-
dente problema variazionale e ben posto e conduce alle equazioni di Einstein, purche l’azione di
Einstein-Hilbert comprenda un termine di bordo il cui integrando sia proporzionale alla traccia
della curvatura estrinseca. Quindi una volta che sono state imposte condizioni al contorno di
Dirichlet sulle perturbazioni metriche, la richiesta di gauge invarianza determina completamente
le condizioni al contorno per i campi di ghost e le condizioni al contorno da imporre alle compo-
nenti normali delle perturbazioni metriche. Queste condizioni al contorno, inoltre, conducono a
notevoli semplificazioni formali. Infatti nella gauge di de Donder sia l’operatore dinamico sulle
perturbazioni metriche e sia l’operatore che agisce sui campi di ghost sono del tipo Laplace, ed
inoltre questi stessi operatori risultano essere simmetrici, proprieta, quest’ultima, importante
come punto di partenza di una dimostrazione rigorosa della loro autoaggiuntezza.
Utilizzando la gauge di de Donder, questo schema conduce a derivate sia normali che tangen-
ziali nelle condizioni al contorno, le quali non rendono il problema fortemente ellittico, condizione,
98
quest’ultima, necessaria affinche da un lato esista e sia unica la soluzione con determinate con-
dizioni al contorno per l’operatore B, dall’altro affinche esista e sia ben definita l’azione effettiva
ad 1-loop.
3.2 Le trasformazioni infinitesime di invarianza per il cam-
po gravitazionale
In questo paragrafo si utilizzera, come gia accennato nell’introduzione, il formalismo manifes-
tamente covariante alla DeWitt per descrivere la relativita generale. E ben noto che un campo
tensoriale metrico definito sulla varieta M e una applicazione definita come
f : x ∈ M −→ g ∈ Riem(M ) , (3.1)
ovvero quest’ultima associa ad ogni punto x della varieta M , un elemento g ∈ Riem(M )
che rappresenta un tensore di tipo (0, 2) simmetrico e non degenere. Risulta chiaro, quindi,
che Riem(M ) e lo spazio vettoriale di tutte le metriche riemmaniane definite su M . Inoltre
Riem(M ) ha l’ulteriore proprieta di essere una varieta. Infatti ∀g ∈ Riem(M ) si puo definire
una applicazione definita nella maniera seguente:
φ : g ∈ Riem(M ) −→ gµν ∈ S , (3.2)
dove S e lo spazio delle matrici 4 × 4 simmetriche e non degeneri. Quest’ultima applicazione
non e altro che una rappresentazione coordinata degli elementi di Riem(M ) nello spazio S. Piu
precisamente, ad ogni g ∈ Riem(M ) si associa la matrice gµν ∈ S che si ottiene tramite la
posizione
g = gµνdxµ ⊗ dxν ,
dove dxµ⊗dxν e una base per i tensori di tipo (0, 2) definiti sulla varieta M . Una volta ottenuta
una rappresentazione coordinata degli elementi di Riem(M ), si puo pensare di procedere alla
stessa maniera per quel che riguarda il campo tensoriale metrico. Infatti si consideri proprio
il campo (3.1), e sia (U, χ) una carta locale su M e (V, φ) una carta locale su Riem(M ). La
rappresentazione coordinata del campo tensoriale metrico e la mappa definita dall’espressione
% ≡ φ f χ−1 : (x1, . . . xn) ∈ χ(U) ⊆ Rn −→ gµν(x1, . . . xn) ∈ φ(V ) ⊆ S . (3.3)
Si definisce, quindi, storia di campo di g ∈ Riem(M ) l’insieme delle gµν(x) per ogni x ∈ M e
per ogni carta di dominio.
99
Lo spazio Φ di tutte le storie di campo classiche, sia quelle che sono soluzioni delle equazioni
dinamiche sia quelle che non lo sono, e una varieta infinito-dimensionale. In altre parole, Φ e
lo spazio delle rappresentazioni coordinate, in ogni carta, dei campi tensoriali metrici definiti su
M , dove ogni suo elemento e l’applicazione
ϕ : x ∈ M −→ gµν(x) ∈ S . (3.4)
Si puo definire, a partire dallo spazio delle storie di campo Φ, lo spazio tangente T (Φ), i cui
elementi costitutivi sono i vettori su Φ. In una carta locale essi hanno la rappresentazione
Qα = Q µνα
δ
δgµν(x), (3.5)
ove le quantita Q µνα sono le componenti del vettore Qα. Si supponga, proprio come e stato fatto
nel capitolo precedente (cf: par 2.7), che esista, nello spazio delle storie Φ, un’insieme infinito
di flussi non nulli, ovvero di applicazioni F : I × U ⊆ R × Φ −→ Φ, che lasciano il funzionale
d’azione S invariato, ossia, alla luce dell’equazione (2.195)
SQα =
∫d4x
δS
δgµν
Q µνα . (3.6)
E interessante, adesso, notare che la variazione dell’azione S e nulla nel caso in cui δgµν risulti
essere della forma
δgµν = Qµνσδξσ . (3.7)
Infatti la variazione dell’azione S e
δS =δS
δgµν
δgµν , (3.8)
sostituendo la variazione (3.7) in questa ultima espressione si ottiene
δS =δS
δgµν
Qµνσδξσ , (3.9)
ma in virtu della (2.195) si haδS
δgµν
Qµνσ = 0 , (3.10)
e, quindi, automaticamente si giunge al risultato δS = 0. In definitiva il funzionale d’azione S
resta invariato sotto variazioni infinitesime della forma (3.7), che possono essere riscritte come
δgµν =
∫
M
Qµνσ′δξσ′d4x′ . (3.11)
100
Il discorso appena svolto si applica naturalmente al campo gravitazionale in quanto esso, come e
ben noto, e descritto da una teoria invariante sotto l’azione del gruppo dei piu generali diffeomor-
fismi dello spazio-tempo. Si consideri, dunque, una trasformazione di coordinate x′µ = x′µ(xν);
il campo tensoriale metrico nelle nuove coordinate si esprimera come
g′µν(x′τ ) = gρσ(xτ )
∂xρ
∂x′µ∂xσ
∂x′ν. (3.12)
Si supponga, adesso, che la trasformazione in esame sia un diffeomorfismo infinitesimo e valuti-
amo la quantita δgµν . Sia, quindi, x′τ = xτ + δxτ ; per azione di questa trasformazione il campo
tensoriale metrico si riesprime come
g′µν(x′τ ) = gρσ(x′τ − δxτ )
∂
∂x′µ(x′ρ − δxρ)
∂
∂x′ν(x′σ − δxσ)
= [gρσ(x′)− δxτ (∂τgρσ)][δρµ − ∂µ(δxρ)][δσ
ν − ∂ν(δxσ)]
= gρσ[δρµδ
σν − δρ
µ∂ν(δxσ)− δσ
ν∂µ(δxρ) + ∂µ(δxρ)∂ν(δxσ)]
− δxτ (∂τgρσ)[δρµδ
σν − δρ
µ∂ν(δxσ)− δσ
ν∂µ(δxρ) + ∂µ(δxρ)∂ν(δxσ)] . (3.13)
Trascurando i termini quadratici nelle variazioni infinitesime si ottiene
g′µν = gµν − gµσ∂ν(δxσ)− gνσ∂µ(δxρ)− δxτ (∂τgµν) . (3.14)
Si noti, a questo punto, che le derivate parziali si possono esprimere come
∂ν(δxσ) = ∇νδx
σ − Γ σνε δxε
∂µ(δxρ) = ∇µδxρ − Γ ρ
µε δxε , (3.15)
analogamente per la derivata del campo tensoriale metrico si ottiene
∂τgµν = ∇τgµν + Γ ετµgεν + Γ ε
τν gµε . (3.16)
Sostituendo queste ultime relazioni all’interno dell’equazione (3.14) si giunge, agevolmente, al
risultato
g′µν = gµν − δxτ (∇τgµν)− gµρ(∇νδxρ)− gνρ(∇µδx
ρ) . (3.17)
Tuttavia quest’ultima equazione puo essere riespressa in termini della derivata di Lie, infatti
notando che
(Lδxg)µν = δxτ (∇τgµν) + gµρ(∇νδxρ) + gνρ(∇µδx
ρ) , (3.18)
la (3.17) puo essere scritta come
g′µν = gµν − (Lδxg)µν . (3.19)
101
In definitiva, la variazione che subisce il campo tensoriale metrico gµν , per azione di una trasfor-
mazione infinitesima di coordinate, e legata alla sua derivata di Lie lungo il campo vettoriale δx,
ovvero
δgµν = − (Lδxg)µν . (3.20)
E stato visto, in precedenza, che la variazione del campo tensoriale metrico puo essere espressa
tramite la (3.7). Per scrivere esplicitamente il campo Qµνσ si confronti l’equazione (3.7) con
l’equazione (3.20). Eguagliando le due espressioni si ha che
(Lδξg)µν = −Qµνσδξσ . (3.21)
Sviluppando quest’ultima equazione si ottiene
Qµνρδξρ = −gµρ(∇νδξ
ρ)− gρν(∇µδξρ)
= (−gµρ∇ν − gρν∇µ)δξρ , (3.22)
da cui si evince che
Qµνρ = −gµρ∇ν − gρν∇µ. (3.23)
Queste ultime sono le componenti del campo vettoriale che genera il flusso invariante, ovvero
Qµνρ e il generatore dei diffeomorfismi infinitesimi. E interessante, adesso, ottenere una rappre-
sentazione delle componenti del campo che genera il flusso invariante, a partire dall’espressione
(3.11) della variazione del campo tensoriale metrico. A tal fine si puo scrivere che
δgµν =
∫
M
Qµνσ′δξσ′d4x′ = −(∇νδξµ)− (∇µδξν) = −2∇(νδξµ) , (3.24)
tuttavia l’ultimo membro dell’equazione precedente puo essere riespresso in termini di un inte-
grale, ossia
−∇(νδξµ) = −∫
M
δ(x, x′)[(∇µδξν)(x′) + (∇νδξµ)(x′)]d4x′ . (3.25)
Si consideri uno dei due integrali che compaiono nell’ultima espressione; utilizzando la regola di
Leibniz si ottiene
−∫
M
δ(x, x′)(∇µδξν)(x′)d4x′ = −
∫
M
∇µ[δ(x, x′)δξν ]d4x′ +
∫
M
δ;µ(x, x′)δξνd4x′ . (3.26)
L’integrale contenente il termine di derivata totale e nullo, poiche se la varieta M non ha bordo
la condizione alla quale soddisfano i campi δξµ e quella per la quale δξµ → 0 all’infinito, mentre
se ∂M e il bordo di M allora δξµ = 0 su ∂M . Sotto queste condizioni si ha
−∫
M
δ(x, x′)(∇µδξν)(x′)d4x′ =
∫
M
gσνδ;µ(x, x′)δξσ(x′)d4x′ . (3.27)
102
Analogamente per l’altro integrale che compare nella (3.25) si ottiene l’espressione
−∫
M
δ(x, x′)(∇νδξµ)(x′)d4x′ =∫
M
gσµδ;ν(x, x′)δξσ(x′)d4x′ . (3.28)
In definitiva, considerando l’espressione (3.24) ed i risultati (3.27) ed (3.28), si perviene al
risultato in una forma utile per alcuni calcoli
Qµνσ(x, x′) = gσνδ;µ(x, x′) + gσµδ;ν(x, x′) . (3.29)
Verifichiamo, ora, che l’algebra dei generatori dei flussi di invarianza e chiusa, ovvero il commu-
tatore di due trasformazioni infinitesime di invarianza e ancora una trasformazione infinitesima
di invarianza. Si consideri, quindi, il commutatore di Qα e di Qβ; in virtu della loro espressione
esplicita (3.5) si ha
[Qα, Qβ] = Qαµνδ
δgµν
(Qβρσ
δ
δgρσ
)−Qβρσ
δ
δgρσ
(Qαµν
δ
δgµν
)
= QαµνδQβρσ
δgµν
δ
δgρσ
−QβρσδQαµν
δgρσ
δ
δgµν
, (3.30)
in base all’espressione (3.23) si calcolano le derivate funzionali ottenendo
QαµνδQβρσ
δgµν
δ
δgρσ
= [gρα∇β∇σ + gσα∇β∇ρ + gαβ(∇σ∇ρ +∇ρ∇σ)]δ
δgρσ
, (3.31)
QβρσδQαµν
δgρσ
δ
δgµν
= [gµα∇β∇ν + gνα∇β∇µ + gαβ(∇µ∇ν +∇ν∇µ)]δ
δgµν
. (3.32)
Sostituendo le ultime due espressioni ottenute all’interno della (3.30) si ha
[Qα, Qβ]µνδ
δgµν
= (gµα∇β∇ν + gνα∇β∇µ − gµβ∇α∇ν − gνβ∇α∇µ)δ
δgµν
, (3.33)
tuttavia questo risultato puo essere reso piu chiaro notando che il secondo termine dell’equazione
(3.33) puo essere scritto come
[Qα, Qβ]µνδ
δgµν
= [δ γβ δ;α(x, x′)− δ γ
α δ;β(x, x′)]Qγµνδ
δgµν
, (3.34)
ossia confrontando quest’ultimo risultato con l’espressione
[Qα, Qβ] = c γαβ Qγ ,
si nota, immediatamente, che la relativita generale e una teoria di tipo I, nell’accezione del
capitolo precedente. I vettori di flusso Qγµν , quindi, formano un’algebra di Lie g chiusa, e per
questo decompongono lo spazio delle storie Φ in orbite, ossia nelle curve su Φ che connettono
ogni punto gµν a tutti gli altri punti ottenibili applicando a gµν l’azione del gruppo G di cui i
Qγµν sono i generatori infinitesimi.
103
3.3 Operatore dei campi di Jacobi e operatore di ghost
Al fine di poter scrivere l’integrale funzionale per il campo gravitazionale, e necessario ottenere
un’azione appropriata alla teoria. Come e stato visto nel capitolo precedente, gia a livello clas-
sico, l’azione delle teorie che possiedono un gruppo di invarianza infinito-dimensionale contiene
anche il termine di ghost ed il termine di gauge-fixing. E importante, quindi, anche nell’ambito
della teoria della relativita generale, studiare questi termini; inoltre, in vista dell’approccio per-
turbativo che si utilizzera nel seguito per studiare l’approssimazione ad un loop dell’ampiezza di
transizione, fa d’uopo analizzare l’operatore dei campi di Jacobi.
Come e gia stato osservato (par: 2.8), l’operatore dei campi di Jacobi si esprime tramite la
derivata funzionale seconda dell’azione, ossia
S,ijδϕj = 0 .
Per cio che concerne il campo gravitazionale, la formula appena scritta diventa
δ2S
δgµνδgρσδgρσ = 0 . (3.35)
E interessante, per le applicazioni che si andranno a sviluppare, calcolare esplicitamente l’opera-
tore che agisce sui piccoli disturbi che compare nella (3.35). Cominciamo col valutare la derivata
funzionale prima dell’azione, ovvero
δS
δgµν=
∫d4x
δ√
g
δgµνR +
∫d4x
√g
δgρσ
δgµνRρσ +
∫d4x
√g gρσ
δRρσ
δgµν. (3.36)
Notando cheδgρσ
δgµν=
1
2(gρµgσν + gρνgσµ) , e
δ√
g
δgµν= −1
2
√g gµν , (3.37)
i primi due integrali della (3.37) possono essere riscritti come∫
d4xδ√
g
δgµνR +
∫d4x
√g
δgρσ
δgµνRρσ =
∫d4x
√g
[Rµν − 1
2gµνR
], (3.38)
dove si nota con chiarezza che la derivata funzionale prima dell’azione fornisce le equazioni del
moto, a meno del terzo integrale nella (3.37) che andremo a calcolare. Al fine di svolgere questo
integrale e necessario valutare la variazione del tensore di Ricci, ossia
δRµν = ∇ρ(δΓρµν)−∇ν(δΓ
ρρµ) . (3.39)
Valutando esplicitamente il membro di destra dell’equazione (3.39) si ricavano le seguenti espres-
sioni:
∇ρ(δΓρµν) =
1
2∇ρ(∇µδgρν +∇νδgρµ −∇ρδgµν) , (3.40)
∇ν(δΓρρµ) =
1
2gρσ∇ν∇µδgρσ , (3.41)
104
tramite le quali si puo facilmente calcolare la quantita che in questo momento e di primario
interesse, ovvero
gµνδRµν = ∇µ∇νδgµν −∇µ∇µδg
νν . (3.42)
Alla luce di questa ultima espressione si e in grado di valutare agevolmente l’ultimo integrale
della (3.36), infatti
gρσδRρσ
δgµν= ∇ρ∇σ
δgρσ
δgµν−∇ρ∇ρ δg σ
σ
δgµν, (3.43)
ossia
gρσδRρσ
δgµν=
1
2∇ρ∇σ(δρ
µδσν + δρ
νδσµ)δ(x, x′)−∇ρ∇ρgµνδ(x, x′) . (3.44)
Da questa ultima equazione, utilizzando delta di Kronecker per rinominare gli indici, si ottiene,
infine
gρσδRρσ
δgµν=
1
2∇ρ[δ
ρµ∇νδ(x, x′) + δρ
ν∇µδ(x, x′)− gµν∇ρδ(x, x′)] , (3.45)
dove si puo esplicitamente notare che il primo membro della (3.45), si riduce ad una derivata
totale, e quindi, una volta integrata, non contribuisce alla derivata funzionale prima dell’azione.
Valutiamo, ora, la derivata funzionale prima della (3.36) privata, ovviamente, del terzo
integrale. Si ottiene, dunque
δ2S
δgγεδgµν=
∫d4x
δ2√g
δgγεδgµνR +
∫d4x
δ√
g
δgµν
δgρσ
δgγεRρσ +
∫d4x
δ√
g
δgµνgρσ
δRρσ
δgγε
+
∫d4x
δ√
g
δgγε
δgρσ
δgµνRρσ +
∫d4x
√g
δ2gρσ
δgγεδgµνRρσ +
∫d4x
√g
δgρσ
δgµν
δRρσ
δgγε. (3.46)
Ora, non bisogna far altro che valutare i singoli termini separatamente. Si concentri, dunque,
l’attenzione sul primo degli integrali; notando che
δ
δgγε
[−1
2
√g gµν
]=
1
4
√g gγεgµν − 1
4
√g(gµγgνε + gµεgνγ) , (3.47)
si ottiene l’espressione per il primo integrando
δ2√g
δgγεδgµνR =
1
4
√g (gµγgνε + gµεgνγ − gγεgµν)R . (3.48)
Proseguendo nel calcolo si ottiene che
δ√
g
δgµν
δgρσ
δgγεRρσ = −1
4
√g gµν(gργgσε + gρεgσγ)R
ρσ = −1
2
√g gµνRγε , (3.49)
e, analogamente, il quarto integrando si puo esprimere come
δ√
g
δgγε
δgρσ
δgµνRρσ = −1
4
√g gγε(gρµgσν + gρνgσµ)Rρσ = −1
2
√g gγεRµν . (3.50)
105
Si noti che, a partire dalle equazioni (1.40) e (1.41), la variazione del tensore di Ricci rispetto
alla metrica si puo esprimere come
δRρσ
δgγε=
1
4(δα
γδσε + δα
εδσγ)∇α∇ρ +
1
4(δα
γδρε + δα
εδργ)∇α∇σ − 1
4(δρ
γδσε + δρ
εδσγ)∇α∇α
− 1
2gγε∇ρ∇σ . (3.51)
In virtu di questo ultimo risultato, il terzo integrando della (3.46) si esprime come
δ√
g
δgµνgρσ
δRρσ
δgγε= −1
2
√g
1
2gµν(∇γ∇ε +∇ε∇γ)− gµνgγε∇α∇α
. (3.52)
Restano ora da calcolare solamente gli ultimi due termini. Per quel che concerne il quinto
integrando si noti che
δ2gρσ
δgγεδgµν=
1
2gσν(gργgρε + gρεgµγ) +
1
2gρµ(gσγgνε + gσεgνγ) +
1
2gσµ(gργgνε + gρεgνγ)
+ gρν(gσγgµε + gσεgµγ) , (3.53)
dalla quale si ottiene che
√g
δ2gρσ
δgγεδgµνRρσ =
1
2
√g [gµεRνγ + gµγRεν + gνεRγµ + gνγRµε] . (3.54)
L’ultimo integrando, infine, si valuta agevolmente tenendo in considerazione l’espressione (3.51);
esplicitamente si ha
√g
δgρσ
δgµν
δRρσ
δgγε=
1
2
√g (gµρgσν + gρνgσµ)
δRρσ
δgγε=
1
4
√g [gεµ∇γ∇ν + gνγ∇ε∇µ + gεν∇γ∇µ
+ gγµ∇ε∇ν − (gγµgεν + gεµgγν)∇α∇α − gγε(∇µ∇ν +∇ν∇µ)]. (3.55)
Adesso, sommando tutti i risultati ottenuti, si giunge all’espressione completa dell’operatore sui
campi di Jacobi Sγεµν , ovvero
δ2S
δgγεδgµν= Sµνγε = −1
4
√g
[(gγµgεν + gεµgγν − 2gµνgγε)∇α∇α + gµν(∇γ∇ε +∇ε∇γ)
+ gγε(∇µ∇ν +∇ν∇µ)− gεµ∇γ∇ν − gνγ∇ε∇µ − gεν∇γ∇µ − gγµ∇ε∇ν
− 2(−gµνRγε − gγεRµν + gµεRνγ + gµγRεν + gνεRγµ + gνγRµε)
− (gµγgνε + gµεgνγ − gγεgµν)R]
. (3.56)
L’operatore dei campi di Jacobi appena scritto e, pero, singolare, ovvero non ammette funzioni
di Green. Questo accade a causa dell’invarianza dell’azione sotto diffeomorfismi infinitesimi.
Infatti, tutte i campi del tipo Qµναδξα sono autofunzioni con autovalore nullo dell’operatore
106
(3.56). Questo implica che se si aggiunge la funzione Qµναδξα ad una qualunque soluzione del-
l’equazione (3.35), il risultato e un’altra soluzione che, seppur matematicamente differente dalla
prima, e fisicamente equivalente ad essa in quanto differiscono solamente per una trasformazione
di invarianza. In parole piu semplici, le due soluzioni descrivono lo stesso stato dinamico del
sistema in esame. Infatti, si consideri lo spazio Φ dei campi tensoriali metrici
ϕ : x ∈ M −→ g ∈ Riem(M ) .
L’azione del gruppo G dei diffeomorfismi infinitesimi su Φ trasforma punti ϕ ∈ Φ in altri punti
ϕ′ ∈ Φ fisicamente equivalenti ai primi. Quindi l’azione del gruppo G su Φ e un diffeomorfismo
F di Φ, ovvero
F : ϕ ∈ Φ −→ ϕ′ ∈ Φ . (3.57)
Piu precisamente, i generatori Q µνα formano un gruppo globale ad un parametro di diffeomor-
fismi
Ft : ϕ ∈ Φ −→ F(ϕ, t) ≡ ϕ′t ∈ Φ , (3.58)
dove per ogni fissato ϕ si ottiene, al variare di t, un orbita che connette campi equivalenti. E
chiaro che quest’ultima applicazione ne induce un’altra su Riem(M ), ossia
Ft : g ∈ Riem(M ) −→ F(g, t) ≡ g′t ∈ Riem(M ) , (3.59)
ove per t fissato l’applicazione Ft : g ∈ Riem(M ) −→ g′ ∈ Riem(M ), e un diffeomorfismo di
Riem(M ). Quindi, ad orbite in Φ corrispondono orbite in Riem(M ). Adesso, siccome le orbite
connettono tra loro campi che sono rappresentazioni matematiche differenti di uno stesso stato
fisico del sistema in esame, sembra naturale introdurre su Φ un sistema di coordinate in grado
di riflettere questa decomposizione in orbite di Φ. Questo e proprio cio che si e fatto nel capitolo
precedente nell’ambito dell’integrale funzionale. In definitiva si considerano fisicamente distinti
i campi appartenenti non piu a Φ, bensı appartenenti allo spazio delle orbite ΦG, ovvero
ϕ : x ∈ M −→ g ∈ Riem(M )
Diff(M )≡ S , (3.60)
che rappresentano i campi appartenenti al superspazio. Questo discorso sara utile per rendere
piu completa la comprensione degli operatori di gauge-fixing e di ghost.
Per risolvere le equazioni dinamiche (3.35) in presenza del gruppo di invarianza occorre
rimuovere questa flessibilita, imponendo un’opportuna condizione supplementare sui δgµν della
forma
P µνα δgµν = 0 . (3.61)
107
Una sceltra naturale dei P µνα e dettata dalla richiesta di manifesta covarianza, come e stato
anticipato nel par. (1.8). Siccome lo spazio delle storie per la relativita generale, ovvero il super-
spazio S, e dotato della supermetrica Gµνρσ, allora conviene imporre la condizione supplementare
della forma
P µνα = −1
2GµνρσQ α
ρσ . (3.62)
E opportuno ricordare, a questo punto, che in realta il superspazio S e dotato di un insieme ad
un parametro di supermetriche, ossia
Gµνρσ(λ) =1
2(gµρgνσ + gµσgνρ + λgµνgρσ) , (3.63)
dove, pero, non tutti i valori di λ ∈ R sono permessi. I valori di λ sono vincolati dalla richiesta
che la supermetrica Gµνρσ(λ) possegga una inversa, ovvero che sia soddisfatta la relazione
Gµνρσ(λ)Gρσετ (f(λ)) =1
2(δ µ
τ δ νε + δ µ
ε δ ντ ) , (3.64)
con
Gρσετ (f(λ)) =1
2
[gρεgστ + gρτgσε + f(λ)gρσgτε
]. (3.65)
Quindi, per trovare i valori permessi del parametro λ non bisogna far altro che imporre la (3.65)
note le espressioni esplicite per la supermetrica e la sua inversa. Procedendo in questa maniera
si ottiene, agevolmente, il risultato
Gµνρσ(λ)Gρσετ (f(λ)) =1
2(δ µ
τ δ νε + δ µ
ε δ ντ ) + gµνgετ
[λ
2+
f(λ)
2+
nλf(λ)
4
], (3.66)
dove n rappresenta la dimensione dello spazio-tempo. Adesso, affinche la (3.66) si riduca alla
relazione imposta (3.65), e necessario che si verifichi[λ
2+
f(λ)
2+
nλf(λ)
4
]= 0 . (3.67)
Risolvendo quest’ultima equazione per f(λ), si ottiene il risultato
f(λ) = − 2λ
2 + nλ, (3.68)
che rappresenta il coefficiente che deve comparire nella supermetrica inversa. In definitiva, si
nota semplicemente che, affinche la supermetrica ammetta un’inversa, e sufficiente che λ 6= − 2n.
Si puo, ora, procedere a calcolare l’operatore delle condizioni supplementari sui piccoli
disturbi del campo tensoriale metrico. Sostituendo nella (3.62) l’espressione esplicita della
supermetrica e delle componenti del flusso invariante, si ha
−1
2Gµνρσ(λ)Q α
ρσ =1
4
[gµρgνσδ α
ρ ∇σ + gµσgνρδ αρ ∇σ + λgµνgρσδ α
ρ ∇σ
]
+1
4
[gµρgνσδ α
σ ∇ρ + gµσgνρδ ασ ∇ρ + λgµνgρσδ α
σ ∇ρ
], (3.69)
108
ovvero, svolgendo i calcoli,
P µνα(λ) =1
2
[gµα∇ν + gνα∇µ + λgµν∇α
]. (3.70)
E istruttivo, adesso, verificare a quale forma conduce questo operatore quando viene applicato ai
disturbi del campo tensoriale metrico. Si denoteranno, da questo punto in poi, con hµν i piccoli
disturbi sul campo tensoriale metrico gµν . Applicando, quindi, l’operatore P µνα ad hµν si ottiene
Φα(hµν , λ) = P µνα(λ)hµν , (3.71)
ossia, esplicitando i calcoli, si ha
Φα(hµν , λ) =1
2
[gµα∇νhµν + gνα∇µhµν + λgµν∇αhµν
]=
1
2
[∇νh αν +∇µh α
µ + λ∇αgµνhµν
]
=1
2∇µ
[2h α
µ + λg αµ gρσhρσ
]= ∇µ
(hµα +
λ
2gµαgρσhρσ
). (3.72)
Si e ottenuta, in questa maniera, una espressione utile per la condizione di gauge. E interessante
notare che, se si pone λ = −1, si ottiene la nota gauge di de Donder, importante per gli sviluppi
successivi.
Una volta noto l’operatore P µνα che fissa la gauge, si puo considerare l’operatore non singolare
Fµνγε = Sµνγε + P αµν kαβP β
γε , (3.73)
che rappresenta proprio l’operatore dinamico sui piccoli disturbi del campo tensoriale metrico.
In altre parole, quando la condizione di gauge sui piccoli disturbi e soddisfatta, si puo sostituire,
all’operatore singolare Sµνγε, l’operatore (3.73). Valutiamo, adesso, esplicitamente il secondo
termine della somma che compare nella (3.73). Ponendo kαβ = −gαβ e notando che
P αµν =
1
2
(δ αµ ∇ν + δ α
ν ∇µ + λgµν∇α)
,
si ottiene il risultato
P αµν kαβP β
γε = −1
4
(gµγ∇ν∇ε + gµε∇ν∇γ + gνγ∇µ∇ε + gνε∇µ∇γ
)− 1
4λgγε(∇ν∇µ +∇µ∇ν)
− 1
4λgµν(∇γ∇ε +∇ε∇γ)− 1
4λ2gµνgγε∇α∇α . (3.74)
Adesso non bisogna far altro che sommare l’espressione (3.56) all’espressione (3.74), in questa
maniera si ha
Fµνγε(λ) = −1
4
√g
[gγµgεν + gεµgγν − (2− λ2)gµνgγε]∇α∇α + (1 + λ)gµν(∇γ∇ε +∇ε∇γ)
+ (1 + λ)gγε(∇µ∇ν +∇ν∇µ)− gµγ(∇ν∇ε −∇ε∇ν)− gµε(∇ν∇γ −∇γ∇ν)
− gνγ(∇µ∇ε −∇ε∇µ)− gνε(∇µ∇γ −∇γ∇µ)− 2(−gµνRγε − gγεRµν + gµεRνγ
+ gµγRεν + gνεRγµ + gνγRµε)− (gµγgνε + gµεgνγ − gγεgµν)R
. (3.75)
109
I commutatori delle derivate covarianti, che compaiono all’interno dell’operatore, possono essere
espressi in termini del tensore di Riemann tramite la formula generale
[∇a,∇b]Tc1···ck
d1···dl= −
k∑i=1
R ciabe T c1···e···ck
d1···dl+
l∑j=1
Re
abdjT c1···ck
d1···e···dl.
Procedendo in questa maniera, la somma dei commutatori presenti nell’operatore e la seguente:
gτγ
(Rτ
µνε + Rτνµε
)+ gµτ
(Rτ
γνε + Rτενγ
)+ gτε
(Rτ
µνγ + Rτνµγ
)+ gντ
(Rτ
γµε + Rτεµγ
). (3.76)
Utilizzando le note proprieta di simmetria e di antisimmetria del tensore di Riemann, quest’ul-
tima espressione si riduce alla somma
2Rµγνε + 2Rµενγ . (3.77)
E interessante notare, a questo punto, l’importanza della gauge di de Donder introdotta in
precedenza. Infatti, la gauge di de Donder e definita ponendo λ = −1 nella relazione (3.72), e
con questa scelta del parametro λ l’operatore dinamico prende la forma
Fµνγε = −1
4
√g
[gγµgεν + gεµgγν − gµνgγε](∇α∇α −R) + 2Rµγνε + 2Rµενγ − 2(−gµνRγε
− gγεRµν + gµεRνγ + gµγRεν + gνεRγµ + gνγRµε)
, (3.78)
ossia si riduce ad un operatore del tipo Laplace sommato a termini che dipendono solamente
dalla geometria del background in esame.
Per concludere, e importante studiare l’operatore di ghost per il campo gravitazionale poiche
compare esplicitamente all’interno dell’azione, gia a livello classico. Un modo semplice ed ele-
gante per calcolare esplicitamente l’operatore di ghost e quello di considerare l’espressione, che si
puo derivare dalla legge di trasformazione delle coordinate χα introdotte sullo spazio dei campi,
ossia
Φα(h)− Φα(ϕh) = F αβϕβ , (3.79)
dove con il simbolo ϕh si e denotato il trasformato del campo dei piccoli disturbi hµν , per
azione del gruppo dei diffeomorfismi infinitesimi. Siccome e noto l’operatore Φα, si puo, quindi,
procedere a calcolare il termine di ghost. Per scrivere la condizione di gauge in una forma agevole
per i calcoli successivi, si noti che utilizzando la relazione (3.71) e le espressioni esplicite della
supermetrica Gµνρσ e delle componenti del flusso invariante Q αµν , si ottiene
P ρσα(λ) =1
2Gµνρσ(λ)(δ α
µ ∇ν + δ αν ∇µ) =
1
2Gανρσ(λ)∇ν +
1
2Gναρσ∇ν = Gναρσ(λ)∇ν . (3.80)
110
Da quest’ultima equazione si deduce agevolmente che la condizione di gauge sui piccoli disturbi
puo essere anche scritta nella forma che interessa per i calcoli successivi, ovvero
Φα(h, λ) = P ρσα(λ)hρσ = Gναρσ(λ)∇νhρσ . (3.81)
Valutiamo, adesso, in base all’equazione (3.81) il termine Φα(ϕh), ovvero si ha
Φα(ϕh) = Gανρσ(λ)∇ν [hρσ−∇ρϕσ−∇σϕρ] = Gανρσ(λ)∇νhρσ−Gανρσ(λ)∇ν [∇ρϕσ+∇σϕρ], (3.82)
da cui, sostituendo quest’ultima espressione all’interno della (3.79), si ricava che
Φα(h)− Φα(ϕh) = Fαβϕβ = Gανρσ(λ)∇ν [∇ρϕσ +∇σϕρ] . (3.83)
L’ultima equazione dipende solamente dal campo vettoriale ϕµ che induce la trasformazione
infinitesima di coordinate, questi campi saranno proprio i campi di ghost. Scrivendo l’espressione
della supermetrica, la (3.83) diventa
Fαβϕβ =
1
2(gαρgνσ + gασgνρ + λgανgρσ) (∇ν∇ρϕσ +∇ν∇σϕρ)
=1
2(∇ν∇αϕν +∇σ∇σϕα) +
1
2(∇σ∇σϕα +∇ν∇αϕν) +
λ
2(∇α∇ρϕ
ρ +∇α∇σϕσ)
= [∇ν∇α + λ∇α∇ν + δαν∇ρ∇ρ]ϕν . (3.84)
Si puo, pero, ottenere una forma diversa per l’operatore di ghost all’interno della parentesi
quadra. Infatti si consideri la relazione
[∇ν∇α + λ∇α∇ν + δαν∇ρ∇ρ] = (∇ν∇α −∇α∇ν) +∇α∇ν + λ∇α∇ν + δα
ν∇ρ∇ρ
= Rαν + (1 + λ)∇α∇ν + δα
ν∇ρ∇ρ , (3.85)
ottenuta sommando e sottraendo l’operatore∇α∇ν . Quest’ultima e la forma finale dell’operatore
di ghost, ovvero
Fαβ = [Rα
β + δαβ∇ρ∇ρ] + (1 + λ)∇α∇β . (3.86)
Si noti, inoltre, che nella gauge di de Donder l’operatore di ghost non contiene piu le derivate
covarianti miste ∇α∇β. Quindi anche in questo caso, come si e gia verificato con l’operatore
dinamico sui piccoli disturbi del campo di background, la gauge di de Donder conduce a notevoli
semplificazioni.
E stato detto, nel corso del paragrafo, che per risolvere l’equazione dinamica dei piccoli dis-
turbi in presenza di un gruppo di gauge, e necessario eliminare l’ambiguita che sorge imponendo
delle condizioni supplementari sui piccoli disturbi. Gli hµν , possedendo le stesse proprieta di
invarianza di gµν per azione del gruppo dei diffeomorfismi infinitesimi, sono campi appartenenti
111
allo spazio delle orbite ΦG. La condizione supplementare Pαµνhµν = 0, quindi, non e altro che
una relazione tra i piccoli disturbi, ovvero essa rappresenta una ipersuperficie nello spazio Φ. Si
considerino, nello spazio Φ, le coordinate (Ia, χα) che riflettono la decomposizione in orbite di Φ
stesso. L’ipersuperficie Pαµνhµν = 0, quindi, intersechera le orbite etichettate con la coordinate
Ia in dei punti χα = ξα su ogni orbita e con continuita. In questa maniera viene selezionato
un unico rappresentante per ciascuna orbita almeno localmente, infatti essendo la topologia del
superspazio non triviale a livello globale potrebbe verificarsi il fenomeno delle copie di Gribov
(cf: par. 2.6).
3.4 Approssimazione ad 1-loop dell’integrale funzionale
e funzione ζ
Si e interessati, adesso, allo studio specifico dell’integrale funzionale per il campo gravitazionale.
Come e stato gia detto in precedenza, si studia l’ampiezza di transizione di passare da una
3-metrica definita su di una ipersuperficie Σ ad un’altra 3-metrica definita su di una differente
ipersuperficie Σ′. Piu precisamente le ampiezze di transizione quantistiche sono funzionali delle
condizioni al contorno da imporre sulle perturbazioni del campo tensoriale metrico e sui campi di
ghost. Operando una rotazione di Wick, si ottiene, a partire dall’integrale funzionale lorenziano,
l’integrale funzionale euclideo, ovvero
Z[condizioni al contorno] =
∫
C
DgDϕ exp−IE , (3.87)
dove C e l’insieme di tutte le 4-geometrie riemmaniane che soddisfano le condizioni al contorno
sulle due ipersuperfici in esame, ed IE e l’azione euclidea totale, ossia
IE = Igh +
∫
M
d4x√
g (4)R + 2
∫
∂M
d3x√
h K +1
2
∫
M
d4x√
g ΦαΦα , (3.88)
dove Igh e una opportuna azione dei campi di ghost dipendente dalla particolare condizione di
gauge imposta, e Φα rappresenta proprio il funzionale delle condizioni di gauge. Utilizzando il
metodo del campo di background, si sviluppa la 4-metrica g intorno ad una soluzione di campo
classica g0, ossia si pone g = g0 + h, dove h, come e gia stato detto, sono le perturbazioni del
campo tensoriale metrico di background. Si consideri, quindi, la parte dell’azione che compete
al puro campo gravitazionale. Quest’ultima, valutata in g = g0 + h, si scrive
S[g] ' S[g(0)µν ] +
(δS
δgµν
)
g=g0
hµν +1
2
(δ2S
δgµνδgρσ
)
g=g0
hµνhρσ + · · · , (3.89)
112
poiche il campo tensoriale g0 e soluzione delle equazioni di Einstein classiche, ossia e il campo
che rende stazionaria l’azione, si ha
S[g] ' S[g(0)µν ] + hµνS
µνρσhρσ + · · · , (3.90)
dove S µνρσ rappresenta l’operatore sui campi di Jacobi incontrato in precedenza. In questa
maniera, l’integrale funzionale ad 1-loop per il campo gravitazionale si puo scrivere come
Z '∫
C
DgDϕ exp
−
∫
M
d4x√
g hµνSµνρσhρσ − 1
2
∫
M
d4x√
g ΦαΦα −∫
M
d4x√
g ϕαF βα ϕβ
=
∫
C
DgDϕ exp
−
∫
M
d4x√
g (hµνSµνρσhρσ +
1
2ΦαΦα)−
∫
M
d4x√
g ϕαF βα ϕβ
, (3.91)
dove F βα e l’operatore di ghost per il campo gravitazionale. Il termine tra parentesi tonda nella
(3.91), inoltre, e proprio l’operatore dinamico (3.75) del campo gravitazionale. Infatti e noto che
la condizione di gauge si puo esprimere come Φα(λ) = P µνα (λ)hµν , e quindi
Φα(λ)Φα(λ) = Φα(λ)kαβΦβ(λ) = hµνPµνα (λ)kαβP ρσ
β (λ)hρσ . (3.92)
Sostituendo quest’ultima espressione nel termine tra parentesi tonda che compare nella (3.91) si
ottiene
hµνSµνρσhρσ +
1
2Φα(λ)Φα(λ) = hµνS
µνρσhρσ + hµνPµνα (λ)kαβP ρσ
β (λ)hρσ
= hµν [Sµνρσ + P µν
α (λ)kαβP ρσβ (λ)]hρσ
= hµνFµνρσ(λ)hρσ . (3.93)
Sostituendo questo risultato all’interno dell’integrale funzionale (3.91) ed omettendo la dipen-
denza dal parametro λ, si ha, infine, l’espressione per l’ampiezza di transizione
Z '∫
C
DgDϕ exp
−1
2
∫
M
d4x√
g hµνFµνρσhρσ −∫
M
d4x√
g ϕαF βα ϕβ
. (3.94)
Si consideri, adesso, la parte dell’azione I(g) cui compete il campo gravitazionale. Come si puo
notare facilmente, I(g) e quadratica nelle perturbazioni e coinvolge l’operatore differenziale del
secondo ordine Fµνρσ. Si supponga che
Fµνρσh(n)ρσ = κnhµν(n) , (3.95)
ossia che l’operatore dinamico ammetta uno spettro discreto di autovalori a cui corrisponde un
insieme di autofunzioni che possono essere normalizzate∫
M
d4x√
g h(n)µν hµν(m) = δ(nm) . (3.96)
113
In virtu di queste posizioni tutti i campi tensoriali metrici, sui quali sono imposte le stesse con-
dizioni al contorno che devono soddisfare le perturbazioni metriche hµν , possono essere espressi
in termini di autofunzioni normalizzate dell’operatore dinamico, ovvero
gµν(x) =∑
n
anh(n)µν . (3.97)
In base a quest’ultima espressione la misura sullo spazio delle storie Φ puo essere scritta come
Dg =∏n
µdan , (3.98)
dove µ e una costante di normalizzazione con le dimensioni di una massa oppure dell’inverso di
una lunghezza. In virtu dei concetti espressi fino ad ora, si e in grado di trasformare l’integrale
funzionale in un prodotto infinito di integrali gaussiani. Infatti si noti che
Fµνρσhρσ = Fµνρσ∑
n
anh(n)ρσ =
∑n
anFµνρσh(n)ρσ =
∑n
anκ(n)hµν(n) . (3.99)
All’interno dell’integrale funzionale, pero, compare il termine quadratico nelle perturbazioni
metriche hµνFµνρσhρσ. Al fine di valutare il termine appena scritto ci si avvale della (3.99), ossia
hµνFµνρσhρσ = hµν
(∑n
anκ(n)hµν(n)
)=
∑m
amh(m)µν
(∑n
anκ(n)hµν(n)
)
=∑m
∑n
amanκ(n)h(m)
µν hµν(n) . (3.100)
Sostituendo, dunque, quest’ultima espressione ricavata per il termine hµνFµνρσhρσ, nell’integrale
funzionale per il campo gravitazionale, si ha
I(g) =
∫ ∏n
µdan exp
−1
2
∫
M
d4x√
g∑m
∑n
amanκ(n)h(m)
µν hµν(n)
=
∫ ∏n
µdan exp
−1
2
∑m
∑n
amanκ(n)
∫
M
d4x√
g h(m)µν hµν(n)
=
∫ ∏n
µdan exp
−1
2
∑m
∑n
amanκ(n)δ(mn)
=∏n
µ
∫dane−
12a2
nκ(n)
. (3.101)
In definitiva, l’integrale funzionale per il campo gravitazionale si e trasformato, in virtu delle
ipotesi fatte in precedenza, in un prodotto di integrali gaussiani. Non rimane altro da fare,
114
adesso, che risolvere l’integrale gaussiano che compare nella (3.101). Esplicitamente si ottiene
[20]∏n
µ
∫dane−
12a2
nκ(n)
=∏n
µ√
2π√κ(n)
=1
2µ−2π−1(detFµνρσ)−
12 . (3.102)
Per dare un senso a questo prodotto infinito di autovalori, si puo utilizzare la regolarizzazione
tramite la funzione ζ di Riemann. Infatti quest’ultimo e uno strumento matematico rigoroso
basato sul teorema spettrale, il quale assicura che possono essere definite le potenze complesse
B−s di un operatore ellittico, autoaggiunto e definito positivo [21].
3.4.1 La funzione ζ di Riemann
Si consideri il piu generale operatore differenziale del secondo ordine lineare sulle funzioni scalari,
ovvero [22]
B = −gjk ∂
∂xj
∂
∂xk− ıbl(x)
∂
∂xl+ C(x) . (3.103)
Questo operatore si definisce ellittico se gjk(x) e una matrice definita positiva ∀x ∈ M . Per
definire l’ellitticita, pero, una teoria piu generale e quella che fa uso degli operatori pseudod-
ifferenziali. Prima, pero, di definire gli operatori pseudodifferenziali e importante introdurre il
concetto di simbolo. Un operatore differenziale lineare, in generale, e una espressione polinomiale
del tipo
P =∑
|α|≤d
aα(x)Dαx , (3.104)
dove gli aα(x) ∈ C∞(Rm), e i Dx = ∂∂x
. Si definisce simbolo dell’operatore P l’applicazione
σ(P) = p(x, ξ) =∑
|α|≤d
aα(x)ξα , (3.105)
che si costruisce sostituendo formalmente all’operatore differenziale Dαx il monomio ξα. Quindi
σ(P) e un polinomio di grado d nella variabile ξ. A partire da questo polinomio si definisce il
simbolo principale, σL(P), ovvero un polinomio omogeneo di grado d nella variabile ξ
σL(P) = pL(x, ξ) =∑
|α|=d
aα(x)ξα . (3.106)
Adesso, in virtu del seguente risultato:
Dαxf(x) =
∫ (Dα
xeıx·ξ) f(ξ)dξ =
∫(ı)αξαeıx·ξf(ξ)dξ , (3.107)
che utilizza la trasformata di Fourier di funzioni f(x) appartenenti allo spazio di Sobolev S, si
puo riesprimere l’operatore differenziale agente sulla funzione f(x) nella forma
Pf(x) =
∫eıx·ξp(x, ξ)f(ξ)dξ . (3.108)
115
Quest’ultima osservazione e utile per definire il concetto di operatore pseudodifferenziale. Infatti,
per gli ordinari operatori differenziali lineari, il simbolo e un polinomio di grado pari all’ordine
dell’operatore in esame. Se si sostituisce il polinomio presente nella (3.108) con un simbolo piu
generale si puo definire la classe degli operatori pseudodifferenziali. Si consideri, dunque, la
definizione
Definizione 3.4.1 Sd e l’insieme di tutti i simboli p(x, ξ) soddisfacenti le seguenti proprieta:
a) p e continuo in (x, ξ) con supporto in x compatto.
b) ∀(α, β), ∃ Cα,β : | DαxDβ
ξ p(x, ξ) |≤ Cα,β(1− | ξ |)d−|β|.
Si consideri p ∈ S. Si definisce l’operatore associato P : S −→ C∞c (Rm) tramite la posizione
Pf(x) :=
∫eıx·ξp(x, ξ)f(ξ)dξ . (3.109)
Quest’ultimo e un operatore pseudodifferenziale di ordine d. Risulta chiaro, quindi, alla luce del-
la definizione di operatore pseudodifferenziale (3.109), che le proprieta elencate nella definizione
(1.5.1), alle quali deve soddisfare il simbolo p(x, ξ), sono necessarie affinche la trasformata di
Fourier (3.109) esista e sia ben definita. E interessante notare, inoltre, che mentre l’ordine di
un operatore differenziale e necessariamente un intero positivo, l’ordine di un operatore pseu-
dodifferenziale puo anche non essere un intero. Si consideri, quindi, il simbolo di un operatore
pseudodifferenziale
σ(P)(x, ξ) =m∑
j=0
am−j(x, ξ) , (3.110)
dove gli am−j(x, ξ) sono polinomi omogenei di grado m− j in ξ, con m che puo assumere anche
valori complessi. Da adesso in poi si assuma che gli am−j siano matrici quadrate. In definitiva,
l’operatore P si definisce ellittico di ordine m se am non possiede autovalori nulli per | ξ |= 1.
Il raggio arg(λ) = θ nel piano complesso si definisce raggio di crescita minima se su esso non
giace nessun autovalore di am(x, ξ). Si supponga, adesso, che l’operatore P sia ellittico di ordine
m, invertibile e abbia un raggio di crescita minima. Si puo scrivere, per Re(s) < 0, che
Ps =ı
2π
∫
Γ
λs(P − λI)−1dλ , (3.111)
dove Γ e il cammino che parte da −∞ ed arriva a −1 sul raggio arg(λ) = π, procede in senso
orario attorno al cerchio di raggio unitario, e quindi torna da −1 a −∞ sul raggio arg(λ) = −π
[21]. Inoltre e possibile dimostrare [21] che Ps = Ps, da cui si puo ottenere una rappresentazione
integrale analoga alla (3.111) delle potenze di un operatore pseudodifferenziale, ovvero
P−s =ı
2π
∫
Γ
λ−s(P − λI)−1dλ . (3.112)
116
Questo e proprio il risultato che interessa per analizzare rigorosamente l’approssimazione ad
1-loop dell’integrale funzionale. E importante, a questo punto, capire la relazione che esiste tra
il risultato (3.112) e la funzione ζ di Riemann.
Sia P un operatore pseudodifferenziale ellittico, autoaggiunto e definito positivo di ordine
m su di una varieta riemanniana n-dimensionale compatta. La funzione ζ dell’operatore P e
definita dall’espressione
ζP(s) = Tr(P−s) =∑µ>0
µ−s , (3.113)
ove µ rappresenta gli autovalori positivi di P , contati con la propria degenerazione. Inoltre si
puo mostrare [23] che l’estensione analitica di ζP(s) all’intero piano complesso conduce ad una
funzione meromorfa con poli semplici e regolare nell’origine, la quale ha l’espressione
ζ(s) =1
2πıTr
∫
Γ
λ−s(P − λI)−1dλ , (3.114)
dove Γ e un’appropriato contorno di integrazione che racchiude l’asse reale positivo. Quindi
utilizzando l’estensione analitica, ζP(0) e una quantita finita, ed il suo valore fornisce informazioni
circa le proprieta di riscalaggio delle ampiezze quantistiche.
Esiste una profonda relazione tra il valore di ζ(0) di un dato operatore ellittico P e la
corrispondente equazione del calore(
∂
∂t+ P
)U(x, x′, t) = 0 . (3.115)
Il nucleo del calore e, per definizione, una soluzione dell’equazione (3.115) soddisfacente alla
condizione iniziale U(x, x′, 0) = δ(x, x′), insieme a condizioni al contorno se la varieta in esame
possiede un bordo. Se P ammette un sistema completo di autofunzioni ϕ(n)(x), con autovalori
λ(n), allora quest’ultimo si puo esprimere in termini delle autofunzioni, ovvero
U(x, x′, t) =∑
(n)
ϕ(n)(x)ϕ(n)(x′)e−λ(n)t . (3.116)
Siccome nell’ambito trattato in questo lavoro si studiano campi tensoriali per i quali l’operatore
P possiede un numero finito di indici, il corrispondente nucleo del calore integrato e definito
come
G(t) =
∫
M
TrV U(x, x′, t)dx =∑
(n)
e−λ(n)t = TrL2e−tP . (3.117)
Questa notazione indica che bisogna considerare la traccia di fibra della diagonale del nucleo del
calore. Ricordando la definizione della funzione Γ, si puo mostrare che la funzione ζ si ottiene
dal nucleo del calore integrato G(t) tramite una trasformata di Mellin inversa nel modo seguente:
ζP(s) =1
Γ(s)
∫ ∞
0
ts−1G(t)dt . (3.118)
117
Per gli scopi del presente lavoro c’e bisogno dell’espansione asintotica del nucleo del calore
integrato G(t) per t → 0+. Nel caso particolare di un operatore ellittico del secondo ordine su
di una varieta 4-dimensionale, l’espansione asintotica ha la forma
G(t) ∼ (4π)−2
∞∑n=0
An2t
n2−2 , (3.119)
dove i coefficienti An2
sono nulli per n = 2k + 1, ∀k = 0, 1, 2, . . . , se il bordo e un insieme vuoto.
In generale, i coefficienti del nucleo del calore in quattro dimensioni sono
16π2An2
=
∫
M
bn2
√g d4x +
∫
∂M
cn2
√h d3x , (3.120)
dove i bn2
ed i cn2
dipendono dalle condizioni geometriche del problema. A partire dalle espressioni
(3.118) e (3.119) si puo mostrare, sostituendo lo sviluppo asintotico del nucleo del calore integrato
nella espressione (3.118) della ζ di Riemann, la relazione esistente tra il coefficiente A2 e ζ(0),
ovvero
ζ(0) = A2 . (3.121)
Infatti la relazione profonda tra il coefficiente A2 e ζ(0) diventa chiara se, indicando con ρ un
valore di t nell’intorno dello 0 , si divide l’integrale (3.118) nella seguente maniera:
ζP(s) =1
Γ(s)
[∫ ρ
0
ts−1G(t)dt +
∫ ∞
ρ
ts−1G(t)dt
]. (3.122)
A questo punto, si puo inserire lo sviluppo asintotico del nucleo del calore integrato all’interno
del primo integrale, mentre il secondo e una funzione di s che si annulla per s → 0. Procedendo
in questa maniera si ottiene la relazione (3.121).
Un metodo per calcolare la funzione ζ di Riemann e stato descritto da Moss [24], che si
avvale dell’espansione asintotica delle funzioni di Bessel quando il background e piatto. Tuttavia
il limite della tecnica di Moss risiede nella conoscenza esplicita dei polinomi di Debye che com-
paiono nell’espansione asintotica delle funzioni di Bessel e delle loro derivate. Quindi, quando le
equazioni alle quali soddisfano gli autovalori in virtu delle condizioni al contorno coinvolgono una
combinazione lineare di un gran numero di funzioni di Bessel e di loro derivate, risulta complesso
riarrangiare i termini in un unico sviluppo asintotico. Per superare queste difficolta descriveremo
una tecnica alternativa dovuta a Barvinsky [25][26] e basata sull’utilizzo della formula di Cauchy.
Si supponga, per semplicita, che si stia considerando un background riemanniano che possiede,
come unico bordo, una 3-sfera. In questa maniera il tempo euclideo τ giace nell’inetrvallo [0, τ+].
Siano uka le autofunzioni di un operatore ellittico, autoaggiunto e definito positivo. Si consideri,
118
per adesso, un termine di massa nell’operatore in esame. Nel caso di condizioni al contorno di
Dirichlet
uia(τ
+|m2 − λ) = 0 , (3.123)
l’equazione alla quale devono soddisfare gli autovalori in virtu delle condizioni al contorno, e
quella che si ottiene ponendo a zero il determinante delle (3.123), ovvero
det uia(τ
+|m2 − λ) = 0 . (3.124)
Si e in grado, ora, di utilizzare la formula di Cauchy per ottenere un’utile rappresentazione
integrale della funzione ζ. L’idea e la seguente: la formula di Cauchy permette di esprimere una
funzione f analitica in un dominio D limitato dal bordo C0 nella forma
f(z0) =1
2πı
∫
C0
f(z)
(z − z0)dz , (3.125)
ove il contorno C0 nel piano complesso aggira il punto z0. Si supponga di essere interessati
alla somma dei valori che funzione assume nei punti z1, z2, . . . , zN . Utilizzando, a tal fine, un
contorno C che aggiri tutti i punti summensionati e la formula (3.125) si ha
N∑
l=1
f(zl) =1
2πı
∫
C
f(z)N∑
l=1
1
(z − z0)dz . (3.126)
Puo accadere che i punti z1, z2, . . . , zN non siano conosciuti esplicitamente. Tuttavia possono
essere conosciuti implicitamente come zeri di una funzione F (z), ossia
F (z) = 0 , ∀z ∈ z1, z2, . . . , zN . (3.127)
Se, inoltre, questi punti sono zeri semplici della funzione F (z), si puo scrivere
F (z) = A(z − z1)(z − z2) · · · (z − zN) , (3.128)
dove A e una costante. Questo implica che la somma (3.126) si puo scrivere come derivata
logaritmica di F (z), ossia
d
dzlog F (z) =
N∑
l=1
1
(z − z0). (3.129)
Sostituendo quest’ultimo risultato nella (3.126) si ha
N∑
l=1
nlf(zl) =1
2πı
∫
C
f(z)d
dzlog F (z)dz , (3.130)
119
dove nl rappresenta la degenerazione degli zeri zl della funzione F (z). Ora, scegliendo f(z) = z−s
e prendendo il limite N → ∞, quest’ultima espressione fornisce la rappresentazione integrale
della funzione ζ di Riemann, che nel caso in esame risulta essere
ζ(s) =1
2πı
∫
C
z−s d
dzTr log u(τ+|m2 − λ)dz , (3.131)
ove C e un contorno che aggira, nel piano complesso, tutti gli zeri della (3.124). E convenient, a
questo punto, cambiare il contorno di integrazione nella (3.131) assumendo che le funzioni di base
uia siano analitiche in tutto il piano complesso. In questa maniera si giunge ad un nuovo contorno
di integrazione C, che aggira il punto di diramazione nel piano complesso della funzione z−s,
che coincide con l’asse reale negativo. In questo modo, quindi, si ottiene una rappresentazione
integrale equivalente della funzione ζ, che nel caso di una teoria di campo, dove esistono infiniti
modi, si scrive
ζ(s) =1
2πı
∫
C
z−s d
dz
∑a
[log u(τ+|m2 − λ)
]a
adz . (3.132)
Per ottenere una formula conveniente per ζ(0) e per ζ ′(0) e necessario seguire i passi che si
andranno a delineare.
a) Si scambia il simbolo di somma con l’integrale, scrivendo
ζ(s) =1
2πı
∑a
Ia(s) , (3.133)
dove, chiaramente
Ia(s) =
∫
C
z−s d
dz
∑a
[log u(τ+|m2 − λ)
]a
adz . (3.134)
Adesso, il parametro che tende all’infinito al crescere di a e n ossia il parametro che etichetta
le armoniche dell’equazione radiale. Quindi la convergenza della (3.133) si riduce all’analisi
asintotica della (3.134) per n →∞.
b) Si considera lo sviluppo uniforme WKB delle funzioni di base, che quando sono intese
come funzioni di n2 e zn2 , ovvero
log u(τ+|m2 − z) ∼ ϕWKB
(n2,
z
n2
), (3.135)
e uniforme nel secondo argomento zn2 . Quindi operando la sostituzione di variabile z → n2z, si
ottiene l’integrale
Ia(s) ∼ n−2s
∫
C
z−s d
dzϕWKB(n2, z)dz , (3.136)
che converge per qualche s > 0.
120
c) Scambiando nuovamente la somma con l’integrale, si trova, per la funzione ζ la notevole
formula
ζ(s) =1
2πı
∫
C
z−s d
dzI(−z, s)dz , (3.137)
dove I(−z, s) e una somma infinita regolarizzata definita da
I(−z, s) =∑
a
n−2s[log u(τ+|m2 − λ)
]a
adz . (3.138)
Tramite questa procedura, sviluppata piu in dettaglio in [27], si ottiene un modo relativamente
veloce per valutare ζ(0) per un operatore autoaggiunto, definito positivo ed ellittico.
3.5 Le condizioni al contorno in gravitazione quantistica
Nell’applicazione dell’integrale funzionale di Feynman al problema della gravitazione quantistica
si studiano, come e stato gia evidenziato, le ampiezze di transizione da una 3-metrica definita
su di una ipersuperficie Σ1, ad un’altra 3-metrica definita su di una ipersuperficie Σ2. L’asseg-
nazione delle 3-metriche sulle ipersuperfici viene eseguita in una maniera che riflette le proprieta
di gauge invarianza dello specifico modello in esame. E chiaro che assegnando la 3-metrica
sulle due ipersuperfici, si assegnano le condizioni al contorno del problema. In questi termini
l’integrale funzionale di Feynman dipende dalle particolari condizioni al contorno imposte al
problema. Siccome non esiste ancora una definizione rigorosa della somma di Feynman su tutte
le 4-geometrie riemanniane con le loro topologie, la scelta delle condizioni al contorno gioca un
ruolo chiave per ottenere un problema al contorno ellittico ben definito, che puo essere applicato
all’analisi semiclassica della teoria quantistica. Nel caso della cosmologia quantistica secondo
Hartle ed Hawking, invece, non deve essere imposta nessua condizione sulla ipersuperficie Σ1
poiche viene fatta collassare in un punto nel caso si sia interessati allo stato quantistico del-
l’Universo. Bisogna, quindi, imporre condizioni al contorno solamente sulla ipersuperficie Σ2,
descrivendo lo stato quantistico dell’Universo in termini dell’integrale funzionale euclideo su tutte
le 4-geometrie riemanniane compatte che inducono quelle particolari condizioni al contorno su
Σ2.
Studiamo, adesso, quali condizioni al contorno bisogna imporre per mantenere la struttura
gauge-invariante della teoria della relativita generale. Poiche siamo interessati all’approssi-
mazione ad 1-loop dell’ampiezza di transizione quantistica, bisogna imporre condizioni al con-
torno sui piccoli disturbi del campo tensoriale metrico di background. Si consideri, dunque, uno
spazio-tempo M compatto che abbia come unico bordo l’ipersuperficie Σ. Siccome sulla ipersu-
perficie Σ la 3-metrica e fissata, sembra naturale imporre la seguente condizione al contorno sui
121
piccolo disturbi:
[hij]∂M = 0, oppure [Πh]∂M = 0 , (3.139)
dove Π e un operatore di proiezione sul bordo ∂M della varieta M che ha l’espressione esplicita
Πµνρσ =
1
2(qµ
ρqνσ + qµ
σqνρ) . (3.140)
E stato evidenziato, pero, che i piccoli disturbi hµν si trasformano come espresso nella (3.19).
Affinche le condizioni al contorno da imporre al campo hµν siano gauge-invarianti e necessario
che anche il campo hµν , ossia il trasformato di hµν tramite un diffeomorfismo infinitesimo, sia
nullo sulla ipersuperficie Σ. In questo modo si impone che
[hij]∂M = 0 . (3.141)
Quest’ultima condizione riguarda anche il campo di ghost ϕµ. Infatti l’equazione (3.141) puo
essere anche scritta come
[Πh]∂M = Π µνij hµν = Π µν
ij hµν − Π µνij [∇µϕν +∇νϕµ] = 0 . (3.142)
Sviluppando quest’ultima espressione si ottiene
hij = hij − 1
2(qµ
iqνj + qµ
jqνi)∇µϕν − 1
2(qµ
iqνj + qµ
jqνi)∇νϕµ = hij −∇iϕj −∇jϕi , (3.143)
sviluppando la derivata covariante come
∇iϕj = ∂iϕj − Γ 0ij ϕ0 − Γ l
ij ϕl , (3.144)
si ottiene
hij = hij − (∂iϕj − Γ lij ϕl)− (∂jϕi − Γ l
ij ϕl) + 2Γ 0ij ϕ0 . (3.145)
Notando che Kij = −NΓ 0ij , dove N e il versore normale alla ipersuperficie, si ha
hij = hij − ϕ(j|i) −Kijϕ0 . (3.146)
In virtu, quindi, delle condizioni (3.139) ed (3.141), si ricavano le condizioni alle quali devono
soddisfare i campi di ghost, ovvero ϕi|∂M = 0
ϕ0|∂M = 0 ,(3.147)
dove la seconda delle condizioni suesposte si impone solamente nel caso in cui la curvatura
estrinseca Kij della ipersuperfice in considerazione sia diversa da zero. Nel caso in cui Kij = 0,
la componente temporale del ghost puo essere un qualunque campo non divergente sul bordo
122
∂M . Le condizioni (3.147) sono sono necessarie e sufficienti poiche ϕ0 e ϕi sono indipendenti,
ed inoltre la derivazione covariante tridimensionale commuta con l’operazione di restrizione al
bordo.
Rimangono, adesso, da imporre le condizioni al contorno sulle altre componenti delle per-
turbazioni metriche. E di fondamentale importanza, pero, assicurarsi che l’invarianza sotto
diffeomorfismi infinitesimi di queste condizioni al contorno, sia ancora garantita dalle (3.147),
altrimenti si rischierebbe di ottenere un insieme di condizioni al contorno incompatibili tra loro.
Nello schema di Barvinsky [28] si impongono le seguenti condizioni al contorno sul funzionale di
gauge Φα(h):
Φ0(h)|∂M = 0
Φi(h)|∂M = 0 .(3.148)
L’invarianza di queste ultime due condizioni al contorno per azione del gruppo dei diffeomorfismi
infinitesimi, e garantita quando valgono le condizioni (3.147) in virtu della relazione (3.79).
Infatti si ha che
Φα(h)|∂M − Φα(h)|∂M = F βα ϕβ|∂M . (3.149)
Ora, se si suppone che il campo di ghost possa essere sviluppato in termini di un insieme completo
ortonormale di autofunzioni u(n)α di F β
α , che soddisfano le condizioni al contorno (3.147) imposte
ai ghost stessi, ovvero se
F βα u(n)
α = nu(n)β ,
ϕα =∑
n
Cnu(n)α ,
u(n)β |∂M = 0 , (3.150)
allora l’equazione (3.149) puo essere riscritta come
Φα(h)|∂M − Φα(h)|∂M = 0 . (3.151)
In virtu, quindi, di quest’ultima equazione e delle condizioni al contorno (3.148) imposte sulla
condizione di gauge si ottengono le ulteriori condizioni
Φ0(h)|∂M = 0
Φi(h)|∂M = 0 .(3.152)
Dalle (3.147), si nota esplicitamente che le condizioni al contorno imposte sui campi di ghost
sono del tipo di Dirichlet. D’altra parte, non sono altrettanto chiare le condizioni al contorno
alle quali devono soddisfare, in virtu delle (3.148), le perturbazioni metriche. E interessante,
quindi, analizzare piu in dettaglio le conseguenze delle (3.148).
123
E stato gia visto che le condizioni di gauge sulle perturbazioni del campo tensoriale metrico
si scrivono come
Φα(λ) = G µνρα ∇µhνρ ,
da cui si ricavano le componenti spaziale e temporale utili per l’analisi delle (3.148), ovvero
Φ0(λ) = ∇µh0µ +λ
2gνρ∇0hνρ , (3.153)
Φi(λ) = ∇µhiµ +λ
2gνρ∇ihνρ . (3.154)
Si concentri, ora, l’attenzione sulla componente temporale della condizione di gauge sulle per-
turbazioni metriche. Esplicitando le componenti spaziali e temporali dei suoi singoli termini, si
ottiene
Φ0(λ) = ∇0h00 +∇ih0i +λ
2g00∇0h00 + g0i∇0h0i + gi0∇0hi0 + gij∇0hij
=
(1 +
λ
2
)∇0h00 +∇ih0i + λg0i∇0h0i +
λ
2gij∇0hij . (3.155)
Siccome nel seguito si studiera il problema della 4-palla, sembra utile valutare le condizioni al
contorno (3.148) su di una 4-sfera euclidea con metrica
ds2 = dτ 2 + τ 2dΩ2 ,
dove, come al solito, dΩ2 rappresenta l’elemento di linea della 3-sfera. Valutiamo, dunque, in
questa metrica, i termini che compaiono al membro destro della prima equazione delle (3.155),
notando che, nel seguito,
g00 = 1 e g0i = 0 . (3.156)
Per il primo dei termini presi in esame si ottiene
∇0h00 = g00∇0h00 + g0i∇ih00 = ∇0h00 =∂h00
∂τ− 2Γ ρ
00h0ρ
=∂h00
∂τ− 2
Γ 0
00h00 + Γ i00h0i
, (3.157)
Tuttavia, si puo facilmente verificare, utilizzando l’espressione dei simboli di Christoffel in termini
delle derivate del tensore metrico, che
Γ 000 = 0 , Γ i
00 = 0 . (3.158)
In definitiva, in base alle equazioni precedenti, si ha sulla 4-palla
∇0h00 =∂h00
∂τ. (3.159)
124
Valutiamo, ora, il termine ∇ih0i. Per esso il calcolo si sviluppa nella maniera seguente:
∇ih0i = gij∇jh0i =(∂jh0i − Γ l
0jhli − Γ lijh0l
)− Γ 0j0h0i − Γ 0
ij h00
= h0i|j − Γ 0j0h0i − Γ 0
ij h00 . (3.160)
Siccome si ottiene che
Γ 0j0 = 0 e Γ 0
ij = −τcij , (3.161)
ove cij e la metrica sulla 3-sfera, la (3.160) si esprime come
∇ih0i = gij[h0i|j + τcijh00] =1
τ 2cijh0i|j +
1
τcijcijh00 =
1
τ 2h
|i0i +
3
τh00 . (3.162)
Con i termini fino adesso calcolati, la condizione di gauge (3.155) si scrive
Φ0(λ) =
(1 +
λ
2
)∂h00
∂τ+
1
τ 2h|j
0i +3
τh00 +
λ
2gij∇0hij . (3.163)
Per completare il calcolo, quindi, non rimane altro da fare che valutare l’ultimo termine dell’e-
spressione appena scritta, ovvero
∇0hij = ∂0hij − Γ 00i h0j − Γ l
0ihlj − Γ 00j hi0 − Γ l
0jhil . (3.164)
Notando che
Γ l0i =
1
τδ li , (3.165)
l’espressione (3.164) diventa
∇0hij =∂hij
∂τ− 2
τhij . (3.166)
In virtu di questo ultimo risultato, l’espressione completa per la condizione di gauge Φ0(h) e la
seguente:
Φ0(λ) =
(1 +
λ
2
)∂h00
∂τ+
1
τ 2h|j
0i +3
τh00 +
λ
2
∂hij
∂τ− λ
τ 3cijhij . (3.167)
Tuttavia si puo ancora operare una semplificazione dell’ultima espressione notando che
∂
∂τ
[gijhij
]∂M
=
(∂gij
∂τhij
)
∂M
+
(gij ∂hij
∂τ
)
∂M
=
(gij ∂hij
∂τ
)
∂M
, (3.168)
in virtu della condizione al contorno (3.139) sulle perturbazioni metriche. In definitiva si ottiene
una delle condizioni al contorno che deve essere soddisfatta dalle componenti diverse da hij delle
perturbazioni metriche, ovvero
Φ0(λ)|∂M =
[(1 +
λ
2
)∂h00
∂τ+
1
τ 2h
|i0i +
3
τh00 +
λ
2(gijhij)
]
∂M
= 0 . (3.169)
125
L’altra condizione al contorno sulle perturbazioni del campo tensoriale metrico si ricava ponendo
a zero, sul bordo ∂M della 4-palla, la componente spaziale della condizione di gauge, Φi(h).
Ovvero
Φi(λ) = ∇µhiµ +λ
2gµν∇ihµν = ∇0hi0 +∇jhij +
λ
2∇ih00 +
λ
2glj∇ihlj . (3.170)
In modo analogo a quanto svolto in precedenza per la componente temporale della condizione
di gauge, si valutano i singoli termini sulla 3-sfera. Esplicitamente si ha
∇0hi0 = ∇0h0i = ∂0h0i − Γ ρ0i h0ρ − Γ ρ
00 hiρ , (3.171)
ma alla luce delle relazioni (3.158), (3.161) e (3.165), quest’ultima espressione si puo scrivere
∇0hi0 =∂hi0
∂τ− 1
τhi0 . (3.172)
Per il secondo termine della (3.170), invece, si ottiene
∇jhij = gjl∇lhij =1
τ 2cljτclih0j + τcljhi0 =
4
τhi0 , (3.173)
avendo utilizzato le espressioni esplicite dei simboli di Christoffel e la condizione al contorno per
le componenti hij delle perturbazioni metriche. Per il terzo termine, invece, si ha
∇ih00 = ∂ih00 − 2[Γ 0
i0 h00 + Γ li0 hl0
]= ∂ih00 − 2
τhi0 . (3.174)
Mentre per l’ultimo termine che compare nella (3.170) si puo scrivere
glj∇ihlj = −gljΓ 0il h0j − gljΓ 0
ij h0l =1
τ[cljcilh0j + cljcijh0l] =
2
τh0i , (3.175)
avendo utilizzato, anche in questo caso, le condizioni al contorno imposte agli hij. In definitiva,
si ottiene l’espressione esplicita per la componente temporale della condizione di gauge, e quindi
anche l’altra condizione al contorno desiderata, ovvero
Φi(λ)|∂M =
[∂hi0
∂τ+
3
τhi0 +
λ
2∂ih00
]
∂M
= 0 , (3.176)
dove e interessante notare che il coefficiente 3τ
rappresenta la traccia della curvatura estrinseca
della 3-sfera. Riassumendo, l’insieme delle condizioni al contorno e
[hij]∂M = [ϕ0]∂M = [ϕi]∂M = 0 ,
Φ0(λ)|∂M =
[(1 +
λ
2
)∂h00
∂τ+
1
τ 2h|i
0i +3
τh00 +
λ
2(gijhij)
]
∂M
= 0 ,
Φi(λ)|∂M =
[∂hi0
∂τ+
3
τhi0 +
λ
2∂ih00
]
∂M
= 0 . (3.177)
126
Si nota esplicitamente che le ultime due espressioni conducono ad un problema con condizioni
al contorno miste per le perturbazioni del campo tensoriale metrico.
E importante evidenziare, pero, che le condizioni al contorno, che sono state imposte alle
pertutrbazioni metriche e ai campi di ghost, non sono le uniche possibili. Infatti esistono le
condizioni al contorno introdotte da Luckock [29], Moss e Poletti [30]. Queste ultime sono
motivate dal bisogno di ottenere condizioni al contorno che conducano ad ampiezze di transizione
quantistiche che risultino BRST invarianti, ovvero invarianti secondo Becchi, Rouet, Stora [31]
e Tyutin [32]. Questa richiesta conduce a condizioni al contorno di Dirichlet sulla componente
normale ϕ0 del campo di ghost, a condizioni di Robin sulle componenti spaziali ϕi del campo di
ghost, ed a condizioni al contorno miste sulle perturbazioni del campo gravitazionale, ma senza
derivate tangenziali.
3.6 Autoaggiuntezza e positivita dell’operatore dinamico
sulle perturbazioni metriche
E stato visto, nel paragrafo precedente, che le potenze complesse di un operatore e quindi
la funzione ζ di Riemann, sono ben definiti per un operatore autoaggiunto, definito positivo
ed ellittico. Questi concetti introdotti sono di fondamentale importanza per dare un senso
matematicamente rigoroso all’approssimazione ad 1-loop dell’integrale funzionale. Per quel che
concerne la gravitazione quantistica, e stato mostrato, nella (3.102), che l’approssimazione ad 1-
loop dell’integrale funzionale conduce al determinante dell’operatore dinamico sulle perturbazioni
del campo tensoriale metrico. Per poter applicare la teoria svolta nel paragrafo precedente,
ovvero affinche si possa definire per questo operatore una funzione ζ di Riemann, e necessario
che esso soddisfi le ipotesi per le quali ζ(s) esista e sia ben definita. Ovvero l’operatore dinamico
Fµνρσ deve soddisfare la proprieta di essere autoaggiunto, definito positivo ed ellittico. Le
condizioni al contorno, sviluppate nel paragrafo (3.4), giocano un ruolo importante nel fare in
modo che l’operatore dinamico soddisfi o meno le proprieta descritte in precedenza. In questo
paragrafo si analizzera in dettaglio il problema dell’autoaggiuntezza.
In vista degli scopi successivi si studiera il problema dell’autoaggiuntezza dell’operatore di-
namico nella gauge di de Donder su di una varieta, con tensore di Riemann nullo, il cui unico
bordo e una 3-sfera. E noto che un operatore A non limitato risulta essere autoaggiunto se:
1. (Au, v) = (u,Av) ∀u, v ∈ D(A) ,
2. D(A) = D(A†) ,
127
ovvero se l’operatore A e simmetrico, e se i domini di A e del suo aggiunto A† sono gli stessi. Per
dimostrare che l’operatore dinamico soddisfa la prima delle proprieta enunciate, non bisogna far
altro che calcolare i prodotti interni che vi compaiono.
Siano, quindi, η e h perturbazioni del campo tensoriale metrico; l’operatore dinamico nella
gauge di de Donder su di una varieta, che possieda un campo tensoriale di Riemann nullo, si
riduce all’operatore ¤, ossia al laplaciano, come si puo ben notare dalla sua espressione esplicita
(3.78). Quindi, per verificare l’autoaggiuntezza dell’operatore dinamico, bisogna innanzitutto
mostrare che
(η, ¤h)− (¤η, h) = 0 . (3.178)
Prima di procedere con il calcolo e importante notare che il prodotto scalare (η, h) si scrive come
(η, h) =
∫
M
d4x√
g ηabGabcdhcd . (3.179)
Si e in grado adesso, grazie a quest’ultima formula, di valutare la quantita (η, ¤h). Si ottiene
(η, ¤h) =
∫
M
d4x√
g ηabGabcdgef∇e∇fhcd =1
2
∫
M
d4x√
g ηabgacgbdgef∇e∇fhcd
+1
2
∫
M
d4x√
g ηabgadgbcgef∇e∇fhcd − 1
2
∫
M
d4x√
g ηabgabgcdgef∇e∇fhcd.(3.180)
Il primo integrale del membro destro si puo scrivere come
1
2
∫
M
d4x√
g ηabgacgbdgef∇e∇fhcd =
1
2
∫
M
d4x√
g ηab∇f∇fhab , (3.181)
da cui utilizzando la regola di Leibniz si ha
1
2
∫
M
d4x√
g ηab∇f∇fhab =
1
2
∫
M
d4x√
g ∇f [ηab∇fhab]− 1
2
∫
M
d4x√
g (∇fηab)(∇fhab) . (3.182)
Per il secondo integrale, invece, si puo scrivere
1
2
∫
M
d4x√
g ηabgadgbcgef∇e∇fhcd =
1
2
∫
M
d4x√
g ηab∇f∇fhab , (3.183)
da cui, utilizzando nuovamente la regola di Leibniz, si ottiene un risultato uguale all’espressione
(3.182) in virtu della simmetria delle perturbazioni del campo tensoriale metrico. Per il terzo
integrale, infine, si ha
−1
2
∫
M
d4x√
g ηabgabgcdgef∇e∇fhcd = −1
2
∫
M
d4x√
g η∇f∇f h , (3.184)
da cui, in virtu della regola di Leibniz, si ottiene l’espressione
−1
2
∫
M
d4x√
g η∇f∇f h = −1
2
∫
M
d4x√
g ∇f [η∇f h] +1
2
∫
M
d4x√
g (∇f η)(∇f h) . (3.185)
128
Utilizzando ancora una volta la regola di Leibniz su tutti gli integrali in cui compaiono due
derivate covarianti, si ottiene una espressione per (η, ¤h) utile per il calcolo intrapreso. Ovvero
si ha
(η, ¤h) =
∫
M
d4x√
g ∇f [ηab∇fhab]−
∫
M
d4x√
g ∇f [(∇fηab)hab] +
∫
M
d4x√
g hab(∇f∇fηab)
− 1
2
∫
M
d4x√
g ∇f [η∇f h] +1
2
∫
M
d4x√
g ∇f [h∇f η]− 1
2
∫
M
d4x√
g h(∇f∇f η). (3.186)
In altri termini, tutto il calcolo precedente era finalizzato, utilizzando piu volte la regola di
Leibniz, a fare in modo che le derivate covarianti agissero non piu su hab, ma su ηab. In questa
maniera il prodotto scalare (η, ¤h), diventa simile al prodotto (¤η, h), il quale ha l’espressione
esplicita
(¤η, h) =
∫
M
d4x√
g (∇f∇fηab)hab − 1
2
∫
M
d4x√
g (∇f∇f η)h . (3.187)
Quindi, in base alle equazioni (3.186) e (3.187), si e in grado, adesso, di valutare la differenza
dei prodotti scalari, ovvero
(η, ¤h)− (¤η, h) =1
2
∫
M
d4x√
g ∇f [ηab∇fhab − η∇f h] +
∫
M
d4x√
g ∇f [h∇f η − hab∇fηab]
=
∫
∂M
d3x√
g nf
ηab∇f
[hab − 1
2gabh
]− hab∇f
[ηab − 1
2gabη
]. (3.188)
Bisogna, adesso, rendere esplicite le componenti spaziali e temporali dell’integrando. Assumendo
che nf = (1, 0, 0, 0), il primo termine si scrive
nfηab∇f
[hab − 1
2gabh
]= η00∇0
[h00 − 1
2g00h
]+ 2η0i∇0
[h0i − 1
2g0ih
]+ ηij∇0
[hij − 1
2gijh
].
In virtu della condizione al contorno (3.139) il terzo termine di quest’ultima espressione e nullo.
Per valutare i restanti due termini, si supponga che il bordo della varieta in considerazione sia
una 3-sfera sulla quale l’elemento di linea e ds2 = dτ 2 + τ 2dΩ2. In queste ipotesi si ottiene
η00∇0
[h00 − 1
2g00h
]+ 2η0i∇0
[h0i − 1
2g0ih
]= η00∇0
[h00 − 1
2h
]+ 2η0i(∇0h
0i) . (3.189)
Utilizzando l’espressione esplicita dei simboli di Christoffel, si puo valutare il membro destro
dell’equazione (3.189), ossia
η00∇0
[h00 − 1
2h
]+ 2η0i(∇0h
0i) = η00∂
∂τ
[1
2h00 − 1
2gijhij
]+ 2η0i ∂h0i
∂τ+ 2
h0i
τη0i , (3.190)
dove quest’ultima espressione e stata ottenuta in virtu del seguente procedimento: notando che
∇0h = ∇0(gabhab) = ∇0(g
00h00 + gijhij)
= [∇0h00 +∇0gijhij] = ∇0h00 +
∂
∂τ(gijhij) , (3.191)
129
si ha l’equazione
η00∇0
[h00 − 1
2h
]+ 2η0i(∇0h
0i) = η00∇0h00 − 1
2η00
[∇0h00 +
∂
∂τ(gijhij)
]+ 2η0i(∇0h
0i)
=1
2η00
∂
∂τ
[h00 − gijhij
]+ 2η0i(∇0h
0i) , (3.192)
ossia, valutando anche l’ultimo termine del membro di destra dell’equazione (3.192), si ottiene
l’espressione (3.190). Il calcolo appena svolto procede in maniera del tutto analoga anche per il
secondo termine dell’integrando che compare nella (3.188). Si ha, quindi,
nfhab∇f
[ηab − 1
2gabη
]= h00
∂
∂τ
[1
2η00 − 1
2gijηij
]+ 2h0i ∂η0i
∂τ+ 2
η0i
τh0i . (3.193)
Sostituendo le espressioni (3.190) ed (3.193) nell’integrale (3.188), si ottiene, infine, una espres-
sione per la differenza dei prodotti scalari, ovvero
(η, ¤h)− (¤η, h) =
∫
∂M
d3x√
g
[η00
∂
∂τ
(1
2h00 − 1
2gijhij
)− h00
∂
∂τ
(1
2η00 − 1
2gijηij
)
+ 2η0i ∂h0i
∂τ− 2h0i ∂η0i
∂τ
]. (3.194)
E necessario, a questo punto, prendere in considerazione le condizioni al contorno studiate nel
paragrafo (3.4). Dalle relazioni (3.177) si ottengono le seguenti equazioni:
∂
∂τ
(1
2h00 − 1
2gijhij
)= − 1
τ 2h0i|i −
3
τh00 , su ∂M
∂h0i
∂τ=
1
2∂ih00 − 3
τh0i . su ∂M (3.195)
Sostituendo queste condizioni sulle perturbazioni del campo tensoriale metrico nell’integrale
(3.194) si ottiene il risultato
(η, ¤h)− (¤η, h) =
∫
∂M
d3x√
g[− η00h
0i|i + h00η
0i|i + η0ih00|i − h0iη00|i
]. (3.196)
Notando che
η00h0i|i = (η00h
0i)|i − η00|ih0i , (3.197)
e che, alla stessa maniera,
h00η0i|i = (h00η
0i)|i − h00|iη0i , (3.198)
l’integrando della (3.196) viene riscritto come una derivata totale, ovvero
(η, ¤h)− (¤η, h) =
∫
∂M
d3x√
g[− η00h
0i + h00η0i]|i . (3.199)
130
Dove la derivata covariante e svolta rispetto alla connessione di Levi-Civita 3-dimensionale sul
bordo. Siccome e stato espresso l’integrando come una divergenza totale, utilizzando il teorema
di Stokes si ottiene
(η, ¤h)− (¤η, h) =
∫
∂(∂M)
d2x√
g[− η00h
0i + h00η0i]
. (3.200)
Ma siccome ∂(∂M) e un insieme di misura nulla, l’integrale e nullo, da cui si ricava che l’operatore
sulle perturbazioni del campo tensoriale metrico nella gauge di de Donder agente su di una
varieta, a campo tensoriale di Riemann nullo, soddisfa la proprieta
(η, ¤h) = (¤η, h) .
Rimane, ora, da verificare che i domini dell’operatore dinamico e del suo aggiunto coincidano.
Questo si dimostra notando che le perturbazioni metriche h ed η, sulle quali agiscono l’operatore
dinamico ed il suo aggiunto, soddisfano le stesse condizioni al contorno (3.177), e quindi sono
elementi dello stesso insieme sul quale agiscono i due operatori. E stato dimostrato, in questa
maniera, che l’operatore dinamico sulle perturbazioni metriche nella gauge di de Donder agente
su di una varieta Ricci piatta, e autoaggiunto.
Analizziamo, adesso, la positivita dello stesso operatore. E utile ricordare che un operatore
A e definito positivo se ∀f ∈ D(A) si verifica che
(f, Af) > 0 . (3.201)
E importante, pero, fare alcune precisazioni sul prodotto interno (h, h) definito sullo spazio delle
storie. Sia hab un campo tensoriale metrico; il prodotto inerno si definisce tramite la posizione
(3.179). Ora, la supermetrica Gabcd e la sua inversa Gabcd sono scritte, rispettivamente, come
nella (3.63) e nella (3.65). Si puo mostrare che gli autovalori della matrice G sono i seguenti:
a) 1 con degenerazione m(m+1)2
− 1 ,
b) (1 + λn) .
Quindi questa matrice e definita positiva solamente per quei valori di λ che soddisfano la relazione
λ > − 1
n,
mentre diventa singolare per λ = − 1n. Adesso, il prodotto interno di hab con se stesso si puo
scrivere come
(h, h) =
∫
M
d4x√
g Gabcdhabhcd =
∫
M
d4x√
g (h ba h a
b + λh) (3.202)
131
Una condizione sufficiente che garantisca la positivita del prodotto interno e la positivita del-
l’integrando nella (3.202), ossia
(h ba h a
b + λh2) > 0 da cui λ > −Tr(h2)
Tr2(h)(3.203)
E interessante mettere in relazione la condizione di positivita della supermetrica con la condizione
sufficiente appena trovata. E noto che ogni tensore si puo decomporre nella somma di un tensore
a traccia nulla e di un altro termine, esplicitamente
hab = Sab +1
ngabh , (3.204)
dove gabSab = 0. In virtu dell’espressione (3.204), si puo scrivere
Tr(h2) = habhab = SabS
ab +1
nh2 . (3.205)
Sostituendo questa equazione nella diseguaglianza (3.203) si ottiene
λ > −SabSab
h2− 1
n. (3.206)
Quindi le due condizioni differiscono per il termine contenente Tr(S2). In definitiva anche quando
e soddisfatta la condizione per la quale la supermetrica e definita positiva, non e detto che il
prodotto interno lo sia. Quindi, in generale, non ci si puo esprimere circa la positivita del
prodotto interno (3.201).
3.7 Perdita dell’ellitticita forte dell’operatore dinamico
E stato visto, nei paragrafi precedenti, che l’operatore dinamico sui piccoli disturbi del campo
tensoriale metrico nella gauge di de Donder, al quale sono imposte le condizioni al contorno
(3.177) che preservano l’invarianza di gauge, e autoaggiunto. Tuttavia, la scelta del parametro
λ = −1 che rende l’operatore dinamico del tipo Laplace quando agisce su un campo di background
a tensore di Riemann nullo, provoca, per esso, la perdita dell’ellitticita forte. Al fine di studiare
questo problema, per un operatore del tipo Laplace, si denotino i dati al contorno con il vettore
colonna
ψF (ϕ) =
(ψ0(ϕ)
ψ1(ϕ)
), (3.207)
dove si e posto
ψ0(ϕ) = ϕ|∂M , ψ1(ϕ) = ∇Nϕ|∂M . (3.208)
132
Per descrivere l’insieme delle condizioni al contorno alle quali il sistema in esame deve soddisfare,
si introduca l’operatore differenziale tangenziale su ∂M , ossia BF . In questa maniera le condizioni
al contorno possono essere scritte in una forma particolarmente concisa, ovvero
BF ψF (ϕ) = 0 . (3.209)
La forma generale assunta dall’operatore BF e la seguente [33]:
BF =
(Π 0
Λ (I− Π)
), (3.210)
ove Π e un proiettore autoaggiunto e Λ e un operatore differenziale tangenziale che soddisfa le
condizioni
ΠΛ = ΛΠ = 0 . (3.211)
E interessante notare, a questo punto, che tramite delle scelte particolari del proiettore Π e
dell’operatore Λ si ottengono le note condizioni al contorno di Dirichlet, Neumann e Robin.
Infatti, si consideri la scelta Π = I e Λ = 0; in tal caso si ottiene
BF ψF (ϕ) =
(I 0
0 0
)(ϕ|∂M
∇Nϕ|∂M
)= ϕ|∂M = 0 , (3.212)
ossia si ricava la condizione al contorno di Dirichlet. Se invece si pone Π = 0 e Λ = 0, si ha
BF ψF (ϕ) =
(0 0
0 I
)(ϕ|∂M
∇Nϕ|∂M
)= ∇Nϕ|∂M , (3.213)
che si riconosce come la condizione al contorno di Neumann. Se, infine, si considera la scelta
Π = 0 e Λ 6= 0, con Λ operatore non differenziale, l’operatore BF delle condizioni al contorno si
scrive
BF ψF (ϕ) =
(0 0
Λ I
)(ϕ|∂M
∇Nϕ|∂M
)= Λϕ|∂M +∇Nϕ|∂M , (3.214)
ovvero si ottiene la condizione al contorno di Robin, dove si pone a zero sul bordo una combi-
nazione lineare dei valori dei campi e delle loro derivate normali. Uno schema ancor piu generale
di questo corrisponde ad una situazione mista, dove alcune delle componenti dei campi soddis-
fano alle condizioni di Dirichlet mentre alle restanti componenti sono imposte le condizioni di
Robin.
Studiamo, adesso, l’ellitticita del problema di valori al contorno definito dall’operatore BF .
Si noti che ogni operatore formalmente autoaggiunto del primo ordine soddisfacente le condizioni
(3.211) puo essere espresso nella forma
Λ = (I− Π)
1
2(Γi∇i + ∇iΓ
i) + S
(I− Π) , (3.215)
133
dove Γi e S sono endomorfismi soddisfacenti alle proprieta
Γi = −Γi , S = S , (3.216)
e
ΠΓi = ΓiΠ = ΠS = SΠ = 0 . (3.217)
Studiamo, ora, sotto quali condizioni il problema di valori al contorno e fortemente ellittico.
Prima di tutto il simbolo principale dell’operatore del tipo Laplace F , definito nel paragrafo
(3.4.1), deve essere ellittico all’interno della varieta M . Quest’ultimo si scrive come
σL(F ; x, ξ) = |ξ|2 · I = gµν(x)ξµξν · I , (3.218)
dove ξ ∈ T ∗M e un generico vettore cotangente. Ovviamente, per una metrica gµν definita
positiva e non singolare, il simbolo principale e non degenere per ξ 6= 0, ovvero gµνξµξν = 0 ⇔ξ = 0. Quindi, il simbolo principale dell’operatore F in esame e ellittico.
Si analizzera, ora, la condizione di ellitticita forte necessaria per la costruzione della funzione
ζ di Riemann dell’operatore in esame. Si introduca, a tal fine, il simbolo principale dell’operatore
delle condizioni al contorno BF , ossia σg(BF ) definito come [33]
σg(BF ) =
(Π 0
ıT (I− Π)
), (3.219)
dove, in virtu dell’espressione (3.215), si ottiene
T = −ıσL(Λ) = Γiζi , (3.220)
dove ζ ∈ T ∗(∂M) e un vettore dello spazio cotangente al bordo della varieta M . Il suffisso “g”
nella definizione (3.219) la struttura detta di grading, sulla quale non ci dilungheremo per non
appesantire la trattazzione, rimandando a Gilkey [22] per ulteriori dettagli.
In virtu delle condizioni (3.216) la matrice T e anti-autoaggiunta, ossia
T = −T , (3.221)
e soddisfa le condizioni
ΠT = TΠ = 0 . (3.222)
Per definire la condizione di ellitticita forte si prenda in considerazione il simbolo principale
σL(F ; x, r, ζ, ω) dell’operatore F , e si sostituisca r = 0 e ω → −ı∂r, e si consideri la seguente
equazione differenziale ordinaria:
[σL(F ; x, 0, ζ,−ı∂r)− λ · I]ϕ(r) = 0 , (3.223)
134
con la condizione asintotica
limr→∞
ϕ(r) = 0 , (3.224)
dove λ ∈ C−R+ e un numero complesso che non giace sull’asse reale positivo. Ora, il problema
ai valori al contorno (F, B) e detto fortemente ellittico rispetto al cono C − R+ se, per ogni
ζ ∈ T ∗(∂M), λ ∈ C − R+ e ψ′F esiste un’unica soluzione ϕ all’equazione (3.223) soggetta alla
condizione (3.224) e soddisfacente alla
σg(BF )(x, ζ)ψF (ϕ) = ψ′F (ϕ) , (3.225)
ove ψF (ϕ) sono i dati al contorno definiti precedentemente.
Per un operatore del tipo Laplace, preso in considerazione in questo paragrafo, l’equazione
(3.223) prende la forma
[−∂2r + |ζ|2 − λ]ϕ(r) = 0 . (3.226)
La soluzione generale di quest’ultima equazione che soddisfa la condizione di smorzamento
all’infinito e la seguente:
ϕ(r) = χ exp(−µr) , (3.227)
dove µ =√|ζ|2 − λ. I dati al contorno per questa soluzione sono
ψF (ϕ) =
(χ
−µχ
). (3.228)
Adesso, affinche il problema sia fortemente ellittico, i dati al contorno (3.228) devono soddisfare
l’equazione (3.225), ovvero il problema di verificare l’ellitticita forte consiste nel dimostrare
l’invertibilita della matrice 2× 2 nell’equazione(
Π 0
ıT (I− Π)
)(χ
−µχ
)=
(ψ′0ψ′1
). (3.229)
Si puo mostrare, semplicemente, che quest’ultima equazione puo essere riscritta nella forma
Πχ = ψ′0 ,
(µI− ıT )χ = µψ′0 − ψ′1 . (3.230)
Adesso, siccome la prima delle equazioni (3.230) e dipendente dalla seconda (Avramidi e Esposito
1999), si puo dire che se quest’ultima ammette un’unica soluzione per ogni ψ′0 e ψ′1, allora il
problema e fortemente ellittico. Una condizione necessaria e sufficiente affinche la seconda delle
equazioni (3.230) ammetta un’unica soluzione, e la non degenerazione della matrice [µI − ıT ],
ovvero
det[µI− ıT ] 6= 0 . (3.231)
135
In questo caso la soluzione dell’equazione e la seguente
χ = [µI− ıT ]−1(µψ′0 − ψ′1) . (3.232)
Siccome la matrice ıT e autoaggiunta, essa possiede solamente autovalori reali; in altre parole
gli autovalori di T 2 sono reali e negativi. E chiaro che, per ogni λ non reale con λ ∈ C−R+, la
quantita µ =√|ζ|2 − λ e complessa e, quindi, la matrice [µI− ıT ] e non degenere. Per λ reale
e negativo, µ e reale e soddisfa la diseguaglianza µ > |ζ|. In definitiva, la condizione (3.231)
implica che la matrice |ζ|I− ıT e definita positiva, ovvero
|ζ|I− ıT > 0 . (3.233)
Una condizione sufficiente, invece, e la seguente
|ζ|2I+ T 2 > 0 . (3.234)
Quest’ultima equazione implica che il valore assoluto degli autovalori della matrice ıT , sia quelli
positivi che quelli negativi, sia piu piccolo di |ζ|, mentre la (3.233) implica che solamente gli
autovalori positivi sono piu piccoli di |ζ|, ma non dice niente riguardo agli autovalori negativi.
Quindi, in definitiva, si puo affermare che il problema di valori al contorno (F, BF ) e fortemente
ellittico rispetto al cono C− R+ se e solo se, per ogni ζ 6= 0, si verifica che |ζ|I− ıT > 0.
E stata trovata, quindi, una condizione necessaria e sufficiente affinche il problema di valori
al contorno per un operatore del tipo Laplace sia fortemente ellittico. Per quel che concerne la
gravitazione quantistica euclidea, gli autovalori della matrice T sono (Appendice: C.1)
spec(T ) =
0 con degenerazione[
m(m+1)2
− 2]
ıτ con degenerazione 1
−ıτ con degenerazione 1 ,
(3.235)
dove τ = 1√2(1+λ)
|ζ|, e λ e il parametro che compare nella supermetrica. Ora, la condizione di
ellitticita forte e soddisfatta se la matrice (T 2 + |ζ|2I) e definita positiva per ogni ζ 6= 0, ossia
deve valere la diseguaglianza
− 1
2(1 + λ)+ 1 > 0 . (3.236)
Quindi, i valori di λ che rendono il problema fortemente ellittico, si ricavano risolvendo la
diseguaglianza (3.236). Cosı facendo si evince che il problema e fortemente ellittico per
λ > −1
2.
136
Tuttavia il valore di λ per il quale l’operatore dinamico sui piccoli disturbi del campo tensoriale
metrico diventa del tipo Laplace e λ = −12. Per questo motivo, quindi, il problema delle
condizioni al contorno in gravitazione quantistica euclidea non e fortemente ellittico. Per ovviare
alla mancanza di ellitticita forte sono in corso di studio alcune alternative [33]:
a) Studiare la gravitazione quantistica euclidea che contiene operatori non minimali. Infatti
la scelta λ = −12
rende l’operatore dinamico di tipo Laplace, mentre una qualunque altra scelta
di λ che preservi l’ellitticita forte, compatibile sempre con l’invertibilita della metrica, rende
l’operatore non minimale, come si puo notare esplicitamente dalla (3.75).
b) Studiare condizioni al contorno che siano non locali [34][35][36].
c) Studiare una regolarizzazione non gauge invariante delle condizioni al contorno, che elimini
le derivate tangenziali e conservi l’ellitticita forte.
d) Studiare condizioni al contorno che non siano completamente gauge invarianti, che non
rendano necessarie le derivate tangenziali [29].
Tuttavia ogni alternativa suesposta presenta dei problemi, e non e chiara, al momento, quale
sia la maniera migliore di affrontare il problema.
3.8 Conclusioni
Nella prima parte di questo capitolo sono state studiate le trasformazioni infinitesime di invari-
anza per il campo gravitazionale. Partendo dal concetto, ben noto, che il campo gravitazionale e
invariante per azione del gruppo dei piu generali diffeomorfismi dello spazio tempo, si e ricavata
l’espressione della variazione, per azione di queste trasformazioni, del campo tensoriale metrico.
Una volta ottenuta la variazione esplicita del campo tensoriale metrico, si e stati in grado di
ricavare l’espressione del generatore dei diffeomorfismi infinitesimi. Questi ultimi, inoltre, for-
mano un’algebra chiusa, ovvero, come e stato dimostrato, il commutatore di due trasformazioni
infinitesime di invarianza e ancora una trasformazione infinitesima di invarianza. Al fine di poter
scrivere l’integrale funzionale per il campo gravitazionale, e necessario ottenere un’azione appro-
priata, ovvero l’azione deve contenere anche l’operatore di ghost ed il termine di gauge-fixing.
Inoltre, per studiare l’approssimazione ad un loop dell’integrale funzionale, e stato analizzato
l’operatore dei campi di Jacobi per la gravitazione. Tuttavia e stato mostrato che l’operatore dei
campi di Jacobi non e invertibile a causa della presenza del gruppo di invarianza dei diffeomor-
fismi infinitesimi. Per ovviare a questo problema e stato introdotto il termine di gauge-fixing che
ha permesso di scrivere l’operatore dinamico invertibile sulle perturbazioni del campo tensoriale
metrico di background. L’operatore dinamico ricavato contiene la dipendenza dal parametro λ,
che etichetta le differenti supermetriche che possono essere scelte sullo spazio delle storie. Nella
137
gauge di de Donder, che e stata utilizzata nel corso di tutto il capitolo, e su background piatti,
l’operatore dinamico diventa del tipo Laplace, la cui analisi risulta piu semplice. E stato, in se-
guito, scritto esplicitamente l’integrale funzionale per il campo gravitazionale ed e stato studiato
tramite il metodo del campo di background. In tal modo e stata ottenuta l’approssimazione ad
un loop che conduce ad un risultato in cui compaiono determinanti funzionali. Per dare un senso
rigoroso a questi concetti e stata introdotta la funzione ζ di Riemann per la quale sono state
analizzate le proprieta fondamentali. Siccome l’integrale funzionale per la gravitazione quantis-
tica e un funzionale delle condizioni al contorno, ossia si fissano le condizioni su due ipersuperfici
di tipo spazio, sono state analizzate quelle particolari condizioni al contorno da imporre affinche
la teoria mantenga la gauge-invarianza. Sono state ottenute, in questa maniera, le condizioni
alle quali devono soddisfare il campo di ghost e le perturbazioni del campo tensoriale metrico.
La funzione ζ di Riemann, importante per l’analisi dell’approssimazione ad un loop dell’integrale
funzionale, e ben definita solamente per operatori autoaggiunti ed ellittici. Per questo motivo
sono state analizzate le condizioni per le quali l’operatore dinamico soddisfa queste proprieta.
E stato, dunque, mostrato esplicitamente che l’operatore dinamico soggetto alle condizioni al
contorno che preservano la gauge-invarianza della teoria, e autoaggiunto. Tuttavia, come e stato
visto alla fine del capitolo, queste stesse condizioni al contorno rendono il problema di valori al
contorno non fortemente ellittico. Per ovviare, quindi, a questo problema sono state proposte,
in letteratura, alcune alternative, ma sfortunatamente non e ancora chiaro quale di queste sia la
strada migliore da seguire.
138
Capitolo 4
Gravitazione quantistica euclidea ad un
loop sulla 4-palla
4.1 Introduzione
Nel capitolo precedente sono state analizzate le idee fondamentali che conducono all’approssi-
amzione ad un loop dell’integrale funzionale per la gravitazione quantistica. Sono state, inoltre,
studiate le condizioni al contorno che bisogna imporre alle perturbazioni metriche, affinche sia
preservata l’invarianza della teoria per azione del gruppo dei diffeomorfismi infinitesimi. Nella
gauge di de Donder e su varieta a tensore di Riemann nullo, l’operatore dinamico sulle per-
turbazioni metriche diventa minimale, ossia diventa del tipo Laplace. Inoltre, in questa stessa
gauge, l’operatore dinamico diventa autoaggiunto ma non fortemente ellittico. In altre parole, le
condizioni al contorno imposte alle perturbazioni del campo tensoriale metrico h sul bordo ∂M
preservano l’invarianza della teoria sotto diffeomorfismi infinitesimi, rendono l’operatore dinam-
ico minimale ed autoaggiunto ma conducono ad un problema non fortemente ellittico. Come e
gia stato evidenzato, l’ellitticita forte e una condizione che assicura l’esistenza della funzione ζ
di Riemann per l’operatore dinamico, la quale e utile per l’analisi dell’approssimazione ad un
loop dell’integrale funzionale. In questo capitolo si analizzera il problema sulla 4-palla che puo
essere vista come la porzione di una varieta euclidea 4-dimensionale che possiede come bordo
una 3-sfera di raggio a. Si svolgeranno, per questo problema, i calcoli espliciti modo-per-modo,
ovvero si svilupperanno le perturbazioni metriche ed i campi di ghost in termini di armoniche
ipersferiche. Una volta introdotti questi sviluppi nelle equazioni dinamiche alle quali devono
soddisfare i suddetti campi, si ricava un sistema di equazioni che permette di scrivere i coeffici-
enti dello sviluppo stesso. Allo stesso modo si inserisce lo sviluppo all’interno delle condizioni al
139
contorno alle quali devono soddisfare le perturbazioni metriche ed i campi di ghost. In questa
maniera si ottiene un sistema di equazioni che legano i coefficienti dello sviluppo tra loro; la
condizione di esistenza di una soluzione, ovvero l’annullarsi del determinante del sistema, con-
duce ad equazioni alle quali gli autovalori, corrispondenti a ciascun modo, devono soddisfare. A
partire da questo sara possibile studiare il comportamento della funzione ζ di Riemann. Si vedra,
nel corso del capitolo, che, sulla 4-palla, solamente la parte scalare dei modi perturbativi per la
gravitazione quantistica dovrebbe far in modo che il problema non risulti fortemente ellittico.
La perdita dell’ellitticita forte condurrebbe alla comparsa di divergenze nell’approssimazione ad
un loop dell’integrale funzionale. Tuttavia si vedra, nel caso dei modi scalari, che la funzione
ζ di Riemann possiede solamente una parte regolare, e quindi finita, ma non una parte singo-
lare. Purtroppo questo non e un argomento conclusivo poiche in questo capitolo, come si vedra,
si analizzera solamente il coefficiente A2 dello sviluppo del nucleo del calore. In effetti anche
se questo coefficiente risulta finito non e detto che gli altri lo siano, e quindi non e detto che
l’ampiezza di transizione ad un loop sia finita.
4.2 Equazioni per le funzioni di base e loro soluzioni
Gli operatori dinamici, sia quello che agisce sulle perturbazioni metriche sia quello che agisce
sui campi di ghost, si riducono, nel caso della 4-palla e nella gauge di de Donder, all’operatore
box, ovvero all’operatore ¤. Ora, nell’analisi modo-per-modo bisogna trovare le funzioni di base
per ogni singolo modo dei campi in esame. A tal fine si ammette di poter sviluppare hµν in un
insieme ortomormale completo di autofunzioni di −¤, per le quali vale la seguente equazione:
¤hµν + λhµν = 0 , (4.1)
per quel che concerne le perturbazioni metriche del campo di background, mentre
¤ϕµ + λϕµ = 0 , (4.2)
per i campi di ghost. Per l’analisi modo-per-modo si consideri la decomposizione 3+1 delle
perturbazioni della 4-metrica di background, in questa maniera si possono sviluppare h00, hi0 ed
hij in termini di armoniche ipersferiche, ovvero [37]
h00(x, τ) =∞∑
n=1
an(τ)Q(n)(x) , (4.3)
h0i(x, τ) =∞∑
n=2
[bn(τ)
∇iQ(n)(x)
(n2 − 1)+ cn(τ)S
(n)i (x)
], (4.4)
140
hij(x, τ) =∞∑
n=3
dn(τ)
(∇i∇jQ(n)(x)
(n2 − 1)+
cij
3Q(n)(x)
)+
∞∑n=1
en
3cijQ
(n)(x)
+∞∑
n=3
[fn(τ)(∇(iS
(n)j) (x)) + kn(τ)G
(n)ij (x)
], (4.5)
dove Q(n)(x), S(n)i (x) e G
(n)ij (x) sono, rispettivamente, le armoniche ipersferiche scalari, vetto-
riali trasverse e tensoriali trasverse a traccia nulla sulla 3-sfera unitaria munita della metrica
cij. Alcune delle proprieta di queste armoniche ipersferiche, che verranno utilizzate nei calcoli,
saranno evidenziate nel corso della trattazione. Bisogna, adesso, inserire gli sviluppi (4.3)-(4.5)
nelle equazioni agli autovalori (4.1) e (4.2). In queste ultime si ha (Appendice: D.1)
¤h00 =∂2h00
∂τ 2+
3
τ
∂h00
∂τ+
1
τ 2h
|i00|i −
4
τ 3h
|i0i − 6
τ 2h00 +
2
τ 2gijhij , (4.6)
¤h0k =∂2h0k
∂τ 2+
1
τ
∂h0k
∂τ+
1
τ 2h
|i0k|i −
7
τ 2h0k − 2
τ 3h
|iik +
2
τh00,k , (4.7)
¤hij =∂2hij
∂τ 2− 1
τ
∂hij
∂τ+
1
τ 2h
|kij|k −
2
τ 2hij +
2
τ(hi0|j + hj0|i) +
2
τ 2gijh00 . (4.8)
Sostituiamo, ora, gli sviluppi in armoniche ipersferiche dei modi delle perturbazioni metriche
nell’equazione (4.6). Esplicitamente, i termini che compaiono sono
∂2h00
∂τ 2=
∞∑n=1
d2an
dτ 2Q(n)(x) , (4.9)
mentre per il secondo termine si ottiene
3
τ
∂h00
∂τ=
∞∑n=1
3
τ
dan
dτQ(n)(x) . (4.10)
Utilizzando, ora, la seguente proprieta delle armoniche ipersferiche scalari [38]:
Q(n) |i|i (x) = −(n2 − 1)Q(n)(x) , (4.11)
si puo scrivere il terzo termine come
1
τ 2h
|i00|i =
∞∑n=1
1
τ 2an(τ)Q
(n) |i|i (x) = −
∞∑n=1
1
τ 2an(τ)(n2 − 1)Q(n)(x) . (4.12)
Per quel che riguarda il quarto termine si ha
− 4
τ 3h
|i0i = −
∞∑n=2
4
τ 3bn(τ)
Q(n) |i|i (x)
(n2 − 1)+
4
τ 3cn(τ)S
(n)|ii (x)
, (4.13)
141
che in virtu della proprieta (4.11), e della seguente [38]:
S(n)|ii (x) = 0; , (4.14)
diventa
− 4
τ 3h
|i0i =
∞∑n=2
4
τ 3bn(τ)Q(n)(x) . (4.15)
Per il quinto termine si ottiene, semplicemente,
− 6
τ 2h00 = −
∞∑n=1
6
τ 2an(τ)Q(n)(x) . (4.16)
Infine, per l’ultimo termine della (4.6), e conveniente notare che
2
τ 2gijhij =
2
τ 2
[1
τ 2cij
]hij =
2
τ 4cijhij .
Da cui si puo scrivere che
2
τ 4cijhij =
2
τ 4
∞∑n=3
dn(τ)
(Q
(n) |i|i (x)
(n2 − 1)+ Q(n)(x)
)+
2
τ 4
∞∑n=1
en(τ)Q(n)(x)
+2
τ 4
∞∑n=3
[2fn(τ)S(n) |jj + kn(τ)cijG
(n)ij (x)] . (4.17)
Utilizzando le proprieta (4.11), (4.14) e la seguente [38]:
cijG(n)ij (x) = 0 , (4.18)
si giunge, infine, al risultato2
τ 4cijhij =
∞∑n=1
2en(τ)
τ 4Q(n)(x) . (4.19)
In definitiva, l’equazione agli autovalori ¤h00 + λh00 = 0 puo essere scritta, raggruppando i
termini che contengono lo stesso coefficiente dello sviluppo, nella forma
¤h00 + λh00 =∞∑
n=1
d2
dτ 2+
3
τ
d
dτ− (n2 + 5)
τ 2+ λn
an(τ)Q(n)(x) +
∞∑n=1
2en(τ)
τ 4Q(n)(x)
+∞∑
n=2
4
τ 3bn(τ)Q(n)(x) = 0 . (4.20)
Prima di procedere all’analisi dell’equazione agli autovalori per h0k, si noti che a partire dalle
armoniche ipersferiche scalari Q(n), possono essere costruite delle ulteriori armoniche ipersferiche
vettoriali, ossia [38]
P(n)i (x) ≡ 1
(n2 − 1)Q
(n)|i (x) con n ≥ 2 . (4.21)
142
Tramite l’introduzione delle armoniche ipersferiche vettoriali P(n)i (x), si possono esprimere piu
semplicemente gli sviluppi di h0k e hij. Si possono, adesso, valutare i singoli termini che com-
paiono nell’equazione (4.7). Per il termine che contiene la derivata seconda rispetto al parametro
τ si ha∂2h0k
∂τ 2=
∞∑n=2
[d2bn(τ)
dτ 2P
(n)k (x) +
d2cn(τ)
dτ 2S
(n)k (x)
]. (4.22)
Per quel che riguarda il secondo termine si ottiene
1
τ
∂h0k
∂τ=
∞∑n=2
[1
τ
dbn
dτP
(n)k (x) +
1
τ
dcn
dτS
(n)k (x)
]. (4.23)
Il terzo termine, invece, si scrive come
1
τ 2h
|i0k|i =
∞∑n=2
[1
τ 2bn(τ)P
(n) |ik |i (x) +
1
τ 2cn(τ)S
(n) |ik |i (x)
]. (4.24)
Utilizzando, pero, una proprieta delle armoniche ipersferiche vettoriali che compaiono in quest’ul-
tima relazione, ovvero [38]
P(n) |ik |i (x) = −(n2 − 3)P
(n)k (x) , (4.25)
S(n) |ik |i (x) = −(n2 − 2)S
(n)k (x) , (4.26)
si giunge, infine, all’espressione
1
τ 2h
|i0k|i =
∞∑n=2
[− 1
τ 2bn(n2 − 3)P
(n)k (x)− 1
τ 2cn(τ)(n2 − 2)S
(n)k (x)
]. (4.27)
Per il quarto termine si ricava, semplicemente, che
− 7
τ 2h0k =
∞∑n=2
[−7bn(τ)
τ 2P
(n)k (x)− 7cn(τ)
τ 2S
(n)k (x)
]. (4.28)
Per il quinto termine dell’espressione in esame si ha, notando innanzitutto che [38]
cikQ(n)|i(x) = Q
(n)|k (x) = (n2 − 1)P
(n)k (x) , (4.29)
S(n)|iik (x) = −(n2 − 4)S
(n)k (x) , (4.30)
G(n)|iik (x) = 0 , (4.31)
l’espressione
− 2
τ 3h
|iik =
∞∑n=3
−2dn(τ)
τ 3
[−(n2 − 3)P
(n)k (x) +
1
3(n2 − 1)P
(n)k (x)
]−
∞∑n=3
2
3
en(τ)
τ 3(n2 − 1)P
(n)k (x)
+∞∑
n=3
2fn(τ)
τ 3(n2 − 4)S
(n)k (x) . (4.32)
143
Quindi, in definitiva, l’equazione agli autovalori per h0k risulta essere
¤ h0k + λh0k =∞∑
n=2
(d2
dτ 2+
1
τ
d
dτ− (n2 − 3)
τ 2− 7
τ 2+ λn
)bn(τ) +
4
3
(n2 − 4)
τ 3dn(τ)
+2
τ(n2 − 1)an(τ)− 2
3
(n2 − 1)
τ 3en(τ)
P
(n)k (x) +
∞∑n=2
(d2
dτ 2+
1
τ
d
dτ− (n2 − 2)
τ 2
− 7
τ 2+ λn
)cn(τ) +
2
τ 3(n2 − 4)fn(τ)
S
(n)k (x) = 0 . (4.33)
Si noti, come e gia stato fatto in modo analogo per l’equazione agli autovalori precedente, che a
partire dalle armoniche ipersferiche scalari si possono costruire le seguenti armoniche ipersferiche
tensoriali:
Q(n)ij (x) ≡ 1
3cijQ
(n)(x) per n ≥ 1 , (4.34)
P(n)ij (x) ≡ ∇i∇jQ
(n)(x)
(n2 − 1)+ Q
(n)ij (x) per n ≥ 2 . (4.35)
In virtu delle armoniche tensoriali appena definite, si possono calcolare esplicitamente tutti i
termini che compaiono nell’equazione (4.8). I termini che contengono le derivate rispetto al
parametro τ si scrivono come
∂2hij
∂τ 2=
∞∑n=3
d2dn(τ)
dτ 2P
(n)ij +
∞∑n=1
d2en(τ)
dτ 2Q
(n)ij +
∞∑n=3
[d2fn(τ)
dτ 2S
(n)ij +
d2kn(τ)
dτ 2G
(n)ij
], (4.36)
e
−1
τ
∂hij
∂τ= −
∞∑n=3
1
τ
ddn(τ)
dτP
(n)ij −
∞∑n=1
1
τ
den(τ)
dτQ
(n)ij −
∞∑n=3
1
τ
[dfn(τ)
dτS
(n)ij +
dkn(τ)
dτG
(n)ij
]. (4.37)
Per gli altri termini si ha che
1
τ 2h
|kij|k = −
∞∑n=3
dn(τ)
τ 2(n2 − 7)P
(n)ij (x)−
∞∑n=3
en(τ)
τ 2(n2 − 1)Q
(n)ij (x)−
∞∑n=3
[fn(τ)
τ 2(n2 − 6)S
(n)ij (x)
+fn(τ)
τ 2(n2 − 6)S
(n)ij (x)
], (4.38)
ed inoltre
2
τ(hi0|j + hj0|i) =
∞∑n=2
[4bn(τ)
τP
(n)ij (x)− 4bn(τ)
τQ
(n)ij (x) +
2cn(τ)
τQ
(n)ij (x)
]. (4.39)
Il quarto termine dell’equazione (4.8), invece, si ottiene semplicemente moltiplicando − 2τ2 per lo
sviluppo in armoniche ipersferiche di hij. Mentre l’ultimo termine della stessa equazione risulta
essere2
τ 2gijh00 = 2cijh00 =
∞∑n=2
6an(τ)Q(n)ij (x) . (4.40)
144
In definitiva, quindi, l’equazione agli autovalori per hij, ovvero ¤hij + λhij = 0, si scrive
¤hij + λhij =∞∑
n=3
(d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 − 5)
τ 2+ λn
)dn(τ) +
4bn(τ)
τ
P
(n)ij (x)
+∞∑
n=3
(d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 + 1)
τ 2+ λn
)en(τ)− 4
τbn(τ) + 6an(τ)
Q
(n)ij (x)
+∞∑
n=3
(d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 − 4)
τ 2+ λn
)fn(τ) +
2cn(τ)
τ
S
(n)ij (x)
+∞∑
n=3
(d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 − 1)
τ 2+ λn
)kn(τ)
G
(n)ij (x) = 0 . (4.41)
Le equazioni agli autovalori (4.20), (4.33) e (4.41) conducono al seguente sistema di equazioni
atto a determinare i coefficienti dello sviluppo in armoniche ipersferiche:
Anan(τ) + Bnbn(τ) + Cnen(τ) = 0 , (4.42)
Dnbn(τ) + Enan(τ) + Fndn(τ) + Gnen(τ) = 0 , (4.43)
Lndn(τ) + Mnbn(τ) = 0 , (4.44)
Nnen(τ) + Pnbn(τ) + Qnan(τ) = 0 , (4.45)
Hncn(τ) + Knfn(τ) = 0 , (4.46)
Rnfn(τ) + Sncn(τ) = 0 , (4.47)
Tnkn(τ) = 0 . (4.48)
L’espressione esplicita degli operatori che compaiono all’interno di questo sistema di equazioni,
si puo ricavare semplicemente dalle equazioni agli autovalori precedentemente scritte per h00,
h0k e hij. Ovvero
An ≡ d2
dτ 2+
3
τ
d
dτ− (n2 + 5)
τ 2+ λn , (4.49)
Bn ≡ 4
τ 3, Cn ≡ 2
τ 4, (4.50)
Dn ≡ d2
dτ 2+
1
τ
d
dτ− (n2 + 4)
τ 2+ λn , (4.51)
En ≡ 2
τ(n2 − 1) , Fn ≡ 4
3
(n2 − 4)
τ 3, Gn ≡ −2
3
(n2 − 1)
τ 3, (4.52)
Hn ≡ d2
dτ 2+
1
τ
d
dτ− (n2 + 5)
τ 2+ λn , (4.53)
Kn ≡ 2
τ 3(n2 − 4) , (4.54)
145
Ln ≡ d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 − 5)
τ 2+ λn , (4.55)
Mn ≡ 4
τ, (4.56)
Nn ≡ d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 + 1)
τ 2+ λn , (4.57)
Pn ≡ −4
τ, Qn ≡ 6 , (4.58)
Rn ≡ d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 − 4)
τ 2+ λn , (4.59)
Sn ≡ 2
τ, (4.60)
Tn ≡ d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 − 1)
τ 2+ λn . (4.61)
Utilizzando l’ultima equazione del sistema (4.48), si trova la funzione di base dell’armonica
tensoriale simmetrica transversa a traccia nulla. Notando che l’operatore Tn conduce ad una
equazione di Bessel, ossia Tnkn(τ) = 0, si ottiene la soluzione
kn(τ) = α1τIn(Mτ) + α2τKn(Mτ) , (4.62)
dove M =√−λ e le In e le Kn sono le funzioni di Bessel modificate di prima e di seconda specie.
4.3 I coefficienti dello sviluppo in armoniche ipersferiche
Tuttavia, le equazioni (4.42)-(4.45) per le perturbazioni metriche scalari conducono ad un sistema
complicato, come anche le equazioni (4.46) e (4.47) per le perturbazioni metriche vettoriali. Si
potrebbe pensare di risolvere questi sistemi diagonalizzando le matrici di operatori associate,
ma nel caso dei modi scalari si dovrebbe diagonalizzare una matrice di operatori 4 × 4 che
condurrebbe alla necessita di risolvere un sistema di 24 equazioni algebriche di secondo grado in
24 incognite [37]. Per questo motivo si assume che la soluzione del sistema di equazioni (4.42)-
(4.45) sia un certo insieme di funzioni di Bessel modificate con un indice incognito ν. Si cerca,
quindi, una soluzione del sistema in esame della forma
an(τ) = β1Wν(Mτ)
τ, bn(τ) = β2Wν(Mτ) ,
dn(τ) = β3τWν(Mτ) , en(τ) = β4τWν(Mτ) . (4.63)
Sostituendo queste ultime espressioni nell’equazione (4.42) si ottiene(
d2
dτ 2+
3
τ
d
dτ− (n2 + 5)
τ 2+ λn
)β1
Wν(Mτ)
τ+
4
τ 3β2Wν(Mτ) +
2
τ 3β4Wν(Mτ) = 0 . (4.64)
146
Svolgendo le derivate che compaiono all’interno dell’operatore An si giunge all’espressione
β1
(1
τ
d2
dτ 2+
1
τ 2
d
dτ+ λn
)Wν(Mτ)− β1
(n2 + 6)
τ 3Wν(Mτ) +
4
τ 3β2Wν(Mτ) +
2
τ 3β4Wν(Mτ) = 0 .
(4.65)
Ma siccome le funzioni Wν(Mτ) obbediscono all’equazione di Bessel, si puo scrivere che(
1
τ
d2
dτ 2+
1
τ 2
d
dτ+ λn
)Wν(Mτ) =
ν2
τ 3Wν(Mτ) , (4.66)
da cui, sostituendo quest’ultimo risultato nella (4.65), si ottiene una equazione per i coefficienti
β, ossia
β1(ν2 − n2 − 6) + 4β2 + 2β4 = 0 . (4.67)
Alla stessa maniera, sostituendo le espressioni (4.63) nella seconda equazione per i modi scalari,
ossia nella (4.43), si ha(
d2
dτ 2+
1
τ
d
dτ− (n2 + 4)
τ 2+ λn
)β2Wν(Mτ) +
2
τ(n2 − 1)β1
Wν(Mτ)
τ
+4
3
(n2 − 4)
τ 3β3τWν(Mτ)− 2
3
(n2 − 1)
τ 3β4τWν(Mτ) = 0 . (4.68)
Ma, come e gia stato detto, le funzioni Wν(Mτ) sono soluzioni dell’equazione di Bessel, quindi
si ha (ν2
τ 2− (n2 + 4)
τ 2
)β2 +
2
τ(n2 − 1)β1 +
4
3
(n2 − 4)
τ 3β3 − 2
3
(n2 − 1)
τ 3β4 = 0 , (4.69)
ovvero
3β2(ν2 − n2 − 4) + 6(n2 − 1)β1 + 4(n2 − 4)β3 − 2(n2 − 1)β4 = 0 . (4.70)
Allo stesso modo si ricavano le equazioni alle quali devono soddisfare i coefficienti β dalle (4.44)
e (4.45). Infatti, non e arduo mostrare che l’equazione(
d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 − 4)
τ 2+ λn
)β3τWν(Mτ) +
4
τβ2Wν(Mτ) = 0 , (4.71)
conduce alla seguente equazione per i coefficienti β:
β3(ν2 − n2 + 4) + 4β2 = 0 , (4.72)
mentre l’equazione(
d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 + 1)
τ 2+ λn
)β4τWν(Mτ)− 4
τβ2Wν(Mτ) +
6
τβ1Wν(Mτ) = 0 , (4.73)
conduce all’ultima equazione per i coefficienti β, ovvero
β4(ν2 − n2 − 2)− 4β2 + 6β1 = 0 . (4.74)
147
Affinche il sistema formato dalle equazioni (4.67), (4.70), (4.72) e (4.74) ammetta soluzioni non
banali e necessario e sufficiente che il determinante della matrice associata al sistema sia nullo,
ovvero
det
(ν2 − n2 − 6) 4 0 2
6(n2 − 1) 3(ν2 − n2 − 4) 4(n2 − 4) −2(n2 − 1)
0 4 (ν2 − n2 + 4) 0
6 −4 0 (ν2 − n2 − 2)
= 0 . (4.75)
L’annullarsi del determinante conduce alla seguente equazione:
(ν2 − n2)2[(ν2 − n2)2 − 8(ν2 − n2)− 16(n2 − 1)
]= 0 , (4.76)
cha ammette le soluzioni
ν2 = n2 con molteplicita 2 ,
ν2 = (n + 2)2 ,
ν2 = (n− 2)2 .
(4.77)
Considerando i valori positivi di ν si ottiene l’ordine delle funzioni di Bessel. Si e in grado,
adesso, di scrivere le soluzioni per i parametri β corrispondenti a differenti valori di ν. Quindi,
per ν = n, si ha
β4 = 3β1 , β2 = β3 = 0 , (4.78)
oppure
β1 = 0 , β3 = −β2 , β4 = −2β2 . (4.79)
Per ν = n− 2 invece si ha
β2 = (n + 1)β1 , β3 =(n + 1)
(n− 2)β1 , β4 = −β1 . (4.80)
Infine, per ν = n + 2 si ottiene
β2 = (n + 1)β1 , β3 =(n− 1)
(n + 2)β1 , β4 = −β1 . (4.81)
In virtu di queste ultime relazioni si ottengono i coefficienti delle funzioni di base dei modi scalari.
Ricordando le equazioni (4.63), si ottiene
an(τ) =1
τ[γ1In(Mτ) + δ1Kn(Mτ) + γ3In−2(Mτ) + δ3Kn−2(Mτ) + γ4In+2(Mτ) + δ4Kn+2(Mτ)] ,
(4.82)
148
mentre per bn(τ) si ha
bn(τ) = [γ2In(Mτ) + δ2Kn(Mτ) + (n + 1)γ3In−2(Mτ) + (n + 1)δ3Kn−2(Mτ)
− (n− 1)γ4In+2(Mτ)− (n− 1)δ4Kn+2(Mτ)] . (4.83)
Inoltre, le equazioni per i restanti modi scalari sono
dn(τ) = τ
[− γ2In(Mτ)− δ2Kn(Mτ) +
(n + 1)
(n− 2)γ3In−2(Mτ) +
(n + 1)
(n− 2)δ3Kn−2(Mτ)
+(n− 1)
(n + 2)γ4In+2(Mτ) +
(n− 1)
(n + 2)δ4Kn+2(Mτ)
], (4.84)
ed infine
en(τ) = τ [3γ1In(Mτ) + 3δ1Kn(Mτ)− 2γ2In(Mτ)− 2δ2Kn(Mτ)− γ3In−2(Mτ)
− δ3Kn−2(Mτ)− γ4In+2(Mτ)− δ4Kn+2(Mτ)] . (4.85)
In questa maniera, dunque, sono state trovate le funzioni di base per i modi scalari. Per com-
pletare il calcolo, non bisogna far altro che ripetere il procedimento per i modi vettoriali cn(τ)
ed fn(τ). A tal proposito si supponga che
cn(τ) = ε1Wν(Mτ) , fn(τ) = ε2τWν(Mτ) . (4.86)
Inserendo queste espressioni nelle equazioni (4.46) e (4.47) si ottiene
(d2
dτ 2+
1
τ
d
dτ− (n2 + 5)
τ 2+ λn
)ε1Wν(Mτ) +
2
τ 2(n2 − 4)ε2Wν . (4.87)
Siccome, come gia affermato in precedenza, Wν(Mτ) soddisfa l’equazione di Bessel, ovvero
(d2
dτ 2+
1
τ
d
dτ+ λn
)Wν(Mτ) =
ν2
τ 2Wν(Mτ) , (4.88)
si ottiene la prima equazione per i coefficienti ε:
(ν2 − n2 − 5)ε1 + 2(n2 − 4)ε2 = 0 . (4.89)
L’equazione (4.47) diventa, invece,
(d2
dτ 2− 1
τ
d
dτ− (n2 − 4)
τ 2+ λn
)ε2τWν(Mτ) +
2
τε1Wν(Mτ) = 0 , (4.90)
dalla quale si e in grado di ricavare la seconda equazione per i coefficienti ε. Infatti si ottiene
(ν2 − n2 + 3)ε2 + 2ε1 = 0 . (4.91)
149
Nuovamente, affinche il sistema formato dalle equazioni (4.89) e (4.91) ammetta una soluzione
non banale, e necessario e sufficiente che il determinante della matrice associata sia nullo, ossia
det
((ν2 − n2 − 5) 2(n2 − 4)
2 (ν2 − n2 + 3)
)= 0 . (4.92)
Quest’ultima condizione conduce all’equazione
(ν2 − n2)2 − 2(ν2 + n2) + 1 = 0 , (4.93)
che possiede le soluzioni
ν2 = (1 + n)2 , ν2 = (n− 1)2 . (4.94)
Considerando, quindi, solamente i valori positivi di ν, si ottiene l’ordine delle funzioni di Bessel.
Dunque per ν = n + 1 si ha che
ε2 = − ε1
(n + 2), (4.95)
mentre per ν = n− 1, dal sistema (4.89) e (4.91), si ottiene
ε2 = − ε1
(n− 2). (4.96)
Sostituendo questi risultati nelle equazioni (4.86), si giunge, in definitiva, all’espressione per i
modi vettoriali
cn(τ) = [ε1In+1(Mτ) + η1Kn+1(Mτ) + ε2In−1(Mτ) + η2Kn−1(Mτ)] , (4.97)
e
fn(τ) = τ
[− ε1
(n + 2)In+1(Mτ)− η1
(n + 2)Kn+1(Mτ) +
ε2
(n− 2)In−1(Mτ) +
η2
(n− 2)Kn−1(Mτ)
].
(4.98)
Per quel che concerne i campi di ghost, il ragionamento e del tutto analogo a quello svolto
fino adesso. Siccome l’equazione agli autovalori per i campi di ghost nella gauge di de Donder
ha la forma (4.2), essi possono essere sviluppati come
ϕ0 =∞∑
n=1
ln(τ)Q(n)(x) , (4.99)
ϕi =∞∑
n=2
[mn(τ)
∇iQ(n)(x)
(n2 − 1)+ pn(τ)S
(n)i (x)
]. (4.100)
150
Le funzioni ln(τ), mn(τ) e pn(τ) possono essre ricavate in una maniera del tutto analoga a
quella precedentemente utilizzata per le armoniche ipersferiche delle perturbazuioni del campo
tensoriale metrico di background. Queste ultime hanno l’espressione
ln(τ) =1
τ[κ1In+1(Mτ) + κ2In−1(Mτ) + θ1Kn+1(Mτ) + θ2Kn−1(Mτ)] , (4.101)
mn(τ) = −(n−1)κ1In+1(Mτ)+(n+1)κ2In−1(Mτ)− (n−1)θ1Kn+1(Mτ)+(n+1)θ2Kn−1(Mτ) ,
(4.102)
ed infine
pn(τ) = ϑIn(Mτ) + %Kn(Mτ) . (4.103)
4.4 Le condizioni al contorno
Una volta ottenuti gli sviluppi in armoniche ipersferiche delle quantita h00, h0k e hij, bisogna
imporre le condizioni al contorno alle quali esse devono soddisfare. Sostituendo gli sviluppi
all’interno delle condizioni al contorno, si ottiene un sistema di equazioni, al bordo ∂M , al quale
i modi devono soddisfare. Le condizioni al contorno che saranno utilizzate sono quelle trovate
nel capitolo precedente, ossia le (3.177). Procedendo in questo modo, dalla condizione
[hij]∂M = 0 , (4.104)
si ottiene, notando che la 3-sfera di bordo e ad una distanza τ = a dall’origine, che
dn(a) = en(a) = fn(a) = kn(a) = 0 . (4.105)
Dalla seconda delle condizioni al contorno (3.177), sostituendo gli sviluppi (4.3)-(4.5), si hanno
i termini∂h00
∂τ=
∞∑n=1
dan
dτQ(n)(x) ,
6
τh00 =
∞∑n=1
6
τanQ(n)(x) , (4.106)
∂
∂τ
[gijhij
]∂M
=∂
∂τ
[ ∞∑n=1
en(τ)
τ 2Q(n)(x)
]
∂M
=1
τ 2
∞∑n=1
den
dτQ(n)(x) , (4.107)
ed infine2
τ 2h
|i0i = − 2
τ 2
∞∑n=1
bn(τ)Q(n)(x) . (4.108)
Da queste relazioni si ottiene una delle equazioni alla quale devono soddisfare i modi al bordo,
ovvero [dan
dτ+
6
τan − 1
τ 2
den
dτ− 2
τ 2bn
]
∂M
= 0 . (4.109)
151
Infine, sostituendo gli sviluppi nella terza delle condizioni (3.177) si ottengono le altre due
equazioni [dbn
dτ+
3
τbn − (n2 − 1)
2an
]
∂M
= 0 , (4.110)
[dcn
dτ+
3
τcn
]
∂M
= 0 . (4.111)
Le condizioni al contorno imposte ai campi di ghost, invece, conducono alle equazioni
ln(a) = mn(a) = pn(a) = 0 . (4.112)
Ora, le espressioni esplicite trovate per i modi delle perturbazioni del campo tensoriale metrico
di background e dei campi di ghost, sostituite nelle equazioni che i modi stessi devono soddisfare
al bordo, possono essere utilizzate per ottenere sistemi lineari omogenei che conducono, implici-
tamente, agli autovalori del problema in esame. Le condizioni in virtu delle quali questi sistemi
lineari possiedono una soluzione non banale, sono fornite dall’annullarsi del determinante delle
matrici associate; questo conduce a condizioni sugli autovalori, ovvero conduce ad equazioni alle
quali gli autovalori devono soddisfare in virtu delle condizioni al contorno.
Pero, e importante notare che le condizioni al contorno considerate fino adesso per questo
problema, non sono le uniche da imporre. Infatti, oltre alle condizioni gia viste sul bordo della
4-palla, e necessario imporre che i modi, sia delle perturbazioni metriche sia dei campi di ghost,
siano regolari nell’origine, ovvero per τ = 0. Ora, e stato visto che i modi, nella loro espressione
esplicita, contengono le funzioni di Bessel modificate In(Mτ) e Kn(Mτ). Tuttavia, mentre la
funzione In(Mτ) e regolare per τ = 0, la funzione Kn(Mτ) possiede una divergenza logaritmica
nell’origine. Per questo motivo la condizione di regolarita dei modi nell’origine impone che i
coefficienti che moltiplicano le funzioni Kn(Mτ) siano nulli. In base a questa condizione, d’ora
in poi nelle espressioni esplicite dei modi ci saranno solamente le funzioni In(Mτ).
Siccome si e interessati allo sviluppo asintotico completo del nucleo del calore con potenze
negative di t, e non solo al valore di ζ(0), bisogna valutare l’espressione completa delle condizioni
sugli autovalori per ciascun insieme di modi accoppiati. Cominciamo, quindi, con il modo
disaccoppiato c2(τ) = I3(Mτ). Come si puo notare dalla (4.111), esso soddisfa alla dondizione
al contorno del tipo Robin, ovverodI3
dτ+
3
τI3 = 0 . (4.113)
Il determinante associato a questa equazione conduce all’espressione
D(Ma) = I2(Ma) + I4(Ma) +6
MaI3(Ma) , (4.114)
152
con degenerazione 6. Per giungere all’espressione del determinante (4.114) si e fatto uso della
seguente proprieta delle funzioni di Bessel modificate:
I ′n =1
2(In−1 + In+1) , (4.115)
che discende da altre due proprieta, ossia
In+1(w) = I ′n(w)− n
wIn(w) , (4.116)
In−1(w) = I ′n(w) +n
wIn(w) . (4.117)
Per i modi vettoriali accoppiati cn(τ) e fn(τ), che obbediscono alle condizioni al contorno (4.105)
e (4.111), si ottengono le equazioni
[ε1I
′n+1 + ε2I
′n−1 +
3ε1
τIn+1 +
3ε2
τIn−1
]
∂M
= 0 ,
[− τε1
(n + 2)In+1 +
τε2
(n− 2)In−1
]
∂M
= 0 , (4.118)
da cui il determinante della matrice del sistema associato e
D(Ma) = In−1(Ma)
[In(Ma) + In+2(Ma) +
6
MaIn+1(Ma)
]
+(n− 2)
(n + 2)In+1(Ma)
[In(Ma) + In−2(Ma) +
6
MaIn−1(Ma)
], (4.119)
dove si sono utilizzate le proprieta (4.115)-(4.117). I modi scalari
a1(τ) =1
τ(γ1I1(Mτ) + γ4I3(Mτ)) , (4.120)
e1(τ) = τ(3γ1I1(Mτ)− γ4I3(Mτ)) , (4.121)
soddisfano le condizioni al contorno
da1
dτ+
6
τ− 1
τ 2
de1
dτ= 0 , per τ = a (4.122)
e1(a) = 0 . (4.123)
le quali implicano il sistema di equazioni
(−MaI ′1(Ma) + I1(Ma))γ1 + (MaI ′3(Ma) + 3I3(Ma))γ4 = 0 , (4.124)
(3MaI1(Ma))γ1 − (MaI3(Ma))γ4 = 0 . (4.125)
153
Il determinante della matrice associata a quest’ultimo sistema di equazioni risulta essere, utiliz-
zando ancora le proprieta delle funzioni di Bessel modificate,
D(Ma) = 20I1(Ma)I3(Ma)−Ma[I0(Ma) + I2(Ma)]I3(Ma)
+ 3MaI1(Ma)[I2(Ma) + I4(Ma)] . (4.126)
I modi scalari
a2(τ) =1
τ(γ1I2(Mτ) + γ4I4(Mτ)) , (4.127)
b2(τ) = γ2I2(Mτ)− γ4I4(Mτ) , (4.128)
e2(τ) = τ [(3γ1 − 2γ2)I2(Mτ)− γ4I4(Mτ)] , (4.129)
soddisfano le condizioni al contorno (4.105), (4.109) e (4.110) con n = 2. Sostituendo queste
espressioni nelle condizioni al contorno si ottiene il sistema di equazioni
3γ1I2(Ma)− 2γ2I2(Ma)− γ4I4(Ma) = 0 , (4.130)
3γ1I2(Ma)− γ2[2MaI ′2(Ma) + 6I2(Ma)] + γ4[2MaI ′4(Ma) + 9I4(Ma)] = 0 , (4.131)
γ1[−MaI ′2(Ma) + I2(Ma)] + γ2MaI ′2(Ma) + γ4[MaI ′4(Ma) + 4I4(Ma)] = 0 . (4.132)
Il determinante della matrice di quest’ultimo sistema e
D(Ma) =1
2
[MaI1(Ma) + 4I2(Ma) + MaI3(Ma)
][4MaI2(Ma)I3(Ma)−MaI1(Ma)I4(Ma)
+ 36I2(Ma)I4(Ma)−MaI3(Ma)I4(Ma)]
. (4.133)
Per tutti gli n ≥ 3, i modi scalari accoppiati an(τ), bn(τ), dn(τ) ed en(τ) soddisfano le
condizioni al contorno (4.105), (4.109) e (4.110). Il determinante che ne risulta e
D(Ma) = det ρij(Ma) , (4.134)
dove ρij e una matrice 4× 4 i cui elementi sono
ρ11 = In(Ma)−MaI ′n(Ma) , ρ12 = MaI ′n(Ma) , (4.135)
ρ13 = (2− n)In−2(Ma) + MaI ′n−2(Ma) , ρ14 = (2 + n)In+2(Ma) + MaI ′n+2(Ma) , (4.136)
ρ21 = −(n2 − 1)In(Ma) , ρ22 = 2MaI ′n(Ma) + 6In(Ma) , (4.137)
ρ23 = 2(n + 1)MaI ′n−2(Ma)− (n2 − 6n− 7)In−2(Ma) , (4.138)
ρ24 = −2(n− 1)MaI ′n+2(Ma)− (n2 + 6n− 7)In+2(Ma) , (4.139)
154
ρ31 = 0 , ρ32 = −In(Ma) , (4.140)
ρ33 =(n + 1)
(n− 2)In−2(Ma) , ρ34 =
(n− 1)
(n + 2)In+2(Ma) , (4.141)
ρ41 = 3In(Ma) , ρ42 = −2In(Ma) , ρ43 = −In−2(Ma) , ρ44 = −In+2(Ma) . (4.142)
I modi tensoriali trasversi a traccia nulla kn(τ), conducono, in virtu della loro espressione
esplicita e delle condizioni alle quali devono soddisfare, al determinante
D(Ma) = In(Ma) , ∀n ≥ 3 . (4.143)
Per quel che concerne, invece, i campi di ghost, il modo disaccoppiato l1(τ) = 1τI2(Ma) si annulla
sulla 3-sfera di bordo e quindi conduce all’equazione
D(Ma) = I2(Ma) , (4.144)
mentre i modi scalari e vettoriali di ghost conducono rispettivamente alle equazioni
D(Ma) = In+1(Ma) , ∀n ≥ 2 , (4.145)
e
D(Ma) = In(Ma) , ∀n ≥ 2 . (4.146)
Ora, le espressioni ottenute per i determinanti D(Ma) possono essere riscritte in una maniera
piu utile al calcolo della ζ di Riemann, utilizzando ripetutamente le identita delle funzioni di
Bessel modificate (4.116), (4.117) insieme alle seguenti:
In+2(w) =
[1 +
2n(n + 1)
w2
]In(w)− 2(n + 1)
wI ′n(w) , (4.147)
In−2(w) =
[1 +
2n(n− 1)
w2
]In(w)− 2(n− 1)
wI ′n(w) , (4.148)
I ′n+2(w) = −2(n + 1)
w
[1 +
2n(n + 1)
w2
]In(w) +
(1 +
2(n + 1)(n + 2)
w2
)I ′n(w) , (4.149)
I ′n−2(w) =2(n− 1)
w
[1 +
2n(n− 1)
w2
]In(w) +
(1 +
2(n− 1)(n− 2)
w2
)I ′n(w) . (4.150)
Ponendo Ma = w, si ottiene, per il deteminante (4.114), l’espressione
D(w)
2= I2(w) , (4.151)
mentre per i modi vettoriali il corrispondente determinante (4.119) si scrive
(n + 2)
4nD(w) = In(w)
[I ′n(w) +
2
wIn(w)
]. (4.152)
155
Inoltre, per i modi scalari a1 ed e1, vincolati dall’equazione (4.126) si ottiene
D(w)
4w= I2(w)
[I ′2(w) +
4
wI2(w)
], (4.153)
mentre per i modi scalari a2, b2, e2, vincolati dall’equazione (4.133), si ha
D(w)
6w2= I1(w)I3(w)
(I ′3(w) +
5
wI3(w)
). (4.154)
La parte piu ardua e l’analisi del determinante (4.134). Per porre quest’ultimo in una forma
adatta allo studio della funzione ζ di Riemann, e utile riesprimere gli elementi della matrice
tramite le identita delle funzioni di Bessel modificate. Cosı facendo si ottiene
ρ11 = In(w)−wI ′n(w), ρ12 = wI ′n(w), ρ13 = wI ′n(w)+nIn(w), ρ14 = wI ′n(w)−nIn(w), (4.155)
ρ21 = −(n2 − 1)In(w) , ρ22 = 2[wI ′n(w) + 3In(w)] , (4.156)
ρ23 = (n + 1)
[3(n + 1) +
2n(n− 1)(n + 3)
w2
]In(w) + 2
[w +
(n− 1)(n + 3)
w
]I ′n(w)
,
(4.157)
ρ24 = (n− 1)
[3(n− 1) +
2n(n + 1)(n− 3)
w2
]In(w)− 2
[w +
(n + 1)(n− 3)
w
]I ′n(w)
,
(4.158)
ρ31 = 0 , ρ32 = −In(w) , (4.159)
ρ33 =(n + 1)
(n− 2)
[(1 +
2n(n− 1)
w2
)In(w) +
2(n− 1)
wI ′n(w)
], (4.160)
ρ34 =(n− 1)
(n + 2)
[(1 +
2n(n + 1)
w2
)In(w) +
2(n + 1)
wI ′n(w)
], (4.161)
ρ41 = 3In(w) , ρ42 = −2In(w) , (4.162)
ρ43 = −(
1 +2n(n− 1)
w2
)In(w)− 2(n− 1)
wI ′n(w) , (4.163)
ρ44 = −(
1 +2n(n + 1)
w2
)In(w) +
2(n + 1)
wI ′n(w) . (4.164)
Il determinante che ne risulta puo essere studiato, nonostante la sua ingombrante espressione,
tramite l’introduzione della variabile
y ≡ I ′n(w)
In(w). (4.165)
In questa maniera, quindi, si puo tentare di trovare una fattorizzazione simile a quella scritta
per i determinanti degli altri modi. Dall’espressione esplicita del determinante (Appendice:
D.2), non e per nulla chiaro, a vista, quale potrebbe essere la fattorizzazione cercata. Tuttavia,
156
se si impone che il determinante sia nullo si ottiene una equazione algebrica di quarto grado
nell’incognita y, e si puo considerare la fattorizzazione
D(w) = A(y − y1)(y − y2)(y − y3)(y − y4) , (4.166)
dove A e il coefficiente del termine y4. Le soluzioni dell’equazione D(Ma) = 0 sono
y1 = −n
w, y2 =
n
w, y3 = −n
w− w
2, y3 =
n
w− w
2. (4.167)
Una volta ottenute le soluzioni si puo scrivere esplicitamente la fattorizzazione. Notando,
dall’espressione completa di D(Ma), che il coefficiente di y4 e
48n(n2 − 1)
(n2 − 4)I4n(Ma) , (4.168)
si ha
(n2 − 4)
48n(n2 − 1)D(Ma) =
(I ′n(Ma) +
n
wIn(Ma)
)(I ′n(Ma)− n
wIn(Ma)
)
×(I ′n(Ma) +
( n
w+
w
2
)In(Ma)
)(I ′n(Ma)−
( n
w− w
2
)In(Ma)
). (4.169)
4.5 La funzione ζ di Riemann ed il nucleo del calore
Le equazioni ottenute in precedenza, fattorizzando i determinanti delle matrici associate ai modi
delle perturbazioni del campo tensoriale metrico e dei campi di ghost, sono sufficienti per ottenere
una rappresentazione integrale della funzione ζ di Riemann, i residui della quale conducono a
tutti i coefficienti del nucleo del calore. Si e gia visto, nel capitolo precedente, in quale maniera
la funzione ζ di Riemann e legata al nucleo del calore. Mostriamo, adesso, piu in dettaglio la
procedura.
Si consideri, per semplicita, il caso dell’operatore di Laplace definito in una sfera 3-dimensionale
con condizioni al contorno di Dirichlet. E stato affermato, nel capitolo precedente, che la fun-
zione ζ di Riemann possiede una rappresentazione integrale in virtu della trasformata di Mellin.
Nel caso discusso in questo luogo, dove per la sfera 3-dimensionale la degenerazione e d3 = 2l+1,
la ζ si scrive [39]
ζ(s) =∞∑
l=0
(2l + 1)
∫
γ
dk
2πık−2s ∂
∂kJl+ 1
2(kR) . (4.170)
Questa rappresentazione e valida per Re(s) > 32. Tuttavia, si e interessati alle proprieta di
di ζ(s) nell’intervallo Re(s) < 0. Per questo motivo si considera il prolungamento analitico al
157
dominio sinistro del piano complesso. Quindi, ponendo n = 2l +1, l’espressione (4.170) diventa,
considerando solamente l’integrale,
ζn(s) =sin(πs)
π
∫ ∞
0
dk(k−2s)∂
∂k(k−nIn(kR)) . (4.171)
Ora, si consideri lo sviluppo asintotico uniforme delle funzioni di Bessel In(k) per n → ∞ per
z = kn
fissato, ovvero
In(nz) ∼ 1√2πn
enη
(1 + z2)14
[1 +
∞∑
k=0
uk(t)
nk
], (4.172)
con t = 1√1+z2 e η =
√1 + z2 + log[z/(1 + z2)]. Le funzioni uk possono essere ricavate tramite la
formula di ricorrenza
uk+1(t) =1
2t2(1− t2)u′k(t) +
1
8
∫ t
0
dρ(1− 5ρ2)uk(ρ) , (4.173)
partendo con u0 = 1.
Adesso, aggiungendo e sottraendo N termini dello sviluppo asintotico di In nell’integrando
della (4.171), la funzione ζ di Riemann puo essere divisa nella seguente maniera:
ζn(s) = Zn(s) +∞∑
i=−1
Ani (s) . (4.174)
con
Zn(s) =sin(πs)
π
∫ ∞
0
dz(zn
R
)−2s ∂
∂z
log[z−nIn(zn)]− log
[z−n
√2πn
enη
(1 + z2)14
]−
∞∑m=1
Dm(t)
nm
,
(4.175)
dove si e posto
log
[1 +
∞∑
k=0
uk(t)
nk
]∼
∞∑m=1
Dm(t)
nm. (4.176)
Le funzioni Ani (s), invece, hanno la forma
An−1(s) =
sin(πs)
π
∫ ∞
0
dz(zn
R
)−2s ∂
∂zlog(z−nenη) , (4.177)
An0 (s) =
sin(πs)
π
∫ ∞
0
dz(zn
R
)−2s ∂
∂zlog(1 + z2)−
14 , (4.178)
ed infine
Ani (s) =
sin(πs)
π
∫ ∞
0
dz(zn
R
)−2s ∂
∂z
(Di(t)
ni
). (4.179)
158
L’idea essenziale del procedimento, adesso, e fornita dalla rappresentazione (4.174). Infatti si
puo mostrare [39] che la funzione
Z(s) =∞∑
l=0
(2l + 1)Z l+ 12 (s) , (4.180)
e analitica nell’intervallo −∞ < Re(s) < 1, e quindi non contribuisce ai residui della funzione ζ
in quest’intervallo. Inoltre per s = −k con k ∈ N+, si ha che Z(s) = 0, e quindi non contribuisce,
in questi punti, al valore della ζ di Riemann. In definitiva i coefficienti del nucleo del calore sono
solamente determinati dai termini Ai(s), ossia
Ai(s) =∞∑
l=0
(2l + 1)Al+ 1
2i (s) , (4.181)
tramite la relazione
Resζ(s) =Bm
2−s
(4π)m2 Γ(s)
. (4.182)
In definitiva e stato analizzato, piu in particolare, il legame che intercorre tra la funzione ζ di
Riemann e i coefficienti dello sviluppo del nucleo del calore per un operatore di Laplace con
condizioni al contorno di Dirichlet. Il calcolo appena illustrato e analogo a quello che si svolge
nel caso in cui siano presenti condizioni al contorno di Robin.
Come si puo ben notare dalla formula fattorizzata dei determinanti D(Ma) per i modi che
competono alle perturbazioni metriche ed ai campi di ghost, essi hanno tutti la forma di condizioni
di Dirichlet e di Robin sugli autovalori. L’unico determinante che si discosta da questo schema
e quello dei modi scalari accoppiati an(τ), bn(τ), dn(τ) ed en(τ), che presenta condizioni, sugli
autovalori, piu generali. Analizziamo, quindi, piu in dettaglio la maniera di procedere in questo
caso. Come si puo ben vedere, l’espressione (4.169) e il prodotto di quattro condizioni sugli
autovalori, la cui dipendenza da n le discosta dai casi Dirichlet e Robin. Ognuna di queste
condizioni contribuisce alla funzione ζ di Riemann e quindi ai coefficienti dello sviluppo del
nucleo del calore. Per questo motivo e importante studiare le quattro condizioni imposte agli
autovalori separatamente.
La prima riga della (4.169), conduce, in modo analogo ai casi Dirichlet e Robin, alla seguente
rappresentazione integrale della funzione ζ:
ζ±(s) =sin(πs)
π
∞∑n=3
n−2s+2
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zlog
[z−β±(n)
(znI ′n(zn)± nIn(zn)
)], (4.183)
dove β+(n) = n, e β−(n) = n + 2, che si ricavano dallo studio dello sviluppo a piccoli z delle
funzioni di Bessel modificate e delle loro derivate prime. Infatti nel caso di ζ+(s) la prima potenza
159
di z rilevante per lo sviluppo e proprio n, mentre nel caso di ζ−(s) si verifica una cancellazione
delle potenze n-esime di z in modo che la prima potenza che compaia sia n + 2.
Utilizzando, quindi, lo sviluppo asintotico uniforme delle funzioni di Bessel (4.172), e lo
sviluppo delle loro derivate, ossia
I ′n(zn) ∼ enη
√2πn
(1 + z2)14
z
(1 +
∞∑
k=1
vk(τ)
nk
), (4.184)
dove i vk sono polinomi determinati dalle uk tramite la formula di ricorrenza
vk(τ) = uk(τ) + τ(τ 2 − 1)
[1
2uk−1(τ) + u′k−1(τ)
], (4.185)
si puo valutare l’argomento del logaritmo nell’integrando della (4.183). Ovvero si ottiene
(znI ′n(zn)± nIn(zn) ∼ nenη(1 + z2)14√
2πn
(1 +
∞∑
k=1
vk(τ)
nk
)± nenη
√2πn(1 + z2)
14
[1 +
∞∑
k=0
uk(τ)
nk
].
(4.186)
Da questa espressione, mettendo in evidenza le potenze frazionarie di (1 + z2), si ha
(znI ′n(zn)± nIn(zn) ∼ nenη
√2πn
[(1 + z2)
14 ± 1
(1 + z2)14
]
+nenη
√2πn
[(1 + z2)
14
( ∞∑
k=1
vk(τ)
nk
)± 1
(1 + z2)14
( ∞∑
k=0
uk(τ)
nk
)]. (4.187)
Sapendo che τ = (1 + z2)−12 , l’espressione appena scritta si riesprime come
(znI ′n(zn)± nIn(zn) ∼ nenη
√2πn
1√τ(1± τ) +
nenη
√2πn
1√τ
( ∞∑
k=0
vk(τ)± τuk(τ)
nk
)
=nenη
√2πn
1√τ(1± τ)
(1 +
∞∑
k=0
pk,±(τ)
nk
), (4.188)
dove sono state introdotte le funzioni pk,±(τ) definite come
pk,±(τ) =1
(1± τ)(vk(τ)± τuk(τ)) , per k ≥ 1 . (4.189)
Si noti, inoltre, che se si pone
Ω =∞∑
k=1
pk±(τ)
nk, (4.190)
e si utilizza lo sviluppo del logaritmo
log(1 + Ω) ∼∞∑
k=1
(−1)k+1 Ωk
k, (4.191)
160
si puo considerare il seguente sviluppo asintotico uniforme:
log
(1 +
∞∑
k=0
pk,±(τ)
nk
)∼
∞∑
k=1
Tk,±(τ)
nk. (4.192)
La funzione ζ, adesso, differisce dal caso di un puro problema al contorno di Dirichlet oppure
Robin, per la presenza dei seguenti termini aggiuntivi:
A±(s) =sin(πs)
π
∞∑n=3
n−2s+2
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zlog
[1± (1 + z2)−
12
], (4.193)
e∑∞
j=1 Aj,±(s), dove
Aj,±(s) =sin(πs)
π
∞∑n=3
n−2s+2−j
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zTj,±(τ(z)) . (4.194)
Le funzioni Tj,±(τ) che compaiono in quest’ultimo integrale, si calcolano tramite la formula
(4.192) che li definisce. La loro forma generale e
Tj,±(τ) =∑
a,b
f(j,±)a,b
τa
(1± τ)b, (4.195)
dove gli f(j,±)a,b sono coefficienti da determinare sempre in base all’equazione (4.192). Come
esempio valutiamo i primi tre termini di Tj,±(τ). Esplicitamente si ha
T1,±(τ)
n+
T2,±(τ)
n2+
T3,±(τ)
n3+ O(n−4) =
p1,±(τ)
n+
p2,±(τ)
n2+
p3,±(τ)
n3
−1
2
[p1,±(τ)
n+
p2,±(τ)
n2+
p3,±(τ)
n3
]2
+1
3
[p1,±(τ)
n+
p2,±(τ)
n2+
p3,±(τ)
n3
]3
+ O(n−9) , (4.196)
da cui, eguagliando i termini con le stesse potenze inverse di n del membro destro e sinistro, si
ottengono le relazioni
T1,±(τ) = p1,±(τ) , (4.197)
T2,±(τ) = p2,±(τ)− 1
2p2
1,±(τ) , (4.198)
T3,±(τ) = p3,±(τ)− p1,±(τ)p2,±(τ) +1
3p3
1,±(τ) , (4.199)
mentre il quarto ed il quinto termine hanno la forma
T4,±(τ) = p4,±(τ)− p1,±(τ)p3,±(τ) + p21,±(τ)p2,±(τ)− 1
2p2
2,±(τ)− 1
4p4
1,±(τ) , (4.200)
e
T5,±(τ) = p5,±(τ)− p1,±(τ)p4,±(τ)− p2,±(τ)p3,±(τ) + p1,±(τ)p22,±(τ)
+ p21,±(τ)p3,±(τ)− p3
1,±(τ)p2,±(τ) +1
5p5
1,±(τ) . (4.201)
161
Si puo ottenere, ora, la formula esplicita per i Tj,±(τ) con j = 1, . . . , 5, tramite le espressioni
dei pj,±(τ) ricavate, a loro volta, dalle formule di ricorrenza (4.172) e (4.185). Piu precisamente
si ha
T1,+(τ) = τ
(−3
8+
1
2τ − 5
24τ 2
), (4.202)
T1,−(τ) = τ
(−3
8− 1
2τ − 5
24τ 2
), (4.203)
T2,+(τ) = τ 2
(− 3
16+
3
8τ +
1
8τ 2 − 5
8τ 3 +
5
16τ 4
), (4.204)
T2,−(τ) = τ 2
(− 3
16− 3
8τ +
1
8τ 2 +
5
8τ 3 +
5
16τ 4
), (4.205)
T3,+(τ) = τ 3
(− 21
128+
3
8τ +
509
640τ 2 − 25
12τ 3 +
21
128τ 4 +
15
8τ 5 − 1105
1152τ 6
), (4.206)
T3,−(τ) = τ 3
(− 21
128− 3
8τ +
509
640τ 2 +
25
12τ 3 +
21
128τ 4 − 15
8τ 5 − 1105
1152τ 6
). (4.207)
4.6 I contributi aggiuntivi alla funzione ζ di Riemann
Abbiamo visto, nel paragrafo precedente, che nel caso dei modi scalari accoppiati delle per-
turbazioni del campo gravitazionale metrico, le condizioni al contorno generalizzate conducono
a termini aggiuntivi, rispetto al caso Robin, nella valutazione della funzione ζ di Riemann. I
termini aggiuntivi possono essere espressi nella forma
δζ±(s) = ω0(s)F±0 (s) +
∞∑j=1
ωj(s)F±j (s) , (4.208)
dove ∀λ = 0, j, si ha
ωλ(s) =∞∑
n=3
n−(λ+2s−2) , (4.209)
mentre
F±0 (s) =
sin(πs)
π
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zlog
(1± (1 + z2)−
12
), (4.210)
e
F±j (s) =
sin(πs)
π
∑
a,b
f(j,±)a,b
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zTj,±(τ(z)) . (4.211)
Le espressioni (4.209), (4.210) e (4.211) possono essere riscritte in una forma piu utile per i
calcoli successivi. Infatti si consideri l’espressione di ωλ(s), per essa si ha
ωλ(s) =∞∑
n=3
n−(λ+2s−2) =∞∑
n=0
n−(λ+2s−2) − 1− 2−(λ+2s−2)
= ζR(2s + λ− 2)− 1− 2−(λ+2s−2) . (4.212)
162
Abbiamo ottenuto, quindi, una espressione della serie ωλ(s) in termini della funzione ζ di
Riemann. In questa formula le singolarita provengono dai poli del primo ordine di ζR in s = 32− λ
2.
Passiamo, adesso, ad analizzare l’integrale (4.210). Le trasformazioni, che si andranno a
considerare, porteranno quest’ultimo ad assumere una forma simile, come vedremo in seguito,
a quella degli integrali (4.211). Per cominciare si consideri la trasformazione√
1 + z2 → y, in
questo modo l’integrale (4.210) diventa
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zlog
(1± (1 + z2)−
12
)=
∫ ∞
0
dzz−2s+1(1 + z2)−1
√1 + z2 ± 1
=
∫ ∞
1
(y2 − 1)−s
y(y ± 1)dy . (4.213)
Su quest’ultimo integrale ottenuto si consideri la trasformazione di variabile y → 1τ, cosı facendo
si ottiene
∫ ∞
1
(y2 − 1)−s
y(y ± 1)dy =
∫ 1
0
(1τ2 − 1
)−s
(1τ± 1
) dτ =
∫ 1
0
τ 2s(1 + τ)−s(1− τ)−s
(1± τ)dτ . (4.214)
La soluzione di quest’ultimo integrale e facilmente riconducibile alla soluzione del seguente:
Q(α, β, γ) =
∫ 1
0
τα(1− τ)β(1 + τ)γdτ , (4.215)
che si esprime tramite le funzioni ipergeometriche, ovvero
Q(α, β, γ) =Γ(α + 1)Γ(β + 1)
Γ(α + β + 2)F (−γ, α + 1; α + β + 2;−1) . (4.216)
Adesso si e in grado di scrivere esplicitamente la forma di F±0 (s); in virtu, quindi, della soluzione
generale trovata e dell’espressione (4.214) per F±0 (s), si ha
F+0 (s) =
sin(πs)
π
Γ(2s + 1)Γ(1− s)
Γ(s + 2)F (s + 1, 2s + 1; s + 2;−1) , (4.217)
ed
F−0 (s) =
sin(πs)
π
Γ(2s + 1)Γ(−s)
Γ(s + 1)F (s, 2s + 1; s + 1;−1) . (4.218)
Rimangono ora da calcolare i termini F±j (s). In base alla loro espressione (4.211), e alla forma
generale assunta dalle funzioni Tj,±(τ), si puo scrivere
F±j (s) =
sin(πs)
π
∑
a,b
f(j,±)a,b
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂z
(τa(z)
(1± τ(z))b
)=
sin(πs)
π
∑
a,b
f(j,±)a,b L±(s, a, b) .
(4.219)
L’integrale che compare in quest’ultima equazione e facilmente riconducibile alla somma di
integrali del tipo (4.215). Infatti
L±(s, a, b) =
∫ ∞
0
[az−2sτa−1(1± τ)−b dτ
dz∓ bz−2sτa(1± τ)−b−1dτ
dz
]dz , (4.220)
163
ma notando che
z−2s = τ 2s(1− τ)−s(1 + τ)−s , (4.221)
l’integrale si puo scrivere come
L±(s, a, b) =
∫ 1
0
τ 2s+a(1− τ)−s(1 + τ)−s[± b(1± τ)−b−1 − aτ−1(1± τ)−b
]dτ . (4.222)
Si evince subito, da quest’ultima espressione, che la soluzione degli integrali L±(s, a, b) e una
somma delle soluzioni dell’integrale generale (4.215) scritto in precedenza. Ovvero
L+(s, a, b) = bΓ(2s + a + 1)Γ(1− s)
Γ(s + a + 2)F (s + b + 1, 2s + a + 1; s + a + 2;−1)
− aΓ(2s + a)Γ(1− s)
Γ(s + a + 1)F (s + b, 2s + a; s + a + 1;−1) , (4.223)
e
L−(s, a, b) = −bΓ(2s + a + 1)Γ(−s− b)
Γ(s + a− b + 1)F (s, 2s + a + 1; s + a− b + 1;−1)
− aΓ(2s + a)Γ(1− s− b)
Γ(s + a− b + 1)F (s, 2s + a; s + a− b + 1;−1) . (4.224)
Abbiamo trovato, dunque, tutti i contributi aggiuntivi alla funzione ζ di Riemann che provengono
dalla prima riga del determinante della matrice associata ai modi scalari delle perturbazioni
metriche. In particolare si trovano solamente contributi regolari al valore ζ(0) in disaccordo con
la perdita di ellitticita forte analizzata nel capitolo precedente.
In definitiva il contributo aggiuntivo al valore ζ(0), proveniente da F+0 (s) ed F−
0 (s), e
lims→0
ω0(s)[F+
0 (s) + F−0 (s)
]= lim
s→0
(ζ(2s− 2)− 1− 2−(2s−2)
)[F+
0 (s) + F−0 (s)
]= 5 (4.225)
Inoltre i contributi aggiuntivi al valore ζ(0) provenienti da F+j (s) ed F−
j (s) sono
l1 = lims→0
∞∑j=1
ωj(s)[F+
j (s) + F−j (s)
]= lim
s→0
sin(πs)
π
∞∑j=1
ωj(s)
3j∑a=j
(−a)Γ(2s + a)Γ(1− s)
Γ(s + a + 1)F (s, 2s + a; s + a + 1;−1)
(f (j,+)
a + f (j,−)a
), (4.226)
poiche tutti i Tj,± sono polinomi aventi la forma
Tj,± =
3j∑a=j
f (j,±)a τa . (4.227)
164
Notando che L+(s, a, 0) = L−(s, a, 0) il limite appena scritto si puo riesprimere come
l1 = lims→0
∞∑j=1
ωj(s)(F+
j (s) + F−j (s)
)
= lims→0
(sin πs)
π
∞∑j=1
ωj(s)
[3j∑
a=j
(f (j,+)a + f (j,−)
a )L+(s, a, 0)
]. (4.228)
Dall’espressione generale di L+(s, a, 0), ovvero
L+(s, a, 0) = −Γ(1− s)Γ(
a2
+ s)
Γ(
a2
) , (4.229)
e possibile dimostrare, utilizzando le proprieta della funzione Γ, che
lims→0
L+(s, a, 0) = O(s0) . (4.230)
Inoltre ωj(s) contiene la funzione ζR che possiede un polo del primo ordine solamente per j = 3,
in virtu del limite
lims→0
[ζR(y)− 1
(y − 1)
]= γ . (4.231)
In base a queste ultime osservazioni, e sottolineando che (f(j,+)a + f
(j,−)a ) = 0 per tutti i valori
dispari di a, si ha
l1 =1
2lims→0
9∑a=3
[(f (3,+)
a + f (3,−)a
)L+(s, a, 0)
]= −1
2
9∑a=3
(f (3,+)
a + f (3,−)a
)=
59
360. (4.232)
Passiamo, adesso, ad analizzare la seconda riga del determinante della matrice dei modi
scalari delle perturbazioni (4.169). Questa riga conduce alla seguente rappresentazione integrale
della funzione ζ di Riemann:
ζ±(s) =sin(πs)
π
∞∑n=3
n−2s+2
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zlog
[z−β±(n)
(znI ′n(zn) +
(z2n2
2± n
)In(zn)
)].
(4.233)
Utilizzando, come fatto in precedenza, lo sviluppo asintotico uniforme delle funzioni di Bessel si
ottiene
znI ′n(zn) +
(z2n2
2± n
)In(zn) ∼ enη
√2πn
(1 + z2)14
n
(1 +
∞∑
k=1
vk(τ)
nk
)
+
(z2n2
2± n
)τ
(1 +
∞∑
k=1
uk(τ)
nk
) , (4.234)
165
da cui, ricordando la dipendenza di z dalla variabile τ , si ottiene
=nenη
√2πn
1√τ
1 + τ
(z2n
2± 1
)+
∞∑
k=1
vk(τ)
nk+ τ
(z2n
2± 1
) ∞∑
k=1
uk(τ)
nk
=nenη
√2πn
1√τ
(1± τ) +
n
2
(1− τ 2
τ
)+
∞∑
k=1
vk(τ)
nk+
[n
2
(1− τ 2
τ
)± τ
] ∞∑
k=1
uk(τ)
nk
=n2enη
√2πn
1√τ
(1− τ 2
τ
)[1 +
2τ
n(1∓ τ)+
∞∑
k=1
uk(τ)
nk+
2
n
τ
(1− τ 2)
∞∑
k=1
(vk(τ)± τuk(τ)
nk
)].(4.235)
Quest’ultima espressione puo essere piu semplicemente scritta nella forma
znI ′n(zn) +
(z2n2
2± n
)In(zn) ∼ n2enη
√2πn
1√τ
(1
τ− τ
) [1 +
∞∑
k=1
rk,±(τ)
nk
], (4.236)
dove le funzioni rk,±(τ) sono definite dalla formula di ricorrenza
rk,±(τ) = uk(τ) +2τ
(1∓ τ)δk,1 +
2τ
(1− τ 2)
[(vk−1(τ)− δk,1)± τ(uk−1(τ)− δk,1)
]. (4.237)
Come e stato fatto in precedenza, utilizzando lo sviluppo del logaritmo, si consideri lo sviluppo
asintotico
log
(1 +
∞∑
k=1
rk,±(τ)
nk
)∼
∞∑
k=1
Rk,±(τ)
nk. (4.238)
Le formule che legano le funzioni Rk,±(τ) con le funzioni rk,±(τ), sono esattamente come le
(4.197)-(4.201) una volta sostituito T con R e p con r. Quindi, in virtu dell’equazione (4.237),
si ottiene
R1,+(τ) =τ
(1− τ)
(17
8− 1
8τ − 5
24τ 2 +
5
24τ 3
), (4.239)
R1,−(τ) =τ
(1 + τ)
(17
8+
1
8τ − 5
24τ 2 − 5
24τ 3
), (4.240)
R2,+(τ) =τ 2
(1− τ)2
(−47
16+
15
8τ − 21
16τ 2 +
3
4τ 3 − 1
16τ 4 − 5
8τ 5 +
5
16τ 6
), (4.241)
R2,−(τ) =τ 2
(1 + τ)2
(−47
16− 15
8τ − 21
16τ 2 − 3
4τ 3 − 1
16τ 4 +
5
8τ 5 +
5
16τ 6
), (4.242)
R3,+(τ) =τ 3
(1− τ)3
(1721
384− 441
128τ +
597
320τ 2 − 1033
960τ 3 +
239
80τ 4
− 25
8τ 5 +
2431
576τ 6 +
221
192τ 7 − 1105
384τ 8 +
1105
1152τ 9
), (4.243)
166
R3,−(τ) =τ 3
(1 + τ)3
(1721
384+
441
128τ +
597
320τ 2 +
1033
960τ 3 +
239
80τ 4
+25
8τ 5 +
2431
576τ 6 − 221
192τ 7 − 1105
384τ 8 − 1105
1152τ 9
). (4.244)
In base a queste ultime espressioni, si puo scrivere il generico termine Rj,±(τ) nella forma
Rj,±(τ) = (1∓ τ)−j
4j∑a=j
C(j,±)a τa , (4.245)
dove, diversamente da quel che accadeva per i polinomi Tj,±, il termine (1 ∓ τ), che compare
nell’espressione (4.245), sopravvive sempre.
In definitiva, la funzione ζ di Riemann, rispetto ad un puro problema di Robin, possiede i
termini aggiuntivi
B±(s) =sin(πs)
π
∞∑n=3
n−2s+2
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zlog
(1
τ(z)− τ(z)
), (4.246)
dove quest’ultima equazione si puo riscrivere come
B±(s) = ω0(s)sin(πs)
π
[2
∫ ∞
0
z−2s−1
(1 + z2)dz +
∫ ∞
0
z−2s+1
(1 + z2)dz
], (4.247)
una volta ricordata l’espressione degli ωλ(s), e esplicitata la dipendenza funzionale di τ da z.
Gli altri termini aggiuntivi sono∑∞
j=1 Bj,±(s), dove
Bj,±(s) = ωj(s)sin(πs)
π
∫ ∞
0
dz z−2s ∂
∂zRj,±(τ(z)) . (4.248)
Adesso, notando che
sin(πs)
π
[2
∫ ∞
0
z−2s−1
(1 + z2)dz +
∫ ∞
0
z−2s+1
(1 + z2)dz
]= −1
2, (4.249)
i contributi aggiuntivi al valore di ζ(0) che si ottengono da B±(s) sono i seguenti:
lims→0
ω0(s)[B+(s) + B−(s)
]= lim
s→0
[− ω0(s)
]= 5 , (4.250)
mentre i contributi che provengono da Bj,±(s) si possono scrivere come
l2 = lims→0
∞∑j=1
[Bj,+(s) + Bj,−(s)] = lims→0
sin(πs)
π
∞∑j=1
ωj(s)
4j∑a=j
[C(j,+)
a L−(s, a, j) + C(j,−)a L+(s, a, j)
].
(4.251)
Adesso a partire dalle espressioni esplicite (4.223) e (4.224) si puo mostrare che
lims→0
L+(s, a, j) = O(s0) , lims→0
L−(s, a, j) = O(s0) . (4.252)
167
Utilizzando, dunque, come in precedenza, la stuttura meromorfa di ωj(s), si ottiene per l2
l’espressione
l2 =1
2lims→0
12∑a=3
[C(3,+)
a L−(s, a, 3) + C(3,−)a L+(s, a, 3)
]. (4.253)
In quest’ultima espressione, come si puo ben notare, compaiono le funzioni L−(s, a, 3) ed L+(s, a, 3).
In base alla loro espressione esplicita si puo verificare che
lims→0
L+(s, a, 3) = lims→0
Γ(1− s)
[− a
Γ(a + 2s)
Γ(1 + a + s)F (3 + s, a + 2s; 1 + a + s;−1)
+3Γ(1 + a + 2s)
Γ(2 + a + s)F (4 + s, 1 + a + 2s; 2 + a + s;−1)
]= −1
8∀a ≥ 3 , (4.254)
mentre l’analogo limite che compete alla funzione L−(s, a, 3) non possiede la regolarita di quello
precedente ma dipende dal particolare valore di a. Valutando, infine, i singoli termini si giunge
al risultato
1
2lims→0
12∑a=3
[C(3,+)
a L−(s, a, 3) + C(3,−)a L+(s, a, 3)
]=
599
720− 841
720= −121
360. (4.255)
I risultati ottenuti per i termini aggiuntivi al valore ζ(0), come si puo ben notare, sono tutti finiti.
Questo implica che esiste un disaccordo tra il caso della 4-palla studiato in questo capitolo ed il
risultato generale sulla perdita dell’ellitticita forte. La discrepanza trovata potrebbe dipendere
dall’alto grado di simmetria della varieta presa in esame che potrebbe, in qualche maniera,
nascondere le divergenze predette dal risultato generale. Tuttavia questo non e un argomento
conclusivo. Infatti in questo lavoro e stato analizzato solamente il termine A2 dello sviluppo del
nucleo del calore. Non e detto, quindi, che se questo termine risulta essere finito lo siano anche
gli altri. Potrebbe accadere che le divergenze si presentino in altri termini dello sviluppo del
nucleo del calore; se fosse cosı ci sarebbe completo accordo con il risultato generale, descritto nel
precedente capitolo, della perdita dell’ellitticita forte.
Per completezza, infine, si puo verificare che i contributi rimanenti a ζ(0) risultano essere i
seguenti:
ζ(0)[modi trasversi a traccia nulla] = −278
45, (4.256)
ζ(0)[modi vettoriali accoppiati] =494
45, (4.257)
ζ(0)[modi vettoriali disaccoppiati] = −15
2, (4.258)
ζ(0)[modi scalari(a1, e1; a2, b2, e2)] = −17 , (4.259)
168
ζ(0)[modi scalari di ghost ] = −149
45, (4.260)
ζ(0)[modi vettoriali di ghost ] =77
90, (4.261)
ζ(0)[modi di ghost disaccoppiati] =5
2. (4.262)
E importante sottolineare, inoltre, che in questo lavoro sono stati presi in considerazione, per i
modi scalari con n ≥ 3, solamente i contributi a ζ(0) provenienti dai termini aggiuntivi dovuti
alle condizioni al contorno che rientrano in uno schema piu generale di quelle di tipo Robin o
Dirichlet. E necessario, quindi, analizzare, per il calcolo completo, anche i contributi a ζ(0)
provenienti dai restanti termini, ovvero dai termini analoghi a quelli che compaiono quando si
studiano condizioni al contorno di Robin e Dirichlet visti nel paragrafo (4.5).
4.7 Conclusioni
Nella prima parte di questo capitolo sono state studiate le equazioni per le funzioni di base di
base e le loro soluzioni, ossia sono state analizzate le equazioni agli autovalori per gli operatori
dinamici delle perturbazioni del campo tensoriale metrico e dei campi di ghost, con condizioni al
contorno completamente invarianti per azione del gruppo dei diffeomorfismi infinitesimi. Sono
state sviluppate, quindi, le perturbazioni metriche ed i campi di ghost in termini di armoniche
ipersferiche; in questo modo si e stati in grado, una volta sostituiti gli sviluppi all’interno delle
equazioni agli autovalori, di trovare le espressioni che determinano i coefficienti dello sviluppo
stesso. In seguito sono stati inseriti gli sviluppi, precedentemente menzionati, all’interno delle
condizioni al contorno imposte alle equazioni agli autovalori. In questo modo e stato ottenuto un
sistema di equazioni che mette in relazione tra loro i coefficienti dello sviluppo precedentemente
trovati. Per ogni modo delle perturbazioni metriche e dei campi di ghost, ossia per i modi
scalari, vettoriali e tensoriali trasversi a traccia nulla, e stato trovato un sistema che determina
gli autovalori. L’annullarsi del determinante della matrice associata ad ogni sistema, ha condotto
a delle condizioni alle quali gli autovalori devono soddisfare in virtu dei dati al contorno imposti
al problema. Tutte le condizioni trovate sugli autovalori sono del tipo Dirichlet oppure Robin,
tuttavia le condizioni sui modi scalari per n ≥ 2 sono di un tipo piu generale dovuto alla presenza
delle derivate tangenziali.
Le condizioni trovate sugli autovalori sono state, in seguito, utilizzate per ottenere la rap-
presentazione integrale della funzione ζ di Riemann. Nel corso del capitolo ci si e concentrati
soprattutto sull’analisi dei modi scalari che presentano le condizioni al contorno generalizzate,
poiche sono proprio questi modi che dovrebbero condurre alla perdita dell’ellitticita forte a
169
causa della presenza delle derivate tangenziali nelle condizioni al contorno. Nel corso del capito-
lo, quindi, sono stati svolti dettagliatamente i calcoli che conducono alla valutazione dei termini
aggiuntivi che compaiono nell’analisi quando le condizioni al contorno non sono di tipo Dirichlet
oppure Robin. E stato visto, pero, esplicitamente, che i termini aggiuntivi al valore ζ(0) sono
tutti finiti. Questo risultato evidenzia una discrepanza con il teorema generale illustrato nel
capitolo precedente, che potrebbe essere dovuta all’alto grado di simmetria del problema anal-
izzato. Tuttavia, allo stato attuale, non si e ancora in grado di fornire una risposta chiara e
definitiva al problema.
L’analisi svolta in questo capitolo del problema della 4-palla, quindi, non e conclusiva. Infatti
ci sono alcuni problemi che non sono ancora chiari, e per i quali ci si sta sforzando di trovare una
soluzione. Parte dei problemi sono legati alle serie che compaiono quando si studiano i termini
aggiuntivi al valore ζ(0), sia quelli regolari che quelli singolari. In altre parole siccome non si e
ancora in grado di pronunciarsi sul carattere delle serie che si presentano, non e del tutto chiara
l’interpretazione da attribuire ai risultati ottenuti. Nonostatnte tutto e importante illustrare
quale sia lo stato attuale della ricerca, e quali siano gli aspetti piu importanti del problema.
170
Conclusioni
La prima parte di questo lavoro concerne lo sviluppo del formalismo di Dirac dei sistemi hamil-
toniani vincolati, e la corrispondente procedura di quantizzazione. L’arbitrarieta presente nelle
equazioni del moto di questi sistemi, dovuta alla presenza di funzioni arbitrarie definite sullo
spazio delle fasi, rende il formalismo di Dirac particolarmente adatto allo studio della teoria
della relativita generale. Per poter applicare questo formalismo al campo gravitazionale e neces-
sario abbandonare la visione tetradimensionale dello spazio-tempo, ed operare una scissione di
quest’ultimo in spazio e tempo. Questo scopo si raggiunge utilizzando il formalismo di Arnowitt,
Deser e Misner che si basa sulla foliazione 3+1 della varieta spazio-temporale. Procedendo in
questa maniera si pone la teoria in una forma che si presta alla procedura di quantizzazione
di Dirac. Tuttavia l’equazione per la funzione d’onda che se ne ricava, ossia l’equazione di
Wheeler-DeWitt, non rappresenta una equazione di evoluzione, come ad esempio lo e l’equazione
di Schroedinger, poiche non esiste una definizione intrinseca di tempo. Questo ed altri problemi
interpretativi, uniti all’idea che un approccio formale nel quale spazio e tempo sono divisi va
contro lo spirito della relativita, hanno condotto allo studio e all’analisi di una maniera alterna-
tiva per quantizzare il campo gravitazionale. Un approccio covariante, nel quale spazio e tempo
sono considerati un’unica entita, e fornito dall’integrale funzionale di Feynman.
L’idea fondamentale che sottende l’applicazione di questo formalismo alla teoria della rel-
ativita generale e la seguente: l’ampiezza di transizione da una 3-metrica definita su di una
ipersuperficie ad un’altra 3-metrica definita su di una differente ipersuperficie, e data dalla som-
ma su tutte le 4-geometrie che possiedono le 3-metriche definite sopra come bordo, ciascuna
pesata con l’azione classica. In questa maniera l’integrale funzionale diventa, di fatto, un fun-
zionale delle condizioni al contorno. Il campo gravitazionale, pero, come e ben noto, e invariante
sotto l’azione del gruppo dei diffeomorfismi, ovvero varieta spazio-temporali che si ottengono
l’una dall’altra tramite un diffeomorfismo sono fisicamente equivalenti. Tutto questo conduce,
nell’approccio tramite l’integrale funzionale, ad un overcounting dovuto al fatto che si somma
anche su geometrie che sono diffeomorfe l’una all’altra, ossia che sono fisicamente equivalenti.
Per affrontare questo problema si e proceduto, come usualmente si fa nel caso di teorie di campo
171
invarianti di gauge, ad utilizzare il metodo di Faddeev e Popov. Questo procedimento risulta
particolarmente chiaro, da un punto di vista formale, se si utilizza il formalismo manifestamente
covariante sviluppato da DeWitt. Questo formalismo, applicato in modo specifico alla teoria
della relativita generale, conduce ad ampiezze di transizione da una 3-metrica definita su di
una ipersuperficie ad un’altra 3-metrica definita su di una differente ipersuperficie, descritte in
termini di integrale funzionale in cui compare, nell’azione completa del campo gravitazionale,
anche il termine di ghost e di gauge-fixing. Per ottenere, quindi, una prima approssimazione del-
l’ampiezza di transizione si utilizza il metodo del campo di background. Questo metodo conduce,
pero, ad un risultato nel quale compaiono determinanti funzionali.
Per dare, dunque, un senso matematicamente rigoroso a questi concetti viene introdotta
la funzione ζ di Riemann, per la quale sono note, in letteratura, le proprieta fondamentali.
La funzione ζ di Riemann, importante per questa analisi, e definita solamente per operatori
autoaggiunti ed ellittici. Sfortunatamente le condizioni al contorno imposte, pur assicurando
l’autoaggiuntezza dell’operatore dinamico per il campo gravitazionale, non lo rendono fortemente
ellittico. Molti sforzi sono stati prodotti per risolvere questo problema, ma, allo stato attuale, non
e chiara quale sia la maniera migliore di procedere. In particolare, siccome si perde l’ellitticita
forte in virtu della presenza, nelle condizioni al contorno utilizzate, delle derivate tangenziali, si e
pensato di eliminarle in qualche maniera. Questo progetto puo essere portato avanti percorrendo
differenti strade: utilizzare, nella teoria, operatori che siano non minimali; utilizzare condizioni
al contorno che siano non locali; utilizzare condizioni al contorno che non siano completamente
gauge invarianti. Tuttavia, per quel che concerne la prima di queste alternative, non e del
tutto chiaro in che modo l’utilizzo di operatori non minimali possa eliminare la presenza delle
derivate tangenziali nelle condizioni al contorno. Le altre due alternative, purtroppo, non sono
esenti da problemi. In particolare le condizioni al contorno non locali che siano completamente
gauge invarianti e che assicurino l’ellitticita forte, anche se fossero del tutto ammissibili, non
si ottengono in una maniera semplice. Ovvero si presentano difficolta tecniche sufficientemente
grandi, come ad esempio il calcolo di determinanti funzionali di operatori pseudo-differenziali,
da giustificare tutti i tentativi di non abbandonare subito il problema originario. E proprio in
questi tentativi che si inserisce lo studio svolto nell’ultimo capitolo di questo lavoro.
In effetti e di fondamentale importanza capire fino a che punto si puo spingere l’analisi della
gravitazione quantistica euclidea, con condizioni al contorno locali e gauge invarianti, pima di
raggiungere l’ostacolo della perdita dell’ellitticita forte. Questo scopo si puo perseguire sola-
mente tramite uno studio dettagliato e approfondito del problema. Nel caso analizzato, ovvero
quello della 4-palla rilevante per la cosmologia, le uniche condizioni al contorno che potrebbero
condurre alla perdita dell’ellitticita forte sono quelle imposte ai modi scalari con n > 3. Tut-
172
tavia i calcoli espliciti svolti, per la prima volta in letteratura, nell’ultimo capitolo mostrano che
i contributi aggiuntivi, dovuti alla presenza delle derivate tangenziali nelle condizioni al con-
torno, al coefficiente A2 del nucleo del calore legato al valore ζ(0) risultano essere tutti finiti.
Quest’ultimo risultato, quindi, e in contrasto con le previsioni del teorema generale che implica,
nel caso della gravitazione quantistica euclidea, la perdita dell’ellitticita forte e, di conseguenza,
la comparsa di divergenze nell’approssimazione ad un loop delle ampiezze di transizione. Come e
stato gia detto, pero, questa analisi non e conclusiva poiche per dimostrare che non esiste perdita
di ellitticita forte bisogna essere sicuri che tutti i coefficienti dello sviluppo del nucleo del calore
si mantengano finiti. Purtroppo, per adesso, non sono noti gli altri coefficienti e quindi non si
puo dare una risposta definitiva al problema.
In definitiva, allo stadio attuale, tutti i risultati ottenuti sembrano suggerire che per pros-
eguire nello studio della gravitazione quantistica euclidea, non e ancora necessario prendere in
considerazione una delle alternative descritte in precedenza. Questo, purtroppo, non e un argo-
mento conclusivo poiche, come gia e stato detto precedentemente, ed e importante ribadire, non
e chiara quale sia la maniera migliore di procedere. E speranza comune, quindi, che ulteriori
sforzi nell’immediato futuro riescano a rispondere con chiarezza alle problematiche desritte in
questo lavoro. Ovvero se la perdita dell’ellitticita forte dovuta a condizioni al contorno locali e
gauge invarianti sia effettivamente un ostacolo insormontabile, e, in caso affermativo, quale sia
l’alternativa migliore da considerare per portare avanti gli studi.
La maniera di risolvere il problema della perdita dell’ellitticita forte maggiormente studiata
in letteratura e quella di considerare condizioni al contorno non locali, la quale e motivata dagli
sviluppi del calcolo funzionale dei problemi di valori al contorno per operatori pseudo-differenziali
e dagli studi sulla condensazione di Bose–Einstein. In particolare cio che maggiormente desta
interesse per questo schema e l’esistenza di stati di superficie. Studiando l’operatore laplaciano
in due dimensioni all’interno di un cerchio sul cui bordo siano imposte condizioni al contorno non
locali, ovvero in cui sono presenti al bordo operatori integrali, si ottengon stati sul bordo stesso
che si smorzano man mano che si allontanano da esso [12]. Questi ultimi sono particolarmente
interessanti in cosmologia quantistica in quanto possono descrivere la transizione da un Universo
quantistico a quello classico. Alla luce, quindi, di questa ed altre caratteristiche molto interessanti
dell’approccio alla gravitazione quantistica euclidea tramite condizioni al contorno non locali
sembra essere proprio questa la strada piu stimolante, malgrado le difficolta tecniche che si
presentano, per portare avanti gli studi. Tuttavia, come gia accennato in precedenza, e opportuno
considerare questa alternativa solamente se si sara in grado di dimostrare, in maniera del tutto
conclusiva, che le condizioni al contorno locali studiate in questo lavoro conducano effettivamente
a difficolta tali da doverle abbandonare.
173
Appendice A
Appendice al primo capitolo
A.1 Invarianza classica e vincoli classici
E importante fornire un’interpretazione fisica della singolarita della lagrangiana incontrata nel
(par:1.2). Nella dinamica classica, l’invarianza delle equazioni del moto sotto l’azione di un
gruppo con un numero finito di parametri che sono costanti nel tempo, implica l’esistenza di leggi
di conservazione, come dimostrato nel teorema di Noether. Invece l’invarianza delle equazioni
del moto sotto l’azione di un gruppo parametrizzato da funzioni del tempo, implica l’esistenza
di vincoli. Per verificare cio si consideri un sistema le cui traiettorie dinamiche sono cammini
qA(t) in uno spazio delle configurazioni N -dimensionale. Si consideri, inoltre, per questo sistema,
l’azione scritta nella forma
S =
∫ t′′
t′L (qA, qA)dt. (A.1)
Si supponga che l’azione sia invariante sotto trasformazioni infinitesime della forma
qA(t) −→ qA(t) + δqA(t), (A.2)
dove
δqA(t) = εαfAα (qA, qA) + εαgA
α (qA, qA), (A.3)
per funzioni εα(t), con α = 1, . . . , m, che sono arbitrarie eccetto per quel che riguarda possibili
restrizioni ai loro punti finali. Inoltre si supporra che le gAα , non si annullino identicamente per
α = 1, . . . , m, e che fAα non si annulli identicamente per α = m + 1, . . . , m. Bisogna, quindi,
valutare la variazione dell’azione dovuta alle trasformazioni (A.2), si ottiene cosı
δS =
∫ t′′
t′δL (qA, qA)dt =
∫ t′′
t′
(∂L
∂qAδqA +
∂L
∂qAδqA
)dt, (A.4)
174
ma si puo notare che
δqA = δ
(dqA
dt
)=
d
dtδqA (A.5)
∂L
∂qAδqA =
d
dt
[∂L
∂qAδqA
]−
(d
dt
∂L
∂qA
)δqA, (A.6)
da cui, sostituendo nella variazione dell’azione, si ottiene
δS =
∫ t′′
t′
∂L
∂qAδqA +
d
dt
[∂L
∂qAδqA
]−
(d
dt
∂L
∂qA
)δqA
dt
=
∫ t′′
t′
∂L
∂qA− d
dt
∂L
∂qA
δqAdt +
[∂L
∂qAδqA
]t′′
t′. (A.7)
Valutiamo l’ultimo termine che compare nella (A.7), in virtu delle trasformazioni (A.2) e (A.3),
esplicitamente si ha∂L
∂qAδqA =
∂L
∂qAεαfA
α +∂L
∂qAεαgA
α . (A.8)
Per valutare il primo integrale si puo scrivere che
∫ t′′
t′
∂L
∂qA− d
dt
∂L
∂qA
δqAdt =
∫ t′′
t′EAδqAdt =
∫ t′′
t′(EAεαfA
α + EAεαgAα )dt, (A.9)
dove si puo notare che le EA rappresentano le equazioni del moto. Inoltre utilizzando la regola
di Leibniz
EAεαgAα =
d
dt
[EAεαgA
α
]− d
dt(gA
α EA)εα, (A.10)
e sostituendo nella (A.7), si ha
[∂L
∂qAεαfA
α +∂L
∂qAεαgA
α
]t′′
t′+
∫ t′′
t′
EAεαfA
α +d
dt
[EAεαgA
α
]− d
dt(gA
α EA)εα
dt =
=
[∂L
∂qAεαfA
α +∂L
∂qAεαgA
α + EAεαgAα
]t′′
t′+
∫ t′′
t′
EAεαfA
α −d
dt(gA
α EA)εα
=
=
[εα
(∂L
∂qAfA
α + EAgAα
)+ εαgA
α
∂L
∂qA
]t′′
t′+
∫ t′′
t′εα
[EAfA
α −d
dt(gA
α EA)
]. (A.11)
Siccome l’azione e invariante sotto queste trasformazioni, la variazione ∆S = 0. Le equazioni
del moto, tuttavia, saranno invarianti sotto la condizione piu debole che ∆S si riduca solamente
ad un termine di bordo. L’invarianza sotto l’azione di un gruppo parametrizzato da funzioni
arbitrarie εα(t) richiede che l’integrando nella (A.11) si annulli non solo per quei qa che soddisfano
le equazioni del moto EA = 0, ma per tutte le qA(t). L’azione sara, dunque, invariante purche gli
175
εα(t) siano ristretti ai bordi in modo che i rimanenti termini di superficie si annullino. L’annullarsi
dell’integrando nella (A.11) implica, in particolare, che [40]
hAα
∂2L
∂qA∂qB= 0 con α = 1, . . . , m (A.12)
dove
hAα = gA
α per α = 1, . . . , m (A.13)
hAα = fA
α per α = m + 1, . . . , m (A.14)
La degenerazione della matrice delle derivate (A.12) indica che si e di fronte ad un sistema
vincolato. Quando si va a costruire l’equivalente formulazione hamiltoniana della dinamica, la
relazione (A.12) significa che le relazioni che definiscono i momenti
pA =∂L
∂qA, (A.15)
non sono indipendenti. quindi non si possono esprimere univocamente le velocita in termini
dei momenti e delle coordinate generalizzate. Le m relazioni dipendenti nella (A.15) diventano,
quando espresse in funzione della qA e delle pA, gli m vincoli della teoria hamiltoniana
Tα(qA, pA) = 0 con α = 1, . . . , m (A.16)
E in questi termini, quindi, che l’invarianza implica i vincoli.
A.2 Parentesi di Poisson
Si illustreranno, adesso, brevemente, la definizione e le principali proprieta delle parentesi di
Poisson. Siano f e g due funzioni differenziabili definite sullo spazio delle fasi S. Introdotta una
carta locale su S, ovvero (pi, qi), si definisce parentesi di Poisson delle funzioni f e g la seguente
funzione
f, g =N∑
i=1
(∂f
∂qi
∂g
∂pi
− ∂f
∂pi
∂g
∂qi
). (A.17)
Inoltre introdotta la matrice antisimmetrica
Ωαβ =
(0 I
−I 0
), (A.18)
la parentesi di Poisson puo essere anche scritta, in maniera piu generale, come prodotto scalare
di (∇f) e (∇g) rispetto ad una metrica antisimmetrica, ovvero
f, g = (∇f)T Ω(∇g) =∂f
∂xα
Ωαβ∂g
∂xβ
, (A.19)
176
dove α, β = q1, q2, . . . , qN , p1, . . . , pN. Le parentesi di Poisson di due funzioni verificano le
identita
f, g = −g, f, (A.20)
f, ag + bh = af, g+ bf, h, (A.21)
f, g, h+ g, h, f+ h, f, g = 0. (A.22)
f, gh = f, gh + gf, h. (A.23)
Le proprieta (A.20) e (A.21) sono banalmente verificabili utilizzando la definizione (A.17). Ver-
ifichiamo, invece, esplicitamente, solo l’identita di Jacobi (A.22), e la regola di Leibniz (A.23).
Cominciando con l’identita di Jacobi si ottiene per il primo termine, utilizzando il formalismo
della (A.19)
f, g, h =∂f
∂xα
Ωαβ∂
∂xβ
[∂g
∂xγ
Ωγδ∂h
∂xδ
]
=∂f
∂xα
Ωαβ∂2g
∂xβ∂xγ
Ωγδ∂h
∂xδ
+∂f
∂xα
Ωαβ∂g
∂xγ
Ωγδ∂2h
∂xβ∂xδ
, (A.24)
analogamente per il secondo termine si ottiene
g, h, f =∂g
∂xα
Ωαβ∂2h
∂xβ∂xγ
Ωγδ∂f
∂xδ
+∂g
∂xα
Ωαβ∂h
∂xγ
Ωγδ∂2f
∂xβ∂xδ
, (A.25)
ed infine, per il terzo termine, si ha
h, f, g =∂h
∂xα
Ωαβ∂2f
∂xβ∂xγ
Ωγδ∂g
∂xδ
+∂h
∂xα
Ωαβ∂f
∂xγ
Ωγδ∂2g
∂xβ∂xδ
. (A.26)
Adesso, sommando i termini che presentano fattori comuni, si giunge al risultato. Come esempio,
valutiamo una di queste somme, ovvero
∂f
∂xα
Ωαβ∂g
∂xγ
Ωγδ∂2h
∂xβ∂xδ
+∂g
∂xα
Ωαβ∂2h
∂xβ∂xγ
Ωγδ∂f
∂xδ
=
=∂f
∂xα
Ωαβ∂g
∂xγ
Ωγδ∂2h
∂xβ∂xδ
+∂g
∂xγ
Ωγδ∂2h
∂xδ∂xβ
Ωβα∂f
∂xα
, (A.27)
siccome la matrice Ωαβ e antisimmetrica, ovvero Ωαβ = −Ωβα, la somma (A.27) si puo scrivere
come∂f
∂xα
Ωαβ∂g
∂xγ
Ωγδ∂2h
∂xβ∂xδ
− ∂g
∂xγ
Ωγδ∂2h
∂xδ∂xβ
Ωαβ∂f
∂xα
= 0, (A.28)
dove si e supposto che le funzioni f, g, h ∈ C2, affinche valga il teorema di Schwarz per le derivate
miste. Un calcolo analogo si svolge per gli altri termini, fornendo come risultato finale, zero. La
177
regola di Leibniz (A.23), si dimostra scrivendo per intero la parentesi che compare al membro
di sinistra della (A.23), ossia
f, gh = fgh− ghf, (A.29)
sommando e sottraendo, in quest’ultima equazione, il termine gfh si ottiene il risultato cercato
f, gh = fgh− ghf − gfh + gfh = f, gh + gf, h. (A.30)
A.3 Struttura causale dello spazio-tempo
Come e ben noto, la struttura causale nella relativita speciale e costruita assegnando ad ogni
punto p nello spazio di Minkowski M un cono luce. Si definisce futuro una meta del cono
luce, mentre si definisce passato l’altra meta. Gli eventi che giacciono all’interno del cono luce
futuro del punto p sono tutti e soli quelli che possono essere raggiunti da p da una particella
materiale non necessariamente in moto geodetico, l’insieme di questi eventi e chiamato futuro
cronologico di p. Il bordo del cono luce futuro, invece, e l’insieme di tutti i punti che possono
essere raggiunti da p tramite un segnale luminoso. L’insieme dei punti interni e della frontiera
del cono luce futuro e chiamato futuro causale di p, che fisicamente rappresenta l’insieme degli
eventi che possono essere influenzati da un segnale emesso da p. Questo discorso, ovviamente,
si estende alla stessa maniera al cono di luce passato. In relativita generale, invece, la struttura
causale e locale e della stessa natura qualitativa di quella della relativita speciale. Tuttavia
possono sorgere differenze sostanziali a livello globale a causa della topologia non triviale dello
spazio-tempo della relativita generale.
Sia (M, g) uno spazio-tempo. In ogni punto p ∈ M e associato lo spazio tangente TMp il
quale e isomorfo allo spazio di Minkowski. Il cono luce di p e quello che passa attraverso l’origine
di TMp. Quindi, come in relativita speciale, si definisce futuro una meta del cono luce, mentre si
definisce passato l’altra meta. Tuttavia in uno spazio-tempo non semplicemente connesso non e
possibile, in generale, operare una scelta continua di passato e futuro a seconda del punto p ∈ M .
Pero se una tale scelta puo essere fatta, lo spazio-tempo e detto time orientable. Fisicamente la
non orientabilita implica che nello spazio-tempo non esiste una nozione precisa di concetti come
quelli che implicano l’“andare avanti nel tempo” e l’“andare indietro nel tempo”. E importante
notare che la proprieta di uno spazio-tempo M di essere time orientable, non deve essere confusa
con la proprieta di orientabilita di una varieta. Infatti quest’ultima concerne la possibilita di
costruire un campo vettoriale normale continuo alla varieta stessa. Nel seguito, quindi, per
semplicita, chiamero orientabile uno spazio-tempo che sia time orientable.
Il seguente teorema illustra una proprieta importante soddisfatta da spazio-tempi orientabili:
178
Teorema A.3.1 Sia (M, g) uno spazio-tempo orientabile. Allora esiste un (non unico) campo
vettoriale continuo non nullo di tipo tempo ta su M .
Sia (M, g) uno spazio-tempo orientabile. Si definisce curva di tipo tempo future directed, la curva
differenziabile λ(t) tale che la tangente ta ad ogni punto p ∈ λ sia un vettore di tipo tempo future
directed. Similmente si definisce curva causale future directed la curva λ(t) il cui vettore tangente
ad ogni punto p ∈ λ puo essere sia di tipo tempo o di tipo nullo. Ovviamente definizioni simili
si applicano per le curve di tipo tempo e per le curve causali, dirette nel passato.
Il futuro cronologico di p ∈ M , indicato con I+(p), e definito come l’insieme degli eventi che
possono essere raggiunti da una curva future directed di tipo tempo che parte da p, ovvero
I+(p) ≡ q ∈ M : ∃ λ(t) di tipo tempo che unisce p e q. (A.31)
Mentre il futuro causale di p, ovvero J+(p), e definito alla stessa maniera di I+(p) dove, pero, la
curva di tipo tempo e sostituita da una curva causale. Definiamo, ora, la nozione di estendibilita
di una curva continua. Sia λ(t) una curva continua causale future directed. Si dice che p ∈ M e
un punto finale futuro di λ(t) se per ogni intorno O di p esiste un t0 tale che λ(t) ∈ O per ogni
t > t0. Una curva, quindi, puo essere estesa arbitrariamente nel futuro se non possiede il punto
finale futuro, analogamente per l’estendibilita nel passato.
E importante, adesso, discutere le condizioni per le quali uno spazio-tempo e causalmente
ben strutturato. Si consideri un esempio istruttivo: sia (M, g) uno spazio-tempo che abbia la
topologia di S1 ×R3, costruito identificando gli iperpiani di Minkowski corrispondenti a t = 0 e
t = 1. Le curve integrali del campo vettoriale di tipo tempo(
∂∂t
)a, saranno curve chiuse di tipo
tempo. Questo implica che un osservatore che viva in uno spazio-tempo siffatto, possa alterare
gli eventi passati. Per questo motivo si ritiene che uno spazio-tempo che possegga curve chiuse
di tipo tempo non sia fisicamente realistico. Inoltre possono esistere spazio-tempi in cui si vıola
la causalita tramite piccole ed arbitrarie perturbazioni della metrica. Si consideri, quindi, la
definizione
Definizione A.3.1 Uno spazio-tempo (M, g) e fortemente causale se ∀p ∈ M e per ogni intorno
O di p, esiste un intorno V di p con V ⊆ O tale che nessuna curva causale interseca V piu di
una volta.
Tuttavia, si possono costruire esempi nei quali la causalita forte e soddisfatta, ma una piccola
perturbazione della metrica puo creare curve causali chiuse. Per evitare che cio accada e neces-
saria una caratterizzazione piu forte di causalita. A tal fine si consideri un vettore di tipo tempo
ta nel punto p ∈ M e la metrica gab in p definita come
gab = gab − tatb, (A.32)
179
dove gab e la metrica spazio-temporale. Ora, il cono luce costruito a partire da gab e leggermente
piu grande di quello costruito tramite gab, infatti ogni vettore di tipo tempo o nullo di gab e un
vettore di tipo tempo di gab. Si ha, quindi, la definizione
Definizione A.3.2 Uno spazio-tempo (M, g) e stabilmente causale se esiste un campo vettoriale
ta continuo di tipo tempo non nullo tale che lo spazio-tempo (M, g) (costruito come nell’equazione
precedente) non possiede curve chiuse di tipo tempo.
Al fine di poter definire il concetto di iperbolicita globale , e necessario introdurre prima alcune
nozioni. Un sottoinsieme S ⊂ M e detto acronale se non esistono p, q ∈ S tali che q ∈ I+(p),
ovvero I+(S)∩S = ∅. Sia S un sottoinsieme chiuso ed acronale, si definisce orlo di S l’insieme dei
punti p ∈ S tale che ogni intorno O aperto di p contiene un punto q ∈ I+(p), un punto r ∈ I−(p)
ed una curva di tipo tempo λ che unisce r a q che non interseca S. Ora, sia S un sottoinsieme
chiuso ed acronale, si definisce dominio di dipendenza futuro di S, e si denota con D+(S),
l’insieme dei punti p ∈ M tali che ogni curva causale inestendibile nel passato che attraversa
p interseca S. Naturalmente la stessa definizione si applica al dominio di dipendenza passato
sostituendo la curva causale inestendibile nel futuro con quella inestendibile nel passato. Inoltre
il dominio di dipendenza completo di S, denominato D(S), e l’unione dei domini di dipendenza
futuro e passato di S, ovvero D(S) = D+(S) ∪D−(S). Adesso si consideri la definizione
Definizione A.3.3 Un insieme chiuso ed acronale Σ e una superficie di Cauchy se D(Σ) = M .
Da questa definizione si deduce che siccome Σ e un sottoinsieme acronale, si puo pensare ad essa
come una superficie che rappresenta un istante di tempo attraverso l’Universo. A questo stadio,
dunque, si puo definire il concetto di iperbolicita globale. Prima, pero, e necessario descrivere
alcui oggetti che renderanno piu chiara la definizione: dati due punti p e q per i quali nell’insieme
J+(p)∩J−(q) valga la condizione di causalita forte, si definisce lo spazio C(p, q) di tutte le curve
non di tipo spazio continue che uniscono p con q. Nello spazio C(p, q) due curve γ(t) e λ(u)
sono equivalenti se una di esse si ottiene dall’altra per riparametrizzazione, ovvero se esiste una
funzione monotona continua f(u) tale che γ(f(u)) = λ(u). La topologia di C(p, q) e definita
notando che un intorno K di γ in C(p, q) consiste di tutte quelle curve λ ∈ C(p, q) i cui punti in
M giacciono in un intorno W dei punti di γ in M stesso. La definizione di iperbolicita globale,
quindi, e la seguente [41]:
Definizione A.3.4 Un insieme aperto N e detto globalmente iperbolico se lo spazio C(p, q) e
compatto per ogni q, p ∈ N .
Tuttavia esiste un’ulterionre definizione di iperbolicita globale la cui equivalenza con quella
appena fornita e stata dimostrata da Geroch e Seifert, ovvero
180
Definizione A.3.5 Un insieme N e detto globalmente iperbolico se in N e soddisfatta la
proprieta di causalita forte ed inoltre per due punti qualsiasi q, p ∈ N , l’insieme J+(p) ∩ J−(q)
sia compatto e contenuto in N .
In ultima istanza un importante teorema dovuto a Geroch, mette in relazione la proprieta di
iperbolicita globale con l’esistenza di ipersuperfici di Cauchy
Teorema A.3.2 Uno spazio-tempo (M, g) e detto globalmente iperbolico se e solo se possiede
una ipersuperficie Σ di Cauchy.
Quindi in uno spazio-tempo globalmente iperbolico, l’intera storia futura e passata puo essere
descritta a partire dalle condizioni imposte ad un certo istante di tempo rappresentato dalla
superficie di Cauchy. Inversamente, in uno spazio-tempo non globalmente iperbolico, non si puo
predire, a partire dalle condizioni imposte in un singolo istante di tempo, la storia dell’Universo.
A partire, dunque, da queste definizioni si dimostra il teorema per il quale uno spazio-tempo
globalmente iperbolico ammette una foliazione tramite ipersuperfici di Cauchy, che si pone a
fondamento della descrizione 3+1 di Arnowitt, Deser e Misner, ovvero
Teorema A.3.3 Sia (M, gab) uno spazio-tempo globalmente iperbolico. Allora (M, gab) e sta-
bilmente causale. Inoltre puo essere scelta una funzione globale di tipo tempo f tale che ogni
ipersuperficie di f costante sia di Cauchy. Quindi M puo essere foliato da ipersuperfici di Cauchy
e la topologia di M e R× Σ ove Σ denota le ipersuperfici di Cauchy.
181
Appendice B
Appendice al secondo capitolo
B.1 Il path-integral in meccanica quantistica
Il path-integral, sviluppato da Feynman e un formalismo alternativo che permette di descrivere
la meccanica quantistica. Tuttavia, esso e equivalente alle altre formulazioni, ovvero quella
di Heisenberg e quella di Schroedinger. L’idea fondamentale che sottende il path-integral e la
seguente: l’ampiezza di transizione di una particella da un punto q al tempo t = 0, ad un altro
punto q′ al tempo t = T , e data dalla somma su tutti i cammini che congiungono q e q′ ciascuno
pesato con l’azione classica.
Si introducano gli autofunzionali dell’operatore q, che formano un sistema ortonormale, ovvero
q|q〉 = q|q〉 ove 〈q′|q〉 = δ(q′ − q) e
∫dq|q〉〈q| = 1, (B.1)
dove la δ che compare nella (B.1) e, piu precisamente, un funzionale δ. Sia |Ψ(0)〉 = |q〉 lo stato
iniziale, si lasci che lo stato evolva nel tempo e, all’istante prefissato, se ne consideri la proiezione
sull’autofunzionale |q′〉. Cosı facendo si ottiene
Λ = 〈q′|Ψ(T )〉 = 〈q′|e−ıHT |q〉 = K(q′, T ; q, 0). (B.2)
L’espressione scritta sopra non esprime altro che l’ampiezza di probabilita di trovare il sistema
al tempo T nell’autofunzionale |q′〉. Quindi, questo oggetto e chiamato propagatore dal punto
iniziale (q, 0) al punto finale (q′, T ). E interessante, adesso, derivare una espressione di questa
ampiezza nella forma di una somma su tutti i possibili cammini che intercorrono tra i punti finale
ed iniziale. Si divida l’intervallo di tempo, che compare nell’operatore di evoluzione temporale,
in due parti, ossia
e−ıHT = e−ıH(T−t1)e−ıHt1 , (B.3)
182
in base a cio l’ampiezza puo essere riscritta come
Λ = 〈q′|e−ıH(T−t1)e−ıHt1|q〉. (B.4)
L’espressione (B.4)e interpretabile come segue: l’evolutore e−ıHt1 evolve il sistema dall’istante
t = 0 a t = t1, mentre l’evolutore e−ıH(T−t1) evolve il sistema dall’istante t = t1 a t = T . Si
inserisca, all’interno dell’espressione del propagatore, una identita
Λ = 〈q′|e−ıH(T−t1)
∫dq1|q1〉〈q1|e−ıHt1|q〉, (B.5)
dove |q1〉 e lo stato nel quale si trova il sistema al tempo t = t1. Inoltre inserendo questa identita
si sono prese in considerazione tutte le posizioni che il sistema puo raggiungere al tempo t = t1.
Sviluppando l’espressione (B.5), si ha
Λ =
∫dq1〈q′|e−ıH(T−t1)|q1〉〈q1|e−ıHt1|q〉, (B.6)
ma in base all’espressione (B.2) si puo scrivere che
Λ =
∫dq1K(q′, T ; q1, t1)K(q1, t1; q, 0). (B.7)
In pratica si sta integrando su tutte le possibili posizioni che il sistema puo assumere all’istante
t = t1, inoltre non compare nessuna limitazione per quel che riguarda la posizione q1. L’espres-
sione (B.7) non e altro che una espressione della regola quantistica per combinare le ampiezze.
Infatti se un processo puo esplicitarsi in vari modi differenti, l’ampiezza di probabilita per cias-
cuno di questi modi si somma alle altre.
Si puo continuare la suddivisione dell’intervallo di tempo in parti sempre piu piccole, ovvero
δ = TN
, e scrivere il path-integral come
Λ = 〈q′|(e−ıHδ
)N
|q〉 = 〈q′|e−ıHδ . . . e−ıHδ|q〉, (B.8)
inserendo, come in precedenza, le identita in ciascuno degli esponenziali, si ha
Λ = 〈q′|e−ıHδ
∫dqN−1|qN−1〉〈qN−1|e−ıHδ
∫dqN−2|qN−2〉〈qN−2|e−ıHδ . . .
∫dq1|q1〉〈q1|e−ıHδ|q〉
=
∫dq1 . . . dqN−1KqN ,qN−1
KqN−1,qN−2. . . Kq1,q. (B.9)
Si nota subito, da quest’ultima espressione, che si sta effettuando proprio una somma sui
cammini. Infatti si ha che
Λ =∑
path
Λpath, (B.10)
183
dove ∑
path
=
∫dq1 . . . dqN−1 e Λpath = KqN ,qN−1
KqN−1,qN−2. . . Kq1,q. (B.11)
E stato visto che il propagatore per un sottointervallo e Kqj+1,qj= 〈qj+1|e−ıHδ|qj〉, siccome il
parametro δ e piccolo si puo espandere l’esponenziale in serie di Taylor, ottenendo in questo
modo
Kqj+1,qj= 〈qj+1|
(1− ıHδ − 1
2H2δ2 + · · ·
)|qj〉 = 〈qj+1|qj〉 − ı〈qj+1|H|qj〉δ + o(δ2). (B.12)
E necessario, a questo punto, valutare i singoli termini che compaiono all’interno dell’espansione.
Il primo termine fornisce un funzionale delta che si puo esprimere come
〈qj+1|qj〉 = δ(qj+1 − qj) =1
2π
∫dpj eıpj(qj+1−qj). (B.13)
Mentre il secondo termine si scrive nella seguente maniera, supponendo che H = p2
2m+ V (q):
−ı〈qj+1|H|qj〉δ = −ıδ〈qj+1| p2
2m+ V (q)|qj〉
= −ıδ〈qj+1|(
p2
2m+ V (q)
) ∫dpj
2π|pj〉〈pj|qj〉
= −ıδ
∫dpj
2π〈qj+1|
(p2
2m+ V (q)
)|pj〉〈pj|qj〉. (B.14)
Ora, se impongo che l’operatore p2 agisca a destra, mentre l’operatore V (q) agisca a destra, e
notando che
p2|pj〉 = p2j |pj〉 e 〈qj+1|V ( ˆqj+1) = 〈qj+1|V (qj+1),
l’espressione (B.14) si riscrive in questi termini
−ı〈qj+1|H|qj〉δ = −ıδ
∫dpj
2π
[p2
2m+ V (qj+1)
]〈qj+1|pj〉〈pj|qj〉. (B.15)
Tuttavia e noto che 〈q|p〉 = eıqp, quindi sostituendo questa nota nella (B.15) si ha
−ı〈qj+1|H|qj〉δ = −ıδ
∫dpj
2π
[p2
2m+ V (qj+1)
]eıpj [qj+1−qj ]. (B.16)
L’espressione (B.16) non e, pero, simmetrica rispetto a qj e qj+1, il motivo per il quale accade
cio sta nel fatto che si escelto di inserire l’identita a destra di H. Invece se l’identita fosse stata
inserita a sinistra di H, sarebbe comparso, nell’espressione, il termine V (qj). Per non favorire
l’una oppure l’altra scelta, si considera
V (qj) dove qj =1
2(qj + qj+1).
184
Sostituendo quest’ultima espressione nella (B.16) si ha
−ı〈qj+1|H|qj〉δ = −ıδ
∫dpj
2π
[p2
2m+ V (qj)
]eıpj [qj+1−qj ]. (B.17)
Quindi sommando i due termini calcolati, si ottiene per il propagatore la seguente espressione:
Kqj+1,qj=
1
2π
∫dpj eıpj(qj+1−qj) − ıδ
∫dpj
2π
[p2
2m+ V (qj)
]eıpj [qj+1−qj ]
=
∫dpj
2πeıpj(qj+1−qj)
1− ıδ
[p2
2m+ V (qj)
]+ o(δ2)
=
∫dpj
2πeıpj(qj+1−qj)e−ıδH(pj ,qj)
=
∫dpj
2πe
ıδ[pj
(qj+1−qj
δ
)−H(pj ,qj)
]. (B.18)
Adesso, nell’ampiezza Λ ci sono N di questi fattori, quindi si puo effermare che
Λpath =
∫ N−1∏j=0
dpj
2πexp
ıδ
N−1∑j=0
[pj
(qj+1 − qj
δ
)−H(pj, qj)
], (B.19)
definendo, inoltre, qj =qj+1−qj
δ, l’ultima equazione si esprime come
Λpath =
∫ N−1∏j=0
dpj
2πexp
ıδ
N−1∑j=0
[pj qj −H(pj, qj)]
. (B.20)
Una volta calcolato Λpath, si e in grado di esprimere il propagatore completo, ovvero
K =
∫dq1 . . . dqN−1Λpath,
e quindi
K =
∫ N−1∏j=1
dqj
∫ N−1∏j=0
dpj
2πexp
ıδ
N−1∑j=0
[pj qj −H(pj, qj)]
. (B.21)
Adesso, considerendo il per N che tende ad infinito, questa espressione approssima un integrale
nelle funzioni q(t) e p(t), ossia
K =
∫Dp(t)Dq(t) exp
ı
∫ T
0
dt [pj qj −H(pj, qj)]
. (B.22)
Quest’ultima e l’espressione dell’integrale funzionale rispetto alle variabili nello spazio delle fasi.
Adesso, se l’hamiltoniana H e della forma H = p2
2m+ V (q), si ottiene che
K =
∫ N−1∏j=1
dqj
∫ N−1∏j=0
dpj
2πexp
ıδ
N−1∑j=0
[pj qj −
p2j
2m− V (qj)
]
=
∫ N−1∏j=1
dqj exp
−ıδ
N−1∑j=0
V (qj)
∫ N−1∏j=0
dpj
2πexp
ıδ
N−1∑j=0
[pj qj −
p2j
2m
]. (B.23)
185
Il secondo integrale, che compare nella (B.23), e un prodotto di integrali di tipo gaussiano che
puossono essere facilmente calcolati, infatti
∫dpj
2πexp
ıδ
(pj qj −
p2j
2m
)=
∫dpj
2πexp
−ıδ
[p2
j
2m− pj qj +
q2j m
2
]+ ıδ
q2j m
2
=
∫dpj
2πexp
−ıδ
[p2
j√2m
− qj
2
√2m
]2
+ ıδq2j m
2
=
√m
2πıδexp
ıδ
q2j m
2
. (B.24)
Sostituendo, dunque, questo risultato nell’espressione del propagatore si ottiene
K =
∫ N−1∏j=1
dqj exp
−ıδ
N−1∑j=0
V (qj)
N−1∏j=0
√m
2πıδe
ıδ
q2j m
2
=( m
2πıδ
)N2
∫ N−1∏j=1
dqj exp
ıδ
N−1∑j=0
[mq2
j
2− V (qj)
]. (B.25)
Si nota subito, che l’argomento dell’esponenziale e l’azione valutata lungo il cammino che passa
attraverso tutti i qj. Quindi nel limite N →∞ si ottiene, infine,
K =
∫Dq(t) eıS[q(t)]. (B.26)
L’interpretazione dell’espressione (B.26) e molto interessante. L’integrale e svolto su di una
funzione di modulo costante, ma con fase variabile. Ovvero un integrale oscillante la cui fase
e data dall’azione, espressa in funzione della lagrangiana, e valutata lungo un cammino. In
base a cio saranno preponderanti i contributi che provengono dai cammini per i quali l’azione
e stazionaria, le rapide oscillazioni dell’integrando renderanno, invece, i contributi dei cammini
lontani da quelli per i quali δS = 0, trascurabili. Allora saranno piu importanti i cammini
corrispondenti alle soluzioni classiche, mentre i cammini che si discostano sempre piu da essi
verranno sommati con un peso via via minore.
Come semplice esempio di applicazione del path-integral, si puo calcolare il propagatore per
una particella libera. Come e ben noto, l’hamiltoniana per una particella libera e H = p2
2m, da
186
cui si ha che
K = limN→∞
( m
2πıδ
)N2
∫ N−1∏j=1
dqj exp
ıδ
N−1∑j=0
q2j m
2
= limN→∞
( m
2πıδ
)N2
∫ N−1∏j=1
dqj exp
ıδ
m
2
N−1∑j=0
q2j
= limN→∞
( m
2πıδ
)N2
∫ N−1∏j=1
dqj exp
ıδ
m
2
N−1∑j=0
(qj+1 − qj)2
δ2
= limN→∞
( m
2πıδ
)N2
∫ N−1∏j=1
dqj exp
ım
2δ[(q′ − qN−1)
2 + (qN−1 − qN−2)2 + · · ·+ (q1 − q)2]
,
tuttavia gli integrali sono tutti di tipo gaussiano, quindi si ottiene, notando che δN = T ,
K = limN→∞
( m
2πıδ
)N2 1√
N
(2πıδ
m
)N−12
eım(q′−q)2
2Nδ
= limN→∞
( m
2πıδN
) 12e
ım(q′−q)2
2Nδ
=( m
2πıT
) 12e
ım(q′−q)2
2T (B.27)
B.2 Principio di azione di Schwinger-Weiss
Si consideri un sistema che sia descritto dalle coordinate generalizzate qs. Queste ultime sono
coordinate di uno spazio chiamato spazio delle configurazioni. Il moto del sistema in esame e
descritto dalle funzioni qs(t), ovvero e rappresentato da una curva nello spazio delle configu-
razioni. Ora, come e ben noto, le equazioni che regolano il moto del sistema si ottengono a
partire dall’azione. Il principio di minima azione di Hamilton permette di ricavare le equazioni
del moto dall’azione, ovvero il principio afferma che i moti che puo compiere il sistema sono tutti
e soli quelli che rendono l’azione stazionaria sotto variazioni dei cammini che lasciano i punti
terminali fissi. In questo luogo si discutera il principio di Schwinger-Weiss, che ammette, invece,
variazioni arbitrarie dei cammini. Sia L la lagrangiana del sistema in esame, la corrispondente
azione e espresa come
Φ =
∫ t2
t1
L (qs(t), qs(t), t)dt. (B.28)
Per ricavare le equazioni del moto bisogna calcolare la variazione dell’azione, se si distorce, in
modo infinitesimo, il cammino C per ottenere un nuovo cammino C ′. Il cammino C ′ differisce
da C nei punti finali t′1 e t′2, che sono leggermente modificati
t′1 = t1 + ∆t1 , t′2 = t2 + ∆t2,
187
inoltre lungo il cammino C ′ la dipendenza delle coordinate dal tempo e data dalle funzioni
q′s(t) = qs(t) + δqs(t).
Non resta altro da fare che valutare la variazione dell’azione ∆Φ, ovvero
∆Φ = Φ[C ′]− Φ[C] =
∫ t′2
t′1
L (q′s(t), q′s(t), t)dt−
∫ t2
t1
L (qs(t), qs(t), t)dt. (B.29)
Tuttavia l’espressione (B.29) si puo scrivere come
∆Φ =
∫ t2
t1
L (q′s(t), q′s(t), t)dt +
∫ t′2
t2
L (q′s(t), q′s(t), t)dt
−∫ t′1
t1
L (q′s(t), q′s(t), t)dt−
∫ t2
t1
L (qs(t), qs(t), t)dt =
=
∫ t2
t1
[L (q′s(t), q′s(t), t)−L (qs(t), qs(t), t)]dt +
∫ t′2
t2
L (q′s(t), q′s(t), t)dt
−∫ t′1
t1
L (q′s(t), q′s(t), t)dt. (B.30)
Gli ultimi due integrali dell’espressione appena scritta, forniscono il seguente risultato
∫ t′2
t2
L (q′s(t), q′s(t), t)dt =
∫ t2+∆t2
t2
L (q′s(t), q′s(t), t)dt =
∫
∆t2
L (q′s(t), q′s(t), t)dt = L ∆t2(B.31)
∫ t′1
t1
L (q′s(t), q′s(t), t)dt =
∫ t1+∆t1
t1
L (q′s(t), q′s(t), t)dt =
∫
∆t1
L (q′s(t), q′s(t), t)dt = L ∆t1,(B.32)
mentre la differenza tra le lagrangiane, che compare nel primo integrale, si puo scrivere, al
prim’ordine, come
L (q′s(t), q′s(t), t)−L (qs(t), qs(t), t) ' ∂L
∂qs
δqs +∂L
∂qs
δqs. (B.33)
In virtu della (B.31) e della (B.33), la variazione dell’azione si riscrive come
∆Φ =
∫ t2
t1
∂L
∂qs
δqs +∂L
∂qs
δqs
dt +
[L ∆t
]t2
t1. (B.34)
Ma notando che δqs = δ[
dqs
dt
]= d
dtδqs, l’equazione (B.34), prende la forma
∆Φ =
∫ t2
t1
∂L
∂qs
δqs +∂L
∂qs
[d
dtδqs
]dt +
[L ∆t
]t2
t1. (B.35)
Integrando per parti il termine in cui compare la derivata totale rispetto al tempo, si ha
∫ t2
t1
∂L
∂qs
d
dt[δqs]dt =
[∂L
∂qs
δqs
]t2
t1
−∫ t2
t1
[d
dt
∂L
∂qs
]δqsdt, (B.36)
188
e quindi, inserendo questa integrazione nella (B.35) si ottiene
∆Φ =
∫ t2
t1
∂L
∂qs
δqs − d
dt
∂L
∂qs
δqs
dt +
[∂L
∂qs
δqs + L ∆t
]t2
t1
. (B.37)
A questo punto e necessario valutare la variazione totale delle qs(t) ai punti finali, ovvero al
prim’ordine si scrive
∆qs = q′s(t′i)− qs(ti) = qs(t
′i) + δqs(t
′i)− qs(ti)
= qs(ti + ∆ti)− qs(ti) + δqs(t′i) = qs(ti)∆ti + δqs(ti), (B.38)
inoltre da questo ultimo calcolo si ricava anche δqs(ti), ovvero
δqs(ti) = ∆qs(ti)− qs(ti)∆ti.
Quindi sostituendo quest’ultimo risultato nella (B.37) si ha
∆Φ =
∫ t2
t1
∂L
∂qs
δqs − d
dt
∂L
∂qs
δqs
dt +
[∂L
∂qs
(∆qs(t)− qs(t)∆t) + L ∆t
]t2
t1
. (B.39)
Ora, l’ultimo termine della (B.39) si scrive nella seguente maniera
[∂L
∂qs
∆qs(t)− ∂L
∂qs
qs(t)∆t + L ∆t
]t2
t1
=
[∂L
∂qs
∆qs(t)−(
∂L
∂qs
qs(t)−L
)∆t
]t2
t1
=[ps(t)∆qs(t)−H ∆t
]t2
t1, (B.40)
dove con H si e indicata l’hamiltoniana del sistema. In definitiva, alla luce del risultato (B.40),
la variazione dell’azione si esprime come
∆Φ =
∫ t2
t1
∂L
∂qs
− d
dt
∂L
∂qs
δqsdt +
[ps(t)∆qs(t)−H ∆t
]t2
t1. (B.41)
Se adesso si considerano variazioni che conservano i punti finali fissi, allora ∆qs = ∆t = 0
e l’ultimo termine della (B.41) si annulla identicamente. La variazione dell’azione, quindi, si
riduce solamente al primo integrale ed e stazionaria se e solamente se valgono le equazioni di
Lagrange, ovvero∂L
∂qs
− d
dt
∂L
∂qs
= 0. (B.42)
Quest’ultimo non e altro che il principio di minima azione di Hamilton. Tuttavia, e stato
visto, nella (B.41), come varia l’azione per effetto di una modifica arbitraria del cammino C.
Ora, se il cammino sul quale si integra e una traiettoria dinamica, allora valgono le equazioni
189
di Lagrange, ossia l’integrale della (B.41) si annulla. In altre parole, la variazione dell’azione
dipende solamente dai punti finali. Infatti si ha che
∆Φ =[ps(t)∆qs(t)−H ∆t
]t2
t1. (B.43)
Si puo, quindi, enunciare una formulazione alternativa al principio di minima azione. I cammini
dinamici sono tutti e solo quelli le cui variazioni generali attorno ad essi forniscono solamente
contributi ai punti finali nel calcolo di ∆Φ. Piu esplicitamente, i cammini dinamici sono tutti e
soli quelli che sotto variazioni generali forniscono la (B.43). Quest’ultimo, dunque, e chiamato
principio di azione di Schwinger-Weiss.
B.3 Il momento coniugato ad hij
Si e visto che per scrivere l’azione nella forma di York, ovvero l’azione cosmologica, si e fatto
uso delle seguenti coordinate:
hij(x) = h−13 hij(x)
πij(x) = h13
(πij(x)− πl
l(x)
3hij(x)
)
πll(x) = hij(x)πij = −2Kh
16 . (B.44)
Ora, per calcolare il momento canonicamente coniugato ad hij, si suppone che abbia la forma
πkl = h13 (πkl + απm
mhkl), (B.45)
ed inoltre si suppone che soddisfi la parentesi di Poisson
hij(x), πkl(y) =1
2(δk
i δlj + δl
iδkj )δ(3)(x, y). (B.46)
Lo scopo e quello di calcolare il coefficiente α, che compare nella (B.45), supponendo che valga
la (B.46). A tal fine, quindi, valutiamo il membro di sinistra di questa ultima equazione. Dalle
relazioni (B.44) e (B.45) si puo scrivere che
hij(x), πkl(y) = h− 13 hij(x), πkl(y) = h− 1
3 hij(x), h13 πkl(y)+ h− 1
3 hij(x), αh13 πm
mhkl(y).(B.47)
Sapendo che per quattro generiche variabili A,B,C,D vale la relazione
AB, CD = ACB, D+ AB, CD + CA,DB + A,CDB, (B.48)
190
il primo termine della somma che compare nella (B.47) si scrive come
h− 13 hij(x), h
13 πkl(y) = h−
13 h
13hij(x), πkl(y)+ h−
13hij(x), h
13πkl(y) +
+ h13h− 1
3 , πkl(y)hij(x) + h− 13 , h
13hij(x)πkl(y), (B.49)
ma essendo hij(x), h13 = h− 1
3 , h13 = 0, l’equazione (B.49) si riduce ai termini
h− 13 hij(x), h
13 πkl(y) = hij(x), πkl(y)+ h
13h− 1
3 , πkl(y)hij(x)
=1
2(δk
i δlj + δl
iδkj ) + h
13h− 1
3 , πkl(y)hij(x). (B.50)
Valutiamo, ora, la parentesi di Poisson h− 13 , πkl(y). Il termine h−
13 , pero, e una funzione della
3-metrica hij, pertanto bisogna utilizzare la relazione
A[h, π], B[h, π] =δA
δhij
δB
δπij− δB
δhij
δA
δπij, (B.51)
ed in virtu di quest’ultima si ottiene
h− 13 , πkl(y) =
δh−13
δhij
δπkl
δπij− δπkl
δhij
δh−13
δπij=
δh−13
δhij
δki δ
lj (B.52)
Sostituendo quest’ultimo risultato nella (B.50) si ottiene
h− 13 hij(x), h
13 πkl(y) =
1
2(δk
i δlj + δl
iδkj ) + h
13 hkl δh
− 13
δhij
. (B.53)
Si consideri adesso la seconda parentesi di Poisson che compare nella somma (B.47), ovvero
h− 13 hij(x), απm
mhkl(y) = αh− 13 hij(x), πm
mhkl(y),
per valutarla si utilizza la seguente formula generale
AB, CDE = ACDB,E+ ACB,DE + AB,CDE + CDA,EB +
+ CA,DEB + A,CDEB, (B.54)
da cui si ottiene che
h− 13 hij(x), h
13 πm
mhkl(y) = h−13 h
13 πm
mhij(x), hkl(y)+ h−13 h
13hij(x), πm
mhkl(y)
+ h−13hij(x), h
13πm
mhkl(y) + h13 πm
mh−13 , hkl(y)hij(x)
+ h13h− 1
3 , πmmhijh
kl + h− 13 , h
13hklhijπ
mm, (B.55)
siccome alcune delle parentesi di Poisson presenti nella somma si annullano, l’espressione prece-
dente si riduce a
αh− 13 hij(x), h
13 πm
mhkl(y) = αhij(x), πmmhkl(y) + αh
13h− 1
3 , πmmhijh
kl. (B.56)
191
Valutiamo, quindi, la prima parentesi di Poisson che appare al membro sinistro della (B.56),
ovvero
hij, πmm = hij, hrmπrm = hrmhij, π
rm+ hij, hrmπrm =hrm
2(δr
i δmj + δm
i δrj ), (B.57)
mentre per l’altra parentesi di Poisson si ha che
h− 13 , πm
m = hijh− 13 , πij+ h− 1
3 , hijπij = hijh− 13 , πij. (B.58)
Utilizzando la relazione (B.51), si verifica facilmente che
h− 13 , πij =
δh−13
δhij
. (B.59)
Quindi in definitiva si ottiene che
αh− 13 hij(x), h
13 πm
mhkl(y) = α
[hrm
2(δr
i δmj + δm
i δrj )h
kl + h13 hklhijhrm
δh−13
δhrm
]. (B.60)
Mettendo insieme i risultati raggiunti nella (B.53) e nella (B.60), si giunge all’espressione
hij(x), πkl(y) =1
2(δk
i δlj + δl
iδkj ) + h
13 hkl δh
− 13
δhij
+ α
[hrm
2(δr
i δmj + δm
i δrj )h
kl + h13 hklhijhrm
δh−13
δhrm
].
Tuttavia, tramite semplici passaggi, quest’ultima equazione puo anche essere scritta come
hij(x), πkl(y) =1
2(δk
i δlj + δl
iδkj ) + h
13 hkl δh
− 13
δhij
+ αhijhkl + αh
13 hklhijhrm
δh−13
δhrm
. (B.61)
Adesso, l’equazione per determinare α si ottiene eguagliando i due termini che contengono la
derivata funzionale rispetto alla 3-metrica. Notando che
δh−13
δhij
= −1
3h−
13 hij, (B.62)
l’equazione alla quale deve soddisfare α e la seguente:
−1
3hijh
kl − αhijhkl = 0. (B.63)
In definitiva, risolvendo l’equazione (B.63), il momento coniugato alla 3-metrica conforme e
πij(x) = h13
(πij(x)− πl
l(x)
3hij(x)
),
mentre la relazione di commutazione, che si supponeva essere la (B.46), risulta essere, invece,
hij(x), πkl(y) =1
2(δk
i δlj + δl
iδkj )− 1
3hijh
kl. (B.64)
192
B.4 Gravita di superficie
Nel calcolo dell’entropia di un buco nero, tramite il formalismo dell’integrale funzionale, e stata
introdotta la quantita k = 14M
chiamata gravita superficiale della soluzione di Schwarzschild.
E noto che un arbitrario buco nero stazionario possiede un campo vettoriale di Killing χa che
e normale all’orizzonte del buco nero Θ. Se χa non coincide con il campo vettoriale di Killing
stazionario ξa, si puo ottenere un campo vettoriale di Killing assiale ψa tramite una combinazione
lineare dei campi χa e ξa. Quindi, in modo del tutto generale, χa puo essere espresso come
χa = ξa + ΩHψa, (B.65)
dove la costante ΩH rappresenta la velocita angolare dell’orizzonte. Siccome l’orizzonte Θ e una
superficie nulla e χa e normale ad esso, si ottiene che il prodotto scalare χaχa = 0 su Θ, in
particolare, quindi, χaχa e costante sull’orizzonte Θ. Inoltre la quantita ∇b(χaχ
a) e normale
all’orizzonte, quindi, su di esso, e definita una funzione k tale che
∇b(χaχa) = −2kχb. (B.66)
Considerando la derivata di Lie di quest’ultima equazione rispetto al campo vettoriale χa si
ottiene
Lχ(k) = 0, (B.67)
ovvero k e costante lungo le orbite di χa. Si noti che l’equazione (B.66) puo anche essere scritta
come
χb∇aχb = −χb∇bχa = −kχa, (B.68)
che rappresenta l’equazione geodetica in una parametrizzazione non affine. Quindi, k misura lo
scostamento del parametro di Killing, v, definito come
χa∇av = 1, (B.69)
dal parametro affine λ lungo i generatori delle geodetiche nulle dell’orizzonte. Se si definisce Ka
sull’orizzonte tramite la posizione
Ka = e−kvχa, (B.70)
si trova, utilizzando le equazioni (B.69) ed (B.70), che
Kb∇bKa = e−2kv[χb∇bχ
a − χaχb∇b(kv)] = 0, (B.71)
ossia Ka e la tangente, parametrizzata affinemente, ai generatori delle geodetiche nulle dell’oriz-
zonte. Siccome χa rappresenta una ipersuperficie ortogonale all’orizzonte, tramite il teorema di
Frobenius, si ottiene
χ[a∇bχc] = 0. (B.72)
193
Utilizzando l’equazione di Killing ∇bχc = −∇cχb, si ha
χc∇aχb = −2χ[a∇b]χc, (B.73)
sull’orizzonte Θ. Contraendo quest’ultima espressione con ∇aχb si ottiene
χc(∇aχb)(∇aχb) = −2k2χc, (B.74)
ovvero si giunge ad una formula esplicita per k
k2 = −1
2(∇aχb)(∇aχb), (B.75)
che e intesa valutata sull’orizzonte.
Quest’ultima equazione fornisce una interpretazione fisica per k [10]. Tramite alcuni passaggi
e l’utilizzo della regola di l’Hospital, si puo mostrare che
k2 = lim
−(χb∇bχ
c)(χa∇aχc)
χdχd
, (B.76)
dove per limite si intende l’avvicinamento all’orizzonte. Siccome l’accelerazione di un orbita di
χa e pari a
ac =(χb∇bχ
c)
χaχa,
si ottiene, in definitiva, l’espressione
k = lim(V a), (B.77)
dove a = (acac)12 e V = (−χaχ
a)12 . Quindi per un buco nero statico, V e il fattore di redshift
e V a e la forza che deve essere esercitata all’infinito per mantenere un corpo di massa unitaria
fermo in quel posto. Quindi k e il valore limite di questa forza sull’orizzonte, ovvero e la gravita
superficiale del buco nero.
194
Appendice C
Appendice al terzo capitolo
C.1 Gli autovalori della matrice T per la gravitazione
quantistica euclidea
E stato visto, nel corso del terzo capitolo, che la matrice T , costruita nell’ambito della gravi-
tazione quantistica euclidea, che compare nel simbolo σg(BF ) dell’operatore delle condizioni al
contorno BF , possiede autovalori tali da rendere non definita positiva la matrice |ζ|I−ıT . Questo
implica che il problema di valori al contorno, da cui si era partiti, non e fortemente ellittico. In
questo paragrafo si ricavera il risultato (3.235) che e stato solamente enunciato. A tal fine si
consideri il proiettore Π espresso tramite indici astratti, ovvero
Π cdab = q c
(aq db) −
α
(α + 1)NaNbq
cd , (C.1)
dove qab = gab − NaNb. Si puo mostrare che esso e autoaggiunto rispetto alla supermetrica G,
ovvero Π = Π, e che
TrV Π =1
2n(n− 1) , (C.2)
dove n rappresenta la dimensione della varieta. Quindi, si consideri un operatore del tipo Laplace
F agente su tensori simmetrici di rango 2 con le seguenti condizioni al contorno:
Π cdab ϕcd|∂M = 0 , (C.3)
Gabcd∇bϕcd|∂M = 0 . (C.4)
Separando le derivate normali in queste ultime equazioni, si trova un operatore di condizioni al
contorno BF della forma (3.210), dove le matrici Γi, che compaiono nell’operatore Λ, si scrivono,
in questo caso, come
Γi cdab = − 1
(1 + α)NaNbe
i(cNd) + N(aeib)N
cNd . (C.5)
195
La matrice T = Γ · ζ, invece, ha la forma
T = − 1
(1 + α)p1 + p2 , (C.6)
dove
p cd1ab ≡ NaNbζ
(cNd) , p cd2ab ≡ N(aζb)N
cNd , (C.7)
e ζa = eiaζi, in modo che ζaN
a = 0. Inoltre e importante notare che
ΠT = TΠ = 0 . (C.8)
Si definiscano, ora, degli ulteriori proiettori, ossia
ρ cdab ≡ 2
|ζ|2N(aζb)N(cζd) , (C.9)
p cdab ≡ NaNbN
cNd , (C.10)
che risultano essere mutualmente ortogonali
pρ = ρp = 0 . (C.11)
Le matrici p1 e p2, tuttavia, sono nilpotenti: p21 = p2
2 = 0, ed i loro prodotti sono proporzionali
ai proiettori, ovvero
p1p2 =1
2|ζ|2p , p2p1 =
1
2|ζ|2ρ . (C.12)
Quindi si ottiene
T 2 = − 1
2(1 + α)|ζ|2(p + ρ) = −τ 2(p + ρ) , (C.13)
dove
τ ≡ 1√2(1 + α)
|ζ| . (C.14)
Inoltre, calcolando le potenze di T , si ottiene
T 2n = (ıτ)2n(p + ρ) , (C.15)
T 2n+1 = (ıτ)2nT . (C.16)
Per ultimo, utilizzando
Tr(p) = Tr(ρ) = 1 , (C.17)
Tr(p1) = Tr(p2) = 0 , (C.18)
si ha
Tr(T )2n = 2(ıτ)2n , Tr(T )2n+1 = Tr(T ) = 0 . (C.19)
Tutto questo e sufficiente per dimostrare che [33]
196
Teorema C.1.1 Per ogni funzione f analitica nella regione |z| ≤ τ , si ha
f(T ) = f(0)[I− p− ρ] +1
2[f(ıτ) + f(−ıτ)](p + ρ) +
1
2ı|ζ| [f(ıτ) + f(−ıτ)]T , (C.20)
Trf(T ) =
[n(n + 1)
2− 2
]f(0) + f(ıτ) + f(−ıτ) . (C.21)
Quindi, gli autovalori della matrice T sono
spec(T ) =
0 con degenerazione[
m(m+1)2
− 2]
ıτ con degenerazione 1
−ıτ con degenerazione 1 ,
(C.22)
con τ definito dall’equazione (C.14).
Questo significa che gli autovalori della matrice T 2, per ζi 6= 0, sono 0 e − 12(1+α)|ζ|2 . Quindi il
problema risulta essere fortemente ellittico se
− 1
2(1 + α)+ 1 > 0 . (C.23)
Questo risultato implica che, se si sceglie α = −12, come imposto dalla gauge di de Donder, il
problema di valori al contorno non e fortemente ellittico.
197
Appendice D
Appendice al quarto capitolo
D.1 L’equazione agli autovalori per le perturbazioni met-
riche
E stato visto, nel corso del lavoro, che l’operatore dinamico che agisce sulle perturbazioni del
campo tensoriale metrico, nella gauge di de Donder e su di una varieta piatta, e il Laplaciano.
Nell’analisi modo-per-modo, svolta nel quarto capitolo, e stata decomposta l’equazione agli au-
tovalori, valida se si ammette di poter sviluppare hµν in un insieme ortonormale completo di
autofunzioni di −¤,
¤hµν + λhµν = 0 , (D.1)
nella forma 3+1. In questa appendice verra svolto esplicitamente il calcolo che conduce alle
equazioni (4.6)-(4.8). Cominciamo, quindi, con l’equazione per h00. Ricordando che la metrica
in considerazione e quella di una 3-sfera si ha
¤h00 = g00∇0∇0 + gij∇i∇jh00 =∂2h00
∂τ 2+ gij∇i(∇jh00) . (D.2)
Scrivendo esplicitamente la derivate covarianti che agiscono su h00, si ottiene
¤h00 =∂2h00
∂τ 2+ gij∂i
[∂jh00 − 2Γν
j0h0ν
]− gijΓµij
[∂µh00 − 2Γν
µ0h0ν
]
− gijΓµi0
[∂jh0µ − 2Γν
j0hµν
]− gijΓµi0
[∂jhµ0 − 2Γν
jµh0ν
]. (D.3)
Ossia, sviluppando i calcoli, si ottiene
¤h00 =∂2h00
∂τ 2+ gij
[∂i∂jh00 − 2(∂iΓ
νj0)h0ν − 2Γν
j0∂ih0ν
]− gijΓµi0
[2∂jhµ0 − 2Γν
j0hµν − 2Γνjµh0ν
]
− gijΓµij
[∂µh00 − 2Γν
µ0h0ν
]. (D.4)
198
Adesso, sviluppando i singoli termini che compaiono in quest’ultima espressione nelle loro parti
spaziali e temporali, si ottiene l’equazione
¤h00 =∂2h00
∂τ 2+ gij∂i∂jh00 − 2gijΓl
j0∂ih0l − 2gijΓli0∂jh0l + 2gijΓl
i0Γkj0hkl + 2gijΓl
i0Γ0jlhklh00
+ 2gijΓli0Γ
kjlhk0 − gijΓ0
ij∂0h00 − gijΓlij∂lh00 + 2gijΓl
ijΓk0lh0k , (D.5)
che valutata sulla 4-palla diventa
¤h00 =∂2h00
∂τ 2+
3
τ
∂h00
∂τ+
2
τ 2(gijhij)− 6
τ 2h00 − 4
τgij∂ih0j + gij∂i∂jh00 + 2gijΓl
i0Γkjlhk0
− gijΓlij∂lh00 + 2gijΓl
ijΓk0lh0k . (D.6)
Notando, pero, che
gij∂i∂jh00 − gijΓlij∂lh00 =
1
τ 2cij∂ih00|j =
1
τ 2h
|j00|j , (D.7)
e che
−4
τgij∂ih0j + 2gijΓl
ijΓk0lh0k + 2gijΓl
i0Γkjlhk0 = −4Γl
0lgijh0j|i = − 4
τ 3h
|i0i , (D.8)
l’equazione (D.6) puo essere scritta nella sua forma finale, ovvero
¤h00 =∂2h00
∂τ 2+
3
τ
∂h00
∂τ− 4
τ 3h
|i0i +
1
τ 2h
|j00|j +
2
τ 2(gijhij)− 6
τ 2h00 . (D.9)
Passiamo, ora, a valutare ¤h0k. Esplicitando il laplaciano si ha
¤h0k = ∇0
[∂0h0k − Γµ
00hkµ − Γµ0kh0µ
]+ gij∇i
[∂jh0k − Γµ
j0hkµ − Γµjkh0µ
], (D.10)
ovvero
¤h0k =∂2h0k
∂τ 2− (∂0Γ
µ0k)h0µ − Γµ
0k∂0h0µ − Γν0k[∂0h0ν − Γµ
0νh0µ] + gij[∂i∂jh0k − (∂iΓ
µj0)hkµ
− Γµj0∂ihkµ − (∂iΓ
µjk)h0µ − Γµ
jk∂ih0µ
]− gijΓν
ij
[∂νh0k − Γµ
0νhkµ − Γµkνh0µ
]
− gijΓνik
[∂jh0ν − Γµ
j0hµν − Γµjνh0µ
]− gijΓν
i0
[∂jhkν − Γµ
jνhkµ − Γµjkhνµ
]. (D.11)
Adesso, separando la parte spaziale e quella temporale per ogni singolo termine si ottiene che
¤h0k =∂2h0k
∂τ 2− (∂0Γ
l0k)h0l − 2Γl
0k∂0h0l − gijΓ0ij∂0h0k − gijΓ0
jk∂ih00 − gijΓ0ik∂jh00 − gij(∂iΓ
0jk)h00
+ gijΓlijΓ
0lkh00 + gijΓl
ikΓ0jlh00 + Γl
0kΓm0lh0m + gijΓ0
ijΓmk0h0m + gijΓl
ijΓmlkh0m + gijΓ0
ikΓmj0hm0
+ gijΓlikΓ
mjlh0m + gijΓl
i0Γ0jlh0k + gijΓl
i0Γ0jkh0l + gijΓ0
ikΓmj0h0m + gij∂i∂jh0k − gij(∂iΓ
lj0)hlk
− gijΓlj0∂ihlk − gIj(∂iΓ
ljk)h0l − gijΓl
jk∂ih0l − gijΓlij∂lh0l + gijΓl
ilΓml0hmk − gijΓl
ik∂jh0l
+ gijΓlikΓ
mj0hlm − gijΓl
i0∂jhlk + gijΓli0Γ
mjlhmk + gIjΓl
i0Γmjlhlm . (D.12)
199
Valutando i termini che compaiono in quest’ultima espressione si ottiene che
−2Γl0k∂0h0l − gijΓ0
ij∂0h0k =1
τ
∂h0k
∂τ, (D.13)
−gijΓ0jk∂ih00 − gijΓ0
ik∂jh00 =2
τ∂kh0k , (D.14)
e che
Γl0kΓ
m0lh0m + gijΓ0
ijΓmk0h0m + gijΓl
i0Γ0jkh0l + gijΓ0
ikΓmj0h0m + gijΓl
i0Γ0jlh0k − (∂0Γ
l0k)h0l = − 7
τ 2h0k .
(D.15)
Inoltre si ha che
−gijΓlj0∂ihlk − gijΓl
i0∂jhlk = − 2
τ 3, (D.16)
gijΓli0Γ
mjlhmk + gijΓl
ijΓm0lhmk =
1
τ 3cijΓl
ijhlk , (D.17)
gijΓli0Γ
mjkhlm + gijΓl
ikΓmj0hlm =
2
τ 3cijΓl
ikhlj . (D.18)
Da queste ultime espressioni si ricava
− 2
τ 3cij∂ihjk +
2
τ 3cijΓm
ij hmk +2
τ 3cijΓm
ikhim = − 2
τ 3h
|iik . (D.19)
Infine gli ultimi termini si scrivono nella maniera seguente:
− gij(∂iΓ0jk)h00 + gijΓl
ijΓmlkh0m + gijΓl
ikΓmjlh0m + gij∂i∂jh0k − gij(∂iΓ
ljk)h0l − gijΓl
jk∂ih0l
− gijΓlij∂lh0k − gijΓl
ik∂jh0l =1
τ 2h
|i0k|i . (D.20)
In definitiva il laplaciano agente sulla componente h0k delle perturbazioni metriche si scrive
¤h0k =∂2h0k
∂τ 2+
1
τ
∂h0k
∂τ+
1
τ 2h
|i0k|i −
7
τ 2h0k − 2
τ 3h
|iik +
2
τ∂kh00 . (D.21)
Per concludere non rimane altro da fare che calcolare ¤hij. Esplicitamente si ottiene
¤hij = ∇0∇0hij + glm∇l∇mhij =∂2hij
∂τ 2+
6
τ 2hij − 4
τ
∂hij
∂τ+ glm∇l
[∂mhij − Γµ
mihjµ − Γµmjhiµ
].
(D.22)
Il termine che in quest’ultima espressione contiene la derivata covariante si scrive
glm∇l
[∂mhij − Γµ
mihjµ − Γµmjhiµ
]= glm
[∂l∂mhij − (∂lΓ
αmi)hjα − Γα
im∂lhjα − (∂lΓαmj)hiα − Γα
mj∂lhiα
]
− glmΓνlm
[∂νhij − Γµ
iνhjµ − Γµjν
]− glmΓν
li
[∂mhjν − Γµ
mνhjµ − Γµmjhνµ
]
− glmΓνlj
[∂mhiν − Γµ
mihµν − Γµmνhiµ
]. (D.23)
200
Si noti che l’espressione puo essere semplificata sviluppando i calcoli. Infatti, per la prima riga
dell’equazione (D.23) si ha
glm[∂l∂mhij − (∂lΓ
αmi)hjα − Γα
im∂lhjα − (∂lΓαmj)hiα − Γα
mj∂lhiα
]= glm∂l∂mhij
+
(1
τ∂ih0j +
1
τ∂lh0i
)− glmΓk
mi∂lhkj − glmΓkmj∂lhik − glm(∂lΓ
kmi)hkj − glm(∂lΓ
kmj)hik , (D.24)
mentre per gli altri termini si ottiene
−glmΓνlm∂νhij − glmΓν
li∂mhjν − glmΓνlj∂mhiν =
3
τ
∂hij
∂τ− glmΓk
lm∂khij +1
τ∂ih0j − glmΓk
li∂mhkj
+1
τ∂jh0i − glmΓk
lj∂mhik , (D.25)
e
glmΓνlmΓµ
iνhjµ + glmΓνlmΓµ
jνhiµ + glmΓνliΓ
µmνhjµ + glmΓν
liΓµmihµν + glmΓν
ljΓµmνhiµ
= − 8
τ 2hij + glmΓk
lmΓ0kih0j + glmΓk
lmΓpkihpj + glmΓk
lmΓ0kjhi0 + glmΓk
lmΓpkjhip + glmΓk
liΓ0mkh0j
+glmΓkliΓ
pmkhpj +
2gij
τ 2h00 + glmΓk
liΓ0mjhl0 + glmΓ0
liΓpmjh0p + glmΓk
liΓpmjhkp + glmΓk
ljΓ0mih0k
+glmΓ0ljΓ
pmih0p + glmΓk
ljΓpmihkp + glmΓk
ljΓ0mkhi0 + glmΓk
ljΓpmkhip
.(D.26)
Mettendo insieme tutti i termini trovati, e notando che
glmΓklmΓ0
kih0j + glmΓklmΓ0
kjhi0 + glmΓkliΓ
0kmh0j + glmΓk
ljΓ0mkhi0 = 0 , (D.27)
si ottiene
¤hij =∂2hij
∂τ− 1
τ
∂hij
∂τ− 2
τ 2hij +
2gij
τ 2h00 +
2
τ(∂ih0j + ∂jh0i) + glm∂l∂mhij − glmΓk
mi∂lkkj
− glmΓkmi∂lhik − glm(∂lΓ
kmi)hkj − glm(∂lΓ
kmj)hik − glmΓk
lm∂khij − glmΓkli∂mhkj − glmΓk
lj∂mhik
− 4
τΓk
ijhk0 + glmΓklmΓp
kihpj + glmΓklmΓp
kjhip + glmΓkliΓ
pmkhpj + glmΓk
liΓpmjhkp
+ glmΓkljΓ
pmihkp + glmΓk
ljΓpmkhip . (D.28)
Da quest’ultima espressione si ottiene, in definitiva, la forma finale per il laplaciano agente sulle
componenti hij delle perturbazioni metriche, ovvero
¤hij =∂2hij
∂τ− 1
τ
∂hij
∂τ− 2
τ 2hij +
2gij
τ 2h00 +
2
τ(h0j|i + h0i|j) +
1
τ 2h
|kij|k . (D.29)
201
D.2 Il determinante per i modi scalari
In questa sezione riporteremo, per completezza, l’espressione esplicita del determinante dei modi
scalari, con n ≥ 2, delle perturbazioni del campo tensoriale metrico (4.169). Le sua espressione
e la seguente:
D(w) = 8n + 16n3 +32n3
w4− 32n5
w4− 56n3
w2+
8n5
w2− 32n3y
w3+
32n5y
w3+
32ny
w+
48n3y
w
−16nwy − 8ny2 − 8n3y2 − 32ny2
w2+
32n3y2
w2− 8nw2y2 +
32ny3
w− 32n3y3
w− 16nwy3
+
[(n + 1)
(n− 2)
(1 +
2n(n− 1)
w2
)+
2(n− 1)(n + 1)y
(n− 2)w
] [8n + 6n2 − 2n3 − 16n2
w2− 12n3
w2
+4n4
w2+
32ny
w+
20n2y
w− 12n3y
w− 8wy − 4nwy + 4n2wy − 16y2 − 4ny2 + 12n2y2 − 2w2y2
−2nw2y2 − 4wy3 − 4nwy3
]−
[(n− 1)
(n + 2)
(1 +
2n(n + 1)
w2
)+
2(n− 1)(n + 1)y
(n + 2)w
]
[− 8n + 6n2 + 2n3 − 16n2
w2+
12n3
w2+
4n4
w2− 32ny
w+
20n2y
w+
12n3y
w
−8wy + 4nwy + 4n2wy − 16y2 + 4ny2 + 12n2y2 − 2w2y2 + 2nw2y2 − 4wy3 + 4nwy3)
].
(D.30)
Una volta raccolti i termini in potenze uguali di y si ottiene una forma piu semplice per D(w),
ovvero
D(w) =48n(1− n2)
(n2 − 4)
[y4 + wy3 +
(−2n2
w2+
w2
4
)y2 − n2
wy +
(n4
w4− n2
4
)]. (D.31)
Quindi, a partire da quest’ultima equazione, si puo agevolmente ottenere la fattorizzazione
(4.169).
202
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