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Università di Pisa Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere Corso di Laurea in Filosofia e Forme del Sapere Tesi di Laurea IL BEL PAESAGGIO NEL RAPPORTO UOMO-NATURA RELATORE: Prof.ssa Manuela Paschi CONTRORELATORE: Prof. Sergio Bartolommei Candidato: Maria Luisa Terrizzi Anno Accademico 2013-2014 1

Università di Pisa Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere · 2017. 3. 22. · Il bel paesaggio nel rapporto uomo-natura INDICE Introduzione 5 I. Il soggetto e il paesaggio 23

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Università di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea in Filosofia e Forme del Sapere

Tesi di LaureaIL BEL PAESAGGIO NEL RAPPORTO UOMO-NATURA

RELATORE:

Prof.ssa Manuela Paschi

CONTRORELATORE:

Prof. Sergio Bartolommei

Candidato:Maria Luisa Terrizzi

Anno Accademico 2013-2014

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Il bel paesaggio nel rapporto uomo-natura

INDICE

Introduzione 5

I. Il soggetto e il paesaggio 23

I.1 La scoperta estetica della natura come paesaggio 23

I.1.1 Petrarca e la scalata al monte Ventoso 26

I.1.2 Natura come paesaggio: prodotto dello spirito teoretico 28

I.1.3 Nuovo organo per esperire la natura come paesaggio 30

I.1.4 Uscire da sé per entrare nella natura 32

I.1.5 Paesaggio: fenomeno moderno 34

I.2 Paesaggio:un fenomeno creativo 35

I.2.1 Natura, paesaggio e soggetto 36

I.2.2 Il paesaggio e la Stimmung 38

I.2.3 Paesaggio: lo stato d'animo della natura 44

II. La bellezza e la scienza (Il regno di Prometeo) 50

II.1 Quel che la scienza non dice 50

II.1.1 Una scienza antiestetica 52

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II.1.2 La concezione riduzionista dello spazio e del tempo 56

II.1.3 Sistema tolemaico e copernicano 58

II.1.4 Verità estetica: pittura e poesia 59

II.1.5 Alcune considerazioni sulla pittura di paesaggio 61

II.1.6 Sempre caro mi fu quest'ermo colle... 65

II.1.7 La metaspazialità del paesaggio e il tempo della natura 67

II.1.8 L'epifania di un paesaggio: il porto di Messina 71

II.1.9 Scienze dello spirito e paesaggio 73

II. 2. L'orizzonte del fare: Praxis e perdita del paesaggio 77

II.2.1 Paesaggio e libertà 79

II.2.2 Faust e la devastazione del paesaggio 84

II.2.3 La città di Prometeo e la scomparsa della natura 86

II.2.4 Degradazione del paesaggio: gli spazi verdi 92

II.2.5 Eclissi della finitezza aperta e della bellezza 95

II.2.6 Essere o avere? 98

II.2.7 Un'utopia pericolosa e le sue ragioni 100

III. Il regno di Orfeo 104

III.1 Orfeo e la liberazione di uomo e natura 106

III.2 La natura come paesaggio 109

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III.3 Il recupero della posizione tolemaica 113

III.4 Il paesaggio culturale: compenetrazione di natura e cultura 115

III.5 La città di Anfione: armonia tra natura e storia 120

III.6 Paesaggio: piacere per anima e corpo 125

III.7 Bellezza e utilità 128

IV. Paesaggio: tra estetica, ecologia, geofilosofia ed ecosofia

132

IV.1 Educare alla bellezza 133

IV. 2 Umanesimo scientifico 136

IV.3 Il paesaggio: dimensione estetica ed ecologica 139

IV.4 Tutelare e mantenere 144

IV.5 Identità estetica dei luoghi: paesaggio come natura,

cultura e storia 145

IV.6 Ecosofia 151

Conclusione 160

Appendice 166

Bibliografia 173

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Introduzione

Il paesaggio è stato definito nel corso del tempo in vari modi: i

geografi ne hanno messo in luce le qualità oggettive; alcuni filosofi ne

hanno sottolineato l'aspetto psico-estetico, ossia la possibilità di

proiettare stati psichici interiori verso l'esteriorità del luogo1;

l'ecologia ha sostituito il termine 'paesaggio' con quello di 'ambiente',

rischiando di ridurne la portata problematica del concetto.

Esso è sicuramente spazio, ma è uno spazio-più-che-spazio, che

rinvia- o meglio- che contiene in sè qualcosa che va oltre la sua

semplice esistenza materiale e finita.

Citando Assunto, che ha idealmente guidato le nostre ricerche,

possiamo dire che 'nel paesaggio la vita si rallegra per una liberazione

dalla finitezza, non però della finitezza'. Esso rimane qualcosa di

1 Cfr. R. Visher, Über aesthetische Naturbetrachtung (1890)( Sulla contemplazione estetica della natura), in Id., Drei Schriften zum aesthetischen Formproblem, Niemeyer, Halle-Saale 1927, pp.55 sgg.

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concreto, di visibile, di finito ma apre alla liberazione dall'angustia

dell'esistenza, in quanto ha in sé l' infinito, è il diverso, è qualità. 2

La nostra ricerca intende indagare il rapporto uomo-natura

mediante il paesaggio: le modalità attraverso cui esso è percepito,

definito e, sul piano della prassi, valorizzato o viceversa distrutto,

sono lo specchio fedele della relazione esistente tra elemento naturale

ed elemento umano.Spesso, coloro i quali hanno tentato di compiere

delle riflessioni filosofiche attorno al paesaggio sono stati guardati con

diffidenza e pregiudizio. Si è portati a pensare che il paesaggio sia un

fenomeno evanescente, effimero, frutto magari delle mode estetizzanti

di un periodo storico oppure frutto delle elaborazioni di filosofi o

esteti, lontani dalle esigenze della società. Ebbene, noi riteniamo che

non sia così.

Potremmo dire che esso sia è molto di più che un problema

delle arti figurative, a cui solitamente viene ricondotto, in quanto in

esso e attraverso di esso è possibile cogliere una conciliazione tra

psyche e physis, in altre parole, è possibile coglierlo come cifra

dell'unità tra uomo e natura, che in esso si rende visibile3.Interrogarsi

2 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, Novecento, Palermo 2006 p.101<<[...] liberazione dall'angustia che opprime la finitezza. e l'attrista; conciliazione della finitezza con la propria fondazione infinita: e quindi gioiositàdel finito che si sa fondato sull'infinito e come tornante alla infinità della propria fondazione>>.

3 H. Lehmann, La fisionomia del paesaggio in L. Bonesio, M. Schimidt di Friedberg (a cura), L'anima del paesaggio tra estetica e geografia, Mimesis, Milano 1999, p.27.

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sul paesaggio vuol dire guardare al nostro rapporto con la natura. Esso

è lo specchio del nostro agire e ci permette di guardarci come umanità

nel tempo, in quanto esso conserva le tracce del nostro intervento

presente e passato e si apre alla possibilità di interventi futuri:

<<Interrogarsi sul paesaggio è interrogarsi sul mondo>>4.

Il lavoro si compone di quattro capitoli, all'interno dei quali

abbiamo affrontato il tema rifacendoci agli intendimenti filosofici di

diversi autori, tra cui J.Ritter, G.Simmel, R.Assunto e, E.Tiezzi e

L.Bonesio tra le voci contemporanee. Dopo aver indicato le modalità

di scoperta estetica della natura come paesaggio ed avere sottolineato

il ruolo della soggettività umana nel processo di mediazione estetica,

abbiamo cercato di mettere in luce i caratteri che può assumere la

relazione uomo-natura-paesaggio. Abbiamo guardato all'orizzonte

prometeico o faustiano (finalismo utilitario) come all'orizzonte del non

incontro uomo-natura o, potremmo dire- dell' allontanamento

progressivo dall'orizzonte naturale da parte dell'uomo, frutto di intenti

conoscitivi e manipolativi, che determinano la perdita del paesaggio in

quanto ciò che è qualità non accertabile quantitativamente non ha

ragione d'essere ed è recepito come inutile. Abbiamo guardato altresì

4 E. Turri, Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia 2004, p.15

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all'orizzonte di Orfeo (finalismo senza scopo), cioè alla modalità

fruttuosa di relazione uomo-natura che permette al paesaggio di darsi

perché ne è colto il valore qualitativo e l'uomo può goderne qualità e

bellezza. Più avanti abbiamo illustrato le prospettive di tutela e di

mantenimento del paesaggio, aprendo a interpretazioni geofilosofiche

e ecosofiche circa il fututo del paesaggio odierno, messo in crisi, se

non cancellato, da interventi sempre più irriguardosi nei confronti

della natura e quindi di noi stessi, che di essa facciamo parte. La

ricerca è stata condotta tenendo sempre conto del paesaggio quale

forma spirituale, considerandone la portata non di semplice

materialità, ma il valore qualitativo ed estetico connesso alle esigenze

spirituali e alla creatività umana.

Procediamo con un breve sommario delle argomentazioni

trattate nei quattro capitoli. Ne " Il soggetto e il paesaggio", composto

dai due sottocapitoli ( La scoperta estetica della natura come

paesaggio e Paesaggio: un fenomeno creativo), ci occupiamo della

scoperta estetica della natura come paesaggio, attraverso lo sguardo di

Francesco Petrarca. Il poeta sale sulla cima del monte Ventoso

esclusivamente col desiderio di guardare il panorama che gli si offre

davanti. Egli esprime una sensibilità tutta nuova verso la natura, di cui

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coglie il carattere estetico. La contemplazione estetica della natura

come paesaggio allontana vistosamente il poeta dai territori della

trascendenza, permettendogli di apprezzare la bellezza naturale,

ritenuta in un contesto medievale, quale quello in cui egli era

immerso, vana curiositas. Di qui, con J.Ritter apriamo a delle

considerazioni circa l' impossibilità di inserire la scalata all'interno

della tradizionale teoria filosofica, pur riconoscendo in essa un' origine

teorica, in quanto connessa all'esperienza della natura come totalità.

L'esperienza di Petrarca è innovativa perchè la totalità naturale, che si

dischiude ai suoi occhi, è realmente percepita ed è intraducibile in

termini concettuali. La contemplazione della natura come totalità, per

secoli rimasta monopolio della concettualità filosofica, fuoriesce da

questo ambito per diventare contemplazione viva e vissuta, estetica e

comunicabile solo attraverso un particolare organo che riesca a

tradurre e cogliere -per la prima volta- non concettualmente, il piacere

estetico connesso alla natura come paesaggio. La scoperta estetica del

paesaggio si pone come una sorta di spartiacque tra il mondo

medievale, quello della trascendenza, in cui l'uomo si ritiene un

unicum con il kosmos in cui è e di cui fa parte (questo spiegherebbe

anche l'assenza del genere pittura di paesaggio nel Medioevo), e il

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mondo moderno, in cui- lentamente ma inarrestabilmente- emerge

l'individualità e soggettività umana.

Per poter cogliere e fare esperienza concreta della totalità

naturale, bisogna 'uscire da sé' per rientrare nella natura, che appare

quindi come un che di separato, staccato da noi: <<il paesaggio

diventa tale per colui che esce (transcensus), per partecipare "fuori"

attraverso il piacere della libera contemplazione, alla natura, in quanto

'totalità', presente, vivente>>5.

Una volta stabiliti i termini della nascita dell'apprezzamento

estetico del paesaggio, abbiamo cercato nel secondo sottocapitolo

Paesaggio: un fenomeno creativo, attraverso G. Simmel, di stabilire il

nesso esistente tra natura e paesaggio, di individuarne le differenze e

riflettere circa la possibilità di seperare le due istanze attraverso una

terza istanza: lo sguardo umano. Il paesaggio si conferma in questo

senso come un fenomeno estremamente moderno: non un che fatto o

di dato, ma un'istanza che si dà solo col contributo dell'individualità e

della creatività del soggetto moderno. Simmel mette in luce che senza

la capacità umana di separare dalla totalità naturale un frammento e

riunificare lo stesso attraverso una nuova 'totalità', il paesaggio-

5 J. Ritter, Paesaggio. Uomo e natura nell'età moderna, a cura M. V. Ferriolo, Guerini, Milano 1994, p.41.

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esteticamente inteso- non potrebbe darsi. Attraverso Simmel

confutiamo l'opinione di coloro i quali ritengono che il paesaggio

verrebbe a identificarsi con una proiezione soggettivistica di stati

interiori verso l'esterno6: esso vive solo attraverso la forza unificatrice

dell'anima, nell'intreccio del dato con la nostra creatività: esso è una

forma spirituale.

Sia per Ritter che per Simmel pensiamo al paesaggio nei

termini di un che conciliante elementi contrapposti. Per il primo esso

ha la valenza simbolica di poter conciliare uomo e natura: dal

momento che l'uomo deve uscir da sé per poter apprezzare la natura,

essa è fuori. Paesaggio quindi come possibilità di ricomporre in sé il

kosmos, presupposto della teoria filosofica, nel quale uomo e natura

non erano scissi, ma facevano parte della totalità. Anche per Simmel,

il paesaggio riesce a conciliare l'individualità che proviene dallo

sguardo de-limitante dell'uomo e il legame originario della forma-

frammento paesaggio con il carattere totale e universale della natura.

Più avanti analizziamo la contemplazione estetica del

paesaggio quale esperienza entro cui si esprime l'interdipendenza tra

6 P. D'Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Laterza, Roma-Bari 2010, p.45 <<Visher conia un termine destinato ad avere ampia fortuna, Einfȕhlung, cioè appunto 'empatia', un sentimento nell'altro da sé, un trasporre il proprio sentimento nell'oggetto inanimato>>.

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uomo e natura, attraverso la contemplazione attiva del paesaggio. E'

Rosario Assunto a suggerirci questa lettura: nel corso dell'apprensione

estetica del paesaggio avviene un mutuo modificarsi di soggetto e

oggetto, cioè di uomo e natura poichè noi siamo immersi in essa e in

essa viviamo: << Non c'è di qua colui che contempla e di là l'oggetto

contemplato, la natura: ci sono io che contemplo (ognuno di noi in

quanto contempla) e che vengo modificato dall'oggetto (qui: la natura

di cui, contemplandola, abbiamo esperienza estetica) il quale oggetto,

a sua volta, ci risulta cme viene modificato dalla nostra

contemplazione>>7. Questa lettura si inquadra nell'orizzonte non della

banalizzante proiezione dello stato d'animo del soggetto sull'oggetto,

ma nell'attribuzione alla natura come paesaggio di un vero e proprio

suo particolare stato d'animo, dal significato oggettivo8.

Nel secondo capitolo La bellezza e la scienza (Il regno di

Prometeo), dopo aver indicato le modalità di scoperta e di percezione

attiva della natura come paesaggio, cerchiamo di mettere in luce i

limiti insiti in una concezione meramente scientista della natura,

avente come esito la perdita della stessa possibilità di darsi di ogni

qualità estetica, della bellezza e quindi, determinante anche la perdita

7 R. Assunto. Il paesaggio e l'estetica, cit., p.120.8 Ivi, p.122 <<[...] Possiamo chiamare stato d'animo della natura il significato oggettivo di cuiil

paesaggio, in quanto è immagine di se stesso, è portatore>>.

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del paesaggio. Esso è infatti il diverso, il qualitativo, l'individuale che

sfugge a misurazioni e calcoli, perchè avente un quid che eccede la

semplice esistenza fisica. Lo scientismo produce infatti una relazione

astratta e fredda uomo- natura, privandoci di un'apprensione diretta,

viva e spontanea di essa. Ciò determina l'atmosfera di disincanto del

mondo che lo rende certamente meno pauroso, perché più gestibile e

prevedibile attraverso calcoli e leggi astratte, ma di contro molto meno

affascinante e bello, lontano. La natura è studiata dall'uomo non

perché è bella, ma perché è utile e, in quanto tale, la si vuole

dominare. E' facile intuire che tutto ciò che sfugga a calcoli e

misurazioni, in particolare qui pensiamo alla bellezza del paesaggio,

sia ritenuto degno di nessuna attenzione perché non utile e non

gestibile razionalmente. Abbiamo pensato a due modalità diverse di

approccio verso la natura che Ritter aveva esemplificato con le due

felici espressioni di sistema tolemaico e copernicano. Nell'ambito

dello scientismo ci troviamo all'interno del sistema copernicano, cioè

di una natura vista e studiata in modo "oggettivo", sulla base del

ricorso allo studio delle forze in essa operanti. Ci accorgiamo

dell'insufficienza e dei limiti dello scientismo e imbocchiamo, a

questo punto, la strada della natura vista come sistema tolemaico, cioè

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della natura come paesaggio.

Individuiamo nell'ambito artistico, filosofico e letterario, delle

modalità diverse, ma non meno universali rispetto alla scienza, in

grado di dirci qualcosa che l'intendimento analitico taceva a proposito

della natura. Parliamo di pittura di paesaggio citando paesaggisti

come C. Lorrain e N. Poussin, di poesia con G. Leopardi e della

concezione metaspaziale del paesaggio con R. Assunto. Alla fine

dell'itinerario, avendo mostrato l'inadeguatezza dello scientismo

riduttivistico che nega le qualità e la bellezza, ci chiediamo quale

possa essere il ruolo dell'estetica e del recupero della natura come

paesaggio. Ha ancora senso sperare in un ritorno alla natura come

paesaggio vista con gli occhi delle scienze umane, anche se già Ritter

attribuiva ad esse un mero carattere compensativo? Possiamo sperare

in qualcosa in più oggi? Dal nostro canto, ci siamo espressi a favore di

nuove modalità conoscitive che integrino scienza ed estetica, che

spingano in direzione dell'apprezzamento estetico del paesaggio e

conseguentemente verso la cura e la salvaguardia della dimensione

viva della natura in cui siamo immersi e di cui facciamo parte.

Nella seconda parte del capitolo L'orizzonte del fare: praxis e

perdita del paesaggio le nostre osservazioni si sono spostate sul piano

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concreto dell'intervento fattivo dell'uomo sulla natura. Non sempre le

tracce che l'uomo traccia su di essa sono riconducibili ad una relazione

armonica con essa, anzi, il più delle volte è il contrario. La natura e il

paesaggio sono lo specchio attraverso cui rifletterci. Le nostre

riflessioni, lo abbiamo detto, attengono qui al fare.

Per fare però occorre essere liberi.Il concetto di libertà è

declinato in modo diverso dai vari pensatori. Se per Ritter e Schiller

l'uomo è libero se si emancipa dalla natura, ne diviene legislatore e la

domina, nel caso di Assunto ci troviamo in una prospettiva opposta.

La libertà umana è nella natura e non contro la natura e si realizza

quando la contempliamo esteticamente come paesaggio.

In questa sede ci avvaliamo soprattutto del contributo

assuntiano per mostrare modelli di città, come quella di Prometeo o di

Bacone, in cui non esiste rapporto armonico con la natura ed in cui,

come nelle odierne metropoli, l'apertura del paesaggio all'infinito è

brutalmente ridotta ad apertura all'illimitato e all' informe. L'uomo è

ormai capace di controllare qualsiasi cosa, anche di emanciparsi dai

ritmi stagionali, ma è circondato da bruttezza. Assunto parla degli

spazi verdi come l'emblema della riduzione a strumento della stessa

natura e degli stessi alberi, sradicati impunemente e utilizzati solo in

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vista di un momentaneo relax dal lavoro, in grado di incrementare la

produttività dei lavoratori. La natura come paesaggio, la capacità di

dare sollievo dall'angustia dell'esistenza, la contentezza all'essere e la

possibilità di sollevarci tramite di essa al di sopra dell'orizzonte finito,

sono possibilità tutte perse nella società cosiddetta del benessere, che

paradossalmte produce malessere solo fisico e spirituale.

Il destino dell'uomo e quello della natura sono

indissolubilmente legati, quest'ultima è lo specchio attraverso cui

guardarci. Che dire di noi se le nostre città sono squallide,

maleodoranti, sporche e senza un filo d'erba? Non siamo più liberi in

quanto ridotti a semplici funzioni in vista di uno scopo. Non lasciare

spazio al paesaggio vuol dire non lasciare spazio all'infinito, allo

spirituale, al diverso, al qualitativo,alla bellezza, qualcosa che ci

solleva dall'indigenza dell'essere. Il prometeismo, lo scientismo

hanno determinato realmente non soltanto la perdita del paesaggio, lo

sfruttamento della natura, intesa come suolo, spazio fino a se stesso,

contenitore, ma soprattutto la riduzione dall'essere all'avere dell'uomo,

diventato semplice funzione in vista del raggiungimento di fini.

Ne Il regno di Orfeo abbiamo cercato di guardare invece oltre

il prometeismo e il faustismo e di mostrare l'importanza del momento

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contemplativo che dischiude la possibilità della libertà di essere e di

fare, di uomini liberi non ridotti a semplici funzioni in una natura

infinita e libera anch'essa dal bieco utilitarismo prometeico.

Seguendo Assunto, ci avviamo a delle considerazioni sul

carattere non meramente epifenomenico della bellezza. Per

quest'ultimo infatti bellezza e benessere sono strettamente legate: essa

è la conditio sine qua non di un benessere non unicamente di ordine

mentale o psicologico, ma è cifra dell'esistenza fisica e organica.

Argomentazione questa dal carattere rivoluzionario se pensiamo che

gli odierni movimenti ambientalisti sono soliti mostrare una certa

ritrosia nell'impiego di motivazioni estetiche, ritenute superficiali e

marginali se comparate con la problematica della sopravvivenza della

natura9.

Non sempre inoltre la relazione uomo-natura è infruttuosa: in

alcuni casi si è trattato di un rapporto armonico attraverso cui la natura

è stata promossa a cultura tramite l'intervento attivo dell'uomo: ci

troviamo qui nell'orizzonte del finalismo senza scopo orfico. La natura

non è più vista come un che di manipolabile e sfruttabile, ma come

luogo dell'armonia perduta tra uomo e natura, come fine per l'uomo e

9 P. D'Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, cit., pp.67-80.

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forma entro cui si incarna il suo sentire estetico. Guardare alla natura

in chiave estetica vuol dire per l'uomo recuperare la sua centralità

all'interno del paesaggio, potremmo dire, con Ritter, tornare alla

posizione tolemaica, guardare a se stesso come natura nella natura.

Estetico e recupero del paesaggio diventano allora possibilità di libertà

sia per l' uomo che per la natura: il primo non ridotto a semplice

funzione, la seconda ritenuta non meccanismo o strumento, ma colta

per qualità e bellezza, perché in grado di farci gioire dell'esistenza e

darci piacere fisico e dell'anima.

Sul piano della prassi, costruire città non vorrà dire quindi

violentare la natura, ma assecondare la spontaneità naturale entro cui

la meccanicità costruttiva è al servizio della libertà. Di qui, il modello

antitetico della città prometeica è la città di Anfione, entro cui esiste

un rapporto armonico con la natura e la bellezza del paesaggio è

eccedente rispetto all'utilità funzionale.

Nell'ultimo capitolo Paesaggio: tra estetica e geofilosofia ed

ecosofia apriamo a considerazioni diverse in merito anche al destino

del paesaggio nelle società odierne. Occorre essere educati alla

bellezza e considerarne il valore non strettamente estetico, ma

connesso al benessere fisico e psicologico degli esseri umani, così

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come Assunto sottolineava. Rispettare la natura vuol dire permettere a

e stessi di poterne cogliere l'esteticità, concretizzata come paesaggio:

considerare il qualitativo e la bellezza come trascurabili ha avuto

ripercussioni profonde sul modo stesso di rapportarci al naturale, visto

solo nell'ottica dell'utile, sfruttato e assoggettato a logiche

economiche.

La bellezza assume per noi qui un valore ontologico: ciò che è

bello e vivo è, non può essere sbrigativamente ridotto all'interesse

astratto di filosofi, esteti o sognatori. Arreca, come abbiamo visto

benessere fisico e spirituale.

Il paesaggio potrebbe essere visto, citando la prospettiva

estetico-ecologica di G.Pizziolo, anche come un linguaggio che la

natura utilizza per parlarci. Se la ascoltassimo, la natura oggi

emetterebbe un grido di dolore.

Abbiamo trattato la prospettiva ampia della geofilosofia per

cui il paesaggio esprimerebbe l'identità estetica di un luogo, avrebbe

cioè in sé un che di oggettivo, riconducibile allo spirito del luogo e

all'intervento su di esso di una data comunità, o meglio, dovrebbe

averlo, in quanto i processi di industrializzazione, tecnicizzazione e

mondializzazione spingono sempre di più i paesaggi a rendersi tutti

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uguali e omologati. Il paesaggio invece è, come più volte detto, lo

specchio dell'umanità ed in quanto tale, qualitativamente è il diverso.

Esso ha -o meglio, dovrebbe avere- dei tratti caratteristici, non

meramente superficiali e riconducibili all'apparenza estetica, ma dei

tratti entro cui si dia, anche attraverso la forma, la profondità di una

cultura con le sue specificità e i suoi tratti caratteristici. Lo abbiamo

detto già: il paesaggio è il qualitativo per eccellenza e sfugge alla

serializzazione. E', seguendo la geofilosofia, <<l'indice del grado di

realizzazione di una comunutà della cultura con il luogo naturale e le

sue possibilità>>10. Rispettare la natura vuol dire prendersene cura e

vedere nel paesaggio la cristallizzazione della nostra alleanza con i

caratteri naturali e culturali del luogo.

In ultimo la prospettiva dell'ecosofia. E' questa la prospettiva

che forse coglie e sintetizza al meglio l'esigenza sottesa alla nostra

ricerca: contribuire a eliminare la scissione tra uomo e natura, tra

fisico e spirituale guardare al paesaggio come cifra di questa unità.

L'ecosofia fa appello all'esperienza della natura spontanea e

immediata, nella quale può essere colta la qualità, la bellezza, che nel

paesaggio al meglio si cristallizzano. Non si tratta di sottomettersi alla

10 L. Bonesio, Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, Arianna, Bologna 2002, p.15.

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natura o sacralizzarla, per tornare nel suo grembo e illudersi di poter

recuperare l'innocenza perduta. Si tratta di guardare a noi stessi e al

nostro rapporto col naturale con uno sguardo che vada oltre la

chiusura del modello che ha concepito la natura solo in vista del

dominio e dello sfruttamento, ma aprirsi alla responsabilità e a un

ascolto poetico11 della stessa.

Abitare la Terra vorrà dire allora rispettare la ricchezza e la

diversità naturale. L' uomo dovrà porsi come soggetto attivo e in

armonia con la natura, non alienato da essa per via della società del

"benessere", in cui l'avere ha sostituito l'essere, dove tutto si calcola,

ma nulla più si sente. Lo iato tra Prometeo e Orfeo dovrà essere

colmato da un recupero della dimensione estetica della natura

contemplata come paesaggio: orizzonte di libertà e

autocontemplazione.

Paesaggio allora come capacità di guardare l'uomo e la natura

come entità facenti parte di un orizzonte comune. Lo diciamo, per

concludere, attraverso le illuminanti parole di R. Assunto:

11 I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino 1999, p.288 <<Il sapere scientifico, sbarazzato dalle fantasticherie di una rivelazione ispirata, soprannaturale, può oggi scoprirsi essere ascolto poetico della natura e contemporaneamente processo naturale nella natura, processo aperto di produzione e di invenzione, in un mondo aperto, produttivo, inventivo. E' ormai tempo di nuove alleanze, alleanze da sempre annodate, per tanto tempo misconosciute, tra la storia degli uomini, della loro società, dei loro saperi e l'avventura esploratrice della natura>>.

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<< Il paesaggio come unità dell'uomo con la natura: la natura come forma che ha in sé lo spirito, il pensiero, la storia degli uomini a guisa del proprio contenuto: ma nello stesso tempo è materia che la civiltà, nella storia, modella oggettivando in essa il pensiero degli uomini, lo spirito umano. E lo spirito degli uomini, nella temporalità non passeggera della natura, nella sua ritornante circolarità, trova, sopra il trascorrere della proprie vicende, una perpetua giovinezza, bella quale si fa anima e bellezza del mondo>>12.

12 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., pp.256-257

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I. Il soggetto e il paesaggio

<<Natura melodiosa di cui noi siamo suoni viventi armonizzati, è il paesaggio in quanto incorpora in sé il nostro spirito, oggettivandolo nelle proprie forme. Il

paesaggio come unità dell'uomo e della natura: la natura come forma che ha in sé lo spirito, il pensiero, la storia degli uomini ( la voce degli uomini come suoni viventi) a guisa del proprio contenuto; ma nello stesso tempo è materia che la civiltà, nella storia, modella oggettivando in essa il pensiero degli uomini, lo

spirito umano. E lo spirito, la storia degli uomini, nella temporalità non passeggera della natura, nella sua ritornante circolarità, trova, sopra il trascorrere delle proprie vicende, una perpetua giovinezza, nella quale si fa anima e bellezza

del mondo>>13.

I.1 La scoperta estetica della natura come paesaggio

Muovendoci con l'intento di indagare la relazione esistente tra

uomo, natura e paesaggio, non possiamo inizialmente non indugiare

sulla convinzione, spesso fortemente radicata, di quanti sostengono

che l'interesse estetico e il senso del paesaggio siano nati in epoca

moderna: già le antiche religioni primitive rivelano un sentimento

profondo verso la natura, come l'antico culto mediterraneo verso la

vegetazione, benché non si tratti ancora di considerazioni

propriamente estetiche di esso14.

13 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, Novecento, Palermo 2006, pp. 256- 257.14 J. Ritter, Paesaggio. Uomo e natura nell'età moderna, (a cura di) M. Venturi Ferriolo, Guerini,

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Per la letteratura greca e latina esso è ancora paese, territorio di

attività pratiche, <<senza una considerazione specifica dell'essere

paesaggio>>.15 Nel Medioevo esso non esiste ancora nella sua

autonomia e nella percezione estetica, moderna, alla natura nella sua

totalità è attribuito un valore teologico o metafisico: l'antichità e il

Medioevo non conoscono quindi il paesaggio, così come non hanno

una pittura di paesaggio in senso moderno. Il paesaggio presuppone

una dissoluzione dalle dipendenze e dai legami di stampo mitico-

religioso che è successiva solo al Medioevo16.

Augustin Berque traccia uno spartiacque tra le società

paesaggiste come la Cina e l'Europa occidentale del XV secolo, e le

società non paesaggiste, basandosi sulla tesi che sostiene che perché si

abbia paesaggio in una determinata civiltà debbano essere soddisfatti

requisiti quali: la rappresentazione linguistica, letteraria, pittorica e

Milano 1994, p.1515 K. Stierle, Paesaggi poetici del Petrarca, in R. Zorzi (a cura di), Il paesaggio. Dalla

percezione alla descrizione, Marsilio, Venezia 199, p.121; G. Simmel, Filosofia del paesaggio, in Id., Il volto e il ritratto, Il Mulino, Bologna 1985, p.73 << Si è spesso sostenuto che l'autentico “sentimento della natura” è nato solo nell'epoca moderna, derivandolo dal suo lirismo, dal romanticismo, ecc; ma non senza superficialità mi sembra. Proprio le religioni più primitive mi sembrano infatti rivelare un sentimento particolarmente profondo della “natura”>>.

16 H. Lehmann, La fisionomia del paesaggio in L.Bonesio, M. S. di Friedberg ( a cura di), L'anima del paesaggio, Mimesis, p.26

<<Va notato in primo luogo che per gli uomini primitIvi e ai primi stadi della cultura non vi è nessun “paesaggio” in senso proprio, o meglio: il loro rapporto con la natura non è paesaggistico, ma magico o mitico, in ogni caso immediato. Il “paesaggio” presuppone una indIvidualizzazione delle forme di esistenza interiore ed esteriore. Solo “la dissoluzione delle dipendenze e dei legami originari in entità autonome differenziate, questa grande formula del mondo successivo al Medioevo, ci ha fatto vedere per la prima volta il paesaggio nella natura>>.

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quella realizzata attraverso i giardini.

Dunque, a testimonianza dell'origine moderna dello stesso, vi

è l'impossibilità di tradurre il termine in uno dei nostri dialetti17.

L'origine tarda del termine è infatti risalente in Italia al 1552 con

Tiziano18. Ma è da escludere, per molti autori, primo tra tutti Venturi

Ferriolo, che l'asssenza del termine implichi necessariamente la

mancanza di sensibilità paesaggistica19.

<<La percezione del paesaggio è spesso specchio fedele delle

esigenze dell'anima e dello spirito dell'epoca>>20: sono queste parole

di Goethe che trova istruttivo vedere come nel corso della storia si sia

spostato il baricentro del rapporto uomo-natura, guardando proprio

alla relazione umana con il paesaggio. Per comprendere il significato

di quanto espresso, ci avvaliamo del contributo di J.Ritter attraverso

cui illustreremo la scoperta estetica del paesaggio ad opera di Petrarca.

Costitutiva del paesaggio sarà l'idea di una totalità attualmente

percepibile: la nascita del concetto di paesaggio, come si vedrà, porrà

un problema relativo alla possibilità di esprimere qualcosa che in

17 A. Berque, Les raisons du paysage. De la Chine antique aux environnements de synthèse, Hazan, Paris 1995

18 G. L. Beccaria, Presentazione in G. Bertone, Lo sguardo escluso. L'idea di paesaggio nella letteratura occidentale, Interlinea edizioni,Novara 2000, p.XII

19 M. Venturi Ferriolo, <<J. Ritter e la teoria del cosmo come fondamento del paesaggio>> (saggio introduttivo a J. Ritter, Paesaggio. Uomo e natura nell'età moderna, cit.)

20 L.Bonesio, M. S. di Friedberg ( a cura di), L'anima del paesaggio, cit., p.11

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origine faceva parte della teoria filosofica e che, adesso, potrà essere

reso esteticamente perché vivo e vissuto sensibilmente. Di qui la

novità della mediazione estetica della natura come paesaggio.

I.1.1 Petrarca e la scalata al monte Ventoso

E' la soggettività inquieta di un poeta, a determinare fra i primi

un atteggiamento diverso nei confronti della natura: si tratta di

Francesco Petrarca. Animato da una sensibilità nuova e tutta umana,

scala il monte Ventoso per osservare il panorama che gli si apre

davanti: non guarda dalla cima verso l'alto, ma verso il basso, <<sola

videndi insignem loci altitudinem cupiditate ductus>>21. Petrarca,

stimolato dalle letture di Livio, che raccontava della scalata del re

macedone Filippo sull'Emo di Tessaglia, dal quale aveva potuto

ammirare contemporaneamente il mar Adriatico e quello Egeo, scala il

monte, senza alcuna ragione fuorché guardare. Non si tratta infatti di

un pellegrinaggio o di un cammino fatto per espiazione, così come

pure non ha intenti scientifico-conoscitivi: << Francesco non sale né

per penitenza, né per pellegrinaggio, né per imitatio Christi, non porta

21 F. Petrarca, Familiarum, in Id., Prose, pp.830, in G. Bertone, Lo sguardo escluso. L'idea di paesaggio nella letteratura occidentale, Interlinea edizioni 2000, p.124 <<Altimissimum huis montem, quem non immerito Ventosum vocant hodierno die, sola videndi insignem loci altitudinem cupititate ductus, ascendi>>.

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con sé né bastoni, né croce, né tantomeno vuole conficcare segnacoli

in vetta o su un colle. Nessun “giardino” lo aspetta lassù. Quanto a

strumenti scientifici non è il secolo giusto>>22.

Il carattere rivoluzionario dell'impresa compiuta dal poeta sta

nel volgere gli occhi all'immanenza, all'esperienza, insomma alla

bellezza del mondo: << è' questa inversione dello sguardo che in realtà

crea il paesaggio moderno, il paesaggio cioè dell'orizzontalità,

dell'immanenza del mondo>>23.

La vista verso il basso esprime il potere della coscienza umana, che

realizza una vera e propria comprhehensio estetica, <<nella quale

scopre il potere di appropriarsi del mondo nella sua apparenza>>24,

rimanendone incantato, stordito, <<stupendi similis steti>>,

ammirando un paesaggio senza limiti che si estende fino alla sua

amata Italia.

Il carattere propriamente moderno sta in un nuovo sentire, in

forma ancora embrionale e inconfessabile di godimento estetico:

godere della natura come paesaggio, coglierne cioè il valore estetico.

L'esperienza di Petrarca sul monte Ventoso è assolutamente ordinaria

22 G. Bertone, Lo sguardo escluso, cit., p.129.23 K. Stierle, Paesaggi poetici del Petrarca, in R. Zorzi (a cura di), Il paesaggio. Dalla

percezione alla descrizione, Marsilio, Venezia 1999, p.123.24 Ibidem.

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agli occhi di noi moderni, ma ha un carattere trasgressivo e

peccaminoso se inquadrato nell'orizzonte medievale entro cui avviene,

in quanto si distacca dai canoni di una percezione transmondana degli

enti; prova ne è che lo stesso poeta la sconfesserà , tacciandola -sulle

orme delle Confessioni di Agostino che sempre portava con sè - come

oblio di sé e come espressione di vana curiositas per le cose terrene: il

monte è niente se paragonato alle vette che il pensiero umano riesce a

raggiungere25.

I.1.2 Natura come paesaggio: prodotto dello spirito teoretico

Una volta compiuta la scalata, Petrarca si trova costretto a

doverla rinnegare a sé stesso, quale trasgressione diretta ai territori

dell'immanenza. Sebbene il poeta si impegni fortemente per inserire

l'impresa nell'orizzonte della teoria filosofica, fallisce in questo senso:

<<L'interesse verso la natura come paesaggio di cui Petrarca fa esperienza durante la sua grande impresa, è qualcosa di antitetico alla concezione- a Petrarca familiare attraverso Agostino- dell'elevazione filosofica e teologica alla contemplazione della totalità>>26.E' questo il motivo per il quale Petrarca ha grandi difficoltà a inserire

la scalata nella tradizione della teoria, dovendo necessariamente

25 J.Ritter, Paesaggio. La funzione dell'estetico nell'età moderna, in Soggettività, tr. it. di Tonino Griffero, Marietti, Genova 1997, p.109 <<Il Monte Ventoso che con tanta intensità lo aveva affascinato, perde ora tutto il suo splendore. Su chi si volta a guardarlo, fa ora l'effetto di una “ben piccola altezza rispetto a quella del pensiero umano”>>.

26 Ivi, p.108

28

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sconfessare il carattere tutto nuovo dell'impresa e dovendo virare dal

corporeo all'incorporeo.

Contemplare la natura dal punto di vista filosofico aveva

voluto dire da sempre rivolgersi, tramite lo spirito, alla totalità

onnicomprensiva e al divino.

Ritter sostiene che, <<il paesaggio è sempre, quanto meno da un lato,

un derivato della teoria filosofica e precisamente perché esprime la

natura nella sua totalità>>27, tuttavia non è completamente inscrivibile

in essa, in quanto è in germe un'apprensione nuova della natura,

appunto estetica.

I concetti che il poeta usa per spiegare e spiegarsi la scalata,

appartengono alla tradizione della theoria tou kosmos: ascesa

dell'anima dal corporeo all'incorporeo, contemplazione disinteressata

della natura come moto interiore dell'anima diretto alla “vita beata”28.

Ritter spiega infatti, l'interesse verso la natura come paesaggio

è un interesse di derivazione teorica: <<il fatto che egli giustifichi

questa scelta riportandola al contesto spirituale della teoria ha

indubbiamente un significato universale. Per il rapporto estetico con la

natura come paesaggio restano dunque fondamentali le determinazioni

27 Ivi, p.121.28 Ivi, p.109.

29

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che la tradizione filosofica ha assegnato alla teoria e che Petrarca ha

fatto sue. Tutto ciò conferisce all'ascensione al Monte Ventoso un

significato epocale. La natura come paesaggio è il frutto e il prodotto

dello spirito teoretico>>29. Tuttavia, l'interesse procede oltre questo

contesto, con una svolta che gli è estranea.

Perché allora, pur servendosi delle definizioni e degli assetti

tradizionali della filosofia, Petrarca fallisce nel catalogare la sua

impresa come teoria?

I.1.3 Un nuovo organo per esperire la natura come paesaggio

Si tratta di una esperienza messa in moto dai sensi, in cui

Petrarca esperisce qualcosa di visibile e vivente. Fino a qui nulla di

strano: la sfera della sensibilità desta lo spirito, lo sollecita alla

contemplazione della totalità e del divino. Sarebbe sbagliato- a detta

dello stesso Ritter- pensare che la natura sensibile sia stata per la

teoria filosofica un elemento inessenziale e fuori dai propri interessi30.

Cosa determina allora uno scarto tra questa esperienza della natura e

le precedenti?

<<La teoria filosofica non pensa che la totalità che si manifesta nel sensibile possa a sua volta essere concettualmente compresa in questa sfera sensibile e riprodotta

29 Ivi, p.112.30 Ivi, p.117.

30

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nel suo aspetto sensibile >>31.

Eccoci arrivati alla spiegazione: Petrarca incontra delle

difficoltà che attengono l'impossibilità di tradurre in termini

concettuali l'esperienza, la quale nasce da un interesse teoretico verso

la totalità -così come egli stesso spiega - ma è intraducibile

concettualmente. Occorre quindi un nuovo organo che riesca a

tradurre e a esprimere la natura come totalità, ma questa volta- ed è la

prima volta- sensibilmente, come paesaggio: occorre che essa sia

mediata esteticamente.

Ciò non era mai accaduto prima, infatti la filosofia, presso i

Greci, si era fatta interprete, dell'esperienza verso la totalità, il cosmo

e l'essere, ma attraverso i concetti; ragion per cui l'interesse estetico

verso la natura è nato dopo: la teoria filosofica abbracciava anche le

cose sensibili. Nel volgersi dello spirito alla natura come paesaggio

acquista una nuova forma e fisionomia la libera contemplazione della

natura in quanto totalità, cioè qualcosa che per secoli, a partire dai

Greci, fu di dominio esclusivo della concettualità filosofica: << Il

cielo al di sopra della casa e la terra su cui essa poggia vengono già

conosciuti ed espressi nei concetti in cui la teoria comprende la

31 Ibidem.

31

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totalità. Questa abbraccia infatti, con la forza che le è peculiare, tutte

le cose sensibili e anche il bello>>32.

E' necessario quindi un organo che permetta di comprendere la

natura nella sua valenza estetica, la natura come paesaggio: <<ha

assunto la funzione di esprimere mediante immagini “intuitive”

scaturite dall'interiorità la totalità naturale e l' “accordo armonico

esistente nel cosmo” rendendo tutto ciò esteticamente presente

all'uomo>>33. Si tratta di un organo che permette di cogliere il piacere

connesso all'esperienza estetica, laddove, nella tradizione della teoria

filosofica, soltanto il concetto razionale era in grado di rappresentare

la totalità naturale come cosmo. In assenza di quest'organo, la natura

come oggetto estetico, quindi come paesaggio, rimarrebbe

inosservata: attraverso di esso viene così mantenuto e si esprime

l'elemento spirituale della natura, il paesaggio, esteticamente mediato.

I.1.4 Uscire da sé per entrare nella natura

Ciò che sta dinanzi agli occhi nella forma visibile che include

l'uomo rimane nell'orizzonte teorico, per così dire, in uno stato di

latenza. La natura così intesa, non richiede che vi si esca per

32 Ivi, p.118.33 Ivi, p.124.

32

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giungervi, la si conosce e se ne conserva la presenza già nelle scuole,

nella cella, nel convento e nel fondo dell'anima. Si tratta insomma di

natura intesa come totalità spiegata, ma non vissuta da una

soggettività che entra nella sua concretezza. Ciò che la voce della

natura dice, lo si percepisce ancora “interiormente” e non

“esteriormente”34.

Per realizzare una comprensione estetica della natura non basta

però rimanere dentro le scuole, la cella, il convento. Occorre uscire,

andare, camminare: che è esattamente ciò che fa Petrarca. Il soggetto

contemplante, per esperire sensibilmente ed esteticamente la natura,

deve uscire da sé per entrare nella natura: <<il paesaggio diventa tale

per colui che esce (transcensus), per partecipare “fuori” attraverso il

piacere della libera contemplazione, alla natura in quanto “totalità”,

presente, vivente>>35. La condizione essenziale è quindi un “uscir-

fuori” da noi per “entrare” nella natura.

Ciò che accade in ambito estetico non trova dunque il proprio

fondamento nella soggettività chiusa in se stessa, ma nella necessità di

far apparire e di rappresentare ciò che altrimenti non sarebbe né detto

né osservato.

34 Ivi, p.118.35 J.Ritter, Paesaggio. Uomo e natura nell'età moderna, cit., p.41.

33

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Il paesaggio è quindi << la natura che si presenta esteticamente

nello sguardo di chi la contempla con sensibilità e partecipazione>>36.

La conseguenza di questa fuoriuscita da sé per entrare nella natura è

che quest'ultima muta fisionomia: se la si guarda esteticamente, lo si

fa apprezzando anche quei paesaggi che prima, con gli occhi della

ragione, giudicavamo minacciosi o pericolosi o che ci interessavano

unicamente per motivi utilitaristici.

I.1.5 Paesaggio: fenomeno moderno

Il paesaggio è a tutti gli effetti un fenomeno moderno, entro

cui emerge il ruolo della soggettività umana, dell' individuo, <<come

figura della storia universale nella quale bellezza e verità giungono a

rappresentazione in forma di sentimenti e intenzioni>>37.

E' solo all'uomo moderno che è data la possibilità di uscire da

sé per rientrare, liberamente nel mondo naturale, ricomponendo in sé

il kosmos che era il presupposto della theoria38.

Il paesaggio risulta quindi essere sintomatico di un nuovo

rapporto con la natura nella sua totalità: se l'uomo deve uscire da sé

per poterla apprezzare esteticamente, essa è fuori. Pur realizzando una

36 J.Ritter, Paesaggio. La funzione dell'estetico nell'età moderna, cit., p.119.37 Ivi, p. 3.38 Ivi, p. LII .

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contemplazione della totalità naturale, il paesaggio fa pensare ad una

scissione: da una parte c'è l'uomo, dall'altra la natura. Nella teoria del

cosmo, uomo e natura facevano parte di un'unica totalità: il paesaggio

è dunque il risultato di questa separazione che reca in sé anche la

conciliazione39.

Ri-entrare nel paesaggio, cioè nella natura come totalità, vorrà

dire ricomporre le fratture che hanno allontanato l'uomo dalla natura,

delle quali avremo modo di parlare nel prosieguo della nostra

ricerca40.

I.2 Paesaggio: un fenomeno creativo

Ci soffermiamo adesso sul ruolo del soggetto contemplante di

cui indagheremo la funzione attraverso La filosofia del paesaggio di

G. Simmel. Pur riscontrando delle sostanziali differenze rispetto a

Ritter, relative in particolare alla necessità di separare e distinguere

l'orizzonte naturale da quello paesaggistico, in entrambi emerge un

forte richiamo al soggetto come attore moderno all'interno della

natura. Successivamente metteremo in luce il ruolo di soggetto nella

39 M. Venturi Ferriolo, J.Ritter e la teoria del cosmo come <<fondamento del paesaggio>>, in J.Ritter, Paesaggio. Uomo e natura nell'età moderna, cit., p.12.

40 Ivi, p.25 <<Tornare alla teoria del cosmo è rientrare nel paesaggio, cioè nella natura nella sua totalità, ricomponendo la frattura tra “sistema tolemaico” e “copernicano”>>.

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natura nella filosofia assuntiana, attraverso Il paesaggio e l'estetica.

I.2.1. Natura, soggetto, paesaggio

Natura e paesaggio sono termini che finora abbiamo utilizzato,

ma di cui non abbiamo ancora tracciato le differenze e analizzato il

nesso che li lega: è possibile separarli? Se sì, come? Cosa vuol dire

natura e cosa significa paesaggio?

Così come per Ritter,<< non sono paesaggio nè i campi prima

della città, né il fiume inteso come “confine”, come “via

commerciale” […]. Tutte queste cose diventano paesaggio quando

l'uomo si rivolge loro senza uno scopo pratico, ma con un “libero”

godimento contemplativo, al fine di trovarsi come uomo all'interno

della natura>>41, anche per G. Simmel c'è una forte differenza tra di

essi, declinata però in termini diversi: << Per il fatto che osserviamo

questi singoli particolari o anche vediamo questo e quello di loro, non

siamo ancora convinti di vedere un “paesaggio”>>42.

Quando esperiamo la natura, essa non è ancora paesaggio.

Cos'è allora? <<Per natura intendiamo l'infinita connessione delle

cose, l'ininterrotta nascita e distruzione delle forme, l'unità fluttuante

41 J.Ritter, Paesaggio. La funzione dell'estetico nell'età moderna, cit., p.11942 G. Simmel, Filosofia del paesaggio, in Id. Il volto e il ritratto, Il Mulino, Bologna 1985, p.71

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dell'accadere, che si esprime nella continuità dell'esistenza temporale e

spaziale>>43, parlare di essa equivale a riferirci a qualcosa <<la cui

funzione è di rappresentare e simboleggiare la totalità dell'essere>>44.

Essa ignora l'individualità, parlare di un “pezzo di natura” per Simmel

è una contraddizione: essa <<non ha parti, è l'unità di una totalità e

nell'attimo in cui viene separato qualcosa, non è più in assoluto natura,

proprio perché può essere “natura” solo all'interno di quell'unità priva

di contorni, come onda di quella corrente totale>>45.

A questo punto ci chiediamo quale sia il nesso tra natura e

paesaggio, cosa determina il considerare quello che si dischiude ai

nostri occhi come paesaggio e non come natura? La risposta per

Simmel si ottiene legando a queste due istanze un terzo elemento:

<<E' lo sguardo dell'uomo che, da un lato, separa dalla totalità naturale un frammento, dall'altro, riunifica e dà ordine interno al frammento medesimo, “divide e configura in forma di unità distinte ciò che ha diviso>>46.

Il nuovo elemento è appunto lo sguardo umano: in altre parole, senza

uno sguardo che contempla, non può darsi paesaggio. Si tratta di uno

43 Ibidem.44 Ivi, p.72.45 Ibidem.46 L. Boella, Dietro il paesaggio. Saggio su Simmel, Unicopli, Milano 1988, p.63; G. Simmel,

Filosofia del paesaggio, cit., p.72<<La natura, che nel proprio essere e nel proprio senso profondo, ignora l'indIvidualità, viene trasformata nell'indIvidualità del paesaggio dallo sguardo dell'uomo, che dIvide e configura in forma di unità distinte ciò che ha dIviso >>.

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sguardo che de-limita47: l'unità priva di contorni, l'unità fluttuante

dell'accadere è delimitata e compresa in un orizzonte.

Nasce così il paesaggio come esigenza della nostra coscienza

di una <<nuova totalità, unitaria, che superi gli elementi, senza essere

legata ai loro significati particolari ed essere meccanicamente

composta da essi: questo è soltanto il paesaggio>>48.

Da spiegare è se, questa unità del frammento che l'uomo de-

limita dalla totalità naturale, sia qualcosa di singolare nel senso di

soggettivistico, una proiezione interiore di sé verso l'esterno o se, al

contrario, sia qualcosa di più profondo.

I.2.2 Il paesaggio e la Stimmung

Erroneamente e spesso il paesaggio è definito un insieme di

percezioni indistinte o un'embrionale disposizione ad essere percepito:

<<Ci si può entusiasmare per un singolo filo d'erba, ci si può far travolgere dall'ondata di sentimenti che desta il richiamo della prima aria primaverile, carica di promesse. Nella lirica di tutti i tempi, ciò ha assunto una forma suadente. Ma il paesaggio è qualcosa di più e qualcosa di meno>>49. Abbiamo visto che esso è un concetto relazionale e che non è mai una

datità, un che di fatto, ma è in gioco una capacità formativa umana, sia

47 Cfr. R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.23.48 G. Simmel, Filosofia del paesaggio, cit., pp.71-72: <<Un pezzo di terra non è nemmeno ancora

un paesaggio, è necessario un <<essere-per- sé che può essere ottico, estetico, legato ad uno stato d'animo, [che] reclama[no] un rilievo indIviduale e caratteristico, rispetto a quell'unità indissolubile della natura>>.

49 H. Lehmann, La fisionomia del paesaggio, in L. Bonesio, M. Schimidt di Friedberg ( a cura di), L'anima del paesaggio tra estetica e filosofia, cit., pp.20-21.

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che si tratti di esperirlo sensibilmente, sia che, come vedremo più

avanti, lo si modifichi fattivamente e lo si consideri, in senso lato

ambiente in cui viviamo.

Nel caso dell'esperienza sensibile della natura come paesaggio,

non si tratta di una semplice proiezione soggettivistica di stati

d'animo interiori verso lo spazio esterno che si apre di fronte a noi e

che dopo verrebbe qualificato come paesaggio50.

Qualsiasi raffigurazione o descrizione del paesaggio è

un'operazione creativa, “soggettiva” in cui entra in gioco sempre il

nostro contemplare, il fare l'unità di una datità disgiunta e

frammentaria. Quando lo esperiamo, non proiettiamo su di esso stati

d'animo come pure non realizziamo una fusione indistinta nella natura,

ma -pur trovandoci in essa- ne prendiamo le distanze, ci poniamo di

fronte ad essa, delimitandola con un distacco che è garanzia

dell'oggettività dell'apprensione51.

Esso, benché sia separato e indipendente è anche legato

insieme attraverso un che di invisibile, un che di instabile, di

fluttuante52. Stiamo parlando della Stimmung: è il sentimento che 50 Cfr. R. Visher, Sulla contemplazione estetica della natura, cit..51 G. Simmel, Filosofia del paesaggio, cit., p. 77 << Il paesaggio ci sta di fronte ad una distanza

che è fonte di obiettIvità>>.52 Ivi, p. 72<<Il principio costitutivo dell'unione non è un'idea o un'essenza spirituale, ma “il

sentimento di una visione in sé compiuta, sentita come autosufficiente e d'altra parte intrecciata con qualcosa di più esteso, fluttuante, con la “tonalità naturale”>>.

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aleggia di fronte alla natura, che non preesiste al paesaggio.

Essa è <<l'universale in cui tutti i particolari si incontrano, pervade

tutti i suoi singoli elementi, spesso senza che si possa stabilire di essi

quale ne sia la causa; in un modo difficilmente definibile ciascuno ne

fa parte- ma essa non esiste al di fuori di questi apporti, né è composta

da essi>>53.

Il paesaggio per Simmel è una forma spirituale: non si tratta di

un accostamento casuale di elementi naturali ma di un qualcosa che

<<vive solo in grazia della forza unificatrice dell'anima, come un

intreccio del dato con la nostra creatività, una trama che non è

esprimibile da un paragone meccanico>>54.

Quando ci riferiamo alla Stimmung, altrimenti traducibile

come tonalità spirituale, sentimento o atmosfera di un paesaggio, non

intendiamo una proiezione soggettivistica sul visibile, ma un dis-

velamento di una forma, una combinazione di luci e ombre, di

sensibile e “ideale”; non ci riferiamo ad essa come un che di

preesistente alla percezione ma neanche ad un'idea nel senso

tradizionale. Laura Boella interpreta la Stimmung simmeliana come un

carattere proprio della natura vista con gli occhi dei moderni: essa è

53 Ivi, p.79.54 G. Simmel, Filosofia del paesaggio, cit., p.81.

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<<l'altra faccia del suo costituirsi in unità, è l'orizzonte di

inconoscibilità, di parzialità e frammentarietà il cui costante oscurarsi

e illuminarsi, emergere e nascondersi, definisce la condizione

generale della modernità>>55.

Simmel affronta la problematica scissione tra l'attività

formatrice del paesaggio e il sentimento che esso suscita nell'animo di

chi lo contempla: in questo modo può far del paesaggio non un

fenomeno volatile e soggettivistico, ma riesce ad attribuirgli la dignità

di oggetto di giudizio e di godimento estetico, superando la ritrosia di

chi veda nella tonalità spirituale soltanto come sentimento personale,

lirico o letterario. Per semplificare introduce l'esempio dell'innamorato

che guarda la persona amata non in sé, per quella che è, cioè

oggettivamente: <<La persona amata non viene mai vista

obiettivamente; la sua immagine nasce insieme all'amore, e proprio

chi ama non saprebbe dire se il trasformarsi dell'immagine abbia

provocato l'amore, o l'amore abbia provocato questa

trasformazione>>56. L'immagine della persona amata (che

metaforicamente rappresenta l'unità visiva del paesaggio) è stata

trasformata allora dall'amore (nel nostro caso, la tonalità spirituale del

55 L. Boella, Dietro il paesaggio. Saggio su Simmel, cit., p.63.56 G. Simmel, Filosofia del paesaggio, cit., p. 80.

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paesaggio) o è l'amore ad aver provocato questa immagine?

Questo è il medesimo quesito che possiamo porci

relativamente all'apprensione estetica del paesaggio: viene prima

l'attività formatrice e la rappresentazione unitaria del paesaggio o,

viceversa, essa è il prodotto del sentimento che la natura, non ancora

unificata, suscita in noi? Il problema secondo Simmel è mal posto: si

tratta di una scomposizione operata dalla nostra mente di un unico

processo, pensato in termini erronei di consequenzialità tra un Io che

vede e uno che sente57. Non si tratta quindi di una proiezione

sentimentalistica e particolare di uno stato d'animo, in quanto <<ciò

che si intende per tonalità spirituale di un paesaggio è assolutamente e

soltanto la tonalità di questo paesaggio, e non può mai essere quella di

un altro>>58. Le determinazioni aggettuali che possiamo attribuire di

volta in volta ai vari paesaggi (sereno, triste, monotono, tempestoso) si

collocano su di uno strato o livello secondario, successivo alla

determinazione originaria. <<La Stimmung che gli è immediatamente

propria e che con il mutamento di qualsiasi linea diventerebbe diversa, 57 Ivi, p.83; G. Maragliano, Il soggetto e il paesaggio.La moderna opera di paesaggio tra norma

e storia., documento di lavoro dell'Università di Urbino, Centro internazionale di Semiotica e Linguistica, n.193-194, aprile-maggio 1990, in specie 16-20, p.9 <<Tale legalità si fonda per Simmel, come già per Carus, su quella che egli chiama la “Stimmung”, la tonalità spirituale del paesaggio. Ineffabile sentimento dell'insieme, “accordatura” il cui tratto distintivo non è reperibile nei singoli elementi che la compongono, la tonalità spirituale interna è al fondo la stessa cosa dell'unità visiva esterna, in modo tale che fra questi due momenti non vi è un rapporto di causa ed effetto, quanto cooriginarietà>>.

58 Ivi, p.82

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gli è connaturata, è indissolubilmente legata alla sua unità

formale>>59.

Il paesaggio nasce da una lacerazione rispetto al sentimento

unitario della natura e ha in sé una contraddizione: l' aspirazione del

singolo ad essere totalità e il ruolo che impersona come funzione della

totalità. Abbiamo visto che, il paesaggio pur nascendo da una

<<lacerazione rispetto al sentimento unitario della natura

universale>>60 e pure essendo una struttura particolare, accoglie

dentro di sé qualcosa senza limite. Esso non incarna delle lacerazioni,

al contrario, <<pur essendo qualcosa di individuale, di chiuso, di

pago, resta legato senza contraddizioni alla natura e alla sua unità>>61.

Nel paesaggio riescono ad essere conciliate l'individualità che

proviene dallo sguardo delimitante dell'uomo, che vede e sente, e il

legame originario della forma-frammento paesaggio con l'universalità

della natura.

Il moderno crea un'immagine nuova di natura come

paesaggio:62 il paesaggio viene ad essere un momento della tensione 59 Ibidem, <<La tonalità spirituale significa il carattere generale di questo paesaggio, quel

carattere, cioè, che non è fissato in nessun singolo elemento di questo paesaggio, ma non è l'elemento generale di molti paesaggi, la tonalità spirituale e il farsi di questo paesaggio, cioè la formazione unitaria di tutti i singoli elementi, possono definirsi come un solo e medesimo atto, come se le molteplici facoltà della nostra anima, quelle visive e quelle del sentimento, espreimessero ciascuna nel suo tono, all'unisono la medesima parola>>.

60 Ivi, p.73.61 Ivi, p.74.62 L. Boella, Dietro il paesaggio, cit., p. 63, 132 <<Mai come nella modernità è forte il bisogno e

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tra natura ed esigenze dello spirito, di cui rappresenta la conciliazione,

così come abbiamo già detto, esso assolveva a questo compito anche

nella filosofia ritteriana, entro la quale ri-entrare nella natura tramite

di esso, voleva dire togliere non solo ricomporre in sé il kosmos, ma

anche superare, come vedremo, le scissioni tra modi opposti -sistema

tolemaico e copernicano- di guardare ad essa.

I.2.3 Paesaggio: lo stato d'animo della natura

Rosario Assunto si mostra critico circa la possibilità di una

riduzione del paesaggio a semplice stato d'animo. Lo spunto per

affrontare il tema è fornito dalla lettura banalizzante della frase <<Il

paesaggio è uno stato d'animo>>63, contenuta all'interno di un testo di

Federico Amiel, studioso di Hegel, che rischia di determinare

l'attribuzione di un giudizio estetico non in merito al paesaggio ma in

merito allo stato d'animo di chi ne è il contemplatore, con l'esito di

ridurre il complesso fenomeno paesaggio a mera materialità, fornendo

di fatto un alibi alla mancanza di rispetto verso lo stesso, vedasi la

speculazione edilizia e l' industrializzazione.

la possibilità della totalità, della pienezza di senso, ma mai come nella modernità essa si è rivelata inaccessibile, si è data come orizzonte di mancanza e di inattingibilità, di indeterminatezza>>.

63 R. Assunto, Il Paesaggio e l'estetica, cit., p.116 <<Un paysage quelconque est un état de l' åme>> in H.F. Amiel, Fragments d'un journal intime, nouvelle édition, Paris, Editions Stock,1949, p.75.

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Nella corretta lettura che per Assunto andrebbe data alla frase,

il paesaggio sarebbe portatore di un significato oggettivo: il paesaggio

verrebbe ad essere lo stato d'animo della natura che noi potremmo

apprendere tramite la sintesi poetica:

<<[...] Gli stati d'animo suscitati dal paesaggio sono portatori di un significato oggettivo che solo poeticamente, e non scientificamente, sarà possibile affermare >>64.

Nell' apprendimento degli stati d'animo della natura, noi

cogliamo quindi un che di oggettivo. Come spiegare quanto appena

affermato? L'elemento che contraddistingue l'esperienza della natura

come paesaggio è che ci troviamo in essa: non la esperiamo dal di

fuori e con un certo distacco, come accade nell'apprensione di una

pittura65 ma ne siamo al suo interno, così come quando ascoltiamo la

musica66.

E' proprio il vivere nella natura che ci rende capaci di

comprendere perché il paesaggio sia portatore di un significato

oggettivo. Così afferma Assunto: <<Con quel vivere nel paesaggio

che abbiamo ormai acquisito essere nota fondamentale dell'esperienza

64 Ivi, p.117.65 Cfr. A.Carlson, Aesthetics and the environment, The appreciation of nature, art and

architecture, Routledge 2000, pp.5-11.66 R. Assunto, Il Paesaggio e l'estetica, cit., p.123 <<[...]dobbiamo, assimilare la musica al

paesaggio (come alla città, all'architettura), in quanto realtà estetica di cui facciamo esperienza, per così dire, dal di dentro: vivendo in essa, e non situandoci di fronte ad essa osservandola come si osserva in teatro uno spettacolo>>.

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estetica del paesaggio, della unità in esso [...] dello stato d'animo

soggettivo (il piacere ovvero la sofferenza che quel paesaggio arreca a

noi in quanto ci troviamo in esso, ed il contemplarlo è costitutivo del

trovarcisi) e di quello che ricordandoci di Amiel, possiamo chiamare

stato d'animo della natura: più propriamente, qui, il significato

oggettivo di cui ogni paesaggio, in quanto è immagine di se stesso, è

portatore. Unità di soggettivo godimento (o soggettivo malore) e

significato oggettivo, del quale in questo stato d'animo prendiamo

coscienza>>67.

Lo stato d'animo 'soggettivo' del contemplatore e lo stato

d'animo oggettivo della natura sono legati insieme: il primo infatti ha

la propria condizione oggettiva nell'essere dei particolari luoghi68. Per

rendere più chiaro quanto Assunto afferma, possiamo dire che lo stato

d'animo soggettivo di piacere si accorda ad un bel paesaggio naturale,

in cui la vita si rallegra di sé, del proprio esser viva fisicamente;

viceversa, lo stato d'animo d'orrore si accompagna ad un luogo che

oggettivamente apporta disagio fisico, nausea e irritazione, come

avviene in una città industrializzata. Il contemplare si fa un tutt'uno

col vivere in ciò che contempliamo, generando delle interconnessioni

67 Ivi, p.122.68 Ibidem.

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tra l' esperienza particolare, soggettiva (spirituale e corporea) e

l'oggettività del luogo.

Sgomberato il campo da eventuali interpretazioni

soggettivistiche del paesaggio, Assunto si riferisce all' esperienza

estetica del paesaggio parlando di essa nei termini di una

contemplazione attiva:

<<Contemplazione attiva […] avente per oggetto il paesaggio: un

oggetto che viene contemplato in quanto è vissuto ed in quanto è per

se stesso una realtà vivente la quale gode di una mutabilità secondo

secondo i giorni (anzi, secondo le ore, e secondo le temperie), che lo

differenzia dalle opere d'arte e condiziona il piacere che da essa noi

prendiamo>>69.

La natura come paesaggio deve essere esperita e contemplata

attivamente nel suo mutare inarrestabilmente nel tempo; la

contemplazione mette il soggetto in gioco per intero, anche

corporeamente70:<<Visione, ascolto; e odorato, e sapori e tatto: la

contemplazione della natura, quando ci troviamo in un paesaggio, è

identificazione di tutto il nostro essere, senza distinzioni tra spirito e

69 Ivi, p.354, Ivi, p.120<<non c'è di qua colui che contempla e di là l'oggetto contemplato, la natura: ci sono io che contemplo (ognuno di noi in quanto contempla) e che vengo modificato dall'oggetto (qui: la natura di cui, contemplandola, abbiamo esperienza estetica) il quale oggetto, a sua volta, ci risulta come viene modificato dalla nostra contemplazione>>.

70 Ivi, p.359

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corpo>>71.

Il nostro contemplarlo si fa un tutt'uno con il nostro esserne parte, con

il viverlo e con il vivere del paesaggio. Nel godere esteticamente di un

paesaggio il soggetto prova un piacere che può dirsi gioia, che è però

<<qualcosa più della sua elementare fisicità ( ed è anche qualcosa in

più di ogni piacere dei sensi in quanto sia semplicemente vissuto)72

perché nell'esperienza estetica del paesaggio il nostro piacere si

oggettiva nell'ambiente da cui lo prendiamo [...] e diventa oggetto di

contemplazione come lo stato d'animo che Amiel trovava nel

paesaggio>>73.

Nell'esperienza estetica del paesaggio non esiste quindi una

scissione tra mente e corpo74, ma il soggetto è interamente coinvolto e

gioisce, laddove il paesaggio lo permetta, della possibilità di vedersi

come parte della natura:

<<Il paesaggio con i suoi aromi, ma anche con i suoi colori, le sue luci. Col suo cielo, le sue acque, le sue rocce, la sua vegetazione, i suoi uccelli, insetti e animali d'ogni sorta; che arriva ai nostri polmoni, ci entra letteralmente, nel sangue, e si spande per le membra, facendoci sentire una cosa sola con la natura: ed esalta il nostro essere nella natura, la natura che è in noi, e la ravviva; e ne fa oggetto di godimento, per l'anima, suscitando in noi la gioiosità del nostro

71 Ivi, p.12972 Ivi, p.13073 Ivi, p.13374 Ibidem <<La contemplazione della natura, nel nostro essere in un paesaggio, come suscitatrice

di un sentire nel quale il pensiero si media, possiamo dire, con la fisicità, e le sensazioni diventano pensiero nella misura stessa in cui il pensiero si fa sensibile>>.

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identificarci con la natura, di fare della sua letizia la nostra gioia>>75.

II. La bellezza e la scienza (Il Regno di Prometeo)

II.1 Quel che la scienza non dice.

<<L'intelletto, privo di bellezza dello spirito, è simile a un servizievole garzone che costruisce una staccionata con del rozzo legno e inchioda l'uno all'altro i pali

squadrati, per il giardino che il suo padrone vuole coltivare. Tutta l'attività dell'intelletto è opera di necessità […]. La ragione priva di bellezza dello spirito e del cuore, è come un guardiano che il padrone di casa ha imposto ai servi; quegli

sa altrettanto poco quanto i servi che cosa debba nascere da tutto quel lavoro interminabile e grida soltanto: sbrigatevi, e vede quasi mal volentieri che il lavoro

avanzi, perché, alla fine non avrà più nulla da fare e il suo compito sarebbe inutile. […] Dalla pura ragione non nasce filosofia alcuna perché la filosofia è più di

75 Ivi, p.130

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quanto sia la cieca esigenza di un interminabile progresso nell'analisi e nella sintesi di una qualsiasi possibile materia>>76

<<Chi non preferisce il grappolo d'uva turgida e fresca così come sta appeso al tralcio agli acini colti e disseccati che il mercante manda per il mondo? Che cos'è

la saggezza di un libro di fronte alla saggezza di un angelo?>>77

Dopo aver indicato le modalità di scoperta e di percezione

attiva della natura come paesaggio, esteticamente mediata da parte

del soggetto contemplante, ci apprestiamo a rilevare i limiti della

concezione meramente scientista della natura.

Lo scientismo produce un allontanamento dell'uomo dalla

natura, rendendone la relazione astratta e fredda, privandolo di fatto di

una apprensione diretta, viva e spontanea di essa. Questo approccio

finisce per oscurare ogni qualità in quanto non accertabile

strumentalmente e, quindi, anche la bellezza, degradata a mero

epifenomeno. Di qui l'impossibilità di cogliere la natura come

paesaggio e la sua perdita. Di contro, ciò che si valuta è l'utilità, la

capacità della natura di servire all'uomo, se ne coglie solo l'elemento

materiale, concreto, accertabile con misurazioni. Ci troviamo di fronte

a due alternative: ridurre il paesaggio a fenomeno oggettivo e

misurabile, producendone di fatto la perdita, oppure crederlo un 76 G. V. Amoretti (a cura di), F. Hölderlin, Iperiore o l'eremita in Grecia, Feltrinelli, Milano 1981,

p.10377 Ivi, p.78

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fenomeno effimero, volatile, ipersoggettivo.

Del paesaggio è proprio la qualità, la diversità - per dirla con

Assunto la presenza dell'infinito nel finito- che viene raschiata via

dallo spazio in quanto desta scandalo nel pensiero analitico in cui la

ragione, ridotta a computisteria, esorcizza quel che non comprende

come inesistente o irrazionale78.

Dal nostro canto, ci auguriamo di superare entrambi gli

atteggiamenti, mostrando l'esigenza di considerare le qualità e la

bellezza del paesaggio parte integrante dell'esistenza, sicuramente non

accertabili con strumenti di precisione, ma inquadrabili entro

l'orizzonte vasto e complesso dell'umano, dello spirituale e,

conseguentemente, delle scienze dello spirito, troppo spesso bistrattate

e ricondotte a forme secondarie di conoscenza, se non addirittura

irrazionali.

Pur consapevoli che spesso ogni discorso che non si occupi di

quantità e di calcolabilità appaia patetico o retrò ad una società come

la nostra, impegnata a computare e a monetizzare, il ritorno all'estetico

e al recupero del paesaggio, non si configura come una fuga illusoria

dalla realtà, un gioco, ma permette invece di ricucire lo strappo tra due

78 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.158

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modalità di approccio nei confronti della natura, il sistema tolemaico e

quello copernicano. Ri-entrare nel paesaggio è riapprezzare la natura:

riannodare quel cordone ombelicale che ad essa ci lega, del quale

spesso siamo dimentichi. Scopo della scienza non dovrebbe essere

dominare la natura, ma vivere in armonia con essa.

II.1.1 Una scienza antiestetica

Conoscere la natura tramite scienza significa occuparsi di

spazio quantificabile e misurabile: essa è conosciuta concettualmente

e se ne indagano le forze, mettendo in luce il perfetto determinismo

causalistico.

L'istanza ultima di una visione oggettiva della natura è di conoscerla

attraverso strutture mentali astratte, distanzianti l'uomo dalla natura e

rinneganti qualunque contatto diretto, immediato entro cui sarebbe

invece possibile coglierne un valore che esuli da considerazioni di

stampo speculativo o utilitaristico. La freddezza del comportamento

nei confronti della natura ha dato enormi vantaggi alla ricerca

scientifica, ma di contro ha ridotto la sensibilità e allontanato da

un'esperienza ricca e spontanea di essa79.

79 A. Naess, Dall'ecologia all'ecosofia, dalla scienza alla saggezza, in M. Ceruti, E. Lazlo (a cura di), Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano 1988 p.455 <<L'allontanamento da un'esperienza ricca e spontanea della natura ha fatto sì che talune strutture astratte, o anche i

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La natura non è studiata perché è bella ma in quanto, se dominata,

cioè se ridotta ai nostri fini e scopi, ci è utile. La scienza occidentale,

così come chiarisce Bateson, si basa su un assunto antiestetico:

<<qualità e bellezza non hanno dignità scientifica, all'interno di una

rigida concezione meccanicistica in cui contano solo qualità, misure e

numeri>>80. Questo processo, se da un lato permette un avanzamento

gnoseologico rivelante, di contro impoverisce e disincanta il mondo,

rendendolo una fredda macchina in cui tutto -o quasi- è computabile e

prevedibile ed è visto in ragione del raggiungimento di un certo fine.

Non si riconosce alcun valore che non sia legato alla sfera del pratico,

dell'utile, delle capacità manipolative dell'uomo sulla Terra e sul

mondo.

La scienza insomma, occupandosi esclusivamente di

manipolare, sfruttare la natura, elimina la bellezza che della natura è

qualità: essa presenterà un mondo identico a se stesso, standardizzato,

reso forse meno pauroso, perché più controllabile81. L'uomo sarà forse

meno sperduto in immensi spazi che non riesce a decifrare e che ora

comprende attraverso numeri e formule, ma si troverà certamente in

modelli scientifici di tali strutture, siano state prese arbitrariamente per il contenuto stesso della realtà>>.

80 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, Cortina, Milano 1998 cit., p. 30.81 P. Rossi, Atteggiamenti dell'uomo verso la natura, in M. Ceruti, E. Lazlo (a cura di), Physis:

abitare la terra, cit., p.198, cit. E. Zolla 1966, 306,312 <<La scienza spegne la bellezza. Odia la contemplazione>>.

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un mondo progressivamente meno bello, meno misterioso, più

disincantato:

<<Oggi, [..] a causa della prevalenza della ragione strumentale unicamente preoccupata di selezionare, classificare, controllare, dominare i propri oggetti, il senso, che un tempo pervadeva ogni aspetto dell'esperienza umana, “ si ritira” producendo quell'atmosfera di disincanto (eclisse degli dei) >>82.

L'esito delle scelte dettate da logiche utilitaristiche nei confronti della

natura sarà la perdita di ogni valore che non sia l'utile, la scomparsa

della bellezza e ripercussioni gravissime su noi stessi e l'ambiente di

cui facciamo parte. Scienza insomma come violazione dell'ordine

armonioso che lega uomo e natura, cognizione di cose morte, sottratte

al flusso della vita, in cui le teorie e le astrazioni vanno interpretate

come forme di nascondimento al flusso della vita83.

Concludiamo con le illuminanti parole di Iperione

dell'omonimo romanzo di Hölderlin, di cui rileviamo una interessante

consonanza con l'argomento trattato: egli spiega che si allontana dalla

natura, entro cui è immerso in una forma di estasi panteistica, nel

momento in cui comincia a riflettere secondo scienza: << Essere uno

con tutto ciò che vive e ritornare in una felice dimenticanza di se

stessi, al tutto più alto del pensiero e della gioia, è la sacra cima del

82 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, cit., p.147; I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino 1999, p. 30.

83 P. Rossi, Atteggiamenti dell'uomo verso la natura, in M. Ceruti, E. Lazlo (a cura di), Physis: abitare la terra, cit., p.199.

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monte, è il luogo dell'eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa,

il tuono la sua voce e il mare che freme e spumeggia assomiglia

all'onde di un campo di grano. […] Sovente mi innalzo a questa

altezza, ma un momento di riflessione mi butta giù. Rifletto e […] la

natura mi chiude le sue braccia e io sto come un estraneo e non la

comprendo. Oh! Non avessi mai frequentato le vostre scuole! La

scienza che ho seguito sino al fondo del suo pozzo e dalla quale io

folle, attendevo la conferma della mia pure gioia, mi ha sciupato ogni

cosa. Sono diventato presso di voi, un individuo così ragionevole, ho

imparato a distinguermi perfettamente da ciò che mi circonda e sono

ormai isolato in questo mondo bello, sono stato scacciato dal giardino

della natura, dove ho vissuto e sono fiorito, e mi inaridisco nel sole del

meriggio. Oh, un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando

riflette e, quando l'estasi si è dileguata, si ritrova come un figlio

fuorviato che il padre cacciò via di casa e contempla i miseri centesimi

che la pietà gli ha dato per il suo cammino>>84.

II.1.2 La concezione riduzionistica dello spazio e del tempo

Perché occuparci di un approccio scientista dello spazio se

stiamo trattando di paesaggio?84 G. V. Amoretti (a cura di), F. Hörderlin, Iperione o l'eremita in Grecia, cit., pp.29-30.

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E' chiaro che se lo spazio è solo spazio e nient'altro che spazio, il

paesaggio di cui godiamo esteticamente, senza considerazioni di sorta

di stampo manipolativo e utilitaristico, scompare. Così come lo spazio

è stato ridotto a semplice superficie da sfruttare, di cui non è colto

nessun valore che non sia l'utile, anche il tempo ha subito la stessa

sorte, per cui lo si è considerato semplice parametro, disgiunto

dall'esperienza umana. La natura si pensa come avente una temporalità

metastorica: in questo modo è più congeniale poterla fare oggetto di

dominio prima conoscitivo e successivamente anche nella pratica.

<<La scienza -si dice- ha dato troppo spazio allo spazio,

ignorando il tempo>>85: essa ha così oscurato il legame più importante

che lega l'uomo alla natura. Lo spazio è infatti sempre spazio vissuto

nel tempo, quindi connesso alle vicende individuali e insieme storiche

dell'uomo e invece, esso è stato brutalmente spazializzato dalla

scienza occidentale. Non rimane così nessuna traccia della

temporalità che esperiamo sensibilmente86. Il tempo-parametro

elimina la storia, la memoria, non si cala nemmeno nella natura, entro

cui invece esistono ritmi ciclici, biologici, naturali87. La natura

85 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, cit., p. 28.86 Questo tipo di temporalità è stata rivalutata nel Novecento anche dagli scienziati, vedi scoperta

secondo principio termodinamica, cfr. I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, cit.

87 Cfr. E. Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, in M. Ceruti, E. Lazlo (a cura di), Physis: abitare la terra, cit.

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insomma, vista con gli occhi della scienza, è astratta e incompatibile

con la storia e l'esistenza.

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II.1.3 Sistema copernicano e sistema tolemaico.

<<Il paesaggio è natura nella sua totalità, nella misura in cui questa, in quanto mondo “tolemaico”, è parte dell'esistenza dell'uomo. Essa esige una formulazione e una rappresentazione estetica, laddove invece la natura “copernicana”, non comprendendo in sé il paesaggio, gli resta del tutto estranea>>88.

Per poter spiegare le differenze tra i due sistemi è necessario rifarsi al

carattere assolutamente disinteressato dell'esperienza estetica del

paesaggio di cui Ritter ci illustra: si parla di paesaggio non quando

osserviamo dei singoli elementi naturali in quanto tali, ma quando,

con sensibilità e partecipazione, ci rivolgiamo ad essi senza uno scopo

pratico, ma con un “libero” godimento contemplativo. L'utilità quindi

è estromessa dai territori della bellezza. Ci piace qualcosa non in vista

di uno scopo, ma col fine di trovarci, come uomini, all'interno della

natura89:il frui, nel sistema tolemaico si contrappone all'uti.

Al contrario, nel caso del sistema copernicano, abbiamo a che

fare con un interesse verso la materia e le forze operanti della natura e

con dei fenomeni esterni, che ci svelano qualcosa di essa ma che

certamente tengono nascosta la parte più intima, per la quale è

necessaria la mediazione estetica. La natura copernicana è oggettiva,

liberata dal contesto dell'esistenza e dell'intuizione.

88 J. Ritter, Paesaggio. La funzione dell'estetico nella società moderna, cit., p.129.89 Ivi, p.119.

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La totalità naturale che fa parte della nostra esistenza sotto forma di

cielo e terra, non può più essere espressa in quanto tale in modo

concettuale, scientifico, copernicano:

<<Quando il cielo e la terra dell'esistenza umana non sono più conosciuti e definiti a livello scientifico- come invece accadeva nell'antichità grazie ai concetti della filosofia-, è allora compito della poesia e dell'arte esprimerli esteticamente come paesaggio>>90.

Ci chiediamo allora se, interpretare la natura come paesaggio,

attraverso strumenti non scientifici per mezzo dei quali esso non si

darebbe e non avrebbe ragion d'essere, possa essere universale e

valido, allo stesso modo di una lettura della natura in chiave

scientifica.

II.1.4 Verità estetica: pittura e poesia

Aristotele sosteneva che <<ciò con cui l'anima coglie il vero

sono cinque attività: l'arte, la scienza, la saggezza pratica, la sapienza

teoretica e l'intelletto>>91.

L'esperienza estetica del paesaggio è vera allora? Può dirsi universale

così come la conoscenza della natura in chiave scientifica?

90 Ivi, p.129.91 G. Cunico (a cura di), J.Ritter, Origine e senso della “theoria”, in Metafisica e Politica. Studi

su Aristotele ed Hegel, Marietti, p.23: la citazione appartiene ad Aristotele, EN VI 3,1139b 15-17.

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<<Nell'epoca storica in cui la natura con le sue forze e i suoi elementi diventa l' “oggetto” delle scienze naturali, nonché delle tecniche di sfruttamento e di manipolazione che su tali scienze si basano, la poesia e l'arte figurativa assumono il compito di comprendere- in maniera non meno universale- quella medesima natura nel suo rapporto con la sensibilità dell'uomo, e di presentarla sul piano estetico>>92.

Per Ritter la risposta è affermativa. L'arte ha certamente una sua

verità, diversa dalla verità logica, data dal sentire e dalla percezione:

l'arte bella ha così una sua peculiare verità, una verità il cui terreno è

dato dal sentire e dalla percezione sensibile, e cioè una “verità

estetica”93.

Mentre la verità logica implica l'astrazione da ogni elemento sensibile

dalla sfera dell'esistenza e dall'intuizione della natura94, che quindi non

si darà mai come paesaggio, sarà compito della conoscenza sensibile

generare sul piano estetico e poetico l'immagine e la parole grazie a

cui la natura può mostrare la propria appartenenza alla nostra esistenza

e far valere la propria verità.

92 J. Ritter, Paesaggio. La funzione dell'estetico nella società moderna, cit., p.124.93 H. Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi editore, Torino 1964, p.146 <<L'estetica è la “sorella” e

allo stesso tempo la controparte della logica. L'opposizione al predominio della ragione caratterizza la nuova scienza: “...non la ragione ma la sensorietà (Sinnlichkeit) è l'elemento costitutivo della verità o falsità estetica. Ciò che la sensorietà riconosce o può riconoscere come vero, l'estetica può rappresentarlo come vero, perfino se la ragione lo rifiuta come falso”. E Kant affermò nella sua antropologia: “...si possono stabilire leggi universali alla sensorietà (Sinnlichkeit) esattamente come si possono stabilire leggi universali alla comprensione: esiste cioè una scienza della sensorietà, e precisamente l'estetica, e una scienza della comprensione, e precisamente la logica”. I principi e le verità della sensorietà costituiscono il contenuto dell'estetica e “ l'obiettivo e lo scopo dell'estetica è la perfezione della cognizione sensoriale. Questa perfezione è bellezza>>.

94 Ivi, p.127.

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Van Gogh parlando della capacità di “stenografare la natura” che gli

ha rivolto la parola, dirà:

<<La mia stenografia può presentare delle parole indecifrabili, errori o lacune, ma qualcosa è certamente rimasto di ciò che hanno detto qual bosco, quella spiaggia, quella figura >>95.

Risulta chiaro che quanto la scienza svela non contiene un che

di intimo e profondo che, al contrario, solo attraverso la mediazione

estetica trova il modo di essere espresso.

I pittori hanno dischiuso la natura ai nostri occhi, conducendoci

davanti alla vita della terra, mostrando come tutto cresca e muti, come

torni a destarsi l'inverno, come l'albero primaverile si schiuda a

possibilità lontane96.

Nell'arte, come sostiene H. Lützeler, <<la soggettività

dell'uomo creativo non esclude la conoscenza oggettiva, la rende anzi

possibile, e le conferisce un colore e una precisione altrimenti

irraggiungibili>>97.

II.1.5 Alcune considerazioni sulla pittura di paesaggio

In quanto arte, la pittura di paesaggio conosce la natura,

universalmente ma in modo diverso rispetto alla scienza.

95 Ivi, p.125.96 H. Lützeler, L'essenza della pittura di paesaggio, in L.Bonesio, M. Schmidt di Friedberg,

L'anima del paesaggio tra estetica e geografia, cit., p.122.97 Ibidem.

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Essa nasce tardi. Perché, così come il termine “paesaggio”, di cui le

prime attestazioni risalgono al pieno Rinascimento con Tiziano,

155298, la stessa pittura ha origini relativamente recenti?

Molte sono le motivazioni che potremmo addurre, alcune delle quali

riguardano il modo in cui l'uomo si considera in relazione al tutto: nel

Medioevo per esempio lo splendore divino avvince a tal punto l'artista

che il suo sguardo perde ogni interesse per la natura come totalità e

quindi, per il paesaggio99, così come pure ai popoli primitivi non

veniva in mente di dipingere paesaggi: <<si percepivano infatti come

parte della natura, e non come posti di fronte ad essa. [..] Né nell'arte

preistorica, né presso i popoli primitivi o presso i popoli contadini, si

ritrova una pittura di paesaggio. In questi casi si tratta di popoli

profondamente coinvolti nella vita cosmica, a stento distinguibili da

essa>>100.

La pittura di paesaggio è spia del modo in cui l'uomo si

percepisce nel mondo e quindi, nella natura, è cioè sintomo della

collocazione non solo fisica, ma anche esistenziale. Per potersi

collocare nel paesaggio, è necessario che l'uomo imbocchi la via verso

98 G. Bertone, Lo sguardo escluso. L'idea di paesaggio nella letteratura occidentale, Interlinea edizioni, p.XII.

99 Ivi, p.93.100 Ivi, p. 100.

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di esso: <<è' sempre l'uomo che imboccala via del paesaggio, in virtù

di una decisione interiore>>101. La pittura di paesaggio è possibile solo

laddove l'uomo fa esperienza della natura come ciò che gli sta di

fronte. Essa rappresenta una sorta di processo di <<autoscoperta e di

autoformazione dell'uomo>>102, attraverso cui, alla luce dei vari

generi, possiamo desumere le modalità del porsi-di-fronte-alla natura.

Essa presuppone un'autodelimitazione dell'uomo rispetto alla natura:

dipingo la natura se da essa fuoriesco e non mi percepisco più un

unicum con la vita cosmica o divina103.

Altre motivazioni riguardano ancora -ed è questo che in

questa sede più ci interessa- l'eccessiva importanza attribuita alla

ragione104: <<Un paesaggio sconfinato e privo di ordine, degradante in

innumerevoli sfumature atmosferiche, non può che ripugnare a uno

spirito ossessionato dalla misura e dal numero>>105. Questa è la

spiegazione del disciplinamento, all'interno della pittura di paesaggio

francese, dell'elemento irrazionale, che è trattenuto in un processo

determinato di messa in forma: viene attribuito un ordine ad ogni

paesaggio e il quadro è ordinato sul modello della facciata di un

101 Ivi, p. 97-98.102 Ivi, p. 96.103 Ivi, p. 100.104 Ivi, p.94.105 Ibidem.

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edificio, come pure l'architettura, al suo interno, tende a rappresentare

la forza dell'umano sulla natura. Esempi ne sono le opere di Nicolas

Poussin (1594-1665) e di Claude Lorren (1660-1682), entrambi

abitanti di città e, proprio in quanto tali, più in grado di cogliere

l'elemento naturale dal quale si trovavano lontani.

Molti sono i generi attraverso cui la pittura di paesaggio si è

espressa nel tempo -il paesaggio concreto, il paesaggio sentimentale, il

paesaggio cosmico- e in tutti, anche in mancanza di figure umane al

loro interno, l' oggetto è sempre uno: l'uomo all'interno della natura.

In alcuni generi (per esempio nel paesaggio di ambiente) la natura

appartiene all'uomo, in altri (paesaggio cosmico) cresce la profondità e

la lontananza spaziale: il singolo scompare e si impone il tutto, la

natura, alla quale l'uomo appartiene106.

<<L'uomo è colui che guarda, che vede, che sente, che crede, che è

consegnato alla terra e teso verso l'universo, legato agli strati

sotterranei del mondo come a quelli sovraterrestri>>, commentaH.

Lützeler107.

Paesaggio in pittura come un vero e proprio fenomeno

106 H. Lützeler, L'essenza della pittura di paesaggio, in L. Bonesio, M. Schmidt di Friedberg, L'anima del paesaggio tra estetica e geografia, cit., pp.103-119.

107 Ivi, p.119.

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antropologico, come arte che è in grado di dirci qualcosa che la

scienza non vede, che non riesce a cogliere, impegnata in

computazioni e calcoli. L'arte di paesaggio dice qualcosa di noi, o

meglio, della relazione che intessiamo, ieri come oggi, con la natura.

II.1.6 Sempre caro mi fu quest'ermo colle...

Dal punto di vista poetico, Giacomo Leopardi riesce a dire del

paesaggio ciò che non può essere detto attraverso discorsi perfetti.

Citando Vico attraverso Assunto, sosteniamo che bisogna, in alcuni

casi, << rifuggire dagli aspetti usuali del vero per configurarli in

aspetti ancora più smaglianti>>108. Così, la descrizione di un

paesaggio non si dà attraverso le consuete definizioni spaziali, ma

attraverso le parole poetiche de L'Infinito:

<<Sempre caro mi fu quest'ermo colle,E questa siepe, che da tante parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.Ma sedendo e mirando, interminati Spazi al di là da quella. E sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il ventoOdo stormir tra queste piante, io quelloInfinito silenzio a questa voceVo comparando: e mi sovvien l'eterno,E le morte stagioni, e la presenteE viva, e il suon di lei. Così tra questa

108 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.20.

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Immensità, s'annega il pensier mio:E il naufragar m'è dolce in questo mare>>109.

L'essenza del paesaggio è per R. Assunto <<presenza

dell'infinità nella finitezza dello spazio limitato>>110. L'animo del

poeta fa i conti con uno spazio non misurabile o geometrizzabile, che

va oltre i limiti dello sguardo. Attraverso questo scarto riesce a

cogliere, poeticamente, l'esperienza dell'immenso e dell'infinito,

certamente non interpretabili alla luce di considerazioni scientifiche

ma facenti parte di un orizzonte astratto che riceve lo stimolo da

un'esperienza viva e vissuta111.

Alla precisione geometrica delle dislocazioni spaziali dei

primi versi, corrisponde, poco dopo, un'apertura al non misurabile.

Questo processo avviene sulla base di una stimolazione di elementi

finiti e concreti sulla mente del poeta (ermo colle, siepe). Egli, non

servendosi più della vista che, con l'intelletto, avrebbe operato

misurazioni che avrebbero troppo facilmente rispecchiato l'umano e

cioè la capacità di rapportarsi in modo “finito” a uno spazio finito,

esprime uno slancio verso l'incommensurabile, verso l'estensione

109 L.Felici(a cura), G. Leopardi, Canti, Newton Compton, 2010.110 Ivi, p.22.111 Cfr. G. Bertone, Lo sguardo escluso. L'idea di paesaggio nella letteratura occidentale, cit.,

p.225.

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infinita. In questa immensità, il pensiero del poeta si annega e con

esso, anche il linguaggio, in quanto la poesia termina con uno

sprofondamento dolce delle stesse facoltà linguistiche.

Leopardi accentua al massimo le categorie superlative della mente

pensante (<<interminati>>, <<sovrumani>>, <<profondissima>>) e le

fa collidere con l'esaltazione del minimo dato sensibile da cui la mente

è pur sempre dipendente112: in questa opposizione sono inserite le

lacerazioni di un uomo moderno, quali quella tra natura e cultura,

pensiero e mondo fisicamente esperibile, tempo della natura e

riflessione sul proprio tempo esistenziale. Questo determina un corto

circuito tra le capacità sensibili del poeta e lo spirito, rivolto alla

ricerca di qualcosa che sfugge a misure e calcoli.

II.1.7 Il carattere metaspaziale del paesaggio e il tempo della natura

Non possiamo non occuparci di paesaggio nell'originale

accezione di cui è ideatore Rosario Assunto. Ci troviamo all'interno di

una prospettiva critica circa la possibilità di riferirci allo spazio e al

tempo secondo le consuete definizioni astratte e matematizzanti della

scienza, frutto della speculazione cartesiana. Egli non guarda alla

112 Ivi, p.226.

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dimensione spazio-temporale in termini quantitativi, in quanto non

sostiene che abbia realtà solo ciò che è misurabile. Egli guarda

all'interesse che suscita in noi il paesaggio, lo stato d'animo che

emerge, il piacere o l'indugio ad andare via.

Il paesaggio è uno spazio che si costituisce a oggetto di

esperienza e a soggetto di giudizio estetico: un complesso visuale

unitario che è esperibile e giudicabile esteticamente ma che non è

semplice spazio:

<<Il paesaggio è spazio, ma non è soltanto spazio, perché il concetto di paesaggio include in sé note che non sono proprio nel concetto di spazio in quanto tale>>113.

Esso per Assunto contiene in sé uno slancio e un'apertura non

quantificabile in termini scientifici, esso è presenza dell'infinito nel

finito:

<<Spazio limitato il paesaggio, ma aperto [..] e non rappresenta l'infinito, ma si apre all'infinito pur nella sua finitezza del suo essere limitato: costituendosi come presenza, e non rappresentazione dell'infinito nel finito>>114.

Può definirsi così “finitizzazione dell'infinito115” e apparizione

dell'infinito nel finito.

113 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.19.114 Ibidem <<E la limitazione del paesaggio è in quanto spazio è l'autolimitarsi dell'infinito, e

insieme come uno schiudersi della finitezza, tal quale il bocciolo quando diventa fiore: lo sbocciare, davvero, del finito, che pur rimanendo tale, rimuove uno dei propri limiti e si apre all'infinito; né più né meno di come l'infinito determina se stesso autolimitandosi e così si immedesima nel finito: passa, diciamo, nella finitezza che lo ospita, e questo, in quanto riceve in sé l'infinito, è finitezza aperta: così come l'infinito, passando nella finitezza, è infinità limitata>>.

115 Ivi, p.101.

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Il valore del paesaggio, risiede nella possibilità di potersi,

attraverso l'apprezzamento estetico, liberare dalla finitezza, non però

della finitezza tout court: <<liberazione dall'angustia che opprime la

finitezza e l'attrista; conciliazione della finitezza con la propria

fondazione infinita: e quindi gioiosità del finito che si sa fondato

nell'infinito e come tornante alla infinità della propria fondazione>>116.

Mentre nella prospettiva della scienza il tempo è ridotto allo

spazio, Assunto sottolinea il legame tra le due dimensioni non

riducibili l'una all'altra: lo spazio è <<presenza estensiva e simultanea

di ciò che nel tempo è intensità e successione>>117, è cioè immagine

del tempo.

La temporalità di cui, per il momento parliamo, è quella naturale, la

cui immagine è il paesaggio. Si tratta di un tempo qualitativo, non

misurabile, che passa, pur essendo infinita, attraverso la cruna dello

spazio. Per poter comprendere di che genere di temporalità si tratta,

dobbiamo pensare in termini certamente non computabili, ma

attraverso il ritmo stagionale. Il tempo della natura è prima e oltre la

storia, nella quale gli esseri umani sono immersi.

Si tratta di un tempo infinito e circolare: <<la novità della natura è la

116 Ibidem.117 Ivi, p.50.

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novità di ciò che è stato e ritorna, novità di quello che è antico nella

memoria>>118. Per spiegare la temporalità naturale, Assunto fa alcuni

esempi illuminanti, come quello del profumo dei fiori, che assume

diverse valenze che legano il passato al presente e al futuro:

<<Il profumo spirante dai giardini odorosi […] è nel ricordo, profumo della stagione lontana; ma è anche il profumo che aspettiamo nella primavera veniente, quello che un ramo di mimosa colto in giardini soleggiati porta in dicembre dentro il chiuso di una casa cittadina. Ed il fuoco violetto delle buganville, quello stesso di cui, insieme con un odore di petunie, forte fino a stordire, è intrisa la memoria di certi giardini, affacciati, in Palermo, sul mare>>119.

118 Ivi, p.75.119 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., pp. 71-72.

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II.1.8 L'epifania di un paesaggio: il porto di Messina

<<Il porto di Messina è costruito a forma di mezzaluna ed è attorniato da una fila di magnifici edifici, alti quattro piani e perfettamente uniformi, per la lunghezza di un miglio italiano. La strada tra questi edifici e il mare ha la larghezza di circa cinquanta piedi, ed è una passeggiata tra le più belle al mondo. Essa gode della brezza marina, e domina il più bel panorama che vi sia...>>120.

Sono queste le parole che Assunto cita per sottolineare lo

spirito attraverso cui il gentiluomo inglese Patrick Brydone descrive

l'esperienza estetica vissuta affacciandosi sul mare di Messina. Si

tratta di considerazioni che non attengono un che di misurabile o di

quantificabile, benché siano pure presenti delle indicazioni numeriche,

tuttavia, esse non sono legate a fini pratici, utilitaristici.

Brydone ritiene che la passeggiata sia una delle più belle al mondo121

e per esprimerlo non si avvale certo di calcoli: il valore eccede la

misurabilità o l'apprezzamento utilitario. Si tratta di un <<valore la cui

presenza (o la cui assenza) è accertabile solo emozionalmente, nel

sentimento di piacere ( o di dispiacere) che il trovarci in esso ci fa

provare>>122. E' l'epifania del paesaggio, in questo caso di un

paesaggio marino, che sublima la città al di sopra di un semplice

spazio urbano, rendendo anch'esso metaspazio e considerandolo non

120 Ivi, p.36-37.121 Ivi, p.37.122 Ibidem.

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semplice porto, strumento per lo sbarco di persone e merci. Al di là

delle riflessioni circa il rapporto tra spazio naturale e spazio urbano,

emerge una chiara scissione tra sapere certo, misurabile e scientifico

ed esperienza epifanica, qualitativa del paesaggio. Se pure diversa

dalla scienza, essa permette di conoscere la natura come paesaggio,

non meno universalmente.

Il disinteresse nei confronti della funzione, dell' uti che

troviamo nel caso della contemplazione del porto di Messina, è

qualcosa che accomuna -nonostante la distanza temporale- il

gentiluomo inglese che aveva visitato la città siciliana nel 1770 e

Petrarca, che aveva scalato il monte Ventoso nel 1335. Quest'ultimo

infatti non considera più <<il bosco legna, la terra un campo da

coltivare, l'acqua un fondale pescosca>>123, non sono in gioco interessi

pratici di nessun genere: il suo sguardo si apre all'orizzonte con pieno

disinteresse. Nella contemplazione disinteressata della natura siamo

nell'orizzonte del frui, assolutamente svincolato dallo sfruttamento e

dal calcolo.124

123 Cfr. J. Gasquet, Cézanne, Bernheim, Paris 1926, II, p.145 <<Talvolta ho avuto dei dubbi sul fatto che la gente di campagna sappia che cos'è un paesaggio[..] Sanno cosa viene seminato qua e là, lungo la strada, come sarà il tempo l'indomani, che cosa viene seminato qua e là, lungo la strada, come sarà il tempo l'indomani[..] ma che gli alberi siano verdi e che questo verde sia un albero, che questa terra sia rossa, e che questi detriti rossi, siano colline, di tutto ciò credo che in verutà che i più non si accorgano, che non conoscano queste cose al di fuori del loro inconsapevole senso per ciò che è utile>>.

124 J. Ritter, La funzione dell'estetico nella società moderna, cit., p.111 <<Con essa l'uomo si svincola dalla sfera della prassi e dai suoi scopi, la “ oltrepassa”, la “trascende” [...] Agostino

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II.1.9 Scienze dello spirito e paesaggio

Pur sviluppando successivamente il problema degli effetti

pratici dello scientismo sulla natura, è sicuramente comprensibile che,

una volta realizzato il dominio dell'uomo sulla natura, reso possibile e

assicurato dalla moderna scienza positiva, qualsiasi forma di altra

conoscenza viene tacciata come inutile, in quanto inutilizzabile

praticamente. L'esito, come già abbiamo visto, sarà l'allontanamento

dell'uomo dall'orizzonte entro cui è immerso, l'inaridirsi dell'esistenza

con la scomparsa della storicità e dello spirituale.

L'importanza delle scienze dello spirito risiede proprio in ciò:

rendere disponibile all' uomo lo spirituale e, in questo orizzonte si

colloca il tentativo di recupero dell'estetico e con esso, della capacità

di apprezzare il paesaggio, come natura esteticamente mediata, al di là

della sua utilizzazione pratica. Che tipo di valore possiamo attribuire a

tutto ciò?

Il recupero e la rappresentazione estetica della natura come

paesaggio hanno la funzione positiva di mantenere aperto il legame tra

uomo e natura. Recuperare esteticamente la natura non ha nulla a che

ha poi definito questo “superamento” […] anche come svolta dall'uti, o utilizzazione pratica, al frui inteso come godimento contemplativo>>.

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fare con una sorta di gioco o di illusione di ritorno all'origine: essa è

un'esigenza spirituale. Si tratta, secondo Ritter, di un <<imponente

processo spirituale, nel corso del quale il senso estetico fa suo il

compito della “teoria”, per mantenere in vita sotto forma di paesaggio

quella “totalità naturale” che, in assenza del senso estetico,

necessariamente svanirebbe>>125. Per Ritter, si tratta quindi di una

sorta di compensazione che le scienze dello spirito avrebbero nei

confronti della nostra esistenza. Esse avrebbero infatti una <<funzione

universale nei confronti dell'esistenza astratta della società: sono

l'organo della compensazione spirituale>>126. Per il filosofo, in una

società scissa come quella moderna, tesa tra la natura “oggettiva”

della scienza e la “quieta” e perduta natura, il recupero estetico di essa

come paesaggio, ha la funzione positiva di mantenere aperto il legame

tra uomo e natura, facendo in modo che tale legame si esprima e si

manifesti sensibilmente, lì dove in assenza delle mediazione estetica

esso rimarrebbe taciuto127.

Così Assunto commenta Ritter: <<Nella natura in quanto

paesaggio esteticamente mediato ritiene il Ritter che quella stessa

società, quella stessa civiltà, che nella reificazione della natura

125 J.Ritter, Paesaggio. La funzione dell'estetico nella società moderna, cit., p.137.126 J. Ritter, Il compito delle scienze dello spirito, in Soggettività, cit., p.96.127 J. Ritter, Paesaggio. Il ruolo dell'estetico nella società moderna, cit, p.137.

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porterebbe all'uomo la libertà, nello stesso tempo inciti lo spirito a

foggiare organi i quali tengan presente e viva quella ricchezza

dell'essere umano alla quale, senza la natura in quanto paesaggio

esteticamente mediato, la società non potrebbe dare realtà >>128.

Nel caso della riscoperta dell'estetico della natura come

paesaggio, G. Maragliano commenta Ritter notando che <<al cospetto

dell'affermarsi progressivo di un modello conoscitivo oggettivante e

parcellizzante, orientato verso la prassi. L'originaria intenzione verso

la comprensione intuitivo-sensibile della totalità viene raccolta e

salvata nella contemplazione puramente estetica della bellezza della

natura-paesaggio>>129.

Assunto, contrariamente a Ritter per il quale l'estetico avrebbe

di fatto un carattere compensativo, rintraccia delle valenze più

profonde circa il recupero della natura come paesaggio. Egli fa leva su

un'esigenza di bellezza e di paesaggio, non meramente legata al

piacere estetico o a compensare l'esigenza di totalità, ma che è invece

strettamente connessa con argomentazioni di stampo fisico e mentale,

che hanno forte impatto sul nostro vivere nella natura come essere

naturali.

128 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p. 261.129 G. Maragliano, Il soggetto e il paesaggio. La moderna opera di paesaggio tra norma e storia,

cit., p.18.

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Al di là delle differenze tra Ritter e Assunto, sarà compito delle

scienze dello spirito spingere nella direzione di nuovi modelli

conoscitivi, non più enfatizzanti esclusivamente gli interessi umani

sulla natura ed escludenti l'apprezzamento estetico e,

conseguentemente, la cura e la salvaguardia di una dimensione viva e

vivente, ma in grado di armonizzare, pur tra molte difficoltà, i due

aspetti. A tal proposito, così si esprime Enzo Tiezzi: <<Se vogliamo

veramente percorrere il sentiero tra estetica e scienza, abbandonare i

paradigmi della rigidità, assumere fino in fondo il ruolo del tempo

nella conoscenza scientifica, è necessario mollare gli ormeggi dello

scetticismo arrogante di molti scienziati, e avere il coraggio di

esplorare nuove forme di conoscenza>>130. Il processo di

apprendimento estetico prevede l'uso delle nostre capacità razionali e

dei nostri sensi: è quindi un processo di conoscenza anche questo131.

La stessa arte, come abbiamo visto, è di fatto una forma di

conoscenza. Certo, parla una lingua diversa dalla scienza ma non per

questo dice cose non valide.

La natura bisogna <<sentirla, pensarla, lasciarsi attraversare

dalle sue trame e dai suoi ritmi >>132, perché di essa siamo parte.

130 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, cit., p.33.131 Ivi, p.139.132 Ivi, p.149.

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II.2 L'orizzonte del fare: praxis e perdita del paesaggio

<<L'orizzonte di Prometeo, l'orizzonte della praxis: la quale, originandosi da un atto di libertà nella natura, si comporta come libertà di fronte alla natura; e finisce

col diventare libertà contro la natura>>133.

<<Il dramma della città moderna, che uccide i giardini e devasta il paesaggio […] Complici, nella misura in cui partecipiamo di una civiltà che è, nella sua essenza,

negatrice del paesaggio e del giardino- in quanto paesaggio e giardino sono natura, e la civiltà che noi contribuiamo giornalmente a far crescere su se stessa, la

civiltà del benessere, è la negazione della natura>>134.

<<Chi non vive in una ambivalente reciprocità d'amore con il cielo e con la terra, che, in tal caso, non vive in unità con gli elementi entro i quali vive non è, per

natura, nemmeno in armonia con se stesso>>135

<<Lo studio positivo della natura è diventato la base

dell'azione dell'umanità sul mondo esteriore>>136:la natura reca in sé

l'impronta dell'intervento umano.

Uomo e natura stanno in un rapporto dialettico che solo in particolari

situazioni raggiunge un equilibrio armonico. In questo capitolo ci

occuperemo proprio di analizzare gli esiti del prometeismo o

faustismo, frutto della volontà di manipolare e sfruttare la natura che,

scaturendo da una libertà nella natura, si trasforma in libertà negativa,

contro la natura. Lo faremo attraverso il contributo della filosofia di

133 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.268.134 R. Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, Guerini e Associati, Milano 1988, p.140.135 Ivi, p.102.136 J. Ritter, Il compito delle scienze dello spirito, in Soggettività , cit., p.79.

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Rosario Assunto. Analizzeremo il rapporto tra paesaggio e città,

mostrando come la la ratio occidentale abbia avuto come proprio

frutto l'annullamento di ogni individualità paesaggistica in funzione di

uno spietato sviluppo tecnico ed economico legato a un urbanesimo

che inghiotte qualunque filo d'erba, distrugge la bellezza, reputata

marginale, non utile e frivola e invece promuove bruttura. I pochi

alberi rimasti vengono anche questi considerati in chiave utilitaristica,

vedendo in essi la possibilità di valorizzazione economica dei

paesaggi tramite i cosiddetti “spazi verdi”.

In questo quadro desolante, la dimensione umana rischia di

rimanere vittima di se stessa e dei propri sforzi di dominare la natura:

abroga la storia e sconfessa la natura ed in ultimo, perdendo la

bellezza, perde anche se stessa da un punto di vista fisico e psichico.

Non si tratta di recuperare le qualità e la bellezza naturali per

un atteggiamento estetizzante fino a sé stesso, ma di considerarne

-come vedremo più diffusamente avanti- il valore legato al benessere

psico-fisico umano: la bellezza, sosteneva l'idiota di Dostoevskij

salverà il mondo, essa è, ancora per Rilke, il senso di tutto l'essere137.

137 R. Assunto, La città di Anfione e di Prometeo. Idee poetiche della città, Jaca Book, Milano 1983, p.214 <<Die Schönheit ist von allen sein der Sinn>>.

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II.2.1 Paesaggio e libertà

Per dominare, non soltanto attraverso i concetti e le strutture

astratte, ma anche attraverso la prassi, occorre essere liberi.

La libertà umana è infatti la condizione della libertà pratica

dell'uomo138.

Una volta scoperta esteticamente la natura quale paesaggio, attraverso

cui l'uomo diventa effettivamente libero nella natura, è possibile

realizzare l' intervento fattivo, pratico su di essa:

<<Senza questa scoperta estetica, che ha ammansito la natura selvaggia e l'ha costituita come orizzonte per la libertà dell'uomo, non sarebbe stato possibile che l'uomo intervenisse con la propria operosità a trasformare i deserti in terre produttrici di ricchezza, a cercare presso le rocce e i ghiacciai certi modi di esistenza felice che il mondo nella sua vita giornaliera non gli consente>>139.

Il punto di vista di Assunto è antitetico rispetto a quello di J. Ritter.

Per quest'ultimo infatti, il godimento e l'inclinazione estetica verso la

natura come paesaggio, presuppongono il dominio sociale sulla

natura, avvenuti con la nascita della civiltà urbana:

<< La natura, intesa come il cielo e la terra, diventa tradotta esteticamente nella forma del paesaggio, il contenuto stesso della libertà, la cui esistenza presuppone la società e il dominio sulla natura, soggiogata e ridotta ad oggetto. Il godimento della natura e l'interesse estetico per la natura presuppongono dunque la libertà e il dominio sociale sulla natura>>140.

Ritter è lontano da Assunto sostanzialmente nel concepire la

138 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p. 261.139 Ivi, p. 267.140 J. Ritter, Paesaggio. La funzione dell'estetico nella società moderna, cit., p.137.

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libertà dell'uomo nella natura. Infatti, mentre per Assunto la libertà di

esseri naturali nella natura si acquista tramite la contemplazione

estetica, Ritter pensa a qualcosa di diverso, che molto si avvicina a

quanto Schiller esprime nella poesia Der Spaziergang [La

Passeggiata]141.

Occupiamoci per un momento di Schiller. Il suo viandante

cerca rifugio nella campagna in quanto, storicamente, ha già

oltrepassato, attraverso la città, la natura che adesso vede come

“perduta”, estranea, così come egli stesso si sente estraneo nei

confronti della totalità naturale. Per Schiller essere liberi vuol dire

dover necessariamente rinunciare all'unità di esseri inseriti nella

natura:

<<La libertà esige l'oggettiva reificazione della natura, escludendo fondamentalmente da sé la natura che presuppone il nostro vivere sulla terra: quando, nella città, la libertà s'affaccia all'esistenza, vengono ripudiati i “fauni del bosco”, lo spettacolo della natura è sottratto all'uomo e “le durevoli stelle si spengono”>>142.

Per Schiller quindi la perdita della natura e l'emancipazione da

141 F. Schiller, La passeggiata, tr. it. Di L. Boccalatte, Ceschina, Milano 1965, cfr. F. Cercignani, Poesia filosofica o poesia poetica? In A. Costazza (a cura), La poesia filosofica, Molano, Cisalpino, 2007, pp.163-170.

142 J. Ritter, Paesaggio. La funzione dell'estetico nella società moderna, cit., p.135, F. Schiller, La passeggiata,cit., pp. 41-45 <<O popolo felice,/cui non preme il progresso: in gioia,/ la rigorosa legge/ colla terra spartisci/ […] Banditi sono i fauni/ nelle selve, ma devozione/ ora sublime vita/ elargisce alle pietre>>.

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essa è la condizione stessa della libertà. In altre parole, per essere

libero e non più schiavo della natura, l'uomo deve diventarne

legislatore e da soggetto, trasformarla in oggetto. Natura quindi come

oggetto, da cui emanciparsi e allontanarsi in vista del dominio,

esercizio della propria libertà.

Torniamo adesso ad Assunto.

L' uomo, una volta scopertosi libero nella natura tramite la

contemplazione estetica, scopre nella natura come paesaggio un

orizzonte di libertà nel quale prende coscienza di sé e delle proprie

capacità fattive su di essa.

<<Oltre la libertà nella contemplazione, ma già nella contemplazione che costituisce il paesaggio come orizzonte di libertà, la libertà prende coscienza di sé come una possibilità indeterminata e incondizionata di fare: un fare che assume a proprio oggetto quella stessa natura che la contemplazione ha oggettualizzata collocandola di fronte all'uomo , per il quale la natura è ormai materia cui dare nuove forme con la propria attività fabbrile>>143.

La natura, nel momento stesso in cui è contemplata, è

oggettualizzata dalla libertà del contemplatore che adesso si vede

libero, ma questa volta non solo al suo interno, ma anche di fronte alla

natura. La coscienza della libertà, frutto della contemplazione estetica

della natura come paesaggio, determina un divorzio dalla stessa:

<<apre una scissione tra l'uomo, soggetto libero, e la natura quale

143 Ivi, p.265.

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oggetto per la libertà di cui l'uomo si sa ormai titolare come una

signoria sul possibile. La libertà conquistata nella contemplazione si

configura come una fabbrilità da esercitare nell'orizzonte stesso che ha

reso possibile la libertà; da esercitare, diciamo sulla natura>>144.

A questo punto ci chiediamo se la libertà pratica sia

conciliabile con la natura e, se sì, fino a che punto lo sia.

In altri termini e più semplicemente, quali saranno gli esiti degli

interventi sulla natura? Cosa ne sarà della bellezza? Come verrà

modificato il vivere umano?

Assunto parla di un paradosso della libertà umana: essa infatti <<

rischia di uccidere se stessa quando, esercitandosi come libertà

fabbrile, come praxis, distrugge l'orizzonte stesso in cui si è resa

possibile >>145. La libertà umana nega se stessa nel momento stesso in

cui usa violenza al proprio oggetto e sconvolge l'orizzonte nel quale si

è affermata146.

Il fare contro natura nega non solo la nostra libertà, ma anche

quella della natura, annienta quindi il paesaggio, in quanto non ne

144 Ibidem.145 Ivi, p.268.146 R. Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo. Idea e poetiche della città , cit., p.127

<<Non v'è qui e ora bisogno di testualmente riportare, ancora una volta, le iniziali considerazioni di Horkheimer e Adorno nella Dialettica dell'Illuminismo: dove si denuncia l'autocontraddizione del potere liberatorio attribuito al baconiano signoreggiamento della natura attraverso la prassi, in quanto si fa dominio dell'uomo su se stesso, assoggettamento di sé alla causalità meccanica con cui si credeva di signoreggiare la natura>>.

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coglie la dimensione estetica, ma lo considera esclusivamente come

spazio utilizzabile, sfruttabile, produttivo. L'abbaglio per Assunto è

stato quello di confidare in una nozione riduttiva di libertà: libertà di

fronte alla natura che si comporta come libertà contro la natura.

Non è sempre vero però che la libertà di fronte alla natura non

possa essere bene utilizzata dall'uomo, in vista per esempio, della

trasformazione di un paesaggio in un altro, che viene così

metamorfizzato147, assumendo in questo modo la natura come

orizzonte cui, liberamente, la cultura dà forma148.

<<Quasi tutto il paesaggio da noi conosciuto come naturale è

un paesaggio plasmato, per così dire dall'uomo: è natura a cui la

cultura ha impresso le proprie forme, senza però distruggerla in

quanto natura>>149. E' sottile la linea entro cui la libertà dell'homo

faber non nuoce alla natura, ma si occupa solo di darle, come materia,

nuove forme culturali.

Questo è accaduto fino al momento dell'industrializzazione definitiva.

II.2.2 Faust e la devastazione del paesaggio

<<Mi potrebbe angosciare fino alla disperazione

147 Ivi, p.270.148 Ivi, p.277.149 Ivi, p.270.

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questa vana energia di elementi indomabili.Qui osa a volo levarsi lo spirito mio su se stessoqui vorrei io combattere. Questo vorrei io vincere>>150.

Ci troviamo di fronte a una vera e propria dichiarazione di

guerra contro la natura del Faust di Goethe. L'atteggiamento dell'uomo

nei confronti della natura è stato quasi da sempre di impronta

prometeica, volto al dominio e al controllo, ma importante era il fatto

che egli si concepiva né sopra né al di sotto di essa, ma all'interno. La

stessa scienza baconiana si basa su questo tipo di relazione: l'uomo è

all'interno della natura e ne è il suo interprete.

Faust concepisce progetti di trasformazione del paesaggio, che

abbraccia con uno sguardo dominatore, sentendo la natura come altra,

separata, nemica. Egli vuole edificare una torre di osservazione

all'interno del giardino pieno di tigli di Filemone e Bauci, due

vecchietti che vivono in una casetta sulle dune, simboli del legame tra

uomo e natura.

L'incendio del giardino e l'apparizione della torre consente di passare

da un ordine all'altro: da quello dell'uomo nella natura, all'ordine

opposto dell'uomo sulla natura. Faust è l'individuo moderno, colui il

quale prende coscienza di non essere uno strumento passivo ma un

150 J.W. Goethe, Faustus, Mondadori, Milano 1984, vv. 10218-10221.

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soggetto attivo con la possibilità progettuale di operare sul paesaggio

naturale: <<nella novità che Faust annuncia c'è il seme della

modernità, […] della devastazione sulla “dimora naturale”, in cui

l'uomo è sempre stato e sempre è>>151.

La fine del paesaggio naturale e di Filemone e Bauci segnano

la fine dello stesso Faust che, poco prima di morire, anela un paradiso

terrestre in cui uomo e natura possano vivere armonicamente.

Paradigmatico è il fatto che il destino di Faust, così come quello di

Prometeo, sia un destino di morte, strettamente connesso con quello

della natura che entrambi hanno cercato di vincere e sovvertire:

<<Il rapporto uomo-natura è costituito da due termini tra loro indissociabili, il destino dell'uomo è il destino della natura e viceversa. La grande tragedia dell'atteggiamento moderno ed evolutore antinaturale è di aver equiparato il concetto di dominio di un essere umano su un altro al potere dell'uomo sulla natura. La natura è il giardino, il grembo dell'amore e della vita>>152.

II.2.3 La città di Prometeo: la scomparsa della natura

Una volta analizzato il faustismo, radice dell'atteggiamento

odierno dell'uomo verso la natura, intendiamo indugiare sui concreti

frutti della libertà pratica di fronte alla natura. L'uomo edifica e

costruisce città ma per converso, è incurante della bellezza del

151 U. Scoppetta Adelfio, Faust e la devastazione del giardino, in J. Raspi Serra, M. Venturi Ferriolo ( a cura di) Il nuovo sentire. Natura, arte e cultura nel '700, Guerini e Associati, Milano 1999, p.110.

152 Ivi, p.107.

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paesaggio e della salvaguardia della natura, orizzonte all'interno del

quale, concretamente, vive e del quale fa parte.

La città di cui parleremo non è né quella storica, né quella

sacra o estetica153, ma è la città di Prometeo.

Essa prende il nome dall' << l' eroe civilizzatore […] ribelle contro gli

Dei, colui che crea la civiltà pagandola con pene eterne. Egli è il

simbolo della produttività, dello sforzo incessante di dominare la vita;

ma nella sua produttività, maledizione e benedizione, progresso e

fatica sono collegati inestricabilmente>>154.

Nella filosofia assuntiana è forte il nesso tra paesaggio e città:

<<Paesaggio come l'infinito della città, la quale, in quanto si proietta

nel paesaggio che la oltrepassa -e, diremmo- la trascende- afferma se

stessa non soltanto come spazio ma come realtà in uno spazio che la

include in sé, e dalla sua presenza viene qualificato>>155. Città e

paesaggio vengono ad essere in quest'ottica <<due apparizioni

paritetiche e complementari dell'infinito nel finito>>156, attraverso la

relazione del paesaggio extraurbano con la città che in essa esprime il

carattere di infinito ( paesaggio come infinito della città).

153Ivi, p.19 <<La città sacrale allora come città estetica, in cui la bellezza, rappresentativa dell'infinito e del dIvino, era sopreminente nei confronti dell'utilità>>.

154 H. Marcuse, Eros e civiltà, cit., p.129.155 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p. 40.156 Ibidem.

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Nel caso della città prometeica questo tratto viene perso. Il

mondo moderno cancella qualsiasi presenza metaspaziale e produce

un progressivo allontanamento dalla dimensione naturale e quindi

paesaggistica, estetica. Si tratta cioè del modello che ricalcano le

nostre odierne città industriali: << città assenti dalla natura, queste,

perché intorno al nucleo originario, storico-naturale, hanno lasciato

crescere più anelli concentrici di stabilimenti e di sobborghi sorti in

funzione degli stabilimenti; di installazioni di servizio e di nuclei

abitativi da esse dipendenti: respingendo quanto più lontano possibile

gli orti e i coltivi, la natura insomma>>157. In queste città dove ogni

centimetro di suolo è messo a punto per essere sfruttato, si legge

chiaramente la <<contraddizione logica di città e natura che realizza

se stessa come incompatibilità ontologica della città e del

paesaggio>>158: non esiste alcuna armonia tra di esse.

<<Lo spazio […] da immagine finita dell'infinito si è fatto

estensione illimitata, nella quale gli alloggiamenti e i servizi si

moltiplicano e si aggregano in una autodilatantesi contiguità senza

ritorno>>159; esso è una semplice funzione, finitezza che cresce su se

stessa ignorando ogni limite, in cui l' illimite prende il posto

157Ivi, p.135.158 Ivi, p.192.159 R. Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo, cit., p. 175.

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dell'infinito che il paesaggio era in grado di esprimere.

Essa non vive in simbiosi con la natura e non si espande

armonicamente rispetto al paesaggio: distrugge la campagna e quindi

anche il paesaggio, per fare spazio alle installazioni produttive e agli

insediamenti abitativi. Il Mito di Prometeo si presta ad essere

interpretato allegoricamente: <<come emancipazione dell'uomo,

padrone ormai di energie che gli consentono di artificializzare il

mondo, dalla terra che per dargli i suoi frutti lo obbligava ad essere

docile ai suoi cicli stagionali e alle vicende climatiche della natura:

pur essi allegoricamente interpretabili nella figura di Zeus contro il

quale il titano Prometeo si ribella>>160.

Bacone, con sguardo acuto e profondo, teorizzerà nella Nuova

Atlantide il modello di una città anticipatrice delle metropoli

odierne161. La città di Bacone allontana da sé il paesaggio e non si

trova al suo interno, ma al contrario, ad esso si oppone, non conosce

l'infinito e nemmeno la bellezza, che annulla.Non esiste rapporto

estetico tra questa città e la natura e, se si profila, se ne proclama

subito la subordinazione a finalità utilitarie: <<il rapporto città-natura

160 Ivi, p.193.161 Ivi,131<<Città della tecnica, quella di Bacone: che facendo proprio il meccanismo causalistico

da cui la conoscenza induttiva ci mostra essere governata la natura, trasforma in regole della prassi quelle che per la conoscenza sono cause, e nella prassi asservisce a sé la natura per sfruttarla a proprio vantaggio>>.

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[..] la Nuova Atlantide di Bacone lo nomina, è vero, nella descrizione

della Casa di Salomone, ma lo nomina per escluderlo, o quanto meno

per proclamarne la subordinazione a intenzionalità utilitarie>>162. La

natura scompare come orizzonte di cui poter godere esteticamente, ma

è vista in funzione di una qualche utilità della prassi o della

quotidianità vissuta. In questo modo, non troviamo alcun legame con

la natura e il paesaggio: si tratta di città soffocanti e sfigurate, in

quanto è assente il benché minimo originario rapporto con la natura163.

Così come i cittadini della città prometeica riescono a

emanciparsi dalle stagioni e dai loro ritmi, anche i cittadini della

Nuova Atlantide ne sono insofferenti. Essi infatti sono capaci di

produrre artificialmente pioggia e grandine, di ottenere fiori e frutta in

assoluta indipendenza dalle stagioni e senza badare all'estetica dei

luoghi164, <<Città dalla quale è sparita ogni traccia di una natura non

dipendente dalla prassi umana e non prodotta dall'uomo>>165.

La natura, alla quale questa città si oppone, è ormai diventata un

162 Ibidem.163 Ivi, p.21 <<Città dei nostri giorni […] privazione del loro originario rapporto col paesaggio, e

cioè con la natura e la temporalità circolare>>.164 Ivi, p.131.165 Ivi, p.132; Relativamente agli esiti, ai nostri giorni,di questo atteggiamento: Cfr. R. Assunto, Il

paesaggio e l'estetica, cit., p.55 <<E' il tempo senza stagioni: aria condizionata all'interno, riscaldamento con raggi infrarossi o refrigerazione all'esterno. Tutto l'anno, una stessa luce; una identica temperatura; gli stessi frutti e gli stessi fiori, fatti crescere dentro i tunnel di plastica che mantengono umidità costante, costante calore, e aboliscono l'avvicendamento delle stagioni, con la memoria e l'attesa di cui esso è portatore>>.

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complesso di marchingegni governati non dalla ma dalla causalità

meccanica166.

Sia la città prometeica che quella baconiana costituiscono

modelli, seppure in negativo, per le città odierne che Assunto

raccoglie tutte per semplicità sotto il nome di Megalopoli.

Così come gli edifici si susseguono si moltiplicano e si

aggregano, anche <<le ore e i giorni del tempo si moltiplicano in una

successione che per essere senza memoria è essa pure senza

ritorno>>167.

Il tempo è rettilineo, lineare, spazializzato, così come nelle

concezioni dello scientismo: la città odierna <<spazializza il tempo,

finitizzandolo nella illimitata espansione dello spazio>>168. La

temporalità nelle nostre città si configura come temporaneità:

<<tempo che non sa nascita e morte, ma solo produzione, uso,

consumo […], mera estensione in cui gli uomini non sanno, e non

debbono sapere, gioia o dolore, ma solo benessere, consistente

nell'avere e nel buttar via e nel sostituire ciò che si ha>>169.

166 Ivi, p.194 << Davvero poststorica e postnaturale, questa Città -della-Ragione signoreggiante una natura da sfruttare fino alla sua completa sostituzione con una postnatura tecnologica interamente artificiale e tutta programmata dalla progettazione meccanicamente condizionatrice>>.

167 Ivi, p.175.168 Ivi, p.20.169 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., pp.53-54.

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Si tratta insomma di una città realizzata in modo da annientare

l'elemento naturale e con esso, bellezza e paesaggio, metaspazialità,

dimensione storico-temporale e benessere fisico-spirituale umano.

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II.2.4 Degradazione del paesaggio: gli spazi verdi

Quello che gli urbanisti tentano di inserire all'interno delle

nostre città è una natura artificiale, entro cui ormai non si dà nessun

tipo di contemplazione estetica: si tratta degli spazi verdi, nei quali la

natura diventa strumento per la prassi:

<<Quando si parla di spazio verde, la qualità (verde) è attributo della superficie quantitativamente misurabile, dello spazio. E con questa attributività del qualitativo rispetto al quantitativo si intende sottolineare una valutazione utilitaristica della natura, e del suo rapporto con l'uomo>>170.

Gli spazi verdi sorgono di solito nei pressi di raffinerie, trafilerie,

fonderie e stabilimenti chimici: sono il chiaro sintomo dello

scadimento della natura, dei suoi colori e delle sue forme al di sotto

della metaspazialità propria del paesaggio.

<<Utilitaristicamente e produttivisticamente concepiti per un mondo

senza anima, cioè senza fantasia e senza sentimento dell'infinito: per

un mondo che ignora la contemplazione, anzi la condanna>>171. La

funzione delle aree verdi è infatti intesa non come connessa allo

spirito e all'umano bisogno di bellezza, ma alla produttività, al

recupero delle energie fabbrili: <<la funzione delle aree verdi è quella

di promuovere l'efficienza degli uomini-produttori, e quindi di

170 R. Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, cit., p.109.171 Ivi, p.119.

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associare la continuità e il buon livello di produzione>>172. Questi

spazi possono dare ricreazione, piacere fisico di respirare e di

muoversi, ma non possono andare oltre: gli è estranea la bellezza, il

piacere contemplativo, che solitamente è degradato a oziosa e

colpevole inerzia in una società tutta presa dallo spasmodico

produrre173. I sostenitori del più accanito utilitarismo antinaturalistico,

sarebbero addirittura favorevoli alla <<depurazione e ossigenazione

dell'aria nei territori cittadini ed extracittadini per mezzo di

gigantesche apparecchiature, e al riparo di cupole geodetiche di

materia plastica; non senza impianti di artificiale regolazione termica

e di illuminazione artificiale>>174. Apperecchiature con le quali

realizzare il dominio sulla natura, emancipandosi dalle stagioni e

dall'avvicendarsi di giorno e notte ma, pagando un alto prezzo in

termini di perdita di bellezza e scomparsa del paesaggio. La materia

diventa così morta, artificiale, finita: non è più spontanea, vivente,

infinita.

L'idea di utile modifica il modo in cui l'uomo guarda la natura:

<<essa viene osservata con occhio fiscale, sicché l'aspetto di essa lo si

trova interessante solo per il provento che possiamo ricavare dai suoi

172 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.302.173 R. Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, cit., p.127.174 Ivi, cit., p.110.

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prodotti>>175. Nessuna attenzione è prestata alla natura in quanto

oggetto di piacere estetico come paesaggio; essa è sciolta dal legame

sia con lo spirito che con il corpo dell'uomo, nessuno si chiede

<<quando si fondi un insediamento oppure venga impiantato un

opificio, se il corpo e lo spirito ne saranno corroborati oppure

fiaccati>>176, si bada esclusivamente all'utile. Su questa scia, Assunto

parla anche della pratica vegetazione-ombra nel settore turistico, i cui

esordi risalgono all'utilizzo delle palme senza radici in California. Si

tratta di alberi e quindi di vegetazione che non qualifica alcun luogo

ma che viene utilizzata continuamente e portata di spazio in spazio;

natura ridotta a funzione, svilita a utilizzabilità quantificabile in cui è

volutamente negato il carattere di apertura all'infinito177.

La civiltà del benessere e dell'avere sostituisce così il

paesaggio con gli spazi verdi, nega così la natura e, così facendo,

perde i contatti con essa.

175 Ivi, pp.112-113.176 Ibidem.177 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., pp.325-326.

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II.2.5 Eclissi della finitezza aperta e della bellezza.

Il destino dell'uomo e quello della natura sono

indissolubilmente intrecciati, tanto da poter affermare che la natura sia

lo specchio attraverso cui guardarsi. Come appare la natura fino a ora

descritta e come, conseguentemente, appare l'uomo?

Osservando le città odierne, che hanno introiettato in sé i

caratteri della città prometeica e di Bacone, ci troviamo di fronte alla

negazione della natura. Volendo velocemente riassumere, si tratta di

città in cui lo spazio e il tempo non hanno in sé l'infinito né tantomeno

ad esso si aprono, piuttosto suggeriscono l'idea dell' illimite, sempre

uguale a se stesso.

Le città sono l' esito di un accrescimento quantitativo- estensivo della

finitezza (spazio) che cancella ogni richiamo all'infinità intensivo-

qualitativa (tempo).

Volendo considerare lo spazio una modalità della

cristallizzazione del tempo, lo spazio cittadino risulta essere oggi non

più immagine della temporalità storica e qualitativa, ma risulta

piuttosto immagine del tempo quantitativo e meccanico. Esso è

negazione dell'infinito e, in quanto tale, contrapposto al paesaggio.

La città si espande rimanendo sempre uguale a se stessa.

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Faremo, percorrendo Megalopoli, esperienza di strade, corsi, viali ma

saremo sempre qualitativamente nello stesso luogo. Che esperienza

dell'infinito possiamo fare in essa? Naturalmente, nessuna.

Siamo in presenza di una temporalità assolutamente senza

memoria e senza attesa: il futuro è programmato e risulta essere il

risultato di calcoli, senza alcuna novità. Le odierne Megalopoli sono

l'immagine della negazione di ogni apertura all'infinito. Niente è

sottoposto ai ritmi stagionali, ci si emancipa dal cielo ma benché lo si

faccia, la vita diventa semplice incrostazione: senza passato, senza

presente, se non istantaneo, e senza futuro. La temporaneità, come

abbiamo visto, sostituisce la temporalità.

Il produttivismo considera la natura soltanto in vista dell'utile e

del raggiungimento di fini, per questo sporca senza riguardo alcuno le

acque, rende l'aria maleodorante e costringe quindi a cibarsi di

alimenti manipolati e malsani.

I materiali che si usano perla costruzione degli edifici non

hanno a che fare con malte o impasti o pietre legate al posto in cui si

vive, ma sono già pronte e standardizzate. Manca armonia con la

natura che subisce le devastazioni conseguenti all'uso di materiali

artificiali: si pensi all'eternit, il cui nome ricorda appunto la capacità di

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sfidare il tempo, materiale anonimo e grigio, eterno solo nel lasciare

bruttezza e morti178.

<<Nulla più sapendo della terra divina che lì fuori veglia e respira,

così nulla dei fiori, che lì fuori invitano a un giorno colmo di vastità e

di vento gioioso, sanno i bambini che debbono essere tristi, crescendo

dietro le finestre, in un'ombra sempre uguale a se stessa>>179, così

Rilke anticipa argomenti che sociologi e urbanisti metteranno al centro

delle loro critiche intorno alla città metropolitana.

La civiltà del benessere nega quindi la natura e, negandola, noi

stessi subiamo un'asfissia fisica ma anche spirituale: ci è negata la

bellezza, la contemplazione disinteressata della natura come paesaggio

e, con essa, ci “manca il cielo”. Ci manca cioè quella contentezza

dell'essere o gioia contemplativa che è sintomo della nostra intimità

con la natura180. La bellezza, come vedremo, è un che di eccedente

rispetto alla funzione, all'utile, è un'esigenza dello spirito che permette

di sollevarsi oltre il qui e oltre l'adesso, infinitizzando la finitezza del

tempo e dello spazio181.

Distruggendo le forme e la bellezza della natura, si

178 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, cit., p.82.179 R. Assunto, La città di Anfione e di Prometeo, cit., p.208.180 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.139.181 Ivi, p.129.

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dischiudono tantissimi problemi materiali relativi a inquinamento e

intossicazione ma anche da un punto di vista spirituale. La bellezza

infatti non è un mero epifenomeno: dal ritrarsi dall'orizzonte entro cui

siamo immersi, tutto sarà <<insipidum quod et insulsum>>: essa è

eccedente rispetto all'utilità funzionale e alla fruizione interessata di

una natura che, come abbiamo visto, per ragioni di produttività, è

ridotta a semplice quantità, spazio o contenitore.

II.2.6 Essere o avere?

Nell'orizzonte del finalismo utilitario niente ha un valore in sé,

<<ma tutto è per altro>>. Il paesaggio è distrutto come orizzonte di

contemplazione estetica e, distruggendolo, viene a mancare anche

l'orizzonte entro cui poter esprimere la libertà. Se la libertà umana si

acquisita quando la natura si media esteticamente, diventando per

l'uomo paesaggio, e cioè quando l'uomo si volge alla natura senza

alcuno scopo pratico, in una libera e gioiosa contemplazione, l'uomo,

paradossalmente nella società moderna non è più libero: egli stesso è

ridotto a semplice funzione. La condizione umana progredisce

sicuramente entro l'orizzonte dell'avere, ma <<dal punto di vista

dell'essere, gli uomini vi perdono completamente la propria libertà, in

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quanto la loro agiatezza è interamente vincolata alla funzione; e la

funzione, quando abbia identificato a sé tutto l'uomo, senza residui, lo

riduce a un prodotto di serie: né più né meno di come sono di serie gli

utensili di cui egli si serve, le case dove abita, gli oggetti ornamentali

dei quali si circonda>>182. Nella spasmodica ricerca di benessere, si

trascura la possibilità di poterlo ottenere in chiave non utilitaristica,

contemplando la natura come paesaggio, ma si vuole avere, adoperare,

buttar via quando qualcosa non serve più.

La << causalità ripetitiva e meccanica, senza libertà [..] è

infatti quella della strumentazione che ampliando il potere degli

uomini toglie ad essi la libertà, li rende schiavi delle macchine con cui

si muovono>>183. Si tratta di uomini che vivono “di seconda

mano”:<<lontani dalla natura che sta loro intorno, non meno che da

quella che hanno dentro, affidando alle macchine le funzioni della

vita, compreso il pensiero>>184.

Ci troviamo di fronte ad una concezione riduttiva della libertà:

libertà non dell'essere uomo contemplatore la natura e per questo

libero, avendo scoperto il paesaggio, ma di una libertà che allontana e

nega l'essere.

182 Ivi, p.272.183 R. Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo, cit., p. 148.184 Ivi, p.208.

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II.2.7 Un'utopia pericolosa e le sue ragioni

Nel 1932 Huxley in Brave New World, con largo anticipo e

senza ancora aver mai osservato i complessi cittadini delle grandi

metropoli, descriveva una città del futuro entro cui nei palazzi la luce

è sempre fredda e artificiale e il tempo non conosce le stagioni:

<<Cold for all summer beyond the panes […] The light was frozen,

dead, a ghost...>>185. Huxley teorizza una città futuribile, negazione

dell'infinito, in cui la finitezza è moltiplicata innumerevoli volte per se

stessa, attraverso costruzioni metropolitane standardizzate e tutte

uguali. Il bisogno di bellezza è frustrato da esigenze di ordine

economico: i bambini verranno educati alla bruttezza e gli verranno

fatti odiare i fiori. Non resta alcuna traccia del paesaggio e della sua

bellezza: ad esso si sostituisce l'ambiente urbanizzato e

industrializzato.

Un esistenza cittadina metropolitana è puramente quantitativa

e si oppone a un'esistenza paesaggistico-qualitativa. Come spiegare le

ragioni profonde di questa trasformazione che da utopia è diventata la

realtà sotto i nostri occhi?

185 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., pp. 55, 142.

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La standardizzazione qualitativa e la perdita di identità delle città

metropolitane, di cui è anticipazione la città descritta da Huxley,

risponde ad una volontà di rimanere sicuri di fronte alla diversità:

<<Senza l'identità qualitativa ci si sentirebbe malsicuri, si prenderebbe coscienza della propria finitezza in quanto tale, e quindi della indigenza per cui questa è bisognosa di aprirsi sull'infinito>>186.

Di qui la tensione moderna che abbiamo visto nei confronti di

uno spazio e di un tempo ridotti a pura quantità misurabile, entro cui

non emerge nessuna novità. Tutto ciò che è individuale viene negato

in quanto reca in sé la cifra di mistero dell'individuale, del diverso, del

qualitativo che sfugge alle possibilità di essere gestito in modo

rassicurante dal pensiero analitico e calcolante187. La smania di infinito

si traduce in ricerca di illimite, di luoghi che si assomigliano tutti,

negando così la stessa possibilità di esistenza al paesaggio, qualitativo

per eccellenza, unico e non moltiplicabile e nemmeno computabile.

Il paesaggio reca in sé il trauma della novità e della sorpresa

non puramente quantitativa: esso reca in sé l'infinito.

<<Quello che sgomenta, e che porta a fuggire il paesaggio come tale[...] è l'essere, il paesaggio, il diverso, ed il diverso, questa presenza dell'infinito nel finito, questa qualità per la quale un finito diventa, nella finitezza sua, infinito, dà le vertigini, fa insorgere il panico>>188.

186 Ivi, p.157.187 Ivi, p.156.188 Ivi, p.159.

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Rifiutare il paesaggio vuol dire rifiutare la natura, perché essa è

quanto di più qualitativamente vario e diverso possa esserci. Quanto

Huxley descriveva si è purtroppo realizzato nelle città odierne, tutte

omologate esteticamente, senza apertura all'infinito e con corsi

d'acqua e atmosfera inquinate da rifiuti.

Elio Vittorini, citato da Assunto189, si colloca sul versante di

quanti speravano in una trasformazione dei rapporti di tipo

qualitativo-paesaggistico in rapporti di tipo metropolitano,

individuando nella vita di campagna una tristezza che al secondo tipo

di rapporto era estranea. Egli auspicava questa metamorfosi

interpretandola come foriera di migliori condizioni di vita per tutti gli

uomini. Faceva riferimento alla fuga dalle campagne di tanta gente

che, pur non costretta, preferiva le metropoli alla natura, descriveva il

sacrificio cosciente della memoria, del diverso, della qualità. Di qui

l'illusione di sostituire la natura col totale artificio: Vittorini scrive sul

vino sintetico e sui polli artificiali.

Al di là di questi estremi, che pure pian piano cominciano ad

essere, in modo inquietante, così vicini alla realtà, frustrazione estetica

e perdita del paesaggio implicano un disagio addirittura fisico, un 189 Ivi, p.163 Cfr. E. Vittorini, Le città del mondo, Torino, Einaudi 1969.

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potenziale malessere biologico. Come Assunto sottolinea, il nostro

benessere è strettamente legato alle trasformazioni estetiche: la

bellezza è un valore anche biologico e sociale, di cui ci occuperemo

nel prossimo capitolo.

La filosofia del dominio rischia, come abbiamo visto, di

cancellare sia uomo che natura: l' uomo sarà un sovrano assiso, ma

anzicchè su un trono, lo sarà su un mucchio di macerie (o di

spazzatura).

Una città difficilmente è sostenibile senza l'apporto della natura

e della campagna circostante. La domanda che ci rivolgiamo di fronte

a tanto degrado è come e se possano essere recuperati bellezza e

natura e quindi benessere, al giorno d'oggi, attraverso la strada della

sostenibilità e della contemplazione estetica.

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III. Il regno di Orfeo

<<Che cos'è la bellezza del paesaggio? Non è forse un inconsapevole sguardo nell'ordine interno della terra, nel ritmo delle sue ripetizioni, nell'armonia della superficie e delle linee, nella misura equilibrata dell'interazione delle sue parti,

percepiti da un essere che è esso stesso parte e figlio della natura e dunque è intimamente subordinato a quegli stessi ordinamenti che intravede fuori di se

stesso? La nostra gioia nella contemplazione non deriva dalla consonanza delle corde che vibrano nella nostra anima con la musica della Terra?>>190

<<La regione dalla quale ero salito giaceva intorno a me come un mare: tutta piena di giovinezza e di vita: tutto era celestiale e infinito gioco di colori con il

quale la primavera salutava il mio cuore e, come il sole del cielo si ritrovava nel multiforme mutare della luce, così il mio spirito si riconosceva nella pienezza

della vita che lo circondava e che lo assaliva da ogni lato>>191

L'obiettivo ultimo della nostra ricerca è mostrare nel

paesaggio la cifra dell'unità tra uomo e natura, ma prima di poter

giungere a questa conclusione, è stato necessario percorrere un lungo

itinerario che ci ha mostrato delle modalità di relazione tra uomo e

natura infruttuose, in quanto frustranti la libertà e l'essere dell'uno e

190 H. Lehmann, La fisionomia del paesaggio, in L. Bonesio, M. Schmidt di Friedberg, L'anima del paesaggio tra estetica e geografia, cit., pp.28-29.

191 G. V. Amoretti (a cura di), F. Hölderlin, Iperiore o l'eremita in Grecia, cit., p.42.

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dell'altro.

Abbiamo fin qui messo in luce che i frutti della praxis sulla natura,

nata dalla capacità di contemplarla, non sono stati sempre positivi in

quanto essa si è spesso esercitata in modo sbagliato, non come libertà

nella natura ma contro di essa. In questo caso, l'uomo sperimenta la

propria riduzione a funzione e la mancanza di libertà, in quanto

inserito in una natura-meccanismo che è considerata solo come utile al

raggiungimento di certi fini pratici e, va sottolineato, inesistente da un

punto di vista qualitativo, in quanto degradata a semplice spazio-

contenitore. Fin qui siamo nell'orizzonte di Prometeo.

In questa sede vogliamo invece mostrare l'importanza del

momento contemplativo che dischiude la possibilità della libertà di

essere e di fare, di uomini non asserviti a logiche utilitaristiche e non

ridotti a semplici funzioni in vista del raggiungimento di uno scopo, e

della stessa natura, libera e colta esteticamente come paesaggio.

Contemplare un paesaggio, nella prospettiva assuntiana, è

un'operazione che implica un coinvolgimento attivo in termini di

piacere e benessere sia fisico che spirituale e perché essi si diano, il

paesaggio deve essere bello.

Di qui delle considerazioni sul carattere non meramente

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epifenomenico della bellezza. Mostreremo la capacità fattiva sulla

natura che non ne esclude la bellezza, ma che anzi modella l'elemento

naturale, facendone la forma della storia. Vedremo nel paesaggio la

possibilità di promuovere la natura a cultura: il paesaggio diventa così

uno specchio in cui la storia e la cultura e quindi, lo stesso uomo,

riconoscono se stesse. La natura, intesa come ambiente in cui siamo

immersi, è specchio di noi stessi. Guarderemo quindi alla possibilità di

progettare delle città rispettose della natura e quindi dello stesso

uomo, che della natura è parte.

III.1 Orfeo e la liberazione di uomo e natura

Occorre restituire ad Orfeo i territori conquistati da Prometeo.

Iniziamo col chiarire il perché del riferimento alla figura mitica di

Orfeo in opposizione a quella di Prometeo. Le figure rappresentano, in

questa sede, modalità antitetiche, analizzate da Assunto, di relazione

con la natura e di apprensione del paesaggio, inquadrabili nell'ambito

del finalismo utilitario prometeico e del finalismo senza scopo orfico,

ovvero di contemplazione disinteressata della natura, mediata

esteticamente come paesaggio.

Se Prometeo è l'eroe civilizzatore, del progresso, della

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produttività, che crea la civiltà pagandola con pene eterne, Orfeo, così

come pure Narciso, la cui vita è bellezza e la cui esistenza è

contemplazione, non sono diventati eroi civilizzatori del mondo

occidentale. Entrambi sono l'emblema della contemplazione e

percezione della natura come paesaggio, di solito degradata ad affare

per sognatori, filosofi, artisti, perché retinente a considerazioni

pratiche.

La loro è un'immagine di gioia e di compimento e la loro voce

non comanda, come quella di Prometeo, ma canta192. La figura di

Orfeo, simbolo della contemplazione estetica, ci è congeniale

all'analisi di un modello di relazione con la natura antitetico rispetto al

prometeismo o faustismo: egli riesce infatti- con la forza del suo canto

liberatore- a riappacificare uomo e natura193. Orfeo, compagno della

ninfa Euridice, scende infatti nell'Ade per salvare la moglie e

commuove col suo canto Persefone. Egli rappresenta l'umiltà verso la

natura e il creato, la ricerca dell'armonia perduta con la natura in

opposizione a un fare umano troppo sicuro e antropocentrico, di cui

l'emblema è Prometeo, incurante dell'elemento naturale se non per la

192 H. Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi Editore, Milano 1964, pp.130-131.193 Ivi, p.136 cit. Orazio, Arte poetica, trad. di Tommaso Gargallo, Milano 1820 << Orfeo. Nunzio

de' numi e sacerdote/ fece a' vaghi di sangue uomin silvestri/ la bocca sollevar dal fero pasto;/onde fu detto de' lion rabbiosi;/e delle tigri domator>>.

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sua semplice utilizzabilità.

Lì dove, nella società occidentale, l'elemento qualitativo e il

mondo dei sensi vengono respinti, in quanto ostili alla ragione e inutili

all'avanzamento della conoscenza, Orfeo si oppone simbolicamente a

questa logica: la sua immagine rievoca l'esperienza di una natura non

controllata o dominata ma liberata, le cui forze apportano bellezza e

pace. La società odierna guarda alla contemplazione come un che di

trascurabile, di cui può farne a meno. La civiltà moderna, al pari della

religione e della metafisica, la ripudia, spesso giudicandola una forma

di ozio alienante e di intralcio al benessere, alla produttività,

all'accumulo di beni materiali in quantità sempre maggiore194.

Attraverso la contemplazione estetica della natura viene invece ad

essere superata l'opposizione tra uomo e natura, <<in modo che la

realizzazione dell'uomo sia allo stesso tempo la realizzazione [...] della

natura>>195. Le immagini orfiche rappresentano una conciliazione tra

l'uomo e la natura nell'atteggiamento estetico, dove l'ordine è bellezza

e il lavoro è gioco196, non fatica e soppressione del sensibile.

194 R. Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, Milano 1988, p. 157.195 Ivi, p.133.196 Ivi, p.141.

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III.2 La natura come paesaggio

Nella prospettiva assuntiana, natura e vita, pur essendo

finitezza, possono e anzi devono andare oltre se stesse197, in quanto

questo bisogno di oltrepassare gli angusti limiti del finito è

un'esigenza umana, spirituale. Le modalità attraverso cui possono

diventare presenza dell'infinito sono legate alla percezione orfica della

realtà:

<<Nel paesaggio la vita si rallegra per una liberazione dalla finitezza, non della finitezza: liberazione dall'angustia che opprime la finitezza e l'attrista; conciliazione della finitezza con la propria fondazione infinita: e quindi gioiosità del finito che si sa fondato sull'infinito e come tornante alla infinità della propria fondazione>>198.

Mostreremo come lo spazio e il tempo debbano essere

inquadrati non attraverso criteri quantitativi ma attraverso le qualità.

Si tratta di individuare il carattere metaspaziale del paesaggio, il suo

essere qualcosa in più di un semplice spazio geometrico entro cui si

colgono aspetti prettamente materiali, strumentali ed utilitaristici. Il

paesaggio è il diverso: è qualità e, in quanto qualità, esso non si può

sommmare né lottizzare, esso è presenza dell'infinito nel finito. Si

tratta infatti di un ambiente vivo e vivente, non serializzabile, così

197 Ivi, p.303.198 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.101.

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come non serializzabili sono le creature che al suo interno vivono:

<<Ogni punto è una individualità non commensurabile con altre né

con altre assimilabili: infinità, quindi, nella propria diversità

qualitativa, che non autorizza nessuna serializzazione>>199.

La natura percepita orficamente non è dominata e sfruttata

violentemente, né imbrigliata da leggi che ne oscurano le qualità, ma è

vista come oggetto di contemplazione estetica. Essere immersi nella

natura vuol dire averne un contatto vivo e diretto, non è un guardare

ad essa in vista di fattori conoscitivi o manipolativi, ma permette di

coglierne qualità altrimenti non apprezzabili.

La natura non è più inquadrata quindi nell'orizzonte meccanicistico

ma, al contrario, essa diviene un fine per l'uomo: essa non è più vista

come contenuto di sapere scientifico, come nel sistema copernicano o

come nel prometeismo o faustismo, ma come fine per l'uomo e forma

in cui si incarna il sentire estetico. Il passaggio da una natura vista

come un meccanismo perfetto ad una natura finalistica e mediata

esteticamente, che in termini ritteriani è il recupero della visione

tolemaica dell'uomo al centro di essa, permette di guardare ad essa

come retinente alla strumentalità e non come semplice funzione o

199 Ivi, p.153.

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strumento, come un che che serve, che si usa o si sfrutta, ma come ciò

che è200.

La natura come paesaggio è un ambiente vivo, molteplice e

vario entro cui nulla, come abbiamo visto, è serializzabile, in netta

antitesi con la produzione standardizzata e omologata dell'industria.

Lo stesso principio vale per il tempo: <<non si può considerare una

successione quantitativa di frazioni identiche, ed escludentesi a

vicenda, tali che il sopravvenire dell'una è senz'altro esclusione della

precedente>>201.

Il paesaggio non scompare o muore in quanto spazio-più-che-

spazio se in esso lo spazio è cristallizzazione non della temporaneità

seriale e quindi finita della produttività e del consumo, in cui la durata

è ridotta a obsolescenza, ma se esso è immagine della temporalità

qualitativa e circolare della natura.

Parlando di natura infatti, non possiamo non constatare che, al

pari di essa, anche la stessa temporalità naturale è vista attraverso la

percezione orfica come un che di qualitativo, di infinito: va al di là di

200 Ivi, p.264 <<Il passaggio dalla concezione meccanicistica della natura a quella finalistica teorizzata nella Critica del Giudizio Teleologico (passaggio reso possibile dalla Critica del Giudizio Estetico), può metaforicamente definirsi come un recupero della visione tolemaica del rapporto tra uomo e natura, nell'unica maniera possibile per Kant, e per noi dopo Kant: in termini di giudizio riflettente universalmente soggettivo e non di giudizio determinante, costitutivo dell'oggetto in quanto oggetto conosciuto>>.

201 Ivi, p.153.

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qualunque misurazione, è qualificata <<dai ritmi e melodie e armonie

della natura vivente>>202. Non si tratta né del tempo-parametro della

scienza, né della temporaneità angustiante e rettilinea dell'industria:

quello del paesaggio è un tempo che dà vita, il tempo in cui la vita si

riconosce fondata sull'essere. Si tratta di una temporalità inclusiva e

qualitativa in cui presente, passato e futuro sono predicati dell'essere e

coestensivi203.

Il carattere metaspaziale del paesaggio emerge quindi anche in

relazione alla temporalità, di cui esso è immagine: <<Ogni paesaggio,

in quanto qualità, individua, rende qualitativamente infinita una

estensione limitata, piccolissima: l'angolo di mondo del quale esso ha

fatto un'immagine della temporalità (assoluta)>>204.

202 Ivi, p.343.203 Ivi, p.72 <<Essere della natura, che fa tutt'uno con la temporalità di essa: con il modo in cui la

natura si costituisce ad immagine dell'essere come tempo, le cui tre qualità, del presente, del passato, del futuro, non si escludono a vicenda, ma sono coestensive>>.

204 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.158.

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III.3 Il recupero della posizione tolemaica

La contemplazione permette all'uomo di costituirsi come

libero all'interno della natura, capace di goderne esteticamente sotto

forma di paesaggio.

Egli, rivolgendosi alla natura in una libera e gioiosa

contemplazione, non legata ad alcun fine o scopo pratico, sente e vive

il paesaggio come se ne fosse il centro, ne è non semplice spettatore,

ma ne partecipa attivamente: <<in questo sentirsi al centro del

paesaggio, soggetto che scopre il paesaggio, l'uomo recupera la

posizione tolemaica >>205, così Assunto afferma, legandosi alla

concezione ritteriana della natura. Cosa vuol dire recuperare questa

posizione? Vuol dire recuperare la libertà di essere spirituale, pur

sempre inserito in un meccanismo causalistico universale ma di cui

viene compensata, per così dire, la non-libertà dell' esistenza

copernicana. L'uomo sottopone la natura a leggi che la regolano con

precisione e che ne colgono il lato “oggettivo” ma che di contro ne

frustrano qualità ed esteticità. In questo modo egli stesso è incapace

di goderne esteticamente, ovvero è incapace di cogliere la natura come

paesaggio.

205 Ivi, p.264.

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Guardare la natura come paesaggio vuol dire guardare se

stessi: la natura è luogo e oggetto di contemplazione che è anche

autocontemplazione da parte dell'uomo, di sé come natura nella

natura. E' a questo punto che può venirci in aiuto il mito di Narciso: la

natura è lo specchio attraverso il quale l'uomo guarda se stesso come

<<immagine di una libertà interiore al fare interessato e meccanizzato,

che allo stesso fare deve sovrastare finalisticamente>>206.

La liberazione della natura è qui la liberazione dello stesso

uomo che la produttività violenta e sfruttatrice ha trasformato in uno

strumento di lavoro. Allo stesso modo che per la natura, anche per

l'uomo, contemplare la natura vuol dire possibilità di essere non

semplice funzione o strumento, ma di essere:

<<libertà dell'uomo, di ogni uomo, come essere, e non come funzione, libertà dell'uomo e si scopre e si riconosce e si riconosce nella natura contemplata dall'uomo (libera, in quanto contemplata), e libertà dell'uomo contemplante la natura, dell'uomo che proprio nel suo essere contemplante […] è libero rispetto al condizionamento causalistico ed alla strumentalità utilitaria>>207.

L'orizzonte di Orfeo è <<il regno della contemplazione estetica, nella

quale l'uomo è libero dal finalismo utilitario, dal fare interessato; ed il

mondo nel quale egli è, il mondo che egli contempla contemplando in

206 Ivi, p.269.207 Ivi, p.265.

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esso la propria libertà >>208.

Soltanto all'interno di esso è possibile quella liberazione dalla

propria penuria di essere che la finitezza umana raggiunge quando si

immerge nell'infinito209.

III.4 Il paesaggio culturale: compenetrazione di natura e cultura

Nella persona di Orfeo e nella modalità orfica di apprensione

della natura riescono ad essere conciliate arte, libertà e cultura. A

questo punto è necessario guardare alla portata culturale del

paesaggio, entro cui questi tre aspetti sono saldamente connessi: << Il

paesaggio culturale, in quanto oggetto estetico nel suo costituirsi come

modellazione della natura e non come distruzione della natura, sarà

dunque, al pari della natura originaria che esso ha modellata a guisa di

materia, un orizzonte per la libertà: l'opera di Prometeo come

orizzonte per Orfeo [il quale, a sua volta, aprirà ancora la strada a

Prometeo]>>210. Esso è cioè prodotto dalla libertà umana, ma nello

stesso tempo è orizzonte per la libertà.

Il paesaggio, il modo in cui lo si percepisce, lo si cura o

viceversa, lo si altera e lo si distrugge, è specchio della relazione che

208 Ivi, p.268.209 Ivi, p.287.210 Ivi, p.285.

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l'uomo intesse con la natura. Esso, in questa sede, è interpretato come

prodotto culturale, una forma entro cui si incarna il nostro sentire

estetico e non come contenitore di sapere scientifico. Quando ci

riferiamo al concetto di paesaggio e alla sua concretezza nella realtà

storica in cui siamo immersi, non possiamo fare a meno di ricordare

che esso non può essere compreso esclusivamente in chiave

naturalistica come alcuni approcci riduttivistici proporrebbero e

nemmeno esclusivamente in chiave estetica: è necessario rilevarne la

portata culturale211.

<<[...] Quasi tutto il paesaggio da noi conosciuto come

naturale è un paesaggio plasmato, per così dire dall'uomo: è natura a

cui la cultura ha impresso le proprie forme, senza però distruggerla in

quanto natura; e anzi modellandola per ragioni che in prima istanza

non erano estetiche>>212.

La cultura infatti libera la natura e quindi noi stessi, nel

momento stesso in cui qualifica la natura esteticamente, costituendola

come paesaggio; in questo modo emancipa la natura da quella

condizione servile a cui la incatena la condizione utilitaria213.

211 Ivi, p.287 <<[...] Natura rimane il paesaggio culturale, comunque sia in esso volta per volta configurato il rapporto natura-cultura>>.

212 Ivi, p.277.213 Ivi, p.263.

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La nostra stessa cultura condiziona anche le modalità di

osservazione dei paesaggi: la natura è guardata con un determinato

gusto che è culturale. << Il paesaggio, anche quando si presenti nello

stato più selvaggio e più incolto, prima di ogni trasformazione operata

dalla ingegnosità umana, sia in quanto oggetto di apprezzamento

estetico, una scoperta alla quale l'uomo perviene guardando la natura

con il proprio gusto: che è sempre il gusto di una cultura, (non solo

artistica, ma filosofica, scientifica, religiosa) e che ogni scoperta

estetica di nuovi paesaggi promuove a sua volta nuovi svolgimenti del

gusto e della cultura>>214. Il paesaggio è, secondo le conclusioni del

geografo Martin Schwing, lo spirito modellato plasticamente e

obiettivato215.

Il paesaggio, anche nell'accezione di autori moderni come il

citato M. Schwind, reca quindi in sé l'impronta dell'uomo: è carico di

senso, e <<rende perciò manifesta la forma spirituale del suo creatore.

E' paragonabile a qualsiasi altra opera dell'uomo, ma è certamente

molto più complesso. Un pittore ha creato un quadro, un poeta ha

creato una poesia. Un popolo intero ha creato un paesaggio-e non in

un tempo determinato, ma attraverso un lungo periodo che oggi

214 Ibidem.215 Ivi, p.228.

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continua>>216.

Esso è un paesaggio modellato dall'uomo, quando questi

interviene sulla natura e ne modifica l'aspetto esprimendo in essa il

senso di una civiltà. Siamo in presenza di un fenomeno che è

qualcosa, nella sua portata culturale, di difficile da interpretare perché

è in continua composizione e ad esso si lavora continuamente, come in

una sinfonia. Questo aspetto è facilmente osservabile in quanto il

paesaggio muta, subisce delle metamorfosi nel tempo e non è detto

che siano tutti dei cambiamenti negativi.

E' chiaro che lì dove l'impronta dell'uomo è preponderante

rispetto alla natura e cioè in presenza di un paesaggio culturale

assoluto, si tratta di un rapporto disarmonico con la natura: è il caso

estremo del progressivo e reciproco intrecciarsi di natura e cultura,

notato da autori odierni soprattutto nei paesaggi contemporanei, uno

tra tutti il paesaggio urbano di New York217.

Non si è istituito quindi un rapporto armonico tra uomo e

natura lì dove Prometeo è prevalso su Orfeo, ma in alcuni casi è stata

possibile una <<armoniosa compenetrazione tra libertà dell'uomo e

216 M. Schwind, Senso ed espressione del paesaggio in L.Bonesio, M. Schmidt di Friedberg (a cura di), L'anima del paesaggio, cit., p.46.

217Ivi, p.50 <<Non c'è bisogno di mostrare come non si possa parlare di tale armonia laddove il paesaggio si è completamente imposto sulla natura. Valgano come esempio la regione della Ruhr, la Black Country o il paesaggio urbano di New York>>.

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spontaneità della natura218, che restituisce, per così dire, l'opera di

Prometeo alla signoria di Orfeo, identificando la natura e la cultura a

un punto tale che l'essere in quel paesaggio, il vivere in quel paesaggio

ed in esso operare, è insieme, in ogni sua fase, in ogni suo istante, una

contemplazione>>219. Assunto descrive come esempi di una tale

identificazione i paesaggi lombardi del Cantù220.

Il fare umano diventa allora arte del paesaggio, non semplice

intervento in vista di finalità utilitarie, ma gesto in cui, come in

un'opera d'arte, la costrizione è al servizio della spontaneità e la

meccanicità piegata alle esigenze della contemplazione.

La natura è modellata da un'attività umana autofinalistica,

avente come fine ultimo la contemplazione:

<<E' il finalismo di una natura che l'uomo ha ordinata e modellata in vista della contemplazione disponendone bellamente i prodotti, e pertanto da sembrare che

218 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit. pp.41-44, si vedano i casi di Mestre e Venezia <<A Madame du Buccage, siamo debitori della descrizione di un modo di accedere a Venezia attraverso, e non contro, il paesaggio della campagna veneta e quello lagunare […] una esperienza come quella descritta da Madame du Buccage è ormai vietata per sempre: non essendovi più continuità alcuna tra Venezia e lo spazio che uno percorre per arrivarvi, in quanto questo spazio non è più paesaggio, essendo stato urbanizzato per intero, e in maniera contrastante con la città lagunare. Alla omogeneità della città e del paesaggio si è sostituita la radicale omogeneità, e incompatibilità reciproca, formale oltre che sostanziale, delle due città, Mestre E Venezia>>.

219 Ivi, p.284.220 Ivi, p.284 << Il paesaggio culturale, prodotto dall'uomo che in esso ha oggettivato il proprio

spirito e nel plasmare il proprio spirito oggettivandolo ha modellato la natura come materia, un certo paesaggio culturale, assomiglia al giardino >>. Cfr. R. Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, cit., p.82 <<Il giardino, in altre parole, come mimesi del paesaggio: mimesi di una natura della quale, con i mezzi stessi che essa offre, viene imitata la libertà delle forme, e questa soltanto: poiché il giardino è esibizione della natura come pura apparenza, senza interesse alcuno all'utilità>>,

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abbia il proprio fine in se stessa, e non fuori di sé; quasi fosse autofinalistica, come sempre è l'opera d'arte>>221.

L'eterofinalismo strumentale e la causalità meccanica dell'orizzonte

prometeico cedono il posto, nel paesaggio culturale, all'autofinalismo,

alla spontaneità della natura entro cui la meccanicità del costruire è al

servizio della libertà. Ecco ricomporsi, attraverso il paesaggio

culturale, quell'unione di libertà, arte e cultura, di cui Orfeo è

l'emblema.

III.5 La città di Anfione: armonia tra natura e storia

Abbiamo già visto, nel precedente capitolo, come le città

odierne escludano il carattere metaspaziale della natura come

paesaggio, così come allontanino da sé la campagna e come, di fatto,

perdano armonia, bellezza, dimensione storica e presenza dell'infinito

nel finito. In questa sede ci occuperemo, attraverso Assunto, di una

città-opera d'arte, la città storica, all'interno della quale possiamo

individuare tutti quegli elementi che la città prometeica escludeva da

sé, in vista del raggiungimento di obiettivi e fini pratici.

Vogliamo occuparci della città storico-culturale di Anfione, figlia della

parola e del canto: secondo il mito greco, raccontato da Pausania,

221 Ivi, p.285.

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Anfione aveva imparato da Hermes a suonare la cetra e con la sua

musica era riuscito ad addomesticare le belve al pari di Orfeo,

rendendo docili anche i massi che si levavano per formare le mura di

Tebe. La città potrebbe essere definita anche città orfica, o meglio,

anfionico-orfica, per la vicinanza col mito di Orfeo: <<nel senso che

come Orfeo ammansiva con il canto e con la musica le belve [...] così

Anfione ammansiva con la musica e con il suo canto la razionalità del

fare costruttivo; quella che se non domata dalla poesia e dalla poesia

sottomessa, diventa una prassi utilitaria>>222. Allegoricamente

interpretato, il mito di Anfione, rappresenta la città come creazione

artistica.

Nella città anfionea, contemplare e godere la bellezza,

eccedente rispetto all'utilità funzionale, è lo scopo supremo223. In essa,

proprio perché nata dalla musica e dalla poesia, è possibile un

rapporto armonico con la campagna che la cinge e che anzi, vive in

simbiosi con essa, finalizzando una espansione che sia in continuità

con l'elemento naturale. Contrariamente a quanto Bacone aveva

222 R. Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo, cit., p.146 <<[...] prassi utilitaria: che soggioga l'uomo alle macchine da lui stesso inventate […] e rischia di ridurlo […] un insetto, un pidocchio che fa il solletico alle macchine>>.

223 Ivi, p.81 cit. tratta da W. Muller, Die heilige Stadt: <<Più perché le vediamo belle che non perché ne scorgiamo l'utilità ammiriamo nel cielo le mirifiche opere degli Dèi; ed ovunque è possibile constatare che giammai la natura desiste dallo sbizzarrirsi in fantasmagoria di bellezza, come per non dir d'altro nel variopingere i fiori>>.

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teorizzato nella Nuova Atlantide, tra città e natura e quindi tra uomo e

natura, non ci sarebbero salti, ma continuità224: <<e vuol essere

continuità senza salti dalla necessità meccanicamente governante la

natura, alla grazia del mondo umano, […] vuol essere manifestazione

di libertà a sé armonizzante, invece di asservirlo, il mondo della

natura. Armonia, dunque, e non antagonismo, di mondo storico e

mondo naturale>>225.

In essa l'uomo opera una sorta di perfezionamento della natura,

di cui viene rilevata la portata estetica come paesaggio anziché essere

vista come nemica da artificializzare e soggiocare. Questa

conciliazione tra natura, uomo e quindi storia è interpretabile anche

attraverso il tempo.

La città storica o pretecnologica si viene a costituire come

un'opera d'arte attraverso la quale è possibile trovare l'infinito nello

spazio finito e, nella sua figura estetica tangibile, la compenetrazione

delle tre dimensioni temporali e quindi l'eterno: <<immagine

224 Ivi, p.129 Si veda la città di Liebniz in opposizione a quella baconiana: <<Continuità, nella filosofia liebniziana, della natura che senza salti dalla necessità meccanicamente governante la natura, alla grazia del mondo umano, in quanto è libero arbitrio, vuol essere manifestazione di libertà a sé armonizzante, invece di asservirlo, il mondo della natura. Armonia, dunque, e non antagonismo, di mondo umano storico e mondo naturale>>.

225 Ivi, p.129 <<La Grazia, diciamo, libera nel mondo umano la natura dalla necessità meccanica, e si manifesta come esteticità della città in cui la natura si fa, come in un giardino, oggetto di libera contemplazione>>. si veda G.W. Leibniz, Confessio philosophi. Hrsg. Von Otto Saame, Klostermann, Francoforte 1967, p.56.

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dell'eterno è la sua figura estetica>>226.

La città stessa è un'opera d'arte tutta che permette al passato di

vivere nel presente e che porta il presente nel futuro227.

La città viene a costituirsi in questo modo come immagine spaziale

non della temporaneità seriale della città di Prometeo, ma della

temporalità qualitativa, storica. In questo modo, la temporalità del

vivente, che dentro di essa vive, si solleva al di sopra della propria

finitezza e assume in sé la temporalità di cui la città è immagine. La

vita è più di una semplice incrostazione biologica e il rapporto nella

città anfionea tra uomo e natura rappresenta al meglio questo aspetto.

Non si dà opposizione tra uomo e natura, o perlomeno, la si

supera in quanto la storia nasce dalla natura e in questa ritorna: la città

nasce nel paesaggio e da esso è abbracciata, convertendosi in un certo

senso in esso: <<La storia che comincia nella natura ha il suo epilogo

nella natura, come la città nasce nel paesaggio; e nella natura ha il suo

epilogo: epilogo anche della città storica, quel ritornare di storia e città

a natura e paesaggio>>228. Le rovine delle città storiche sono

226 Ivi, p.144.227Ibidem <<Della città, diciamo così pretecnologica, abbiamo potuto constatare che il

compenetrarsi, in essa, delle memorie storiche cristallizzate in costruzioni fronteggiantesi o fiancheggiantesi, portava a vivere il passato nel presente, e il presente nel futuro: la memoria di oggi come l'anticipazione di ieri, l'aspettativa di oggi come la ricordanza di domani: ed il passato che si prolunga nel presente e si anticipa nel futuro (il quale sarà un passato come il passato è stato futuro>>.

228 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.74.

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l'esemplificazione migliore per spiegare quanto detto: sono immagine,

che torna a paesaggio, di una storia che ha restituito se stessa alla

natura229.

Il tempo della natura infatti precede il tempo storico e lo

oltrepassa. In esso e, tramite di esso, la conciliazione tra natura e

storia attraverso il paesaggio: <<Il paesaggio, unità di storia e natura:

la natura, che prende forma assimilando a sé la storia dalla quale si

lascia modellare; la storia, che, immedesimandosi alla natura, diventa

contenuto delle forme che essa stessa ha date alla natura; così come la

città (il cui tempo, sappiamo, è quello della storia) è inclusa nella

natura, dà forma alla natura che la circonda; e da essa riceve a sua

volta una forma in cui la sua temporalità storica viene sollevata al di là

di se stessa, viene immessa nella temporalità metastorica della

natura>>230.

229 Ivi, p.74 <<La storia comincia nella natura, come la città nasce nel paesaggio; e nella natura ha il suo epilogo: epilogo, anche della città storica, quel ritornare di storia e città a natura e paesaggio, di cui si accorse poeticamente il gusto settecentesco, e poi romantico, che nelle rovine vedeva l'immagine di una città come frantumata nel paesaggio, ridiventata tutta e solo paesaggio: immagine di una storia che ha restituito se stessa alla natura>>.

230 Ivi, p.347.

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III.6 Paesaggio: piacere per l'anima e il corpo

E' a proposito della dimensione estetica del paesaggio che si

apre l'orizzonte del godimento fisico e spirituale della natura. Queste

considerazioni, tratte da R. Assunto, mostrano un'apertura ad

argomentazioni filosofiche che strettamente si legano a motivi

biologici ed ecologici.

Attraverso la contemplazione libera e disinteressata, non legata

al finalismo utilitaristico di stampo prometeico, abbiamo visto che la

natura stessa è libera. L'uomo ne gode come se essa fosse

finalisticamente ordinata per il suo godimento231.

Ma di che tipo di godimento parliamo riferendoci alla

contemplazione del paesaggio? Quando contempliamo la natura non ci

troviamo, come nel caso delle opere d'arte pittoriche o scultoriche, di

fronte ad essa, ma ci troviamo all'interno di essa: il nostro essere nel

paesaggio è vivere nel paesaggio232. Il nostro essere immersi nella

natura, senza che si dia una fusione estetica, determina un godimento

non soltanto culturale, ma anche dell'anima e fisico.

Contemplare il paesaggio vuol dire goderne culturalmente,

<<essendo il paesaggio natura promossa a cultura, cultura restituita

231 Ivi, p.264.232 Ivi, p.119.

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alla natura, anzi cultura come natura>>233.

Cosa vuol dire però goderne fisicamente e nell'animo, come si

profila questa unità di corpo e mente? L'uomo, all'interno del

paesaggio, riesce a sperimentare una sorta di contentezza dell'essere, il

sentimento di sentirsi vivo, come natura vivente dentro l'orizzonte

naturale:

<<Nella emozione estetica del paesaggio, in quanto il paesaggio è natura in cui viviamo, questa unità indifferenziata del godimento fisico con cui il vivente, in quanto è natura, vive la natura-ambiente nella quale si trova, e della contemplazione con la quale il vivente, in quanto è pensiero, gode della natura in cui è e insieme gode di se stesso che vive questa natura>>234.

Si tratta di una unità di piacere vitale e <<letizia pensante e

pensosa>>235, fenomeno legato alla natura quale paesaggio all'interno

della quale meditiamo razionalmente su di essa e insieme la sentiamo

e la percepiamo sensibilmente236. Il paesaggio <<allarga il cuore>>,

abbiamo bisogno di aria fresca, di distensione e per quindi ci

233 Ivi, p.141 <<Unità del piacere naturale, che diventa godimento culturale, e del godimento culturale che viene vissuto come un piacere naturale, senza che questo debba retrocedere a livello meramente fisiologico- perché anzi, in questa naturalizzazione del godimento culturale è il piacere fisiologico che si media in se stesso nobilitandosi, e diventa, esso stesso, ragione e cultura>>. Si vedano Les Rêveries du promeneur solitaire di Rousseau, citato da R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.140.

234 Ivi, p.127.235 Ibidem.236 Ivi, p.133 Hartmann ci parla di un sentimento vitale o autogodimento che si prova all'interno

di un paesaggio e, il viverlo, determinerebbe gioia e vitalità: <<ci sono oggetti naturali i quali con assai più forza di quanto non facciano le opere d'arte inducono all'autogodimento (Selbstgenuß), cioè al godimento dei propri sentimenti. […] Di tali oggetti naturali; uno è il paesaggio>>. Quanto è contestabile secondo Assunto di questa visione è che si rischia di diventare un unicum con la natura che ci abbraccia, perdendo di vista la possibilità di goderne esteticamente senza tuttavia fondersi con essa e rinunciando a un'esperienza in cui necessariamente è essenziale una distanza.

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immergiamo nella natura. Il paesaggio diventa una sorta di condizione

del proprio essere natura vivente che partecipa fisicamente e

sensibilmente al esso: <<visione, ascolto; e odorato, e sapori e tatto: la

contemplazione della natura, quando ci troviamo in un paesaggio, è

identificazione di tutto il nostro essere, senza distinzione tra spirito e

corpo>>237.

Quando contempliamo il colore dei petali dei fiori, il

verdeggiare del fogliame e dei prati, proviamo un piacere di tipo

spirituale, cui si aggiungono <<i benefici di ogni sorta che quei fiori,

quelle erbe, i loro frutti arrecano alla nostra vitalità, la quale dei loro

aromi, dei loro succhi, dei loro frutti necessita per consumarli

assimilandoli a sé, nella respirazione, come nell'alimentazione>>238.

Noi sperimentiamo il nostro essere nella natura: col suo cielo, le sue

acque, le sue rocce, la sua vegetazione, i suoi aromi, colori e luci ci

arriva dentro, nelle membra.

E' chiaro che in questa sede, volutamente abbiamo descritto

una natura sana, non offesa e deturpata dall'uomo. In questo caso,

come accade nelle città odierne, il malessere della natura si riflette

237 Ivi, p.129 <<[...]perché il godimento dell'anima, disinteressato, è qui una specie di giudizio al quale fanno da soggetto non solo il paesaggio come tale per quello che in esso si può assimilare a un'opera d'arte, ma anche se sensazioni fisiche del nostro essere nel paesaggio, del nostro vivere della natura che alla contemplazione si presenta come il paesaggio del quale siamo parte>>.

238 Ivi, p.367.

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anche sugli stessi esseri umani, negando loro la possibilità di godere

della natura e della sua bellezza (malessere dell'animo) e avendo

effetti dannosi sulla salute: <<la minaccia che incombe su di noi, è

quella di una distruzione fisica estetico-metafisica […] come stato

dell'animo conseguente alla degradazione e distruzione del paesaggio

naturale con l'ambiente industrializzato>>239.

III.7 Bellezza e utilità

Il carattere rivoluzionario della filosofia assuntiana sta nel

rivolgersi alla natura e nell'auspicarne il suo rispetto in relazione a

qualcosa che gli è propria: la bellezza. La bellezza non è un irrilevante

epifenomeno, nonostante, come abbiamo visto, in quanto

inesprimibile quantitativamente, venga espunta da qualunque

considerazioni scientifica, ma <<è condizione di sanità fisica e

spirituale>>240.

Nella società odierna, siamo abituati a considerare la bellezza

come un che di accessorio, di effimero, avente un valore secondario.

Gli stessi intendimenti filosofici di estetica ambientale, sono soliti

239 Ivi, p.137.240 R. Assunto, Ontologia e teleologia del giardino, cit. pag.214 <<[...]tolta la quale, inevitabili

saranno la sterilità del suolo, l'inquinamento dell'aria, dei cibi, delle bevande, e la corruzione delle anime nella tecnoindustriale megalopoli>>.

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rivendicare la difesa dell'ambiente sulla base di motivazioni che hanno

poco a che fare con il bello, che rimane nascosto, quasi ci si

vergognasse di farne un motivo primario della difesa e della

salvaguardia del nostro ambiente, quasi significasse cadere in un

illusorio estetismo non al passo con i tempi241.

Se la natura deve essere riscattata, al giorno d'oggi, lo si fa

spesso non perché sia bella ma perché è utile, esempio più lampante

sono gli spazi verdi contigui alle industrie. Si tratta di una natura che

ha perso tutta la sua essenza e il suo carattere metaspaziale, ma che si

riduce a spazio fruibile, utilizzabile in vista non di un godimento fine

a se stesso, ma a un recupero, potremmo dire, delle energie produttive.

Non basta nemmeno il punto di vista di tanti ecologisti che

sostengono che la natura vada salvata perché il nostro benessere e la

nostra stessa vita possano mantenersi. E' invece necessario considerare

la bellezza come avente valore di per sè: essa non è un accessorio, ma

un dono inestimabile che attiene alla nostra esistenza in quanto

uomini.

Cos'è dunque la bellezza secondo Assunto? Essa è <<la

positiva qualità estetica del paesaggio […] è forma in cui si oggettiva,

241 Cfr. P. D'Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, cit.

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rendendosi contemplabile, quello stesso benessere che la natura ci

dona, e che soggettivamente uno gode come esaltazione del proprio

sentimento vitale>>242.

Ancora una volta emerge chiaramente la portata fortemente

qualitativa della concezione orfica della natura come paesaggio, che

non vuol dire cadere nell'estetismo, ma vuol dire tenere conto di

esigenze fisiche e spirituali che la società dell'avere respinge da sé. La

dimensione estetica - e la bellezza, di conseguenza - è quindi

strettamente legata non con la cosiddetta società prometeica del

benessere che, non preoccupandosi del malessere fisico e spirituale,

semina brutture e morte, ma col benessere fisico e spirituale

dell'uomo.

<<Il benessere […] non consiste soltanto nel reddito pro-capite

calcolato dagli economisti in base agli indici statistici, ma anche nella

possibilità di fruire e godere beni che tra l'altro non costano

niente>>243. La natura in quanto paesaggio dovrebbe essere

salvaguardata in quanto bella e, in quanto bella, essa - nell'originale

accezione assuntiana - <<non esclude, anzi rafforza una eventuale

presente o futura o passata utilità>>. Non si tratta certo del bieco utilitarismo

242 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.139.243 Ibidem.

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della società produttivistica e consumistica: qui ciò che è utile non ha più

ragione alcuna di essere, diventa scoria o rifiuto inutile.

<<Il bello è utile, dunque, né più né meno di come è bello: per la

vita. Perché la vita ha bisogno della natura, ne ha bisogno per non soggiacere

alla propria mortalità: per non morire anzi tempo>>244.

L'estetico e quindi la bellezza, supera qualunque considerazione inerente

l'utilità pratica. L'utile del paesaggio, che si manifesta come bellezza e come

manifestazione dell'infinito nel finito, permette, dal punto di vista spirituale,

di godere di se come esseri viventi, di non sentirsi annientati dal finito e dal

presentimento della morte. Non è l'utile dei produttivisti, come già detto,

ma è quello che ci aiuta a vivere , che vuole contemplare nella natura

bellezza e infinito per non rimanere dentro gli ambiti angusti del finito.

Non si tratta di recuperare quindi le qualità e la bellezza naturali

per un atteggiamento estetizzante fino a sé stesso, ma di considerarne il

valore legato al benessere psico-fisico umano: la bellezza, sosteneva

l'idiota di Dostoevskij salverà il mondo, essa è, ancora per Rilke, il senso

di tutto l'essere245.

244 Ivi, p.119.245 R. Assunto, La città di Anfione e di Prometeo. Idee poetiche della città, cit., p .214.

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IV. Paesaggio: tra estetica, ecologia, geofilosofia ed ecosofia

<<Il paesaggio come idea nella quale si vive ( o si desidera vivere, o ci si rifiuta di vivere) e, non soltanto idea che si pensa. Non uno dei tanti contenuti possibili del

nostro pensiero, ma una forma nella quale viviamo, vivendo in essa in quanto è natura, e vivendola come presenza della nostra vita a se stessa>>246.

Cammino con la bellezza davanti a me. Cammino con la bellezza alle mie spalle.

Cammino con la bellezza sotto i miei piedi. Cammino con la bellezza sopra di me. Cammino con la bellezza intorno a me.

Tutto è tornato alla bellezza.

CANTO DEI NAVAJOS247

<<Simili a zeffiri sulla superficie del mare, regnavano al di sopra di noi i benigni incanti della natura. Con gioiosa maraviglia ci guardavamo senza pronunciare

parola alcuna […] Talmente esaltati eravamo dalle energie del cielo e della terra>>248

<<Chiamavamo Terra uno dei fiori del cielo, e il cielo l' infinito giardino della vita. Come le rose si rallegrano del loro polline d'oro, così l'eroica luce del sole

rallegra, con i suoi strali, la Terra; essa è una magnifica creatura vivente>>249

IV.1 Educare alla bellezza

<<Che cos'è la bellezza del paesaggio? Non è forse un inconsapevole sguardo nell'ordine interno della terra, nel ritmo delle sue ripetizioni, nell'armonia della

246 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.251.247 E. Tiezzi, La belllezza e la scienza, cit., p.15.248 G. V. Amoretti (a cura di), F. Hölderlin, Iperiore o l'eremita in Grecia, cit., p.51.249 Ivi,p.75.

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superficie e delle linee, nella misura equilibrata dell'interazione delle sue parti, percepiti da un essere che è esso stesso parte e figlio della natura e dunque è intimamente subordinato a quegli stessi ordinamenti che intravede fuori di se stesso? La nostra gioia nella contemplazione non deriva dalla consonanza delle corde che vibrano nella nostra anima con la musica della Terra?>>250

Abbiamo più volte affermato che la bellezza, all'interno del

paradigma conoscitivo razionalista occidentale, è stata emarginata. La

scienza e la ragione funzionale sono state cieche verso tutto ciò che

non fosse esclusivamente quantificabile. La bellezza è stata

considerata come qualcosa di superfluo, incontrollabile o addirittura

avente un valore commercializzabile e quindi, riconducibile alla

quantità. Il decretarla come superflua o, per converso, addirittura

fastidiosa perché ingestibile, ha avuto conseguenze molto profonde

sulle stesse modalità con cui l'uomo si è rapportato alla natura e,

quindi al paesaggio, nel corso della storia. Oggi, più che in passato, si

tende a pensare che la natura, quale regno dell'armonia e della

bellezza, sia alle nostre spalle e che essa sia ancora presente, benché

lontana da noi, in qualche “museo all'aperto”251. Se essa è lontana, si

tende a vagheggiarla. Questo atteggiamento, di ricerca vagheggiata o

sognata, dell'armonia con la natura rende il più delle volte, nelle

società odierne, giustificabili tutti i comportamenti materialistici e 250 H. Lehmann, La fisionomia del paesaggio in L.Bonesio, M. Schmidt di Friedberg, L'anima

del paesaggio tra estetica e geografia, cit., pp.28-29.251 L. Bonesio, Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, Arianna editrice, p.53.

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irrispettosi su di essa: <<l'idealizzazione della natura [...] getta

un'ombra sul nostro mondo quotidiano, contribuendo al suo ulteriore

degrado>>252. La perdita del paesaggio e lo squallore edilizio di

ambienti urbani senza alcun rapporto con la natura influenzano

profondamente quindi i comportamenti sociali verso la natura. Il

senso di bellezza che cerchiamo in un ideale vagheggiamento di essa,

potrebbe e, soprattutto dovrebbe, essere cercato e favorito dall'

atteggiamento di un ipotetica umanità che passeggia nel mondo

<<senza danneggiarlo, senza lasciare tracce, senza trascurare qualcosa

di cui gli altri dovranno occuparsi>>253.

Dovremmo essere educati in primis alla bellezza e a gesti

appropriati verso la natura e quindi verso noi stessi, che di essa siamo

parte, dal momento che i nostri tempi sono segnati dalla disarmonia e

della bruttura: <<un'educazione a riconoscere il senso armonico dell'

appropriatezza di ciascuna manifestazione della natura e dunque, per

analogia, la necessità che anche ciascun atto umano sia il più possibile

appropriato, compiuto in senso più ampio -ecologico, sacrale,

culturale- è probabilmente il senso di ogni vera educazione, tanto più

nel mondo dell'accelerazione, del ritmo forsennato e caotico,

252 J. Hilliman, Poetica della bellezza, tr. it. Di P. Donfrancesco, Moretti & Vitali, Bergamo 1999, p.75, Cfr. L. Bonesio, Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, cit., p.53.

253 Ibidem.

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dell'automatismo ipnotico>>254.

Dovremo guardare alla natura e, quindi al paesaggio, nel suo

essere qualità, dovremo cercare di coglierne la ricchezza e varietà

togliendo i filtri della strumentalizzazione e dello sfruttamento e

recuperando, in un mondo che ne è sempre più a digiuno, il senso e la

sensibilità verso la bellezza. Imparare a vedere il bello vuol dire

imparare a vedere anche ciò che è vivo: <<Dobbiamo imparare a

leggere un'altra volta: questa volta non i libri di carta ma il libro della

natura […] Il vero vedere è immediato, […] non è il pensare di

vedere, ma è semplicemente, solo vedere. Quello che si vede è

qualcosa di mai visto>>255.

Il recupero della capacità di vedere la bellezza non deve

sbrigativamente essere ricondotto a una forma di estetismo o di

rapporto immediato, inteso come superficiale, con la natura: ciò che è

bello è anche vivo, è, e pertanto ha un suo valore ontologico.

Parafrasando Assunto, se bellezza vuol dire anche salute, quanto

costa in termini di benessere fisico e mentale, vivere in un ambiente

che non sentiamo nostro, inquinato, degradato? E' da recuperare un

rapporto più immediato con la natura, ma non per questo non

254 L. Bonesio, Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, cit., p. 54.255 R. Pannikar, Saggezza stile di vita, tr. it. Di Th. B. Korthals, ECP, S. Domenico di Fiesole

1993, p.65.

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profondo, in cui ci si possa stupire guardando, o meglio,

contemplando, la bellezza che ancora ha qualcosa da dire e da dare.

IV.2 Umanesimo scientifico

Che ruolo può avere oggi l'estetica della natura? Cosa può

dirci il guadare alla dimensione naturale non in termini di misure, di

colori ridotti a lunghezze d'onda, di spazio ridotto a contenitore

geometrico, ma guardando ad essa come orizzonte da interpretare,

sentire, vivere?

Secondo molti autori contemporanei essa ha un valore insostituibile.

Vediamo perché.

I motivi per i quali mettere in discussione l'assunto antiestetico

della scienza tradizionale li abbiamo già visti: il riduzionismo

scientifico ha di fatto operato una semplificazione della natura, che ha

permesso di gestirla e manipolarla, ma ha eliminato qualsiasi tipo di

sensibilità alla bellezza, al qualitativo e, come è sotto gli occhi di tutti,

anche alle qualità ecologiche e al rispetto della natura come ambiente.

Questa visione mostra parecchi limiti. Essa infatti non tiene conto del

fatto che la natura non è mai qualitativamente uguale a se stessa,

cambia, si modifica ed è in questo in costante colloquio con l'uomo,

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anch'esso natura e non fredda macchina distante dal mondo della vita:

<<la natura nel suo insieme è modellata da ogni essere come la forma dell'acqua è modellata dal pesce e ciascuno dei nostri movimenti crea onde e trasformazioni. La natura è un organismo: è dappertutto. Gli occidentali cercano di rappresentarla dividendola e stendendola su una linea per esaminarla a pezzetti. Sembrano sempre “gente che sta fuori e cerca di guardare cosa c'è dentro”>>256.

L'estetica della natura, una volta inserita e resasi collaborativa

con i saperi certi, permetterà di superare lo scientismo rigoroso e di

introdurre il mondo delle qualità. La separazione delle leggi di natura

tra scienze differenti è un artificio umano: la natura è un tutto

integrato. La complessità degli orizzonti impone la collaborazione

delle due culture e il superamento delle scissioni in una forma di

“umanesimo scientifico”257, ipotesi e progetto paventato da numerosi

filosofi e uomini di scienza, uno tra tutti I. Prigogine nella famosa

Nuova Alleanza. Dal nostro punto di vista, questo vorrà dire

recuperare il valore dello spazio come paesaggio: realtà spaziale più

che spaziale che reca in sé vita, qualità, bellezza e naturalmente, in

quanto vissuto dall'uomo, storia e cultura.

Bisogna quindi recuperare la fiducia nella capacità conoscitiva

256 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, cit., pp.21-22 cit. Wovoka, Il messaggio rivoluzionario dei nativi d'America, Libreria editrice fiorentina, Firenze, 1979.

257 E. Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, Garzanti, p.206 Cfr. I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, trad. it. P. D. Napolitani, Einaudi, Torino 1999, C.P. Snow, Le due culture, trad. it di A. Cargo, Marsilio Editori, Vicenza 2008.

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e nella possibilità di tessere una relazione fruttuosa con la natura fatta

anche di istinto, emozioni, qualità e quindi estetica. L'estetica della

natura diventa allora parte integrante dello studio della natura: si

tratta, per E. Tiezzi, di recuperare una filosofia di stampo lucreziano

capace di intrecciare nuovi alfabeti di colloqui tra noi e la natura258.

Quest'ultimo individua nella Qualità e nella Forma due categorie

essenziali per poter riorganizzare una nuova epistemologia o filosofia

della natura, in cui l'estetica abbia un ruolo determinante nelle scelte

economiche, politiche e sappia intrecciare nuovi alfabeti tra noi e la

natura259. L'uomo sarà così capace di cogliere esteticamente la natura

come paesaggio, avendo la capacità di apprezzare esteticamente la

bellezza della Madre Terra, senza spezzare il cordone ombelicale che

lo lega ad essa e con essa, al mondo della vita.

Il rinnovato punto di vista sulla natura dovrebbe oggi superare

la dicotomia netta tra ciò che interessa l'uomo e ciò che interessa la

natura, perché entrambi organismi vivi e qualitativi. L'estetico

dovrebbe essere capace di incisività, cercando di tutelare le qualità,

anche di stampo ambientale ed ecologico, della natura.

258 Ivi, p.89.259 E. Tiezzi, Il capitombolo di Ulisse, Feltrinelli, Milano 1991, p.88.

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IV.3 Il paesaggio: dimensione estetica ed ecologica

Nel 1866 un biologo tedesco di nome Haeckel conia il termine

ecologia per indicare le relazioni tra ambiente e organismi. La

landscape ecology260 oggi integra approcci biofisici e analitici con

prospettive umanistiche e olistiche, attraverso le scienze naturali e le

scienze sociali.

In questa sede vogliamo guardare al paesaggio, considerato

come un insieme complesso di ecosistemi, in cui si è necessario una

integrazione con gli aspetti naturali-percettivi e le azioni umane,

contrariamente a cosa è avvenuto. L'ecologia ha infatti per lungo

tempo fatto a meno di utilizzare la nozione di 'paesaggio', parlando di

'ecosistema' come un insieme individuato da caratteristiche fisiche e

biologiche, dunque si è riferita all'ambiente come spazio fisico-

biologico.

In questo senso l'ecologia, al pari della geografia, ha cercato di

ricondurre il paesaggio in termini oggettivi, riconducibili ai dati fisici,

cassandone le caratteristiche estetico-percettive. L' interesse, verso la

natura in chiave ecologica avrebbe dovuto invece coniugarsi e non

260 Troll coniò il termine che designa la disciplina nel 1939. È soltanto però verso la fine degli anni '80 in nord America che acquisisce una vera dignità scientifica, indirizzandosi in particolare verso lo studio dei grandi spazi naturali. Il termine Landschaftsökologie fu utilizzato nel mondo scientifico internazionale soltanto a partire dal 1982, con la fondazione della IALE (International Association for Landscape Ecology). Nel 1987 inoltre avvenne la pubblicazione della prima rIvista sulla Landscape Ecology, diretta da Frank Golley.

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escludere le argomentazioni estetiche, che permettono di focalizzare

l'attenzione sulle qualità, in questo senso anche ecologiche della

natura, intesa come ambiente in cui viviamo.

Assunto, ne Il paesaggio e l'estetica, esprime una sorta di

identificazione teorica tra il punto di vista estetico e quello ecologico

che dovrebbe avvenire e che non avviene in quanto gli <<ecologisti

argomentano restando sullo stesso terreno edonistico-prometeico dei

produttivisti, ai quali oppongono unicamente la difesa delle risorse

materiali>>261. Essi infatti, tendono a ridurre anche nel parlato, la

complessità dell'esperienza paesaggio con quella di una metaspazialità

ridotta ad ambiente. Questa riduzione di 'paesaggio' ad 'ambiente' può

essere fuorviante, in quanto rischia di svilire la complessità del

fenomeno paesaggio a mero spazio o contenitore entro cui la vita e le

vicende umane si svolgono, senza tener conto del valore estetico,

percettivo, storico, culturale ad esso sotteso262.

Per Assunto interessarsi alla natura in quanto paesaggio dal

punto di vista estetico, vuol dire parlare dell'ambiente dell'ecologia,

considerato come oggetto di contemplazione: <<l'ambiente

261 R. Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo. Idee e poetiche della città, cit., p.212.262 E. Croce, La lunga guerra con l'ambiente, Mondadori, Milano 1979, p.73 <<'Paesaggio' è un

termine che continua a richiamare facilmente accenti sarcastici da politici e managers, i quali indistintamente lo intendono come l'acquerello della signorina ottocentesca. Un termine il cu suono, di sia pur cIvilissimo dilettantismo, non appartiene più alla odierna, aspra e rivendicatva, difesa dell'ambiente>>.

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dell'ecologia altro non è se non il paesaggio di cui parliamo in estetica

come di un oggetto di contemplazione; ma considerato dal punto di

vista dell'azione che le sue varie componenti esercitano sulla

formazione e conservazione della vita>>263. Le ragioni estetiche in

difesa del paesaggio erano, in altre parole, le stesse ragioni ecologiche

in difesa dell'ambiente, ma guardate da un punto di vista diverso:

<<La verità è che non solo non c'è alcuna differenza tra il punto di

vista estetico e il punto di vista che diremmo ecologico, ma addirittura

sono due facce della stessa medaglia>>264.

Contrariamente alla prospettiva riduttivistica nei confronti

degli elementi percettivo-estetici, operata sia dall'ecologia che dalla

geografia, l'estetica, come abbiamo visto, prende su di sé il carico

delle qualità e di tutti quegli aspetti sensibili che erano stati esclusi, in

quanto inutili, dal territorio della scienza e della cognizione certa sul

paesaggio.

Sono i danni provocati dall'uomo sulla natura-ambiente in cui

vive che hanno reso necessario un ritorno e un rinnovato interesse nei

confronti della bellezza della natura, anche se spesso, le motivazioni

in difesa dell'ambiente mostravano non poca insofferenza nei

263 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.136.264 Ibidem.

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confronti di argomentazioni puramente estetiche, che apparivano assai

frivole, se paragonate alla stessa sopravvivenza della specie. Lo stesso

termine 'paesaggio', come abbiamo visto, è stato sostituito spesso col

termine 'ambiente', perché in esso si ravvisava un che di datato,

romantico e posticcio.

Sulla scia della assuntiana identificazione tra estetica ed

ecologia, seppure su un piano teorico, il paesaggio può essere visto

come prodotto e manifestazione delle relazioni tra Uomo-Società e

Ambiente. Possiamo guardare ad esso come 'dimensione estetica

dell'ecologia', secondo la prospettiva di G. Pizziolo265. Il paesaggio si

presenta come struttura naturale e come prodotto dell'azione

dell'uomo e quindi manifestazione culturale che ha in sé le potenzialità

per trasmettere l'Informazione (comunicare la bellezza).

In questo senso, al pari della musica che trasmette un messaggio

attraverso il suono, la pittura tramite il colore e così via, il paesaggio

verrebbe ad essere una sorta di 'linguaggio' che la natura possiede per

poterci parlare, comunicare ed esprimersi anche sugli interventi che

l'uomo, o meglio, la Società fa su di essa. Si tratterebbe in un certo

senso di paesaggio come arte ecologica, sempre che esso sia rispettato

265 G. Pizziolo, Ecologia e...estetica in E. Tiezzi ( a cura di), Ecologia e...,Laterza, Roma 1995, pp.61- 78.

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e non subisca forti danni dall'opera dell'uomo. Al giorno d'oggi, il

messaggio potrebbe essere semplificato da un grido di dolore della

natura: il paesaggio infatti non si dà più in quanto essa è vinta, la si

ritiene ostacolo, diventa asfittica e si perde ogni traccia di bellezza.

Come arginare ecologicamente la perdita del bel paesaggio?

Dovremmo ricucire quel rapporto fruttuoso che ci lega alla natura,

reciso dalla logica razionalistica che pensa solo in termini quantitativi,

e pensare ai paesaggi come luoghi della vita, in cui si esprima la

relazione ternaria ed ecologica tra Uomo- Natura e Società.

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IV.4 Tutelare e mantenere

Concretamente dovrebbero essere recuperati, conservati e

mantenuti i paesaggi esistenti, andrebbero rivisti i rapporti tra città e

campagna, mostrando attenzione e progettualità ecologica anche

nell'edificare le zone abitative e le città, diventate sempre più

ipertrofiche, degradate e sempre più omologate tanto da zittire

qualsiasi componente legata alla cultura del luogo266. Basti pensare

all'utilizzo di materiali, quali il cemento, uguale in tutto il mondo,

grigio e anonimo, che si sgretola diventando rifiuto, scoria o ancora

all'eternit, concepito per sfidare il tempo ma eterno solo nel lasciare

bruttezza e morte. Non si tratta di guardare nostalgicamente al passato

o di essere conservatori e voler fare un'operazione museale sui

luoghi267, si tratta di guardare alla natura e alla natura come paesaggio

in termini di valorizzazione estetica ed ecologica. Esso infatti non si

può cristallizzare in una forma una volta per tutte: esso è vivo e vive

nel rapporto con l'uomo268.

266 L. Bonesio, Oltre il paesaggio, cit., p.43 << Ovunque una sorta di gigantesca città continua, dalla quale è quasi impossibile uscire, perchè è dappertutto con le stesse periferie, le stesse arterie viabilistiche, gli stessi cartelloni, le stesse insegne, la stessa trasandata uniformità>>.

267 L. Bonesio, Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, cit., p.82 <<Il paesaggio finisce allora per diventare fastidioso inciampo che, da parte loro, i responsabili della sua tutela (quando ci sono) spesso concepiscono nei termini di una museificazione dell'esistente o di un ripristino filologico e simulacrale di qualcosa che non esiste più>>.

268 P. D'Angelo, Estetica della natura, cit., p.162.

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IV.5 Identità estetica dei luoghi: paesaggio come natura, cultura, storia

Abbiamo visto come oggi sia difficile stabilire una relazione

ternaria uomo-natura-società armonica: prova ne sono gli scempi

paesaggistici dei nostri territori. Mettiamo per un momento da parte la

questione ecologica per concentrarci sull'elemento culturale e storico,

legato appunto al terzo elemento della relazione ternaria di Pizziolo,

la Società. Ci rifacciamo all'orizzonte geofilosofico che ripensa il

paesaggio in termini di ' luogo'269, aprendo a prospettive più ampie che

vedono il paesaggio, come luogo, inserito nelle dinamiche dei processi

mondiali di spaesamento e perdita di territorialità seguiti alla

globalizzazione. Il paesaggio non è quindi, in questa sede, l'oggetto di

cui si occupano l'estetica e la geografia, e neppure la posta in gioco

delle battaglie ecologiste. Paesaggi sono i luoghi in cui abitiamo,

viviamo e nei quali gli altri, dopo di noi, si spera possano abitare, che

-teoricamente- dovrebbero essere depositari di identità, cultura e

memoria.

<<Cosa trova lo spirito nel paesaggio? […] Trova se

stesso>>270. Vediamo di spiegare cosa voglia dire questa affermazione

269 L. Bonesio, Geofilosofia del paesaggio, Mimesis, Milano 1997, p.24.270 K.Kerényi, Paesaggio e spirito, in La Madonna ungherese di Verdasio. Paesaggi dello spirito

e paesaggio dell'anima, tr. it. Di A. Ruchat, Armando Dadò, Locarno 1996, p.32.

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di K.Kerényi: il paesaggio reca in sé i segni dell'integrazione tra

uomo, come comunità, e territorio, in esso si manifesta la ricchezza

simbolica delle culture. Esso è quindi una realtà complessa e

sedimentata di creazione e trasformazione culturale di lunga durata. In

esso possono esserci dei motivi estetici che rafforzano l'identità

culturale, oppure, come spesso accade ai nostri giorni, l'elemento

estetico può costituire una sorta di “immagine fittizia”, scissa

dall'orizzonte storico e sviluppatasi solo per motivazioni economiche,

per esempio turistiche. In questo caso guardare solo all'orizzonte

estetico del paesaggio è fuorviante in quanto non si tiene conto del

rapporto col territorio e lo si considera soltanto un elemento

accessorio, apposto al di sopra della complessità del fenomeno

paesaggio. Questo è uno dei punti di discrimine tra i paesaggi odierni

e quelli del passato: <<Il paesaggio - scrive E. Turri - un tempo era

impregnato di usi e memorie che esprimevano per intero la società,

che sussistevano al di fuori di fatti e personaggi precisi, perché il

tempo cancellava le date e i personaggi e lasciava emergere tutto ciò

che era lo spirito del luogo, genius loci, come una divinità

impersonale che si limitava a incarnare il senso del luogo, i suoi odori

e colori, le sue parvenze, le sue magie, i suoni e le parole che ad esso

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imperscrutabilmente si legavano, cosicché attraverso le generazioni si

perpetuava uno stile, un modo di vedere, un costruire>>271.

Il paesaggio è infatti, oggi come ieri, <<l'indice del grado di

realizzazione di una comunità della cultura con il luogo naturale e le

sue possibilità>>272. Di esso possiamo parlare nei termini di 'identità

estetica del luogo', non cassandone in questo modo le componenti

estetiche e non svilendole a tratti ritenuti soggettivi e sottovalutabili,

ma anzi, considerandoli, in un certo qual modo, “oggettivi” proprio

perché caratterizzano quel determinato paesaggio e ne fissano la

identità a livello non solo estetico ma anche storico e culturale.

All'identità e allo spirito del paesaggio appartengono sempre e

costitutivamente la natura e la storia, ossia il lavoro e la cultura

dell'uomo.

Così, con largo anticipo sui tempi, dice Assunto: <<Il

paesaggio è natura nella quale la civiltà rispecchia se stessa,

immedesimandosi nelle sue forme; le quali, una volta che la civiltà,

una civiltà con tutta la sua storicità, si è in esse riconosciuta, si

configurano ai nostri occhi come forme, a un tempo, della natura e

della civiltà>>273.

271 E. Turri, Il paesaggio come teatro, Marsilio, Venezia, 1998, p.143.272 L. Bonesio, Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, cit., p. 15.273 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p.365.

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Nell' orizzonte iperstandardizzato e omologato della modernità,

cosa resta dello spirito del luogo? Le capacità costruttive e di

configurazione del territorio molto ci dicono dello spirito in cui si

manifesta l'identità e dell'orientamento di una cultura. Ma senza

memoria, con delle città ridotte a <<spazio coatto di transito e

consumo>>, alle prese con un ipercostruttivismo di stampo

prometeico del tutto insensibile verso lo spirito della comunità

(qualora sia sopravvissuta alla indefinitezza della mondializzazione) e

verso il senso estetico, non si darà né bellezza né paesaggio. Questo il

quadro desolante della modernità:

<<In che cosa consiste la bellezza di un paesaggio e di una

città? Possiamo individuarlo nell'insieme di quel complesso di

elementi fisici, puntuali o diffusi, la cui perdita o trasformazione

rappresenta una perdita dei caratteri che determinano lo spirito del

luogo>>274.

Il paesaggio, pur attirando spesso l'attenzione sulle qualità formali,

estetiche e simboliche del luogo, non è e non può essere semplice

estensione geometrica priva di connotazioni e manipolata

impunemente, ma va costruita responsabilmente, in modo da avere

274 P.L. Cervellati, L'arte di curare la città, Il Mulino, Bologna 2000, p.109.

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una propria fisionomia distintiva ed in cui l'uomo, come comunità,

possa riconoscersi275, ricomponendo le fratture uomo-paesaggio-luogo

che la modernità ha determinato. Esso è spazio concreto e qualitativo,

recante in sé sedimentazioni storiche e culturali, “colori” e “figure”

che lo fanno essere unico e diverso da ogni altro. Soltanto in questo

modo pensare al paesaggio non vuol dire concentrarsi esclusivamente

sulla forma o le qualità estetiche, che possono spesso-anche se non

sempre- non rispecchiare la storia e la cultura del luogo, ma vorrà dire

'sentirsi a casa nel paesaggio': << riconoscerci nell'appartenenza a un

ben preciso orizzonte, che non è mai il risarcimento estetizzante e

momentaneo di una fruizione turistica, ma appunto, il sentirsi parte di

quella cultura e di quelle tradizioni che hanno informato di sé i luoghi,

ricevendone in cambio possibilità e ricchezza simbolica>>276.

Nella società odierna si assiste purtroppo spesso ad una

modalità di abitare che non si prende cura del luogo. E' quanto

abbiamo visto, nel corso della nostra ricerca, attraverso il processo di

scientifizzazione, industrializzazione e quindi omologazione, anche

nell'organizzazione dei luoghi277:

275 L. Bonesio, Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, cit., p.80.276 Ibidem Ivi, p.85 <<Non va dimenticato che la parola 'cultura' ha un etimo rivelatore, il latino

còlere, che mostra come il senso dell'abitare sia indisgiungibile dal coltivare, l'aver cura, il venerare e l'abbellire>>.

277 L. Bonesio, Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia, cit. 144 <<Ma la modernità che scardina con la potenza tecnica il nomos dei luoghi, cultura da cosmopoli, di sradicamento

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<<[...] Il nostro paesaggio, per ampie distese, ha perso ogni

attrattiva. […] Là dove si erge un albero grande e bello viene

abbattuto, là dove si erge un magnifico palazzo antico, viene demolito,

là dove un delizioso ruscello scende a valle viene rovinato[...] Gli

agenti dell'estinzione e dell'uccisione uccidono le città e le estinguono,

e uccidono anche il paesaggio e lo estinguono […] nello stesso tempo

in cui quelle persone, i potenti, hanno distrutto e mandato in rovina e

più o meno estinto il paesaggio e le città, hanno distrutto anche

l'anima del popolo, il suo carattere>>278.

Luisa Bonesio è molto chiara circa la dimensione che l'abitare

dovrebbe assumere: <<Abitare un luogo vuol dire prendersene cura

attraverso i modi del costruire, del coltivare, del perpetuare i tratti

significativi del suo darsi, e anche onorare il suo carattere sacro, il

genius loci, il che significa riconoscere che in ogni luogo c'è altro

oltre all'uomo, e di più rispetto alle dimensioni visibili, la cui presenza

e persistenza e persistenza richiede rispetto e responsabilità>>279.

Osservando un paesaggio dovremmo, in questo modo, vederne la

cristallizzazione dell'alleanza nostra con i caratteri naturali, simbolici

e meticciato, di livellamento ed elementarizzazione, non può generare un'architettura abitativa che non sia l'edilizia anonima, la macchina per abitare, la perdita di un nesso significativo con il luogo e la natura>>.

278 Th. Bernhard, Estinzione. Uno sfacelo, tr.it. A. Lavagetto, Adelphi, Milano 1996, pp.92-93.279 L.Bonesio, Oltre il paesaggio, cit., p.85.

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e culturali del luogo e con la bellezza della propria terra. Sempre

meno ciò avviene ai nostri giorni.

IV.6 Ecosofia.

Ci avviamo allora verso un approccio diverso nei confronti

dell'abitare umano che permetta di pensare al rapporto uomo-natura in

termini di coappartenenza e di rispetto reciproco. Per farlo, ci

avvaliamo del contributo di un sapere o, meglio, di una modalità di

relazione nei confronti del reale che enfatizzi la saggezza e il rispetto

dell'elemento qualitativo e delle diversità. Stiamo parlando della Deep

Ecology o ecosofia280. Questa posizione cerca di andare oltre

l'ecologia, la quale ha avuto il merito di mostrare la condizione nella

quale versa la natura e di riflesso noi stessi, ma ha pensato ad una

soluzione tecnologica, prendendo una strada non dissimile da quella a

cui ha mosso critica. R. Pannikar sostiene che: <<L'ecologia ci ha

svegliato,ci ha rivelato la nostra condizione. Ma la reazione normale

del pensiero tecnologico al problema ecologico è di trovare una

soluzione tecnologica, non di cercare le cause>>281.

280 L. Valle, Dall'ecologia all'ecosofia. Percorsi epistemici ed etici tra Oriente e Cristianesimo, tra scienza e saggezza, Ibis, Pavia 2015, p.49 Cfr. A. Naess, Dall'ecologia all'ecosofia, dalla scienza alla saggezza, in A.A.V.V., Physis: abitare la terra, cit.

281 R. Pannikar, Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della terra, Cittadella editrice, Milano 2015, p.115.

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L' ecosofia sceglie di andare oltre i territori dell'ecologia:

cosmo, oltre a voler dire mondo e ordine, vuol dire anche gioiello e

gioiello vuol dire anche bellezza. Perché la natura sia bella, è

necessario che in essa vi sia armonia e quest'ultima, nella prospettiva

ecosofica, è garantita dal libero gioco tra Uomo, Natura e Dio.

Lasciando da parte la questione "teantropocosmica" relativa al divino,

che non è direttamente inerente alle nostre ricerche282, lo squilibrio

causato dall'uomo alla natura non è recuperabile tramite la semplice

razionalità.

Vediamo allora in questa sede quale sia l'apporto del sapere

ecosofico in merito ad una relazione più corretta tra uomo e natura.

Posto che l'esasperato sviluppo scientifico e tecnologico della società

ha avuto ed avrà conseguenze distruttive verso l' autore di tale

processo e verso la natura, dovremmo -se interessati alla nostra stessa

sopravvivenza- ridefinire i rapporti tra uomo e natura.

Come iniziare? Innanzitutto dovremmo liberarci da una visione

scientifica che pretende di controllare e manipolare la natura,

indeterminatamente e indiscriminatamente, a nostro uso e consumo,

282 Ivi, p.41 <<[...] Situare il problema dIvino senza svincolarlo dal problema dell'uomo e da quello del cosmo: è il problema dell'infinità e della libertà che è insito in ogni cosa. Ecco di nuovo l'ecosofia>>. Si tratta dell'intuizione cosmoteandrica. Cosmos-theos-antrōpos, o teantropocosmico. Ivi, pp.107-107<<Dio, Uomo e Cosmo. Sono tre dimensioni di una stessa realtà, ciascuna delle quali ha una suapeculiarità essenziale, incommensurabile con l'altra>>.

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privandoci di fatto della possibilità di averne un contatto vivo e diretto

di poterne godere qualitativamente (e quindi esteticamente). Citando

nuovamente R. Pannikar, possiamo mettere in luce di come la scienza

moderna non assolva più alla funzione di conoscenza della realtà

nella sua totalità quasi come in un abbraccio ma di come, al contrario,

divenendo sempre più settoriale ed astratta, allontani tra di loro

elemento naturale e umano:

<<La scienza moderna è perversa. E' perversa perché ha pervertito anzitutto il senso stesso della parola “scienza”. La parola “scienza”, fino all'inizio della scienza moderna, non indicava ciò che ora viene indicato con tale parola. “Jñana” è la parola sanscrita che in greco diviene “gnōsis” e in latino “scientia”, da dove appunto viene “scienza”. Scienza è conoscenza piena. Il francese può farne addirittura un gioco di parole: “con-naissance”, ossia “naître ensamble”. La scienza significava sempre questa specie di abbraccio, di unione e comunione con la realtà. […] Scienza è quella capacità dell'essere umano di entrare in comunione con la realtà […] Non si tratta di relazioni, ma di comunione e di unione con qualcosa che in quel momento sta fuori di noi, e che attraverso la conoscenza diventa parte di noi. Noi andiamo realizzandoci man mano che conosciamo la realtà>>283.

La scienza perversa non ha permesso di realizzarci, ma ha frustrato le

componenti qualitative, sia umane che naturali, pur di procedere al

controllo, al dominio e alla manipolazione della natura. Con-

naissance è invece un nascere con l'altro da conoscere, è in-tuizione,

una conoscenza immedita ma non per questo superficiale. Abbiamo

visto, nel corso della nostra ricerca che, l'estetica entro la scienza è

283 Ivi, pp.21-22.

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ciò che consente il superamento di una visione scientifica puramente

quantitativa e introduce alle fondamentali categorie ecologiche della

qualità e della biodiversità284.

Su questa scia si colloca la dimensione dell' ecosofia, come

saggezza della gestione dell'habitat umano e della terra, che conduce-

in senso lato - a focalizzare l'attenzione sulla saggezza, sulla

coappartenenza tra uomo e natura, cercando di abitare la Terra

conservando come valore in sé bellezza e diversità qualitativa. La

natura infatti non può essere guardata dividendola ed estendendola su

di una linea per esaminarla a pezzetti. Essa è un organismo e, in

quanto tale, ha delle qualità che sono degne di essere considerate. Una

visione della natura puramente quantitativa nega la categoria biologica

della qualità e l'importanza dell'elemento estetico e, oggi, forse come

non mai, mostra forti limiti a seguito degli interventi scellerati

dell'uomo che guardano alla natura solo in termini di spazio e di utile .

A questo proposito, proponiamo una interessante visione della natura,

vista esteticamente come paesaggio, descritta da John Muir285, il quale,

284 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, cit., p.19.285 Cfr. L. Valle, Dall'ecologia all'ecosofia. Percorsi epistemici tra Oriente e Occidente, cit.,

pp.133-142, Ivi, p.133 <<Muir (1838-1914) è sensibile alla lezione della filosofia della natura romantica, della poesia di Shelley, dei trascendentalisti americani. [...] Miur è un "nomade" nella vita: e poi un conoscitore dal di dentro della natura, per empatia e simbiosi. E' un vivere dentro il ritmo pulsante della natura, un legarsi più stretto ai suoi suoni, alle sue forme. [...] Muir produce il movimento e lo spirito per la nascita dei Parchi nazionali, fondatore nel 1892 del Sierra Club e suo primo presidente>>.

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vissuto nell'Ottocento, non è da annoverare tra i pensatori dell'ecosofia

(sviluppatasi nell'ultimo trentennio del Novecento), ma ne anticipa

spirito e motivi:

<<La struttura del paesaggio stupisce tanto nelle grandi linee quanto nella sontuosa ricchezza di dettaglio: grandiosa congregazione di alture possenti, con il fiume che scintilla nel mezzo, ognuna scolpita in morbide forme sinuose, dove non un solo angolo di roccia è lasciato scoperto, quasi che la delicata trama di creste e avvallamenti creata dalle ardesie sia stata passata a smeriglio da mano sapiente. L'intero panorama mostra un disegno, un intento, come le più nobili sculture dell'uomo. Quanta forza in queste bellezza! Colmo d'ammirazione, sarei pronto ad abbandonare tutto per lei. Grato, infinito lavoro mi sarebbe allora decifrare le forze che hanno forgiato i lineamenti, le rocce, le piante, gli animali, l'avvicendarsi glorioso delle stagioni. Bellezza incomparabile ovunque, sopra, sotto, creata e in atto di essere creata per sempre. Resto a guardare, semplicemente a guardare, con l'animo pieno di desiderio e stupore>>286.

Guardare alla natura con stupore, ammirazione, come se fosse

la prima volta: la realtà riserva una ricchezza qualitativa decisamente

superiore se guardata con i nostri occhi, scevri da schemi astratti287.

Questo per quel che attiene le modalità di apportarsi ad essa in termini

osservativo-contemplativo. Ma cosa fare concretamente al fine di

superare la scissione tra spirituale e fisico? Come poter superare

questa iato che la scienza e la tecnica hanno via via prodotto nel corso

del tempo?

L'ecosofia non guarda al rapporto uomo-natura in termini di

286 J.Muir, La mia prima estete sulla Sierra, tr.it. Vivalda Editori, 1995, pp.23-24.287 R. M. Rilke, Lettere ad un giovane poeta, tr. it. Adelphi, 1980, p.30 <<Se vi tenete alla natura,

a quanto è di semplice in essa, alle piccole cose, che uno vede appena e che in maniera così imprevista possono divenire grandi e incommensurabili>>.

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dominio, ma vuole che la natura sia coltivata: <<coltivare se stesso-

dice R. Pannikar- così come coltivare la natura, proprio perché non

sono separabili. […] Non si tratta di lasciar andare la natura selvaggia

per conto proprio. L'uomo deve coltivare la natura, come deve

coltivare se stesso>>288. Questa visione, che al momento può destare

qualche perplessità, in realtà è da intendere in tutta serietà: fino ad

oggi siamo intervenuti in modo sbagliato sulla natura, quindi non

possiamo non agire, in quanto questo rimedio sarebbe peggiore del

male. Pannikar suggerisce di intervenire sulla natura con le stesse

modalità attraverso cui interveniamo sul nostro corpo:

<<ascoltandolo, amandolo, conoscendolo, coltivandolo,

creandolo>>289. Questo atteggiamento realizza bellezza e armonia,

stabilendo equilibrio tra uomo e natura: bisognerebbe saper ascoltare

ciò che quest'ultima chiede. Nel quinto libro del De amore, citato dallo

stesso Pannikar, Marsilio Ficino suggerisce agli agricoltori di ascoltare

cosa le piante vogliano e consiglia di avere saggezza nel dare alle

288 Ivi, pp.121-122; Quanto Pannikar esprime è in consonanza con quanto, in anticipo sui tempi, esprimeva lo stesso Assunto: Cfr. R, Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., pp.122-129, Ivi, p.129 <<Visione; ascolto; e odorato, e sapori e tatto: la contemplazione della natura, quando ci troviamo in un paesaggio, è identificazione di tutto il nostro essere, senza distinzioni tra spirito e corpo>>. L'identificazione tra noi, in quanto essei naturali, e la natura non avviene non soltanto a livello contemplativo, ma anche a livello fattivo: se interveniam incautamente verso la natura, anche il nostro benessere fisico e spirituale riceve dei contraccolpi. Vedi par. Paesaggio: lo stato d'animo della natura: in un bel paesaggio la vita si rallegra di sé, del proprio esser viva fisicamente; viceversa, lo stato d'animo d'orrore si accompagna ad un luogo che oggettivamente apporta disagio fisico, nausea e irritazione, Ivi, p.122.

289 Ivi, p.122.

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piante ciò che esse richiedono. Atteggiamento questo assolutamente

inusuale oggi, epoca in cui versiamo chili e chili di veleni per rendere

le piante più produttive290.

Tra elemento umano ed elemento naturale è necessario quindi

un equilibrio, non deve darsi una supremazia dell'uno sull'altro. Fino

ad ora è prevalso l'umano e il risultato è stata la catastrofe ecologica.

Ma a cosa ci riferiamo esattamente quando parliamo di equilibrio,

cosa vuol dire nella prospettiva di Pannikar? << Equilibrio significa

che nessuno è il padrone. […] L'equilibrio non si può fare

artificialmente>>.

Non possiamo recuperare razionalmente quello che secoli di

cieco dominio sulla Terra hanno causato: ciò non vuol dire cadere

nell'irrazionalità o nell'infantilismo acritico o ritornare al primitivo:

Pannikar parla di un programma o progetto che deve scaturire come

un fiore, con la spontaneità della natura: <<non sia il romanticismo di

tornare indietro, o la vita più o meno primitiva, ma un'altra forma che

non esiste ancora perché non può esistere né programma né progetto

già fatto. Deve scaturire come un fiore dalla spontaneità della

natura>>. Posto che non esiste un programma che deve essere seguito

290 Ivi, p.123 <<L'atteggiamento […] realizza la bellezza, crea armonia e stabilisce l'equlibrio uomo-natura. Come l'ascoltare che cosa la pianta richiede, invece di credere di saperlo meglio io, o di metterle il superfosfato per avere due raccolti invece di uno>>.

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pedissequamente per riconciliarci con la natura, il passo più

importante dovrà essere quello di considerare la terra non come

oggetto di cupidigia, di dominio, di sottomissione o di sfruttamento,

ma come parte di noi stessi: <<Nessun tentativo di ripristino ecologico

del mondo riuscirà, finché non arriveremo a considerare la Terra come

nostro corpo [...]>>291 afferma Pannikar.

L'ecosofia si colloca quindi oltre l' antropocentrismo che per

secoli ha strutturato il rapporto dell'uomo con la natura: <<La Terra-

afferma A. Naess- non appartiene all'uomo. L'uomo appartiene alla

Terra: questo lo sappiamo>>292. L'uomo non è da vedere

semplicemente come mente calcolante, come lo vedeva Cartesio, ma è

capace di contemplare, di aprirsi ad una conoscenza del reale in cui

entrino in dialogo saperi tra di loro antitetici: scienza, tecnica,

filosofia, estetica.

Ecosofia quindi come radicale rivoluzione del modo di pensare

e di essere, che si esprime come una radicale rivoluzione del modo di

abitare la natura che investe e tocca diversi piani, tra cui il conoscitivo

e l'estetico. Un abitare che, per dirla attraverso Lovelock, dove il

mondo non sia pensato come oggetto o macchina, ma come organismo

291 Ivi, p.152.292 A. Naess, Ecosofia (1976), tr. it. Red, 1994, pp.54-81.

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vivente, di cui siamo parte attiva e responsabile293.

293 Cfr,. J. Lovelock, La rivolta di Gaia, L. Valle, Dall'ecologia all'ecosofia. Percorsi epistemici ed etici tra Oriente e Cristianesimo, tra scienza e saggezza, cit., p.214.

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Conclusione

Lungo il corso del nostro itinerario abbiamo mostrato,

attraverso l' esperienza estetica del paesaggio, modalità differenti di

approccio nei confronti della natura, emblematicamente rappresentate

dalle figure mitiche di Prometeo e Orfeo. Prometeo è l'eroe della

civilizzazione, del progresso e della scienza, Orfeo, che dona pace e

armonia tramite il suo canto al regno naturale, è invece il riferimento

di un nuovo modo di abitare la terra.

Quello che ci preme sottolineare è che, in questa sede, abbiamo

indirizzato le nostre ricerche verso un certo tipo di paesaggio: il bel

paesaggio, pur consapevoli che l'estetica ha via via orientato il proprio

interesse anche nei riguardi del non bello, del brutto e del piacevole294.

In questa direzione si colloca l'interesse nei confronti delle terre

derelitte, per i luoghi costruiti artificialmente, per le forme inusuali dei

brutti paesaggi della contemporaneità. Nella modernità si è affermato

un nuovo modo di guardare alla realtà naturale: non potendosi e non 294 Cfr. K. Rosenkranz, Estetica del Brutto, a cura di R, Bodei, Aesthetica, Palermo 1984.

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volendosi realizzare un rapporto armonico ed equilibrato con la

natura, in quanto la si è voluta dominare, la sua bellezza è diventata

sempre più un fenomeno marginale, di cui si ritiene si possa fare a

meno. Non abbiamo seguito volutamente questa strada, ma abbiamo

considerato il valore della bellezza: per dirla attraverso Dostoevskij,

essa ha in sé la forza di salvare il mondo295.

G. Bateson afferma a tal proposito: <<La maggior parte di noi

ha perso quel senso di unità di biosfera e umanità che ci legherebbe e

ci rassicurerebbe tutti con un'affermazione di bellezza>>296. Nella

nostra ricerca, sulla scia di Assunto, bel paesaggio è sinonimo di

benessere fisico e mentale, bruttezza e incuria sono sinonimi di luogo

malsano in cui vivere, con conseguenze negative anche per lo spirito.

La bellezza è un che di necessario all'esistenza umana nelle visioni di

tanta parte della filosofia: pensiamo alla filosofia dell'Eros di Marcuse,

all'epistemologia della complessità di Morin, all'epistemologia della

mente di Bateson e anche a molti esponenti della cultura religiosa,

come Pannikar e il Dalai Lama297. Anche noi abbiamo voluto mettere

295 F. Dovstoevskij, I fratelli Karamazov, vol. 1, p.409.296 L. Valle, Dall'ecologia all'ecosofia. Percorsi epistemici et etici tra Oriente e Cristianesimo,

tra scienza e saggezza, cit., p.227.297 H. Marcuse, Eros e civiltà, cit; E. Morin, La méthode II. La Vie de la Vie, Le Seuil, Paris, l980,

trad. it. parz.La vita della vita, Feltrinelli, Milano, 1987; La méthode III.La Connaissance de la Connaissance,Le Seuil, Paris, l986, trad. it.La conoscenza della conoscenza,Feltrinelli, Milano, l989 E. Morin, G. Bateson, Mente e natura, tr.it. Adelphi, Milano 1984 e Verso un'ecologia della mente, tr. it. Adelphi, Milano 1976; R. Pannikar, Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della terra, cit.; Dalai Lama, Un mondo in armonia e Salvare il domani.

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in luce il carattere non strettamente epifenomenico della bellezza298.

Ma di quale bellezza parliamo? Sicuramente della bellezza naturale e

di quella del paesaggio che, come abbiamo visto, non è mai un che di

dato o fatto, ma per cui avrà sempre un ruolo attivo la capacità

contemplativa dell'uomo, ma anche della bellezza del fare umano che

interviene rispettando gli equilibri naturali.

Il nostro sforzo consiste nel mostrare l'esigenza della

contemplazione, dello spirituale per la civiltà umana che altrimenti

rimane intrappolata dalla deriva riduzionistica della scienza, che sul

piano della prassi si traduce spesso in interventi scellerati nei confronti

della natura. Abbiamo voluto cercare di mostrare la necessità di un

riavvicinamento alla natura, anche in chiave sensoriale: godere in

maniera immediata tramite i nostri cinque sensi di essa, senza apporre

schemi che ne frustrano bellezza ed esteticità.

Bellezza è qualcosa che supera la semplice materialità.

Assunto ritiene che la crisi moderna del paesaggio sia collegabile

all'anticontemplatività della società moderna, al voler ricercare un

benessere immediato, quantificabile e di pronta consumazione, al

voler addirittura evitare il dispiacere piacevole della sublimità naturale 298 Affermiamo il carattere non strettamente epifenomenico della bellezza sulla scia di R.

Assunto, si veda R. Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo, cit., p.214 <<Non ci voleva meno di uno scienziato, per capovolgere il pregiudizio comune a urbanisti ed ecologisti, secondo il quale la bellezza sarebbe irrilevante epifenomeno, invece di essere, come è, condizione di sanità fisica oltre che spirituale: tolta la quale, inevitabili saranno la sterilità del suolo, l'inquinamento dell'aria, dei cibi, delle bevande, e la corruzione delle anime [...]>>.

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che spaura299. Il piacevole può essere- nell'ottica assuntiana- riabilitato

come sentimento della natura vissuta come paesaggio, natura in cui

siamo e di cui viviamo300. Bello non è qui qualcosa senza utilità

alcuna: ha un peso nella nostra esistenza, in quanto, come abbiamo

visto, ci permette di essere liberi e permette il nostro benessere, che

non è quello che della società consumistica, anticontemplativa, che

frustra qualunque elemento non quantificabile. In questo senso l'utilità

della bellezza della natura è qualcosa di antitetico rispetto all'utile

perseguito dalla società cosiddetta del benessere.

Vogliamo concludere il nostro percorso con una citazione tratta

dall'Iperione di F. Hölderlin: l'amore per Diotima, umana-divina

bellezza universale, desta nell'omonimo protagonista del romanzo,

attraverso l'estatica contemplazione di un paesaggio primaverile, un

nuovo senso della vita che permetterà di ristabilire in lui l'armonia con

la natura, alla quale è affidata la funzione salvifica di superare la

morte della stessa donna amata:

299 R. Assunto, Il paesaggio e l'estetica, cit., p. 369 <<Sublime è un dispiacere della esperinza vissuta che piace in quanto si autocontempla: da qui la definizione di dispiacere piacevole [...] uno degli aspetti macroscopici della odierna crisi del paesaggio è, appunto, il rifiuta della spiacevolezza; [...] rifiuto conseguente conseguente alla anticontemplatIvità dalla quale è caratterizzata tutta la cIviltà moderna, perché l'anticontemplatIvità è intrinseca al concetto di benessere: che non ammette altro piacere se non quello direttamente e fugacemente vssuto nell'esperienza quitidiana>>.

300 Ivi, 373 <<Non soltanto tutto ciò che piace rallegra, ma ciò che è piacevole nel senso profondo della parola intensificata, rinvigorisce, ravviva la mia esistenza: profondamente piacevole è il sentimento della mia esistenza vivente>>.

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<< Una volta sedevo lontano da casa, in un campo, accanto a una fonte, all'ombra di rupi verdi di edera, sotto pendenti cespugli fioriti. Era il più bel meriggio ch'io avessi conosciuto. Spiravano dolci auree e la terra splendeva ancora nella luminosafreschezza del mattino e, immota, sorrideva la luvce nella sua etra nativa. Gli uomini si erano allontanati, per riposare, dal lavoro, al desco casalingo, il mio amore era solo con la primavera e un'incomprensibile nostalgia era in me. "Diotima", esclamai, "dove sei tu?" E mi pare di udire la voce di Diotima, quella voce che, un tempo, nei giorni della gioia, mi aveva rasserenato. [...] E ancora una volta rivolsi lo sguardo verso la fredda notte degli uomini, e rabbrividii e versai lacrime di gioia perché ero così felice, e mi pare di aver pronunciato parole, ma erano simili al crepitìo della fiamma quando sale verso l'alto e lascia dietro di sé la cenere [...] Voi fonti della terra! Voi fiori! E voi boschi e voi aquile! E tu sorella luce! Come antico e nuovo è il nostro amore! Liberi noi siamo [...] Siamo viventi note in accordo con la tua armonia, o natura! Chi lo infrange, questo accordo? Chi può separare gli amanti? "O anima! O anima! O bellezza del mondo! Tu indistruttibile! Tu affascinante! Con la tua eterna giovinezza! Tu esisti; che cosa è, pertanto, la morte e tutto il dolore degli uomini? Ah! Quante vane parole hanno inventato gli uomini [...]? Tutto ha origine dal godimento e tutto si conclude con la pace [...]>>301.

E' a questo tipo di paesaggio naturale, bello, primaverile che le

nostre ricerche sono state volte, spazio -come direbbe Assunto- più

che spazio, entro cui siamo uomini che vivono e si sentono nella

natura e di essa sono parte. Paesaggio entro cui non è escluso il tempo

e la storia, ma che anzi di essa è forma. Esso viene così ad essere cifra

dell' unità di uomo e natura, almeno da un punto di vista teorico.

Sappiamo che la strada verso questo equilibrio è ardua e faticosa e

testimonianza ne è lo stato in cui tanta parte della natura versa ai

nostri giorni. Il nostro auspicio è quello di essere in qualche modo

riusciti a mostrare modalità diverse rispetto a quelle impostesi di

approccio nei confronti della natura, del paesaggio e della bellezza

301 F. Hölderlin, Iperione o l'eremita in Grecia, cit., pp.177-178.

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(ecologia, geofilosofia, ecosofia). Nella relazione con la dimensione

naturale risulta essere in gioco la nostra stessa esistenza, ragion per cui

ci auguriamo che il ripensamento di noi stessi come esseri naturali

liberi -che vivono nella e sono natura- permetta di percorrere il

sentiero del rispetto e della salvaguardia dell'orizzonte in cui siamo

inseriti e che si traduca, a livello fattivo, in interventi esaltanti l'

armonia e l' equilibrio uomo-natura e non frustranti la bellezza del

paesaggio, così come a pratiche costruttive più in accordo col contesto

naturale entro cui vanno ad inserirsi. Il cammino è ancora lungo e la

meta è lontana, ma attingere ad argomentazione estetiche in merito a

temi come il rispetto e la salvaguardia del nostro ambiente e dei nostri

paesaggi, rappresenta un cambiamento importante nell'orizzonte di un

nuovo modo di guardare la realtà, di una rinnovata forma di sapere

che -per dirla come Pannikar- abbracci la totalità naturale globalmente

e non rifiuti con pregiudizio quelle componenti qualitative e in certo

senso ingestibili dal punto di vista strettamente razionale, ma per

questo così umane e dense di significato, così come accade per la

bellezza del paesaggio.

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Appendice

Rosario Assunto, (Caltanissetta, 28 marzo 1915- Roma 24 gennaio

1994), filosofo italiano. Laureatosi in Giurisprudenza, è stato avviato

alla filosofia da Pantaleo Caballarese. È stato docente di Estetica a

Urbino dal 1956 e titolare dal 1981 della cattedra di Storia della

filosofia italiana presso la Facoltà di Magistero a Roma. Interessato ai

temi estetici della filosofia, egli si rifa a Baumgarten, Descartes,

Leibniz, Kant esaminati per la loro concezione dell'uomo e del suo

rapporto con la natura. Nel momento in cui l'estetica si rivolge alla

semiotica, Assunto è isolato per le sue visioni elitarie, soprattutto in

Italia, mentre in Germania viene tradotto e aprezzato. E' una delle voci

più significative del dibattito filosofico estetico del Novecento,

anticipa nelle sue opere alcuni concetti rilevanti per la riflessione più

recente, come quello di "estetica del paesaggio". E' Socio

corrispondente dell'Academia dei Lincei, dell'Accademia di San Luca,

dell'Accademia Olimpica Vicentina.Tra le opere maggiori: Il

paesaggio e l'estetica (1973), Filosofia del giardino (1981), La città

di Anfione e la città di Prometeo (1983), Ontologia e teleologia del

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giardino (1990), Bellezza come assoluto (1992).

Luisa Bonesio (Sondalo, 1950), già Professore Associato, è docente

di Estetica nell’Università di Pavia e di Geofilosofia del paesaggio

in vari Corsi e Scuole di Specializzazione. La sua riflessione è

dedicata da più di ventennio alla Geofilosofia, in particolare alle

forme della modernità, alla terra, al paesaggio e alle tematiche dei

luoghi.Ha fondato l’Osservatorio sul paesaggio della Società

Italiana di Estetica. - Dirige (con Caterina Resta) la collana di

Geofilosofia “Terra e Mare”, il cui Comitato Scientifico è composto

da Massimo Cacciari, Serge Latouche, Massimo Quaini, Alberto

Magnaghi e Franco Cassano. È autrice di numerosi scritti, tra cui i

volumi più recenti:Geofilosofia del paesaggio, Milano 1997,

20012;Passaggi al bosco. Ernst Jünger nell’epoca dei Titani (con

C. Resta), Milano 2000; Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e

geofilosofia, Bologna 2002; Paesaggio, identità e comunità tra

locale e globale,Reggio E. 2007, 2009; Intervista sulla Geofilosofia

(con Caterina Resta), Diabasis, Reggio E. 2010.

Raimon Pannikar, (Barcellona 3 novembre 1918) Laureato in

chimica, filosofia e teologia, ha insegnato fino al 1987 filosofia

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della religione e storia della religioni all'Università di California e

Santa Barbara. E' autore di trenta opere e più di trecento articoli

accademici, dedicati in gran parte alla realizzazione di una

fecondazione reciproca tra la cultura occidentale, segnata dallo

sviluppo tecnico-scientifico, e le grandi tradizioni indù e buddhiste.

Attualmente la sua riflessione è concentrata sulla possibilità di

integrare nell'esperienza dell'uomo contemporaneo la dimensione

del divino, dell'umano e del cosmico. Ha ricevuto molti premi tra

cui -il più recente- " Premio Nonino 2001 a un maestro del nostro

tempo". Tra le sue opere: La realtà cosmoteandrica. Dio-Uomo-

Mondo, Jaca Book, Milano 2004. Ed. orig.The Cosmotheandric

Experience. Emerging Religious Consciousness, Orbis, Maryknoll

1993, Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della terra,

Cittadella, Assisi (PG), 1993, Tra Dio e il cosmo. Dialogo con

Gwendoline Jarczyk, Laterza, Roma-Bari 2006. Ed. orig.: Entre Dieu

et le cosmos. Entretiens avec Gwendoline Jarczyk, Albin Michel,

Paris 1998,Visione trinitaria e cosmoteandrica: Dio-Uomo-Cosmo,

Vol. VIII dell’Opera Omnia, Jaca Book, Milano 2010.

Joachim Ritter, (Geesthact, Amburgo 3 aprile 1903- Münster 3

agosto 1974). Discepolo di E. Cassirer ad Amburgo, vi conseguì la

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laurea nel 1925 e la libera docenza nel 1932. Dal 1943 insegnò come

professore ordinario a Kiel e dal 1946 a Münster, divenendo

professore emerito nel 1969. La maggior parte dei suoi scritti sono ora

nelle due raccolte Metaphysik und Politik. Studien zu Aristoteles und

Hegel(1969; trad. it. parziale, 1983) e Subjektivität. Sechs Aufsätze

(1974); degna di menzione anche la sua attività come editore

dell'Historisches Wörterbuch der Philosophie (1971-74).

Joachim Ritter divenne nell’immediato secondo dopoguerra

l’animatore di una delle scuole di pensiero più influenti della nuova

Repubblica federale: il Collegium philosophicum di Münster. In

questa sede segnaliamo il ruolo dell'arte, avendo citato Ritter per la

sua filosofia del paesaggio, con delle considerazioni tratte dal testo di

Ritter, Estetica e modernità, tr. it. A cura di T. Griffero, M. Latini,

Marinotti, Milano 2013 Ciò che l’arte – così come, seppure in modo

distinto, anche la religione - conserva almeno come aspirazione

soggettiva e come comunicazione intersoggettiva, nel mondo odierno,

dice Ritter, è una dimensione che la scienza naturale moderna

“oggettivante” non è più in grado di indicare: un significato globale e

integrale dell’esperienza; la de-metafisificizzazione della conoscenza

scientifica ha comportato così l’assegnazione di un ruolo del tutto

nuovo per l’arte, puntualmente riscontrato dalla nascita di una nuova

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disciplina, l’estetica appunto, nel corso dell’Illuminismo. Partendo da

motivi presenti in interpreti di Kant e della sua Critica del giudizio

politicamente tanto diversi come Cassirer e Baeumler, Ritter giunge

così ad intrecciare strettamente riflessione sull’arte e riflessione sulla

storia.

Georg Simmel (Berlino 1858 - Strasburgo 1918), filosofo e sociologo

tedesco Laureatosi (1881) all’univ. di Berlino, dove dal 1892 fu libero

docente di filosofia, divenne nel 1914 prof. ordinario all’univ. di

Strasburgo. Influenzato dalla lezione di Kant e del neokantismo, S. ne

rifiuta tuttavia l’aspetto fondamentale, vale a dire la possibilità di

isolare un livello trascendentale puro della conoscenza. Così, in Die

Probleme der Geschichtsphilosophie. Eine erkenntnistheoretische

Studie (1892; trad. it.I problemi della filosofia della storia), egli si

inserisce nell’ampia discussione, in corso nella cultura tedesca, sullo

statuto delle scienze storiche e su alcuni concetti fondamentali

introdotti da Dilthey, in particolare, la distinzione fra scienze della

natura e scienze dello spirito e l’immedesimazione nell’Erlebnis.

Ponendo il momento psicologico come fondamento irrinunciabile del

sapere storico, S. nega (ed è questo uno dei maggiori motivi di

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polemica con il marxismo) la possibilità di enunciare delle leggi

obiettive che governerebbero la storia: la comprensione storica rimane

irriducibilmente individuale e legata alle capacità di

immedesimazione, ma anche alle caratteristiche e alla cultura del

singolo ricercatore e ha dunque uno statuto di irriducibile relatività.

Tra i suoi lavori più importanti: Filosofia del denaro (1900), La

metropoli e la vita dello spirito (1903), Sociologia (1908),

L'intuizione della vita (1918).

Enzo Tiezzi (Siena, 4 febbraio 1938- Siena, 25 giugno 2010), è stato

un accademico, politico e ambientalista italiano. Si laurea in Chimica

a Firenze. Negli anni ottanta è l'unico italiano a fare parte del gruppo

di 25 scienziati che, a Stoccolma e Barcellona prima, poi alla Banca

Mondiale a Washington e, infine, all'ASPEN Institute negli Stati Uniti,

ha messo a punto il concetto di sviluppo sostenibile. La sua opera più

conosciuta è Tempi storici, tempi biologici, pubblicato nel 1987 alla

vigilia del referendum sul nucleare.In molte occasioni ha sostenuto la

necessità di lavorare all' unificazione della cultura umanistica e

scientifica. A tale tema nel 1998 ha dedicato un breve saggio dal titolo

la Bellezza e la Scienza. Tra le sue opere principali: Tempi storici,

tempi biologici (1984, vincitore del Festival internazionale di Locarno,

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1985); Il capitombolo di Ulisse, 1991; Fermate il tempo.

Un'interpretazione estetico-scientifica della natura, 1996; La bellezza

e la scienza (1998)

172

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