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Immaginando Il Paesaggio

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a cura di

Lucio Carbonara

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Copyright © MMIV ARACNE editrice S.r.l.

www.aracne–editrice.itinfo@aracne–editrice.it

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

redazione: (06) 72672222 – telefax 72672233amministrazione: (06) 93781065

ISBN 88–7999–842–0

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,

di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie

senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: settembre 2004

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Le piazze delle piccole città dell’Amazzonia sono uguali a quelle che si

trovano a Espírito Santo o nell’interno del Paraná.

La vegetazione che si usa è convenzionale, quasi sempre esotica, comei mandorli, le casuarinas e poco altro…

Le cittadine prendono come riferimento le città più grandi e copiano

servilmente i loro errori, pitturando di bianco la base degli alberi,

installando un’illuminazione aggressiva, importando una vegetazione

estranea al paesaggio…

Portare nell’ambiente urbano gli elementi vegetali e minerali del

paesaggio circostante sarebbe più coerente in termini paesaggistici, più

economico per l’esecuzione e la manutenzione, più equilibrato in termini

di integrazione tra uomo e ambiente.

ROBERTO BURLE M ARX, Paisagismo e Devastação, 1983.

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Indice

9 Introduzione

Lucio Carbonara

11 T ERRITORIO: Fra politiche di conservazione e istanze di trasformazione

Elio Trusiani 

14 P  AESAGGIO: Riferimenti per una lettura e interpretazione del paesaggio

Barbara Pizzo

17  AMBIENTE : Linee guida per il progetto ambientale

 Andrea Filpa

20 E COLOGIA: Il contributo disciplinare per il progetto territoriale e paesaggistico

 Anne Caspari 

23 P ROGETTO: Il progetto di paesaggio alla scala territoriale

Emanuele Von Normann

27 Resoconto di un’esperienza

Lucio Carbonara

74 «Giardino e paesaggio: spazi da inventare», a colloquio con Ippolito Pizzetti

Valeria Caramagno

80 «Un tavolo per otto»: paesaggisti e progetti di paesaggio

Luigi Latini 

85 Bibliografia essenziale

86 Convenzione europea del paesaggio

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Introduzione

Lucio Carbonara

Il testo vuole essere una testimonianza, a chiusura del primo ciclo triennale del nuovo corso di laurea, delle

esperienze didattiche svolte negli anni accademici 2002–03 e 2003–04 dagli studenti del 2° anno nel

Laboratorio di Progettazione del Territorio e del Paesaggio del Corso di laurea in Architettura dei Giardini e

Paesaggistica della Prima Facoltà di Architettura «Ludovico Quaroni» dell’Università degli Studi di Roma

«La Sapienza».

È organizzato in tre parti: la prima contiene alcuni contributi specifici riferiti a quelle parole chiave che, nel-

l’ambito del laboratorio, hanno orientato il percorso progettuale; territorio, ambiente, paesaggio, ecologia

sono state difatti le fondamenta del corso e, allo stesso tempo, l’oggetto di un percorso progettuale inter-

disciplinare in cui le specifiche competenze hanno trovato spazio per dialogare, confrontarsi e integrarsi

sia al livello teorico che pratico. I contributi presentati, inerenti gli aspetti teorici, analitici e progettuali dei

termini sopra menzionati, offrono un sintetico quadro di riferimento dello stato dell’arte, dando simultanea-

mente un input per ulteriori e auspicati approfondimenti. E in tal senso va intesa anche la bibliografia di

supporto.

La seconda parte del testo restituisce passi significativi dell’esperienza didattica; si apre con una breve nota

sulla metodologia adottata e presenta l’esito di alcuni lavori degli studenti. Oltre ad alcune linee guida per 

la lettura e comprensione degli elaborati, sono tratteggiate le principali questioni e tematiche, in termini di

indagini conoscitive, da prendere in considerazione durante il processo progettuale, ponendo l’accento sui

contenuti, le finalità e gli obiettivi di ciascuna fase. Si tratta in sintesi di suggerimenti (scritti quasi sotto forma

di cahier ) che rimandando, per gli approfondimenti teorico–pratici e per una trattazione specifica, ai testi di

riferimento, consigliati per la parte metodologica. Un iter progettuale dunque che si propone come traccia,

in cui far confluire contributi, sollecitazioni e suggestioni. Il racconto del percorso progettuale è affidato sia

agli elaborati grafici presenti nel testo sia a quelli contenuti nel CD allegato. Mentre nel testo sono riportati

solo alcuni fra gli elaborati presentati durante ciascun anno accademico, nel CD trova spazio la maggior 

parte del lavoro degli studenti.

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Le esperienze affrontate riguardano due aree all’interno del territorio comunale di Roma; la prima (a.a.

2002–03) riguarda l’area di Lunghezza – Castelverde. Si tratta di un ambito di particolare importanza alla

luce delle previsioni del nuovo piano regolatore di Roma che prevede azioni e interventi volti alla riqualifi-cazione urbana e ambientale dei luoghi, nonché alla creazione di centralità urbane e metropolitane. In sin-

tonia con tali scelte, l’obiettivo del corso è stato un progetto di riqualificazione urbana e ambientale attra-

verso la realizzazione di un parco lineare lungo il Fosso dell’Osa, con l’intento di riconnettere gli insedia-

menti abusivi di Castelverde e Villaggio Prenestino sia con la centralità di Lunghezza sia con la potenziale

centralità storico–archeologica di Gabi. Nel secondo caso di studio (a.a. 2003–04) l’area presa in esame

riguarda un ambito della Valle del Tevere di altrettanta rilevanza per la città di Roma. Si tratta, infatti, della

zona, definita marginalmente dalla Via Salaria e dalla Via Flaminia, che va dalla confluenza con il fiume

 Aniene, all’altezza del nodo infrastrutturale tra la Via Olimpica e la Via Salaria, fino al grande raccordo anu-

lare. È un’area con grande valenza fisico–naturalistica i cui margini, fortemente urbanizzati e definiti, non

lasciano trasparire le potenzialità esistenti, ma inespresse. Anche in questo caso l’obiettivo del corso è

stato un progetto generale di assetto territoriale in cui il parco fluviale si connota come asse portante del-

l’intero disegno e progetto di territorio, coniugando, almeno negli intenti, le esigenze di tutela e salvaguardia

con quelle di riqualificazione e trasformazione.

Un’intervista al prof. Ippolito Pizzetti e un contributo/riflessione dell’architetto paesaggista Luigi Latini,

entrambi visiting professor del corso di laurea, concludono il libro.

luglio 2004

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territorio

Fra politiche di conservazione e istanze di trasformazione

Elio Trusiani 

«Il territorio non è un dato, ma il risultato di diversi processi […] più o meno coordinati. Non si conforma

solo secondo un certo numero di fenomeni dinamici di tipo geoclimatico. All’atto in cui una popolazione lo

occupa […] essa stabilisce con lui un rapporto di tipo organizzativo, pianificatore e si possono osservare

gli effetti reciproci di questa coesistenza. In altri termini, il territorio è oggetto di costruzione. È una sorta di

artefatto. E da allora costituisce anche un prodotto […]. Il dinamismo dei fenomeni di formazione e di pro-

duzione persegue nell’idea di un perfezionamento continuo dei risultati, in cui tutto è correlato: individua-

zione più efficiente delle potenzialità, ripartizione più coerente dei beni e dei servizi, gestione più adegua-

ta, innovazione delle istituzioni. Di conseguenza il territorio è un progetto […]. Per insediarvi nuove strut-

ture, per sfruttare più razionalmente certe terre, è spesso indispensabile modificarne la sostanza in modo

irreversibile. Ma il territorio non è un contenitore a perdere né un prodotto di consumo che si possa sosti-

tuire. Ciascun territorio è unico, per cui è necessario “riciclare”, grattare una volta di più il vecchio testo che

gli uomini hanno inscritto sull’insostituibile materiale del suolo, per deporvene uno nuovo, che risponda

alle esigenze d’oggi, prima di essere a sua volta abrogato» (CORBOZ 1985).

Queste poche righe restituiscono sinteticamente il concetto di territorio come spazio extraurbano in conti-

nua trasformazione, su cui si stratificano azioni e interventi non solo di ordine fisico, geografico e antropi-

co, ma anche e soprattutto di carattere sociale. Quest’ultimo è un aspetto fondamentale nella descrizione

e nell’interpretazione delle dinamiche di trasformazione attuali poiché, attraverso usi, comportamenti e

modalità di aggregazione diversi, si evidenziano le nuove forme di vita e la domanda di progettazione che

da queste ne deriva. Una volta dissolta l’antitesi paradigmatica città–campagna, il territorio presenta

ambienti, sequenze di paesaggi e modi di vita e di utilizzo del suolo completamente inediti. Anche le corri-

spondenze tra forme e funzioni, tra segni e significati, incluse le stesse regole morfogenetiche che hanno

guidato percorsi evolutivi consolidati, devono essere ripensate e reinterpretate. I paesaggi ricorrenti sono

i nuovi luoghi delle relazioni in pubblico, delle relazioni informali e dell’intimità, lo spazio introverso delle

nicchie sociali, gli spazi senza identità. A differenti modi di abitare corrispondono nuove forme del territo-

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territorio

rio: attrattori lineari, macchine ibride, isole, aree della ripetizione, tasselli solo per citare alcune delle cate-

gorie interpretative di una nuova classificazione di elementi territoriali (BOERI, L ANZANI, M ARINI 1993).

 Al mutare delle condizioni al contorno, mutano tuttavia, inevitabilmente, le connotazioni del progetto di ter-

ritorio: la sola adozione di politiche di tutela e salvaguardia, secondo una prassi consolidata, non è più suf-

ficiente a rispondere a una domanda di progettualità orientata all’azione piuttosto che al vincolo e guida-

ta da una strategia di sussidiarietà e partenariato. Atutti gli effetti, il territorio è una risorsa, un fattore impre-

scindibile di sviluppo, un veicolo di riequilibrio per intere aree. Il progetto, pertanto, deve cercare di pro-

muovere strategie intersettoriali localizzate e programmi territoriali fondati su una visione di insieme dellospazio, in uno scenario a breve, medio e lungo termine. All’interno di questo scenario il progetto deve

essere in grado di individuare e selezionare temi e azioni puntuali di rilevanza notevole che, per le loro

implicazioni sia sugli assetti fisici sia su quelli funzionali, possano costituire un volano economico per ulte-

riori interventi. Progettare il territorio non come silenzioso giacimento di segni e relitti, ma come spazio da

abitare nella complessità dei suoi valori naturali, culturali ed economici: questa la condizione imprescindi-

bile per avviare sinergie tra i diversi fattori qualificanti. Recuperare vuol dire allora innescare nuovi proces-

si nella struttura evolutiva del territorio storico, in costante e dinamico rapporto coi processi sociali che vi

si svolgono, al fine di riprogettare il «territorio da abitare» (G AMBINO 2000) nella pienezza dei valori storici,

culturali, naturali e della contemporaneità.

Ci troviamo pertanto di fronte a un progetto connotato, secondo la prassi più consolidata della pianificazio-

ne territoriale e urbanistica, da politiche di tutela e salvaguardia del patrimonio storico, artistico e ambien-

tale e dall’altro da una domanda di riqualificazione e trasformazione che in alcuni casi racchiude esigenze

inespresse di identità nuove. Riuscire a coniugare i termini conservazione e sviluppo, innovazione e tra-

sformazione è la sfida del progetto territoriale: si tratta del progetto sostenibile del territorio, ove il termine

sostenibile sembra assumere il ruolo di cerniera tra politiche di tutela e domande di trasformazione. In so-

stanza «sostenibilità» è espressione del concetto in base al quale le decisioni attuali non dovrebbero peg-

giorare le prospettive di mantenimento o miglioramento dei futuri standard di vita. Ciò implica la gestione

dei sistemi economici in modo da permettere il sostentamento attraverso l’utilizzo delle risorse attuali man-

 

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territorio

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

 A. CORBOZ, “Il territorio come palinsesto”, in Casabella, n. 516, 1985, pp. 22–27.

B. SECCHI, Un Progetto per l’urbanistica, Einaudi, Torino 1989.

S. BOERI, A. L ANZANI, E. M ARINI, Il territorio che cambia, Aim–Segesta, Milano 1993.

“Il disegno degli spazi aperti”, Casabella, (numero monografico), n. 597–598, 1993.

G. DEMATTEIS, Progetto implicito. Il contributo della geografia umana alle scienze del territorio, Angeli, Milano 1995.

G. DEMATTEIS, “Per progettare il territorio”, in AA.VV., Linee nel paesaggio, Utet, Torino 1999.

R. G AMBINO, Conservare, Innovare. Paesaggio, Ambiente, Territorio, Utet, Torino 2000.

B. SECCHI, Prima lezione di urbanistica, Laterza, Bari 2000.S. MUNARIN, M. C. TOSI, Tracce di città, Angeli, Milano 2001.

Si consigliano inoltre i seguenti articoli e contributi di Bernardo Secchi:

“Le trasformazioni dell’habitat urbano”, in Casabella, n. 600, 1993, pp. 44–54.

“Il territorio abbandonato 4”, in Casabella, n. 618, 1994, pp. 18–19.

“Cambiamenti”, in Casabella, n. 622, 1995, pp. 18–19.

Dell’utilità di descrivere ciò che si vede, si tocca, si ascolta, relazione presentata a “Descrivere il territorio”, II Convegno interna-

zionale di urbanistica, Prato (30 marzo – 1 aprile, 1995).

tenendone e migliorandone lo stock. Il paradigma dello sviluppo sostenibile presuppone il cambiamento

qualitativo di un sistema economico che non cresce fisicamente, e che si mantiene in equilibrio dinamico

con l’ambiente perseguendo obiettivi di mantenimento dell’integrità ecologica e di equità sociale.

 All’interno del progetto sostenibile del territorio, la componente paesaggio si manifesta come risorsa e stra-

tegia irrinunciabile per le politiche territoriali. Il paesaggio può essere documento storico–naturale da tute-

lare, rudere con cui coabitare, scena spettacolare del turismo e dell’economia globale, risorsa da attivare

 per un differente modello di sviluppo, nuovo territorio abitabile, potenziale rete di un territorio strutturalmen-

te frammentato, sfera che avvolge la vita quotidiana: molteplici chiavi di lettura che suggeriscono differen-

ti strategie per qualificare e regolare le trasformazioni territoriali.

 

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 paesaggio

Per una lettura e interpretazione del paesaggio

Barbara Pizzo

Concetto fra i più evocativi e tuttavia ambiguo, quello di paesaggio somma in sé esistenza e apparenza, e

offre la possibilità di ricomporre un dualismo profondamente radicato nella concezione positivista, e nella

cultura occidentale in genere. Questa da sempre privilegia, tra le diverse forme di esperienza sensibile, il

ruolo della percezione visiva, e non è casuale che il concetto di paesaggio ne sia ritenuto prodotto tipico,

da far risalire a un genere pittorico sviluppatosi in Olanda e nelle Fiandre intorno al XVI secolo (B ERQUE

1999, COSGROVE 1990). Esito complesso, non solo intenzionale, e continuamente in evoluzione, dell’inter-relazione uomo–ambiente, nel concetto è implicita la figura umana, la quale può esservi coinvolta in modi

e a livelli differenti, dalla sola osservazione, alla trasformazione materiale. Nel tempo, le definizioni hanno

seguito i paradigmi filosofici ed epistemologici prevalenti, formulati per interpretare il più generale ruolo del-

l’uomo rispetto alla realtà, o al mondo, e ne hanno accentuato di volta in volta la dimensione este-

tico–percettiva, quella geografico–naturalistica, poi ecologica.

Nelle diverse epoche e nei diversi ambienti culturali il termine paesaggio è stato utilizzato per descrivere un

luogo o un contesto: oppure l’immagine di un luogo o di un contesto. Alle cosiddette concezioni este-tico–percettive, secondo le quali la realtà di cui il paesaggio sarebbe immagine è il territorio, si contrappo-

neva la tradizione scientifico–naturalistica, che al contrario insisteva sulla realtà sostantiva del paesaggio,

intendendo la relazione tra i due termini di paesaggio e immagine come dicotomica. Le due opposte

interpretazioni possono dirsi frutto della consuetudine di considerare come separate le scienze umane da

quelle naturali. Fra i tentativi di conciliazione, un ruolo rilevante spetta senz’altro all’ecologia, «l’unica chia-

ve che ci permette di decifrare e comprendere il paesaggio, poiché […] esso non è altro che la totalità dei

fenomeni naturali e umani, nonché dei vari processi che li generano e che da essi sono generati» (ROMANI

1994). Questa concezione non nega la possibilità di un approccio fenomenico–percettivo, ma si oppone alla

riduzione del paesaggio a solo fatto percettivo–estetico: il paesaggio è ciò che «si vede», ma non è solo ciò

che «si vede». Tali tentativi di conciliazione si preoccupano di recuperare il punto di vista umano, che sot-

tintende soggettività e deliberazione, all’interno di un contesto che si ritiene comunque indipendente dall’uo-

mo, senza tuttavia chiarire le ragioni, il senso e le conseguenze di tale punto di vista, che invece assumo-

no un significato centrale per chi si occupi di tali questioni con un fine anche operativo, tra cui urbanisti, pia-

 

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 paesaggio

nificatori, architetti, paesaggisti. Attualmente il termine sembra aver ancora dilatato il proprio ambito seman-

tico, assumendo i più diversi significati: ne documenta l’idea del «paesaggio mentale», o mindscape, stret-

tamente connessa al contributo offerto dalle tecniche digitali–informatiche alle teorie sul rapporto tra imma-gine e realtà, sui modi della percezione, e sul rapporto tra percezione e conoscenza (BURNETT 2004).

Sembra comunque ancora irrisolta la questione della definizione del paesaggio come realtà o come imma-

gine della realtà. Contemporaneamente, la distinzione fra «oggettivo» e «soggettivo», tipica dei paradigmi

positivisti, sembra inadeguata a spiegare il paesaggio (BERQUE 1999). Già da tempo, è stata riconosciuta la

coesistenza di due diverse, opposte, prospettive: una «oggettiva», funzionale–utilitaristica; l’altra «soggetti-

va», personale, morale ed estetica. La prima, verticale, intende il paesaggio come area geografica, come

regione, come sistema naturale, come dominio, fondandosi su una visione da un punto astratto nello spa-zio; la seconda, laterale, intende il paesaggio come scenario, la cui visione parte da un preciso punto di

vista (MEINIG 1979).

Mentre si va affermando l’idea dell’impossibilità di una definizione univoca di paesaggio (MEINIG 1979,

C ALZOLARI 1999, Gambino e Lanzani in CLEMENTI 2002, ma già D ARDEL 1952), e la polisemia viene ricono-

sciuta come potenzialità più che come debolezza, le implicazioni operative sono rimaste però in larga parte

irrisolte: a partire dalla possibilità, e dai modi, di traduzione di tale ricchezza in politiche, piani, progetti. Og-

getto di studio di molte e diverse discipline, le molteplici interpretazioni avvicinano, e a volte sovrappongo-no, quello di paesaggio a concetti limitrofi, in particolare ai concetti di natura, ambiente, regione o territorio.

La necessità di avvicinarsi a una definizione, se non di comprenderne l’essenza, ha portato a sperimenta-

re diversi percorsi, tra cui quello di provare a capire ciò che “è” differenziandolo perlomeno da ciò che “non

è” (MEINIG 1979). Recentemente, grazie alla assunzione di alcuni approcci filosofici — fenomenologia,

costruttivismo, poststrutturalismo — e alla loro rielaborazione all’interno di discipline quali ad esempio la

geografia umana, il paesaggio viene considerato come il prodotto dell’interrelazione uomo–ambiente, ma

anche come il prodotto dei discorsi che intorno al paesaggio vengono elaborati: tali discorsi servono non

solo a comprendere, ma anche a immaginare e a costruire il paesaggio (B ARNES e DUNCAN 1992). Un inte-

resse particolare assume allora, più della percezione individuale, quella collettiva (BERQUE 1999, Dematteis

in C ASTELNOVI 2000).

Il paesaggio diventa quindi insieme realtà e immagine, dove con quest’ultimo termine si intende non sempli-

cemente la superficie visivamente percepibile, ma il modo che una società elabora per rappresentare il pro-

prio ambiente di vita e anche se stessa. La maggior parte delle questioni relative alla traduzione del con-

 

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 paesaggio

cetto in pratiche operative, possono essere ricondotte a quelle più generali dell’attribuzione di valore e della

scelta, entrambe centrali all’interno di ogni processo decisionale, tra cui la pianificazione e la progettazione.

Le posizioni che hanno trovato espressione in documenti come la Convenzione Europea, legano il paesag-gio alle comunità locali e i caratteri dell’uno alla storia delle altre, e riconducono la questione dell’attribuzione

di valore a un processo di tipo collettivo, strettamente connesso alla prefigurazione di modelli di sviluppo

(Palermo in CLEMENTI 2002). Con tali assunzioni, si supera, almeno da un punto di vista concettuale, l’equi-

valenza tra valore del paesaggio e paesaggi d’eccellenza. La considerazione dei paesaggi della quotidiani-

tà o dei paesaggi «ordinari» non è solo recente (MEINIG 1979; vedere anche gli scritti di J. B. Jackson, ad

es., J ACKSON 1970). Se si valuta il paesaggio non più o non solo come «dato di natura», ma come «esito

dell’organizzazione della vita umana associata», come «realtà possibile di deliberazione e trasformazione»,«la sua essenza appartiene alla filosofia pratica, quindi all’etica» (M. VENTURI FERRIOLO, 2002).

L’abbandono di ogni pretesa di oggettivismo, cui contribuiscono in modo determinante le recenti concezioni

della natura come prodotto sociale (C ASTREE e BRAUN 2002), non significa «arbitrarietà», ma il riconosci-

mento della natura politica ed etica di ogni interpretazione e di ogni scelta che riguardi il paesaggio.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

E. D ARDEL, L’homme et la terre. Nature de la réalité géographique, PUF, Paris 1952, (Nuova ed., Paris 1990).

J. B. J ACKSON, Landscape: Selected writings of J. B. Jackson, University of Massachussets Press, Amerset 1970.

D. MEINIG, The interpretation of Ordinary Landscapes, Oxford University Press, Oxford – New York 1979.

D. COSGROVE, Realtà sociali e paesaggio simbolico, Unicopli, Milano 1990.

T. J. B ARNES, J. S. DUNCAN, Writing worlds: Discourse, text and metaphor in the representation of Landscape, Routledge,

London 1992.

V. ROMANI, Il Paesaggio. Teoria e pianificazione, Franco Angeli, Milano 1994.

 A. BERQUE, “Tutto è paesaggio: all’origine del paesaggio”, in Lotus International , n. 101, 1999, pp. 42–49.

V. C ALZOLARI (a cura di), Storia e natura come sistema, Argos, Roma 1999.

P. C ASTELNOVI (a cura di), Il senso del paesaggio, Ires, Torino 2000.

N. C ASTREE, B. BRAUN (a cura di), Social Nature, Theory, Practice and Politics, Blackwell, Oxford – Malden Mass. 2001.

CONSIGLIO D’EUROPA – MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, 20 Ottobre

2000 , Gangemi, Roma 2001.

 A. CLEMENTI (a cura di), Interpretazioni di paesaggio, Meltemi, Roma 2002.

M. VENTURI FERRIOLO, Etiche di paesaggio. Il progetto del mondo umano, Editori Riuniti, Roma 2002.

R. BURNETT, How images think , MIT Press, Cambridge – Mass. 2004.

 

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ambiente

Linee guida per il progetto ambientale

 Andrea Filpa

Il progetto si pone degli obiettivi (funzionali e formali) e utilizza informazioni. Da sempre una parte di que-

ste informazioni sono di natura ambientale, ovvero riguardano i processi naturali passati, presenti e futuri

che interessano un dato luogo. Nel progettare le sue trasformazioni, o più semplicemente nel realizzarle,

l’uomo ha sempre tenuto conto dell’ambiente.

Per lungo tempo l’ambiente è stato vissuto come la principale incognita delle trasformazioni. Prima dell’uti-lizzo dei combustibili fossili e delle macchine, una scarsa considerazione dell’ambiente avrebbe potuto con-

durre all’impossibilità di condurre a termine l’operazione desiderata, o comunque avrebbe comportato costi

e tempi maggiori. Oggi disponiamo di capacità di trasformazione molto più elevate, ma abbiamo compre-

so— talvolta troppo poco— l’importanza del conoscere i processi che hanno operato sul territorio prima di

noi, e che continuano a operare. Abbiamo maturato— generalmente— una maggiore sensibilità, siamo in

grado di conoscere meglio le componenti ambientali, ma pur tuttavia siamo lontani dal sapere interpretare

con certezza la realtà nella quale operiamo. Viviamo nell’epoca della post normal science, che ha sostitui-to le precedenti (sovente infondate) certezze della normal science; non significa che la tensione verso la

conoscenza debba essere minore, semmai il contrario.

Un criterio suggestivo per esplorare le matrici ambientali di un dato territorio è quello di procedere dal basso

verso l’alto.

I primi campi di studio risultano in questo caso la geologia, la geomorfologia e la idrogeologia.

La geologia restituisce i processi di formazione dei luoghi, e descrive i loro aspetti strutturali.La geomorfologia studia le forme che assume il territorio, e oltre a fornire la descrizione degli aspetti fisici

costituisce la base di partenza per lo studio del paesaggio.

 Attraverso l’analisi geomorfologica è possibile comprendere con chiarezza alcuni elementi di fondamenta-

le interesse per il progetto, relativi ad esempio alla stabilità dei suoli e alla propensione alla erosione. Un

accurato studio geomorfologico può anche definire con relativa certezza le fasce di pertinenza fluviale, ov-

vero le aree che un corso d’acqua occupa in regime di piena eccezionale.

 

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ambiente

La idrogeologia ha come campo di studio gli acquiferi sotterranei; oltre a definire la loro localizzazione e

consistenza, particolare attenzione viene accordata alla loro vulnerabilità, ovvero alla possibilità di essere

raggiunti da agenti inquinanti infiltratisi nel suolo (concimi e sostanze chimiche derivanti da spandimenti difanghi, da perdite di rete, da incidenti, da deposizioni atmosferiche). In aree idrologicamente connesse con

acquiferi vulnerabili è in linea generale sconsigliabile collocare insediamenti e impianti, e anche le pratiche

agricole debbono essere svolte con limitati ricorsi o in assenza di agrochemicals.

Lo studio del supporto tellurico viene completato dalla pedologia, il cui campo di interesse è il suolo vege-

tale, ovvero lo strato superficiale (50/100 cm di profondità) utilizzato a fini agricoli. La pedologia studia le

caratteristiche dei suoli (profondità, composizione, tessitura ecc.) e ne definisce la suscettività (potenziali-tà) ad essere utilizzato per l’una o l’altra coltura, oppure per un range di colture.

La pedologia interessa il progetto in quanto fornisce indicazioni utili per limitare al massimo il consumo di

suoli di elevata qualità (a parità di superficie da urbanizzare è ovviamente preferibile utilizzare suoli di mo-

desta qualità ai fini agricoli).

Proseguendo, come si è detto, dal basso verso l’alto si incontrano i campi di applicazione degli studi della

ecologia vegetale (e della botanica in generale) e della zoologia.

L’ecologia vegetale studia le formazioni vegetali e i loro processi evolutivi, utilizzando anche informazioni

di natura geomorfologica e climatica. Per molti degli aspetti indagati, l’ecologo vegetale redige cartografie

tematiche e derivate, e dunque il suo linguaggio presenta molte caratteristiche comuni con quello del pia-

nificatore.

Gli elaborati di base redatti dell’ecologo vegetale riguardano in genere:la carta fisionomica della vegetazione, che restituisce la composizione del manto vegetale all’epoca del rile-

vamento (vegetazione reale);

la carta della vegetazione potenziale, ovvero la vegetazione che qualora cessassero pressioni umane, ad

esempio di natura agricola, si affermerebbe in un determinato luogo (vegetazione climax ). La carta della

vegetazione potenziale ha grande importanza sia nei progetti di ripristino ambientale di aree degradate, sia

per la scelta consapevole degli arredi vegetali;

 

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ambiente

la carta della qualità della vegetazione che, sulla base di parametri quali vicinanza della vegetazione reale

alla tappa matura (naturalità) ricchezza di specie (biodiversità) e importanza fitogeografia di specie e di

habitat (endemismi, rarità) indica le aree di maggiore importanza vegetazionale.Gli studi di maggiore dettaglio di ecologia vegetale individuano anche i cosiddetti patriarchi , ovvero gli albe-

ri che per età, grandezza o specie rappresentano riferimenti naturalistici, culturali e paesistici.

 Anche gli studi zoologici interagiscono con il progetto territoriale, segnalando cartograficamente la presen-

za di habitat suscettibili di ospitare specie animali di interesse conservazionistico, in genere elencate in

documenti di livello europeo (ad esempio la Direttiva Habitat o la Direttiva Uccelli ) oppure dalle cosiddette

Red List, che indicano le specie rare o a rischio di estinzione a livello nazionale o regionale. Le aree segna-late dagli studi zoologici sono naturalmente da destinarsi alla protezione (parchi o riserve, di natura, funzio-

ni e dimensioni molto variabili) o comunque a forme di gestione suscettibili di tutelare le specie animali.

È di recente affermazione il paradigma delle reti ecologiche, che intende promuovere la conservazione di

habitat e specie non solo attraverso la tutela di isole ma anche realizzando una rete costituita da elementi

di differente funzione (core areas, corridors, stepping stones) in grado di assicurare un elevato grado di frui-

bilità all’intero territorio (continuità ambientale). La prefigurazione di una rete ecologica presuppone il lavo-ro congiunto di pianificatori, botanici e zoologi, e interagisce con l’intero sistema delle pianificazioni.

Per quanto concerne infine lo strato ancora superiore— l’atmosfera— sono oggetto di attenzione gli inqui-

namenti atmosferico, acustico, elettromagnetico e luminoso. La considerazione di questi elementi restrin-

ge in maniera sostanziale le potenzialità d’uso delle fasce limitrofe a strade, elettrodotti, ripetitori, insedia-

menti industriali, ma apre di converso interessanti prospettive per progetti di riqualificazione e di restauro

ambientale.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

J. TRICART, J. KILIAN, L'eco–geografia e la pianificazione dell'ambiente naturale, Franco Angeli, Milano 1985.

I. MC H ARG, Progettare con la natura, Muzzio, Padova 1989.

S. ARNOFI, A. FILPA, L’ambiente nel piano comunale, Il Sole 24 Ore, Roma 2000.

R. T. T. Forman, Land Mosaics: The ecology of landscape and regions, Cambridge University Press, Cambridge 1995.

 A. FILPA, R. ROMANO (a cura di), Pianificazione e reti ecologiche, Gangemi, Roma 2004.

 

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ecologia

Il contributo disciplinare per il progetto territoriale e paesaggistico

 Anne Caspari 

ECOLOGIA APPLICATA ED ECOLOGIA DEL PAESAGGIO

L’ecologia è lo studio scientifico delle interazioni tra gli organismi e il loro ambiente. L’ecologia del paesag-

gio studia le strutture complesse e le loro trasformazioni; strutture costituite dagli ecosistemi e dalle loro

modalità distributive che influiscono sulle funzioni e sugli aspetti visuali del paesaggio. L’obiettivo è quello

di tradurre in termini applicativi i principi ecologici generali più adatti alla lettura sintetica del paesaggio, alla

valutazione del suo stato e all’individuazione delle linee di pianificazione e di gestione più idonee per undeterminato tipo di assetto territoriale. Più a monte, la disciplina dell’ecologia applicata:

 – fornisce le conoscenze di base per l’architetto del paesaggio, proprio per gli importanti fondamenti teori-

ci e per le possibili applicazioni pratiche nel settore della pianificazione del paesaggio;

 – consente a) di rispondere adeguatamente a numerose esigenze del processo di pianificazione interagen-

do tra la scala territoriale e urbanistica; b) di comprendere nella loro complessità le relazioni esistenti tra i

diversi fattori fisico–biologici; c) di integrare fra loro le istanze ambientali e i presupposti socioeconomici.

CONOSCENZE DI BASE

In primo piano, lo studio dell’ecologia applicata, che va dall’adattamento del singolo organismo al suo habi-

tat alle esigenze ecologiche delle popolazioni fino al comportamento spazio–temporale dei diversi ecosi-

stemi, porta a una comprensione dei processi complessi, sistemici e dinamici inerenti il paesaggio, quali:

 – esigenze delle specie, degli habitat e degli ecosistemi; abbondanza e distribuzione spaziale;

 – flussi di biomasse, energia e materia;

 – comportamento dinamico proprio; – funzione degli ecomosaici ed ecotoni;

 – stabilità, flessibilità e capacità di autoregolazione;

 – processi di successione naturale e sistemi di climax;

 – implicazioni della biodiversità genetica, strutturale e delle specie;

 – regimi di disturbo endogeno ed esogeno;

 – sensibilità, limiti della flessibilità e impatto antropico, frammentazione e distruzione.

 

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ecologia

Tali conoscenze rendono l’architetto paesaggista in grado di affrontare le tematiche territoriali e ambientali

in modo non settoriale, ma globale e integrato. L’ecologia del paesaggio tiene conto delle interrelazioni sta-

bilite fra gli ecosistemi e le popolazioni, compresa quella umana, e la natura di un territorio, ed è concen-trata sui cambiamenti temporali e spaziali dal punto di vista ecologico. Ciò costituisce un supporto fonda-

mentale per la pianificazione che ha come obiettivo quello di guidare i cambiamenti nel tempo e nello

spazio. Inoltre la disciplina attribuisce un significato funzionale alle configurazioni spaziali che gli ecosiste-

mi assumono, quindi, al “disegno” del paesaggio.

 ANALISI E VALUTAZIONE

Una pianificazione territoriale su basi ecologiche è in grado di fornire sia un’analisi integrata del paesaggiosulla conoscenza completa e approfondita del complesso di elementi, che concorrono e interagiscono nella

sua formazione e sviluppo, sia la valutazione dell’incidenza che le attività umane esercitano sull’uso qualita-

tivo e quantitativo delle risorse ambientali e sui processi fisici e biologici messi in atto dalle azioni di trasfor-

mazione del territorio. Come indirizzi più applicativi, l’analisi e la valutazione determinano e operano su:

 – struttura e funzione degli ecomosaici presenti nella zona interessata dal progetto;

 – modalità spazio–temporali con cui sono presenti le specie animali e vegetali che insieme concorrono a

definire la biodiversità sulle aree di progetto; – insieme di fattori di pressione in grado di generare condizioni di criticità, o, viceversa, nuove condizioni

potenziali per l’ecomosaico e le reti ecologiche;

 – unità ecosistemiche esistenti e loro grado di isolamento e frammentazione, assieme alle connessioni e

alle discontinuità;

 – analisi della geometria attuale degli elementi di naturalità, incluso la loro collocazione all’interno delle pre-

visioni di trasformazione relative al territorio in oggetto (distribuzione attuale e prevista dell’urbanizzazione,

mutamenti nelle culture prevalenti, fenomeni di abbandono, nuove infrastrutture); – caratteri qualitativi e quantitativi delle aree naturali con valenze culturali e paesistiche sia a individuare lo

stato e i carichi delle risorse territoriali.

RECUPERO, TUTELA, PIANIFICAZIONE E PROGETTAZIONE

Sulle basi dell’ecologia del paesaggio, la disciplina dell’architettura del paesaggio si trova, quindi, non limi-

tata al progetto dei giardini e del verde urbano, e si estende alla pianificazione ambientale su scala territo-

 

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ecologia

riale. Oltre che della qualità dell’ambiente urbano e suburbano, si occupa «anche della riqualificazione dei

territori sottoposti a sfruttamenti e trasformazioni di ogni genere, fino a interessarsi secondo solide basi eco-

logiche a problemi di progettazione, pianificazione, conservazione, rigenerazione dei territori nel loroinsieme, tenendo conto dei caratteri paesistici dei luoghi, sia naturali che culturali, e delle particolarità del-

l’ambiente naturale» (C ALCAGNO, 1996). Al tempo stesso, formulandosi sulla base dell’ecologia, la pianifi-

cazione e progettazione del paesaggio non si limita alla tutela e conservazione dello stato attuale attraver-

so il ricorso a interventi passivi, ovvero retrospettivi, di mera salvaguardia, negando quindi possibilità e

opportunità legate allo sviluppo e alla progettazione di nuovi interventi sul territorio. Il cambiamento appor-

tato dal progetto paesaggistico tenta, invece, di riqualificare, valorizzare e sviluppare il paesaggio interes-

sato in modo integrato e sostenibile, cioè coerente con le dinamiche, funzioni e valenze intrinseche del pae-saggio in questione. In quest’ottica, proprio e soltanto mediante un lavoro comune e integrato dei diversi

specialisti che si occupano del progetto e della gestione del territorio e del paesaggio, adeguati valori eco-

logici, funzionali, fruitivi ed estetici possono essere assicurati negli interventi di:

 – gestione degli habitat esistenti : agricoltura naturalistica, gestione adeguata delle aree verdi pubbliche ecc.;

 – riqualificazione degli habitat esistenti : interventi di ingegneria naturalistica nei corsi d’acqua, formazione di

siepi e filari arborei–arbustivi in aree agricole o urbanizzate; rinaturalizzazioni polivalenti in fasce fluviali; rina-

turalizzazione in aree intercluse e in altri spazi residuali; colture a perdere; formazione di microhabitat; – costruzione di nuovi habitat : nuovi nuclei boscati extraurbani, bacini di laminazione, recuperi di cave, eco-

sistemi filtro, barriere antirumore, fasce tampone, fasce arboree stradali e ferroviarie, filari stradali, strutture

ricreative urbane o extraurbane con elementi di interesse naturalistico;

 – opere specifiche di deframmentazione: rinaturalizzazione, opere di ingegneria naturalistica, ponti e sot-

topassi, passaggi per la fauna, piantumazioni per la riconnessione degli habitat, pianificazione della rete eco-

logica su tutti livelli.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

 A. M ANIGLIO C ALCAGNO, Verso una scuola italiana di ecologia del paesaggio, in V. INGEGNOLI e S. PIGNATTI (a cura di), L’ecologia

del paesaggio in Italia, CittàStudiEdizioni, Milano, 1996, pp. 219–224.

R. COLANTONIO, G. M. GIBELLI, Ecologie, in A. CLEMENTI (a cura di), Interpretazioni di paesaggio, Meltemi, Roma 2002, pp.

161–178.

 APAT/ ARPAT “GINESTRA”, Reti ecologiche a scala locale. Lineamenti e indicazioni generali , INU, Roma 2003.

 

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 progetto

Il progetto di paesaggio alla scala territoriale

Emanuele Von Normann

La progettazione del paesaggio a scala territoriale, come d’altra parte quella a una scala ben più ridotta,

non può esser affrontata senza prima aver guardato, visto e quindi conosciuto il territorio su cui intervenire.

Saper vedere il paesaggio vuol dire acquisire quel livello di conoscenza dell’insieme che permette di discer-

nere l’insieme stesso in tutte, o quasi, le parti che lo compongono. Il territorio che prendiamo in esame è

generalmente il territorio extraurbano. La maggior parte delle volte questo territorio è “compromesso” nella

sua integrità da forme di paesaggio urbano o antropizzato, più o meno presenti. Quando questo avvieneci si trova di fronte a una ricchezza di valenze altrettanto forti di quelle di un territorio in cui l’uomo non ha

avuto motivo di intervenire; queste valenze sono semplicemente diverse.

Il territorio ha determinato e subito la trasformazione del paesaggio con un processo in continua evoluzio-

ne, mutando nel tempo con adattamenti più o meno traumatici.

Ogni azione su di esso deve quindi riconoscere le trasformazioni avvenute fino al momento di avviare la

propria azione/mutazione, affrontare le ipotesi legate all’uso che si ritiene più idoneo e leggere quei segni

che ne determinano le sue più attuali peculiarità. Il territorio è composto quindi da un certo numero di ele-menti, e in una determinata quantità, che lo caratterizzano e ne fanno un ambito unico e irripetibile. Il ter-

ritorio urbano, come quello extraurbano, è, quindi, il risultato di un certo numero di segni, tracce o trame

che ne compongono la sua storia e lo fanno divenire paesaggio. I segni che lo compongono possono

essere naturali, naturali derivati dall’azione dell’uomo, e quindi indotti, o decisamente antropizzati e carat-

terizzati da materiali inerti.

Ci si trova ad avere a che fare con tipi diversi di tracce che si distendono sul territorio e si articolano tra loro

componendo un insieme complesso di elementi dalle potenzialità e problematicità le più diversificate traloro. Diventa molto significativo, quindi, discernere quegli specifici componenti per riconoscere il tipo di pae-

saggio in cui ci si trova a operare, e con quali elementi presenti lavorare alla realizzazione di un nuovo

insieme riconoscibile come paesaggio. La composizione di questi segni ha certamente già determinato la

formazione di aree riconoscibili come omogenee in quanto contenenti elementi simili tra loro o composti in

modo tale da far risultare queste aree differenti da quelle limitrofe.

Siamo abituati a vedere immagini di paesaggi fotografati o ripresi dall’alto in cui si rileggono in chiave pit-

 

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 progetto

torica alcuni segni del territorio; queste immagini risultano più chiare e affascinanti quando la “natura”, o

comunque l’uomo sul territorio, è intervenuto in modo da ottenere degli ambiti riconoscibili come omoge-

nei e quindi intuitivamente “non naturali”. Questo genere di lettura del paesaggio, per quanto pittoricamen-te rilevante, diventa ancora più interessante quando una superficie, o comunque una porzione del territo-

rio, viene analizzata nelle sue componenti che la rendono omogenea. E quando all’interno di queste aree

si vengono a trovare uno o più elementi diversi dagli altri che le compongono, la lettura si arricchisce di

quelle variabili che rendono complesso e quindi interessante un paesaggio. Queste variabili possono esse-

re delle tracce lineari, puntiformi o forse dei piani diversi, ad esempio delle assenze in una massa; posso-

no essere determinate solamente da variazioni cromatiche o invece da volumi.

Gli elementi riconoscibili e riconducibili alla determinazione di un’area omogenea possono essere classifi-cati tra gli elementi “uguali” tra loro. Quindi, l’arricchimento di un’area omogenea può, ma non è stretta-

mente necessario, essere coadiuvato da elementi “diversi”. Un esempio di elemento diverso, tipico nel

paesaggio, è la presenza di un albero di specie differente da quelle presenti in un’area omogenea; diffe-

rente perché spogliante tra sempreverdi, perché fiorisce in primavera di un colore non presente nella stes-

sa area o in un periodo diverso dagli altri alberi intorno, o perché in autunno assume una colorazione ver-

miglia non comune alle altre specie dello stesso areale e presenti nello stesso luogo; ma l’elemento diver-

so può anche essere una infrastruttura lineare; una strada ad alto scorrimento, ad esempio. Questo è uncaso tipico in cui la diversità deve diventare quasi sempre il soggetto principale della progettazione: attra-

verso la realizzazione di una rete di interventi si deve rendere il paesaggio partecipe della presenza della

strada, ma anche divenire “scena” percepita a differenti velocità dalla strada stessa.

Nella progettazione del paesaggio le strade, gli edifici, come gli alberi, i fiori, la luce e l’ombra, l’acqua e la

terra, rientrano nella categoria dei materiali della progettazione; questi materiali possono essere composti

tra loro, o in masse più o meno omogenee, usati come elementi singoli.

Esistono molte variabili e moltissime ipotesi compositive dei materiali a uso del paesaggio. Ad esempio,nella progettazione delle masse vegetali è determinante, alla formazione di un micro ambiente equilibrato,

l’uso di più specie arboree e arbustive; in questo modo, oltre a ottenere la possibilità di vivere un paesag-

gio in continuo movimento, si ottengono delle qualità nella progettazione che una vasta area su cui è pre-

sente una sola specie non potrà dare. Gli alberi possono essere composti anche in filari più o meno omo-

genei; questo è il modo più immediato, ma a volte anche il più ovvio, per riprendere e portare all’interno

della progettazione quelle tracce già presenti nel territorio che si vuole rafforzare.

 

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 progetto

Senza voler fare una casistica dei modi in cui un territorio, pianeggiante o mosso, arido o fertile, antropiz-

zato o meno, possa essere progettato, è importante ribadire che diventa paesaggio solo attraverso la let-

tura delle sue specificità.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

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G. G. RIZZO, Roberto Burle Marx. Il giardino del novecento, Cantini & C, Firenze 1992.

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