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mensile di informazione in distribuzione gratuita Aprile 2013 n. 87 PARE CHE SIA LA VOLTA BUONA! Il Teatro Romano pag. 8 Università pag. 16 Alela Diane & Wild Divine pag. 23

Teramani n. 87

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Teramani n. 87

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Page 1: Teramani n. 87

mensile di informazione in distribuzione gratuita

Aprile 2013

n. 87

PARE CHE SIA LA VOLTABUONA!

Il TeatroRomanopag. 8

Universitàpag. 16

Alela Diane& Wild Divinepag. 23

Page 2: Teramani n. 87
Page 3: Teramani n. 87

SOMM

ARIO 3 Filippo Lucci fa il bis

4 Teramo culturale 6 Riparte il Festival della Letteratura 7 Note Linguistiche 8 Speciale Teatro Romano 12 Se due + 2 fa 3 14 Di Giovannantonio vede nero 15 L’Oggetto del Desiderio 16 Università 18 Oddio l’Agnello di Dio 19 Piazza Dante 20 Il Libro del Mese 22 Teramo e la Musica 23 Write About the Records 24 In Giro 26 Cinema 27 Alta Analisi del Dato Oggettivo 28 Salute 29 Pallamano 29 Coldiretti informa 30 La lettera sull’Ospedale

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio

Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone,Maria Gabriella del Papa, Maurizio Di Biagio,Maria Gabriella Di Flaviano, Carmine Goderecci,Carlo Manieri, Maria Cristina Marroni, Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone, Sirio Maria Pomante, Egidio Romano, Sergio Scacchia.

Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.

Ideazione grafica ed impaginazione: Antonio Campanella

Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele

Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930

Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa Bieffe - Recanati

Per la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738

Teramani è distribuito in proprio

[email protected] a

www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web

n. 87

Filippo Lucci è stato riconfermato alla

presidenza nazionale del Corecom,

gli ormai arcinoti Comitati per le

Comunicazioni che si occupano, oltre che

di tv, anche di conciliazione tra utenti e

gestori telefonici nella giungla delle bollette

pazze e dei call center che t’affibbiano

qualche servizio a pagamento non richiesto

e tanto altro ancora. Il teramano, col volto

da ragazzo e con un amore sconfinato per

la sua Val Fino, ha imposto anche a livello

nazionale la legge della sua umiltà e della

sua preparazione, dimostrando al contempo

come abbia ben operato nel primo mandato,

raggiungendo numerosi obiettivi, a partire

dal milione e mezzo di euro fatto risparmiare

agli abruzzesi solo con le conciliazioni con le

compagnie telefoniche. Ma Lucci ha anche il

difficile compito di stilare le graduatorie per

le provvidenze pubbliche al sistema delle Tv

locali, per conto del Ministero dello Sviluppo

economico, con un portafoglio che si aggira

sui 90 milioni di euro. Uno degli obiettivi

che l’ex Direttore Responsabile del nostro

periodico “Teramani” intende perseguire con

tutte le sue forze è quello di far giungere la

linea Adsl anche nelle zone montane della

nostra regione, dove purtroppo internet non è

ancora di tutti. Quanto sia stimato lo dimostra

il fatto che è stato rieletto Presidente

Nazionale all’unanimità. A vederlo mite non

significa affatto che Lucci sia arrendevole,

anzi: quando c’è stato da battere i pugni sul

tavolo ed accusare mostri sacri come la Rai,

l’ha fatto senza batter ciglio. Come quella

volta quando mise sul tavolo degli imputati

sia Mamma Rai che il Ministero dello sviluppo

economico, un po’ troppo superficiali sul

digitale terrestre nella nostra regione. E

in tempi di spending review il ragazzo di

“Teramani” è riuscito anche a tagliare le

indennità del Presidente e dei componenti

del Corecom che costa agli Abruzzesi solo 50

mila euro annue lorde contro quel milione e

mezzo che è riuscito a farci risparmiare.

Buon lavoro da tutta la redazione, Filippo. n

3Redazionale

Filippo Luccifa il bis

Page 4: Teramani n. 87

4n.87

GianniDi VenanzoAutore della luce o poliedrico artigiano?

Il cinema non è solo un meraviglioso caleidoscopio di utopie, dove

reale e irreale si confondono perfettamente, ma anche un grande

afflusso collettivo di energie e di ingegni. Eppure, in una delle ulti-

me interviste, Tonino Guerra si esprimeva in termini lapidari su di

un aspetto credo decisivo: in definitiva, egli diceva, il solo autore di un

film è il regista. Quest’ammissione di Guerra, atto di profonda onestà

intellettuale, credo vada estesa anche a Di Venanzo.

Chi sia stato Di Venanzo nel mondo della fotografia italiana è per lo più

noto e universalmente conclamato. Un uomo che, secondo Michelan-

gelo Antonioni, «aveva innato il senso dell’illuminazione», e che per

Francesco Rosi «è stato uno dei più grandi operatori che ci siano mai

stati». A Di Venanzo devono tutto, o quasi, direttori della fotografia

come Carlo Di Palma, il quale ha dichiarato di essere «l’allievo di

Gianni Di Venanzo, il mio grande maestro, cui devo tutto quello che so

fare». Al di là delle belle parole, comprensibili in collaboratori diretti,

a comprovare il valore del nostro basterebbero i nomi di Fellini e di

Antonioni, che con Rossellini e Visconti rappresentano i quattro mas-

simi pilastri della cinematografia italiana, e coi quali egli ha lavorato

alla realizzazione di monumenti osannati in tutto il mondo. E tuttavia,

l’esercizio di buonsenso di Guerra mi porta a considerazioni meno

scontate. Ha senso parlare di co-autorialità in prodotti profondamente

monocratici come quelli del nostro cinema d’autore degli anni Cin-

quanta e Sessanta? Popolato da autori grandissimi, troppo grandi direi,

perché si possa parlare di apporti creativi veri e propri? Alida Scocco

Marini, un poco ingenuamente, ci ricorda nel merito cose come l’intro-

duzione delle lampade photoflood, le quali altro non sono in effetti che

la conseguenza del taglio documentaristico di certo cinema italiano

degli anni Sessanta, vedi quello di Rosi ne Le mani sulla città, più che

il risultato di una personale ricerca o di una programmatica filosofia

della luce, come è ravvisabile ad esempio in un Vittorio Storaro, autore

immediatamente riconoscibile a prescindere dal cineasta. In altre

parole, credo che Di Venanzo stia a Fellini e Antonioni come Douglas

Trumbull sta al Kubrick di 2001 odissea nello spazio e allo Spielberg

di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Un tecnico poliedrico, capace di

adattarsi al meglio alle esigenze più disparate, un favoloso artigiano

della visualità. Penso, in altre parole, che un’immagine “alla Di Venan-

zo” non esista, o che al massimo si possa ravvisare in modo solo indi-

retto e frammentario. Chi indicherebbe in Trumbull la genialità dei film

di Kubrick e Spielberg, le visioni particolarissime che emanano dalla

loro concezione del destino dell’uomo, pessimista la prima ottimista

la seconda? Il Trumbull allucinogeno della “porta delle stelle”, il tunnel

spazio/tempo/luce del film di Kubrick, può dirsi lo stesso del Trumbull

incantatorio che smaterializza multicromaticamente le sagome degli

Ufo per meglio fonderle con le salmodie sonore come accade in quello

di Spielberg? Nel caso di un John Williams, il quale viceversa conserva

senza dubbio una propria costante dimensione estetica nelle proprie

partiture, parlerei di “apporto d’autore”, nel caso di Trumbull parlerei al

massimo di una geniale interazione tecnologica.

A ciò si aggiunga il particolare tipo d’apprendistato di Di Venanzo, il

quale potè avvantaggiarsi del lavoro di tecnici artigiani come Tonti, per

Ossessione di Visconti, o come Arata, nel 1945, per Roma città aperta

di Rossellini, artigiani al servizio di autori di statura incommensura-

bile, nel momento forse più felice della loro produzione, individualità

poetiche assolutamente galvanizzanti. Ma non era forse quella di Tonti

un’arte tutta al servizio di un’altra, quella di Visconti? E non era lo stes-

so per Arata con Rossellini? Scomparso prematuramente a 45 anni,

vincitore del Nastro d’Argento per cinque volte, Di Venanzo fu in realtà

uomo fragile e pieno di fobie, anche paradossali se confrontate con la

passione per le innovazioni tecnologiche: non mise mai piede su di un

aereo, e all’estero vide rischi di contagio fatali anche nei bicchieri d’ac-

qua. Se questa era la natura del Di Venanzo uomo, qual’era, se ve ne è

realmente stata una, quella del Di Venanzo artista? Cosa accomuna il

Di Venanzo del Grido antonioniano al Di Venanzo di 8½? Cosa lega, dal

punto di vista del senso della luce, il neorealismo interiore del primo

al surrealismo onirico del secondo? E che dire del suo approccio alla

tecnica del colore? Si è parlato di genialità nella fotografia di Giulietta

degli spiriti, il secondo dei film a colori di Fellini.

Ma un’attenzione per i colori vividi in senso antinaturalistico è prati-

camente costante in Fellini, già evidente nel precedente Le tentazioni

del Dottor Antonio, dove la cura della fotografia è di Otello Martelli, o

nel Satyricon del 1969, dove è di Giuseppe Rotunno. Può dirsi esistere

nel caso di Di Venanzo lo stesso rapporto di affinità stilistica che esiste

tra Fellini e Rota? La questione, chiusa come sembra su questa e altre

figure-simbolo della più grande industria culturale del paese, a me

pare del tutto aperta. n

Teramo culturale

diSilvioPaolini Merlo [email protected]

Di Venanzo (a sinistra) con Michelangelo Antonionisul set de Il Grido - 1957

Page 5: Teramani n. 87

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Page 6: Teramani n. 87

Eventi6n.87

Giulianova a primavera si risveglia, come da tradizione, con la

secolare festa dello Splendore e, da più di dieci anni, con il

Festival internazionale delle bande musicali. Alla primavera

giuliese, dall’anno scorso, a completare lo scenario dell’of-

ferta culturale, si aggiunge il Festival Nazionale della Letteratura,

gemellato con il prestigioso premio di Mantova. Un evento corag-

gioso che ha iniziato il suo percorso di crescita a piccoli passi e con

una meta precisa. A portare avanti il lavoro è innanzitutto l’ideatri-

ce e presidente, Patrizia Di Donato, brava scrittrice e appassionata

di libri, che ci racconta la seconda edizione del festival che si terrà

dal 2 al 5 maggio, nelle location della sala Buozzi in Centro Storico

e del Kursaal al Lido.

Patrizia, cosa ti ha spinto a prendere la decisione di organizza-

re un festival letterario?

Avevo il desiderio di creare a Giulianova un polo d’interesse che

avesse al centro la letteratura. Una volontà nata anche dall’allar-

mante disaffezione per la lettura e il libro, che si riscontra nella

società odierna e che incide fortemente sulle nuove generazioni,

sul loro modo di conoscere l’animo umano e il mondo. Abbiamo

quindi pensato, fin dall’inizio, al coinvolgimento delle scuole supe-

riori giuliesi, proprio per contribuire a ricucire questa trama recisa.

Vogliamo costruire un nuovo luogo d’incontro, tra l’altro, anche per

gli scrittori abruzzesi, che spesso suscitano un grande successo

quando vanno fuori regione, se non addirittura all’estero - e nella

storia basti pensare a giganti come Ignazio Silone e John Fante - e

purtroppo misconosciuti nella nostra terra. Viviamo in un momento

pervaso da un tangibile male di vivere e il libro è un amico che ci

ascolta sempre e interpreta i nostri stati d’animo: questo è il lato

caldo del festival, così come l’ho pensato fin dal suo nascere.

La prima edizione, con i piedi ben saldi a terra, si è imposta

come un evento denso di contenuti e ha ricevuto un ottimo

Riparte il Festival Nazionaledella Letteratura

diSirio MariaPomante [email protected]

La scrittrice Patrizia Di Donato lancia la seconda edizione della kermesse giuliese

Segue a pag. 7

Page 7: Teramani n. 87

L’operazione di prendere appunti è piuttosto complessa,

poiché consiste in tre attività contemporanee: ascoltare,

sintetizzare, scrivere. Oggi, anche se la diffusione dei regi-

stratori di piccolissime dimensioni e di facile funzionamento

consente ai giovani di registrare lezioni, conferenze, dibattiti…ecc.,

non mancano occasioni in cui una pagina di appunti, ben presi ed

organizzati, sia più utile della registrazione completa.

Ad esempio nella vita scolastica quotidiana, durante la spiegazione

dell’insegnante o l’interrogazione dei compagni, “prendere appunti”

è un ottimo mezzo per la rielaborazione e lo studio della lezione.

Naturalmente esistono alcune tecniche che facilitano l’operazione

di prendere appunti:

• Nonpretendereditrascrivereinteramenteciòchesiascolta.

Note linguistiche

a cura diMaria Gabriella Di Flaviano [email protected]

• Limitarsisoloall’essenziale,allelineedifondodeldiscorso,

oltre a ciò che interessa o incuriosisce maggiormente.

• Evitarediscriverelepartistrettamenteinformativediuna

lezione, quando si è sicuri di poterle ritrovare sui libri di testo,

ma cercare di cogliere le osservazioni e il pensiero originale

dell’insegnante.

• Stabilireunpropriocodicediabbreviazioni,sottolineature,

frecce di collegamento degli argomenti.

• Usare“parolechiave”,utiliarichiamareallamemoriaunaque-

stione, un problema, un’interpretazione.

• Prenderenotadiciòchemeritaapprofondimentoochiarifica-

zione.

• Rielaboraregliappunti,ilpiùprestopossibile,procedendoad

una trascrizione integrale e per esteso, verificando su libri,

enciclopedie e manuali quelle notizie che sembrano incerte o

addirittura errate. n

Comeprendereappunti

7n.87

successo di pubblico. Cosa riserva que-

sto secondo appuntamento?

L’anno scorso abbiamo iniziato questo

viaggio, senza toni pomposi, tentando

di creare appuntamenti che invitassero

alla conoscenza degli autori, con toni

confidenziali. Lo stesso approccio che

riproporremo anche in questa edizione,

nella quale abbiamo invitato personalità

di spiccato interesse nazionale come

Elda Lanza, la prima presentatrice della

televisione italiana, che si è riscoperta,

oramai più che ottantenne, apprezzata

autrice di gialli e Mariano Sabatini, da

vent’anni autore televisivo e radiofonico

e affermato scrittore, che daranno vita ad

un’intervista doppia, ponendosi domande

a vicenda. Avremo anche autori abruzze-

si, come Caterina Falconi con il suo libro

a più voci che racconta la violenza sulle

donne, Simone Gambacorta, il giornalista

di Rai Tre Umberto Braccili, l’antropologa

Alessandra Gasparroni e molti altri. Uno

spazio sarà riservato alla letteratura nata

dopo la tragedia del terremoto aquilano.

Dopo aver ospitato, infatti, il giornalista

Giuliano Parisse con Com’era bella la mia

Onna, sarà presentato I Gigli della Memoria

di Patrizia Tocci, un’antologia di storie di

vita vera tra le difficoltà e le sofferenze del

post-sisma. Durante la premiazione, che

avverrà nell’ultimo giorno, consegneremo

dei riconoscimenti non solo ai nostri ospiti,

ma anche alle testate giornalistiche che si

sono distinte per un sostegno alla promo-

zione culturale.

Il festival muove dal tuo amore per la

letteratura e soprattutto per la scrit-

tura. Il successo de “La neve in tasca”,

edito nel 2011, ti ha permesso di farti

conoscere ancora di più dal pubblico.

Da cosa nasce questa tua passione per

la narrazione?

Dall’invidia del segno. Ebbene sì, quan-

do ero piccina invidiavo moltissimo mia

sorella maggiore per la sua capacità di

tracciare quei segni, le lettere, sui fogli

bianchi e perciò la costrinsi ad insegnarmi

a leggere e scrivere ancor prima di entrare

a scuola. A dieci anni ho cominciato a

comporre brevi poesie, ma, crescendo, pur

continuando a scrivere, vivevo nel comune

sentire che la donna deve essere prima

una brava moglie e madre, e poi, solo poi,

può dedicarsi agli altri interessi e ai piaceri.

Ma ad un certo punto della mia vita, sono

uscita allo scoperto con il racconto Che

bel dono, vincitore del Premio Teramo nel

2005, e ho compreso come, parafrasando

Simon de Beauvoir, “donne non si nasce, lo

si diventa”. n

Page 8: Teramani n. 87

Gli ultimi lavori per il recupero del Teatro Romano iniziano con

l’Amministrazione Chiodi nel maggio 2007 ma non portano

al risultato auspicato dall’associazione Teramo Nostra e dalla

città, cioè alla scoperta degli antichi resti, ma al restauro di casa

Adamoli, dopo il parziale abbattimento dei piani superiori dell’edificio.

Secondo Chiarini e soci prevale dunque, all’interno della Soprintendenza,

del Comune di Teramo e anche della Regione Abruzzo l’idea non del

recupero della cavea, ma della conservazione degli edifici soprastanti.

Successivamente, la nuova Amministrazione Brucchi, in possesso di un

finanziamento già stanziato di un milione e seicentomila euro, decide di

continuare i lavori sulla scia del suo predecessore (iniziano il 22 novem-

bre 2010) che prevedono un progetto di “pulizia con allontanamento dei

reperti dal sito, copertura dei resti con tettoie di plastica, passerella per

disabili e illuminazione”. Il progetto trova la forte avversione di Teramo

Nostra che da sempre auspica il recupero della cavea e la ricostruzione

dei fornici abbattuti nel 1960. Il 25 novembre 2010 l’associazione prote-

sta chiedendo di impiegare il finanziamento per l’acquisto dei caseggiati

da abbattere. “La richiesta rimane inascoltata” dicono gli aderenti di

Teramo Nostra. Durante il Consiglio Comunale del 17 dicembre 2010

viene presentato lo studio di fattibilità per il recupero del teatro: l’asso-

ciazione pretende però un concorso internazionale. “Anche tale richiesta

resta inascoltata”.

Sempre nel dicembre 2010 la Soprintendenza, che assieme al Comune

decide di andare avanti con l’allontanamento dei reperti che vengono ca-

ricati su un camion con destinazione Cona: il prof. Melarangelo si sdraia

davanti al camion impedendogli l’uscita dal cantiere. I reperti vengono

sistemati intorno all’area.

Nel gennaio 2012 però, il sindaco decide nuovamente di allontanarli

dall’area, Teramo Nostra si oppone nuovamente portando la protesta a

Roma. Il 23 febbraio 2012 infatti una delegazione di associati e cittadini si

reca davanti al Ministero dei Beni Culturali per manifestare con cartelloni

esplicativi.

Nei giorni immediatamente successivi Teramo Nostra invia una lettera al

Ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi chiedendo di essere ricevuta

e fa appello al Presidente della Repubblica che risponde incaricando

il professor Roberto Cecchi, Sottosegretario di Stato del Ministero dei

Beni Culturali del Governo Monti, che convoca l’associazione insieme al

sindaco e ai rappresentanti della Soprintendenza. All’incontro (il 17 aprile

2012) partecipa anche l’onorevole Radicale Elisabetta Zamparutti, la

quale aveva già presentato due interrogazioni parlamentari sul recupero.

Intanto, il 21 aprile 2012, viene aperto il sito archeologico per una visita

guidata e, in questa occasione, i funzionari locali della Soprintendenza

danno informazioni

che contraddicono

quelle del sindaco:

“No all’abbattimen-

to dei palazzi sulla

cavea, come invece

sempre dichiarato

dal sindaco”.

Il 18 maggio 2012

Cecchi riconvoca

Teramo Nostra

in una riunione

senza il sindaco,

e dichiara che “in

base alla gestione

del recupero del

teatro fatto negli

ultimi anni risulte-

rebbe pericoloso

allontanare i reperti

dall’area” e chiede

al soprintendente regionale Fabrizio Magani di lasciarli in loco.

Il 28 giugno 2012 il sottosegretario riconvoca una riunione nei suoi uffici

per sottoporre ai presenti un cronoprogramma sul recupero dopo aver

rimandato indietro quello del sindaco ed è firmato dal prof. Cecchi, dal

soprintendente Magani, dal sindaco, dall’assessore Agostinelli, dall’on.

Pannella, dall’on. Zamparutti da Piero Chiarini e da Cosima Pagano.

Nel mese di agosto 2012 terminano i lavori di pulizia e illuminazione e

nel mese di ottobre il teatro viene inaugurato con una imponente cartel-

lonistica che non depone a favore di un cantiere.

Il 22 novembre 2012, il sindaco si reca a Roma insieme al presidente

della Regione Chiodi e all’assessore Di Dalmazio (i quali non hanno mai

partecipato agli incontri a Roma) e tutti firmano un accordo generico che

supera il cronoprogramma del 28 giugno (dall’incontro viene estromesso

e neanche informato il sottosegretario Cecchi).

Speciale · Il Teatro Romano8n.87

Il Teatro RomanoUn po’ di storia recente

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

Page 9: Teramani n. 87

Cecchi, dopo aver chiarito la questione con

il ministro Ornaghi riconvoca i firmatari il 18

gennaio 2013 invitando il sindaco a portare

avanti quel progetto che Brucchi sembra

avere abbandonato.

L’appuntamento successivo a Roma è per il

18 febbraio 2013, poi spostato al 28 causa

elezioni, e in questo incontro il sindaco deve

portare gli atti che dimostrano quanto meno

il passaggio di casa Adamoli dalla Regione al

Comune e il bando di gara. In realtà il sindaco

non porterà nessuno dei due, con grande de-

lusione dell’associazione che sa essere quello

l’ultimo incontro con Cecchi, il cui mandato è

terminato e che va anche in pensione.

Da questo momento inizia il silenzio del sinda-

co , che non fa sapere nulla né dell’acquisto

delle proprietà né del bando, fino al 5 aprile

2013 quando viene pubblicato un bando di

gara. “Che sa di beffa” per Chiarini e soci.

Teramo Nostracontro il resto del mondo

Palazzo Adamolifa gola a moltise resta in piedi

Dopo gli Spennati e i Mazzaclocchi, i

regnicoli e i papalini, i zetatiellani rigidi

e i sostenitori del traffico in centro

senza limiti, ecco a Teramo profilarsi un’altra

contrapposizione questa volta tra coloro che

sostengono l’abbattimento delle twin towers

(Palazzo Adamoli e Casa Salvoni) insistenti

sulla cavea del Teatro romano e coloro in-

vece che vogliono mantenere lo status quo,

come lo stesso onorevole Paolo Tancredi,

che in un convegno dichiarò che là sott nn

ci sta nind. Perché abbattere? “Ma scusi

lei è un archeologo?” gli risposero di tutto

punto quegli spiritacci della terribile “setta”

degli adepti di Teramo Nostra. “Lei c’è stato,

ha verificato?” proseguirono gli scalmanati.

La guerra è tra quei pochi che vogliono

fare spazio alla cavea, restaurando anche i

quattro fornici maldestramente abbattuti nel

1960, e “coloro – come recita il presidente

Piero Chiarini - che hanno mire speculative

sui due palazzi, una cordata di affaristi che

hanno bloccato il progetto d’abbattimento,

altrimenti che motivo c’era di ristrutturare

Palazzo Adamoli con contrafforti, nuovi solai

e finestre e tanto altro ancora”.

Lo stesso sottosegretario di Stato del Mini-

stero dei Beni Culturali del Governo Monti,

Roberto Cecchi, interessato dalla presidenza

della Repubblica cui s’era rivolta la terribile

Teramo Nostra, ormai senza più numi tute-

lari, riconosce che un caseggiato sopra il

Teatro romano fa gola a tutti: immaginate

che sciccheria, si sarà detto, quanti profes-

sionisti vorrebbero uno studio sopra quelle

antiche ruine, o quante mogli ambissero ad

una finestra con vista. Tanto che qui, quelli di

Teramo Nostra raccontano di una persona,

socia dell’associazione, che acquistò sulla

carta un appartamento di palazzo Adamoli

ristrutturato: cedette nei suoi propositi una

volta verificata la genuina passione degli

adepti. Per la verità, Teramo Nostra da 16

anni combatte la battaglia in solitaria, da

piccoli eroi quotidiani, con veemenza come

quando Melarangelo si stese sul selciato

dinanzi ai grossi pneumatici di un camion

che intendeva portar fuori alcuni reperti:

come Ian Palach davanti ai cingolati russi, il

direttore artistico dell’associazione sfidò il

potere costituito. Ma la guerra imposta tra

coloro che vogliono abitare palazzo Adamoli

è di posizione, quindi di sfinimento. Anche

sull’ultimo ostacolo, il tenace e pugnace

Cecchi, si punta alla sua pensione che sarà

a breve.

La storia del Teatro è fatta di una miriade di

appuntamenti non rispettati, di cronopro-

grammi buoni per tutte le stagioni, recente-

mente di bandi anche “poco cristallini” come

vengono definiti da Teramo Nostra. “Dal

34 ad oggi – riprende fiato Chiarini- non si

riesce, dopo il lavoro di Franceso Savini, nel

recupero della cavea perché ne usufruisse

la città e, per la verità, tutto il Centro Italia,

un sito archeologico importante con duomo

e anfiteatro a due passi, immaginate che

scenario”. Il presidente insiste: “Del resto

che futuro ha una città come la nostra se

non archeologico? Sono 15 anni che stiamo

lottando, dal 1998 quando furono stanziati

quasi 900 milioni di lire per l’abbattimento

dei due palazzi”.

E per di più, è stato sventato nel corso

di questi anni “il tentativo ennesimo di

copertura”, perché “l’ingegnere Castelluc-

ci aveva già realizzato delle strutture in

cemento armato propedeutiche allo scopo”.

Oltre alla presidenza della Repubblica,

anche i radicali si sono interessati alla storia

teramana, e non sono bastati i sit-in “perché

alla fine dopo tutta questa battaglia siamo

arrivati a questo bando che ci pare altresì

incongruente, come d’altronde tutte le altre

proposte, quello che ci fa venire i dubbi è

la mancata pubblicità dell’argomento, io al

posto del sindaco – prosegue Chiarini - avrei

fatto una conferenza di servizi, perché la

riconsegna del teatro romano alla colletti-

vità è un’iniziativa che risale sin dai tempi

di Bottai nel ‘35, come minimo in tutto ciò

vediamo poca trasparenza e questo non ci

fa stare tranquilli, ma ci pone altri dubbi”.

“Ma la priorità al teatro romano la vogliamo

porre sì o no!?” si chiedono quelli di Teramo

Nostra. “È dal 1902 che si parla di questo,

c’è stata la famosa pubblicazione fatta per

l’Accademia dei Lincei da parte di Francesco

Savini per parlare nel 1926 dell’importanza

del monumento. Ma possibile che da allora

ad oggi non si è spostato nulla e nessuno

per portare avanti questa battaglia: soltanto

noi! l’interresse al mantenimento dello

status quo sembrerebbe appartenere non

solo ad una parte politica ma è allegramente

bipartisan. Sì, interessa tutti i partiti”.

Tra le tante manifestazioni di protesta figura

anche quella ai tempi dell’assessore regio-

nale alla cultura Betty Mura, in Viale Bovio a

Pescara: i bad boys fecero un sit-in davanti ai

suoi uffici, presente un alto funzionario della

Regione che sosteneva la ristrutturazione del

Palazzo Adamoli. Dichiarò che nell’eventuali-

tà si potesse fornire una nuova funzionalità

al Teatro romano, si sarebbe potuta utilizzare

quella parte dell’immobile per farci dei

camerini e degli spogliatoi. “Pensate che si è

arrivato anche a questo!”.

9n.87

Speciale · Il Teatro Romano · segue a pag. 10

Page 10: Teramani n. 87

Il Sindaco Brucchi

“Io faccio i fatti, non chiacchiere” Tra un anno le ruspe per abbattere i due palazzi

Sindaco Brucchi, alcuni esponenti teramani ipotizzano una condotta speculativa nella gestione del man-

cato abbattimento di Palazzo Adamoli e casa Salvoni. Lei che ne pensa?“Ci sono persone che fanno polemica

gratuitamente: nemmeno di fronte ad

un’evidenza si vuole capire quello che si ha

intenzione di fare; un’amministrazione parla

per atti e questi affermano che oggi esisto-

no sul Teatro romano tre protocolli d’intesa

sottoscritti da enti e istituzioni importanti

tra cui il governo col ministro dei beni

culturali. C’è un finanziamento per circa 3,5

mln di euro per il recupero funzionale del

teatro che passa attraverso l’abbattimento

di Casa Salvoni e Palazzo Adamoli: questi

sono gli atti e il cittadino che vuole vedere

con occhi sereni, senza retropensieri e

strumentalizzazioni, lo può fare, poi uno se

vuole vedere altre cose è padrone di farlo.

Inoltre, io che faccio il medico, cerco di fare

il mio lavoro e non entro nei tecnicismi bu-

rocratici come quelli di un bando: inviterei

gli altri a fare la stessa cosa, il bando per

una gara europea ha un oggetto preciso ed

è l’abbattimento dei due palazzi, credo che

non ci sia nient’altro da eccepire”.

Però la magistratura si sta interessan-do ai contrafforti e all’inusuale conso-lidamento di Palazzo Adamoli.“Aspetto serenamente il risultato dell’in-

dagine: sono stato sentito per tre ore dagli

inquirenti, ho riferito quello che sapevo, non

so proprio che dire su chi persevera in at-

teggiamenti polemici. Attorno a questo pro-

getto ci sono enti pubblici, non privati: c’è

il Comune di Teramo, la Regione Abruzzo, la

Provincia, la Fondazione; sono la massima

garanzia che i palazzi saranno abbattuti e

si farà seguito alla valorizzazione del teatro.

Abbiamo lavorato perché fosse fruibile,

difatti la struttura è aperta alle scuole e si

cominciano a vedere i turisti, credo che

l’amministrazione stia ben lavorando”.

Sindaco, azzardi una tempistica.“Penso che il prossimo anno, quando si

tornerà al voto, saranno arrivate sul sito le

ruspe per abbattere i palazzi: c’è un cro-

noprogramma sottoscritto con il Ministero,

lo cerchiamo di rispettare, certo qualche

piccolo ritardo ci potrà essere, ma non

inficia la volontà dell’ente che è quella di

abbattere, battaglie di retroguardia a me

non interessano”.

L’onorevole Paolo Tancredi fece sapere che il Teatro romano può stare benissimo così com’è. “Uno può dire ciò che pensa, ma ripeto

quello che conta non sono le parole perché

attorno al Teatro romano ne sono state

fatte troppe, tante: ora contano gli atti, il

sindaco parla con atti amministrativi, io non

faccio chiacchiere”.

Nessun pentimento per la vicenda reperti?“I reperti pertinenti sono nella cavea, gli

altri sono nell’area archeologica della Cona:

nel rispetto dell’arte abbiamo fatto la cosa

migliore che si poteva fare”.

Ora che futuro ha il Teatro?“Sarà fruibile; sarà uno spazio aperto da

consegnare alla cittadinanza per fare quelle

cose individuate nel progetto per il quale

ho speso il mio impegno e la mia faccia. Il

futuro avrà un Teatro romano funzionale

con le gradinate e con la cavea adibita a

palcoscenico”.

I Teramani quando potranno assistere

ad un’opera nella cavea?“Questo non lo so dire; ci sono tempi

dell’archeologia, però posso dire che entro

il 2014 porteremo a termine l’abbattimento:

credo che nell’arco del 2014 vedremo il

progetto finito. Presto avremo il progettista,

presto avremo il progetto”.

Sindaco, mi sa dire il motivo di questo iter burrascoso e frastagliato? “Per appaltare un’opera pubblica occorrono

19 mesi; l’iter è complesso perché ci sono

tanti enti da mettere d’accordo , anche nel

passato si sono avuti problemi procedurali,

ciò che va letto però è la volontà di fare i

fatti e non le chiacchiere. Mi sembra che

oggi quello che si voglia fare è evidente, è

sotto gli occhi di tutti, poi gli scettici ci sono

sempre stati e sempre ci saranno. Il mini-

stro ha detto che questo è uno dei progetti

più interessanti in Italia in questo momento.

Ora stiamo attendendo il milione e mezzo

di euro di finanziamento del Ministero che

manca e non sono stati nemmeno delibe-

rati, perché finora all’appello ci sono quelli

della Fondazione e della Regione”.

Intanto Teramo Nostra battaglia da sola.“Non c’è stata la necessità di fare nessuna

battaglia, Teramo Nostra ha affiancato

questa attività, c’è stato un intero consiglio

comunale che, assieme a Siriano Cordoni,

si è espresso favorevolmente su questo

progetto”.

Come giudica l’attività di Teramo Nostra?“La giudico positivamente quando agisce

sul territorio ma sul teatro romano qualche

volta ha combattuto battaglie di retroguar-

dia, non c’è bisogno del loro scetticismo, la

situazione è cosi chiara e lampante. Capisco

la storia travagliata del teatro romano,

ma ora si deve vincere lo scetticismo con

l’evidenza dei fatti”.

10n.87

Page 11: Teramani n. 87

Il bassorilievoimpudico

So bene di espormi alle ilarità di chiunque

leggerà queste righe ma nel Teatro

Romano di Teramo c’è un’opera d’arte

diciamo “singolare” di cui molto si è già par-

lato ma della quale magari qualche teramano

ignora l’esistenza.

Tra i tanti importanti reperti archeologici

custoditi all’interno della cavea, può essere

sfuggito un bassorilievo plastico rappresen-

tante un fallo alato di ampie proporzioni

finemente scolpito.

Si, avete letto bene.

Si tratta di un grande pene già scoperto

molti anni fa, intorno al 1963, dal caro amico

Giammario Sgattoni, dopo l’abbattimento di

palazzo Ciotti, edificio del ‘700 che insiste-

va pochi metri più avanti, dove oggi c’è un

supermercato.

Il reperto sparì misteriosamente e per molti

anni non se ne seppe più nulla.

Adesso è magicamente ricomparso grazie

all’associazione Teramo Nostra.

Secondo il professor Melarangelo, studioso di

storia antica, la pietra col bassorilievo del fallo

è un omaggio al tempio dedicato al dio Priapo

della mitologia greca e romana, noto a tutti

soprattutto per la spropositata lunghezza del

suo organo genitale.

Qualcuno nel vederlo ha commentato si trat-

tasse della statuetta di Priapo che, secondo

la testimonianza di facili donnine, girava ad

Arcore tra le ragazze alle “cene eleganti” di

Silvio Berlusconi.

Lasciando da parte facili battute e goliardie,

tornando seri, si può ben dire che siamo

davanti ad un reperto importante. Certo non

nuovo come stile se teniamo conto che,

nell’arte romana, il fallo veniva spesso raffi-

gurato in affreschi e mosaici, generalmente

posti anche all’ingresso di ville ed abitazioni

patrizie.

L’enorme membro di Priapo era infatti consi-

derato un amuleto contro invidia e malocchio

e molte donne patrizie indossavano al collo

dei gioielli con piccoli cilindri raffiguranti

l’organo.

Inoltre è noto che nelle campagne gli agricol-

tori solevano utilizzare cippi di forma fallica

per delimitare le proprietà degli agri.

Priapo era figlio di Afrodite e Dionisio.

Il suo glande fuori misura, lo aveva trasforma-

to in un essere grottesco dalla pancia enorme

e la lingua lunga.

Per l’insieme di queste deformità, Afrodite lo

rinnegò e lo abbandonò.

I pastori che lo allevarono, considerarono la

sua mostruosità fallica portatrice di buoni

auspici per la fertilità dei campi e delle greggi.

Così Priapo, che rappresentava l’istinto e la

forza sessuale maschile, divenne il dio dell’at-

to d’amore e della fertilità rurale.

A Teramo quindi esisteva il culto di questa

divinità così particolare con un tempietto che

insisteva vicino al grande teatro.

Ci si è chiesti il perché delle ali e del fatto che

un pene più piccolo si insinua sotto a quello

grande, visibile solo guardando la pietra da

vicino. Qualche esperto ha ricordato l’animale

associato a Priapo che è l’asino per una sorta

di analogia fra il membro del dio e quello del

ciuco. Un giorno, secondo la mitologia greca,

il satiro era intento a insidiare una Ninfa

dormiente, ma il ragliare di un asino svegliò la

creatura, impedendo al dio di farla sua. Priapo

odiò così tanto l’animale da pretendere sacri-

fici costanti con l’uccisione di poveri ciuchini.

Nell’antichità si credeva che chiunque riuscis-

se a vedere “l’asino che vola” poteva avere

attenzioni degli dei. Questo forse spieghe-

rebbe, in maniera un po’ fantasiosa, la strana

presenza delle ali.

Motivo in più per chiedere a gran voce di va-

lorizzare ulteriormente tutta l’area archeologi-

ca con le vicine pietre dell’anfiteatro. n

di Sergio Scacchia 11n.87

Page 12: Teramani n. 87

La soap opera più vista al mondo, “Be-

autiful”, con 35 milioni di telespettatori

giornalieri in oltre 100 Paesi, ha scelto

l’Italia per le sue ambientazioni. Nel 1998,

alcuni episodi furono registrati a Cernobbio, sul

lago di Como; nel 2000 a Venezia, nel 2003 a

Portofino e Camogli. L’anno scorso è toccato al

Salento di offrire i propri scenari. Dal Gargano al Salento, tre settimane

con Ronn Moss, Katherine Kelly Lang, Don Diamont, Kim Matula, Jacqueli-

ne Macinnes Wood e Scott Clifton. Gli episodi saranno trasmessi in aprile

e maggio 2013 per raccontare il matrimonio tra Hope e Liam. Un capitolo

della storia della famiglia Forrester trasformato in uno spot cosmopolita,

in una imperdibile occasione da cogliere al volo. Le case di produzione

locali hanno avuto la possibilità di accedere ai fondi europei dell´Asse

IV, linea d’intervento 4.3, Azione 4.3.1 lettera C del PO FESR 2007/2013,

con il conseguente risultato di incrementare il turismo e rafforzare

l´immagine della regione vendoliana, garantendo importanti ricadute di

natura socio-economica e la valorizzazione delle location pugliesi.

Questa la politica vincente per la crescita del turismo e le attrattive

peculiari di un territorio bene orientato verso profitti a lungo termine

a vantaggio della popolazione residente e di chi sceglie di visitarla. “Il

libero mercato è l’economia della sorpresa. Il mercato siamo noi: non

pedoni, torri e alfieri, ma esseri umani imprevedibili, impauriti, meschini,

sorprendenti, limitati e geniali, gente per bene e perfetti stronzi, persone

innamorate e cinici gretti, filantropi e magliari”. (Alberto Mingardi, L’intel-

ligenza del denaro).

Nella vita vera, non quella di chi non ha mai cacato con il proprio culo,

è tutto più complicato. Un bluff fra tatticismi e astuzie. Non esistono

meccanismi, prodigiosi algoritmi, in grado di prevedere e calcolare le

strutture del mercato. Nell’attesa di risultati che andrebbero al di là

della capacità dei mortali, vale una massima popolare: “Fattela con chi è

meglio di te e pagagli le spese”. La Regione Puglia, per quanto riguarda il

turismo, è stata bene strutturata dagli amministratori, che hanno dimo-

strato, almeno in questo caso, una grande lungimiranza. La divergenza

di intenti all’interno di una classe dirigente assente psicologicamente su

luoghi esposti ai quattro elementi è scoraggiante.

Se hai il fuoco per gli arrosticini, il vento per gli aquiloni, l’acqua del mare

dei fiumi dei laghi, le cime più alte degli Appennini e continui a non

Satira12n.87

Se duepiù due fa tre

diMimmoAttanasii [email protected]

battere chiodo, a fare reclame e promozioni con le solite e inutili tavole

rotonde per gli addetti ai lavori, probabilmente si è precipitati tutti nelle

tortuosità del politicamente insondabile. Di certo, alle lobby di potere non

gliene può fregare di meno delle generazioni a venire. Solo un governo

che investe nella cultura e nell’istruzione può difendere il futuro adesso

pignorato da gentaglia priva di scrupoli usurpatrice di titoli istituzionali.

“Le rovine dell’Aquila, una città distrutta e abbandonata, incarnano la

disperazione di una nazione paralizzata dal torpore politico ed econo-

mico. Il simbolo estremo della grande stagnazione di un Paese in crisi di

leadership politica”. (http://www.ft.com/cms/s/0/e7f43eac-a775-11e2-

bfcd-00144feabdc0.html#axzz2R041vmkK).

Sta affiorando, da uno scetticismo accidentato

dalla riflessione, una generazione spinta da idee

e principi incomprensibili alle cariatidi soprav-

vissute in un presente ristretto. La ragione sotto

scacco insiste sempre su preoccupazioni più

tristi come il tempo che passa, la giovinezza,

i volti di coloro che non sono più tra noi. Se la

mente si lascia travolgere dalle consuetudini

del passato, si perde il cammino in mezzo ai

vivi. Tutti siamo richiamati ai nostri doveri che a

ragione richiedono il nostro impegno. Nessuno

è in condizioni di calcolare l’emotività, le proble-

maticità sociali degli esseri umani. La predizione

economica è uno stupido esercizio di stile teso a tranquillizzare i più

stupidi. Da che mondo è mondo, due più due, in politica, fa sempre tre.

Ecco perché nei conti manca sempre qualcosa. n

ma mancasempre qualcosa

Beautiful, il matrimonio di Hope e Liam a... Polignano a Mare,Alberobello e alla Masseria San Domenico

Lo scorso 26 Marzo, i Testimoni di Geova in tutto il mondo si sono

riuniti per celebrare l’evento più importante per tutti i cristiani: la

Commemorazione della morte di Gesù Cristo.

Nelle loro Sale del Regno, è stato pronunciato un discorso biblico nel

quale si è spiegato il motivo per cui Gesù immolò la sua vita in sacrificio

a favore dell’umanità e i benefici che ne derivano; a seguire, si è ripropo-

sto ciò che egli fece con gli apostoli in occasione dell’ultima cena, ossia

il passaggio del pane e del vino come emblemi del suo corpo e del suo

sangue perfetti. I presenti presso la Sala del Regno di Teramo, sita in

Colleparco, sono stati complessivamente 311.

Come accade da ormai molti anni, la celebrazione si è tenuta anche

presso il carcere teramano di Castrogno, con un numero record di

persone che vi hanno assistito: ben 81!

Qualche dato sui Testimoni di Geova nel mondo:

7.782.346 predicatori attivi che proclamano il messaggio biblico in

239 paesi

111.719 congregazioni

268.777 battezzati nel 2012

19.013.343 presenti alla Commemorazione della morte di Gesù nel 2012.

La commemorazione della morte di Gesù

Page 13: Teramani n. 87

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Page 14: Teramani n. 87

Confindustria14n.87

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

S critta in cinese la parola crisi è com-

posta di due caratteri: uno rappresen-

ta il pericolo e l’altro l’opportunità.

Ma in riva al fiume giallo teramano

non si sa ancora qual è la versione che

prevarrà se non per il momento un lanci-

nante grido d’allarme lanciato addirittura

dalla Confindustria locale che per i prossimi

giorni vede un colore solo: il nero. “Abbiamo

tre o quattro mesi di tempo per evitare la

catastrofe” afferma sconsolato il diret-

tore generale Nicola di Giovannantonio,

che accasciato sulla sua sedia mormora

orazioni funebri per l’economia locale. “Se

continua così, le aziende riconsegneran-

no in massa i libri contabili in tribunale”

aggiunge quasi monocorde, con un filo di

voce. Confindustria non si trincera dietro

il suo laconico e prestigioso conformismo

dei tempi addietro: senza mezzi termini

lancia l’allarme per la provincia di Teramo.

“Le imprese addirittura non riescono più

a pagare i contributi e se lo fanno usano

le rateazioni con il rischio di non poter

ottenere il Durc, una vera iattura per chi ha

commesse pubbliche, perché significa non

poter lavorare più”. ”E nei prossimi mesi

potrebbe restringersi il credito: la mazzata

finale”. Solo qualche giorno fa uno studio di

Confartigianato poneva la nostra Regione al

top di coloro che avevano subito maggior-

mente la stretta creditizia e tra le quattro

province era proprio la nostra città a subire

le peggiori conseguenze. Confindustria at-

tacca con veemenza “un certo modo di fare

politica”: “La gente si è stufata – prosegue

Di Giovannantonio - perché i vecchi partiti

avevano tutto il tempo per rinnovarsi e fare

riforme costituzionali ed economiche ma

per mero calcolo di bottega non l’hanno

fatto”. Lo scoramento è molto diffuso tra

gli imprenditori teramani. “Non si dorme

più la notte; molti eroicamente indebitati

fino al collo fanno in modo di tenere ancora

aperte le loro attività pur di salvare i propri

dipendenti: non so davvero come faccia-

no ad andare avanti, c’è da rabbrividire”.

Confindustria segnala il caso con orgo-

glio: “Non sono egoisti come spesso li si

dipinge” interviene il presidente della locale

Confindustria giovani, Luca Verdecchia.

Purtroppo la stretta creditizia è sempre

più letale, tanto che Confindustria lamenta

che le banche finanzino solo le aziende

solide “mentre in Europa si finanzia l’idea”

puntualizza amaro Di Giovannantonio. Oltre

alla crisi c’è anche dell’altro: si perdono

appalti per mancanza di tecnologia, lo

stesso Verdecchia ne ha perso uno vincente

di 150 mila euro a causa di un pony express

che ha smarrito la posta; questo in piena

era digitale. Dalla bufera si salvano solo i

settori agro-alimentari e metalmeccanico,

e più segnatamente chi lavora con l’estero.

Il settore edile e dei manufatti in cemento

sono fermi, al palo anche tutte le opere

pubbliche: “Non so come se ne viene fuori”.

Anche tra gli imprenditori teramani si fa

strada il grillismo: “Non ci meravigliamo di

questo fenomeno” afferma il direttore ge-

nerale che allineandosi sui temi cari al ge-

novese consiglia di abolire tutte le province,

accorpare i piccoli comuni, porre un tetto

alle pensioni, tagliare i tanti cda su e giù per

l’Italia, fino a privatizzare molte municipaliz-

zate “e non seguire l’esempio del Ruzzo che

si era diviso in tre società con altrettanti

cda”. Con l’occasione sono stati divulgati

gli ultimi dati sulle imprese giovanili che

nel 2012 sono state in Abruzzo 17.509, 329

in meno rispetto al 2011 quando si erano

attestate a quota 17.838. La parola d’ordine

che rimbalza negli ambienti dei costruttori è

“allentare i vincoli del Patto di stabilità”. La

crisi dell’edilizia nel teramano è diventa-

ta emergenza. L’Ance ha intonato il de

profundis del settore elencando una serie di

numeri impressionanti: 3 mila sono i posti

di lavoro persi solo in provincia dall’inizio

della crisi (360 mila in Italia); 400 le imprese

scomparse nello stesso periodo, con 25

milioni di euro di crediti che le imprese ade-

renti all’Ance Teramo vantano nei confronti

della Pubblica Amministrazione. Per di più

le transazioni immobiliari sono crollate del

13% nel 2011 e in forte discesa anche nel

primo semestre del 2012. Ventidue sono

infine i Comuni medio-piccoli del Teramano

che nel 2013 saranno costretti a ritardare i

pagamenti per rispettare il patto di stabilità

esteso anche agli enti tra i mille e i 5mila

abitanti. “L’emergenza si è fatta drammatica

– ha dichiarato il presidente Ance, Armando

Di Eleuterio - un intero settore sta scompa-

rendo dal tessuto produttivo con gravi riper-

cussioni per l’occupazione e l’economia di

questo territorio”. n

e lancia l’allarme: tra pochi mesi tante le impreseche consegneranno i libri in Tribunale

Il direttoreDi Giovannantonio vede nero

Page 15: Teramani n. 87

15

Èla collana a forma di serpente in

argento,oro,zaffiri,ametiste e diaman-

ti, creata per Jaqueline Delubac.

Nata a Lione nel 1907, figlia di un uomo

d’affari e di una commerciante di tessuti,

Jaqueline Basset debuttò giovanissima

come attrice teatrale a Parigi con lo

pseudonimo Delubac, che in realtà era il

cognome della madre.

Sposò nel 1931 il regista attore Sacha Gui-

try, del quale fu musa ispiratrice e persona-

le interprete di lavori teatrali sino all’anno

in cui gli chiese il divorzio, nel 1938.

Vera diva dello schermo e del palco sce-

nico, divenne famosa non solo per la sua

bravura e bellezza, ma anche per la bizzar-

ria di avere buona parte dell’atelier di un

famoso couturiere dell’epoca a disposizio-

ne per realizzare i suoi costumi di scena e i

suoi abiti da giorno e da sera.

Alla carriera di attrice, la Delubac affiancò

una vera e propria passione per le opere

d’arte, soprattutto dipinti, accumulando

fino al 1970 un numero vastissimo di tele

pregiate, da Picasso a Mirò, che alla sua

morte nel 1997 furono donate al Museo di

belle arti di Lione.

La collezione si era fortemente ampliata

grazie anche agli acquisti importanti del

secondo marito,un gioielliere armeno, che

n.87

prediligeva i dipinti degli impressionisti o

quelli di inizio secolo.

Di gusto raffinato, non è difficile immagina-

re come Jaqueline Delubac nel corso della

sua vita abbia collezionato anche gioielli,

tra cui molti orecchini e spille dei nomi

più famosi della gioielleria del suo tempo;

spiccano una bellissima collana a forma di

serpente, in diamanti,ametiste e zaffiri cui

Jaqueline aveva dato il simpatico sopran-

nome di “Dudule”, e una spilla a forma di

lucertola indossata nel 1972 a casa del

Barone di Rothschild, in occasione del bal-

lo surrealista dove l’attrice indossava un

abito e acconciatura ispirati ad un quadro

di Magritte.

Molti dei gioielli più importanti dell’attrice,

furono messi all’asta a Ginevra nel 1998. n

L’oggetto del desiderio

diCarmine Goderecci di Oro e Argento

Un serpenteal collochiamato“Dudule”

Page 16: Teramani n. 87

Eccoci ormai ad aprile, con l’ultima corsa alle interrogazioni, ai

compiti in classe, ai recuperi, allo studio “matto e disperatissimo”

come diceva Giacomo Leopardi, per ottenere un voto maggiore o,

perlomeno, rispondente allo studio effettuato in questo quinquen-

nio della scuola Superiore.

Si è attualmente impegnati a concludere questo iter scolastico che ha

visto giovani impegnati o meno verso il traguardo finale, pronti a lanciarsi

dal trampolino della Scuola Superiore, verso la formazione universitaria.

In effetti, dopo l’esame di maturità, la scelta della facoltà universitaria si

fa alquanto ardua, molti giovani non hanno le idee chiare su ciò che vor-

rebbero fare, c’è tra l’altro una varietà di offerte proposte dagli atenei che

crea non poca incertezza e il mondo del lavoro offre, dopo anni di studio,

ben poche prospettive allettanti. Bisogna tener presente che il mondo

accademico, in questi ultimi dieci anni, è cambiato notevolmente.

Ripercorrere, a questo punto, un po’ di storia dell’iter universitario sembra

proprio importante.

La riforma universitaria è regolata dal Decreto Ministeriale 509 del 3

novembre 1999 (Berlinguer/Zecchino). Dalla sua applicazione sono nati

diversi livelli di formazione universitaria, oltre alla classica laurea a ciclo

unico (quadriennale o quinquennale): la laurea triennale, detta Laurea (L)

e la Laurea Specialistica o Magistrale, che prevede altri due anni di spe-

cializzazione (LS). È stato inoltre introdotto il sistema dei Crediti Formativi

Universitari (CFU).

Ad ogni credito corrispondono 25 ore di lavoro: l’impegno profuso in un

anno accademico dovrebbe garantire allo studente circa 60 crediti.

A questa riforma sono seguiti altri provvedimenti legislativi che, tra il 2004

e il 2008, hanno ridisegnato la fisionomia degli atenei: una riorganizzazio-

ne accademica che ha riformato le classi di laurea, avendo però l’effetto

collaterale di moltiplicare i corsi facendo lievitare le spese in un sistema

già affetto da sottofinanziamento cronico.

Nel 2010 ci si rende conto che i conti non tornano, si riscontra una vera e

solenne bocciatura del “3+2” firmata proprio dalla Corte dei conti e reca

la data del “14 aprile 2010”.

Il “Referto sul sistema universitario” dei magistrati contabili non lascia

adito a dubbi: “Il doppio ciclo (laurea triennale e laurea specialistica) non

ha prodotto i risultati attesi né in termini di aumento dei laureati, né in ter-

mini di miglioramento dell’offerta formativa”. Nel documento si segnala

anche l’alta percentuale di abbandoni al primo anno, l’aumento spropor-

zionato delle sedi decentrate e il consistente incremento dei professori a

contratto. Ma il principale obiettivo mancato del “3+2” riguarda - sempre

secondo la Corte - proprio l’aspetto che doveva rappresentare il suo pun-

to di forza: “Il sistema non ha migliorato la qualità dell’offerta formativa

nemmeno in termini di più efficace spendibilità del titolo nell’ambito dello

spazio comune europeo”.

Non ci sono ad oggi, aprile 2013, bilanci ottimistici, il numero degli studen-

ti universitari è crollato, accanto ad una pesante diminuzione del numero

dei docenti.

Purtroppo al grido “ l’Europa ce lo chiede”, tra l’altro anche poco rispon-

dente al vero, le Università sono state costrette a mettere in piedi questo

sistema baroccheggiante, il “ tre più due”.

La laurea triennale è stata spezzettata in tanti micro insegnamenti che

hanno comunque dalla loro parte una mole di libri e di informazioni da

studiare di non poco conto, e che non dà accesso a quasi nessuna pro-

fessione, occorre concludere il ciclo di studi con il più due. Sono a questo

punto essenziali altri due anni che bisogna impegnare nella facoltà scelta

per conseguire una specialistica che concluda il percorso di laurea e che

costringe ad ulteriori esami.

In conclusione possiamo affermare che la laurea triennale rimane il primo

traguardo cui i giovani devono approdare e con non poco impegno; ma

per entrare nel

mondo del lavoro

occorre la specia-

listica. Appare sin

troppo chiaro che

anziché accorciare

l’iter universitario,

come si pensava

inizialmente, questo

sia stato allungato,

creando maggiori

fuori corso rispetto

a quelli che c’erano in precedenza, tenendo in giacenza nelle università

ragazzi che approderanno nel mondo del lavoro più tardi del dovuto e con

minori possibilità di inserimento.

Purtroppo sostituire la vecchia università dei quattro, sei o cinque anni

di una volta, non è stato un eccellente passo in avanti. Ci siamo ritrovati

con tanti esami, svolti ad una velocità impressionante e con un carico di

materiale da studiare di non poca cosa. È importante sottolineare che

lo studio veloce e una mole rilevante di libri non sia certo cosa proficua

dal punto di vista dell’apprendimento. L’approccio metodico, organico, in

grado di far assimilare al discente un maggior numero di notizie, senza

correre il rischio di dimenticarle in breve tempo, resta sicuramente da

prediligere e da incoraggiare. n

Istruzione16n.87

Università

diMaria Gabriella Del Papa [email protected]

Regna ancora la riforma Berlinguer

Page 17: Teramani n. 87
Page 18: Teramani n. 87

La Mountainwilderness Abruzzo, in un amareggiato comunicato

stampa pasquale, esprime la propria solidarietà ai pastori abruz-

zesi indicati dalla Brambilla e Beppe Grillo come responsabili di

crimini contro gli ovini e di strage degli agnelli. L’associazione

ecologista impegnata nella tutela delle montagne e dei suoi abitanti,

si schiera dalla parte delle pastore e dei pastori, che per millenni

hanno consolidato la cultura dell’economia montana.

Dalla pastorizia stanziale e transumante fino alla seconda metà del

XX secolo, in cui hanno posto un argine alla politica della specula-

zione turistica e tracciato nel

tempo la linea della nostra

discendenza dalla cultura

neolitica. Con un pizzico di

patriottismo che non guasta

mai, nel comunicato si ricorda

la storia nobile sempre delle

pastore e dei pastori, che in

tempi antichi, hanno offerto

ospitalità a viandanti e pel-

legrini.

Sostenuto e protetto i

carbonari del Risorgimento, i

partigiani della Resistenza e

gli sfollati delle città durante

la Seconda Guerra mondiale.

Visti i puntuali rimandi storico

sociali, la dimenticanza della

Mountainwilderness Abruzzo

sullo stato di fatto dell’importazione della carne ovina induce a

legittime riflessioni. I fornitori abituali del mercato italiano giungono

principalmente dall’Ungheria, dalla Romania, Bulgaria e Polonia.

Di recente, si sono intensificate le importazioni dalla Francia e dal

Regno Unito.

L’Italia occupa un posto molto arretrato nella classifica della produ-

zione di carne ovina. Il prodotto nazionale copre appena il 50% della

disponibilità.

L’allevamento predominante è quello di razze da latte ed è con-

centrato in sole cinque regioni: Lazio, Sicilia, Toscana, Umbria e

Sardegna. Per la produzione di carne di origine merinos e Ile de

France, pari appena al 15 % del prodotto nazionale con tendenza

alla flessione, bisogna spostarsi in Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria

e Campania. Le carni sono di qualità, ma il grasso è in eccesso.

Satira18n.87

Oddiol’agnello di Dio

diMimmoAttanasii [email protected]

Qualche anno fa, la UE ha imposto il Traces, nato a Dublino nei primi

anni 90. Un sistema informatizzato che collega in tempo reale tutti i

servizi veterinari. Con l’aiuto delle tecnologie più avanzate messe a

disposizione dalla Asl è oggi possibile tracciare in tempo reale tutta

la filiera degli alimenti di origine animale. (http://www.primadanoi.it/

news/cronaca/514439/La-carne-irlandese-e-arrivata-anche-in-Abruz-

zo-ed-e-super-controllata.html)

La condizione italiana deriva dal sistema commerciale che privilegia

l’allevamento ovino rivolto verso la produzione del latte e induce

l’allevatore a disfarsi presto dell’agnello per ottenere la massima

produzione di latte vendibile. (http://www.scianet.it/avetrana/AGNEL-

LO/Agnello.html).

Nel comunicato della MW Abruzzo si esprime preoccupazione per

un settore delicato messo in crisi da una politica miope, che anziché

sostenerlo appieno lo ha abbandonato alla deriva, in balia di una

grande distribuzione raramente affascinata dalle derrate di nobili

origini. Potere delle tradizioni e dei pregiudizi. Il Signore disse a Mosè

e ad Aronne nel paese d’Egitto: “Il dieci di questo mese ciascuno si

procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Il vostro agnello

sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; allora tutta l’assemblea

della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Questo giorno lo

celebrerete come festa del Signore. Di generazione in generazione,

lo celebrerete come un rito

perenne”. (Esodo 12,1-14).

Il progresso toglie posti di

lavoro offrendone di nuovi.

Questa dovrebbe essere

percepita come una battaglia

di civiltà. Un servo costava

meno di una persona libera,

ma dopo l’abolizione della

schiavitù in pochi piansero

per chi rimase disoccupato. Il

professor Umberto Veronesi

ha esortato tutti a non man-

giare più carne. Una implora-

zione per fermare la strage

di agnelli e capretti. “Se non

è in alcun modo accettabile

la strage di creature viventi

che alimenta ogni giorno

l’industria della carne riesce a essere ancora più esecrabile quella di

agnelli e capretti, che trova il suo massimo orrore in occasione della

Pasqua. E tutto questo in nome di un consumismo che si alimenta

di una tradizione insensata. Un cocktail di crudeltà, business, e

ignoranza”.

Ogni anno finiscono sulle tavole degli italiani circa 7 milioni di agnelli

e capretti, con punte elevatissime di consumo durante le festività.

Convinto sostenitore della dieta vegetariana, il professor Veronesi

conclude: “Conosciamo la tragedia civile di questi poveri animali da

allevamento e sappiamo bene come queste creature vengano alleva-

te, come vengano sgozzate, maltrattate. E quindi dobbiamo uscirne,

dobbiamo diventare tutti vegetariani e lo diventeremo” (http://archi-

viostorico.corriere.it/2011/aprile/23/teologo_che_chiede_non_ucci-

dere_co_8_110423031.shtml). n

Mim

mo

Att

anas

ii

Page 19: Teramani n. 87

19La Città

Era un uomo sulla bici che sbuffava e schiumava perplessità.

“Non c’è più nulla da protestare” gli esce di bocca, tempestivo,

con le labbra serrate ed il volto affilato. “Potete andare via”

si rivolge ad un gruppo sparuto di commercianti teramani che

agghindati di striscioni e incatenati ad un brullo segnale di divieto di

sosta paiono tanti piccoli pedoni color seppia in attesa di una mossa

sullo scacchiere, che ne so, di un’apertura indiana che complica

sempre la vita. “Siamo esasperati” sbraitano i commercianti di Via

Carducci che temono la chiusura e la conseguente pedonalizzazione

di Piazza Dante con

il mancato apporto

di linfa vitale lungo

la via del commer-

cio che negli anni

’80 rifioriva come a

Carnaby Street dei

tempi d’oro. “Non

vi preoccupate –

tranquillizza l’uomo

in bici, il sindaco di

Teramo Maurizio

Brucchi – non vi

sto a spiegare tutte le cose, perché sono tecnicismi che certo non

capirete, ma qui non si chiude” promette. Ma sono proprio quei

tecnicismi che interessano il project manager Maurizio Piergallini

della Sopark. Certo li spiega a suo modo. Diciamo subito che la ditta

che gestisce l’opera, la Società Parcheggio Piazza Dante Srl, ha

presentato a Dicembre scorso il ricorso per ottenere un risarcimento

di 6,6 milioni di euro. In base all’articolo 158 del Codice degli Appalti

è previsto infatti che “qualora il rapporto di concessione sia risolto

per inadempimento del soggetto concedente, ovvero quest’ultimo

revochi la concessione per motivi di pubblico interesse”, siano

previsti i rimborsi: un diritto di recesso insomma. Maurizio Piergal-

lini della Sopark torna indietro nel tempo e fa capire “come l’opera

sia squilibrata dal punto di vista del piano economico-finanziario a

partire dalla procedura che è iniziata nel 1999 ma conclusasi solo

nel 2010, una spesa nel tempo eccessiva per tutti i tipi di attività

economiche”. Inoltre, la resa dei parcheggi, alla luce anche della cri-

si, “è ridotta notevolmente, i mancati introiti sono molto più elevati

di quanto si pensasse: il parcheggio rende mediamente 900 euro al

giorno, 1100 prima che si diffondessero le voci infondate che a Piaz-

za Dante non si pagasse lo stallo, e che ci ha fatto perdere ulteriori

somme; comunque un introito molto al di sotto delle prospettive”.

E se a ciò si aggiunge il flop delle vendite dei box auto, solo una

sessantina sui 151 realizzati, Piergallini rafforza la sua tesi chiedendo

a Brucchi un riequilibrio finanziario che assuma pure la forma di una

fonte di reddito che l’amministrazione comunale dovrà prevedere a

fornire, la cui forma è ancora da definire, fors’anche una piazza da

gestire. Altrimenti c’è il ricorso che pende su Piazza Orsini, fa capire.

Per il momento si è alla terza proroga di gestione dei parcheggi,

una procedura molto contestata in consiglio comunale soprattutto

da Giovanni Cavallari del Pd. La trattativa tra Piergallini e il sindaco

comunque è tutt’ora aperta.

In origine nelle pieghe della convenzione tra Piazza Orsini e la

società Piazza Dante era previsto che metà slargo fosse interessato

dall’abbellimento urbanistico (piantumazione, marmo, ecc.) mentre

il resto adibito a campi di basket e giochi ludici in genere. L’idea

che invece maturò fu quella, anche ai fini di un riassestamento del

piano economico, dal momento che gli stalli dovevano essere 156 e

non 106 come gli attuali (spazio ridotto a causa del posizionamento

delle grandi grate e degli orridi falansteri di cemento) a parcheggio

a pagamento. La somma di 175 mila euro rientrata nel budget per la

mancata realizzazione della rampa che doveva sorgere a ridosso del

Liceo Classico non era sufficiente a coprire i 4-500 mila euro di costi

per realizzare l’arredo urbano complessivo. Cosicché l’idea degli

stalli a pagamento allora salvò capra e cavoli.

Ora però Piergallini insiste con lo squilibrio finanziario e con la mi-

naccia del diritto di recesso.

Qualche anno fa, in piena realizzazione intervenne l’ingegnere

Francesco Benedettini dell’allora Comitato “Piazza Dante”: “L’opera

– precisò - si poteva realizzare solo a 50 metri più in là verso i tigli,

con 1000 posti auto in più e un costo dimezzato, senza far migrare

imprenditori e intralciare il traffico”. E, diciamo noi, senza che i com-

mercianti del posto s’incatenino per paura di perdere i clienti che già

hanno in caso di pedonalizzazione della piazza. n

La paura di un contenziosoimpensierisce Brucchi

n.86

diMaurizioDi Biagio

I misteri di Piazza Dante

www.mauriziodibiagio.blogspot.com

Page 20: Teramani n. 87

È Tommaso D’Aquino a definire teolo-

gicamente l’accidia: essa rientra tra

i sette peccati capitali e corrisponde

a una certa forma di tristezza che

attarda l’uomo negli esercizi spirituali (“qua-

edam tristitia, qua homo redditur tardus ad

spirituales actus” Sum. theol. I 63 2 ad 2).

Nella Divina Commedia gli accidiosi com-

paiono nel VII canto dell’Inferno, accostati

nella pena agli iracondi. Questi ultimi sono

immersi nello Stige fangoso, percuotendosi

e addentandosi ferocemente; anche gli

accidiosi si trovano lì e gorgogliano parole e

sospiri, ma restano tuttavia esclusi dalla vi-

sta del poeta, perché interamente ricoperti

dalle acque. Per questo Virgilio invita Dante

a credere comunque alla loro presenza. Il

poeta non dà qui identità alle anime, delle

quali tace persino il timbro vocale. A tal

proposito il Boccaccio: “L’accidia tiene gli

uomini così intenebrati e oscuri, come il

fummo tiene quelle parti alle quali egli si

avvolge”. Nelle Rime invece Dante identifica

l’accidia con la malinconia: “Un dì si venne

a me Malinconia”.

Nel Rinascimento viene recuperata la dottri-

na dei quattro umori, pertanto la tematica

religiosa dell’accidia passa in secondo

piano “a vantaggio di una meditazione

dialettica sulla malinconia come tempera-

mento intemperante”. Nell’ipocondriaco

o malinconico c’è il predominio della bile

nera. Fra Quattrocento e Cinquecento il

temperamento malinconico è esibito come

caratteristico dei grandi artisti. “La mia

allegrez’ è la malinconia e ‘l mio riposo son

questi disagi”, annota Michelangelo.

Il più noto personaggio malinconico di

Il libro del mese

Shakespeare è senza dubbio Amleto, di

cui l’autore evidenzia gli abiti neri, una

propensione altezzosa per la solitudine, la

preferenza per il buio, anziché la luce. In

questo modo Shakespeare non si ferma alla

mera descrizione di modelli precedenti, ma

introduce una novità: “descrive la sindrome

dell’essere paralizzati dai propri pensie-

ri, del non poter passare all’atto, come

dimensione essenziale della malinconia.

Con lui inizia la lunga tradizione che riflette

sull’abbandono riflessivo che tarpa l’azione,

sulla coscienza che ci fa tutti vili”.

Il Romanticismo, nel quale si assiste a un

evidente contrasto tra le grandi passioni

di massa (che si esprimono compiuta-

mente nei moti liberali del 1820-21 e del

1848) e l’esaltazione del singolo, riscopre

il concetto di sublime, distinto dal bello. “A

differenza del bello, il sublime implica una

piega d’angoscia”. L’eroe romantico è alla

continua ricerca del sublime attraverso

un’accidiosa commozione e “il malinconico

ha dominante il sentimento del Sublime”

(Kant). Diventa allora esperienza emblemati-

ca quella del suicidio.

Schopenhauer ha una visione pessimisti-

ca della vita, “una strada sbagliata da cui

dobbiamo tornare indietro”, al contrario per

Nietzsche essa è espansione di potenza

e occorre dirle sì, attraverso un approccio

vitalistico e dionisiaco.

Nel dandismo poi c’è una paradossale riva-

lutazione dell’acedia, infatti la malinconia

caratterizza l’opera di molti scrittori dell’e-

poca, come Nerval, Strindberg, Huysmans,

Baudelaire. “Come l’acedia medievale,

anche lo spleen porta al torpore, ma più

spesso ancora a un’agitazione febbrile,

sterile, vana”.

Con Freud la malinconia “diventa la chiave

per spiegare niente di meno che la nostra

coscienza morale, il fatto cioè che l’Altro in

noi ci giudichi e ci valuti”. Più tardi Sartre

scriverà che “l’inferno sono gli altri”: la mia

esistenza dipende dal riconoscimento e

dalla loro approvazione. E il suo romanzo

La Nausea in origine doveva chiamarsi

Melancholia.

Se Cechov ha ideato molti personaggi

accidiosi, con Samuel Beckett “è la scrittura

stessa a diventare accidiosa”.

A partire dagli anni ’80 del Novecento i

problemi dell’anima si identificano con

deficienze neurologiche, in particolare per

gli stati di malinconia acuta ci si riferisce

alla mancanza di due neurotrasmettitori,

noradrenalina e serotonina. “Lo sconfor-

to – per secoli tema squisito di riflessione

di malinconici umanisti – è sempre più

oggetto di ricerche svolte con metodologie

scientifiche”. La necessità di psicofarmaci,

così caratteristica dei nostri tempi, esprime

la perdita del senso della realtà e l’inca-

pacità di trascendere il proprio organismo

psicofisico.

Ma cosa lega tutti gli stati disforici descritti?

C’è un filo sottile tra le diverse declinazioni

dell’accidia nei secoli, ovvero la volontà di

realizzare un Progetto, davanti al quale ci si

ribella. Proprio il superamento di tale ribel-

lione diventa la condizione per l’affermazio-

ne del Progetto. “Irrequietezza e dolore non

vengono assunti cioè come rivendicazione

di una insradicabile frivolezza, come ottuso

perdurare della vita biologica, ma come il

Male che occorre assorbire e superare per-

ché il Disegno prosegua e trionfi”. Questo

spiega come mai tanto spesso nella cultura

occidentale sia stata elogiata la malinconia,

come terreno fertile verso la più autentica

realizzazione di sé. n

20 [email protected]

L’accidiaACCIDIA.La passione dell’indifferenza. Sergio Benvenuto,Il Mulino, 2008

n.87

diMaria Cristina Marroni

Page 21: Teramani n. 87

Teramo – Corso Porta Romana n. 115 Info line: 800.134.918 - [email protected] – www.geco.abruzzo.it

Inviateci le vostre domande su problematiche condominiali, le vostre perplessità sul bilancio e dal prossimo numero del giornale, i nostri esperti pubblicheranno le risposte. Potete inviare le domande agli indirizzi di seguito riportati o presso la redazione del giornale

Page 22: Teramani n. 87

Con grande piacere raccolgo l’invito

dell’editore ad occuparmi di musica

su questa amatissima rivista, e mi

presento con un breve sguardo alla

musica (rock) prodotta nei passati decenni

a Teramo. Negli ultimi anni, come succede

un po’ dappertutto, almeno in Italia, sono

finiti tutti gli aiuti pubblici alla cultura, ed è

normale (per tutti, tranne che per chi lavo-

ra in questo settore), che i primi a

risentire della crisi siano i

settori legati a

bi-

sogni

“non

essenziali”.

Parallelamente,

però, in città ed in

tutta la provincia, c’è un

fiorire di iniziative, spesso

promosse dai coraggiosi gestori di

alcuni locali, che permettono ai musicisti

locali di suonare in situazioni dignitose, e al

pubblico teramano - sempre più numeroso

e curioso - di ascoltare progetti musicali

interessanti e coinvolgenti.

Questo anomalo movimento musicale fa-

vorisce in me una riflessione: ma a Teramo,

il modo di fruire la musica dal vivo, è sem-

pre stato così? Le esperienze dirette ed i

racconti di musicisti di varie generazioni

mi fanno pensare che, a partire dall’epoca

dei garage e delle cantine, i gloriosi anni

60, e lentamente fino ad oggi, alcune cose

sono rimaste identiche, altre invece sono

cambiate radicalmente. Qualche anno fa

ho avuto la fortunata opportunità di colla-

borare alla creazione e alla realizzazione

di due manifestazioni (simili nei contenuti

ma molto differenti nella forma), le quali

riproponevano, dal vivo, i gruppi che negli

anni 60 e 70, hanno imperversato dalle

nostre parti.

L’entusiasmo che ha caratterizzato

entrambe le esperienze mi ha dato la

possibilità di ascoltare moltissimi aneddoti

su come si suonava in un periodo che,

per ragioni anagrafiche, non ho potuto

conoscere.

I racconti dei moltissimi partecipanti alle

serate mi hanno fatto conoscere una realtà

creata intorno alla passione per la musica,

che col tempo si è arricchita di esperienze

artistiche ed umane, e che ha

spesso cre-

ato legami

personali,

oltre che ar-

tistici, che durano

da decenni.

Ho sentito di gruppi che

andavano a suonare a dorso di

mulo, di Maestri di musica costretti

ad armonizzare canzoncine per gruppi

beat, di pomeriggi passati nei garage alla

ricerca degli accordi di una canzone, fino

all’arrivo di un “collega” più esperto che,

attirato dal suono, interveniva per insegna-

re un complicato passaggio al complesso

in difficoltà. Ma ci sono anche quelli che

da allora non si parlano più, quelli che ac-

cusano i vincitori di un concorso di avere

in qualche modo corrotto le giurie, quelli

che non hanno mai perdonato ad un amico

dell’epoca lo “scippo” di una fidanzatina o

di un’idea musicale.

Queste esperienze mi hanno fatto riflettere

su cosa è cambiato negli anni seguenti e in

quale misura, sulle collaborazioni e sui “di-

spetti” che ho vissuto in prima persona a

partire dagli anni 80, sul nascere e morire

di locali dove era (e qualche volta è anco-

ra) possibile suonare, sulla cronica carenza

di locali da adibire a sala-prove, sull’evo-

luzione tecnologica che ci ha permesso di

disporre di strumenti sempre più sofisticati

a prezzi sempre più abbordabili, ed infine

sulla costante crescita delle capacità tecni-

che dei musicisti teramani.

Non altrettanto entusiasmante è stata

la rapida decrescita dell’originalità delle

proposte che, come succedeva negli anni

60 ha portato alla diffusione di molte realtà

musicali incentrate sulla riproposizione

– più o meno fedele – di repertori scritti

interamente da altri, se non addirittura di

gruppi-tributo, cioè legati ad un solo artista

o gruppo.

Questa tendenza (che comunque mi

coinvolge personalmente da parecchi anni

e che si esprime quasi sempre a livelli

interpretativi ed esecutivi eccellenti) sta,

ultimamente, penalizzando un po’ la crea-

tività, e spero che funzioni presto da molla

per far scattare nuove schiere di composi-

tori teramani.

Concludo, infatti con il pensiero rivolto al

futuro: la provincia di Teramo ha, a mio

modesto parere, una bella storia musicale

ed i musicisti teramani hanno sicuramen-

te le carte in regola per poter creare un

nuovo “movimento” creativo, attendiamo

segnali significativi. n

Parliamo di Musica22 [email protected]

n.87

diFabrizio Medori

Teramo e lamusica

Page 23: Teramani n. 87

23

Nell’esordire con questa rubrica, la doverosa citazione riferita

al titolo, parafrasandolo, di una nota song dei R.E.M. di

Michael Stipe contenuta su Murmur (IRS-1986). Il brano si

chiama Talk About The Passion, ed è emblematico con gli

intenti di questi scritti. E di dischi (records, appunto) si parla, o

meglio si disquisisce, senza distinzione di formato (LP-vinile, CD,

K7...) recensioni discografiche riferite a novità, album classici-cult,

rarità, collectors item, ristampe-re.issues, remastered & expanded

editions, deLuxe & legacy version and others.

ROCK quindi, prevalentemente, e non solo, viste le tante sfaccetta-

ture di cui si compone la materia o meglio, il genere: Blues, R’& B’,

Soul, Country, Beat, Psychedelia, Garage, Progressive, New Wave,

Punk, Hard, Alternative, Avantgarde, Indie, Etno, Ambient, Folk, Jazz,

ecc. Potremmo continuare all’infinito, alla luce delle innumerevoli

contaminazioni ed espressioni. Ovviamente non “l’usa e getta” ma,

un qualcosa che vada oltre le riproduzioni con gli ultimi apparati

tecnologici: ipod, iphone, ipad, mp3, downloads, files...

Un ascolto quindi, meno superficiale, più ponderato, realizzato con

lo spirito giusto e la necessaria concentrazione, come davanti ad

un buon libro, la visione di un bel film, una Mostra d’Arte interes-

sante. Tutto questo necessita naturalmente di un impianto HiFi,

seppur minimo, una seduta d’ascolto, magari in comoda poltrona,

sfogliando il packaging del long plaiyng (meglio) o del case- CD,

leggere i testi, guardare le foto, seguire tutte le indicazioni come i

processi di registrazione, i nomi dei musicisti e quant’altro. L’ogget-

to di questo 1° desiderio è il terzo episodio discografico di Alela

(pron.Aleia) Diane Menig, conosciuta come Alela Diane, Artista

americana con chiare ascendenze pellerossa (Sioux). Questo CD

arriva dopo due precedenti episodi, The Pirate’s Gospel - 2006, To

Be Stiil - 2009, editi dalla label inglese Fargo, per la più nota Rough

Trade (sempre Indie, comunque), è stato inciso negli studi di Venice

e Grass Valley, in California, con un Producer di vaglia come Scott

Litt (ancora R.E.M.!) e, si sente.

Il titolo omonino è dovuto alla band che l’accompagna dall’esordio:

Tom Bevitori, basso e chitarra (nel frattempo diventato suo marito),

Tom Menig (papà) eccellente musicista, banjo-chitarra ac.+ el.

Jonas Haskins, basso - Jason Merculief, batteria - Larry Goldings,

Hammond org. accordion e wurlitzer - Larry Tracey, pedal steel,

Alina Hardin e Lorraine Gervais, backing vocals, per finire con lo

stesso Scott Litt a dare una mano qui e là, soprattutto al banco di

regia e mixer. Alela Diane possiede una voce stupenda, modulata,

melodiosa, un timbro vocale affascinante che suggestiona l’ascol-

tatore nelle 10 songs del compact disc corredato da un ottimo

libretto con foto, testi e, non lasciatevi ingannare dalla copertina

dove esibisce un look da top model.

La ricordavo con... le trecce! Ma va bene così, possiede inoltre una

tecnica chitarristica notevole, un picking originale che risulta ideale

per la voce, (che voce!). Si parte con Begin (appunto, buon inizio), si

prosegue con Elijah, Long Way Down, con la traccia n° 4 - Suzanne

(dedicata alla madre), l’album “decolla” vertiginosamente, un cre-

scendo naturale, spontaneo, ritmo, melodie, arie folksy indiane, altre

più vivaci che rapiscono e...conquistano! Of Many Colors (che segue

The Wind), rappresenta l’apice del disco con il suo andamento sinco-

pato, gli strumenti che “accarezzano” il canto di grande intensità.

Desire (n° 7) mantiene alto il livello delle composizioni con il sim-

patico “spelling”, ancora, Autostrade senza Cuore, Cavallo Bianco

e Grandi Ascese, dopo 38 minuti, l’incantesimo finisce, possiamo

ricominciare da capo, volete trascorrere una mezz’ora e riconciliarvi

con la buona musica?: Mrs. Alela Diane & Wild Devine! n

n.87

Write About The…Records!

diMaurizio Carbone [email protected]

Alela Diane& Wild Divine 2011 - Rough Trade/Self distribuzione

Page 24: Teramani n. 87

In giro24diSergioScacchia [email protected]

n.87

La Porta Santa degli enigmi

Santa Maria di Propezzano

C’è un luogo che permette un viaggio nel bello, per incon-

trare il passato e il presente. È un lembo di territorio, tra

Morrodoro e Notaresco, che racconta mirabili storie di

devozione anche a dei turisti frettolosi, quelli classici del

“mordi e fuggi” fatto di nuove esperienze e forti emozioni.

Una stradina isolata tra campi ubertosi ricchi di vigneti porta all’au-

stera costruzione dell’abbazia di Santa Maria di Propezzano.

Il complesso religioso è dominato da una torre campanaria qua-

drangolare non incorporata alla facciata, ma distante circa due

metri.

Lo studioso Giuseppe Ceci, in un vecchio libercolo degli anni ‘60,

ipotizzava che un tempo, questo manufatto fosse “merlato a guisa

di castello”.

A fianco si trova l’antico convento benedettino, dalla mole così

imponente da far intuire l’importanza che ebbe nel periodo medio-

evale sia a livello religioso che civile.

Esisterebbe, secondo una tradizione diffusa, una pergamena oggi

non più leggibile, logorata dal tempo, che lo storico Nicola Palma

dovette tradurre quando era ancora comprensibile.

Questa specie di bolla, attribuita a Bonifacio IX, scritta in latino,

fissava l’edificazione della chiesa nell’anno 715.

Una storia intrigante racconta dell’ennesima apparizione della

Madonna nel teramano.

Tre pellegrini reduci dalla Terra Santa, dopo un viaggio faticoso,

vollero fermarsi per il giusto riposo.

Appesero le povere bisacce, contenenti sante reliquie, su di un

corniolo e si addormentarono.

Al risveglio, con sommo stupore, i pellegrini si accorsero che

l’albero era cresciuto a dismisura e che era impossibile prendere

le borse.

Mentre, attoniti, guardavano il corniolo ingigantito, una visione

celeste ordinò loro di edificare una chiesa.

Il 10 maggio, data in cui tuttora si festeggia la Madonna di Propez-

zano, il Papa Gregorio II consacrò, in modo solenne, il tempio a San-

ta Maria Propizia Pauperis con l’annesso monastero, che divenne

subito punto di riferimento lungo il percorso adriatico verso la Terra

Santa.

Questa storia è raccontata nella pergamena.

A nulla vale la precisazione storica che Gregorio, in realtà, divenne

papa dopo la data della consacrazione della chiesa e non prima.

Un altro enigma avvolge la costruzione della chiesa che, contraria-

mente alla successione degli stili, inspiegabilmente è stata iniziata

in stile gotico e poi terminata in forme romaniche.

La facciata è costituita da tre parti di diversa altezza; la destra è

accorpata nel convento; all’interno di questo c’è uno splendido

chiostro con dipinti del seicento e al centro un pozzo artistico.

Sotto gli archetti si trovano delle lunette, con affreschi del pittore

polacco Sebastiano Majewsky, sulla vita di Gesù.

Il corpo centrale del complesso ha un portico a tre archi sotto il

quale si trova il portale e resti di affreschi del ‘400, di sopra una

grande finestra tonda e, più in alto, un sobrio rosone.

La parte di destra presenta la famosa Porta Santa che viene aperta

solo in maggio a ricordo dell’apparizione e nel giorno dell’Ascen-

sione.

Tutto per tenere fede alla “Bolla Indulgentiarum”, emessa dal

Papa Martino V che concesse il perdono dei peccati in queste due

Page 25: Teramani n. 87

25n.87

solennità.

A proposito della grandiosa Porta Santa,

sembra provenga dalla scuola atriana del

1300.

Si attribuisce l’opera a Raimondo Del

Poggio, superbo autore del meraviglioso

portale del Duomo di Atri, vissuto alla

corte degli Acquaviva, signori della città

ducale.

Ne parla diffusamente il Palma nel suo

libro: “Storie delle terre più a nord del

Regno di Napoli”.

Le colonnine sono in stile cosmatesco, in-

teressante fioritura artistica del XIII secolo,

simili a quelle di San Giovanni in Laterano

a Roma.

L’interno è sobrio ed elegante e le tre

navate incutono rispetto.

Si resta sicuramente ammirati da una

pittura raffigurante l’Annunciazione

dell’Angelo alla Vergine.

Assolutamente da non perdere, l’antico

refettorio dei frati con i suoi pregevoli

affreschi, mutilati dal tempo.

Il viaggiatore abituato a grandi spazi non

potrà ignorare la comoda lentezza di un

piccolo luogo dalla grande storia e dalle

leggende intriganti.

Potrà guardarsi intorno indisturbato, senza

urgenze, cliccare foto, scambiare due

parole con i pochi abitanti delle cascine

vicine, tutti radunati al tavolo del piccolo

bar adiacente, per poi tornare a casa con

la gratificante sensazione di aver fatto un

rapido viaggio nel tempo. n

Page 26: Teramani n. 87

Generalmente si dice sceneggiatore lo scrittore al servizio di chi

sarà poi considerato da tutti, pubblico e critici, il vero autore: il

regista. Uno sceneggiatore, geniale oppure no, deve avere l’umil-

tà di annullarsi nella scrittura registica e nella Weltanschauung

del committente,

rinunciando così

a ogni propria

personale idea

del e sul mondo.

A meno che

essa davvero

non coincida con

quella del diret-

tore d’orchestra,

l’Autore unico e

divo. Scrivere per

Fellini, Antonioni,

Rossellini, Emmer, Monicelli, Blasetti, Risi, Lattuada, Zampa, Petri, Ferreri

e restare se stesso: Ennio Flaiano. Anche a dispetto del lavoro d’équipe,

imprescindibile nel cinema italiano classico. Sceneggiature scritta a

quattro, sei, otto, dodici mani, dividendo il lavoro di scrittura con colleghi

niente male in quanto a ego e personalità. Per esempio, Francesco Pa-

sinetti, Filippo Sacchi, Alberto Moravia, Mario Soldati, Cesare Zavattini,

Suso Cecchi D’Amico, Sergio Amidei, Vitaliano Brancati, Diego Fabbri,

Turi Vasile, Ugo Pirro, Steno, Ivo Perilli, Giuseppe Patroni Griffi, Rodol-

fo Sonego, Age e Scarpelli, Giorgio Bassani, Leo Benvenuti, Piero De

Bernardi, Pier Paolo Pasolini, Franca Valeri, Pasquale Festa Campanile,

Tonino Guerra, Ercole Patti, Ruggero Maccari, Goffredo Parise, Rafael

Azcona, Erika Mann…

Come riconoscere in un tale marasma di talenti il segno distintivo di un

solo autore, oltretutto non regista? Eppure Tullio Pinelli, collega storico

del Flaiano felliniano (da Luci del varietà, 1950, a Giulietta degli spiriti,

1965) dirà, a ragione, che lo scrittore pescarese «ha sempre cercato,

e credo riuscendovi bene, di salvare, di preservare la sua qualità di

autore autonomo e questo l’ha poi portato ad accettare sempre meno

Cinema

la subordinazione al regista cinematografico (cosa che invece in Italia

avviene quasi sempre)». Come spiegare altrimenti le affinità eviden-

tissime tra i singoli frammenti del corpus flaianeo di sceneggiature,

dei personaggi che sembrano trans-migrare da un film all’altro, pur

nell’abissale diversità di epoche, stili di scrittura, regie, generi cinemato-

grafici che contraddistinguono l’opera nel suo complesso? E’ naturale,

e forse scontato, dire che dietro l’intellettuale medio in crisi de La

dolce vita (1960) di Fellini ci siano I vitelloni (1953) dello stesso regista

riminese, ma meno ovvio rilevare che tali caratteri, comunque tipici del

mondo letterario tout-court di Flaiano, siano presenti non solo in film

d’autore quali La notte (1961) di Antonioni o Tonio Kroger (1964) di

Rolf Thiele (da Thomas Mann, sceneggiato in tandem con la controversa

e ribelle figlia Erika), ma anche in pellicole minori o dimenticate come

Inviati speciali (1943) di Romolo Marcellini o Roma città libera (1948)

di Marcello Pagliero, dove Flaiano recita quasi as himself il ruolo di un

questurino già «dolcevitesco».

Di sicuro, La cagna (1972), il suo ultimo film, da un suo soggetto

originale, che Flaiano cercò invano di mettere in scena come regista

(scontri con il producer Carlo Ponti, che voleva farne un nuovo Vacanze

romane, 1953, sempre co-sceneggiato dal nostro) fu un’esperienza

terribilmente frustrante, perché il regista Marco Ferreri se ne appropriò

totalmente (e lecitamente). Ma altrove, anche e soprattutto in Fellini,

sicuramente il regista italiano dal fraseggio meglio riconoscibile e più

egotico, il Flaiano touch non venne mai amalgamato dall’altrui disegno

poetico. Si pensi alla scena clou de La dolce vita, il bagno nella Fontana

di Trevi, con Anitona/Sylvia che invita Marcello Rubini/Mastroianni a

seguirla: si trova pari pari già in Tempo di uccidere (1947), primo e uni-

co romanzo di Flaiano, dove un’acquatica e ultra-sexy creatura etiope

da una pozza d’acqua invita alla salvezza un ufficiale italiano fascista

con le stesse

oscillazioni esi-

stenziali non solo

del giornalista

vitellone fellinia-

no, ma pure di

alcuni personag-

gi emmeriani:

per esempio, i

tifosi pre-ultrà di

Parigi è sempre

Parigi (1951)

o il medico

specializzando

(Gabriele Fer-

zetti) del bellissimo Camilla (1954). Pure il Totò esistenzialista di Dov’è

la libertà? (1953), conte philosophique rosselliniano, e l’altro Marcello

(Peter Baldwin) del pattiano Un amore a Roma (1960) di Dino Risi,

sembrano consistere in variazioni sul tema flaianeo del decentramento

comunicativo.

Il fatto è che Flaiano seppe comprendere benissimo il senso mo-

dernissimo del suo lavoro di sceneggiatore, anticipando la casuale

progettualità del post-moderno. Decreazione e decostruzione della

propria identità, nella concentrazione di una dispersione totale che lo

portava a ritrovarsi nel perdersi, tipo jazz o come nel prezioso «taccuino

di viaggio» televisivo di Oceano Canada (1972). E’ come se, mentre

26

Ennio Flaiano Sceneggiatore

diLeonardoPersia [email protected]

n.87

io, io, io... e gli altri“Se il film dovesse risultare come la sceneggiatura meglio non farlo. Il film deve tirar fuori tutto quelloche qui è sottinteso.” Ennio Flaiano (Melampo)

Page 27: Teramani n. 87

27scrivesse, analizzasse da critico e saggista,

l’enunciato narrativo altrui (e poi proprio).

Ogni suo testo diventa perciò un meta-testo

di tale determinata indeterminatezza che, alla

Greimas, ogni débrayage (uscita dal sé), anche

il più radicale, finisce per coincidere con un

risoluto embrayage (ritorno all’io). Il (non) tem-

po della crisi, espresso attraverso la massima

discontinua apertura del significante/signifi-

cato, farà scintille ne La dolce vita, in Otto

e mezzo (1963), in parte anche ne La notte,

perché Fellini e Antonioni hanno la grandezza

di uno stile universale (benché, curiosamente,

intimista e autobiografico), ma è ugualmente

portato a compimento, sotto altre forme,

meno avant-garde, più pop, certo in sintonia

con i registi rispettivi, ne La vergine moder-

na (1954) di Marcello Pagliero o ne L’arte di

arrangiarsi (1955) di Luigi Zampa (entrambi

su arrivismo e carrierismo a-temporale della

gioventù pre-boom che preparano, come nel

non-finale de La dolce vita, l’approdo del

mostro Berlusconi sulla spiaggia d’Italia).

L’identità forte si disfa in un gioco di ruoli ma-

gnificamente democratico, riflesso dello sce-

neggiatore disciolto nel regista o viceversa, ed

ecco i personaggi di Guardie e ladri (1951) e

di Totò e Carolina (1953-55), con le rispettive

storie di dissoluzione (e dissolvenza) di una

guardia in un ladro e di un celerino in una

ragazza madre. Due dei migliori film di Totò,

ovviamente discussi, disprezzati, censurati

dall’Italia (non) democratica e (non) cristiana

che disprezzava ieri, come oggi, trans-cultura

e trans-sessualità, quel meraviglioso senso

di fair play mutante, certo non omologante,

changing same (cfr. Amiri Baraka e Paul

Gilroy), essenziale per vivere, scrivere (e ribel-

larsi) bene. «Quello dello sceneggiatore non è

una professione ma uno stato transitorio».

n.87

E di questa moderna transitorietà, di cui,

come sempre, il Potere saprà assorbirne

l’eversività per restituirne al demos il suo

seducente lato dark e repressivo, il profeta

Flaiano saprà cogliere, come in una neo-

dialettica dell’illuminismo, gli atroci (s)viluppi a

venire. Sotto la sua penna, con largo anticipo,

le prigioni senza sbarre (Dov’è la libertà?), la

tirannia tecnologica (Calabuig, 1955), i nuovi

untori (Terrore sulla città, 1956), il crimine

istituzionalizzato (La ballata del boia, 1964;

La decima vittima, 1965; I protagonisti,

1968), l’egoismo trionfante (Io, io, io… e

gli altri, 1966), il razzismo post-moderno

(Red, 1970), il sesso castrante piuttosto che

liberatorio (La cagna), i consumi surreali

(Un ettaro di cielo, 1958) e la società dello

spettacolo (La primadonna, 1943; Lo sceicco

bianco, 1952) hanno già un pungente quanto

ahimè inutile analogon sullo schermo. n

L a dimensionalità è un problema che insorge in ogni campo

scientifico. Più in generale, la difficoltà sta su come visualizzare un

set di dati in una funzione dimensionale. Un’area questa divenuta

importante con l’avvento della grafica tecnologica. Spesso ci si chiede:

“Come fa un computer a fare tutti quei calcoli in così

poco tempo?”. Questo genere di interrogativi hanno

una radice comune nella scienza della statistica. Un

problema insorto con il rapido aumento del volume

associato per l’aggiunta di dimensioni in uno spazio

magnetico. Diverse tecniche sul trattamento dei

dati sono state proposte con approssimazione delle

funzioni e la riduzione delle dimensioni.

Quando la dimensionalità aumenta, i dati divengo-

no sparsi nello spazio occupato. Ridurre tempo e

memoria richiesti dagli algoritmi, permettere una più

facile visualizzazione e tentare l’eliminazione degli aspetti irrilevanti. In

questo campo complesso, non sarebbe saggio anticipare l’esistenza di

un unico strumento che può superare tutti gli altri in ogni circostanza

concreta. I problemi del mondo reale in genere richiedono un numero

infinito di passaggi e sempre la manipolazione degli stessi dati. Nell’epo-

ca del sovraccarico di informazioni, il costo del calcolo per grandi volumi

è insostenibile, quindi la velocità di elaborazione è molto importante.

Il metodo proposto deve essere intuitivamente interpretabile per

essere facilmente accettabile e teoricamente affidabile nel descrivere

il processo di soluzione dei problemi. Daniel Kahneman (Premio Nobel

2002, per l’economia) ci sottolinea l’errore che anche le persone più

brillanti commettono: “Confondere la probabilità di qualcosa con la sua

rappresentatività”. Ed è anche la più alta carica politica abruzzese a tira-

re per la giacchetta Kahneman, postando pensieri sulla propria bacheca

virtuale aperta a tutti, su Facebook.

Lo stesso presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi, ammonisce

i detrattori dei suoi sforzi per il riassetto dei conti della sanità pubblica

e sulla presunta corruzione dei politici. Chiodi ci racconta appunto di

Kahneman, il quale (…) ha dimostrato che le stime (errate) che ci faccia-

mo sulle cause di morte sono viziate dal modo in cui i media trattano le

notizie, e questo modo è intrinsecamente viziato dalla ricerca di novità

e sensazionalismo.

Lo stesso può dirsi per la stima che ci facciamo della malasanità oppure

della corruzione dei politici e di tante altre cose ancora (...). Insomma, la

colpa è della stampa. Intanto, la rete dei free lance e precari dell’infor-

mazione abruzzese esprime “sconcerto e indignazione” per la nomina,

in virtù di un “prestigioso” curriculum e di trascorsi

“cristallini”, di Vanna Andreola a capo dell’ufficio

stampa della Regione Abruzzo. Una dirigente

regionale che finora si era occupata di politiche

internazionali, mai iscritta all’albo dei giornalisti e

che lo scorso anno è stata arrestata con l’accusa

di aver distratto fondi dal progetto di affidamen-

to di un appalto. (http://www.abruzzo24ore.tv/

news/Nomina-Andreola-5euronetti-Sconcerto-e-

indignazione-per-nomina-Andreola/115967.htm)

Nominata dalla Giunta regionale, il vice presidente

Alfredo Castiglione, dopo le polemiche ha pensato subito di inserire la

marcia indietro: “Proporrò, nella prima seduta utile, il ritiro della delibera

di nomina”. (http://www.primadanoi.it/news/cronaca/538830/Giunta-

Regione-Abruzzo--la-dirigente.html).

Di servilismo e clientelismo si sopravvive fregandosene dei principi di

trasparenza a vantaggio di una ridicola e impropria meritocrazia. C’è

bisogno d’equilibrio fra libertà di pensiero e paura di parlare. Rimettere

le cose al loro posto e dare loro un ordine preciso attraverso un’alta

analisi del dato oggettivo: “Tira oggi, ché arriva domani!”. n

Alta analisi del dato oggettivo

Satiradi Mimmo Attanasii

Page 28: Teramani n. 87

Salute28n.87

La vescica iperattiva

diCarlo Manieri

[email protected]

Per sindrome della vescica iperattiva (o sindrome urgenza-

frequenza o sindrome da urgenza) si intende una entità

clinica caratterizzata da urgenza minzionale (insorgenza

di stimolo minzionale improvviso), a volte irrefrenabile e

seguita da fughe di urina, spesso associata a pollachiuria diurna e

nicturia, ovvero minzioni frequenti sia durante il giorno che durante

la notte. In condizioni normali,

quando un soggetto decide di

urinare, si attiva il comando dai

centri nervosi specifici cerebrali,

raggiunge quindi le vie nervose

periferiche vescicali, che provo-

cano la contrazione della vescica,

il rilasciamento dello sfintere e la

minzione volontaria. La vescica

è definita iperattiva quando pre-

senta contrazioni involontarie

anche ai minimi riempimenti.

E’ una condizione a volte decisa-

mente invalidante, con un note-

vole impatto negativo sulla vita

sociale e quindi sulla qualità di

vita per diversi motivi, fra i quali

in primis la necessità di avere sempre un bagno a disposizione

quando si esce da casa e la difficoltà a mascherare il cattivo odore

di eventuali fughe di urina.

Le cause sono per lo più sconosciute (in questi casi prende il nome

di vescica iperattiva idiopatica), a volte sono dovute a danni neuro-

logici. Fattori di rischio sono l’età, la menopausa, l’obesità, il fumo,

particolari stati psicologici ed ansioso-depressivi, deficit cognitivi,

pregressa chirurgia pelvica uro-ginecologica o del retto, malattie

neurologiche, assunzione di alcuni tipi di farmaci con azione sul

sistema nervoso, l’infezione delle basse vie urinarie, presenza di

spine irritative vescicali (es. la calcolosi o il tumore della vescica, la

patologia prostatica). I sintomi, come già detto, sono l’aumentata

frequenza minzionale e lo stimolo imperioso, a volte seguito da fu-

ghe di urina; abbastanza caratteristica è l’insorgenza dello stimolo

minzionale durante il sonno, che provoca il risveglio improvviso e la

necessità di andare urgentemente in bagno.

Prima di intraprendere una terapia è necessaria un’attenta valuta-

zione clinica, la compilazione per alcuni giorni del diario minzionale,

in cui viene riportato il numero di minzioni quotidiane, il volume

urine di ciascuna di esse e le fughe di urina; è utile quantificare

anche l’eventuale numero di pannolini utilizzati nelle 24 ore. Un

esame urine consente di escludere un’infezione urinaria; una eco-

grafia dell’apparato urinario valuta la morfologia di reni e vescica

ed il completo vuotamento vescicale dopo minzione spontanea;

una citologia urinaria è consigliabile in pazienti selezionati per

escludere un carcinoma “in situ” (è una forma particolare di tumore

non evidenziabile con l’ecografia). Altre indagini potranno essere

eseguite in casi particolari.

Nel sospetto di una diagnosi di vescica iperattiva il primo approccio

terapeutico è di tipo comportamentale; prevede un cambiamento

delle abitudini minzionali, ad esempio cercare di trattenere le urine

quando si presenta un minimo stimolo minzionale, e alimentari, ad

esempio centellinare l’assunzione di liquidi nelle 24 ore e perdere il

peso in eccesso.

Allo stesso tempo può essere iniziata una terapia con farmaci

antimuscarinici; trattasi di farmaci che agiscono sulla muscolatura

vescicale riducendone la capacità contrattile, quindi rallentando

la fuoriuscita di urine durante la normale minzione; devono quindi

essere prescritti con cautela nei

pazienti con ristagno di urine in

vescica o che già riferiscono un

getto urinario deficitario, come

accade nel paziente prostatico. I

farmaci anticolinergici più utiliz-

zati sono l’ossibutinina, il trospio,

la tolterodina e la solifenacina.

L’ossibutinina ha degli effetti

collaterali, fra i quali la secchez-

za delle mucose, in particolare

della bocca, e la stipsi, che sono

spesso il motivo di una precoce

sospensione del trattamento. La

tolterodina e la solifenacina sono

meglio tollerati.

Una nuova classe di farmaci per

il trattamento della sindrome della vescica iperattiva, con un profilo

di efficacia e sicurezza più favorevole rispetto agli antimuscarinici

sono i beta-3-agonisti. Sono farmaci che favoriscono un migliore

rilasciamento della parete vescicale durante la fase di riempimen-

to, senza però influenzare la contrazione della vescica durante la

minzione volontaria; riducono quindi l’insorgenza delle contrazioni

involontarie, l’urgenza minzionale e gli episodi minzionali. Il capo-

stipite di questi farmaci, il Mirabegron, verosimilmente efficace nei

pazienti non responsivi agli anticolinergici, non è ancora disponibile

in commercio in Italia.

Negli insuccessi altri tentativi terapeutici miniinvasivi sono la

riabilitazione del piano perineale, con biofeed-back ed elettrosti-

molazione, l’iniezione di tossina botulinica nella parete vescicale,

la stimolazione del nervo tibiale posteriore, la neuromodulazione

sacrale, tecniche di cui si potrà parlare più approfonditamente in

altra occasione. n

Una sindrome a volte invalidante

Page 29: Teramani n. 87

Stagioni in chiaroscuro per le compagini

teramane di serie A1 di pallamano. In

campo maschile, la TeKnoelettronica

Teramo è stata estromessa dalla fase

finale per l’assegnazione dello scudetto

2012/2013 dopo l’inopinata sconfitta casalinga

nell’ultima gara della regular season. Una gara

da ultima spiaggia con la compagine laziale del

Fondi (le due compagini erano appaiate al terzo

posto utile per l’accesso ai play off). La squadra

teramana non è stata capace di sfruttare il

fattore campo di un Palacquaviva gremito da

un pubblico delle grandi occasione che non

ha fatto mancare il proprio caloroso sostegno

ai colori biancorossi. Nella gara che doveva

sentenziare il salto di qualità della Teknoelettro-

nica, la squadra teramana, disputando una gara

incolore, usciva fortemente ridimensionata mo-

strando grossi limiti caratteriali e tecno tattici. A parziale scusante va

comunque sottolineato lo stress mentale causato dallo stravolgimen-

29Sport

diEgidio Romano [email protected]

n.87

Pallamanoto della classifica generale per le decisioni del giudice sportivo della

Figh che particolarmente vanificava le vittorie ottenute contro Noci

per aver retrocesso la squadra pugliese del Noci all’ultimo posto

della classifica generale per inadempienze economiche (così come

era avvento per l’H.C. Teramo in campo femminile). Ora le forze della

Teknoelettronica sono tutte concentrate sul settore giovanile dove

all’orizzonte ci saranno la disputa delle fasi fina-

li nazionali nelle categorie under 16 e under 18,

una delle quali potrebbe disputarsi a Teramo.

In attesa poi di riprogrammare la prossima

stagione che vedrà la squadra teramana ancora

una volta ai nastri di partenza.

In campo femminile, dopo le ormai note vicen-

de che hanno portato all’esclusione dal pano-

rama nazionale dell’H.C. Teramo si attende di

conoscere quale sarà il futuro della pallamano

femminile teramana. Numerose le voci che cir-

colano (forse anche troppe) e a tutt’oggi nulla

è dato sapere su quali basi ripartire. Non resta

che attendere gli eventi e sperare che dopo lo

scudetto della stagione 2011/2012 questa real-

tà non scompaia. sugli orizzonti rosa che si era-

no aperti è sceso il sipario, oscurando quanto di

negativo è accaduto in questa stagione. Sembra

che all’orizzonte si affacci una nuova società

che si spera abbia il giusto impulso per ripartire con un programma

serio che ridia lustro alla pallamano teramana. n

Il mais gravemente danneggiato dalle aflatossine sarà utilizzato

esclusivamente per produrre energia rinnovabile negli oltre 500

impianti a biogas della pianura padana. E’ quanto prevede l’ac-

cordo di filiera promosso dagli assessorati regionali all’agricoltura

del Veneto, dell’Emilia-Romagna e della Lombardia, con l’obiettivo di

risolvere un problema che rischia di avere pesanti ripercussioni per

l’agricoltura e la zootecnia del nord Italia.

Ingenti quantità di mais, a causa delle pessime condizioni meteo

Mais conaflatossine

a cura di Raffaello BettiDirettore Coldiretti Teramo

C’è l’accordo per usarlo negli impianti a biogas

Coldiretti informaclimatiche della scorsa estate, presentano, infatti, caratteristiche che

lo rendono non idoneo all’alimentazione umana e animale.

L’accordo messo a punto dalle tre Regioni permette di costruire un

percorso chiaro, trasparente e sicuro, in linea con le indicazioni for-

nite dal Ministero della Salute (del 16 gennaio 2013, del 22 gennaio

2013, e del 14 marzo 2013).

L’accordo, valido per tutto il 2013, punta ad agevolare l’incontro tra

domanda e offerta, impegnando le parti a precise garanzie contrat-

tuali, di prezzo e di programmazione del flusso di prodotto.

Per aderire, ogni azienda interessata (sia per la parte agricola che

per la parte dei biodigestori) deve sottoscrivere un modulo disponi-

bile nei siti web delle tre Regioni.

Nei siti regionali sarà anche

mantenuto l’aggiorna-

mento delle adesioni

e il monitoraggio

dell’iniziativa. n

Page 30: Teramani n. 87

Sanità · La lettera30n.87

diAntonio Parnanzone [email protected]

Ospedaledi Teramo

Di questi tempi parlare bene di una istituzione pubblica sembra

andare controcorrente. Tale è, infatti, il risentimento verso

certe amministrazioni per l’inefficienza e lo spreco di denaro

pubblico. Per fortuna non siamo allo sbando come forse, un

po’ avventatamente e superficialmente, si vuol far credere perché i

problemi economici legati al grande debito pubblico sono ascrivibili

soprattutto alle allegre finanze di alcuni decenni orsono. Si cercano

capri espiatori per addossare colpe ai dipendenti del settore pubblico,

magari ad onesti operatori che c’entrano ben poco con le decisioni in

ordine alla funzionalità e alla organizzazione dei servizi. Un dipendente

pubblico, spesso, si trova quasi alla sbarra per il solo fatto di occupare

quel posto ed anche con tutto il suo impegno, si trova sempre qualcosa

da addebitargli perché nell’accezione comune è comunque uno “sfati-

cato”. Vero è che di sfaticati ce ne sono e forse qualcuno meriterebbe

qualche richiamo, ma è anche vero che per ogni “sfaticato” ce n’è

un altro che deve lavorare per lui. Merito, quindi ai tanti lavoratori

pubblici che onestamente e con professionalità prestano la loro opera

al servizio della comunità. La Sig.ra Maria Schiavone, operaia residente

a Bellante Stazione, vuole spezzare una lancia a favore del reparto di

Ginecologia dell’Ospedale Civile di Teramo. Vuole rendere omaggio

alla Dr.ssa Marcozzi, alla sua assistente Dr.ssa Angelozzi, all’ostetrica

Claudia, all’infermiera Sig.ra Barbara e a tutti gli operatori del reparto del

nosocomio teramano per aver ricevuto attenzioni, disponibilità e tanta

professionalità in occasione del suo ricovero.

“Mi sono sentita curata, accudita e a mio agio” dice la Sig.ra Maria

“porto nel cuore il sorriso della caposala Diana , vero sole del reparto.

Dico grazie al dottore che mi ha praticato la terapia del dolore pur non

conoscendolo e senza averlo neanche visto in faccia, perché l’interven-

to che ho subito è stato completamente indolore e senza alcuna sof-

ferenza”. Di umile provenienza, la Sig.ra Maria apprezza anche il lavoro

degli addetti delle pulizie e di chi esplica lavori semplici.

“Ho gradito la sensibilità del vivandiere, quasi dispiaciuto per non

potermi dare da mangiare per il digiuno al quale ero sottoposta. L’allieva

infermiera, al terzo anno di studi, brava, disponibile ed educata”.

Chi nella vita ha toccato con mano certe esperienze, apprezza di più

gesti che per molti passano inosservati; per lei, invece, hanno valore:

“Sono l’ultima di nove figli. Sono stata sempre amata dalla mia famiglia

perché la più piccola e coccolata da tutti. In ospedale mi sono sentita

a casa mia. Grazie di cuore, un bacio a tutti”. Trova parole di ringra-

ziamento anche per la nipote della nonnina di 94 anni, degente nella

stessa stanza, per averle portato un ramoscello di palma benedetta e

per il cappellano. La Sig.ra Maria non è in grado di leggere bilanci, carte

contabili e altre sofisticate relazioni di funzionalità di uffici e ammini-

strazioni pubbliche. Legge i gesti di onesti lavoratori, dai più semplici a

quelli dotati di conoscenze tecniche e culturali, attraverso il metro della

sua sensibilità. Il gesto più comune per lei rappresenta un valore non

trascurabile, mentre per altri si perde nell’inutilità e nell’indifferenza. Se

invece di rincorrere i luoghi comuni della potenza economica, mediatica

e del narcisismo, pensassimo a riscoprire la quotidianità come valore

fondamentale di vita, ne guadagneremmo in termini di serenità. A patto,

però, che certi buoni propositi comincino a farsi strada anche nel palaz-

zo, dove spesso hanno origine i tanti guai che sopportiamo da tempo. n

Non è sempre malasanità

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