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SILVANO DELL'ATHOS
NON DISPERARE!
Scritti inediti e vita
EDIZIONI QIQAJON 1994
COMUNITÀ DI BOSE
PREFAZIONE
"Con profonda gioia, finalmente, dopo un lungo lavoro, offriamo al lettore italiano la possibilità di conoscere Silvano dell'Athos, un santo senza frontiere, un mistico della chiesa universale ed eterna, un uomo diventato, da peccatore qual era, pura
preghiera, audace intercessione per tutti gli uomini e tutte le creature, un monaco testimone dell'Amore assoluto di Dio". Così scrivevo più di 15 anni or sono, presentando l'edizione italiana degli scritti di Silvano a 40 anni dalla sua morte (1).
Allora Silvano cominciava appena a essere conosciuto in alcuni ambienti legati all'emigrazione ortodossa russa in Europa occidentale, grazie soprattutto all'infaticabile opera di divulgazione del suo discepolo, l'archimandrita Sofronio. Ma i suoi scritti non avevano ancora quella risonanza ecumenica, universale che sono venuti man mano ad assumere: perfino nel suo stesso monastero di San Panteleimon all'Athos - allora nel momento più travagliato della crisi successiva alla perdita di contatti con la Russia divenuta sovietica - la memoria di Silvano era custodita con una discrezione tale da rasentare l'oblìo.
Da allora il quadro sociopolitico e anche quello religioso ed ecumenico sono profondamente cambiati: non solo in Russia e in Europa orientale, ma anche all'Athos stesso e in occidente. E questo ha reso possibile che dagli scritti di Silvano emergesse in tutta la sua forza quanto essi già contenevano: t(n autentico messaggio di speranza per ogni uomo. E un volto d'uomo che è apparso poco alla volta da quelle dense pagine, ma un volto dai lineamenti ben precisi, i lineamenti di
un santo somigliantissimo al suo Signore, "mite e umile di cuore".
La santità di Silvano, percepita da più parti e con sempre maggior consapevolezza nell'ecumene cristiana, è stata infine proclamata dalla chiesa con l'Atto di canonizzazione del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, da cui dipendono i monasteri dell'Athos. La "canonizzazione" infatti consiste proprio in questo: rendere "canone", cioè norma, vincolante per l'insieme della chiesa, un'attestazione di santità che singoli credenti o comunità locali già attribuivano a un discepolo di
Cristo.
Il clima di maggior apertura e di più facili contatti e scambi ha reso possibile anche l'apparire di testi di Silvano finora sconosciuti. Abbiamo voluto offrirli al pubblico italiano per rendere possibile una conoscenza sempre più profonda di questa figura di ''fratello universale". Li abbiamo accompagnati con la nuova traduzione di altri
testi significativi di Silvano, contemporanei agli inediti, cioè risalenti agli ultimi anni
e mesi di vita dello starec.
Pur nell'estrema varietà dei generi letterari - si va dalle lettere, a brevi appunti, a
veri e propri poemi, come lo stupendo "Le lacrime di Adamo"
ritorna con impressionante continuità l'incessante preghiera di Silvano: "Che io impari l'umiltà di Cristo, senza la quale perdiamo la grazia dello Spirito santo". Se è vero che "la bocca parla dalla pienezza del cuore" (Mt 12,34), nelle Lettere troviamo ciò che arde nel profondo del cuore di Silvano: il desiderio di acquisire lo Spirito santo e la consapevolezza che solo l'umiltà di Cristo può ottenercelo come dono. "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste
cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai
piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te ... Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. Il mio giogo infatti. è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,25-26.28-30). Questo brano evangelico pare sotteso a ogni riga degli scritti di Silvano e, soprattutto, pare presente alla sua mente in ogni istante della sua vita.
Una vita semplice, fatta di lavoro - umile e faticoso - e di preghiera intensa; lavoro e preghiera che trovano una sintesi o, meglio, il loro humus vitale in una grande compassione per tutti gli uomini, in un'opera incessante di invito al pentimento e di annuncio della salvezza che viene dal Signore. Le parole di Silvano sgorgano dal suo cuore come fiumi di acqua viva perché nascono dalla sua estrema docilità allo Spirito e dalla sua grande familiarità con la Scrittura e con i testi della liturgia. Certo, Silvano non cita la Bibbia nel modo che è proprio di noi occidentali, ma un orecchio che abbia qualche consuetudine con la parola di Dio ritroverà in questi scritti un'infinità di citazioni, di allusioni, di rimandi, di echi dell'unica Parola che salva, il Verbo fatto carne. Qua e là ci siamo permessi di indicare tra parentesi le più evidenti citazioni dell'Antico e del Nuovo Testamento, per lasciar intravvedere alcuni sprazzi di questa profonda compenetrazione della parola del Signore nel
cuore di Silvano.
Ma è soprattutto il messaggio centrale della Scrittura che è diventato messaggio rivolto a Silvano e da questi annunciato a tutti gli uomini: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito ... perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (Gv 3,16-17). Questa parola di consolazione Silvano l'ha udita nelle sue tenebre di disperazione, nel suo sapersi peccatore, nel suo sentirsi sprofondato negli inferi. E questa parola di consolazione Silvano l'ha ripetuta a ogni uomo e la ripete anche a noi oggi: "Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi" (1Gv 1,3). "Silvano, tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". Uomo, fratello mio - chiunque tu sia, per quanto grande sia il tuo peccato, per quanto oscura sia la tua tenebra - tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!
Fratello, se vedi il tuo peccato sei più grande di chi risuscita i morti! Quando guardi gli uomini, di' nel tuo cuore: tutti saranno salvati, io solo sarò dannato.
Se pensi all'inferno, credi che esso esiste ma solo per te che sei peccatore. Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare mai dell'amore di Dio.
Se pensi di andare all'inferno sappi che anche là potrai sempre cantare l'amore di Dio. Se il tuo Signore è asceso in alto egli è pure disceso in basso, agli inferi. Se il tuo Signore ha preso l'ultimo posto tu non potrai mai rubarglielo. Se scenderai agli inferi, troverai il Signore se salirai nei cieli, egli ti attende. Da quel giorno, da quell'alba pasquale il Tabor e il Golgota sono un unico monte!
Enzo Bianchi, priore di Bose
corrispondente per l'Italia Association Internationale Saint Silouane l'Athonite
Monastero di Bose, 30 marzo 1994
memoria di san Giovanni Climaco per la chiesa ortodossa
(1) Archimandrita Sofronio, Silvano del Monte Athos. Vita, dottrina, scritti, Torino
1978, p. 7.
VITA DI SAN SILVANO
narrata dal suo discepolo, l'archimandrita Sofronio
Lo Spirito santo, che santifica e vivifica la chiesa in ogni tempo, suscita in ogni epoca
dei santi che saranno, qualche generazione più tardi, i modelli e gli intercessori proposti
ai fedeli per aiutarli a seguire Cristo sulla via dei comandamenti. Avviene così che
coloro che si lasciano modellare dallo Spirito sono sempre in anticipo rispetto alla loro
epoca e questo spiega, molto spesso, il fatto che la loro santità non sia conosciuta dalla
maggior parte dei contemporanei.
Tutta la vita dello starec Silvano si è svolta nel segno dell' attenzione al soffio dello
Spirito santo e del compimento dei comandamenti di Dio. Ecco perché questo semplice
contadino russo, divenuto monaco sulla Santa Montagna dell'Athos, ci è consegnato oggi
dalla chiesa quale "apostolico e profetico maestro". Se la sua testimonianza ha già
salvato migliaia di persone dalla disperazione, nessun dubbio che la sua intercessione ne
condurrà altre migliaia a fare l'esperienza della misericordia. È la benevolenza divina,
infatti, a volere che sia onorato questo suo servo, la cui vita e i cui scritti rendono gloria
a Dio e sono un esempio per gli uomini di oggi.
Un semplice contadino russo
Simeone, figlio di Ivan Antonov, contadino della provincia di Tambov, nasce nel 1866
nel villaggio di Chovsk. La famiglia è numerosa: oltre al padre e alla madre essa
comprende cinque figli e due figlie. E una famiglia semplice e profondamente religiosa.
Il padre è analfabeta, ma una fede profonda ne rischiara l'intera vita. Così dirà di lui
Silvano:
Da mio padre ho imparato a non affliggermi per la perdita dei beni materiali e a
confidare sempre nel Signore. Quando in casa sopraggiungeva una contrarietà, il suo
cuore non si turbava. Dopo un incendio che gli aveva distrutto ogni cosa, non si disperò,
ma ripeteva con fiducia: "Il Signore farà in modo che tutto si rimetta a posto". Una volta
passavamo vicino al nostro campo e io gli dissi: "Guarda, ci rubano il raccolto!". Ma egli
mi rispose: "Figlio mio, il Signore non ci ha mai fatto mancare il pane. Se quell'uomo
ruba è perché ne ha bisogno". Un' altra volta gli dissi: "Tu fai sempre elemosine, ma
altri, più ricchi di noi, danno molto meno". Ma egli rispose: "Figlio mio, il Signore ci dà
il necessario.
Come molti contadini del suo paese ama offrire ospitalità ai mercanti, ai viandanti, e
soprattutto ai pellegrini che percorrono l'immenso territorio russo. Così, un giorno di
festa, invita a casa sua un venditore ambulante di libri nella speranza di imparare
qualcosa di nuovo. Il piccolo Simeone non ha ancora quattro anni, però segue la
conversazione con attenzione. L'ospite, a cui è stato offerto del tè e qualcosa da
mangiare, cerca di provare che Cristo non è Dio, e addirittura che Dio non esiste. Il
bambino resta colpito, in particolare, da queste parole: "Dov'è dunque questo Dio?", e
pensa: "Quando sarò grande andrò a cercare Dio per tutta la terra". Poi, una volta che
1'ospite è partito, dice a suo padre: "Tu mi insegni a pregare, ma quell'uomo dice che
Dio non esiste!". Il padre tenta di replicare: "Pensavo che fosse un uomo intelligente, ma
vedo ora che è uno sciocco. Non badare a ciò che ha detto"; ma ormai le parole del
mercante hanno insinuato il dubbio nel cuore del bambino.
Passano gli anni e Simeone diventa un giovanotto alto e vigoroso. Ha diciannove anni
quando, in una maniera semplicissima, trova la risposta al dubbio che gli è rimasto così a
lungo annidato nel profondo del cuore. Sta lavorando insieme con un fratello come
carpentiere ad alcune costruzioni nella proprietà del principe Trubetzkoj, non lontano dal
paese. La cuoca del cantiere ritorna da un pellegrinaggio fatto alla tomba di un celebre
asceta e racconta la vita santa di quel recluso e i miracoli che hanno avuto luogo sulla
sua tomba. Le sue parole vengono confermate da alcuni anziani lì presenti e tutti sono
d'accordo nel dire che Giovanni era un santo. Allora Simeone pensa: "Se è santo,
significa che Dio è con noi, e allora io non ho bisogno di percorrere tutta la terra per
trovarlo".
Ed ecco che a questo pensiero il suo giovane cuore si infiamma di amore per Dio.
Simeone ha trovato la fede. Pensa incessantemente a Dio e prega molto versando
lacrime. Avverte in sé un cambiamento interiore e si sente attratto dalla vita monastica.
Ma suo padre gli nega il permesso di recarsi al monastero delle Grotte a Kiev: "Fai
prima il servizio militare, poi sarai libero di andarci". Quello straordinario stato
spirituale dura tre mesi, dopodiché Simeone si rimette a vivere come tutti gli altri
giovani del paese: esce con le ragazze, suona la fisarmonica, beve vodka... Anche se
tutto il villaggio ammira questo bel giovane dal carattere amabile che semina la gioia
attorno a sé, egli è ancora ben lontano dall'essere un santo!
Simeone si innamora di una ragazza e, prima ancora che si arrivi a parlare di
matrimonio, una sera succede tra loro ciò che spesso succede. L'indomani, sul lavoro, il
padre gli dice con dolcezza: "Dov'eri, piccolo mio, ieri sera? Il mio cuore era
addolorato". Quelle parole dolci penetrano nell' anima di Simeone. Un' altra volta,
mentre i! padre lavora nei campi insieme con i figli più grandi, tocca a Simeone
preparare da mangiare; ma, dimenticando che è un venerdì, questi prepara un piatto di
carne di maiale. Tutti mangiano senza dir niente. Sei mesi dopo - si è giàin inverno - un
giorno di festa i! padre, sorridendo con dolcezza, gli dice: "Piccolo mio, ti ricordi come
ci hai dato da mangiare carne di maiale un giorno che eravamo nei campi? Eppure era un
venerdì. Sai, l'ho mangiata come se fosse una carogna". "Perché non mi hai detto niente,
allora?". "Non volevo ferirti, piccolo mio".
Più tardi, divenuto monaco, egli riconoscerà: "Non sono arrivato alla statura di mio
padre. Era un uomo completamente analfabeta. Anche quando recitava i! Padre Nostro -
l'aveva imparato a forza di sentirlo in chiesa - ne pronunciava certe parole in modo
maldestro. Ma era un uomo pieno di dolcezza e di sapienza". E ancora: "Ecco uno starec
come vorrei averlo io. Non andava mai in collera, non aveva mai alti e bassi, era sempre
dolce. Pensate: pazientò sei mesi, attendendo i! momento adatto per correggermi senza
ferirmi".
Già a quest' epoca egli è dotato di quella robustezza e di quella straordinaria forza fisica
che gli permetteranno di compiere certe ascesi fuori del comune sia per qualità che per
quantità.
Questa forza fisica, tuttavia, sarà la causa del suo più grave peccato, per il quale farà una
grande penitenza. E il pomeriggio della festa parrocchiale del paese. Tutti i paesani sono
usciti dalle loro case, in un' atmosfera gioiosa. Simeone passeggia per la strada con un
compagno e suona la fisarmonica. Vengono loro incontro due fratelli, i calzolai del
paese, di cui il maggiore, un tipo grande, forte e attaccabrighe, è un po' sbronzo. Giunto
alla loro altezza, costui tenta di impadronirsi della fisarmonica, ma Simeone riesce a
passarla all'amico e invita il calzolaio a "continuare per la sua strada". Ma questi,
volendo indubbiamente far la figura del più forte dinanzi a tutto il paese (infatti le
ragazze già cominciano a ridere), avanza verso Simeone con tono minaccioso. Simeone
è propenso a cedere, poi d'un tratto è preso dalla vergogna al pensiero che le ragazze lo
prenderanno in giro e colpisce con violenza il suo antagonista al petto. Il calzolaio viene
scagliato lontano e cade pesantemente sulla schiena in mezzo alla strada. Sangue e bava
gli colano dalla bocca. Tutti sono presi dallo spavento, soprattutto Simeone che pensa:
"L'ho ucciso!". E resta là, immobile. Il fratello del ferito raccoglie una grossa pietra e la
lancia con forza,
ma Simeone si gira con prontezza e la pietra lo colpisce alla schiena. Allora si volta e
dice: "Che cerchi? Vuoi anche tu la tua parte?". E si dirige verso di lui, ma l'altro fugge
via. La gente accorre e si prende cura del ferito che resta riverso sulla strada. Dopo
mezz'ora riesce a rialzarsi e, a fatica, è riportato a casa: ne avrà per due mesi, ma
fortunatamente rimarrà in vita. Quanto a Simeone, dovrà stare a lungo in guardia: i
fratelli e gli amici del calzolaio lo aspettano al varco, la sera, nelle viuzze, armati di
randelli e pugnali. Ma, dirà, "Dio mi ha custodito".
Come spesso avviene, la prima chiamata di Dio alla vita monastica si sta affievolendo
nell'anima di Simeone. Il Signore allora lo chiama di nuovo mediante una visione. Dopo
un certo periodo trascorso nell'impurità, mentre se ne sta assopito in un sonno leggero
vede un serpente insinuarglisi in bocca e penetrargli nel corpo. Si risveglia in preda a un
violento disgusto e subito ode una voce di straordinaria bellezza e dolcezza: "Hai
ingoiato un serpente in sogno, e questo ti ripugna. Allo stesso modo, neppure a me piace
vedere quello che tu fai" . Fortemente scosso, Simeone ha subito la profonda
convinzione che quella sia la voce della santa Vergine. Fino alla fine dei suoi giorni egli
renderà grazie alla Madre di Dio per essersi degnata di visi tarlo e di rialzarlo dalla
caduta. "Ora ho visto quanto il Signore e la Madre di Dio hanno pietà degli uomini".
Questa seconda chiamata, che è intervenuta poco prima dell'inizio del servizio militare,
ha un'importanza decisiva nella scelta della via che ormai sta per intraprendere. La sua
vita, che aveva preso una brutta piega, conosce a questo punto un mutamento radicale.
Simeone prova una profonda vergogna per il proprio passato e inizia un cammino di
pentimento pieno di ardore. Un senso acuto del peccato si risveglia in lui. Cambiano
anche i suoi rapporti e le sue conversazioni con gli altri. Un giorno di festa chiede a un
uomo che sta danzando e suonando la fisarmonica: "Ma come puoi, Stefano, suonare e
danzare, quando hai ucciso un uomo?" (Era successo durante una rissa tra ubriachi).
Quell'uomo trascina Simeone in disparte e gli dice: "Vedi, quand' ero in prigione, ho
molto pregato Dio perché mi perdonasse. Ed ecco, un giorno il letto su cui mi trovavo in
ginocchio, con la testa sprofondata nel cuscino, si mise a tremare, e il mio cuore provò
una grande gioia. Capii allora che Dio mi aveva perdonato. Ecco perché ora suono, con
l'anima in pace". E Simeone, che non molto tempo prima è stato sul punto di uccidere un
uomo, capisce che si può chiedere a Dio il perdono dei peccati. E capisce anche la pace
dell'anima di colui cui è stato perdonato.
Un'altra volta, a forza di far opera di persuasione, riesce a convincere un giovane, che
non ci pensava minimamente, a sposare la ragazza che ha reso incinta. Ma perché, allora,
a sua volta non sposa la ragazza che ha amato (ma che non è rimasta incinta)? Il fatto è
che egli prega intensamente Dio di permettergli di realizzare con l'anima in pace il suo
desiderio di vita monastica. Ed ecco che, mentre Simeone sta facendo il servizio
militare, un commerciante di granaglie si innamora della bella giovane e la sposa.
Simeone ringrazia Dio con fervore per aver dato ascolto alle sue preghiere, ma non
dimenticherà mai più il proprio sbaglio.
Simeone viene assegnato al battaglione del genio della guardia imperiale. E un soldato
coscienzioso, dal carattere dolce, irreprensibile nella condotta, molto stimato da tutti. In
questo tempo la sua fede si accresce: egli coltiva il pentimento e custodisce
incessantemente il ricordo di Dio in ogni circostanza. Un giorno -la vigilia di una festa -
egli si trova in città insieme con tre compagni, in un grande ristorante popolare allietato
da luci e musiche. Gli altri mangiano, bevono, conversano allegramente; ma Simeone è
silenzioso. Uno di loro gli chiede: "Ma a cosa pensi?". "Penso che in questo momento
noi siamo comodamente seduti qui, in questo ristorante, e mangiamo, beviamo vodka,
ascoltiamo musica e cidivertiamo, mentre a quest'ora al Monte Athosl si celebrano le
vigilie e i monaci pregheranno tutta la notte. Ebbene, chi di noi, al giudizio finale, darà
una risposta migliore, loro o noi?". Allora un altro dice: "Che tipo, questo Simeone!
Siamo qua che ascoltiamo musica e ci divertiamo, e lui è con la mente al Monte Athos e
al giudizio finale...". Le parole di quel soldato possono dare un'idea di quello che è stato
il periodo del servizio militare di Simeone. Davvero egli pensa molto alla Santa
Montagna.
A quest' epoca mostra già una grande saggezza e gli capita di dare consigli pieni di
sapienza ai propri compagni; ha compreso, in effetti, che la condizione indispensabile
per la pace fra gli uomini è il riconoscimento, da parte di ciascuno, dei propri errori.
Quando sta per giungere alla fine del servizio militare, si reca insieme con il segretario
della sua compagnia dal padre Ivan di Cronstadt per chiedere le sue preghiere e la sua
benedizione. Già ha avuto modo di vedere quel santo arciprete durante la divina liturgia:
è fortemente colpito dalla potenza della sua preghiera e dal suo modo di celebrare.
Scriverà di lui: "Il suo aspetto era quello d'un uomo ordinario, ma la grazia divina
conferiva al suo volto uno splendore simile a quello di un angelo, e si era presi dal
desiderio di guardarlo". Quando il padre I van esce dalla chiesa, la folla gli si stringe
attorno e ciascuno vuole ricevere la sua benedizione. "Anche in una tale ressa la sua
anima dimorava incessantemente in Dio: pur in mezzo a una folla simile, la sua
attenzione non conosceva la dispersione... perché egli amava gli uomini e non cessava di
pregare per loro".
Ma quel giorno essi non trovano il padre I vano E mentre il segretario gli scrive una
lunga lettera in uno stile ricercato, Simeone gli lascia solamente queste poche parole:
"Padre, voglio diventare monaco. Pregate perché il mondo non mi trattenga.
A partire dal giorno in cui il padre Ivan ha pregato per lui, "le fiamme dell'inferno non
cessano di crepitare" attorno a Simeone, ovunque egli sia, ma in modo particolare in
chiesa.
Terminato il servizio militare, egli realizza il suo desiderio e nell'autunno del 1892
giunge al Monte Athos.
Al Monte Athos alla sequela di Cristo
La Santa Montagna (Aghion Oros) è la più orientale delle tre propaggini che formano la
penisola calcidica, a nord della Grecia. Lunga 45 km per una larghezza compresa fra gli
8 e i 12 km, la penisola culmina con il monte Athos a 2033 m. Da più di mille anni essa
è il "giardino della Madre di Dio", il santuario del monachesimo, la roccaforte dell'
ortodossia.
È stata devastata, saccheggiata, conquistata a più riprese; la vita monastica vi ha
conosciuto alti e bassi, ma, sempre, la tradizione vi si è mantenuta. Simeone vi arriva in
un momento di grande splendore. I monaci provengono da tutte le nazioni ortodosse e
sono parecchie migliaia, ripartiti nei venti grandi monasteri e nelle centinaia di loro
dipendenze, skiti, kalive, celle, grotte... C'è un fiorire di tutte le forme della vita
monastica. San Panteleimon, il monastero dei russi (o Russikon) che accoglie Simeone, è
una comunità cenobitica che conta in quel momento due mila monaci su una
popolazione di circa novemila persone: molti operai e innumerevoli pellegrini che
affluiscono incessantemente dalla Russia dopo essersi imbarcati a Odessa.
Subito dopo il suo arrivo, il giovane postulante fa alcuni giorni di ritiro, al fine di
riportare alla memoria tutti i peccati commessi, annotarli e poi confessarli. Gli arde nell'
anima un bruciante pentimento: fa una confessione sincera, senza nessun tentativo di
autogiustificazione. Il padre confessore gli dice: "Hai confessato i tuoi peccati dinanzi a
Dio: sappi che ti sono perdonati tutti... Inizia, da questo momento, una vita nuova... Va'
in pace e sii nella gioia, perché il Signore ti ha condotto in questo porto di salvezza" .
La sua anima semplice e fiduciosa si abbandona alla gioia, ma la tensione interiore
finisce per allentarsi. Lo assalgono allora le tentazioni della carne e con esse i pensieri
che gli suggeriscono di ritornare nel mondo e di sposarsi. A vendo perduto così presto lo
slancio iniziale, prova un grande timore: sperimenta in sé tutta la potenza del peccato che
lo allontana da Dio, anche in quel luogo santificato dove pensava di essere approdato
come in un porto di salvezza. Anche là ci si può perdere! Egli manifesta allora un grande
pentimento e, pur del tutto inesperto com'è ancora, intraprende una dura lotta ascetica
(1).
Viene assegnato al mulino. Tutto il giorno lavora con energia a trasportare sacchi di
farina, e la notte resta in preghiera, sforzandosi di dormire il meno possibile.
La vita sulla Santa Montagna è del tutto diversa da quella del mondo. Ben poco è
cambiato in mille anni di storia, e Simeone si immerge ~ poco a poco in quella
tradizione plurisecolare. E il ritmo stesso della vita che forma i postulanti: preghiera
solitaria in cella, lunghi uffici in chiesa; digiuni e veglie; confessione frequente e
comunione; letture, lavoro, obbedienza. Le istruzioni dell'igumeno e dei padri si limitano
a brevi consigli su ciò che conviene fare in una data situazione.
Simeone scopre con stupore la preghiera di Gesù. L'invocazione ripetuta, con l'ausilio di
un rosario, del Nome santo: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me
peccatore" non solo costituisce l'essenziale della preghiera in cella, ma può essere
recitata sempre e ovunque, e persino sostituire gli uffici. Se, a motivo del lavoro, non è
possibile andare in chiesa, soprattutto all' ora dei vespri, allora, per tutta la durata del
servizio, un fratello la dice a voce alta per quanti lavorano in un medesimo luogo, ed
essa prende il posto dell'ufficio divino.
Dal fondo della sua anima immersa nella tristezza, nel fuoco incrociato delle tentazioni e
delle illusioni, Simeone fa salire questa preghiera con ardore, slanciandosi con forza
verso Colui che può salvarlo. Sono trascorse appena tre settimane quando, una sera,
mentre è in preghiera dinanzi all'icona della Madre di Dio, la preghiera irrompe
improvvisamente nel suo cuore e si fa sorgente zampillante, giorno e notte. Certo, nella
sua inesperienza non comprende allora la rarità del dono ricevuto dalla Madre di Dio,
dono che tanti asceti ottengono solamente dopo anni e anni di lotta. E questo dono della
preghiera del cuore che permette di giungere alla preghiera pura, alla preghiera
spirituale.
Ben presto Simeone è preso da pensieri di vanità, da dubbi sulla propria salvezza, e
l'angoscia si insinua nel suo cuore. Allora cominciano ad apparirgli i demoni, che ora lo
esaltano, ora lo precipitano nell' abisso. Ed egli parla loro con ingenuità, come si parla
agli uomini; e da uno di loro si sente rispondere: "Noi non diciamo mai la verità".
Passano i mesi. Egli continua a lottare, ma le forze psichiche vengono a mancargli e il
coraggio l'abbandona. Sempre più spesso la sua anima è invasa dall' orrore e dalla
disperazione. Come resistere a tutti quegli assalti con le semplici forze umane? E fratello
Simeone crolla.
Apparizione del Cristo vivente
Simeone è nella sua cella, nel tardo pomeriggio, prima dei vespri. Pensa: "Dio è
inesorabile, e non lo si può impietosire". E prova un senso di assoluto abbandono: la sua
anima sprofonda nelle tenebre di un' angoscia infernale. Passa circa un' ora in quello
stato. Ed ecco, in risposta alla disperazione del giovane novizio, il Signore gli appare (2).
Quello stesso giorno, durante i vespri nella cappella del santo profeta Elia, a destra delle
porte regali, là dove si trova l'icona del Salvatore, Simeone vede il Cristo vivente, e tutto
il suo essere, compreso il corpo, si ritrova riempito del fuoco della grazia dello Spirito
santo. Una grande luce allora lo illumina: egli è come strappato a questo mondo e il suo
spirito è rapito in cielo, dove ode parole ineffabili. In quel momento avviene in lui come
una nuova nascita dall'alto (cf. Gv 1,13; 3,3). Lo sguardo dolce del Cristo avvolto di
gioia radiosa, del Cristo che è bontà infinita e tutto perdona, attira a sé l'essere intero di
Simeone. Questi si sente estenuato: non potrebbe sostenere ulteriormente quello sguardo
senza morirne. E il Signore scompare. La visione cessa, ma il suo spirito è trasportato
dalla dolcezza dell' amore divino a una contemplazione della divinità che trascende ogni
immaginazione di questo mondo.
Ma dopo aver conosciuto la gioia della resurrezione e una beatitudine tutta pasquale,
Simeone sente svanire l'azione percettibile della grazia. La pace e la gioia cedono il
passo alla perplessità e al timore di perdere il dono ricevuto. Egli ignora ancora che
talvolta la grazia si ritira perché l'anima languisca di desiderio per il suo Signore.
Assalito da un'incertezza angosciante, va a chiedere consiglio a uno starec, il padre
Anatolio. E l'anziano asceta, che è arrivato a conoscere la misericordia di Dio solamente
dopo quarantacinque anni di vita monastica, non riesce a nascondere il proprio stupore:
"Se sei già ora così, che sarai mai nella vecchiaia?". Mai un asceta dovrebbe rivolgere
delle lodi a un fratello! Eccolo, il nostro fratello Simeone, costretto a lottare contro la
vanità. Ed è una lotta faticosa, complessa, sottile.
Quando sopraggiunge la vanità, la grazia si ritira, il cuore si raffredda, la preghiera viene
meno, lo spirito si disperde e l'anima subisce l'assalto dei pensieri passionali. L'anima di
Simeone è nell'angoscia e lotta per afferrare l'Inafferrabile. Quando la luce ricompare, è
per poco tempo. Hanno così inizio quindici anni di alternanza di grazia e di abbandono.
Nel frattempo egli fa la professione e riceve l'abito monastico e il nome di Silvano. Ogni
parola è inadeguata a descrivere le lotte che il nuovo monaco deve sostenere per intere
notti durante tutti questi anni. Scriverà: "Se il Signore non mi avesse fatto conoscere fin
dall'inizio di quale amore egli ama gli uomini, non avrei sopportato neppure una sola di
quelle notti. E ne ho avuto una moltitudine!" .
"Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!"
Verso il 1906 , nel corso di una di quelle notti terribili, non è in grado, nonostante i suoi
sforzi, di pervenire alla preghiera pura. Si alza per fare alcune prostrazioni: l'immenso
profilo di un demonio si frappone davanti alle icone e attende che egli si inchini dinanzi
a lui. Silvano si siede di nuovo, china la testa, con il cuore addolorato, e fa questa
preghiera: "Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare con uno spirito puro.
Ispirami ciò che devo fare perché i demoni mi lascino in pace". E nell' anima il Signore
gli risponde: "Le anime orgogliose soffrono sempre a causa dei demoni". "Signore,
insegnami che cosa devo fare perché la mia anima diventi umile". E di nuovo, nel suo
cuore, riceve questa risposta: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". E subito
comincia a mettere in pratica quella parola. Trova la pace, e lo Spirito gli testimonia la
sua salvezza (3).
Siamo qui condotti al cuore dell'insegnamento che Dio, attraverso san Silvano, comunica
agli uomini della nostra epoca caratterizzata da un diffuso sentimento di disperazione e
da un' angoscia opprimente. Questa parola di Cristo ricevuta da un monaco dell' Athos
all'inizio di questo secolo ha già salvato migliaia di persone dalla disperazione, e non v'è
dubbio che ne salverà altre migliaia ancora. Ecco, da quel momento è un messaggio di
amore che viene consegnato a noi tutti.
L'amore di Dio, l'amore per gli uomini, l'amore per tutta la creazione spinge Silvano ad
annotare un po' alla volta ciò che vive e sperimenta, testimoniando così l'azione dello
Spirito dentro di sé. Questo monaco quasi analfabeta, che è andato a scuola solamente
per due inverni, scrive con parole semplicissime dei brevi testi di una bellezza
sconvolgente. I temi da lui toccati non sono molto vari; sono però essenziali: Dio e tutte
le realtà celesti non possono essere conosciuti se non attraverso lo Spirito santo; il
Signore ha un immenso amore per l'uomo, e ci è dato di conoscerlo nello Spirito santo;
lo Spirito santo èlo spirito di umiltà, di pace e di unificazione interiore; lo Spirito santo è
lo spirito di compassione e di amore per i nemici. I lunghi anni di lotta spirituale
confortata dalle ripetute effusioni dello Spirito santo lo conducono a diventare un
autentico "teologo": il suo essere uomo di preghiera che dialoga con Dio lo rende capace
di parlare di Dio, così quel poco che dice e scrive penetra i cuori e rigenera le anime.
D'ora in poi Silvano concentra tutte le forze dell' anima ad acquisire l'umiltà di Cristo e
si effonde in incessanti preghiere per la salvezza degli uomini. Dice: "La mia anima
conosce la misericordia del Signore per l'uomo peccatore... Tutti noi, peccatori, saremo
salvati e neppure una sola anima andrà perduta, se si converte".
Ma come può un monaco, isolato dal mondo su quella Santa Montagna, avere nella
propria preghiera la sollecitudine per la salvezza di tutti gli uomini? Certi monaci del suo
monastero sostenevano allora - come tanti religiosi al giorno d'oggi - che è necessaria la
lettura dei giornali, che essa alimenta la loro preghiera per gli uomini. Silvano risponde
loro che egli non legge mai i giornali, "che essi offuscano lo spirito e fanno ostacolo alla
preghiera pura". A coloro che vi cercano delle "intenzioni di preghiera" egli ribatte che i
giornali non informano sugli uomini, bensì sui fatti, e che una sola cosa è necessaria a
tutti gli uomini. E prega ardentemente e lungamente, ogni giorno, con le lacrime: "Ti
prego, Signore misericordioso, fa' che tutti i popoli della terra ti conoscano attraverso il
tuo santo Spirito".
Pregare per gli uomini significa versare il proprio sangue
Eppure la vita di Silvano è una vita di monaco all' apparenza assolutamente ordinaria.
Una vita nascosta.
Facciamo un passo indietro per vedere come essa appaia agli occhi di quanti gli vivono
accanto. Dopo l'incarico assegnatogli al mulino viene mandato a Kalamareia, una
dipendenza del monastero, fuori dell' Athos. Si tratta di una tenuta agricola. Il lavoro all'
aria aperta gli mette fame, e il nostro padre Silvano comincia a mangiare a sazietà; ma
due ore dopo è in grado di mangiare di nuovo la stessa quantità. Il fatto lo preoccupa:
capisce che è una tentazione. "Noi monaci - dice - dobbiamo prosciugare il nostro
corpo... Un corpo sazio è un ostacolo alla preghiera pura, e lo Spirito divino non viene
quando il ventre è pieno. Bisogna, però, anche saper digiunare con misura, per non
indebolirsi prima del tempo ed essere in grado di eseguire l'incarico ricevuto".
Fortunatamente viene presto richiamato in monastero, dove l'igumeno gli affida
l'incarico di economo preposto alle costruzioni. Se si eccettua l'intermezzo di un anno e
mezzo passato nel deserto, di cui parleremo poco più avanti, svolgerà questo incarico
fino alla morte. Si ritira nella sua cella e comincia a pregare: "Signore, tu mi affidi la
cura del nostro grande monastero: aiutami ad assolvere bene questo incarico". E nell'
anima riceve questa risposta: "Ricordati della grazia dello Spirito santo e sforzati di
acquisirla". A partire da quel momento vigila a custodire la grazia e fa attenzione che la
preghiera non subisca alcuna interruzione. Ha sotto la sua sorveglianza fino a duecento
operai; ogni mattina fa il giro dei cantieri e dà a grandi linee le istruzioni ai capomastri.
Poi si ritira nella sua cella e piange sul "popolo di Dio". Gli duole il cuore per tutti quegli
operai costretti dalla miseria a lasciare genitori, famiglia, paese, per guadagnare un po' di
soldi. Perciò non è mai assillante con loro, non li sorveglia come fanno gli altri economi
che "fanno gli interessi del monastero". Per lui il vero interesse del monastero sta nell'
osservanza dei comandamenti di Cristo. E con il suo atteggiamento e la sua preghiera
finisce per conquistare l'amore di quella povera gente, a cui lascia libertà e
responsabilità.
Ripete: "Il Signore ama tutti gli uomini e ha pietà di loro". Ripieno dello Spirito di
Cristo, ha per tutti un amore compassionevole. Egli vive la sofferenza degli uomini, del
mondo intero, e la sua preghiera non ha fine. E pronto a versare il proprio sangue per la
pace e la salvezza degli uomini. E realmente lo versa nella preghiera. La sua vita è un
vero martirio. Testimone dell'amore di Dio per l'umanità, ne ha il cuore ferito ed è con
tutta verità che può scrivere:
"Pregare per gli uomini significa versare il proprio sangue".
Gli viene allora la tentazione di vivere nel deserto. Lo chiede con insistenza all'igumeno
e questi gli permette di ritirarsi nel Vecchio Russikon, fra gli eminenti asceti che vivono
là nella più grande austerità, per dedicarsi interamente all'orazione. Ma dopo un anno e
mezzo deve riprendere il suo incarico di economo. Riconosce che in quell' andare nel
deserto ha agito secondo la volontà propria. E Dio, egli dice, l'ha punito: vivendo in una
capanna isolata, nella più grande privazione, ha patito il freddo e sino alla fine soffrirà di
continue emicranie.
I perfetti dicono unicamente ciò che lo Spirito detta loro
È durante quel soggiorno che incontra un celebre asceta del Caucaso, il padre Stratonico.
Da uomo spirituale sperimentato e pieno di discernimento qual è, costui è stato di
grandissimo aiuto ai monaci del suo paese. E tutti gli asceti della Santa Montagna lo
accolgono con calore. La sua parola ispirata lascia un'impressione profonda. E così il suo
discernimento, la sua enorme esperienza, il dono della vera preghiera. Ma dopo due mesi
comincia a rammaricarsi di aver intrapreso invano un pellegrinaggio così lungo e
faticoso, dato che i suoi incontri con i monaci dell' Athos non gli hanno insegnato nulla
di nuovo. Un giorno di festa il padre Dositeo lo invita, insieme con altri monaci, nella
propria cella, presso il Vecchio Russikon. Anche Silvano si trova lì. È il più giovane di
tutti e se ne sta silenzioso in un angolo della cella, attento alle parole dell'asceta del
Caucaso. Ed ecco che il padre Stratonico esprime il desiderio di venire a fargli visita
nella sua cella, l'indomani. Tutta la notte il padre Silvano prega intensamente perché il
Signore benedica il loro incontro e la loro conversazione.
Silvano ha notato che il giorno prima il padre Stratonico ha parlato secondo "la propria
intelligenza" e che il suo discorso sull'incontro fra la volontà umana e la volontà divina
mancava di chiarezza. Pone, allora, al padre Stratonico tre domande: "Come parlano i
perfetti? Che significa abbandonarsi alla volontà di Dio? In che consiste l'obbedienza?".
Stratonico coglie immediatamente l'importanza e la profondità di quelle domande. Dopo
un attimo di riflessione e di silenzio dice: "Non lo so... Dimmelo tu". E Silvano replica:
"Non dicono nulla da se stessi... Dicono unicamente ciò che lo Spirito detta loro". E in
quel medesimo istante, grazie alla preghiera di Silvano, il padre Stratonico sperimenta lo
stato di cui gli parla Silvano. Prende coscienza delle proprie lacune nel passato e si rende
conto di essere ancora così lontano dalla perfezione. Quindi coglie facilmente il senso
delle altre due domande. Parlano anche della preghiera e le parole di Silvano gli rivelano
uno stato che egli ancora non ha conosciuto. Più tardi, dopo averne fatto per grazia
l'esperienza, lo confermerà. Da quel momento, quando lo interrogano, il padre Stratonico
si astiene talora dal rispondere alle domande degli altri padri e dice: "Avete il padre
Silvano: è lui che dovete interrogare". E il loro stupore è grande. Essi amano molto
Silvano, ma non si sono mai fatti di lui un' opinione tanto elevata da pensare di
chiedergli un consiglio. Immaginarsi! E un contadino, un ignorante...
Un'umiltà rara
In realtà Silvano coltiva in modo particolare l'umiltà e ricerca al di sopra di ogni altra
cosa l'umiltà di Cristo. In risposta alla parola del Signore - che non cessa di mettere in
pratica: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!", egli può dire: "E dal Signore
che la mia anima ha imparato l'umiltà... Nessuna parola sarebbe in grado di descrivere
quanto è buono il Signore" .
Non contraddice mai nessuno. Mai giudica. Se gli si fa opposizione, se vede che non
viene capito ciò che vuol dire, subito fa silenzio. Viene criticato un padre davanti a lui?
Egli ne prende le difese e riporta la pace. Possiede la vera libertà di chi dimora
costantemente in Dio. Certo, alcuni padri si inquietano per la libertà con cui parla di Dio
come del Padre suo misericordioso; succede anche che altri nutrano nel loro cuore
sentimenti di invidia nei confronti della santità di Silvano. La rettitudine dei perfetti dà
fastidio ai negligenti e in effetti la sua sobrietà in ogni cosa può ingenerare una cattiva
coscienza in coloro che non praticano la sua astinenza.
Il criterio che Silvano usa per discernere la bontà di un'azione è di una semplicità
disarmante: "Ogni azione che non può essere preceduta da una preghiera, è meglio non
farla!".
Per la verità, Silvano non dice nulla che non abbia prima sperimentato egli stesso. Ha
letto le opere dei padri, certo; ma, più ancora, le vive: ricerca dell'umiltà, prontezza
nell'obbedienza, rinuncia alla volontà propria per compiere quella di Dio; immersione
nella bellezza e nella solidità degli uffici divini; custodia del cuore e dei pensieri; pratica
incessante della preghiera di Gesù; docilità all'azione dello Spirito santo. Sono numerosi,
del resto - al tempo di Silvano come ai nostri giorni - i monaci che rinnovano gli esempi
dei padri. Un giorno un teologo cattolico rimane stupito dal fatto che i monaci di San
Panteleimon leggano Giovanni Climaco, abba Doroteo, Teodoro Studita, Efrem il Siro,
Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Sinaita, Massimo il Confessore e tutti gli altri
padri della Filocalia, perché, dice, "da noi sono solo i professori che li leggono!"; e il
padre Silvano osserva: "Non solo i nostri monaci leggono quei libri, ma potrebbero essi
stessi scriverne di simili... Se per un motivo o per l'altro quei libri dovessero andare
perduti, allora i monaci ne scriverebbero di nuovi". Tale è la profondità della loro
esperienza nello Spirito santo che li illumina.
Un uomo dall'amore grande
Verso il 1905 egli viene richiamato il:! Russia come soldato della guardia imperiale. E il
momento della guerra russo-giapponese. Ma, in quanto monaco, non viene mandato al
fronte. Per un certo tempo vive nel suo villaggio, in una capanna che la famiglia gli ha
permesso di costruire nei campi. Fa anche dei viaggi per visitare alcuni monasteri. Vive
questo periodo di forzato "esilio" come preziosa occasione di manifestare la sua
solidarietà con tutti gli uomini e per alimentare la sua intercessione per tutte le creature.
L'amore per il prossimo in Silvano si dilata all'umanità intera. Egli adempie in questo il
precetto evangelico: "Ma io vi dico: amate i vostri nemici" (Mt 5,44). Secondo lui, chi
non ha l'amore per i nemici non ha ancora conosciuto Dio nello Spirito santo. In ogni
circostanza, perciò, egli manifesta la propria compassione per gli uomini: prega per i
vivi, per i defuni e anche per quelli che non sono ancora nati. E di una carità piena di
delicatezza. Intercede, e Dio ascolta la sua preghiera. Talora avvengono anche miracoli.
È la propria esperienza che egli racconta; ma lo fa con umiltà, come se si trattasse del
racconto riguardante un altro asceta.
In una notte di tenebra fitta, una tempesta squassa le barche da pesca nel porto. Gli
uomini sono presi dal panico e non sanno più che cosa fare. Silvano prova una tale pena
per loro che prega: "Signore, placa la tempesta, calma le onde. Abbi pietà del tuo popolo
che soffre e salvalo". La tempesta cessa, il mare si calma e gli uomini rendono grazie a
Dio. E Silvano testimonia: "Un tempo pensavo che il Signore compisse miracoli
solamente in risposta alle preghiere dei santi, ma ora ho capito che il Signore opera
miracoli anche per il peccatore, non appena la sua anima si umilia. Molti, per
inesperienza, dicono che il tal santo ha fatto un miracolo, ma io ho compreso che è lo
Spirito santo che dimora nell'uomo a operare i miracoli".
Passano gli anni. Dopo la prima guerra mondiale le autorità greche chiudono l'accesso al
Monte Athos ai russi dell'Unione Sovietica e allora il monastero di San Panteleimon
vede esaurirsi il flusso di vocazioni monastiche. Si portano alla sepoltura dai trenta ai
quaranta monaci ogni anno, cosicché agli inizi degli anni trenta non sono più di seicento.
Ma la vita comune continua, e con essa gli uffici, la preghiera. In quel periodo si
sviluppano ancora di più, nella discrezione, i numerosi carismi dello schimamonaco (4)
Silvano a favore di quanti si rivolgono a lui, anche per lettera: profezia, discernimento,
chiaroveggenza, guarigione. Ma è soprattutto la sua immensa carità ad avvolgere tutti
coloro che vengono da lui. Certo, persino tra i suoi fratelli monaci ci sono alcuni che
continuano a ignorarlo; ma fra i suoi visitatori e fra quanti sono in corrispondenza con
lui si contano teologi, archimandriti, monaci di altri monasteri (soprattutto serbi di
Chilandari e della skit di San Saba), e anche vescovi. Molti gli renderanno
testimonianza, dopo la morte serena avvenuta nell'infermeria del monastero, durante il
mattutino, il 24 settembre 1938.
Qualche giorno prima, quando è evidente che sta soffrendo ma si rifiuta ancora di andare
in infermeria, un suo discepolo gli chiede se sia vicino alla morte ed egli risponde: "Non
ho ancora raggiunto l'umiltà". Viene poi portato in una stanza dell'infermeria, da solo;
ogni giorno riceve la comunione, poiché tale è l'usanza del monastero per i malati gravi.
In tutto questo tempo egli custodisce il silenzio. La sera del 23 settembre il suo
confessore, padre Sergio, viene a leggere il "Canone della Madre di Dio", preghiera di
intercessione per la dipartita dell' anima, detta anche "preghiera degli agonizzanti"; alla
fine, Silvano ringrazia a bassa voce. Verso la mezzanotte chiede al padre infermiere: "Si
sta celebrando il mattutino?". "Sì. Avete bisogno di qualcosa?". "No, grazie; non ho
bisogno di nulla". Questo semplice dialogo e il fatto che egli oda il mattutino - appena
percettibile dal luogo in cui si trova - mostrano la sua serenità e il pieno possesso delle
facoltà. L'infermiere ritorna verso la fine del mattutino ed è estremamente stupito di
trovarlo già morto. Sono all'incirca le due del mattino. Silvano verrà sepolto il giorno
stesso, alle quattro del pomeriggio.
Il vescovo Nicola Velimirovic - che ha dato inizio al grande movimento di rinnovamento
spirituale all'interno della chiesa ortodossa serba in questo nostro secolo - nella sua
rivista missionaria scrisse un necrologio dal titolo: "Un uomo dall' amore grande". Così
annotava: "Di questo monaco meraviglioso si può dire una sola cosa: era un' anima piena
di dolcezza. E non sono il solo ad aver sperimentato quella dolcezza: ogni pellegrino del
Monte Athos che l'aveva incontrato provava la medesima sensazione. Silvano era un
uomo forte, alto di statura; aveva una grande barba nera e, a prima vista, il suo aspetto
esteriore non lo rendeva particolarmente attraente a chi non lo conosceva. Ma bastava
una sola conversazione per amare quell'uomo... Parlava dell'immenso amore di Dio per
gli uomini e portava i peccatori a giudicare se stessi con severità... Quell' asceta mirabile
era un semplice monaco, ma pieno di amore per Dio e per il prossimo. Da ogni parte
della Santa Montagna accorrevano a lui monaci in gran numero per ricevere i suoi
consigli... Tutti sono stati dolorosamente colpiti da questa sua dipartita. A lungo, molto a
lungo si ricorderanno dell' amore del padre Silvano e dei suoi saggi consigli. Anche a me
il padre Silvano è stato di grandissimo aiuto spirituale. Sentivo chiaramente quanto la
sua preghiera mi fortificasse. Ogni volta che mi recavo alla Santa Montagna, mi
affrettavo a fargli visita ... Il libro della sua vita è tutto adorno delle perle della sapienza
e dell' oro dell' amore. È un libro immenso e incorruttibile".
Silvano era totalmente preso dalla visione della divinità di Cristo e dalla "dolcezza" dello
Spirito santo, e faceva passare questa visione nella propria vita. Lo Spirito santo lo rese
davvero somigliante al Cristo che gli era stato concesso di vedere. Di questa somiglianza
egli parlava molto spesso, citando il grande apostolo dell' amore: "Saremo simili a lui,
perché lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2).
NOTE
[1] Cf. infra, p. 75.
[2] Cf. infra, p. 76, il racconto estremamente sobrio che ne fa Silvano stesso.
[3] Cf. infra, p. 78.
[4] Monaco che indossa lo schima, il "grande abito".
CRITTI INEDITI DI SAN SILVANO
NOTA EDITORIALE
Le Lettere, qui tradotte per la prima volta in italiano, sono state pubblicate dall' archimandrita
Viktor Mamontov nel primo numero della rivista russa Christianos (Riga, 1991). Sono indirizzate a
Nadežda Adreevna Soboleva. Madre di famiglia e parrocchiana della chiesa russa "Les Trois
Hiérarques" a Parigi, fu fedele collaboratrice del metropolita Beniamino (1880-1961). Quando
questi fu nominato metropolita di Riga nel 194 7, la Soboleva lo seguì in Lettonia sovietica dove
successivamente entrò nel monastero di Piuštica assumendo il nome di madre Silvana. Lì morì nell'
ottobre 1979. Le Lettere di Silvano risalgono tutte alla fine della vita dello starec: l'ultima è stata
scritta due mesi prima della morte.
Le Note a margine di un catalogo di fiori provengono appunto da un catalogo di fiori trovato tra gli
oggetti di Silvano, che se ne era servito per annotare brevi pensieri. Sono state pubblicate sulla
rivista russa Vestnik (1988, pp. 223-227).
Gli altri scritti di Silvano sono stati ritradotti dalla prima edizione russa (Parigi 1952) curata dall'
archimandrita Sofronio: meno elaborata rispetto alle successive edizioni in inglese, greco e
francese, questa edizione - diffusa anche in centinaia di copie dattiloscritte in pieno regime
sovietico - conserva una maggior fedeltà al linguaggio e allo stile scarno ma profondissimo
dell'umile contadino Silvano.
LETTERE DI SAN SILVANO A NADEŽDA SOBOLEVA
Amata da Cristo Nadežda!
Ho ricevuto il vostro dollaro e prego il Signore per voi e per vostro figlio Boris. Il
Signore ci aspetta in cielo. Pregheremo e renderemo grazie al Signore. E misericordioso.
Ci ama molto, nonostante siamo peccatori, e ci attende presso di sé insieme ai suoi santi.
A motivo del Signore dobbiamo essere umili: allora ameremo i nostri nemici come il
Signore ci ha comandato (cf. Mt 5,44). Sopportiamo le afflizioni a motivo di Dio (cf. 1Pt
2,19-20) e quando l'anima vedrà il Signore e dimenticherà tutte le afflizioni per amore
suo, allora non ci ricorderemo più nemmeno di quel che ha fatto vostro figlio, talmente il
nostro Signore è buono e mite. Vi scrivo queste righe tra le lacrime, conoscendo il vostro
amore per Dio.
Schimamonaco Silvano peccatore, 1937
Il Signore venga in vostro aiuto assieme alla Madre di Dio e ai santi.
II
Rallegrati, cara Speranza (Nadežda) di Cristo! Il Signore misericordioso ama i suoi servi
e concede loro afflizioni sulla terra affinché nelle afflizioni l'anima impari l'umiltà e si
abbandoni alla volontà di Dio e affinché nel dolore possa trovare quel riposo di cui il
Signore ha detto: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per
le vostre anime" (Mt 11,29).
Sono stato al negozio, per mandarvi un'icona della Madre di Dio, ma non ne hanno una
come quella. Pregate la Madre di Dio e il santo martire Minas e la si troverà. Non è
necessario segnalare il fatto, ma affidarsi alla volontà di Dio: è meglio ancora. Dite al
proprietario dell'icona: la Madre di Dio gli manifesterà la sua grande misericordia. Basta
solo che renda grazie a Dio per tutto, al Signore e alla Madre di Dio... Non abbandonate
a se stesso vostro marito, pregate che possa morire nel pentimento. Ditegli che il Signore
ama i peccatori che si pentono, lui che ha sofferto ed è morto per noi sulla croce e che ci
ha preparato un posto nei cieli: "Dove sono io, là sarà anche il mio servo, perché veda la
mia gloria" (Gv 12,26; 17,24). Ah, se sapessimo quanto il Signore ci ama, noi che siamo
peccatori, e come ci dona lo Spirito! Attraverso lo Spirito possiamo conoscere il Signore
e il suo amore, ma con il nostro orgoglio perdiamo la grazia dello Spirito santo. Passioni
e vizi malvagi ci tormentano, ma dobbiamo combatterli, chiedendo giorno e notte l'aiuto
di Dio e della Madre di Dio: allora il Signore ci aiuterà.
Se poi non si riuscirà a trovare l'icona, bisogna affidarsi alla volontà di Dio. Il Signore
misericordioso ci osserva e sa ciò di cui abbiamo bisogno (cf. Mt 6,8). Noi non vediamo
il Signore, ma lui ci vede: dobbiamo imparare a vivere "secondo la volontà di Dio.
Vi scrivo nonostante una grande afflizione, perché vi voglio, bene, ma attraverso anch'io
un' ardua prova. E colpa mia, perché non ho ancora imparato l'umiltà di Cristo senza la
quale perdiamo la grazia dello Spirito santo: allora l'anima soffre nell' attesa della grazia.
In virtù della grazia di Cristo l'anima rimane calma anche nel dolore, ma le vostre
sofferenze sono davvero grandi. Tuttavia sono passeggere. Quando, dopo la morte, uno è
giudicato degno di vedere il Signore, non può ricordarsi dei suoi cari a motivo del
grande amore verso Dio. Ecco com'è nostro Signore. Scrivo, e il mio spirito si rallegra
della misericordia di Dio, della sua gloria.
O Signore, rendici degni di vederti nella gloria della tua bellezza indescrivibile.
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito santo.
Quanto ci ama il Signore, noi che siamo peccatori! E morto per noi sulla croce e ha
donato lo Spirito santo agli apostoli, ma noi lo perdiamo. Tuttavia il Signore fa dono
anche del pentimento e il Signore si rallegra del peccatore che si pente, dice la santa
Scrittura (cf. Lc 15,7).
Potete spaventare vostro marito dicendogli: "Se non ti ravvedi, ti abbandono", ma in
verità Dio non vuole che tu lo abbandoni.
Padre Metodio vi saluta e vi ringrazia per i soldi, che anch'io ho ricevuto. Il Signore ti
ricompensI.
O Santa Montagna dell' Athos, noi vediamo su di te molti miracoli grazie .alle preghiere
della Madre di Dio. Ci manca l'intelligenza per descriverli.
S. S. (1)
(Schimamonaco Silvano)
III
Cristo è risorto, cara Nadežda!
Vi sia concesso, a voi e a vostro figlio Boris, di amare il Signore con tutta la vostra
anima (cf. Mt 22,37). Il Signore ha detto: "Chi mi ama, osserva i miei comandamenti"
(Gv 14,23). Se osserverete i comandamenti, per ciò stesso aiuterete la chiesa. San
Serafino di Sarov ha vissuto nella foresta e ha aiutato la chiesa con la sua preghiera e ha
osservato i comandamenti del Signore. Così i santi del deserto hanno aiutato la chiesa
con la loro preghiera. Il vostro compito è di educare vostro figlio e di presentarlo puro a
Cristo; quando sarà puro, lo Spirito santo prenderà dimora in lui ed egli diventerà un
intercessore per il mondo intero; se poi perderà la grazia, piangerà come Adamo cacciato
dal paradiso. È difficile descrivere l'angoscia di Adamo, ma chi ha conosciuto il Signore
e poi ha perso questo amore capirà l'angoscia di Adamo. Così gridò: "L'anima mia,
Signore, è afflitta a causa tua, perché non ti vedo. Come potrei non essere afflitto? Il tuo
sguardo umile e mite ha attirato la mia anima, Signore. Il mio cuore si è innamorato di
te".
Ti consiglio quindi di restare a casa e di pregare con la preghiera del cuore, secondo le
tue forze. Dio sa quanto vi capisco e come mi auguro che già sulla terra siate con il
Signore e con la sua Madre tutta santa. Anche tutti i santi pregano per noi. Nello Spirito
santo amano il Signore e anche noi peccatori. Così il Signore misericordioso ha concesso
ai santi lo Spirito santo. Amano il Signore nello Spirito santo e anche il Signore li ama.
Se vostro figlio ama gli uomini di chiesa, i santi vescovi, i presbiteri e i monaci, allora
l'amore di Dio si è mostrato grande per lui. E se non li ama, allora sarà un laico. Quanto
ai comandamenti di Dio, per alcuni monaci è più facile osservarli. Vi chiedo di pregare
umilmente per me, affinché impari l'umiltà di Cristo, glorifichi il Creatore e renda grazie
per la sua grande misericordia, perché ha avuto pietà di me peccatore.
Santa Montagna dell' Athos, vediamo su di te molti miracoli e l'abbondanza della
misericordia divina, grazie alle preghiere della Madre di Dio.
Schimamonaco Silvano
Santa Montagna del Monte Athos
Padre Metodio ha detto che, se si mandano i soldi, l'icona è pronta. Cinque dollari con le
spese di spedizione.
IV
Rallegrati, cara Nadežda, di quanto il Signore ci ama, noi che siamo peccatori.
Ho ricevuto il vostro dollaro e l'ho dato affinché si preghi per voi e per i nomi che avete
chiesto di ricordare. Il rosario è stato benedetto con il legno della croce vivificante. L'ho
usato io stesso per pregare. Avrei voluto mandarvene uno nuovo, ma avete preferito uno
vecchio. Dite a Efimia, serva di Dio, che preghi con tutto il cuore per suo marito e che ne
sopporti le debolezze. Credo che si ravvederà. L'anima mia nutre grande affetto per lui.
Scrivetemi come sta, come ha accolto i miei consigli. Il Signore vi illumini in tutto.
Pregate per me, che ottenga l'umiltà e l'amore di Cristo: allora la mia morte sarà dolce.
Schimamonaco Silvano
V
Cristo è risorto!
Cara Nadežda, il Signore e la Madre di Dio consolino la vostra anima e quella di vostro
figlio Boris. Il Signore gli conceda di correggersi, ma bisogna affidarlo alla volontà di
Dio e vivere secondo la volontà di Dio. Da quarant'anni soffro di emicrania e la
sopporto: so che la malattia mi è stata data affinché non mi inorgoglisca (cf. 2Cor 12,7).
E ho capito: bisogna imparare l'umiltà di Cristo giorno e notte, così troveremo riposo (cf.
Mt 11,29). Se gli uomini sapessero cos'è l'umiltà di Cristo, e la mitezza e il riposo, allora
tutti abbandonerebbero ogni scienza e imparerebbero la mitezza e l'umiltà. Chi ha per
maestro lo Spirito santo desidera imparare l'umiltà di Cristo giorno e notte: è quanto io
mi auguro per tutti. Ricordatevi anche di me nella preghiera, affinché impari la mitezza e
l'umiltà di Cristo: è questo ciò cui anela l'anima mia, è questo il dono che desidero. Chi
ha conosciuto il Signore attraverso lo Spirito santo, langue per lui giorno e notte:
"Perché mi hai abbandonato, Signore? L'anima mia ti desidera giorno e notte. Come non
desiderarti? Il tuo sguardo calmo e mite ha attirato la mia anima e ora ti amo con tutto il
cuore". E se perde la grazia, desidererà il Signore come Adamo cacciato dal paradiso.
Adamo piangeva: "Signore, l'anima mia anela a te e in lacrime ti cerco". Similmente io
chiedo a tutti le loro sante preghiere, perché impari l'umiltà di Cristo e non perda la
grazia dello Spirito santo. E attraverso lo Spirito santo, infatti, che conosciamo il
Signore.
Ho ricevuto i vostri due dollari. Il Signore vi ricompensi. Il monastero prega per voi, e
anch'io, peccatore, prego. Non puoi ritirarti in monastero finché non ti sei accertata che
tuo figlio abbia trovato il suo posto. Il Signore accetta le preghiere in ogni luogo e in
ogni tempo.
Cara Nadežda, mantieni i tuoi pensieri in Dio e spera in lui. Ci ama molto, noi che siamo
peccatori, e ci proibisce di vacillare con i pensieri, vagando da uno all'altro senza
motivo. Trovate calma in Dio e dimenticate tutto ciò che è terreno per amore di Dio. Lui
stesso ci ha detto di amarlo con tutta l'anima e con tutto lo spirito (cf. Mt 22,37) fino a
dimenticare ciò che è terreno. State a casa e rendete grazie al Signore con tutta la vostra
anima. Chi rende grazie a Dio per le sue angosce ne avrà poche, perché ha affidato la
propria anima alla volontà di Dio e lo Spirito di Dio rende lieta l'anima mediante la
speranza in Dio. Quanti hanno posto la speranza in Dio trovano ovunque il riposo in Dio,
perché la grazia li rallegra nell'intimo dell'anima. Ma se qualcuno ha perso la grazia,
attraverso il pentimento la cerchi nuovamente e allora il Signore nuovamente la
concederà. Egli ci ama molto. Nell'evangelo dice: "lo salgo al Padre mio e Padre vostro,
al Dio mio e Dio vostro" (Gv 20,17). Vedete quanto ci ama. Queste parole sono colme di
pietà, di amore e di misericordia. Dobbiamo meditare giorno e notte che il Signore ci
ama, noi che siamo peccatori, e che ci chiama a sé. "Venite a me, voi che faticate sotto il
peso del fardello, e io vi darò riposo" (Mt 11,28). E il riposo in Dio vuol dire dimenticare
tutto ciò che è terreno affinché lo spirito non dimentichi l'amore. Anche se le mani
lavorano, l’anima non può dimenticare Dio, perché l'anima si è affezionata a lui e lo
Spirito di Dio rallegra l’anima. L'anima non teme le afflizioni terrene ma, al contrario,
teme di perdere l'amore di Dio perché, quando ne è privata, allora prova disgusto e
afflizione. Rendiamo grazie a Dio e a sua Madre tutta santa che intercede per noi presso
Dio. E invochiamo anche i santi, perché nello Spirito santo ci amano quanto il Signore.
Il Signore concede loro lo Spirito santo affinché preghino per noi. Chi, come me, è
corrotto, legga di più l'evangelo, si penta e il Signore misericordioso lo perdonerà e gli
darà la pace dell'anima.
Gloria a Dio per tutto.
Schimamonaco Silvano, luglio 1938
NOTE A MARGINE DI UN CATALOGO DI FIORI
Un’anima mite e umile è preferibile a questi fiori, e il suo aroma e il suo profumo sono
migliori e più belli. Il Signore ha fatto belli questi fiori, ma ama ancor più l’uomo e gli
ha donato lo Spirito santo che è più soave del mondo intero e gradito all’anima.
Dio ha fatto i fiori per l’uomo, perché l’anima glorifichi il Creatore nella creatura e lo
ami. Non bisogna dimenticare Dio nemmeno per un attimo, né di giorno né di notte,
perché ci ama. Amiamolo anche noi con tutte le nostre forze e chiediamogli la
misericordia e la forza di poter osservare i suoi santi comandamenti.
Io amo i fiori.
Ma ami il Signore e ami i nemici che ti affliggono?
Se li ami, allora sei un uomo di bene.
I santi amavano versare lacrime davanti a Dio, perché erano lieti di spirito; ma si
affliggono a causa nostra, perché viviamo male.
È bene se l’anima è abituata a pregare e a versare lacrime per il mondo intero. Ci sono
molti monaci che piangono per il mondo intero: lo so, lo credo. La Madre di Dio ama i
monaci obbedienti che si confessano spesso e non accolgono i pensieri malvagi. La
Madre di Dio si rattrista molto quando uno conduce una vita disordinata e impura; lo
Spirito santo non verrà in quell’anima. In essa ci sarà afflizione, acedia e irascibilità.
Possiamo conoscere Dio attraverso lo Spirito santo e non con la sola intelligenza.
L’uomo non conosce Dio alla maniera di un animale privo d’intelligenza. I monaci
sanno quanto amano il Signore e quanto il Signore li ama. "Io amo quelli che mi amano"
(cf. Gv 14,21), dice il Signore. "Glorificherò quelli che mi glorificano" (1Sam 2,30). È
cosa buona essere con Dio: l’anima trova in Dio il proprio riposo. È segno di amore
verso Dio mettere in pratica i suoi comandamenti. L’orgoglioso non può amare Dio. Chi
ama mangiare molto non può amare Dio come si deve. Per amare Dio bisogna rinunciare
a tutto ciò che è terreno, non essere attaccati a nulla, ma pensare sempre a Dio, al suo
amore e alla dolcezza dello Spirito santo.
L’obbedienza ci umilia; il digiuno e la preghiera originano a volte pensieri malvagi, che
ci f anno digiunare e pregare in modo orgoglioso. Se un novizio si abitua a pensare: "È il
Signore che guida il mio starec", allora sarà facilmente salvato grazie all’obbedienza. Per
chi obbedisce, tutto è virtù: la preghiera del cuore che gli è concessa per obbedienza, la
commozione e le lacrime. Costui ama il Signore e teme di offenderlo con una
trasgressione; poiché il Signore misericordioso gli concede pensieri santi e umili, egli
ama il mondo intero e innalza per il mondo preghiere accompagnate da lacrime: così la
grazia istruisce l’anima mediante l’obbedienza.
Dobbiamo pensare: il Signore mi ha condotto qui e mi ha affidato a questo starec. Il
Signore ci conceda di essere salvati. Il nemico ci tende numerosi tranelli, ma chi
manifesta i propri pensieri sarà salvato, perché lo Spirito santo è accordato al padre
spirituale per la nostra salvezza.
Il Signore si fa conoscere dai cuori semplici che obbediscono. Il re David era il fratello
minore e faceva il pastore (cf. 1Sam 16,11), e il Signore lo amava per la sua mitezza. I
miti sono sempre obbedienti. David ha scritto per noi il salterio in forza dello Spirito
santo che viveva in lui. Anche il profeta Mosè era pastore, presso suo suocero (cf. Es
3,1): ecco l’obbedienza. Anche la Madre di Dio era obbediente, così come i santi
apostoli. È la via che il Signore stesso ci ha insegnato. Dobbiamo custodirla e
riceveremo sulla terra i frutti dello Spirito santo.
I disobbedienti sono tormentati da pensieri malvagi: così il Signore vuole insegnarci a
essere obbedienti in modo da poter contemplare la sua abbondante misericordia già sulla
terra. La nostra mente sarà sempre occupata in Dio, la nostra anima sarà sempre umile.
Quando ero nel mondo, la gente mi lodava, e io credevo di essere buono. Ma quando
sono venuto in monastero, allora sì che ho incontrato persone veramente buone: io non
valgo quanto il loro mignolo o un laccio dei loro sandali. Ecco come ci si può sbagliare,
cadere nell’orgoglio e perdersi. Chi è veramente buono è raggiante di gioia e di letizia e
non è come me.
Noi viviamo secondo la nostra volontà e tormentiamo noi stessi. Chi vive secondo la
volontà di Dio è buono, gioioso, pacifico. Dimmi, o Adamo, come sfuggire all’afflizione
sulla terra? Non c’è consolazione sulla terra: solo tristezza che rode l’anima.
Abbandonati alla volontà di Dio: l’afflizione diminuirà e sarà più leggera, perché
l’anima sarà in Dio e troverà in lui consolazione. Il Signore infatti ama l’anima che si è
abbandonata alla volontà di Dio e ai padri.
Un’anima chiusa su se stessa non si apre al proprio padre spirituale e cade nell’illusione.
Vuole acquisire le realtà elevate, ma questo è un desiderio satanico, dice san Serafino.
Dobbiamo allontanare le passioni dell’anima e del corpo e fuggire l’illusione. Il Signore
si rivela ai semplici senza malizia (cf. Mt 11,25), non solo ai santi, ma anche ai
peccatori. Ecco come il Signore ci ama.
Siamo costantemente in guerra. Se sei caduto nell’illusione, corri subito dal tuo padre
spirituale e raccontagli tutto, affinché ti ricopra con il suo epitrachelion. Sappi che sei
stato riconfermato e che il demonio, da te accolto con la tua colpa, se n’è andato. Se non
ti penti, non ti correggerai prima della tomba. I demoni entrano ed escono dal nostro
corpo. Quando l’uomo cede all’ira, il demonio entra in lui; quando ritrova la pace, il
demonio lo lascia.
Se ti metti a pregare Dio e il demonio si leva contro di te non permettendoti di prostrarti
in preghiera, allora umiliati e di’: "Nessuno è peggiore di me". Il demonio sparirà
immediatamente. Essi temono enormemente l’umiltà, la contrizione e la confessione
sincera. Se ti accorgi che ci sono dei demoni in te e li senti conversare tra loro, non
scoraggiarti: abitano il tuo corpo, non la tua anima. Umiliati, ama il digiuno e non bere
vodka né vino. Se non hai obbedito al tuo igumeno o al tuo padre spirituale, allora c’è un
demonio in te: così accade dopo ogni peccato.
Se uno si confessa senza avere il cuore puro e segue la volontà propria, allora, anche se
si accosta ai santi misteri, i demoni abitano nel suo corpo e sconvolgono la mente. Se
vuoi che i demoni non abitino in te, allora umiliati, sii obbediente e distaccato, esegui
con amore e precisione i servizi che ti vengono chiesti e confessati con cuore puro. Il
padre spirituale indossa l’epitrachelion nello Spirito santo ed è simile a nostro Signore
Gesù Cristo e risplende in Spirito santo: ecco, quando il padre spirituale parla, lo Spirito
santo scaccia il peccato mediante le sue parole. Il padre spirituale e i presbiteri hanno lo
Spirito santo. Un anziano vedeva il suo padre spirituale nell’icona di Cristo: ecco quanto
il Signore ci ama!
Il Signore ama l’anima coraggiosa perché metta tutta la sua speranza nel Signore.
Dobbiamo imitare Adamo nel suo pentimento e nella sua pazienza. Dobbiamo amare e
venerare i pastori. Se non riusciamo a vedere in quale grazia dello Spirito santo sono i
pastori, è a causa del nostro orgoglio e del fatto che non ci amiamo gli uni gli altri.
All’anima che si converte il Signore concede, in cambio del pentimento, il dono dello
Spirito santo. L’anima ama Dio e nessuno può strapparla da questo amore. Il Signore
vuole che lo amiamo e che, per amore suo, ci umiliamo. Il Signore vuole che ci
rivolgiamo a lui con semplicità, come un bambino a sua madre (cf. Sal 131,2). Se siamo
orgogliosi, dobbiamo chiedere a Dio l’umiltà e il Signore concederà all’umile di
scorgere i tranelli dell’avversario. Il Signore ci ama molto e ci concede di sapere ciò che
avviene in cielo e come vivono i nostri fratelli che ci hanno preceduto e che sono
risultati graditi a Dio per la loro umiltà e il loro amore. Il Signore ha mostrato il paradiso
ai santi umili.
Il regno di Dio è in noi (cf. Lc 17,21). Dobbiamo esaminare se il peccato vive in noi.
Quando il padre spirituale dice una parola, il peccato viene bruciato nell’anima e l’anima
sperimenta la libertà e la pace. Se poi l’anima fa penitenza, allora il Signore le fa
conoscere la gioia e la letizia in Dio. Allora il regno di Dio è in noi.
L’anima deve umiliarsi profondamente, in ogni istante, al punto da umiliarsi persino
durante il sonno. I santi amavano umiliarsi e piangere: per questo il Signore li ha amati e
ha concesso loro di conoscerlo. L’amore di Dio si riconosce grazie allo Spirito santo che
vive nella nostra chiesa ortodossa.
Se fossimo umili, il Signore ci farebbe vedere il paradiso ogni giorno. Ma siccome non
siamo umili, dobbiamo lottare e ingaggiare battaglia contro noi stessi: se vinci te stesso,
il Signore ti darà il suo santo aiuto in ricompensa della tua umiltà e della tua fatica.
ALTRI SCRITTI DI SAN SILVANO
LE LACRIME DI ADAMO
Adamo, padre dell’umanità, in paradiso conobbe la dolcezza dell’amore di Dio; così,
dopo esser stato cacciato dal paradiso a causa del suo peccato e aver perso l’amore di
Dio, soffriva amaramente e levava profondi gemiti.
Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi.
La sua anima era tormentata da un unico pensiero: "Ho amareggiato il Dio che amo".
Non l’Eden, non la sua bellezza rimpiangeva, ma la perdita dell’amore di Dio che a ogni
istante attrae insaziabilmente l’anima a Dio.
Così ogni anima, che ha conosciuto Dio nello Spirito santo e ha poi smarrito la grazia,
prova lo stesso dolore di Adamo.
L’anima soffre e si tormenta per aver amareggiato il Signore che ama.
Adamo gemeva, sperduto su una terra che non gli procurava gioia; aveva nostalgia di
Dio e gridava:
"L’anima mia ha sete del Signore, in lacrime lo cerco. Come potrei non cercarlo?
"Quando ero con Dio, l’anima mia si rallegrava nella pace e l’avversario non poteva
farmi alcun male. Ora invece lo spirito malvagio si è impadronito di me e tormenta
l’anima mia. Ecco perché l’anima mia si strugge per il Signore fino a morire e non
accetta conforto alcuno; il mio spirito anela a Dio e nulla di terreno lo consola; ho
desiderio ardente di rivedere Dio (cf. Sal 42,2 ss.), di goderlo fino a saziarmene.
"Nemmeno per un attimo posso dimenticarmi di lui, l’anima mia langue per lui, gemo
dal grande dolore. Abbi pietà di me, o Dio, pietà della tua creatura caduta".
Così gemeva Adamo, e un fiume di lacrime gli solcava il volto, scorreva sul petto e
cadeva a terra. Il deserto intero riecheggiava dei suoi singhiozzi.
Bestie e uccelli erano ammutoliti di dolore.
E Adamo gemeva: per il suo peccato tutti avevano perduto la pace e l’amore.
Grande fu il dolore di Adamo dopo la cacciata dal paradiso, ma più grande ancora
quando vide il figlio Abele ucciso da Caino. Per l’immane sofferenza piangeva,
pensando: "Allora da me usciranno popoli, si moltiplicheranno sulla terra, ma solo per
soffrire tutti, per vivere nell’inimicizia e uccidersi a vicenda".
Come oceano immenso era il suo dolore: solo le anime che hanno conosciuto il Signore
e il suo ineffabile amore possono capirlo.
Io pure ho perso la grazia, e con Adamo imploro: "Abbi pietà di me, Signore. Donami lo
spirito di umiltà e di amore".
Come è grande l’amore del Signore! Chi ti ha conosciuto non si stanca di cercarti, e
giorno e notte grida: "Desidero te, Signore, in lacrime ti cerco. Come potrei non cercarti?
Sei tu che mi hai permesso di conoscerti nello Spirito santo e ora questa divina
conoscenza attira incessantemente la mia anima a te".
Adamo piangeva:
"Il silenzio del deserto,
non mi rallegra.
La bellezza di boschi e prati,
non mi dà riposo.
Il canto degli uccelli,
non lenisce il mio dolore.
Nulla, più nulla mi dà gioia.
L’anima mia è affranta
da un dolore troppo grande.
Ho offeso Dio, il mio amato.
E se ancora il Signore
mi accogliesse in paradiso,
anche là piangerei e soffrirei.
Perché ho amareggiato il Dio che amo".
Adamo, cacciato dal paradiso, sentiva sgorgare dal cuore trafitto fiumi di lacrime. Così
piange ogni anima che ha conosciuto Dio e gli dice:
"Dove sei, Signore?
Dove sei, mia luce?
Dove si è nascosta la bellezza del tuo volto?
Da troppo tempo l’anima mia
non vede la tua luce,
afflitta ti cerca.
Nell’anima mia non lo vedo. Perché?
In me non dimora. Cosa glielo impedisce?
In me non c’è l’umiltà di Cristo
né l’amore per i nemici".
Sconfinato, indescrivibile amore: questo è Dio.
Adamo andava errando sulla terra: nel cuore lacrime amare, la mente continuamente in
Dio. E quando il corpo esausto non aveva più lacrime da piangere, era lo spirito ad
ardere per Dio, non potendo dimenticare il paradiso e la sua bellezza. Ma l’anima di
Adamo amava Dio più di ogni altra cosa e, forte di questo amore, a lui incessantemente
anelava.
Adamo, di te io scrivo; ma tu vedi che troppo debole è la mia mente per capire l’ardore
del tuo desiderio di Dio e il peso della tua penitenza.
Adamo, tu vedi quanto io, tuo figlio, soffro sulla terra. In me non c’è più fuoco ormai, la
fiamma del mio amore si sta spegnendo.
Adamo, canta per noi il cantico del Signore: l’anima mia esulti di gioia nel Signore (cf.
Lc 1,47), si levi a cantarlo e glorificarlo, come nei cieli lo lodano i cherubini, i serafini e
tutte le potenze celesti.
Adamo, nostro padre, canta per noi il cantico del Signore: tutta la terra lo senta, tutti i
tuoi figli levino i loro cuori a Dio, gioiscano al dolce suono dell’inno del cielo,
dimentichino le sofferenze della terra.
Adamo, nostro padre, narra il Signore a noi, tuoi figli! L’anima tua conosceva Dio,
conosceva la dolcezza e la gioia del paradiso. E ora tu dimori nei cieli e contempli la
gloria del Signore.
Narraci come il Signore nostro è glorificato per la sua passione, come vengono cantati i
cantici in cielo, come sono dolci gli inni proclamati nello Spirito santo.
Narraci la gloria di Dio, quanto è misericordioso, quanto ama la sua creatura.
Narraci della santa Madre di Dio, quanto è esaltata nei cieli, quali inni la proclamano
beata.
Narraci come gioiscono i santi lassù, come risplendono di grazia, come amano il
Signore, con quale santa umiltà stanno davanti al suo trono.
Adamo, consola e rallegra le nostre anime affrante.
Narraci: cosa vedi nei cieli?
Non rispondi?
Perché questo silenzio?
Eppure, la terra intera è avvolta di sofferenza.
Tanto ti assorbe l’amore divino da non poterti ricordare di noi?
Oppure vedi la Madre di Dio nella gloria e non puoi distogliere gli occhi da quella
celeste visione e per questo lasci i tuoi figli nella desolazione, orfani di una parola di
affetto? È per questo che non ci consoli e non ci permetti di scordare le amarezze della
nostra vita terrena?
Adamo, nostro padre, non rispondi?
Il dolore dei tuoi figli sulla terra tu lo vedi.
Perché dunque questo silenzio? Perché?
Adamo risponde:
"Figli miei, amati, non turbate la mia pace. Non posso distogliermi dalla visione di Dio.
L’anima mia, ferita dall’amore del Signore, si delizia della sua bontà. Chi vive nella luce
del volto del Signore non può ricordarsi delle cose terrene".
Adamo, nostro padre, hai forse abbandonato noi, tuoi figli ormai orfani? Ci hai lasciati
immersi nell’abisso dei mali della terra?
Narraci: come piacere a Dio?
Ascolta i tuoi figli dispersi sulla terra: il loro spirito si disperde nei pensieri del loro
cuore (cf. Lc 1,5 1) e non può accogliere la divinità. Molti si sono allontanati da Dio,
vivono nelle tenebre e camminano verso gli abissi dell’inferno.
"Non turbate la mia estasi. Contemplo la Madre di Dio nella gloria e non posso distrarre
la mente da questa visione per parlare con voi. Contemplo anche i santi profeti e apostoli
e sono pervaso di stupore perché li vedo in tutto simili al Signore Gesù Cristo, Figlio di
Dio.
"Cammino nell’Eden e ovunque contemplo la gloria del Signore: egli vive in me e mi ha
reso simile a lui. A tal punto il Signore glorifica l’uomo!".
Adamo, parla con noi! Siamo tuoi figli e qui sulla terra soffriamo.
Narraci come ereditare il paradiso, affinché noi pure, come te, possiamo contemplare la
gloria del Signore. Le anime nostre soffrono per la lontananza dal Signore, mentre tu nei
cieli ti rallegri ed esulti nella gloria divina.
Ti supplichiamo: consolaci!
"Figli miei, perché gridate a me?
"Il Signore vi ama e vi ha dato i comandamenti della salvezza. Osservateli, soprattutto
amatevi gli uni gli altri (cf. Gv 13,34): così troverete riposo in Dio. In ogni istante
pentitevi dei vostri peccati: così sarete ritenuti degni di andarvene incontro a Cristo. Il
Signore ha detto: ‘Amo quelli che mi amano’ (cf. Gv 14,21) e ‘glorificherò quelli che mi
glorificano’ (1Sam 2,30)".
Adamo, prega per noi, tuoi figli!
L’anima nostra è oppressa da molti mali.
Adamo, nostro padre, nei cieli tu contempli il Signore che è seduto nella gloria alla
destra del Padre; vedi i cherubini, i serafini e i santi tutti; ascolti canti celesti e l’anima
tua è rapita da tanta dolcezza. Ma noi, quaggiù, esclusi dalla grazia, siamo costantemente
afflitti e abbiamo sete di Dio.
Si estingue in noi il fuoco dell’amore del Signore, siamo oppressi dal peso delle nostre
colpe. Una tua parola ci sia di conforto; canta a noi un canto che ascolti nei cieli: lo senta
la terra intera e gli uomini tutti dimentichino le loro miserie.
Adamo, la tristezza ci opprime!
"Figli miei, non turbate la mia pace. Passato è il tempo delle mie sofferenze. Nella
dolcezza dello Spirito santo e nelle delizie del paradiso, come ricordarmi della terra?
"Questo solo vi dirò: Il Signore vi ama: vivete nell’amore! ‘Obbedite ai vostri superiori’
(Eb 13,17), umiliate i vostri cuori.
"Lo Spirito di Dio allora porrà la sua tenda in voi (cf . Gv 1,14). Viene nella quiete e
all’anima dona pace; muto (cf. Sal 19,4), testimonia la sua salvezza.
"Cantate a Dio con amore e umiltà di spirito: di questo si rallegra il Signore".
Adamo, nostro padre, che fare?
Cantare, cantiamo. Ma in noi né amore né umiltà.
"Pentitevi davanti al Signore, e pregate. Concederà ogni cosa agli uomini che tanto ama
(cf. Gv 3,16). Anch’io mi sono pentito e ho sofferto per aver amareggiato il Signore,
perché per i miei peccati la pace e la gioia erano state tolte dalla faccia della terra. Un
fiume di lacrime solcava il mio volto, mi scorreva sul petto e cadeva a terra; il deserto
intero riecheggiava dei miei singhiozzi. Non potete penetrare l’abisso della mia
afflizione, né il mio pianto a causa di Dio e del paradiso. In paradiso ero felice: lo Spirito
di Dio mi colmava di gioia, mi preservava libero da sofferenze.
"Ma, cacciato dal paradiso,
fiere e uccelli, che prima mi amavano,
presero a temermi e a fuggire lontano;
pensieri malvagi mi laceravano il cuore;
freddo e fame mi tormentavano;
il sole mi bruciava,
il vento mi sferzava,
la pioggia mi inzuppava:
ero sfinito dalle malattie
e da tutte le disgrazie della terra.
Ma tutto sopportavo, sperando in Dio
contro ogni speranza (cf. Rm 4,18).
"Figli miei, sopportate anche voi le fatiche della penitenza; amate le afflizioni;
sottomettete il corpo con l’ascesi e la sobrietà; umiliatevi e amate i nemici (cf. Mt 5,44):
lo Spirito santo dimorerà in voi. Allora conoscerete e troverete il regno di Dio.
"Ma non turbate la mia pace. Per l’amore di Dio non posso ricordarmi della terra. Ho
dimenticato tutte le cose terrene, persino lo stesso paradiso da me perduto, perché
contemplo la gloria eterna del Signore e la gloria dei santi che risplendono della stessa
luce del volto di Dio".
Adamo, canta per noi, cantaci il canto celeste: la terra intera lo ascolti e goda della pace
di Dio. Sono inni soavi, cantati nello Spirito santo e noi desideriamo ascoltarli.
Adamo aveva perduto il paradiso terrestre. In lacrime lo cercava:
"Paradiso mio, paradiso mio, paradiso meraviglioso!".
Ma il Signore nel suo amore gli fece dono, sulla croce (cf. Lc 23,43), di un paradiso
migliore di quello perduto, un paradiso celeste dove rifulge la luce increata della santa
Trinità.
Come contraccambiare l’amore del Signore per noi (cf. Sal 116,12)?
HO VISTO IL SIGNORE VIVENTE
Durante la mia infanzia mi chiedevo in che modo il Signore fosse asceso al cielo sulle
nuvole e come la Madre di Dio e i santi apostoli avessero visto questa ascensione.
Quando però nella giovinezza smarrii la grazia di Dio, l’anima mia si indurì lasciandosi
incantare dal peccato, e solo raramente pensavo all’ascensione del Signore. In seguito
riconobbi il mio peccato e ne fui molto addolorato: avevo offeso il Signore, smarrendo la
fiducia in lui e nella Madre di Dio. Provai un profondo disgusto per il mio peccato e
decisi di entrare in monastero, per implorare e supplicare da Dio il perdono per i miei
molti peccati.
Appena terminato il servizio militare, entrai in monastero, ma poco dopo mi assalirono
pensieri carnali che mi spingevano a tornare nel mondo e a sposarmi. Ma io non cessavo
di ripetere con risolutezza: "Morirò qui per i miei peccati". Cominciai a pregare
intensamente il Signore affinché nella sua misericordia perdonasse i miei molti peccati.
Una volta fui preda dello spirito di disperazione: sembrava che Dio mi avesse rigettato
per sempre e che per me non ci fosse più salvezza. Percepivo in me con chiarezza di
trovarmi sull’orlo della perdizione eterna e che Dio era inesorabilmente spietato nei miei
confronti. Rimasi in preda a questo spirito per più di un’ora. L’angoscia e la tortura
provocate da questo spirito sono tali che il semplice ricordo è terribile. L’anima non può
sopportarlo a lungo: in momenti simili ci si può perdere per l’eternità. Il Signore
misericordioso ha permesso allo spirito della malvagità infernale di muovere guerra
all’anima mia.
Dopo un po’ mi recai in chiesa per i vespri e, fissando lo sguardo sull’icona del
Salvatore, esclamai: "Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore!". A quelle parole
vidi, al posto dell’icona, il Signore vivente, e la grazia dello Spirito santo mi riempì
totalmente l’anima e il corpo. Così conobbi, nello Spirito santo, che Gesù Cristo è Dio, e
questa grazia divina fece sorgere in me il desiderio di soffrire per Cristo.
Da quel preciso istante l’anima mia anela al Signore, e null’altro più mi rallegra sulla
terra: la mia unica gioia è Dio. È lui la mia letizia, la mia forza, la mia speranza, il mio
bene.
NON DISPERARE!
Il Signore chiama al pentimento l’anima che ha peccato: se essa ritorna al Signore, questi
nella sua misericordia la accoglie e le si manifesta.
L’anima di un tale uomo ha conosciuto Dio, il Dio buono, pietoso e dolcissimo (cf. Sal
103,8), lo ha amato intensamente e, insaziabile, anela a lui con amore ardente e totale: né
giorno né notte, nemmeno per un attimo riesce a separarsi da lui.
Quando invece la grazia viene meno, a cosa paragonerò il dolore dell’anima? Con
struggente invocazione si rivolge a Dio perché faccia tornare in lei la grazia di cui già ha
potuto gustare tutta la dolcezza.
Straordinario! Il Signore non ha dimenticato me, sua creatura caduta! C’è chi si dispera
perché crede che il Signore non perdonerà il suo peccato. Ma pensieri simili vengono
dall’avversario. La misericordia del Signore è tale che noi non riusciamo neanche a
percepirla in pienezza. L’anima che nello Spirito santo è stata colmata dall’amore di Dio
conosce davvero lo smisurato amore del Signore per l’uomo. Ma quando smarrisce
questo amore, allora è angosciata, affranta: la mente non pensa ad altro ma cerca Dio
solo.
Un diacono un giorno mi raccontava: "Ho visto Satana vestito da angelo di luce e mi ha
lusingato dicendomi: ‘Io amo gli ambiziosi: saranno mia proprietà! Tu sei ambizioso e
perciò ti prenderò con me!’. Ma io gli risposi: ‘Sono il peggiore di tutti’. Satana, allora,
immediatamente sparì".
Anch’io ho vissuto qualcosa di simile quando mi apparvero i demoni. Nella mia paura
esclamai: "Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare. Dimmi tu cosa fare
perché fuggano lontano da me". E il Signore mi confidò: "I demoni non cessano di
tormentare le anime orgogliose". Replicai: "Signore, illuminami: quali pensieri
renderanno umile la mia anima?". Questa la risposta che ricevetti: "Tieni il tuo spirito
agli inferi, e non disperare!".
Da allora iniziai a fare così e tutto il mio essere ha trovato pace in Dio.
L’anima mia impara l’umiltà dal Signore. Mistero insondabile: il Signore mi si è
manifestato e ha ferito il mio cuore con il suo amore, poi si è nascosto e ora la mia anima
anela a Dio giorno e notte (cf. Sal 42,2 ss.). Egli, come pastore buono e misericordioso, è
venuto a cercare me, la sua pecora ferita dai lupi, e mi ha curato.
LA PACE
Che fare per conoscere la pace nel proprio cuore e nel proprio corpo? Bisogna amare
tutti gli uomini come se stessi ed essere pronti a morire in ogni istante. Se pensi alla
morte, diventi umile, ti lasci guidare interamente da Dio, desideri essere in pace con tutti
e amare tutti. Quando la pace di Cristo entra in te, ti rallegri di essere come Giobbe,
seduto sulla spazzatura (cf. Gb 2,8). Gli altri conoscono gli onori, tu invece sei lieto di
essere il più maltrattato. L’umiltà di Cristo è una grande cosa, così misteriosa che non si
può spiegarla agli altri. Nel tuo amore, ti auguri il bene degli altri più del tuo. Sei felice
quando vedi gli altri star meglio di te e sei triste quando vedi gli altri soffrire (cf. Rm
12,15).
Ogni uomo desidera la pace, ma non sa come ottenerla. Un giorno abba Paissios cadde in
preda all’ira e invocò il Signore: "Ti prego, liberami dall’ira!". Il Signore gli apparve e
gli disse: "Paissios, se non vuoi adirarti, non desiderare nulla, non giudicare il fratello,
non detestare nessuno: così non sarai più preda dell’ira". Così è infatti: chi rinuncia alla
volontà propria per seguire quella di Dio e degli altri avrà sempre la pace nel cuore. Chi
invece obbliga gli altri a fare ciò che vuole, non conoscerà mai la pace.
Se qualcosa ti rattrista, pensa: "Il Signore conosce il mio cuore: se questa è la sua
volontà, tutto concorrerà al bene mio e degli altri" (cf. Rm 8,28). Così dimorerai sempre
nella pace. Se invece cominci a lamentarti e a dire: "Questo non va, non è cosa buona",
allora, per quanto tu digiuni e preghi, il tuo cuore non conoscerà mai la pace.
Vuoi custodire la pace nel cuore? Vigila sul tuo spirito: custodisci i pensieri graditi a Dio
e allontana quelli malvagi. Presta attenzione a quanto avviene nel tuo cuore. Chiediti
sempre se il tuo cuore è in pace. Se non lo è, chiediti cosa hai fatto di male. Sii sobrio
perché il tuo cuore dimori in pace: infatti la pace si perde anche per colpa del corpo.
A volte succede di parlare male di qualcuno che non si conosce e che è un amico di Dio.
Preòccupati solo di ciò che riguarda te, di quanto ti viene ordinato dall’igumeno o dal
padre spirituale. Allora il Signore ti darà la sua forza perché tu possa obbedire, e sentirai
in te i frutti dell’obbedienza: la pace e la preghiera continua. Vivendo in comunità
perdiamo la pace di Dio perché non abbiamo imparato ad amare il fratello come ci
chiede il Signore. Per esempio: tuo fratello ti insulta e tu lasci che l’ira s’impadronisca
del tuo cuore. Lo giudichi e arrivi a detestarlo: allora senti che l’amore ti abbandona e
non hai più la pace. Se vuoi avere la pace del cuore, prendi l’abitudine di amare chi ti fa
del male e di pregare subito per lui (cf. Mt 5,44). Vuoi la pace del cuore? Chiedi con
tutte le forze al Signore: "Concedimi di amare tutti gli uomini".
Il Signore sa che se non amiamo i nostri nemici non avremo mai la pace del cuore. Per
questo ci ha lasciato il comandamento di amare i nemici (cf. Mt 5,44). Se non amiamo i
nemici, avremo magari dei momenti di calma, ma non potrà durare. Se invece li amiamo,
la pace resterà nel nostro cuore, giorno e notte. Quando lo Spirito ti concede la pace,
guarda di non perderla occupandoti di cose senza importanza. Se dai la pace al fratello, il
Signore te ne darà ancora di più. Ma se fai soffrire tuo fratello, la tristezza si impadronirà
anche di te.
Per conoscere la pace, medita la legge del Signore, giorno e notte (cf. Sal 1,2). È lo
Spirito che ha scritto questa legge, e lo Spirito passerà dalla sacra Scrittura al tuo cuore.
Proverai allora una dolcezza così grande che non sentirai più alcun gusto per le cose
materiali. Se ami i beni terreni, il tuo cuore si svuota, tu diventi triste, indurito e non hai
più voglia di pregare. L’avversario vede che non dimori più in Dio, ti attacca e semina
liberamente nel tuo spirito ciò che vuole (cf. Lc 11,24-25). Ti suggerisce un pensiero
dopo l’altro e così tu passi tutta la giornata senza quiete e non riesci a contemplare Dio
con cuore puro. Se un pensiero impuro ti si affaccia alla mente, caccialo
immediatamente: così conserverai la pace del cuore. Se invece lo accogli, perderai
l’amore di Dio e non potrai più pregare con fiducia.
Quando perdi la pace?
Quando pensi, anche per un attimo,
di aver fatto qualcosa di buono;
quando ti credi migliore del fratello;
quando giudichi qualcuno (cf. Mt 7,1-5);
quando rimproveri senza dolcezza
e senza amore;
quando mangi molto;
quando preghi senza zelo.
Se perdi la pace, piangi i tuoi peccati e il Signore te li perdonerà. La gioia e la pace
prenderanno nuovamente dimora nel tuo cuore e sentirai lo Spirito stesso dirti: "Ti sono
perdonati i tuoi peccati!" (Lc 7,48). Non hai bisogno di altri testimoni: l’odio per il tuo
peccato è la prova che il Signore l’ha perdonato.
Come può conservare la pace un igumeno se i fratelli non gli obbediscono? È faticoso
per lui, ed è motivo di sofferenza (cf. Eb 13,17). Per conservare la pace deve pensare:
"Questi fratelli non mi obbediscono, ma il Signore li ama ugualmente: ha sofferto fino
alla morte per la loro salvezza. Allora io devo pregare per loro con tutte le mie forze". Il
Signore concederà poi la pace a colui che prega. Tu sai per esperienza che chi prega si
accosta a Dio con fiducia e amore, eppure anche tu sei un uomo peccatore. Ma il Signore
ti farà gustare i frutti della preghiera. Prendi l’abitudine di pregare così per coloro che ti
sono affidati da Dio: la tua anima conoscerà una pace profonda e un grande amore.
Se sei responsabile degli altri e devi giudicare qualcuno per le sue cattive azioni, prega
prima il Signore: "Donami un cuore pieno di bontà" (cf. 1Re 3,9-12). Il Signore ama un
cuore così. Allora potrai giudicare con giustizia. Se invece giudichi considerando solo le
azioni, sicuramente ti sbaglierai e non sarai gradito al Signore.
Un fratello può conservare la pace quando ha un igumeno violento e malvagio? Chi si
adira con frequenza soffre molto anche lui: è abitato da uno spirito malvagio e soffre a
motivo del proprio orgoglio. Devi essere cosciente di questo e pregare molto per il tuo
igumeno che soffre di questo male. Il Signore vede la tua pazienza: perdonerà i tuoi
peccati e ti concederà la preghiera ininterrotta.
Pregare per quanti ci odiano e ci fanno soffrire è un’azione molto bella agli occhi di Dio.
Il Signore allora ti darà la sua forza, giungerai alla sua conoscenza nello Spirito santo e,
nel suo nome, sopporterai ogni dolore con gioia.
Su questa terra siamo tutti inquieti e cerchiamo di essere liberi. Ma che cos’è la libertà?
E come diventare liberi? Pochi lo sanno. Anch’io anelo alla libertà e la cerco giorno e
notte. Io so che è presso Dio. Dio fa dono della libertà a chi ha il cuore umile e piange i
propri peccati. Costui non desidera più fare ciò che gli piace, ma ciò che piace a Dio.
Quando uno piange i propri peccati, il Signore gli concede la sua pace e lo rende libero
di amare. Non c’è nulla di meglio al mondo che amare Dio e gli altri.
Il Signore non vuole la morte del peccatore (cf. Ez 33,11). Quando questi piange le
proprie colpe, il Signore gli dà la forza dello Spirito santo. Questa forza produce la pace
e l’uomo è libero di essere in Dio con lo spirito e con il cuore. Quando lo Spirito santo
perdona i nostri peccati, ci dà la libertà di pregare Dio con uno spirito puro. Allora
contempliamo Dio liberamente e in lui troviamo la pace e la gioia. Questo significa
essere veramente liberi. Ma senza Dio non si può essere liberi.
IL DONO DEL PENTIMENTO Questo scritto è dunque databile al 1938, l'anno della morte di Silvano.
Può essere considerato il suo testamento spirituale.
Signore, l’anima mia ti ha conosciuto e ora scrivo della tua misericordia per il tuo
popolo.
Popoli tutti, non affliggetevi per la difficoltà della vita. Solamente, lottate contro il
peccato e invocate l’aiuto di Dio: vi darà il necessario, perché è misericordioso e ci ama.
Popoli tutti, l’anima mia desidera che conosciate il Signore e contempliate la sua
misericordia e la sua gloria. Ho settantadue anni e la mia morte è vicina: scrivo sulla
misericordia del Signore che mi è stata rivelata per mezzo dello Spirito santo.
Se solo potessi farvi salire su un alto monte! Dall’alta vetta vedreste il volto mite e
misericordioso del Signore e i vostri cuori esulterebbero.
In verità vi dico: nulla di buono conosco in me, e i miei peccati sono numerosi, ma la
grazia dello Spirito santo ha cancellato i miei peccati.
Così so che a tutti coloro che lottano contro il peccato il Signore dona non solo il
perdono, ma anche la grazia dello Spirito santo, grazia che rallegra l’anima colmandola
di pace, soave e profonda.
O Signore, tu ami le tue creature. Ma chi potrebbe conoscere il tuo amore, chi ne
gusterebbe la dolcezza, se non lo istruissi tu stesso nello Spirito santo?
Allora ti prego, Signore, manda sul mondo - questo mondo che è tuo - la grazia dello
Spirito santo, affinché tutti conoscano il tuo amore. Consola gli uomini dal cuore
oppresso: nella gioia glorificheranno la tua misericordia.
Consolatore buono, con le lacrime agli occhi ti supplico: conforta le anime angosciate
degli uomini; fa’ conoscere a tutti i popoli la tua voce soave che annuncia: "Vi sono
rimessi i peccati" (cf. Mc 2,5). Sì, o misericordioso, tu solo puoi compiere meraviglie e
non vi è meraviglia più grande di questa: amare un peccatore nella sua miseria (cf. Rm
5,6-8). Amare un santo è facile: ne è degno. O Signore, ascolta la preghiera della terra!
Tutti i popoli sono angosciati, tutti intristiti nei peccati, tutti privati della tua grazia:
vivono tutti nelle tenebre.
Popoli tutti, terra tutta, gridiamo al Signore! La nostra preghiera troverà ascolto: il
Signore si rallegra del pentimento e della conversione degli uomini (cf. Lc 15,7.10).
Tutte le potenze celesti attendono che anche noi gustiamo la dolcezza dell’amore di Dio
e contempliamo la bellezza del suo volto.
Serena e dolce è la vita degli uomini sulla terra se trascorre nel santo timore di Dio. Oggi
invece gli uomini vivono secondo volontà e ragione umane, hanno abbandonato i santi
comandamenti e confidano di trovare la felicità altrove che nel Signore. Non sanno che
solo il Signore è la nostra vera gioia e che solo nel Signore l’uomo trova la felicità.
Come il sole ravviva i fiori del campo,
come il vento li culla,
così il Signore riscalda l’anima,
così le infonde vita.
Il Signore ci ha fatto dono di ogni cosa perché potessimo glorificarlo. Ma il mondo
questo non lo capisce. E come potrebbe capire ciò che non ha veduto né provato? Io
stesso, quando ero nel mondo, pensavo così: "Essere sano, attraente, ricco e stimato
dagli uomini: ecco la felicità!" e avevo motivo di orgoglio. Ma quando ho conosciuto il
Signore per mezzo dello Spirito santo, allora ho cominciato a capire che tutta la gloria
del mondo è come fumo che il vento disperde.
Ora la grazia dello Spirito santo infonde gioia e letizia nell’anima mia: in questa
profonda pace contemplo il Signore e dimentico la terra.
Signore, riconduci a te il tuo popolo (cf. Lc 1,16): conoscerà il tuo amore e tutti
vedranno nello Spirito santo la mitezza del tuo volto. Tutti possano godere già qui sulla
terra della visione del tuo volto: contemplandoti come sei, diventeranno simili a te (cf.
1Gv 3,2).
Gloria al Signore che ci ha donato il pentimento: nel pentimento tutti saremo salvati,
tutti, senza eccezioni. Solo chi non si pente non sarà salvato: io vedo la sua disperazione
e perciò piango di compassione per lui. Se ogni anima conoscesse il Signore, se
comprendesse quanto ci ama, nessuno dispererebbe della propria salvezza, nessuno
alzerebbe lamenti.
Cos’altro dobbiamo aspettare? Che qualcuno intoni per noi una melodia celeste? Ma lo
Spirito che opera è l’unico e il medesimo (cf. 1Cor 12,11):
nel cielo,
tutto vive per opera dello Spirito santo;
sulla terra,
a noi è dato il medesimo Spirito santo;
nelle chiese di Dio,
le divine liturgie
si compiono nello Spirito santo;
"nei deserti, sui monti,
nelle caverne" (Eb 11,38),
ovunque gli asceti di Cristo
vivono nello Spirito santo.
Se lo custodiamo, ci renderà liberi (cf. Gv 8,31-36) da ogni tenebra, e la vita eterna
dimorerà in noi. Se tutti gli uomini si pentissero e osservassero i comandamenti di Dio,
avremmo il paradiso sulla terra, perché il regno di Dio è dentro di noi (cf. Lc 17,21). Il
regno di Dio è lo Spirito santo, e lo Spirito santo è il medesimo in cielo come in terra.
Il Signore dona il paradiso e il regno eterno al peccatore che si pente. Nella sua infinita
misericordia fa dono di se stesso, non ricorda i nostri peccati, come non ha ricordato
quelli del ladrone sulla croce (cf. Lc 23,39-43).
Grande è la tua misericordia, Signore.
Chi potrà renderti grazie in modo adeguato per aver effuso sulla terra il tuo Spirito santo
(cf. Gv 19,30)?
Grande è la tua giustizia, Signore.
Agli apostoli hai promesso: "Non vi lascerò orfani" (Gv 14,18). Noi ora viviamo di
questa misericordia e la nostra anima avverte che il Signore ci ama. Chi non lo avverte,
si penta: il Signore gli concederà la grazia a guida della sua anima. Se però vedi un
peccatore e non ne provi compassione, allora la grazia ti abbandonerà. Abbiamo ricevuto
il comandamento dell’amore (cf. Gv 13,34) e l’amore di Cristo ha compassione di tutti, e
lo Spirito santo ci infonde la forza di compiere il bene.
Spirito santo, non abbandonarci!
Quando tu sei in noi,
l’anima avverte la tua presenza,
trova in Dio la sua beatitudine:
tu ci doni l’amore ardente per Dio.
Il Signore ha tanto amato gli uomini, sue creature (cf. Gv 3,16), che li ha santificati nello
Spirito santo e li ha resi suoi simili. Misericordioso è il Signore (cf. Sal 103,8), e lo
Spirito santo infonde in noi la forza di essere misericordiosi. Umiliamoci, fratelli. Con il
pentimento riceveremo in dono un cuore compassionevole: allora vedremo la gloria del
Signore, conosciuta dall’anima e dalla mente per grazia dello Spirito santo.
Chi si pente in verità è pronto a sopportare qualsiasi tribolazione: "fatica e travaglio,
fame e sete, freddo e nudità" (2Cor 11,27), disprezzo ed esilio, ingiustizia e calunnia; la
sua anima infatti è tesa verso Dio e non si preoccupa delle cose del mondo (cf. 1Cor
7,32-34), ma si rivolge a Dio con preghiera pura.
Chi è attaccato alle ricchezze e al denaro non può mai dimorare in Dio con spirito puro
(cf. Lc 16,13): la sua anima è costantemente preda della preoccupazione di cosa fare di
questi beni terreni. Se non si pente sinceramente e non si rattrista per aver peccato
davanti a Dio, morirà prigioniero di quella passione, senza conoscere il Signore.
Quando ti prendono ciò che possiedi, tu dallo (cf. Mt 5,40-42): l’amore di Dio non
oppone rifiuto.
Ma chi non ha conosciuto l’amore di Dio non può essere misericordioso: la gioia dello
Spirito santo non dimora nella sua anima.
Se il Signore misericordioso
ha sofferto per donarci lo Spirito santo
che procede dal Padre,
se ci ha dato il suo corpo e il suo sangue,
allora è evidente
che ci darà anche tutto il resto
di cui abbiamo bisogno
(cf. Lc 11,9-13; Mt 6,33).
Abbandoniamoci alla volontà di Dio: vedremo la sua provvidenza e il Signore ci colmerà
al di là di ogni nostra attesa.
Il Signore perdona i peccati di chi ha compassione del fratello. L’uomo misericordioso
non ricorda il male ricevuto: anche se lo hanno maltrattato e offeso, anche se gli hanno
tolto ciò che possedeva, il suo cuore non si turba perché conosce la misericordia di Dio.
Nessun uomo può rapire la misericordia del Signore: è inviolabile perché abita nell’alto
dei cieli, presso Dio (cf. Mt 6,20).
Il mio spirito è debole: come candela si spegne al minimo soffio di vento; lo spirito dei
santi invece è ardente: come roveto che non si consuma (cf. Es 3,2) non teme alcun
vento. Chi mi darà un ardore tale che il mio amore per Dio non conosca riposo, né di
giorno né di notte (cf. Sal 132,3-4)? L’amore di Dio è fuoco divorante: per esso i santi
sopportarono ogni tribolazione e ricevettero il dono dei miracoli. Guarivano i malati,
risuscitavano i morti, camminavano sull’acqua, si sollevavano da terra durante la
preghiera, facevano scendere la pioggia dal cielo. Io vorrei imparare solo l’umiltà e la
mitezza di Cristo (cf. Mt 11,29): nel suo amore possa io non offendere mai nessuno e
giungere a pregare per tutti come per me stesso.
Povero me! Scrivo sull’amore di Dio. Ma Dio non lo amo come dovrei. Per questo, triste
e afflitto, come Adamo cacciato dal paradiso, gemo a gran voce: "Signore, abbi pietà di
me, tua creatura caduta". Quante volte mi hai fatto dono della tua grazia! E io nella mia
vanagloria non l’ho custodita! Eppure l’anima mia ti conosce, mio Creatore e mio Dio,
perciò ti cerco gemendo, come Giuseppe trascinato schiavo in Egitto (cf. Gen 37,28).
Ti ho amareggiato con i miei peccati e tu hai distolto da me il tuo volto. L’anima mia
desidera te e soffre per la tua lontananza.
Spirito santo, non mi abbandonare! Quando ti allontani da me, i pensieri malvagi
assalgono il mio cuore: l’anima mia piange lacrime amare.
Signora tutta santa, Madre di Dio, tu conosci il mio dolore; vedi che ho amareggiato il
Signore e lui mi ha abbandonato. Ti supplico: salva me, creatura di Dio; salva me, servo
tuo.
Se pensi male degli uomini, uno spirito malvagio vive in te e ti ispira pensieri malvagi
contro i fratelli. Se uno muore senza pentirsi, senza perdonare al fratello, l’anima sua
sarà là dov’è lo spirito malvagio che l’ha resa schiava.
Questa è la verità: se perdoni, il Signore ti ha perdonato; se non perdoni, il peccato
dimora in te (cf. Mt 6,14-15). Il Signore vuole che amiamo il prossimo.
Se sei consapevole
che il Signore ama il prossimo,
significa che l’amore di Dio è in te;
se sei consapevole
che il Signore ama molto le sue creature,
se tu stesso hai misericordia
per ogni creatura,
se ami i nemici,
se ti consideri inferiore a tutti,
allora
la potente grazia dello Spirito santo è in te.
Chi ha in sé lo Spirito santo – anche se non ne possiede la pienezza – si preoccupa per
tutti gli uomini, notte e giorno; il suo cuore soffre per ogni creatura di Dio e in modo
particolare per quelli che non conoscono Dio, che si oppongono a lui e che vanno
incontro al fuoco dei tormenti. Per costoro, ancor più che per se stesso, egli prega notte e
giorno, affinché tutti si pentano e giungano a conoscere il Signore.
Il Signore pregava per coloro che lo crocifiggevano: "Padre, perdonali, perché non sanno
quello che fanno" (Lc 23,34).
Stefano, primo diacono, pregava per quelli che lo lapidavano: "Signore, non imputar loro
questo peccato" (At 7,60).
Anche noi, se vogliamo che la grazia di Dio dimori in noi, dobbiamo pregare per i
nemici.
Se non hai compassione del peccatore che proverà i tormenti del fuoco, allora in te non
dImora la grazia dello Spirito santo ma uno spirito malvagio:
finché hai vita
lotta per liberartene
con il pentimento.
BOLLA DI CANONIZZAZIONE DI SAN SILVANO
+ Dimitrios, per la misericordia di Dio
Arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma e Patriarca Ecumenico
Protocollo nr. 823
È santo e utile al pleroma della Chiesa venerare, onorare, celebrare annualmente e glorificare con
inni encomiastici anche dopo la morte coloro che in vita hanno eccelso per azioni virtuose; da un
lato perché l'elogio indirizzato a coloro che hanno vissuto secondo virtù è offerto a Dio stesso, dal
quale proviene ogni virtù agli uomini, come dichiara Gregorio il Teologo; d'altro lato perché
l'elogio della bellezza esorta e spinge gli indolenti e i neghittosi alle azioni virtuose, e conduce a
pienezza quelli che già amano ricercarle. Poiché questa eccellenza di azioni virtuose è riconosciuta
al monaco Silvano che, provenendo dalla Russia, vissuto per quasi mezzo secolo alla Santa
Montagna nel Santo, Patriarcale e Stavropigiaco Monastero del Santo e Glorioso Megalomartire e
Guaritore Panteleimon, per beatitudine e santità di vita si mostrò e si fece conoscere tipo della
condotta secondo Cristo, icona vivente delle virtù e, per le svariate opere ortodosse utili all' anima,
apostolico e profetico maestro della Chiesa e del plerom a cristiano; tese alle più elevate altezze
spirituali fino a divenire vaso dello Spirito Santo, esercitò come pochi l'amore e per tutto questo fu
ornato da Dio dei carismi della guarigione dei malati e dei sofferenti e di una portento sa
chiaroveggenza, la nostra Umiltà, con attorno i santissimi e altamente onorabili Metropoliti, i nostri
fratelli e concelebranti amati nello Spirito Santo, considerata la vita secondo Dio, gli atti e la
condotta, solleciti alla comune utilità dei credenti, in accordo con i divini padri, seguendo
fedelmente il comune costume della Chiesa, decretiamo di conferirgli l'onore riservato agli uomini
divini.
Perciò annunciamo sinodalmente, dichiariamo e ordiniamo nello Spirito Santo che da questo
momento e per sempre il Gheron Silvano l'Aghiorita sia annoverato nel numero degli uomini beati e
santi della Chiesa, venendo onorato ogni anno con azioni di ringraziamento e di santificazione e
celebrato con inni encomiastici il 24 settembre in cui beatamente migrò verso il Signore.
A prova e garanzia di questo, viene emesso il presente Atto Patriarcale e Sinodale, redatto e
sottoscritto nel Sacro Registro della nostra Santa Grande Chiesa di Cristo e inviato in copia uguale e
conforme alla Sacra Comunità della Santa Montagna, affinché venga custodito nei suoi Archivi.
Nell'anno di salvezza 1987, il 26 del mese di novembre
indizione XI
+ Arcivescovo di Costantinopoli Dimitrios
+ Ieronimos di Rodopoli
+ Maximos di Stavroupoli
+ Symeon del Prikiponniso
+ Evanghelos di Pergamo
+ Konstantinos di Derko
+ Ioachim di Melitini
+ Fotios di Imbro e Tenedo
+ Chrysostomos di Myra
+ Gavriil di Colonia
+ Kallinikos di Lystra
+ Athanasios di Helenoupoli
+ Bartholomeos di Filadelfia
+ Dimitrios, per la misericordia di Dio
Arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma e Patriarca Ecumenico
Protocollo nr. 823/1987
Santissimo Archimandrita signor Kyrillos, Igumeno, e gli altri Padri del nostro Santo, Patriarcale e
Stavropigiaco Monastero di Giovanni il Precursore in Essex (Inghilterra), figli amati in Cristo della
nostra Umiltà, grazia e pace a voi da Dio.
Con la presente nostra lettera patriarcale con gioia portiamo anche a vostra conoscenza, per quanto
vi compete, che su proposta della Commissione Canonica il Gheron Silvano l'Athonita - che è
anche stato padre spirituale del fondatore e primo Igumeno del vostro Sacro Monastero, il
Santissimo Archimandrita signor Sofronio - è stato annoverato nel numero dei Santi della Chiesa.
Copia ufficiale dell' Atto Patriarcale e Sinodale, redatto e sottoscritto nel Sacro Registro della nostra
Santa Grande Chiesa di Cristo, viene inviata al vostro Sacro Monastero, con la fervente preghiera
che questo nuovo Santo della Chiesa interceda incessantemente per la Santa Montagna, della quale
si è mostrato un grande figlio, per il vostro Sacro Monastero e per ciascuno di voi che in esso si
esercita nell' arte dell' ascesi, per tutta la Chiesa e per la pace del mondo intero.
La grazia e l'infinita misericordia di Dio sia con la vostra da noi amata Santità.
1 aprile 1988
+ Arcivescovo di Costantinopoli Dimitrios,
fervente intercessore presso Dio
CONVERSAZIONE CON L'ARCHIMANDRITA SOFRONIO
D. Padre Sofronio, lei è il figlio spirituale, il "testimone" privilegiato dello starec Silvano
(1). Da circa sessant' anni a questa parte, tutta la sua vita e quella del monastero di San
Giovanni Battista da lei fondato nella conte a di Essex si sono svolte nel segno della
continuità con la vita di Silvano. Curando la pubblicazione dei suoi scritti, lei l'ha fatto
conoscere al mondo. Oggi il patriarca ecumenico ha reso pubblica la decisione
patriarcale e sinodale della glorificazione di san Silvano. Che cosa è cambiato per lei?
R. Come scrive un teologo della Grecia, noi siamo abituati a pregare lo starec Silvano
come un santo; ma quest' atto ufficiale della chiesa, del patriarca ecumenico, ci dà ora la
possibilità di farlo non solo con il nostro cuore e in segreto, ma apertamente,
pubblicamente.
D. E la chiesa del suo monastero è dedicata a san Silvano?
R. È la prima, sì! Non è ancora terminata, ma il più è fatto. Per la sua consacrazione
attendiamo che il patriarcato possa inviare un metropolita o lo stesso patriarca, se ritiene
opportuno venire, poiché amano molto Silvano; a tal punto che, nel suo messaggio
pasquale, il patriarca cita la parola rivelata allo starec: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e
non disperare!" ... Ora Silvano è molto conosciuto. Ma se egli stesso non avesse risposto
a un gran numero di persone che lo pregavano, allora questa canonizzazione non si
sarebbe potuta fare. Sovente si è manifestato come intercessore e, sempre, la gente è
rimasta stupita dalla rapidità con cui rispondeva alle loro preghiere.
D. Ha qualche esempio?
R. Sapete che ne abbiamo molti, ma non saprei proprio come se ne potrebbe scrivere in
questo momento. Bisogna che chiediamo a tutta quella gente di scriverci, perché se lo
facciamo noi, rischia di essere della letteratura...
D. Ma lei, personalmente, ha delle testimonianze dell'intercessione di san Silvano?
R. Io non esisto! Forse, in questo senso, una cosa impossibil~ si è realizzata:
l'apparizione di un monastero. E possibile al giorno d'oggi fondare un monastero? La
terra non produce più monaci! La gente non è più così ben disposta nei confronti di
questo gener,e di vita. Non so... La lotta è troppo grande... E stata dura: non avevamo
quasi nulla. Mangiavamo patate e ortiche... E ora siamo fiaccati... Non è una lamentela,
ma per questo monastero non ci sono state certo risparmiate le prove. E la base di questo
monastero era proprio lui, Silvano.
D. E Dio ha permesso che lei vivesse fino ad ora per rallegrarsi della canonizzazione del
suo padre spirituale!
R. A detta dei medici, io non dovrei essere ancora in vita: è da tempo che il mio corpo
dovrebbe essere dissolto nella terra... Come sapete, l'atto di canonizzazione sottolinea
alcuni punti molto importanti: parlano del suo insegnamento "apostolico e profetico" e
ordinano "nello Spirito santo" di rendergli questo servizio sacro. Proprio così: ordinano
"nello Spirito santo"...
D. ... di onorarlo ogni anno?
R. Sì, usano questa espressione nell' atto ufficiale. Ma è un'espressione molto
importante. Il padre Maxime Gimenez di Chevetogne ha scritto in Irénikon che quella
parola di Cristo data a Silvano è servita a moltissime persone in modo estremamente
positivo e salutare. Lo sottolinea nella recensione al mio libro Voir Dieu tel qu'Il est. La
cosa vi scandalizza, forse?
D. Che cosa, quel titolo? Ma no!
R. Quel titolo è stato dato dal padre Simeone, non da me. Ma l'idea di fondo è che noi
tutti ci portiamo dentro, come Mosè, ql1esto desiderio di vedere Dio così come egli è! E
assolutamente normale, e in quel libro sostengo che ci si può pervenire unicamente con
una vita vissuta secondo i comandamenti, poiché i comandamenti di Cristo non possono
differire dall' essenza di Dio stesso, mi capite? Per esempio, quando l'evangelista Matteo
scrive: "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io
vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori" (Mt 5,43-44). E ancora:
"Benedite e non maledite" (Rm 12,14), "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro
celeste" (Mt 5,48).
D. Ma come è possibile?
R. Se non fosse possibile, non ci sarebbe nella Scrittura. Ma qui è necessario
comprendere, teologicamente, quale sia la differenza fra gli uomini deificati e Dio
stesso. E importante! Attraverso l'atto di deificazione l'uomo, la persona umana,
l'ipostasi umana riceve il contenuto della vita di Dio stesso, ma per grazia, non per
l'origine... Che vuol dire l'origine? Noi diciamo nel Credo: "Creatore" del cielo e della
terra, ecc. Ma noi restiamo pur sempre "creazione". Non possiamo essere Dio, perché
non siamo "creatori"...
D. Ma dèi per grazia, sì!
R. Per grazia! Vale a dire che la vita divina ci è comunicata e donata per grazia, ma noi
restiamo esseri creati, non diventiamo i creatori di questo mondo. È su questo piano che
partecipiamo alla vita divina; e vi partecipiamo fino alla stessa identità, ma non in
quanto all' origine... Ecco, noi abbiamo con san Silvano del materiale estremamente
ricco per la teologia. Ci sono aspetti nella teologia di Silvano che non erano stati espressi
in quel modo da nessun altro in passato.
D. Per esempio?
R. Egli dice che ci sono due forme di umiltà: una è l'umiltà ascetica, mediante il
pentimento - "sono peggiore di tutti" -; l'altra è l'umiltà divina di Cristo. Cioè, è propria
di Dio per sua natura ed è indescrivibile. lo non ho mai incontrato negli altri questa
distinzione fra l'umiltàascetica e l'umiltà propria di Dio, come suo attributo. Altro punto:
nessuno può amare tutta la creazione e pregare per tutta la creazione se non attraverso lo
Spirito santo. E la preghiera per i nemici è propria, di coloro che portano in sé lo Spirito
santo... E per questo che egli può dire che chi non ama i nemici non ha ancora
conosciuto Dio come lo si deve conoscere. Fermatevi su questa idea. Perché la esprime
in questo modo? Non v'è nulla di simile in tutti gli studi dei padri...
D. È certo che Silvano è un santo che si inscrive nella linea e nella tradizione dei grandi
spirituali ortodossi, ma ha vissuto ed espresso ciò che viveva in maniera del tutto
originale. Per di più scrive con parole molto semplici cose estremamente profonde.
Quanto lei dice a questo proposito è molto importante e illuminante.
R. Ciò che sorprende è il fatto che parli di queste cose in modo assolutamente naturale.
Da dove gli viene questo? L'apparizione di Cristo all'inizio della sua vita!... All'inizio
della sua vita monastica quando, dopo la prova, vede in pericolo la propria salvezza
eterna, e questo per la durata di un' ora... Allora va in chiesa e pronuncia quelle parole:
"Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me!". E Cristo gli appare proprio come se fosse
vivente! Ebbene, in cuor mio non ho mai dubitato della veracità di quell' apparizione.
Perché? Perché era un semplice soldato, non è così? Appena finito il servizio militare,
viene subito al Monte Athos e ha qqell' apparizione! Ma dov'è la prova che è vera? E il
fatto che ha cominciato a pregare per il mondo con tutto il suo essere! Se quest'uomo
così semplice ha cominciato a pregare così, che significa? Qual è il segno che pregava
veramente? Con pianti, con tutto il suo essere egli pregava per la salvezza del mondo...
D. Sarebbe dunque questo amore, questa compassione per il mondo l'autenticazione dell'
apparizione del Cristo vivente?
R. Questo vuol dire che Cristo gli è veramente apparso e che era lo Spirito santo a
comunicarglielo; è lui stesso, infatti, a descrivere che lo Spirito era in tutto il suo essere:
nello spirito, nel nous, l'intelletto, nel cuore e nel corpo... Perché, dopo, prega: "Signore,
che tutti ti conoscano attraverso lo Spirito santo"? Da dove viene questa preghiera? E il
risultato, il frutto di quell' apparizione... Un momento talmente forte che, come egli
stesso scrive, se si fosse prolungato, non avrebbe potuto lasciarlo in vita. Ma il fuoco
dello Spirito santo lo riempiva interamente. Così le sue idee sull'umiltà di Cristo, la sua
preghiera per il mondo erano la conseguenza dell' autentica apparizione di Cristo che era
venuto verso di lui. Noi possiamo giudicare dal risultato. Vi dirò inoltre: è eccezionale il
fatto che egli abbia parlato di queste cose come ne parlava Giovanni evangelista. La
teologia corrispondeva pienamente al suo essere. Non era frutto di un'erudizione
accademica. Eppure, se cominciate a leggere attentamente i suoi scritti, vi trovate una
profonda teologia, espressa con parole semplicissime. Non ho mai avuto alcun dubbio
sul fatto che Silvano abbia visto, nello Spirito, Cristo nella sua divinità; dice infatti che,
quando si manifesta una tale luce, non si può non riconoscerlo come Dio... Come per
Paolo sulla via di Damasco... Vi dico questo per attirare la vostra attenzione su alcuni
punti veramente essenziali, di un'importanza enorme e di una teologia davvero
evangelica. Come Giovanni, egli scrive con parole assolutamente semplici. E ciò che io
chiamo: la teologia come preghiera, o come contenuto della preghiera e come stato dei
nostri cuori. L'esempio più evidente di questa teologia sono le Lettere di Giovanni
evangelista... La teologia come preghiera è l'anafora della Liturgia, soprattutto quella di
Basilio: una brevissima esposizione di una visione globale; non è che teologia, ma noi la
presentiamo come una preghiera. Preghiera e teologia assumono un'unica forma.
D. Sino alla fine, la semplicità e l'umiltà di Silvano ne hanno velato, agli occhi dei più, la
santità. Ma certuni - e lei stesso l'ha fatto per alcuni anni - avevano dei contatti con lui,
andavano a trovarlo. Aveva, nonostante tutto, una certa fama quando era ancora in vita,
oppure no?
R. Non molto diffusa. C'erano molti monaci fra i serbi di Chilandari e altri ancora,
c'erano teologi e anche alcuni vescovi che erano soliti parlare con lui. Teneva rapporti
epistolari (2): riceveva parecchie lettere. Nel mio libro descrivo un paio di casi. Anche
della sua chiaroveggenza, di cui si parla nell' atto di canonizzazione. Ricordo anche
quanto scrisse nel suo necrologio il vescovo serbo Nicola Velimirovic (3).
D. Questo vescovo Nicola è stato l'iniziatore di un vasto movimento di risveglio
spirituale nella chiesa serba; risveglio che, passando attraverso il padre Giustino,
continua ancor oggi con gente come il vescovo Anfilochio o il padre Atanasio... E san
Silvano aveva dunque contatti regolari con il vescovo Nicola?
R. Non so che cosa ci fosse esattamente fra loro. Ma il vescovo amava venire abbastanza
spesso al Monte Athos, e ogni volta si recava a far visita allo starec Silvano. E il vescovo
Nicola che mi ha ordinato diacono nel 1930, nel monastero di San Panteleimon, e lo
starec Silvano era presente... Quando poi sono venuto a Londra, per la prima volta, nel
1952, il vescovo Nicola si trovava lì, e sono andato a rendergli omaggio e a ricevere la
sua benedizione. Gli ho riferito che l'archimandrita Giustino Popovic aveva scritto a
proposito del libro sullo starec Silvano e che lo paragonava a Simeone il Nuovo
Teologo. La reazione del vescovo Nicola fu davvero impressionante. Era seduto su una
poltrona e, quando gli dissi che padre Giustino aveva fatto quel paragone, batté il pugno
sulla scrivania dicendo: "No!... No, no! Silvano è più grande di tutti gli altri nel suo
amore! Quando leggete gli altri, vi stringe una certa disperazione; questo non avviene
mai quando si legge ciò che ha scritto Silvano". E io me ne stavo là in silenzio ad
ascoltarlo... Al giorno d'oggi Silvano è molto conosciuto... e io non ho più bisogno di
raccomandazioni... Ma la prefazione alla prima edizione del libro in inglese l'aveva
scritta Florovskij. Egli sottolineava che Silvano dice cose note, ma in maniera diversa...
Spesso si chiede che i cristiani parlino una lingua nuova all'umanità contemporanea.
Ecco, questa è una lingua nuova! Molti hanno espresso la loro gioia e anche
l'arcivescovo di Canterbury ha scritto che questo atto di canonizzazione dello starec
Silvano è un evento felice, non solo per la chiesa ortodossa, non solo per il nostro
monastero, ma in generale per tutto il mondo cristiano.
D. È verissimo: grazie ai libri pubblicati, ma indubbiamente anche perché tale è il piano
di Dio, la venerazione per san Silvano ha già fin d'ora superato i "confini" della chiesa
ortodossa. Il suo impatto è molto forte. Molti sono i cuori toccati.
R. Ecco un esempio. C'era, nel secolo scorso, un pittore famoso in Russia, autore delle
pitture murali della cattedrale di San Vladimir, a Kiev... Suo figlio, un grande
matematico, era emigrato in Cecoslovacchia. Divenuto prete, mi scrisse di fargli avere,
se possibile, alcuni libri. Tramite una persona fidata gli feci recapitare in Cecoslovacchia
due o tre esemplari del mio libro sullo starec Silvano. E questo prete mi scrisse: "Padre
Sofronio, le devo esprimere la mia gratitudine. Per cinque anni ho letto la Filocalia con
molta attenzione e non riuscivo ad afferrare come tutto ciò potesse applicarsi alla vita;
ma il libro di Silvano me l'ha fatto capire in modo sorprendente. C'è solamente Filocalia
in quel libro, ed è davvero la vita".
D. E in Russia san Silvano è conosciuto? Com'è accolto?
R. Mai si sono espressi dubbi a suo riguardo. E la venerazione per lo starec Silvano è
sempre stata molto grande, diffusa. Per anni il mio libro venne dato come premio agli
studenti dell'Accademia di teologia (non si avevano molti libri). Quando sono andato in
Russia per la prima volta, nel 1957, alla ricerca della mia famiglia, dei miei fratelli e
delle mie sorelle, ho trovato da una di loro una copia del libro battuta a macchina! E all'
Accademia di teologia di Leningrado uno degli studenti mi si avvicina e mi dice: "Padre
Sofronio, ho l'originale del suo libro!". Che voleva dire? Solo più tardi ho capito che
voleva parlare dell' edizione stampata a Parigi, e non di un esemplare scritto a macchina
come quello di mia sorella. Mi è stato riferito che erano stati dattiloscritti centinaia di
esemplari. E il nome dello starec era già largamente conosciuto, in Russia, nel 1957 .
Conosciuto e riconosciuto come un santo. L'impressione era molto profonda, ovunque...
Come al Monte Athos, dove questo libro era stato accolto con molta fiducia... Più tardi,
nel 1980, parlai con il metropolita Filarete di Minsk (incaricato delle relazioni esterne
del patriarcato di Mosca) e con l'arcivescovo Pitirim (allora responsabile delle edizioni e
del Giornale del patriarcato di Mosca). Essi avevano avanzato l'idea della
canonizzazione dello starec Silvano. Risposi che era molto importante per noi, ma che
non dovevamo immischiarci, che la nostra situazione non ci permetteva di influenzare la
loro decisione. Alla fine degli anni '70 - nel 1977 o nel 1979 - il metropolita di Kharkov,
monsignor Nikodim, aveva pubblicato un ufficio completo dedicato a san Silvano e
anche un acatisto; in seguito egli era diventato metropolita di L'vov ed è a questo titolo
che ha accolto a L'vov, l'anno scorso, il patriarca ecumenico e gli ha offerto un'icona
dello starec, suggerendogli di procedere insieme, con un atto comune, alla
canonizzazione dello starec. Ma il padre Silvano, in quanto monaco del Monte Athos,
rientrava nell' ambito di competenza di Costantinopoli e spettava quindi al patriarca
ecumenico e al santo Sinodo della Grande Chiesa il compito di procedere a quell' atto
ufficiale.
D. Ci parli un po' dei suoi rapporti con san Silvano. Quando e come hanno avuto inizio?
R. Ho avuto contatti regolari con lui per circa otto anni, fino alla sua morte, nel 1938.
Prima avevo sempre nutrito molto rispetto per lui, ma non lo abbordavo mai. Ecco come
è avvenuto il primo vero incontro. Era la Pasqua del 19 31. Il secondo giorno di Pasqua
avevo ricevuto nella mia cella un monaco di nome Vladimir, un uomo istruito,
ingegnere, che viveva nel deserto. Stavamo conversando tranquillamente quando a un
tratto mi disse: "Padre Sofronio, dimmi: come si può essere salvati?" . In quel momento
avevo portato dell'acqua calda nella cella e gli offrivo del tè come se accogliessi un
ambasciatore, e gli dissi: "Resta sull' orlo della disperazione, e quando la cosa ti supera e
non c'è più forza, ritirati e prendi una tazza di tè" . Avevo detto questo senza capire
veramente la cosa. Ma quegli, uscito dalla mia cella, andò a trovare lo starec Silvano.
Ignoro quanto si dissero. L'indomani, il martedì di Pasqua, si verificò l'episodio che fu
all'origine della mia relazione con lo starec. lo stavo scendendo dal grande edificio nel
cortile del monastero e nel medesimo istante lo starec entrava per la porta. Avevo
sempre un sentimento di venerazione per lui, perciò, per la profonda stima che nutrivo
nei suoi confronti, mi tirai in disparte per cedergli il passo; ma lui venne direttamente
incontro a me e mi chiese: "Il padre Vladimir era da te ieri?". "Ho detto qualcosa di
sbagliato?". "No, ma non è adatto a lui. Vieni, andiamo a parlare di questo". Perché
avevo detto quella cosa al padre Vladimir? Vivevo in monastero oppresso dalla
disperazione per il mondo, dopo la guerra... Avevo lasciato la Francia (nel 1925) con la
sensazione che tutta la Francia fosse allora immersa in una profonda disperazione. Che
cos'è questa disperazione profonda? La gente non può più credere alla risurrezione.
Allora dubita di sé, della propria sopravvivenza, di questa lotta inutile. E io stesso ero
tormentato da questo. Avevo lasciato l'arte per diventare monaco al Monte Athos, ma
continuavo a vivere quella sorta di disperazione. Avevo detto quella parola al padre
Vladimir perché avevo sperimentato che, non appena questa disperazione diminuiva in
me, la mia preghiera aveva un calo di tensione. Appena diventavo tranquillo, non vivevo
più tale tranquillità come una vita felice, bensì come fosse la morte. Non appena quella
disperazione diminuiva in me, perdevo il sentimento dell' esistenza dell'Essere eterno. E
non riuscivo a cavarmi fuori da quel paradosso. Ecco perché avevo detto al padre
Vladimir: "Resta sull' orlo della disperazione". Era il mio modo di dire, ma non ne
comprendevo il senso. Allora lo starec me lo spiegò, nella speranza che capissi qualcosa.
Egli trovava una certa analogia - non identità, ma analogia - con il "Tieni il tuo spirito
agli inferi, e non disperare!". Dopo questo fatto sono stato a trovarlo abbastanza spesso
e, siccome sia il suo che il mio lavoro lo permettevano, le nostre conversazioni erano
talvolta prolungate. Ma poiché non ero uno scrittore, e per non correre il rischio di fare
della letteratura, ho scritto solamente ciò di cui conservo un ricordo ben preciso.
D. Ma quella parola: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!" si può applicare a
tutti?
R. Coloro che non hanno l'esperienza di una vita ascetica davvero molto lunga e che non
hanno vissuto nell' abisso più volte e in profondità, non possono praticare la parola:
"Tieni il tuo spirito agli inferi", perché non hanno vissuto quella realtà! L'inferno di
Silvano era infinitamente più profondo di quello di cui possiamo farci un'idea oggi!
Quando scriveva che la sua "perdizione eterna era un' evidenza", egli aveva vissuto un'
ora della sua vita in quegli inferi profondi. E solo dopo è stato gratificato della visione di
Cristo. Allora ha cominciato a pregare per il mondo intero come per se stesso... Ma il
suo esempio non può essere seguito alla lettera da chiunque, fuori dell' ascesi... Il mondo
ascetico non conosce principio più elevato di quello che è stato dato da Cristo a Silvano.
Una volta che si è giunti a un tale grado, si toccano i due estremi: il regno e gli inferi.
Ma l'inferno cessa di far presa sull'uomo, di avere un potere su di lui. Dio è ovunque
presente senza essere diviso. Tutto ciò, però, non è alla portata di coloro che non hanno
vissuto le sofferenze dell'inferno. Costoro possono arrivare a un' analogia, ma non a
un'identità completa.
D. Che cosa intendeva Silvano con quella parola: "Pregare per gli uomini significa
versare il proprio sangue"?
R. Significa un cuore che soffre. Non è esprimibile a parole. Ecco il segreto: là dov'è il
cuore, c'è la gioia e la luce; poi l'intelletto si unisce al cuore, ma il cuore è pieno di
sofferenza come se ne uscisse il sangue. Ecco ciò che ho capito: quando si prega a quel
modo per tutta l'umanità, è il segno che a una persona umana, a un'ipostasi, è stata data
la grazia di vivere questa esperienza: essa può portare in sé Dio e l'umanità tutta. E Dio e
l'umanità tutta sono il contenuto della vita di questa persona... Vivere da cristiano
significa dilatare il contenuto della propria vita in maniera inaudita!
D. Frequentare così, per anni, un uomo come san Silvano, che portava in sé, come dice
lei, "Dio e l'umanità tutta", deve aprire prospettive straordinarie. E certi suoi incontri con
lui devono essere stati particolarmente illuminanti.
R. C'erano dei dubbi che mi gettavano nella perplessità; glieli ho esposti e lui mi ha
aiutato più di chiunque altro a rispondervi. Tre volte al giorno noi chiediamo, nella
preghiera della chiesa, che Dio ci renda degni di "trascorrere questa sera - o questa notte
o questo giorno - senza peccare". Allora gli ho chiesto: "Come si può, vivendo in questo
mondo estremamente dinamico e immerso nella disperazione, vivere senza peccare?" . E
c'erano anche altre domande, come queste: "Come si può essere certi che lo spirito che
agisce in noi è lo Spirito santo che procede dal Padre?"; "Poiché l'uomo è chiamato a
creare, qual è la forma più nobile di lavoro creativo?"; "Quale stato del nostro spirito
indica che noi siamo veramente l'immagine del Dio vivente?".
D. Come ha risposto a queste domande?
R. Non ho ritenuto tutto né tantomeno ho messo in pratica tutto ciò che ho imparato
dallo starec, perciò non ho il diritto di discorrere di queste cose; ma con l'aiuto della sua
preghiera vi dirò qualcosa di quanto mi ha insegnato.
Per quanto riguarda il primo punto - come evitare il peccato - Cristo ha svelato questo
mistero nella santa vita dello starec Silvano quando gli ha ordinato: "Tieni il tuo spirito
agli inferi, e non disperare!". Non appena ebbi inteso dalla bocca dello starec che il
Signore stesso gli aveva insegnato come poteva essere vinto il peccato, la mia
considerazione per lui e la mia piena convinzione riguardo alla sua santità mi persuasero
che quell' espressione era realmente venuta da Cristo stesso. E mi sforzai di applicare
quel precetto alla mia vita.
Lo spirito resta spaventato quando contempla la santità di Dio e si rende conto al tempo
stesso della propria totale indegnità a essere unito a un tale Dio. Il sapere che siamo
tenuti schiavi da ogni sorta di peccato ci precipita nella disperazione. Allora la nostra
preghiera si riempie di lacrime. Quando ci condanniamo così da noi stessi all'inferno,
siamo spogliati di tutto ciò che è terreno e temporale, e solo l'eternità si spalanca allora
davanti a noi. Il peccato viene imprigionato, arrestato: non c'è più né orgoglio né odio né
timore; più nessuna ricerca della gloria, delle ricchezze o del potere. Solo il pericolo di
precipitare nella disperazione eterna. Ma, quando raggiungiamo questo punto, ci
arrestiamo: "e non disperare!" Allora, se continuiamo, coscienti della nostra indegnità, in
uno stato di spirito conforme ai fatti, noi permettiamo allo Spirito di verità che procede
dal Padre di stabilire una relazione con il nostro cuore.
In seguito, leggendo con molta attenzione l'evangelo, notai una certa somiglianza fra il
comando del Signore a san Silvano e il comportamento da lui stesso tenuto sulla terra. Il
Cristo non ha mai peccato - "Il principe del mondo... non ha alcun potere su di me" (Gv
14,30) - perciò non c'è identità fra lui e noi; c'è però senza dubbio un' analogia. Tutta la
vita di Cristo, in quanto vero Figlio dell'uomo, in tutto simile a noi, anche nel fatto che
Satana poteva tentarlo, ci mostra come sia possibile sormontare ogni peccato ("Proprio
per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in
aiuto a quelli che subiscono la prova": Eb 2,18). Se seguiamo il suo insegnamento e il
suo esempio, ci accorgiamo che siamo liberati dall'energia delle passioni che ci portano
al peccato e che l'orgoglio e la disperazione abbandonano il nostro cuore. Sappiamo,
dagli scritti dello starec, che quando egli faceva ciò che Cristo gli aveva consigliato, il
suo spirito entrava nella sfera della preghiera pura, e che lo Spirito di Dio gli
testimoniava nel cuore la sua salvezza e gli concedeva di vivere una sorta di risurrezione.
"Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". Questa è la strada maestra che conduce
al mondo della santità divina.
E veniamo ora alla seconda domanda: come possiamo essere certi che lo spirito che è in
noi è in verità la terza ipostasi della santa Trinità e non qualcosa d'altro? L'apostolo
Giovanni ci mette in guardia: "Non prestate fede a ogni spirito, ma mettete alla prova gli
spiriti, se sono da Dio" (lGv 4,1). Questo è di importanza vitale per ciascuno di noi. In
base a quanto ci dice Silvano, è lo Spirito santo che gli ha dato di conoscere la divinità di
Cristo: è nello Spirito santo che ha conosciuto Dio. La consustanzialità del Figlio e dello
Spirito santo è percepita in modo forte proprio nel fatto che, quando lo Spirito che
procede dal Padre visita veramente l'anima, questa sperimenta pienamente il contenuto
dei comandamenti di Cristo. Perciò, se lo spirito che è in noi parla in pieno accordo con i
comandamenti dell' evangelo, allora si tratta veramente dello Spirito santo. Così il Figlio
e lo Spirito si rendono reciprocamente testimonianza. Lo Spirito santo è la luce della vita
eterna; e il soffio dello Spirito santo in noi è la potenza dell' amore divino che ispira all'
anima una profonda compassione per tutti, compresi i nemici. E attraverso l'azione dello
Spirito santo l'anima sente questo nobile amore pieno di compassione per i nemici come
uno stato del tutto naturale, in cui è spento ogni conflitto interiore e dove regna l'armonia
divina.
Finché l'uomo rimane assoggettato alla morte, resta incapace di amare coloro che
mettono in pericolo la sua vita o il suo benessere. Di conseguenza l'amore per i nemici,
l'amore che ci ècomandato da Cristo, l'amore di cui parla lo starec Silvano è un
passaggio dalla morte alla vita eterna: in esso l'anima ha la garanzia della vittoria finale
dell' amore di Cristo.
Diversi sono i modi in cui si manifesta l'immagine di Dio nell'uomo. Il potere creativo
dell'uomo è uno di questi aspetti: esso si manifesta nelle varie sfere e ambiti della cultura
e della civiltà, quali l'arte, le scienze e così via. Questo potere creativo non si arresta qui,
ma continua nel suo sforzo di trascendere il visibile e il temporale nel tentativo di
raggiungere l'origine di tutto ciò che esiste: Dio creatore.
In principio Dio ha fatto l'uomo senza la collaborazione dell'uomo; ma in seguito non ha
più fatto nulla nei riguardi dell'uomo senza coinvolgerlo nella cooperazione. Il mondo
naturale è ordinato in modo tale che l'uomo si trova ad avere costantemente a che fare
con problemi a cui deve dare una soluzione. Ma, nella prospettiva di collaborare
veramente con Dio alla creazione del mondo, l'uomo deve sempre aspirare al limite
estremo nella conoscenza di Dio stesso. La progressione continua in una conoscenza
sempre più elevata di Dio è un' azione affascinante, pur nella sua particolarità. Le mie
discussioni con lo starec Silvano vertevano, indubbiamente, sulla preghiera e sulla vita
secondo la volontà di Dio; ma la mia carriera artistica precedente mi spingeva
naturalmente a riflettere sul lavoro creativo in generale e sul suo significato. Nella mia
giovinezza, tramite un pittore russo che sarebbe divenuto più tardi celebre, ero stato
attirato dall'idea della creatività pura, che prende la forma dell' arte astratta. La cosa mi
ha impegnato intensamente per due o tre anni e mi ha portato al primo pensiero teologico
che sia sorto nella mia mente. Come ogni artista coglie la realtà oggettiva attraverso le
forme e le modalità della propria arte, così io facevo derivare le idee per i miei studi
astratti dalla vita che mi circondava: guardavo un uomo, una casa, una pianta, un
meccanismo complicato, le stravaganti ombre fuggevoli proiettate sui muri o sui soffitti
dal tremolio delle fiamme di un fuoco, e li trasponevo in immagini astratte, creando,
nella mia fantasia, visioni diverse dalla realtà concreta. Era così che interpretavo
l'insegnamento del mio maestro: non copiare fenomeni naturali, ma produrre nuovi fatti
pittorici. Per fortuna mi resi conto ben presto che non era dato a me, essere umano, di
creare a partire dal "nulla", al modo in cui Dio solo crea. Mi resi conto che ogni cosa che
creavo era condizionata da qualcosa che già aveva un'esistenza. Non ero in grado di
inventare un nuovo colore o una linea che non fosse già esistita prima, da qualche parte.
Un'immagine astratta è come una sfilza di parole, belle e sonore in sé, forse, ma che non
esprimono mai un pensiero completo. In breve, un'immagine astratta rappresenta una
disintegrazione dell' essere, una caduta nel vuoto, un ritorno al "non essere" da cui siamo
stati chiamati dall' atto creatore di Dio. Abbandonai, perciò, i miei sforzi infruttuosi di
immaginare qualcosa di totalmente nuovo, e da quel momento il problema del lavoro
creativo fu dentro di me strettamente legato a quello della conoscenza dell'Essere. Il
mondo intero, praticamente ogni scena visiva, divenne misterioso, di una bellezza
profonda, al di là della misura comune. La luce assumeva un aspetto nuovo e
accarezzava e avvolgeva gli oggetti con un alone che avresti detto di gloria, trasmettendo
loro vibrazioni vitali che sarebbe stato impossibile all' artista rappresentare con i mezzi a
sua disposizione. Fui allora ripieno di rispettosa adorazione per il primo Artefice, il
Creatore di tutte le cose, e del desiderio di incontrarlo, di essere da lui istruito, di sapere
come egli creava.
Le conversazioni con lo starec Silvano fissarono la mia attenzione sulla persona di
Cristo: come agiva lui, il Figlio? "Il Figlio da sé non può fare nulla, se non ciò che vede
fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio e gli
manifesta tutto quello che fa" (Gv 5,19-20). Ma il Figlio unico generato prima dei secoli
è divenuto il Figlio dell'uomo, in tutto simile a noi. Perciò tutto quello che dice riguardo
al Figlio dell'uomo, riguardo a se stesso, si può applicare anche a ciascuno di noi. Allora,
se il Padre ci ama, ne consegue che ci mostrerà tutte le cose che fa e in quale maniera.
Questo significa, in ultima analisi, che noi siamo tutti chiamati a collaborare all' atto
creatore eterno del Padre. È proprio dell'uomo, quindi, aspirare alla perfezione e voler
entrare nel flusso vivente dell' eternità divina, là dove il Cristo uomo fu il primo a
entrare.
Così, per quanto concerne il lavoro creativo, l'uomo nella sua ricerca ultima abbandona
progressivamente tutto ciò che è relativo e temporale, al fine di raggiungere la
perfezione immortale. Su questa terra, certo, la perfezione non è mai assoluta. Ciò
nonostante noi possiamo chiamare perfetti coloro che dicono solamente ciò che è dato
loro dallo Spirito, a imitazione di Cristo che dice: "lo non faccio nulla da me stesso, ma
come mi ha insegnato il Padre, così io parlo" (Gv 8,28).
Il lavoro creativo è il più nobile di tutti quelli che l'uomo può compiere. L'uomo tende
verso questo ideale non in modo passivo, bensì con uno spirito creativo, avendo sempre
presente di evitare ogni tendenza a creare Dio a propria immagine.
Ero inoltre profondamente toccato da questo problema: come possiamo noi, meschini e
limitati come siamo, comprendere davvero che siamo l'immagine del Dio onnipotente,
del Dio che tutto contiene e che è al di là di tutto? Qui lo starec Silvano fu la mia
salvezza. Mi disse che, se si cerca con sincerità di custodire i comandamenti di Cristo,
l'anima è riempita della grazia dello Spirito santo; e allora con un amore profondo, pieno
di compassione, si prega per il mondo intero come per se stessi e si desidera con forza il
bene di ogni uomo più che il proprio. Ci è stato insegnato che la preghiera di Cristo nel
giardino del Getsemani racchiudeva l'umanità intera, dal primo Adamo fino all'ultimo
nato da donna. La preghiera che lo starec Silvano invitava a praticare può senz' altro
essere assimilata a quella preghiera onniredentrice del Signore; essa perciò ha la meglio
sui limiti dell'individuo. Tale preghiera costituisce un passaggio in un'altra dimensione:
la dimensione della personaipostasi, a somiglianza dell'ipostasi del Verbo fatto carne.
Sappiamo che, nella misura in cui diventa somigliante a Cristo nella vita terrena, l'uomo
è già divinizzato e reso partecipe della vita divina.
D. Ci colpisce la ricchezza e insieme l'estrema semplicità dell'insegnamento di san
Silvano. Abbiamo ancora molto da imparare e da ricevere da lui...
R. San Silvano era l'uomo di una visione unica, ispirata dalla manifestazione di Dio che
aveva irradiato il suo essere intero, senza che egli lo avesse cercato. Quando il Signore
gli si fu così manifestato, egli vide che Dio era amore infinito, amore universale. Lo
Spirito santo gli aveva rivelato la divinità di Cristo. Lo Spirito santo gli aveva insegnato
l'umiltà e un amore talmente dilatato da abbracciare ogni essere creato. E giorno e notte
egli cercava di rivivere l'esperienza della divina eternità.
La testimonianza di un uomo come san Silvano, totalmente sprovvisto di artifici letterari,
la testimonianza di uno che con tutta la sua. vita ha versato il sangue del proprio cuore
nella preghiera per il mondo intero, .non può che avere una forza e un significato
particolari.
A me sembra che lo starec fosse ricettivo e spontaneo quanto i primi apostoli. Il fatto che
sia potuto restare indenne dalle falsità della nostra civiltà contemporanea lo rende
irresistibilmente convincente. Sia coloro che non l'hanno conosciuto personalmente ma
possono apprezzarlo dai suoi scritti, sia coloro che l'hanno conosciuto e hanno visto la
sua autentica semplicità e umiltà sono persuasi che egli fosse un uomo di Dio.
D. E oggi la chiesa ha confermato questa certezza…
R. Lo starec Silvano teneva il proprio spirito agli inferi, e non disperava. Si batteva
contro il vento potente e gagliardo, il terremoto e il fuoco della tentazione. E ora ci parla
nel mormorio leggero della voce del Signore (cf. 1Re 19,9 ss.)...
NOTE
[1] L'11 luglio 1993 padre Sofronio è entrato "nel silenzio e la luce dell' eternità", per usare un'
espressione a lui tanto cara. Stava per compiere 97 anni. Dal 1959 viveva in Inghilterra, nel
monastero di San Giovanni Battista da lui fondato e presto diventato un luogo di pellegrinaggio e di
ritiro per numerosi ortodossi, ma anche per cristiani di ogni confessione e per uomini e donne alla
ricerca di Dio: un luogo di fedeltà creatrice, nell'amore che rende liberi. Monaco al Monte Athos e
discepolo di Silvano, padre Sofronio decise di stabilirsi in occidente: Il prodigherà tutte le sue
energie e il suo carisma per far conoscere e amare la figura e gli scritti del suo padre spirituale. A
lui dobbiamo l'edizione delle opere di Silvano nelle varie lingue e soprattutto l'irradiarsi sulla chiesa
e sul mondo di oggi del messaggio di speranza che costituisce il dono più grande lasciatoci da
Silvano: l'amore è più forte della morte e degli inferi. Grati al Signore che ci ha concesso di
incontrare più volte, conoscere e amare padre Sofronio e la sua comunità, riportiamo qui la
conversazione da lui tenuta per amici e ospiti del suo monastero in occasione della canonizzazione
di san Silvano del Monte Athos.