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Maur Esteva * 1933 - † 2014 E non disperare mai della misericordia di Dio (Regola di San Benedetto, 4,74)

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Maur Esteva * 1933 - † 2014

E non disperare mai della misericordia di Dio(Regola di San Benedetto, 4,74)

Autore del ritratto: Dina Bellotti, Roma, 1998

AGNUM IUGITER SEQUI

… seguire l’Agnello dovunque Egli vada (Ap 14,4)

Congratulazioni dell’Abate Presidente della Congregazio-ne di Mehrerau, Dom Kassian Lauterer, Decano degli Aba-ti Presidenti, al nuovo eletto Abate Generale dell’OrdineCistercense, nella Sala Capitolare di Poblet.

Reverendissimo Padre, amico carissimo,

Come Abate Generale da poco eletto, sei ancora giovane, sebbenenon sia ancora bambino, giacché la tua lingua è così vivacome la penna dello scriba1. Come Abate di questo Monasterodi Santa Maria di Poblet sei già anziano, e certamente in pocotempo ci ricorderemo del giorno della tua elezione abbaziale,venticinque anni fa.

A nome di tutto l’Ordine, delle monache e dei monaci, io, inqualità di più anziano degli Abati Presidenti, mi congratulo perquesta festa e ti auguro l’aiuto di Dio e la pazienza del Cristo neltuo nuovo ufficio. Con una deliberazione, il Capitolo Generale haeletto un abate che, già da anni, governa questo monastero e laCongregazione della Corona di Aragona, e manifesta di essereun uomo edificante nella vita spirituale e liturgica, come anchenel suo senso di architetto sperimentato. Forse è per questa ra-gione che sei stato eletto Abate Generale, perché, dopo un’espe-rienza di servizio di questa comunità, hai appreso —secondo ciòche dice l’epistola agli Ebrei2 a proposito del Cristo— la miseri-cordia, come l’hai sperimentata per te stesso in numerose occa-sioni.Avanza con fiducia nel tuo ufficio! Sii il Pastore delle pecoredell’Ordine, da’ forza alla tua voce. Come il nostro padre San1 Sal 44,2.2 Eb 4,16.

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Bernardo scrive in una lettera al giovane Abate Balduino delMonastero del Santo Pastore, di Rieti3:

Pasci le pecore non venendo mai meno a questa triade,cioé:

- con una sana dottrina- con un buon esempio- con una continua preghiera.

Nella misura del possibile, siamo disposti ad aiutarti in manierafedele ed efficace. Esprimo anche la mia gratitudine alla Comuni-tà di Poblet: in considerazione del vostro sacrificio, perché avetedato all’Ordine il vostro padre. Che Dio vi renda merito!

+ Kassian, Abate Presidente, Mehrerau

Poblet, novembre 1995.

3 San BERNARDO, Epistola 201, A Balduino, Abate del Monastero di Rieti p.60-61, Sämtliche Werke III, Tyrolia-Verlag, Innsbruck 1992.

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AGNUM IUGITER SEQUI

… seguire l’Agnello dovunque Egli vada (Ap 14,4)

Fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi (Sal 79,4)

Dopo aver sofferto un incidente il 25 settembre 2006 —chefu per me come una caduta simile a quella di Paolo sullastrada per Damasco1— ho il presentimento sempre piùvivo di avvicinarmi, in maniera inesorabile, alla fine dellamia vita, osservando serenamente declinare il suo corso.

Per il modo in cui il fatto è accaduto, quel giorno sarebbepotuto essere il mio ultimo, avrei potuto anche restare te-traplegico o in un coma permanente, ma il Signore mi è ve-

1 Sebbene troviamo nella Bibbia (At 9) solo la narrazione della caduta,senza altre precisazioni, Caravaggio (1573-1610), tra gli altri, ha dipin-to la conversione di Paolo sotto il cavallo, come si può osservare nellachiesa di Santa Maria del Popolo, a Roma. Josef HOLZNER, nella suabiografia Paulus, sein Leben und seine Briefe, tante volte edita e tradottain diverse lingue, fa una descrizione della caduta dal cavallo, allorchéinizia l’incontro di Paolo con il Signore.

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nuto in soccorso e mi ha dato una specie di nuova tregua2,un’ultima opportunità, un tempo di grazia per meditaresul mio passato e rileggerlo con cuore sincero, confrontan-dolo con il Sermone sulla Montagna, cosa che non avevomai fatto. Devo confessare che avevo già vissuto quaran-totto anni in monastero, venticinque come Abate di Poblete undici come Abate Generale; che avevo visto molte cose nel-la Chiesa (e nell’Ordine), che avevo parlato e scritto a loro pro-posito, tuttavia non ero ancora diventato un cristiano, piuttostoero selvaggio e ribelle, continuavo ad essere l’unico maestro dime stesso [...]. La Bibbia, e in particolare il Sermone della Mon-tagna, mi hanno liberato da tutto ciò. In seguito tutto è cambia-to. Un’immensa liberazione. Ho capito chiaramente che la vita diun servitore del Cristo deve appartenere alla Chiesa; e, passodopo passo, si è precisata questa esigenza assoluta3.

Trascorso più di un anno dal mio incidente e dopo l’ultimocontrollo medico, le parole di Papa Benedetto XVI nella

2 La Regola di San Benedetto, prol. 36-37, lo dice con queste parole: Seegli prolunga come una tregua i giorni della nostra vita, è per la correzionedei nostri peccati, secondo questa parola dell’Apostolo “Non sai che la pazien-za di Dio ti invita alla penitenza?” (Rm 2,4).3 Il paragrafo precedente è l’adattamento di un testo di Dietrich Bon-hoeffer che ho trascritto alla lettera in questa terza nota in calce a que-sta meditazione, ma cambiando qualche parola per farmela propria eadattarla alla mia vita. Vedere Fulvio FERRARIO, Dietrich Bonhoeffer,Claudiana Editrice, Torino 1999, p. 22. Il testo letterale di Bonhoefferdice così: Avevo visto molte cose della Chiesa, avevo parlato e predicato aquesto proposito, e non ero ancora diventato cristiano, ma, selvaggio e ribelle,è rimasto l'unico proprietario della mia vita [...]. La Bibbia, e in particolare ilSermone della Montagna, mi ha liberato da tutto ciò. In seguito, tutto è cam-biato. L’ho avvertito chiaramente e anche altri accanto a me. Un’immensa li-berazione. Ho compreso nettamente che la vita di un servitore di Gesù Cristodeve appartenere alla Chiesa; e passo dopo passo si è precisata questa esigenzaassoluta.

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sua seconda enciclica, promulgata il 30 novembre 2007,hanno illuminato il mio spirito in quel tempo di riflessio-ne: È l'incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci liberaper farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durantela vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria ecrollare. Ma nel dolore di questo incontro, in cui l'impuro ed ilmalsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvez-za. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante unatrasformazione certamente dolorosa “come attraverso il fuoco”4,ma un fuoco di fiamme splendenti5. Nel suo commento sulcapitolo ottavo del Vangelo di Giovanni, che termina conl’incontro del Cristo con la donna adultera, S. Agostinodice: Non restò altro se non la misericordia e la miseria, cioè, ilfuoco e la paglia.

Il contatto con questo fuoco che è il Cristo, l’Enciclica Spesalvi ce lo spiega in modo consolante: Alcuni teologi recentisono dell'avviso che il fuoco che brucia e insieme salva sia Cristostesso, il Giudice e Salvatore. L'incontro con Lui è l'atto decisi-vo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. Èl'incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera perfarci diventare veramente noi stessi6. Questo incontro con ilSignore fuoco che brucia e che fa conoscere la verità sulla

4 BENEDETTO XVI, Enciclica Spe salvi, 47.5 Ricorda il testo del Sal 118,105: La tua parola è luce ai miei passi, lampa-da sul mio cammino.6 Cf. Spe salvi, 47 e anche Joseph RATZINGER, La morte e l’aldilà. Brevetrattato di speranza cristiana, cap. 7 (traduzione dal tedesco da parte diH. ROCHAIS, Tod und ewiges Leben, Ed. Communio-Fayard). Non sonosoltanto i teologi moderni che propongono questa identificazione conil Cristo fuoco, ma fortunatamente anche un monaco cistercense del XIIsecolo, per il quale il carbone ardente è San Benedetto e noi siamo deicarboni spenti. In realtà, l’Abate Aelredo di Rievaulx ha scritto un beltesto che trascrivo alla lettera in latino:

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nostra vita reale —non quella che spesso presentiamo—,mi sembra che sia stato anticipato per me, perché, dopo unmese di convalescenza —in seguito a questa caduta che miha lasciato incosciente e mi ha fatto subire due operazionicon anestesia generale nello spazio di quattro giorni—, eroritornato già alla mia frenetica attività di prima, dal mo-mento che mi sono risvegliato e ho iniziato a recuperare la

Quid enim est sanctus Benedictus, nisi quasi quidam carbo ardens in illoaltari coram Deu? Quid sumus nos, nisi quasi carbocnes adhuc frigidi,qui non sentimus illum mirabilem ignem divini amoris quo ipse ardet?Ergo, fratres adiungamus nos ad ipsum; consideremus fervorem vitaeeius, caritatem cordis eius, et inde accendamur, inde ardeamus. Nulloenim modo possumus melius et perfectius vincere concupiscentiam carnisquam si adhibeamus ei ignem caritatis. Quid est enim illa concupiscentiacarnis quae concupiscit adversus Spiritum, nisi quaedam naturalis rubigoanimae? Ideo adhibeamus ignem.

Nemo enim potest salvus esse nissi per ignem. Sed est ignis tribulationiset est ignis amoris. Uterque hic ignis consumit rubiginem animae. Davidpurgatus est per ignem tribulationis, Maria Magdalenae per ignem amo-ris. Nam sicut dicit Dominus, dimissa sunt ei peccata multa quondam di-lexit multum. Verum fratres, ut mihi videtur, uterque purgatus est perper ignem tribulationis, uterque per ignem amoris. Nam in David eratmagna vis amoris, qui ait: Diligam te domine, fortitudo mea. Et in peni-tentia sanctae Mariae fuit magnus ignis tribulationis.

Opera Sancti Aelredi Rievallensis, vol. II Sermo 37 In Natali SanctiBenedicti, n. 21-22.

(Cos’è infatti San Benedetto, se non quasi un carbone ardente suquel sommo altare davanti a Dio? [cf. Ez 1,13] Che siamo noi, senon quasi carboni ancora freddi, che non avvertiamo quel mirabilefuoco dell’amore divino con cui egli arde? Dunque, fratelli, aggiun-giamoci ad esso: consideriamo il fervore della sua vita, la carità delsuo cuore, e quindi saliamo, quindi ardiamo. In nessun modo infat-ti possiamo meglio e in maniera più perfetta vincere la concupi-scenza della carne che se aggiungiamo a lui il fuoco della carità.Cos’è quella concupiscenza della carne che desidera contro lo Spiri-to [cf. 1 Gv 2,16; Gal 5,17], se non quella naturale ruggine dell’ani-

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mia coscienza nell’ambulanza, con l’intenzione di mostra-re che non si era avuta alcuna assenza di potere, come sidice comunemente, e che tutto restava sotto controllo. Sol-tanto dopo due viaggi in Europa e due viaggi interconti-nentali, fatto nel giro di un paio di mesi, avvenne che inco-minciò, lentamente, la mia riflessione, risvegliata dalla sco-perta chiara e splendente, portatrice di pace e di verità at-traverso la quale Egli voleva dirmi: Ecco, sono alla porta ebusso7, avvertimento di cui fino a quel momento non mi

ma? Perciò accostiamoci al fuoco.

Nessuno infatti può salvarsi se non attraverso il fuoco [cf. 1 Cor3,15]. Ma è il fuoco della tribolazione ed è il fuoco dell’amore. Am-bedue questi fuochi consumano la ruggine dell’anima. Davide fupurificato attraverso il fuoco della tribolazione, Maria Maddalenacon quello dell’amore. Infatti, come dice il Signore, le furono rimes-si i molti peccati perché molto amò [cf. Lc 7,47]. In verità, fratelli,come mi sembra, ambedue furono purificati con il fuoco della tri-bolazione, ambedue col fuoco dell’amore. Perché in Davide grandeera la forza dell’amore, che dice: Ti amerò, Signore, mia forza [cf.Sal 17,2]. E nella penitenza di santa Maria grande fu il fuoco dellatribolazione).

Opere di S. Aelredo di Rievaulx, vol. II Sermone 37 Nel Natale di San Bene-detto, n. 21-22.7 Grazie all’importanza che ha rivestito in quel momento la lettura, tra-scrivo tutto il passo dell’Ap 3,17-20: Tu dici: “Sono ricco, mi sono arric-chito, non mi manca nulla”; e non sai che sei infelice, misero, povero, cieco enudo! Dunque ti do un consiglio: vieni a comprare da me oro purificato colfuoco, per diventare ricco, dei vestiti bianchi per coprire e nascondere la ver-gogna della tua nudità, un rimedio per strofinarti gli occhi per vedere meglio.Tutti coloro che amo, mostro i loro errori, e li punisco. Sii dunque fervente econvertiti. Ecco che sto alla porta e busso. Quello fu un richiamo più timi-do, ma dopo qualche mese, la sua voce si fa ogni giorno più insistentee chiara

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ero appropriato, benché sapessi che egli arrotola la mia vitacome un tessitore per recidermi della trama8.

La scintilla tuttavia, per incendiare la paglia secca e la vuotamillanteria delle cose realizzate durante la mia vita è stataanche —e in che modo!— il ricordo della meditazione diPaolo VI sulla morte, letta e riletta tante volte nel suo testa-mento postumo: Qui affiora alla mente la povera storia dellamia vita, intessuta, per un verso, dall'ordito di singolari e innu-merevoli benefici, derivanti da un'ineffabile bontà (è questa che,spero, potrò un giorno vedere ed “in eterno cantare“); e, perl'altro, attraversata da una trama di misere azioni, che si preferi-rebbe non ricordare, tanto sono manchevoli, imperfette, sbaglia-te, insipienti, ridicole. “Tu scis insipientiam meam“: Dio, Tuconosci la mia stoltezza (Ps 68,6). Povera vita stentata, grettameschina, tanto tanto bisognosa di pazienza, di riparazione,d'infinita misericordia. Sempre mi pare suprema la sintesi di S.Agostino: miseria et misericordia. Miseria mia, misericordiadi Dio. Ch'io possa almeno ora onorare Chi Tu sei, il Dio d'infi-nita bontà, invocando, accettando, celebrando la Tua dolcissimamisericordia9.

Fare la lettura del proprio comportamento di tutta la vita,degli atteggiamenti mantenuti, dei sentimenti che li hannoalimentati, delle motivazioni che mi hanno incitato ad agi-re, quasi come per un certo determinismo, sotto l’impulsodel difetto di fabbricazione, mi porta a considerare che tut-to era volontà di Dio e che il prodotto finale, che sono io,anche questo è volontà di Dio. Come uscirne?

8 Is 38,12.9 PAOLO VI, Meditazione sulla morte. Testo apparso postumo in L'Osser-vatore Romano il 5 agosto 1979.

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Solo dopo aver conosciuto ed assunto l’inconsistenza difondo, il difetto di fabbricazione —anzi, il difetto di auto-fabbricazione, perché procede dalle radici affondate nelcontesto socio-economico-religioso e politico che mi haconfigurato nel modo tale come sono—, si può cominciarela ricapitolazione in Cristo e trovare nuove motivazioni,nuovi sentimenti e atteggiamenti, nuovo comportamento,infine, la trasformazione in Cristo della quale parla Paoloagli Efesini: Vi invito a condurre una vita degna della vocazio-ne alla quale siete stati chiamati, con tutta umiltà, dolcezza elonganimità, sopportandovi a vicenda con amore, preoccupati diconservare l’unità dello spirito col vincolo della pace; e che ripe-te ai Colossesi: Voi dunque, come eletti di Dio, santi e amati,vestitevi di tenera compassione, di bontà, di umiltà, di mitezza,di longanimità10.

Questa trasformazione la troviamo in altri testi degli scrittidi Pablo: In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, peressere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predesti-nandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, se-condo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloriadella sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel qualeabbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione deipeccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l'ha abbondan-temente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poi-ché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondoquanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realiz-zarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare inCristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra11.

10 Ef 4-2; Col 3,12.11 Ef 1,4-10.

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Ecco come è iniziato il mio contatto con Cristo fuoco, luceche si leva nelle tenebre12 e come ciò mi ha fatto vedere le coseedificate durante la mia vita come paglia secca, vuota millante-ria; è perché non posso vantarmi di nulla, ma diventare dav-vero me stesso13. Comprendere che Dio non agisce nell’irrea-le, ma nel concreto della miseria di ciascuno, nella realtàdel peccato benché sembri un paradosso: di ciò che abbia-mo pensato e ammesso essere un peccato, Dio ne approfit-ta per stabilire il suo dialogo e ricondurci a Colui che hadetto: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e iovi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me,che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostreanime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero14. Biso-gna tuttavia saper leggere questo modo di agire di Dio nelconcreto della mia miseria, finché bruci la paglia della miavita. Che cosa vuol farmi leggere il Signore nel concretodella miseria della mia vita? Paolo VI parlava della miseriamia e misericordia di Dio, citando S. Agostino, nel suo com-

12 Cf. Sal 111,4.13 BENEDETTO XVI, Spe salvi, 47. Tale giudizio che è il contatto con ilCristo fuoco di cui parla l’enciclica, noi lo ritroviamo in altri termini:Inutile è cercare segni misteriosi della venuta del Regno. Il Regno è già pre-sente là dove l’azione del Cristo è continua, attualizzata. Congiuntamentecon il Regno di Dio, il Giudizio del Figlio dell’Uomo si è realizzato nella sto-ria: egli viene per manifestare la verità della vita di tutti. Questa manifesta-zione del Figlio dell’Uomo è sempre un momento grave e decisivo. Da essa di-pende la salvezza o la distruzione di ciascuno. Saranno salvati quelli che,come Gesù, hanno fatto della loro vita un dono per gli altri. Cf. Bíblia Sagra-da, Edição Pastoral, Paulus, São Paulo 1990, nota al cap. 17, 20-21; 22-39 del Vangelo di Luca. Sia Dietrich Bonhoeffer che Paolo VI, JosephRatzinger e Giovanni Paolo II hanno parlato del Cristo come un uomoper gli altri.14 Mt 11,28-30.

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mento al Vangelo della donna adultera15, dove egli scrive:Rimasero soltanto la misera e la misericordia, il fuoco e la pa-glia. Accadde più o meno la stessa cosa con la Samaritana,dopo aver avuto con essa il dialogo sull’acqua viva16; Gesùaveva indovinato il suo stato civile —ella aveva avuto cin-que mariti e l’attuale non lo era—. Ma ancor più sorpren-dente fu la risposta che ricevette da lei: “So che viene il Mes-sia, colui che chiamano il Cristo. Quando verrà, sarà lui a farciconoscere ogni cosa”. Gesù le disse: “Sono io, che ti parlo”17. Si èrivelato a lei, e precisamente a colei che aveva conosciutocinque uomini! Poiché Dio non agisce nell’irreale —comeabbiamo detto prima—, ma nel concreto della miseria diciascuno, nella realtà del peccato, cioè, per la strada negati-va, in quanto Dio, in realtà, ha racchiuso tutti gli uomini nelladisobbedienza per concedere misericordia a tutti gli uomini18.

Se gli uni o gli altri giudicano che si siano avute delle cosepiù o meno riuscite nel mio lavoro, si sbagliano del tutto,perché sono le opere che Egli stesso ha condotto a termineattraverso i suoi figli. gli uomini, apparsi nel mio ambien-te; ma esse non sono mie, come dice San Benedetto: A Dioe non a sé, attribuire il bene di cui ci si riconosce capaci. A sé

15 Gv 8,6-7. Il Papa Benedetto XVI, la domenica 25 marzo 2007, nellaparrocchia di Santa Felicità e delle sue figlie martiri, dopo il commentodi Gv 8,7: Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra, e considerandoil silenzio degli accusatori della scena della donna adultera, il Papa haaggiunto l’eloquente commento conciso ed efficace, di S. Agostino, sulVangelo di Gv 8,7 e ss: Restarono due: la misera e la misericordia.16 Gv 4,7-26. Non solo il discorso sull’acqua viva ma anche la confessio-ne di Gesù: Sono io, che ti parlo.17 Gv 4,25-26.18 Rm 11,32.

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stessi, invece, nella consapevolezza di averlo compiuto, saper im-putare il male19.

Allora, come conclusione realistica e logica, cominciavoanche a rendermi conto che avrei lasciato le mie responsa-bilità e, dopo un certo tempo, ho intrapreso delle misureper trasmetterle —il più chiaramente possibile— a chi do-vrà continuarli migliore di quello che io ho fatto. Già glichiedo perdono, sia per ciò che lascio incompiuto, sia perle situazioni non ancora risolte.

Quando sarò stato esonerato, in un modo o nell’altro, eforse anche con più forza e luce —questo è il mio desiderio—, senza dubbio, affiora alla mente la povera storia della miavita, intessuta, per un verso, dall’ordito di singolari e innumere-voli benefici..., e, per l’altro, attraversata da una trama di misereazioni, che si preferirebbe non ricordare, tanto sono manchevoli,imperfette, sbagliate, insipienti, ridicole. “Tu scis insipientiammeam”: Dio, Tu conosci la mia stoltezza (Ps 68,6)20, resa evi-dente dall’incompetenza per le funzioni che ho esercitato.E così, lasciandomi bruciare da questo confronto con il Cri-sto, il fuoco che divora, attenderò l’ora dell’ultimo incontrocon Lui, giudice giusto, lento all’ira e ricco in bontà21, acco-gliente dei no religiosi, accogliente di pubblicani22, come silegge nel Vangelo.

Chi sono e dove sono? Come sono arrivato qui e perché visono arrivato? Quanti errori commessi e sofferenze ho cau-sato! Numerose volte ho detto a proposito del cristiano19 RB 4,42-43.20 PAOLO VI, Meditazione sulla morte, 1979.21 Nm 14,18.22 Cf. Mt 9,9-13.

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che, imitando il Maestro, deve essere un uomo con e per glialtri23; ma quando l’ho fatto personalmente? E quanto, espesso, ho ripetuto che il cristiano è colui che “in un modo se-colare” partecipa (soffre con) alla sofferenza di Dio nel mondo24,presente là dove si vedono i più poveri, i più umili e quelliche sono perduti25, forse queste sono state solo parole? Il miocuore non sa trovare la strada del tuo, quello dei solitari...,

23 Espressione molto famosa di Dietrich Bonhoeffer, che Joseph Ratzin-ger ha fatto propria nel suo (Introduzione al cristianesimo) Fede cristianaieri e oggi Edizioni Mame 1969, e alla quale Paolo VI ha dato un nuovovalore citandola in un’udienza generale il 29 marzo 1972. Il CardinaleWojtyła l’ha ugualmente presa in prestito per spiegare ai seminaristidella Slovacchia, accolti in Cracovia, la figura del prete. Vedere nelfilm, in DVD, Karol, l’uomo che diventa Papa.24 Dietrich BONHOEFFER, Resistenza e resa, Ed. S. Paolo 1988, prol. di Al-berto Gallas, p. 11.25 Rabindranath TAGORE nell’introduzione alla Bíblia sagrada, Ediçãopastoral do Brasil, p. 10, ho letto e tradotto io stesso questo testo porto-ghese:

Questo è il luogo per i tuoi piedi, che essi possano riposare qui, dove vivonoi più poveri, i più umili e quelli che sono perduti.Quando mi sforzo di inchinarmi dinanzi a Te, la mia riverenza non arriva araggiungere il livello di profondità dove riposano i tuoi piedi, tra i più pove-ri, i più umili e quelli che sono perduti.L’orgoglio non può mai avvicinarsi al luogo dove Tu cammini faticosamen-te con i vestiti del misero, tra i più poveri, i più umili e quelli che sono per-duti.Il mio cuore non può mai trovare il cammino dove Tu fai compagnia a quelliche non hanno compagni, tra i più poveri, i più umili e quelli che sono per-duti.

La mia ricerca ulteriore mi ha fatto abusare dell’esatto riferimento:Ofrenda Lírica, n. 10 (Gitánjali) Rabindranaz Tagore, Premio Nobel del-la Letteratura 1913. La traduzione spagnola è stata fatta da Juan Ra-món Jiménez e sua moglie Zenobia Camprubí, ai quali l’autore dàl’esclusività. Questo testo comporta poi una lunga antologia biblica,soprattutto a proposito de Gli umili possederanno la terra.

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dove percorri tu un cammino, tra i più poveri, i più umili e quel-li che sono perduti. Ma, se sono io uno di questi perduti, saràperché tu sei già vicino al mio cuore come l’Agnello, il Lo-gos che porta su di sé la natura umana? Se è così, sai cheho davvero sofferto molto, Signore26, e tu conosci anche quelleche ho sofferto e quanto stanco sto sopportarmi! Come cia-scuno venendo al mondo, già porto una legge diversa nellemie membra che osteggia la legge della mia mente e mi rendeschiavo alla legge del peccato che sta nelle mie membra, comoscrive Paolo27, cioè, la propria inconsistenza di fondo, ilsuo difetto di fabbricazione —ognuno conosce per tristeesperienza il proprio— che lo metterà in contatto perma-nente con il fuoco purificatore che è il Cristo. Sapere ciò ri-sparmia un’altra sofferenza, frutto di distinzioni proprie diuna certa filosofia28 e ciò evita espressioni quali: Non cari-care troppi pesi sulla persona umana con maggiore sofferenza: è

26 Cf. Sal 118,107.27 Cf. Rm 7,23.28 Joseph RATZINGER, (Introduzione el Cristianesimo) Fede cristiana ieri eoggi, Edizioni Mame 1969, p. 218, in concreto nella seconda parte, alnumero 2, quando tratta dello Sviluppo della professione di fede al Cristonegli articoli cristologici, in cui parla di Gesù Cristo e ci dice: Il Cristo èrisuscitato alla vita definitiva che non è più legata alle leggi chimiche e biolo-giche (non confondere la risurrezione con la reincarnazione), e moltealtre cose che ci fanno crescere nella nostra fede, come, per esempio, larisurrezione della carne e il problema della risurrezione del corpo. Se liavessimo conosciuto in tempo avremmo evitato delle espressioni chetroviamo al paragrafo seguente, ricordando Les Hores, di Josep Pla, chemi permette di dire così: “Ognuno ha già a sufficienza con la sua cro-ce”, cioè, “la sua tara personale da trascinare, il difetto personale difabbricazione, senza eziologie bibliche” (cf. Aldo MAGRIS, Il mito delgiardino di ‘Eden, Morcelliana 2008), per spiegare la dicotomia che por-tiamo nello sviluppo del nostro contesto socio-economico-religioso, in-vece di dire: Si hanno già tante pene per il fatto di essere nati.

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già abbastanza essere nati29, che mi sembra voler dire: l’infer-no è già qui.

Quarant’anni di funzione abbaziale inutile! Come l’haipermesso, Signore? Il mio passaggio in queste responsabi-lità non è servito a nulla, né a Poblet, né all’Ordine. Provovergogna, ricordo i miei numerosi e gravi errori, per que-sto chiedo perdono a tutti quelli che hanno dovuto soppor-tarli. Tutto dovrebbe essere meditato e ricominciato. Matrovandomi già nella luce di Cristo in questo declino rive-latore, in quest’ora vespertina, ciò che occupa unicamenteil mio pensiero è il desiderio di mettere a profitto l’undeci-ma ora, per terminare di affinare il cammino per quelli cheverranno dopo di me: che le Congregazioni di monachedell’Ordine si consolidino e che i giovani abbiano ufficial-mente l’opportunità di ricevere la formazione che non hoavuto io; che l’Archivio della Casa Generalizia (ACGOC)sia ordinato e l’economia della Curia sia sana. E che questoavvenga, se Dio lo permette, prima che sia troppo tardi, enon per la mia gloria, ma per il bene di tutti quelli che ver-ranno dopo di me. Ma, come riparare le cattive azioni, gliscandali? Come ricuperare il tempo perduto? Come otte-nere, scegliere —in questa ultima possibilità di scelta—l’unica cosa necessaria?30 Presentandomi sinceramente alCristo fuoco, al quale ho preferito tante cose, nonostanteavere professato secondo la Regola di San Benedetto che cidice: Nulla preferire all’amore di Cristo31.

29 Josep PLA, Les Hores, Opera Completa, 20, Edizioni Destino 1971, p.417. Mi sembra che bisogna leggere la frase come chiave della notaprecedente.30 Cf. Lc 10,41-42.31 RB 4,21.

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Ora almeno, quando finalmente ho appreso senza paura,di quale fuoco si tratta, bisogna che mi lasci bruciare senzamettere ostacoli alle fiamme del Cristo fuoco, il Maestro delSermone sulla Montagna che mi ha fatto sperimentare chemi trovo allo scoperto e ad arrossire nell’ascoltare, perchése uno non diventa giusto come questi uomini che lottano e sof-frono per la giustizia, la verità e l’umanità, non può riconoscereil Cristo32. Questo è il fuoco. Così si trovano il misero e la mi-sericordia. Chi non si lascia interrogare per Lui e bruciare lapropria paglia secca?33

Partendo dall’istituzione dei Corsi di Formazione Monasti-ca nel Collegio San Bernardo dell’Ordine Cistercense, aRoma, ho iniziato un racconto biografico velato, contenutotra le righe dei miei discorsi indirizzati ai giovani monaci e

32 Mario MIEGGE in Alberto CONCI - Silvano ZUCAL, Dietrich Bonhoeffer,Morcelliana 1997, p. 26 si trova letteralmente questa espressione perrappresentare l’effetto dell’appropriazione delle beatitudini alla pro-pria vita.33 Trascrivo un’impressionante testimonianza di questo incontro con ilfuoco del Cristo: Credo di sapere che non potrei essere veramente in ordineinteriormente se non quando comincerò a prendere davvero sul serio il Ser-mone sulla Montagna… Vi sono ancora cose per le quali vale la pena di impe-gnarsi senza mezze misure. Mi sembra che la pace, la giustizia sociale, o Cri-sto stesso, sia una cosa di questo genere. Dietrich BONHOEFFER, GesammelteSchriften II (Gesammelte Schriften I-III per Eberhard Bethge, München1959-1974), pp. 24 e ss (citazione in: Eberhard BETHGE, Dietrich Bon-hoeffer, vita, pensiero, testimonianza, trad. fr. Genève, Labor et Fides,1969, p. 174). Citato anche da Renate WIND, Dietrich Bonhoeffer, Ed.Piemme, Casale Montferrato 1995, p. 53 e ss, di una lettera a suo fratel-lo maggiore Karl Friedrich Bonhoeffer il 14 gennaio 1935. Fino al 1935non era stato concesso a Dietrich Bonhoeffer di fare l’esperienza con-creta di Dio prendendo sul serio il Sermone sulla Montagna, finoquando aveva 29 anni e insegnava già da un certo tempo. A me, alcontrario, è stato concesso di sperimentarlo 48 anni dopo l’età che egliaveva quando se ne rese conto.

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monache, perché possano apprendere dai miei errori, ciòche essi non devono fare. Dopo qualche anno lavorandoper i giovani dell’Ordine, mi sono sentito in obbligo discrivere queste cose a loro intendimento, e ciò permetteanche a coloro con i quali sono vissuto e che hanno potutofare una lettura delle mie azioni, di rileggerle ora con unaluce nuova e rivelatrice. A partire da questo dialogo tra lamisericordia di Dio e la mia miseria, è uscita da me, pergrazia, come una specie di confessione, vivendo i fatti del-la mia vita, la paglia che è bruciata al contatto del Cristofuoco purificatore34 in questi giorni di tregua, al fine di faremergere la mia verità carente di autenticità, amabilità,semplicità e modestia.

Ora non mi resta altro che accogliere la misericordia diDio35, poiché non posso fare nessun atto di riparazione.Non ho più tempo per rettificare, né per tornare indietroperché la vita avanza senza ritorno. Non mi resta che assu-mere i miei insuccessi, riconoscere la trama di misere azioni,che si preferirebbe non ricordare, tanto sono manchevoli, imper-fette, sbagliate, insipienti, ridicole36, cioè, la paglia secca bru-ciata lentamente al calore del Cristo fuoco, e niente più!Non trovo nelle ceneri alcuna traccia della presenza diquesti principi della sociologia, fondati sul diritto naturale dicui abbiamo, dopo questi ultimi anni, una conoscenza più chia-ra, e che il Magistero della Chiesa (Mater et Magistra, Pacem

34 Cf. Spe salvi e anche S. AGOSTINO nel Commento al c. 8 del Vangelo diS. Giovanni, l’incontro con la donna sorpresa in flagrante peccato diadulterio e presentata a Gesù perché la giudichi.35 Cf. RB 4,74, frase lapidaria messa nell'ultimo posto della lista deglistrumenti delle buone opere, come se volesse dire: benché tutti gli altristrumenti ti abbiano falliti, che questo rimanga fermo.36 PAOLO VI, Meditazione sulla morte, 1979.

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in terris…) proclama con grande insistenza. Tra questi principi,i più importanti per noi sono quelli relativi alla dignità dellapersona e della solidarietà, e anche quelli di sussidiarietà e dipluralismo legittimo in seno alla indispensabile unità, chel’Ordine aveva proclamato ormai da anni37, e che ho già ri-petuto a destra e a sinistra.

La mia famiglia ha avuto tanta pazienza con me! Come an-che quelli che mi hanno accolto a Poblet e, malgrado tutto,si sono resi responsabili per me, senza immaginare —néessi, né io— il cammino che mi hanno visto percorrere e,con la loro misericordia e quella di Dio, sono andato avanti—non bene però!—; cosa che non ho saputo leggere con ri-conoscenza e pentirmene. Non posso facilmente parlare diperseveranza, né di fedeltà alla vocazione, perché spessomi pongo la domanda: avevi davvero la vocazione?; non viera un’altra strada per me? Allo stesso modo uno ha scrit-to: Nessuno deve chiedere l’ordinazione senza la certezza di es-sere stato chiamato38. Perché mi è sembrato di trovare da-vanti la certezza di essere stato chiamato da una sorta dideterminismo? Quali segni ho avuto per andare avanti?Talvolta, perfino, ho pensato ciò: la mancanza di vocazio-ne può fare aprire la porta a tutti quelli che vi bussano e…,non è stato forse questo il mio caso?

Dopo il patimento sofferto, causato da queste ultime do-mande, vivendo nel fuoco, non posso, come Paolo VI nellasua meditazione sulla morte, chiedermi: Perché hai chiamatome? Perché mi hai scelto? Così inetto, così renitente, così povero37 Dichiarazione del Capitolo Generale (1968-1969) sui principi della vita ci-stercense oggi, n. 83, così importante per la nostra identità monastica.38 Dietrich BONHOEFFER, La parola predicata. Corso di omiletica a Finken-walden, Ed. Claudiana, Torino 1994, p. 33.

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di mente e di cuore? Lo so: “Quae stulta sunt mundi elegitDeus… ut non glorietur omnis caro in conspectu eius”: Dio hascelto ciò che nel mondo è debole... perché nessun uomo possagloriarsi davanti a Dio (1 Cor 1,27-28). La mia elezione indicadue cose: la mia pochezza e la Tua libertà, misericordiosa e po-tente, la quale non si è fermata nemmeno davanti alle mia capa-cità di tradirti: “Deus meus, Deus meus, audebo dicere… inquodam aestatis tripudio de Te praesumendo dicam: nisi quiaDeus es, iniustus esses, quia peccavimus graviter… et Tu placa-tus es. Nos Te provocamus ad iram. Tu autem conducis nos admisericordiam”: Mio Dio, mio Dio, oserò dire… in un estaticotripudio di Te dirò con presunzione: se non fossi Dio, saresti in-giusto, poiché abbiamo peccato gravemente… e Tu Ti plachi.Noi Ti provochiamo all’ira e Tu, invece, ci conduci alla miseri-cordia (PL 40, 1150)39. Queste parole potrebbero servirmi diconsolazione, ma sono state dette da lui, il Papa Paolo VI!Do una risposta a me stesso —senza appropriarmene—, ecosì, rimango nel fuoco divorante che, fortunatamente, è pu-rificatore.

Ora, in questi giorni, che sono i penultimi, in questa treguache Dio mi offre, quando ormai i miei parenti e i monaciche mi hanno conosciuto e sopportato sono già passatisull’altra riva, mi sovviene di fare una lettura di riconcilia-zione, più viva che mai, del mio povero contesto socio-eco-nomico-religioso e politico che mi ha configurato cosìcome sono, tanto nell’infanzia e nella giovinezza, che nelmonastero e nell’Ordine. E cioè, riconciliarmi con la miacultura della povertà per apprendere che, malgrado tuttala decadenza vissuta nelle sorgenti culturali di umile estra-

39 PAOLO VI, Meditazione sulla morte, 1979.

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zione e la confusione creata all’interno di me stesso40, infi-ne con la forte scossa che è stato l’incidente del 2006, il Si-gnore mi ha fatto vedere, già al termine della giornata, cheil Vangelo è anche per me, anche se si è tra gli ultimi chia-mati: Proclamate la buona novella a tutte le creature41. Ma, ora,le parole e gli scritti di riconciliazione non sono necessari,perché non sono più colui che ero quando, vivendo nella

40 Antonio GAMONEDA, La cultura de la pobreza. Discorso pronunciatodall’autore nel momento di ricevere il “Premio Cervantes“ il 23 aprile2007, nel quale parla con grande sincerità delle sue sorgenti culturalidi umile estrazione. Noialtri possiamo sottoscrivere tutto ciò che ilpremiato dice in quell’occasione e tutto ciò che egli ancora tace, mache avrebbe potuto completare, se avesse fatto una descrizione di altriaspetti dei suoi anni vissuti nella cultura della povertà e della sofferen-za. Facendo ciò ci avrebbe risparmiato di fare degli atti di spoliazioneper mostrarci le grandi rassomiglianze tra lui e la mia generazione.Ma, di recente, una cosa simile è stata scritta da Sílvia ALCÀNTARA che,nel suo romanzo Olor de Colònia, Barcelona 2009, Edicions de 1984, de-scrive il contesto socio-economico e politico-religioso di uno dei centriindustriali del tessile, chiamati “colonie”, costruito per approfittaredella forza idraulica del fiume Llobregat e quasi di tutti gli altri: Ter,Fluvià, Cardoner..., quando nel XIX secolo arrivò la Rivoluzione Indu-striale in Catalogna. Il suo contesto non era lontano né diverso daquello nel quale dovevo nascere e vivere fino a dodici anni. Chi ha be-vuto alle sorgenti culturali di umile estrazione, generalmente ne con-serva il lessico e un temperamento tipico di evasione –talvolta e perfi-no spesso sarcástico– per dissimulare, cercando per un momento discacciare le angosce, le tristezze, le privazioni e le frustrazioni che loavviluppano, perché esse si manifestano in un certo modo di mangiareprimitivo e uno stile particolare di abbigliamento; così nel modo digiocare, senza i giocattoli propri dei bambini, e i modi di divertirsi deigiovani; in un modo singolare di guardare il mondo e uno stile ridico-lo di deformarne la tiponomia e di utilizzare la grammatica che si po-trebbe illustrare con molti esempi, secondo il contesto vitale. Usciredalle sorgenti culturali di umile estrazione è quasi impossibile, sebbe-ne si abbia una grande vergogna di aver avuto bisogno di bere a que-sta fonte e che ci si sia sforzati di allontanarsene fino al punto di crede-

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cecità, mi veniva di farlo e non ho saputo farlo. In questomomento, grazie alle parole prese in prestito nella “ragio-ne narrativa”, posso formularlo più o meno così:

Di queste persone la cui vita è già trascorsa non ricordiamo i di-fetti, gli inconvenienti, le reazioni che hanno avuto con noi e checi hanno spinti a trattarle con durezza e, talvolta, anzi spesso,con assoluto disprezzo. Di persone la cui vita è già trascorsa,non ricordiamo più se non momenti di silenzio, di freddezza, dimalizia, di odio che abbiamo nutrito nei loro confronti. I mortihanno questo vantaggio: smettono di essere un peso, i loro gestinon sono più ridicoli, il loro viso non è più troppo veduto, le loroparole non offendono più. Essi si sono mutati in ombre confusenella nostra memoria incerta. Vedi bene che essi hanno questovantaggio: sperimentare la spina di ciò che essi avrebbero potutofare e non hanno fatto, di ciò che essi avrebbero potuto rispar-miare e non hanno risparmiato, di ciò che avrebbero potuto daree non hanno dato. Di ciò che avrebbero potuto fare, risparmiare,evitare, dire con così poco sforzo o con uno sforzo minimo! Ma è

re di essersene liberati, poiché apparirà sempre qualcuno che metteràin evidenza le sue origini. Non è stato dunque dato ad alcuno di poterscegliere tra nascere in un palazzo reale o sulla greppia di Betlemme. Non si può dire che la difficoltà sia superata, perché le distanze socialisi sono ridotte, perciò il contesto culturale è da assumere soltanto, mauscirne è molto difficile, quasi impossibile, e bisogna persino arrivarea dirsi: sono di umile estrazione culturale e ciò basta; ho un odore dicolonia, un odore che non si può nascondere con una specie di profu-mo, non sono di quelli che frequentano l’università per arrivare ad es-sere dottore honoris causa. Resta solo, come rimedio consolatorio, la ri-conciliazione con se stesso. Ma, bisogna dire che nessuno è nato dotto,istruito: ciò ritorna al contesto di ciascuno, senza poterne adottare unaltro. Il fatto di essere in una famiglia fortunata non significa che nonsi sia poveri culturalmente. Nella nostra epoca, fortunatamente, è arri-vato il livellamento delle classi.41 Mc 16,15.

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già tardi. Le lamentazioni sono ormai inutili, i vuoti sono il no-stro rammarico, le riparazioni rimangono sterili. Ciò proiettanella nostra vita ombra e tristezza. Ci invade la vita della memo-ria ed esercita una pressione sulla nostra esistenza presente. Manon vi è più rimedio, tutto è inutile, le lamentele non hanno al-cun senso. Il tempo è irreversibile e ciò che è stato, lo è stato,pura e semplicemente. Abbiamo intossicato la vita delle personeche abbiamo stimato maggiormente. Riguardo alle persone indif-ferenti, non abbiamo forse fatto loro alcun male, proprio perchénon eravamo entrati nella loro vita. Al contrario, abbiamo sciu-pato la vita di quelli che amavamo di più. Cosa devono pensaredi noi queste persone che sono giunte nella pace definitiva? Cosadevono pensare di noi i nostri migliori amici? Forse devono pen-sare che loro avrebbero meritato maggiore attenzione, un riguar-do amorevole, un sorriso, un gesto cordiale, quando vivevano,piuttosto che questi inutili rimorsi postumi42.

Ma l’Incarnazione di Dio nel Cristo ha talmente unito ilgiudizio e la misericordia che la giustizia si è stabilita confermezza: Lavorate “con timore e tremore” per raggiungere lavostra salvezza (Fil 2,12). Ma, malgrado ciò, la grazia permette42 Josep PLA, Les Hores, Edizioni Destino, Opera Completa, 20, Barcelo-na 1971, pp. 409-410. Parlando dei fedeli defunti, l’autore, che un altroscrittore editore chiama “la ragione narrativa” (cf. Josep. M.CASTELLET, Josep Pla o la raó narrativa, Barcelona 1978), oltre ad averciinsegnato a scrivere ci ha parlato molto di altre cose, per esempio deisentimenti di pentimento e di riconoscenza verso i nostri defunti, e an-che di non confondere risurrezione e reincarnazione per non spaventa-re le persone parlando di fuoco eterno (vedere la citazione di J. Ratzin-ger ed anche quella di Aldo Magris nella nota 28 di questa confessio-ne). Molti anni addietro, Dietrich Bonhoeffer aveva scritto: Ciò che èpassato ci ritorna come il momento più vivo della nostra vita attraversol’amarezza e il pentimento (cf. Ugo PERONE y Marco SAVERIANO, DietrichBonhoeffer. Eredità cristiana e modernità, Claudina 2006, p. 216, e ancheDietrich BONHOEFFER, Resistenza e resa, Ed. Ariel 1969, p. 88).

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a tutti noi di sperare e di nutrire piena fiducia per l’incontro conil Giudice che conosciamo come nostro “avvocato”, il paraclito(cf. 1 Gv 2,1), leggiamo in Spe salvi43. Ed è così che possodire: Fammi vedere, Signore, la luce del tuo viso e sarò salvato44,mostrami il cammino più agevole per me, quello che è allaportata di tutti, dunque è vero che esiste nella Chiesa uno“stato di perfezione”, in cui ci si impegna ad andare al di là diciò che è comandato, in cui ci si obbliga alla sovrabbondanza.Ma quelli che appartengono a questo stato sono i primi ad affer-mare che stanno incominciando sempre, che anelano sempre piùqualcosa. Lo “stato di perfezione” è invero la più drammaticamanifestazione dell’imperfezione permanente dell’uomo45. Perquesto, perché appartengo all'estamento del quale devonofare questa drammatica confessione, devo proteggermisotto la luce del tuo sguardo, l’unico cammino attraverso ilquale posso fare progressi, e che mi sia appropriato inquanto so che ciò che è impossibile per gli uomini è possibileper Dio46; e rimango in questa via perché è fatto alla miamisura, per essa dunque camminano coloro che sono vesti-ti di indumenti dei miserabili, i più poveri, i più umili e quelli

43 Spe salvi, 47.44 Cf. Sal 79,4.45 Joseph RATZINGER, (Introduzione al cristianesimo) Fede cristiana ieri eoggi, Edizioni Mame 1969, p. 177; e RB 73, vi si legge che la Regola èstata scritta per i principianti, per quelli che si trovano all’inizio, chesono sempre novizi.46 Lc 18,27.

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che sono perduti47, cioè, coloro nella cui sofferenza è presen-te Dio48. E io sono uno di quelli, uno dei perduti.Ora, nell’impossibilità di fare o manifestare qualsiasi cosa,mi sovviene delle domande del salmista: Il Signore non faràche rigettare, non sarà mai più propizio? Il suo amore è dunquescomparso? Si è spenta, di età in età, la promessa? Può Dio averdimenticato la misericordia, aver chiuso nell’ira il suo cuore?49

47 Rabindranath TAGORE, vedere la nota 25 di questo scritto. La spiega-zione dell’Agnello di Dio che apre la mia meditazione, al posto dellacroce tradizionale, mi richiama il testo di Tagore, in quanto il Logos, laParola di Dio si è fatta chiara (Gv 1,14), ha preso la nostra stessa natura(la pecora prigioniera delle passioni) e ci insegna la via del ritorno aDio (il Sermone sulla Montagna). Essa ha preso su di sé –secondo le pa-role di Tagore– i vestiti del misero, è vissuto tra i più poveri, i più umili eperduti. Così ha agito l’Agnello di Dio che porta su di sé il peccato delmondo, cioè, la natura umana prigioniera del suo difetto di fabbrica-zione personale. L’Agnello, dunque, porta dovunque la nostra natura:Agnum iugiter sequuntur (cf. Gv 1,36 e Ap 14,4).48 Abbiamo detto e ripetuto che non è l’atto religioso (la grazia a buonprezzo, a buon mercato) che fa il cristiano, ma la sua partecipazionealla sofferenza di Dio nel mondo, e cioè, nelle opere di misericordia,come il Cristo, nel giudizio finale dirà: Avevo fame e non mi avete dato damangiare, avevo sete e non mi avete dato da bere (Mt 25,31-46); troviamoanche nelle beatitudini: Beati quelli che piangono: saranno consolati (Mt5,4); e lo ripete il Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica,nell'Appendice, dove enumera le sette opere di misericordia spirituali,in concreto la quarta: Consolare gli afflitti. Cristo si identifica con tuttiquelli che soffrono morale e fisicamente, cioè, quelli nei quali il doloredi Dio si manifesta. Questo è: “essere“ uno con gli altri e “per“ gli altri,atteggiamento che richiede un sforzo: “la grazia che costa“. DietrichBonhoeffer ci parlò di “la grazia a buon prezzo“ e della “grazia che co-sta“ nel suo libro El precio de la Gracia (Il prezzo della Grazia), Ed. Sígue-me, Salamanca 1968.49 Sal 76,8-10.

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Ed anche ricordare: Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disob-bedienza per usare a tutti misericordia50.

Per darmi una risposta, non mi rimane che ascoltare, a te-sta bassa, ciò che il Maestro e Giudice misericordioso hadetto in una scena evangelica conosciuta51, e che, nel mo-mento del mio incontro finale con Lui —così lo spero, nonconoscendo l’ora, né come, né dove sarà—, ripeterà diret-tamente per me:

—Allora, nessuno ti ha condannata?—Nessuno, Signore.—Nemmeno io ti condanno52.

Dunque, davanti alla misericordia, io, il misero, sinceramen-te riconoscente e confuso, a voce bassa —se in quel mo-mento mi resterà ancora un po’ di forza e che sia cosciente,perché il ricordo del mio incidente, che mi lasciò senza co-noscenza, aleggia sempre su di me—, gli risponderò:

Signore, abbi pietà! Cristo, abbi pietà! Signore, abbi pietà!

1933-2008

Roma, 10 luglio 2008.

50 Rm 11,32.51 La donna sorpresa in flagrante delitto di adulterio sul punto di esse-re lapidata, e da ultimo salvata.52 Cf. Gv 8,10b-11a. Senza domande sulle circostanze della persona, delluogo, né del numero di volte; Gesù non la condanna.

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P.S.: Ciò che ho scritto, per i miei settantacinque anni, conlo spirito ancora lucido, è soprattutto una confessione frut-to del contatto con il Cristo fuoco, più che un “testamentospirituale”, perché non posso lasciarvi niente poiché nientepossiedo. Assolo devo chiedere, un'altra volta e quasi informa di Viatico, la misericordia di Dio e la vostra53.

53 Rituale Cistercense per iniziare il noviziato e nel momento di emetterele professioni.

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Frammenti estratti di distinte allocuzioni dell'Abate Gene-rale Maur Esteva diretti ai giovani monaci e monachealunni dei Corsi di Formazione Monastica del Collegio SanBernardo dell'Ordine Cistercense, a Roma.

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1. Estratto dell'allocuzione del 24 di agosto di 2008

Dell’Opzione per i giovani, speranza dell’avvenire, ai che bi-sogna fare crescere, non è possibile parlare, a meno che non sitratti di quelli per i quali si aveva una certa preferenza e che era-no considerati come gli unici ad essere adatti, fino a quando glialtri, gli esclusi, giungano a rigettare in modo naturale i partico-larismi concessi ai preferiti, senza osare formulare tale sentimen-to. L’Opzione per i Giovani, può significare prender parte allaguerra tra generazioni? No, grazie! Semplicemente vuol dire of-frirli, a tempo e in modo generalizzato, la formazione, cioè lo svi-luppo dei loro doni e talenti, cosa che noi non abbiamo ricevuto asuo tempo.

L’uguaglianza delle opportunità culturali era impensabile. I gio-vani che, per una ragione o per un’altra, non avevano ricevutouna preparazione per accedere all’università, non avevano, ingenerale, alcuna porta aperta come quella attraverso la quale,fortunatamente, essi ora possono accedere per recuperare ciò chenon hanno ricevuto finché sono vissuti nella cultura della pover-tà, in tal modo nella comunità regna l’uguaglianza, senza alcunesclusivismo sociale né culturale e, ancor meno, secondo arbitriodi qualsiasi tipo. Questo è optare per i giovani.

[...] Da ciò sono scaturiti i Corsi di Formazione Monastica, comeuna forma concreta di Opzione per i Giovani, e che hanno vo-luto essere una risposta al Papa Giovanni Paolo II, guida lumi-nosa e affascinante, che ha posto fiducia nella nuova generazio-ne, e già dal primo momento del suo Pontificato egli ha chiamatoi giovani la “sua speranza”, e ha detto che avrebbe avuto bisognodi loro. Vale a dire, egli si è affidato a loro e ha creato per loro la

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Giornata Mondiale della Gioventù, che gli ha permesso di man-tenere il contatto e di entrare in sintonia con le future generazio-ni, attitudine che lo conservò il cuore giovane, al punto che mi-lioni di ragazzi e ragazze, giovani ed anche adulti, l’hanno ac-compagnato e hanno pianto su di lui, in un modo tale che non siera mai vista una così grande manifestazione di dolore e di attac-camento ad un Papa morto.

2. Estratto della conclusione del corso 2009, il 26 settem-bre

Dovete essere creatori di un nuovo monachesimo, che abbia incomune con il vecchio solo l’assenza di altre aspirazioni se nonquelle di una vita secondo il Sermone sulla Montagna, nella Se-quela Christi.

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3. Il 28 agosto di 2010, prima della sua partenza dellaCasa Generalizia per andare ad inaugurare l'ultimoCapitolo Generale come Abate Generale, si congedonell'aula del Collegio San Bernardo, degli giovani stu-denti del Corso di Formazione Monastica, che —se-condo lui chiamava loro— erano la sua opzione. Amodo di ricapitolazione di tutti i messaggi dati duran-te i corsi dei tre Trienni, utilizzo una volta in più, leparole di Dietrich Bonhoeffer, tolte de Resistenza e resa(Resistència i submissió, Edicions Ariel, Barcelona 1969,pp. 26-27), que si transcrivomo letteralmente:

La vera nobiltà ha la sua origine e si mantiene conil sacrificio, il coraggio e una coscienza viva di ciòche dobbiamo a noi stessi e di ciò che dobbiamo aglialtri. Infine, la nobiltà si conserva con l’esigenzaevidente del rispetto dovuto alla persona umana, econ la salvaguardia, ugualmente evidente, del ri-spetto dovuto ai superiori e agli inferiori.

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Chorin, Pomerània, presso Finkenwalde, febbraio 2008.

Mentre invece, man mano che si avanza nella vita monastica enella fede, si corre per la via dei precetti divini col cuore dilatato

dall'indicibile sovranità dell'amore

(Regola di San Benedetto, prol. 49)

Fotografia: Ignacy Rogusz