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1 SIET 2010 XII RIUNIONE SCIENTIFICA ANNUALE DELLA SOCIETA’ ITALIANA DI ECONOMIA DEI TRASPORTI E DELLA LOGISTICA Sostenibilità, Qualità e Sicurezza nei sistemi di trasporto e logistica Roma, 17 – 18 giugno 2010 CRESCITA ECONOMICA E TRASPORTO MERCI IN ITALIA 2000-2008: TRANSIZIONE LOGISTICA DEL TRASPORTO E MERCATI INTERNAZIONALI Ennio Forte 1 , Lucio Siviero 2 Abstract L’articolo presenta una analisi dell’andamento della domanda di trasporto merci in Italia dal 2000 al 2008, con alcune evidenze per l’anno 2009, in riferimento alla tendenza, riscontrata anche in altri paesi europei, del disaccoppiamento (decoupling) rispetto all’andamento dell’economia misurato dal PIL. Sulla base di dati statistici di fonte ufficiale nazionale ed europea, emerge come il trasporto merci interno, in particolare su strada, abbia registrato cambiamenti significativi che suggeriscono una diversa chiave di lettura anche dell’attuale crisi che sta vivendo il sistema economico italiano e con esso il trasporto merci. In particolare, sono stati approfonditi alcuni aspetti economici che caratterizzano le moderne catene logistiche del trasporto merci internazionale, fondate prevalentemente sul trasporto marittimo, sempre più integrate e organizzate da grandi compagnie di trasporto marittimo containerizzato (container global carriers) e grandi operatori logistici globali (global freight forwarders). Anche in Italia, da almeno un decennio, si è determinata una fase di profonda innovazione e cambiamento strutturale dell’intero settore del trasporto e della logistica con evidenti ripercussioni sulla sostenibilità 1 Università degli Studi di Napoli Federico II; [email protected] 2 Università degli Studi di Napoli Federico II; [email protected] Pur se frutto di studio congiunto degli autori, l’articolo può attribuirsi per i paragrafi 1 e 8 a Ennio Forte e per i paragrafi 2,3,4,5,6,7 a Lucio Siviero.

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SIET 2010

XII RIUNIONE SCIENTIFICA ANNUALE DELLA SOCIETA’ ITALIANA DI ECONOMIA DEI TRASPORTI E DELLA

LOGISTICA

Sostenibilità, Qualità e Sicurezza nei sistemi di trasporto e logistica Roma, 17 – 18 giugno 2010

CRESCITA ECONOMICA E TRASPORTO MERCI IN ITALIA 2000-2008: TRANSIZIONE LOGISTICA DEL TRASPORTO E

MERCATI INTERNAZIONALI

Ennio Forte1, Lucio Siviero2 Abstract L’articolo presenta una analisi dell’andamento della domanda di trasporto merci in Italia dal 2000 al 2008, con alcune evidenze per l’anno 2009, in riferimento alla tendenza, riscontrata anche in altri paesi europei, del disaccoppiamento (decoupling) rispetto all’andamento dell’economia misurato dal PIL. Sulla base di dati statistici di fonte ufficiale nazionale ed europea, emerge come il trasporto merci interno, in particolare su strada, abbia registrato cambiamenti significativi che suggeriscono una diversa chiave di lettura anche dell’attuale crisi che sta vivendo il sistema economico italiano e con esso il trasporto merci. In particolare, sono stati approfonditi alcuni aspetti economici che caratterizzano le moderne catene logistiche del trasporto merci internazionale, fondate prevalentemente sul trasporto marittimo, sempre più integrate e organizzate da grandi compagnie di trasporto marittimo containerizzato (container global carriers) e grandi operatori logistici globali (global freight forwarders). Anche in Italia, da almeno un decennio, si è determinata una fase di profonda innovazione e cambiamento strutturale dell’intero settore del trasporto e della logistica con evidenti ripercussioni sulla sostenibilità

1 Università degli Studi di Napoli Federico II; [email protected] 2 Università degli Studi di Napoli Federico II; [email protected] Pur se frutto di studio congiunto degli autori, l’articolo può attribuirsi per i paragrafi 1 e 8 a Ennio Forte e per i paragrafi 2,3,4,5,6,7 a Lucio Siviero.

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ambientale, sulla funzionalità e sull’organizzazione spaziale delle infrastrutture e dei servizi di trasporto e logistica. Tale fase sembra essere sempre più guidata dalle economie di continuità, prossimità ed integrazione di rete, oltre che dalle economie di scala e dalla riduzione dei costi di transazione al centro delle teorie della “nuova geografia economica”. Nella comprensione di tali tendenze e nella previsione della loro evoluzione si possono individuare elementi e fattori di potenziale ripresa economica.

Keywords: decoupling, international trade, new economic geography and logistics, sustainability, logistics innovation. 1. Introduzione La crisi economica che l’Italia e l’intero mondo sta vivendo, che al momento ha visto il punto più basso venire toccato nel corso del 2009, ha spinto a fare un serie di considerazioni circa la reale efficacia dei metodi econometrici di previsione che molto spesso hanno rivelato debolezze principalmente sotto il profilo della corretta valutazione degli effetti dell’innovazione di processo e tecnologica. L’approccio “lineare” basato sui dati storici, che nella maggior parte dei casi si riferiscono a periodi già vecchi quando si rendono disponibili, ha determinato in molti casi la previsione di certezze di crescita dei volumi trasportati e dei sistemi economici disattesi nei fatti all’insegna della grande incertezza per il futuro a breve e medio termine. Il futuro è spesso visto come estrapolazione delle tendenze e delle tecnologie esistenti. Il paradigma economico attuale, in particolare nei mercati del trasporto e della logistica, è invece contraddistinto dalla continua innovazione di processo e di servizio che comporta dover considerare sempre nuove condizioni tecnologiche ed economiche evidentemente molto difficili da valutare in anticipo, con modificazioni continue dei posizionamenti e dei network di filiere alla ricerca del minore costo totale traslog (trasporto e logistica) (Forte, 2005).

Il risultato negativo è rappresentato dalla erronea o non equilibrata allocazione delle risorse nel tempo e nello spazio. La recessione economica, visto l’andamento dei fondamentali macroeconomici, con il PIL (Prodotto Interno Lordo) in Italia a -1,3% nel 2008 e -5,1% nel 2009 (Istat), ha ulteriormente determinato forte incertezza nella comprensione futura della dimensione e delle traiettorie di sviluppo dei flussi commerciali. Il settore marittimo, vero e proprio motore dell’economia globale ha beneficiato, almeno fino al 2008, di enormi capitali resi disponibili per investimenti diretti al miglioramento delle infrastrutture intermodali, allo sviluppo di una nuova generazione di navi portacontainer,

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allo sviluppo di nuovi e più avanzati terminali in tutto il mondo, nella maggior parte dei casi a sostegno di strategie di sviluppo economico orientate all'esportazione (nel caso dei paesi dell’Asia orientale) ed a un migliore accesso ai mercati regionali (nel caso del Nord America e dell’Europa). Tale settore, pertanto, nell’attuale fase di crisi, fa registrate un tasso di “volatilità” degli investimenti e conseguentemente degli assetti dei flussi di traffico globale, in forte incremento. Il ridisegno continuo delle reti di trasporto marittimo, con conseguente inclusione e/o esclusione di porti e di linee da parte dei principali carrier mondiali, rappresenta l’effetto più evidente di tale volatilità. In Italia, ad esempio, il principale hub di transhipment del Mediterraneo di Gioia Tauro ha fatto registrare forti riduzioni di traffico nei primi sei mesi del 2009 pari al 33% (Federtrasporto, 2009).

Studiare le tendenze future del trasporto merci, comporta stimare in parallelo il volume, l’assetto delle reti, la loro configurazione e gli itinerari delle merci che in molti casi assumono sequenze molto complesse. E’ il caso, ad esempio, dei sistemi di rotte che prevedono più trasbordi di contenitori lungo un determinato itinerario (multihub, interlining, relay) per consentire agli operatori di migliorare l’utilizzazione della capacità di carico, bilanciare i traffici tra origini e destinazioni multiple e ridurre gli effetti di un eccessiva concorrenza. Inoltre, a maggior ragione in periodi di recessione, la scelta di un porto da parte dei grandi caricatori e dei logistics player risiede nell’individuazione di soluzioni logistiche che vanno oltre i tipici servizi portuali. Numerosi studi affermano che i porti con maggiore stabilità dei traffici sono quelli che oltre ad aver conquistato un vantaggio competitivo nei servizi di handling, offrono anche una vasta gamma di servizi a valore aggiunto (Magala, Sammons, 2008; Song, Panayides, 2008). 2. Andamento del PIL ed andamento della domanda “effettiva”

di trasporto I fattori più importanti alla base della difficoltà di valutare l’andamento del trasporto merci, si trovano sempre più nelle condizioni macroeconomiche dell'economia globale. Andamenti del PIL, della produzione industriale e del commercio internazionale sono comunemente adottati come variabili esplicative nei modelli di previsione sui flussi dei container marittimi.

Negli ultimi anni, però, la capacità esplicativa delle variabili macroeconomiche si sta indebolendo e le previsioni sui flussi di container sono sempre più distorte dalla natura volatile del contesto macroeconomico e dagli effetti delle turbolenze dei mercati finanziari sull'economia reale.

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In tale contesto non appare più ben definito e netto anche il ruolo dello Stato quale realizzatore di infrastrutture e, nel caso italiano, di proprietario demaniale dei porti. La politica degli investimenti e del potenziamento infrastrutturale lato-mare e lato-terra, oltre che ad essere vincolata dalla sempre più ridotta disponibilità di risorse pubbliche, rischia di essere non efficace se non coordinata e adeguata alle esigenze degli operatori globali del comparto marittimo. L’opportunità e la scelta di investimento non può più essere legata a isolate logiche locali di potenziamento infrastrutturale che prescindano dalla attenta valutazione di dove e come il mercato globale si muove e di quali sono gli equilibri dinamici continuamente in evoluzione. La tradizionale logica di pianificazione degli interventi pubblici “a tavolino”, basata su andamenti storici delle variabili considerate, presupponendo di assicurare a tutti i territori uguali condizioni di accessibilità, rischia oggi di essere fuorviante se non si considerano attentamente le dinamiche evolutive dei mercati sempre più globalizzati e competitivi. L’economia mondiale e con essa il settore dei trasporti, ha beneficiato nell’ultimo ventennio dell’apertura dei mercati internazionali ma, al tempo stesso, ha acquisito caratteri di maggiore instabilità e volatilità che possono facilmente condurre a scelte rigide poco adattabili all’andamento dinamico dei mercati. Nell’attuale contesto recessivo, la valutazione esclusiva dal lato dell’offerta (la dotazione infrastrutturale) del potenziamento delle reti di trasporto e della generalizzata disponibilità di strutture per la logistica in un determinato territorio, senza considerare il comportamento strategico degli attori di un mercato sempre più globalizzato e competitivo, presenta sensibili livelli di incertezza e rischiosità per quanto concerne la redditività finanziaria ed economico-sociale degli interventi.

Il decennio trascorso per l’Italia è stato un periodo di grande cambiamento per il settore dei trasporti e della logistica, indotto in gran parte dall’affermazione e dall’espansione del traffico internazionale marittimo containerizzato. Un indicatore utilizzato in numerosi studi al fine di seguire l’andamento congiunto dell’economia di un paese ed il trasporto merci interno, la cosiddetta “intensità di trasporto”, è il rapporto tra il traffico merci misurato in tonnellate-km e Prodotto Interno Lordo (PIL). L’attività di trasporto merci è correlata al PIL e la crescita del trasporto, anche in misura maggiore del PIL, è stata una costante a livello europeo nel corso degli ultimi dieci anni tanto da far ritenere tale fenomeno uno dei principali elementi di cambiamento strutturale della politica dei trasporti europea avviata con il Libro Bianco dei 2001: “La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte” (CCE, 2001). Principalmente per ridurre l’impatto ambientale causato dal trasporto merci,

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dato l’alto contributo alla nociva emissione di gas clima-alteranti come il CO2, la Commissione Europea ha adottato in modo particolarmente severo quale obiettivo chiave quello del disaccoppiamento o decoupling della crescita economica dall’incremento del traffico merci, in primis su strada.

Arrivati alla soglia temporale del 2010 di cambiamento strutturale indicata dalla Commissione Europea nel 2001, anche a causa della crisi che ha colpito i mercati internazionali dal 2008, nei paesi più sviluppati dell’Unione segnali ed indicatori del disaccoppiamento sono evidenti. La figura 1 evidenzia che in alcuni paesi come Francia, Regno Unito, Olanda e in misura minore in Italia, l’indice del trasporto merci interno si è ridotto progressivamente nel periodo 2000-2008 rispetto alla media UE (15 paesi) sostanzialmente rimasta inalterata (indice del rapporto tra trasporto interno stradale, ferroviario e navigazione interna in ton-km e PIL). Diversi studi specifici sull’andamento congiunto del traffico merci e del PIL per alcuni paesi europei hanno colto importanti segnali di decoupling sulla scia di quanto già accaduto negli Stati Uniti ed in Giappone tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’00 verificando che le ton-km interne crescevano meno del PIL (Banister, Stead, 2002, McKinnon, 2007). La principali cause strutturali di tale tendenza venivano individuate nella crescente penetrazione di operatori stranieri nei mercati di trasporto nazionali e nell’incremento delle importazioni di beni e del commercio internazionale.

Fig.1 – Indice del trasporto merci interno in relazione al PIL in alcuni paesi UE 2000-2008 (2000=100)

0,0

20,0

40,0

60,0

80,0

100,0

120,0

140,0

EuropeanUnion (15)

Germany Spain France Italy Netherlands UnitedKingdom

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Fonte: elaborazione su dati Eurostat

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3. Classificazione del grado di decoupling L’importanza del disaccoppiamento tra domanda di trasporto e crescita economica è stato posto dalla Commissione Europea alla base della nuova politica dei trasporti inaugurata nel 2001 con il Libro Bianco (CCE, 2001). In seguito in diversi studi sono stati approfonditi gli aspetti specifici che riguardano il possibile andamento delle variabili considerate e del diverso significato attribuibile alle variazioni positive o negative dell’elasticità del volume di trasporto in relazione al PIL. Il decoupling può quindi essere analizzato da diversi punti di vista in ragione del fatto che per una sua più corretta misura si dovrebbe fare riferimento al rapporto incrementale tra le variabili considerate, ovverosia all’ elasticità del trasporto al PIL:

εPIL = ∆ Ton-km /∆ PIL

tale ultimo rapporto va inteso come variazione percentuale del volume di trasporto in relazione alla variazione percentuale del PIL in un dato periodo. Evidentemente il rapporto si può esprimere anche per modo di trasporto. Il volume di trasporto può essere misurato anche in veicoli-km particolarmente adatto nel caso del trasporto merci stradale. Inoltre, il periodo temporale dovrebbe essere compreso in intervalli di 5-10 anni per registrare effettivi cambiamenti in un arco temporale sufficiente per valutare gli effetti sul mercato dei trasporti del ciclo economico generale. L’ambito nel quale maggiormente si sono analizzati gli andamenti correlati del trasporto merci e della crescita economica è quello della sostenibilità ambientale. Inquinamento e consumo di risorse ambientali sono i problemi principali causati dallo sviluppo economico e, quindi, dalla crescita della domanda di trasporto. L’Italia è il terzo paese europeo per emissione di gas “a effetto serra” da trasporti (CO2, CH4 e N2O), circa alla pari con il Regno Unito e dopo Germania e Francia ma, a differenza dei paesi citati, in Italia le emissioni nocive sono aumentate a tassi maggiori dal 1990 al 2007, +25%, rispetto al +15% della Francia, al +12% del Regno Unito e al -7% della Germania (European Environment Agency, 2009).

In Italia, pertanto, non vi è stata riduzione di emissioni atmosferiche da trasporti, specialmente nel trasporto stradale, tanto da far ritenere che anche il decoupling del volume di trasporto dal PIL ai fini della maggiore sostenibilità ambientale non è pienamente in grado di generare positivi effetti ambientali se non accompagnato da un incremento di efficienza logistica (Banister, Stead, 2002). L’efficienza del trasporto merci (in senso logistico) riguarda il migliore utilizzo dei modi e dei mezzi, i tempi di percorrenza e di attesa ai terminali (dwell time), i prezzi, l'uso delle risorse,

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la tecnologia, l’innovazione organizzativa e di processo. L'efficienza può essere aumentata attraverso la “logistica del trasporto” e, quindi, delle strutture organizzative e delle forme di gestione impiegate. Tali misure possono aumentare l'efficienza e ridurre volumi e distanze percorse, quindi, il decoupling dovrebbe essere visto come una combinazione di strategie e di politiche dei trasporti tese alla riduzione del volume di traffico e delle distanze senza incidere negativamente sulla crescita economica. Per perseguire tali obiettivi diviene fondamentale stabilire nuove forme di relazioni organizzative della produzione e del consumo basate sulla complementarietà/integrazione tra reti di relazioni economiche e reti di trasporto globali e regionali/locali, ovvero la combinazione di produzioni di larga scala in genere controllate da grandi imprese globalizzate e attività quali ricerca, progettazione, completamento e distribuzione svolte a livello locale per servire specifiche aree geografiche e mercati locali, il tutto supportato dalla condivisione di sistemi logistici avanzati (Forte, 2009).

La misurazione del decoupling del volume di trasporto rispetto alla crescita economica di un paese può leggersi in differenti modi a seconda della dimensione del fenomeno e dell’analisi delle variazioni di entrambe le variabili simultaneamente. In generale, la letteratura suggerisce che c’è disaccoppiamento positivo quando, espresso sotto forma di elasticità εPIL, la percentuale di variazione del volume di trasporto diviso la percentuale di variazione del PIL si mantiene inferiore al valore di 1,0 in un dato periodo. A seconda del valore riscontrato di elasticità al PIL, si possono distinguere differenti situazioni di decoupling, decoupling negativo e coupling: (Tapio, 2005):

− decoupling debole: il trasporto ed il PIL aumentano entrambi ma il PIL in misura maggiore, con elasticità : 0 < εPIL < 0,8;

− decoupling forte: il PIL cresce ed il trasporto decresce, con elasticità: εPIL < 0;

− decoupling recessivo: il PIL ed il trasporto decrescono entrambi, con elasticità: εPIL > 1,2.

Allo stesso modo può determinarsi decoupling negativo nei seguenti casi: − decoupling negativo debole: il trasporto ed il PIL decrescono

entrambi ma il PIL in misura maggiore, con elasticità: 0 < εPIL < 0,8;

− decoupling negativo forte: il PIL decresce ed il trasporto cresce, con elasticità: εPIL < 0;

− decoupling negativo espansivo: il PIL ed il trasporto crescono entrambi, con elasticità: εPIL > 1,2.

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Infine, quando entrambe le variabili crescono o decrescono con intensità simile (variazioni comprese nell’intervallo del ±20%) si possono avere:

− coupling espansivo o recessivo, con elasticità: 0,8 < εPIL < 1,2. Il caso del decouplig negativo è stato piuttosto raro in Europa negli

ultimi venti anni, mentre in diversi paesi già da alcuni anni si registra una certa tendenza al disaccopiamento principalmente nel trasporto interno stradale. La crisi economica che ha colpito i mercati a partire dal 2008 ha invece reso attuale il rischio di trovarsi in situazione di decoupling recessivo con il trasporto che subisce negativamente ed in misura più che proporzionale gli effetti della contrazione economica. Per l’Europa, dopo un lungo periodo espansivo di entrambe le variabili, negativo sotto il profilo ambientale in quanto la maggiore crescita del trasporto merci ha significato l’incremento delle emissioni nocive in atmosfera, si è aperta una nuova fase a partire dalla fine degli anni ’00. Infatti, la globalizzazione dei mercati, l’allargamento ad est e successivamente la crisi hanno probabilmente contribuito a determinare un diverso andamento delle variabili per effetto della congiuntura internazionale in qualche modo “non controllabile” della politica dei trasporti europea e dei singoli paesi. La sostenibilità ambientale tanto ricercata e perseguita, che dovrebbe significare al contempo crescita economica e riduzione del volume di trasporto, non può prescindere dal cambiamento strutturale in atto nei sistemi di trasporto maggiormente aperti al traffico internazionale, che avranno sempre maggiore influenza sui trasporti interni, con riferimento all’autoregolazione dei mercati, all’utilizzo diffuso di nuove tecnologie, alla stabilizzazione di reti di imprese, al miglioramento dell’integrazione infrastrutturale, all’organizzazione produttiva e distributiva a diverse scale territoriali e di distanza.

Tali fattori impongono che l’analisi e l’impostazione di previsioni devono essere sviluppate distinguendo e stratificando i mercati dei trasporti in funzione della tipologia, della forma e del modo. La riduzione dell’intensità di trasporto interno (strada, ferrovia, navigazione interna, condotte, cabotaggio intraeuropeo) era stata posta tra gli obiettivi principali della politica europea dei trasporti avviata con il Libro bianco del 2001 che prefigurava risultati importanti da raggiungere al 2010 rispetto ai valori del 1998. Gli obiettivi a livello generale per l’Europa erano fissati al +43% di incremento del PIL ed al +38% di incremento delle ton-km, mentre il rapporto ton-km/PIL (transport intensity) al -10%, ovvero da 0,388 a 0,348 (Banister D., Stead D., 2002). Tali stime e tali obiettivi, sono già stati rivisti al ribasso in ragione dei riscontrati legami molto più stretti tra logistica e politica europea dei trasporti, come ampiamente confermato dalla revisione delle linee fondamentali di politica tracciate nel Libro bianco del 2001.

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Nello specifico, la comunicazione: “Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001” (CCE 2006), ha posto le basi di una rinnovata attenzione della Commissione non solo per il settore in evoluzione della logistica, ma più in generale a proposito dei legami economici che sempre maggiormente si evidenziano tra settore logistico e sviluppo dei territori e delle regioni europee. Mentre il Libro bianco del 2001 prevedeva un tasso medio di crescita economica del 3%, per il periodo fra il 2000 e il 2020 si prevedeva un tasso medio di crescita annua del PIL del 2,1% (pari al 52% per l'intero periodo) ed un tasso di crescita del trasporto merci quasi identico (50% per l’intero periodo). La recente inversione del ciclo economico rende quanto mai attuale una più aggiornata riconsiderazione delle tendenze congiunturali in atto e dei cambiamenti intervenuti in senso di una verifica, a livello italiano in particolare, del contributo al decoupling positivo di una maggiore “logisticizzazione” del trasporto merci (Forte, 2008).

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4. Trasporto merci interno e decoupling dal PIL: condizioni per la transizione strutturale

Alcuni indicatori relativi al periodo 2000-2008 mostrano per l’Italia significativi fenomeni definibili di “transizione strutturale”. L’andamento del complessivo trasporto merci interno in ton-km (0,06%; strada, ferrovia e cabotaggio marittimo, dati CNIT 2008), risulta molto inferiore alla crescita del PIL (32%), con andamento negativo del rapporto tra le due variabili (-19,6% nel periodo) (Fig.2). Il coefficiente di elasticità al PIL (εPIL) calcolato sulla differenza dal 2000 al 2008 risulta pari a 0,19 che va interpretato nel senso del decoupling debole tra le variabili.

Fig. 2 – Indice del trasporto merci interno in relazione al PIL in Italia 2000-2008 (2000=100)

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8 0

8 5

9 0

9 5

10 0

10 5

110

115

12 0

12 5

13 0

13 5

2 0 0 0 2 0 0 1 2 0 0 2 2 0 0 3 2 0 0 4 2 0 0 5 2 0 0 6 2 0 0 7 2 0 0 8

Tkm PIL (a prezzi costanti2000) Tkm/PIL

Fonte: elaborazione su dati Istat e CNIT

Va tuttavia considerata la forte “altalenanza” dei tassi di variazione

annuali che ha contraddistinto il trasporto merci in Italia nel periodo 2000-2008 rispetto all’andamento del PIL, ciò ha indotto ad una analisi specifica basata sulla media dei tassi di variazione annuali per tener conto di potenziali distorsioni causate dalla sensibile volabilità del mercato probabilmente causata anche da fattori esogeni al sistema. Tale analisi media registra un coefficiente di elasticità εPIL medio pari a 1,08 a dimostrazione comunque dell’andamento piuttosto accoppiato delle variabili nel corso degli anni considerati e della tendenza comunque espansiva del fenomeno della loro crescita simultanea (coupling espansivo).

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La stessa analisi se condotta per i diversi modi di trasporto evidenzia risultati interessanti. La tendenza generale appare fortemente influenzata dall’andamento del trasporto su strada interno che fa registrare una forte tendenza al disaccoppiamento rispetto alla crescita del PIL. La figura 3 mostra una variazione negativa del rapporto ton-km stradali e PIL nel periodo 2000-2008 del -26%. Il coefficiente di elasticità al PIL dal 2000 al 2008 è pari a -0,07 che evidenzia decoupling forte. In termini di elasticità media di periodo, dall’analisi della media dei tassi di variazione annuali si registra un coefficiente di elasticità (εPIL) medio del trasporto stradale pari a -0,03 a dimostrazione del decoupling forte delle variabili. Fig.3 – Indice del trasporto merci stradale interno in relazione al PIL in Italia 2000-2008

(2000=100)

70

75

80

85

90

95

100

105

110

115

120

125

130

135

2 0 00 2 00 1 20 0 2 20 0 3 2 0 0 4 2 0 0 5 2 0 06 2 0 07 2 00 8

Tkm strada PIL (a prezzi constanti 2000) Tkm strada/PIL

Fonte: elaborazione su dati Istat e CNIT

Andamento diverso mostrano i dati relativi al trasporto ferroviario ed al

cabotaggio marittimo interno. La figura 4 evidenzia che il trasporto ferroviario ha fatto registrare un andamento alquanto simile al trasporto stradale rispetto all’andamento del PIL, con una riduzione del rapporto tra ton-km e PIL del 21%, una elasticità al PIL 2000-2008 pari a 0,12 ed una elasticità al PIL media di periodo pari a 0,66 che dimostrano decoupling debole.

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Fig. 4 – Indice del trasporto merci su ferrovia interno in relazione al PIL in Italia 2000-2008 (2000=100)

75

80

85

90

95

100

105

110

115

120

125

130

135

140

145

2 00 0 2 0 01 20 0 2 2 0 03 2 0 0 4 2 0 05 2 0 0 6 20 0 7 2 0 08

Ttkm ferrrovia PIL (a prezzi constanti 2000 Tkm ferrovia/PIL

Fonte: elaborazione su dati Istat e CNIT

Infine, il cabotaggio marittimo (Fig. 5) presenta dati differenti con un

andamento positivo nel periodo in ton-km (44%), un positivo rapporto rispetto al PIL (9,3%), un coefficiente di elasticità al PIL 2000-2008 pari a 1,38 e, dall’analisi della media dei tassi di variazione annuali nel periodo 2000-2008, un coefficiente di elasticità medio elevato pari a 6,11 che denotano decoupling negativo espansivo.

Fig.5 – Indice del trasporto merci di cabotaggio interno in relazione al PIL in Italia 2000-

2008 (2000=100)

90

95

100

105

110

115

120

125

130

135

140

145

150

155

160

2 00 0 2 0 01 20 0 2 2 0 03 2 0 0 4 2 0 05 2 0 0 6 20 0 7 2 0 08

Ttkm cabotaggio PIL (a prezzi constanti 2000) Tkm cabotaggio/PIL

Fonte: elaborazione su dati Istat e CNIT

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I dati esposti di fonte Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (CNIT, 2009) sembrano confermare nel periodo considerato per l’Italia la stabilità generale dell’intensità del trasporto merci interno rispetto all’andamento dell’economia, dovuta principalmente alla minore crescita economica italiana (0,82% in media annua) rispetto ai principali paesi europei ed alla leggera crescita del trasporto interno complessivo (in media 0,9% anno). Guardando all’andamento medio dei diversi modi si è assistito però alla riduzione del trasporto stradale interno (-2,8% anno), alla sostanziale stabilità del trasporto ferroviario (0,5% anno) ed alla forte crescita del cabotaggio marittimo (5,0% anno). 5. Trasporto su strada in Italia: segnali di una transizione logistica? E’ interessante analizzare nello specifico il decoupling che comunque ha interessato in media nel periodo 2000-2008 il trasporto merci stradale interno, ovverosia costituito dal solo trasporto all’interno dei confini nazionali offerto dai vettori nazionali e con distanza superiore ai 50 km, come riportato dalle fonti nazionali Istat e Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti, seguendo pertanto nella rilevazione il criterio della territorialità. E’ possibile esaminare con maggiore dettaglio ciò che sta avvenendo nel trasporto stradale merci in Italia e quindi nella componente principale del trasporto merci interno, mediante la costruzione di alcuni indici relativi a fattori-chiave che possono aiutare a spiegare importanti cambiamenti in atto. Dall’analisi della letteratura (Lehtonen 2006, Kveiborg O., Fosgerau M. 2007, McKinnon, A. C. 2007, Verny J. 2007), i principali fattori-chiave possono identificarsi in: 1) grado di internazionalizzazione e penetrazione di operatori esteri; 2) handling factor o fattore di maneggio delle merci; 3) modal share o quota modale del trasporto stradale; 4) lenght of haul o lunghezza media di trasporto; 5) load factor o fattore di carico; 6) empty running o viaggi a vuoto. 1) Grado di internazionalizzazione e penetrazione di operatori esteri

Uno dei motivi per il quale viene ritenuto possibile il disaccopiamento tra i dati di traffico interno stradale e la crescita economica è costituito dalla maggiore presenza nell’ultimo decennio di operatori esteri che effettuano trasporto nel territorio nazionale. Tale incrementata presenza è dovuta alla maggiore concorrenza e liberalizzazione a livello europeo del settore, alla globalizzazione dei mercati, all’incremento dei prodotti importati, alla erosione di quote di attività manifatturiere da parte di altri paesi, alla affermazione sul mercato di catene logistiche internazionali gestite da grandi operatori in conto terzi. Inoltre, le imprese multinazionali tendono

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maggiormente ad applicare modelli e tecniche di lean production (produzione agile e flessibile) e di distribuzione merge in transit (consolidamento ordini in piattaforme di transito) trasferendo le fasi di post-produzione, che riguardano essenzialmente la personalizzazione dei prodotti per esigenze locali (attività logistiche “a valore”), al di fuori dei loro stabilimenti e molto frequentemente presso i mercati di sbocco (Dallari et al., 2007). In molti casi tali imprese, operanti in grandi mercati transnazionali e impegnate in integrazioni verticali, effettuano investimenti a scala locale per realizzare piattaforme logistiche. Esternalizzare fasi di produzione permette, quindi, di differenziare i prodotti secondo specifiche esigenze regionali dei mercati di destinazione ed induce a scegliere localizzazioni delle fasi finali della produzione nelle vicinanze (economie di prossimità geografica) di grandi hub e di importanti nodi intermodali nei quali vengono posizionati magazzini e centri di distribuzione (Maggi, Boscacci, Mariotti, 2009).

Se ciò si traduce in effettiva riduzione del trasporto su strada o solo in uno spostamento dal traffico nazionale a quello internazionale e quindi non in un effettiva riduzione dei volumi trasportati, non è di semplice determinazione. Alcuni indicatori possono aiutare a comprendere il fenomeno. La figura 6 mostra l’andamento del traffico in ton-km italiano su strada con origine/destinazione altri paesi dell’UE27 in rapporto al traffico totale nazionale ed internazionale dal 2000 al 2008. L’incremento nel periodo è pari al 41,3% mentre l’incremento medio annuo è del 5,5% a dimostrazione del maggiore scambio internazionale effettuato col modo stradale.

Figura 6 – Indice del trasporto merci stradale tra UE27 e Italia 2000-2008 (2000=100)

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155

2 00 0 2 0 0 1 2 0 02 2 0 0 3 2 00 4 20 0 5 2 00 6 20 0 7 2 0 08

Tkm (o-d UE27/Italia)

Fonte: elaborazione su dati Eurostat

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I dati Eurostat si riferiscono al trasporto internazionale effettuato da vettori italiani a differenza dei dati Istat che sono riferiti ai trasporti internazionali con origine/destinazione estera a prescindere dalla nazionalità del vettore. Per tale motivo si sono pesati i traffici con “carico e scarico” in Italia sul totale del traffico di fonte Eurostat (seguendo il criterio Istat). La figura 7 riporta invece l’andamento dei dati della bilancia dei pagamenti con riferimento al trasporto merci su strada (Federtrasporto, UIC, 2009). I debiti rappresentano i pagamenti effettuati da importatori italiani che si avvalgono di vettori esteri, pertanto, possono essere interpretati quale indicatore della penetrazione dall’estero di vettori stranieri. L’incremento nel periodo è pari al 131,6% mentre il tasso medio annuo di crescita è stato dell’11,6%. L’incremento più elevato dei debiti della bilancia dei trasporti rispetto al traffico internazionale, lascia comprendere che una quota sempre maggiore di traffico internazionale su strada è effettuato da vettori stranieri.

Figura 7 – Indice dei debiti della bilancia dei trasporti merci su strada in Italia 2000-2008

(2000=100)

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2 0 0 0 2 0 0 1 2 0 0 2 2 0 0 3 2 0 04 2 0 05 2 0 06 2 00 7 2 00 8

debiti €mln

Fonte: elaborazione su dati Fedetrasporto, UIC

Tale fenomeno è strettamente collegato al ruolo che anche in Italia il

trasporto stradale si avvia a rivestire nel quadro generale della logistica internazionale e della maggiore influenza di operatori esteri all’interno del sistema produttivo e distributivo nazionale attraverso l’incremento delle importazioni di beni semilavorati e prodotti finali e, di conseguenza, di servizi di trasporto offerti da vettori esteri. Il recente allargamento ad est dell’Europa ha accentuato ulteriormente tale fenomeno, al 2005 la quota di mercato dei vettori italiani sul totale del traffico internazionale su strada

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interessante l’Italia era pari al 35,8% per le importazioni ed al 34,6% per le esportazioni (UIC, 2006), dati che confermano l’elevata presenza di vettori esteri nel traffico internazionale che interessa l’Italia. 2) Handling factor o fattore di maneggio delle merci

Tale indicatore è usato per misurare il numero medio di “anelli” che compone la catena logistica associata all’attività di trasporto e la loro lunghezza media, specie se utilizzato individuando i segmenti modali che compongono la catena. Esso è variabile anche in ragione delle diverse tipologie di merce trasportata. Il fattore medio di maneggio a livello nazionale è ottenibile anche dal rapporto del peso delle merci trasportate con le quantità prodotte. Si sono pertanto considerati l’indice delle quantità interne totali trasportate (strada, ferrovia e cabotaggio nazionale) e l’indice della produzione industriale (quantità fisiche prodotte) ed è stato costruito l’indice di handling factor con il rapporto tra i due (Fig. 8).

Figura 8 – Indice di handling factor del trasporto merci in Italia 2000-2008 (2000=100)

0 , 0

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2 , 0

20 0 0 2 0 01 2 00 2 2 0 03 2 00 4 2 0 0 5 2 00 6 2 0 0 7 2 0 08

handling factor

Fonte: elaborazione su dati Istat

Il sensibile incremento registrato nel periodo 2000-2008 (47,7%)

potrebbe essere dovuto ad una maggiore complessità delle catene logistiche ed un maggiore ricorso alla logistica distributiva. In chiave territoriale, l’incremento di tale fattore viene ritenuto sintomatico di una maggiore decentralizzazione della produzione e delle strutture logistiche nel senso di un loro avvicinamento ai mercati di consumo, questo di converso potrebbe comportare un incremento del totale trasportato a causa del maggiore numero di spostamenti e quindi una tendenza al decoupling negativo

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espansivo con la crescita economica. Comunque, secondo studi effettuati a livello europeo, tale effetto viene considerato di modesta incidenza ai fini del decoupling per l’effetto compensativo dovuto alla minore distanza media percorsa (Kveiborg, Fosgerau, 2007). L’incremento dell’handling factor può essere attribuito, dal lato dell’industria, alla disintegrazione verticale dei processi industriali come risultato della terziarizzazione di parte delle attività produttive a più sub-fornitori e, dal lato della distribuzione e del consumo, alla crescente diffusione ed affermazione della Grande Distribuzione Organizzata che tende ad inserire più link nelle catene di fornitura con più passaggi di merci tra magazzini, depositi e punti vendita (ipermercati, supermercati, ecc.), gerarchicamente organizzati sul territorio. L’incremento di tale fattore è quindi associato a strutture logistiche meno centralizzate composte di molti depositi con consegne più frequenti e lotti di minore dimensione, in genere prescelte da imprese service-oriented quando i costi unitari di trasporto sono piuttosto contenuti.

A livello nazionale ed in modo aggregato per i modi di trasporto considerati, emerge la tendenza alla riduzione della lunghezza media degli anelli delle catene di fornitura (più a scala locale rispetto a quella globale) ed alla loro crescente complessità operativa, anche in ragione del sempre maggiore peso nella produzione nazionale di settori nei quali la logistica terziarizzata è più presente.

3) Modal share o quota modale del trasporto stradale

E’ ben noto quanto il trasporto stradale in Italia abbia significato per la crescita economica del paese e quanto ciò abbia comportato lo squilibrio modale al centro dell’attenzione della politica dei trasporti nazionale da oltre un trentennio. Se letto in diversa forma, ai fini dell’analisi degli effetti della transizione verso mercati dei trasporti con maggiore ricorso alla logistica, nel periodo considerato 2000-2008 il trasporto stradale delle merci in Italia (superiore ai 50 km con veicoli oltre 3,5 ton di portata) presenta una significativa divergenza tra quantità trasportate e volume di trasporto. La figura 9 mostra che, confrontando l’andamento della quota delle tonnellate trasportate su strada sul totale e quello della quota delle tonnellate-km stradali dal 2000 al 2008, mentre le prime sono rimaste invariate, le seconde hanno registrato una sensibile riduzione pari al 7,8%, in specie a partire dal 2002.

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Figura 9 – Indici di modal share del trasporto merci interno stradale in Italia 2000-2008 (2000=100)

8 5

9 0

9 5

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2 0 0 0 2 0 0 1 2 0 0 2 2 0 0 3 2 0 0 4 2 0 0 5 2 0 0 6 2 0 0 7 2 0 0 8

Tkm Ton

Fonte: elaborazione su dati Istat

Nei confronti modali, il decoupling relativo del trasporto stradale va

evidentemente visto anche in funzione del decoupling negativo espansivo fatto registrare dal cabotaggio marittimo, la cui quota è cresciuta dal 16,3% al 22,2% (incremento del 36% in ton-km) e della sostanziale stabilità del trasporto ferroviario, la cui quota è rimasta pressoché invariata intorno al 12%. Anche tale fattore, pertanto, induce a considerazioni allargate al cambiamento strutturale che il trasporto in Italia sta vivendo influenzato dalla crescente presenza sul mercato di operatori logistici in conto terzi di medio grandi dimensioni che effettuano trasporto o commissionano servizi di trasporto stradale ad altre imprese sub-fornitrici nel quadro della più vasta organizzazione di catene logistiche progettate e strutturate “su misura” per il cliente finale. I segnali di un certo cambiamento in atto sono quindi evidenti. Dopo decenni di scarsi investimenti nei modi di trasporto alternativi alla strada, l’entrata a regime di nuove o potenziate infrastrutture intermodali e di terminali per il trasporto combinato ed alcune azioni di incentivazione all’intermodalità (in particolare per il traffico internazionale e marittimo-terrestre), hanno contribuito ad una iniziale razionalizzazione economico-organizzativa del trasporto stradale nazionale tale da poter auspicare con maggiore attendibilità un positivo decoupling rispetto all’andamento dell’economia nazionale. 4) Lenght of haul o lunghezza media di trasporto

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La differenza tra quota modale della strada tra tonnellate e tonnellate-km (traffico nazionale) suggerisce che si sono ridotte le distanze medie del trasporto stradale interno e che il trasporto stradale viene utilizzato maggiormente in catene logistiche decentralizzate che, a parità di quantità trasportate, generano un maggior numero di spostamenti ma di lunghezza media inferiore. Il dato è confermato da indagini svolte da Confetra che dal 2000 al 2003 registra in Italia una riduzione delle distanze medie del trasporto su strada del 19% per il c/proprio e del 4% per il c/terzi. La figura 10 riporta l’indice costruito sul rapporto tra ton-km e tonnellate trasportate su strada nel periodo 2000-2008. E’ ben evidente la riduzione della distanza media che in termini percentuali si è ridotta del 20,4%.

Figura 10 – Indice di lenght of haul del trasporto merci stradale in Italia 2000-2008

(2000=100)

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2 00 0 2 0 01 20 0 2 2 0 03 2 0 0 4 2 0 05 2 0 0 6 20 0 7 2 0 08

km

Fonte: elaborazione su dati Istat

La tendenza alla riduzione della distanza media trasportata su strada è

stata verificata ed analizzata in altri paesi europei nei quali l’innovazione tecnologica ed organizzativa legata alla logistica è stata sperimentata in anticipo rispetto all’Italia. Il miglioramento dell’efficienza operativa nell’utilizzo dei veicoli e della configurazione degli itinerari, attuata con l’introduzione di sistemi informatici e telematici (ad esempio il controllo satellitare delle flotte), ha infatti contribuito a migliorare le performance di utilizzazione della capacità, della programmazione dei cicli, dei tempi e dei costi di prelievo e consegna, in particolare al fine di evitare o aggirare nodi e tratte congestionate. Inoltre, i processi di delocalizzazione e rilocalizzazione di attività produttive in paesi meno sviluppati nei quali i fattori di produzione costano meno, hanno determinato il trasferimento di

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intere catene di fornitura all’estero con la conseguente riduzione di traffico sul territorio nazionale per gli spostamenti di materie prime, semilavorati e beni intermedi a monte e a valle dei singoli processi di lavorazione. Il bene finito importato, in genere, compie un solo spostamento nazionale dal confine (o da un porto) al distributore se non direttamente al cliente finale, con la conseguenza che in media le ton-km prodotte sul territorio nazionale si riducono (McKinnon, 2007). 5) Load factor o fattore di carico

Utilizzando dati Eurostat è stato calcolato l’indicatore del fattore di carico medio dei veicoli stradali attraverso il rapporto tra il prodotto dei veicoli-km per il carico medio registrato dall’analisi dei dati Eurostat (ton-km/veic-km) ed il prodotto dei veicoli-km per il carico massimo medio ponderato per classi di distanza e tipologia di veicolo (portata media = 20 tonnellate, veicoli oltre 9 tonnellate e percorrenza oltre 50 km; fonte: elaborazioni su dati Confetra). La figura 11 riporta l’andamento dell’indicatore nel periodo 2000-2008 dalla quale emerge la sua complessiva lieve riduzione (-2,1%) e la media nel periodo pari al 78,8%.

Figura 11 – Indice di load factor del trasporto merci stradale in Italia 2000-2008 (2000=100)

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8 5

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9 5

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20 0 0 2 0 0 1 2 00 2 2 0 0 3 2 00 4 2 0 0 5 2 0 06 20 0 7 2 0 08

load factor

Fonte: elaborazione su dati Eurostat

Tale indicatore è in realtà di difficile cambiamento in quanto, da un lato,

la maggiore razionalizzazione logistica del sistema stradale dovrebbe comportare un sostanziale incremento della utilizzazione della capacità, dall’altro, l’adozione diffusa del just in time e del trasferimento “su strada” delle scorte provoca fisiologicamente una minore compensazione di vuoti

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di capacità (“ritorni carichi”, consolidamento unità di carico, itinerari ottimizzanti la capacità, ecc.). Infatti, in tali sistemi, definiti nel campo della logistica distributiva “a flusso teso”, l’utilizzazione della capacità ottimale viene in molti casi sacrificata ad altre esigenze di fornitura e distribuzione, principalmente i tempi di ciclo, specie nei settori ad elevato valore medio per unità di peso/volume (value density) delle merci trasportate. 5) Empty running o viaggi a vuoto

Tale ultimo indicatore si riferisce a quello che è stato sempre considerato uno dei problemi principali dell’autotrasporto italiano. Infatti, la percorrenza “a vuoto” di veicoli rappresenta sia un costo aggiuntivo per gli operatori (costo congiunto) e quindi per il mercato, sia un costo sociale per gli effetti esterni negativi causati dal trasporto stradale. In chiave di analisi dei cambiamenti indotti dalla maggiore razionalizzazione logistica del trasporto, in particolare con l’estensione sempre maggiore di tecniche di rifornimento just in time o con scorte ridotte al minimo fisiologico per cicli di fornitura sempre più rapidi, sia nella produzione che nella distribuzione, tale indicatore dovrebbe tendere ad aumentare a causa della maggiore difficoltà di riempire i veicoli al massimo della capacità. D’altro canto le tecniche più avanzate di supply chain management e di scambio di informazioni e di possibilità di incontro tra domanda e offerta di trasporto, tendono ad utilizzare meglio la capacità e quindi a far ridurre le percorrenze a vuoto. In figura 12 l’indicatore, costituito dal rapporto tra veicoli-km prodotti e “non utilizzati” e veicoli-km totali, nell’intero periodo evidenzia che i viaggi a vuoto, pari in media al 27%, sono aumentati del 10,6% registrando alcuni sensibili sbalzi in negativo ed in positivo durante l’arco temporale considerato. L’andamento dell’indicatore rispecchia l’andamento del trasporto stradale in ton-km che tra il 2003 ed il 2006 ha fatto registrare decrementi ed incrementi molto forti ad anni alterni. Come il precedente indicatore, anche i viaggi a vuoto risentono in maniera positiva e negativa del trend evolutivo del trasporto stradale in funzione del cambiamento strutturale dei sistemi produttivi e distributivi favorito dal relativo basso costo di trasporto e dalla maggiore efficienza logistica.

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Figura 12 – Indice di empty running del trasporto merci stradale in Italia 2000-2008 (2000=100)

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empty running

Fonte: elaborazione su dati Eurostat

6. Evoluzione della maritime logistics ed integrazione degli operatori logistici globali

La movimentazione portuale di contenitori marittimi ed il trasporto marittimo internazionale sono da considerarsi tra i comparti più dinamici degli anni 2000. L’elevato livello di crescita dei traffici mondiali, dal lato della domanda, è stato determinato dall’ aumento generalizzato dei livelli di reddito e di consumo e dai processi di globalizzazione e liberalizzazione degli scambi che hanno aumentato la divisione del lavoro a livello internazionale (delocalizzazione della produzione ed estensione delle catene logistiche) ed hanno dato vita a maggiori flussi di commercio internazionale. La forte crescita del commercio internazionale e dei sistemi logistici produttivi e distributivi globali è stata favorita dall’introduzione dei container e da quella che è stata definita container logistics (Fremont, 2009).

Dal lato dell’offerta, invece, l’aumento della produttività dei terminali e delle attrezzature di movimentazione dei container hanno giocato un ruolo significativo, riducendo considerevolmente i costi ed i tempi del ciclo totale delle operazioni. Le attività terminalistiche sono orientate sempre più all’integrazione con il trasporto e le strutture logistiche terrestri (retroporti, inland terminal) imposta dalla incrementata capacità di carico delle navi, dalla carenza di spazi, dall’espansione delle relazioni di business ed inter-

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organizzative tra compagnie di navigazione e operatori logistici globali (Heaver, 2002, Tongzon, 2009, Siviero, Carlucci, 2009a).

Inoltre, per ottimizzare il riposizionamento dei container sulle rotte commerciali generalmente sbilanciate nei due sensi, le compagnie di navigazione non devono perdere il controllo dei flussi di container anche sui segmenti terrestri, il che spiega lo sviluppo della pratica del trasporto terrestre di container da parte delle compagnie di navigazione. Questo permette di effettuare “triangolazioni” nell’utilizzo e nel consolidamento/deconsolidamento delle unità di carico controllando le fasi ante e post spedizione che utilizzano più modi di trasporto, adattando gli obiettivi commerciali a vincoli logistici. L’operatività a “flusso continuo” di una nave portacontainer richiede la dotazione e l’utilizzazione da due a tre volte il numero di unità di carico della capacità della nave, con un set di contenitori a bordo della nave e, mediamente, altri due a terra. Il costo di questo grande investimento può essere tenuto proporzionalmente basso solo grazie ad una efficiente gestione dei tempi di consegna e, quindi, del tempo durante il quale contenitori sono immobilizzati a terra. In tale fase di congiuntura negativa, comunque, non è semplice immaginare che l’integrazione verticale tra compagnie di navigazione e grandi operatori logistici possa avvenire attraverso acquisizioni dirette che richiederebbero forti capitali; probabilmente nel prossimo futuro sarà più facile aspettarsi forme di integrazione parziale legate a determinate opportunità di business, a specifici ambiti geografici, ad alleanze strategiche e joint-venture.

In Italia, in particolare, l’evoluzione della logistica containerizzata ha sicuramente provocato delle importanti riorganizzazioni dei servizi terrestri, tanto da condizionare fortemente l’autonomia operativa delle piccole e medie imprese di autotrasporto. Gli attori principali del mercato globale sono rappresentati dalle grandi multinazionali della produzione e della distribuzione che stabiliscono rapporti di fornitura di servizi logistici con i grandi carriers intercontinentali, principalmente marittimi, e con i grandi freight forwarders. La containerizzazione ha sicuramente spostato il controllo delle catene logistiche verso dimensioni geografiche e di impresa multinazionali e globali. L’aumento dei flussi commerciali internazionali tende a rafforzare il ruolo delle compagnie di navigazione multinazionali che controllano le connessioni internazionali della box (containerised) logistics (Notteboom, Rodrigue, 2008). Le imprese di trasporto locali hanno un ruolo limitato nel processo decisionale, la maggior parte delle decisioni chiave sono prese altrove, come le decisioni strategiche sulla localizzazione di impianti di produzione e deposito.

La relativa autonomia del traffico internazionale containerizzato dall’andamento del PIL è confermata dall’analisi congiunta del traffico in

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TEU dei porti italiani che ha fatto registrare tassi di crescita ben superiori a quelli dell’economia italiana (Fig. 13). Tale fenomeno è evidente anche a livello regionale (Siviero, 2009). Il traffico marittimo è cresciuto infatti nel periodo 2000-2008 del 48,8% rispetto al 32% del PIL, mentre, in termini di crescita annuale media, del 5,1% rispetto allo 0,82% del PIL. Il coefficiente di elasticità al PIL è stato pertanto pari a 1,53 nel periodo e, in termini di tassi medi annuali, pari a 6,25 evidenziando quindi un processo di decoupling negativo espansivo. Figura 13 – Indice del trasporto marittimo container in relazione al PIL in Italia 2000-2008

(2000=100)

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TEU PIL (a prezzi constanti 2000)

Fonte: elaborazione su dati Assoporti, Istat

E’ evidente, dal confronto con l’andamento del traffico interno

analizzato in precedenza, quanto il trasporto internazionale containerizzato registri in fase di espansione dell’economia una capacità di crescita a tassi superiori. Tale fenomeno è anche dovuto al conteggio in alcuni casi duplicato dei container movimentati nei porti nazionali principalmente a causa del transhipment tra navi transoceaniche e navi di minori dimensioni per la distribuzione regionale e per la moltiplicazione delle movimentazioni che la stessa container logistics genera. E’ possibile evidenziare che in Italia tra il 2000 ed il 2008 sotto la spinta della crescente influenza sull’assetto dei traffici del “potere delle catene logistiche globali”, in fase espansiva per l’economia internazionale, il trasporto interno (stradale in particolare) è cresciuto a tassi inferiori manifestando un certo livello di decoupling dal PIL, mentre, in una fase recessiva internazionale come quella iniziata nel 2008 ed attualmente in corso, è ben chiaro che il

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trasporto nazionale faccia registrare elevati tassi di decrescita e quindi decoupling recessivo rispetto al PIL. 7. Continutità, prossimità e integrazione marittimo-terrestre per la crescita economica

La continuità e la funzionalità logistico-territoriale delle infrastrutture a supporto delle catene logistiche marittime, nel senso delle economie di prossimità spaziale tra porti, retroporti, collegamenti ferroviari e stradali di “ultimo miglio” e inland terminal, sono influenzate fortemente dalle strategie di sviluppo e di integrazione verticale e orizzontale delle compagnie di navigazione, degli operatori portuali e dei freight forwarders/logistics providers globali. Il ruolo chiave in tali processi di integrazione a livello globale è comunque svolto dalle shipping line, ma alcuni grandi fornitori di logistica stanno facendo sentire la loro presenza a scala mondiale (DHL Logistics, Shenker, Kuehne&Nagel, Gefco, ecc.). Essi offrono ai loro clienti in tutto il mondo servizi di logistica attraverso capillari reti di agenzie ed innescando una grande concentrazione dinamica del settore. Le loro attività possono variare da quella di corriere espresso alla gestione totale della catena di fornitura.

Nel medio periodo, ripartendo da una situazione di ridimensionamento e riassetto del mercato in seguito alla crisi, in specie a livello europeo, molte sono le ragioni per credere in una sempre maggiore integrazione verticale tra operatori marittimi e portuali e grandi operatori logistici. E’ diventato sempre più difficile, se non impossibile nel lungo termine, per le compagnie di navigazione generare in modo sostenibile margini competitivi riducendo i costi marittimi, infatti, la riduzione dei costi ottenuti dall'uso di grandi navi viene ad essere neutralizzata dalla caduta dei tassi di nolo. In secondo luogo, per il servizio di trasporto e logistica door-to-door richiesto per le catene di fornitura a livello globale, il costo marittimo è in molti casi secondario, esso è stato stimato infatti pari al 23% dei costi totali di trasporto (Stopford, 2002). Inoltre, l'aumento delle dimensioni delle navi tende ad accentuare il trasferimento dei costi dal trasporto marittimo al lato-terra (Notteboom, 2004). Le linee di navigazione hanno pertanto da guadagnare doppiamente dall'integrazione verticale, da un lato, consente loro di controllare i costi non-marittimi, dall’altro, di consolidare la loro posizione di operatori della logistica per il territorio di riferimento dei porti serviti e di conseguenza assicurare stabilità alle proprie quote di traffico. Anziché limitarsi a un vantaggio competitivo, l'integrazione verticale in questi termini sembra essere una necessità per il prossimo futuro. Dall’altro lato i grandi gruppi logistici controllano volumi

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di traffico molto grandi in tutto il mondo ed hanno notevoli capacità finanziarie. In risposta ad un mercato dei trasporti marittimi di linea che sta diventando sempre più concentrato, controllare il segmento marittimo potrebbe rivelarsi uno strumento per ottimizzare i servizi forniti ai clienti lungo catene molto estese e complesse a scala intercontinentale (Fremont, 2009).

L’integrazione funzionale ed operativa dei servizi di trasporto e logistica forniti nell’ambito della filiera/catena marittimo-portuale è quanto mai un fattore strategico per il mantenimento di posizioni significative di mercato, non solo con riferimento ai trasporti, ma piuttosto riferendosi ai mercati di distribuzione e consumo dei beni oggetto di commercio internazionale. Il controllo della catena integrata appare sempre più importante anche se diversi studi evidenziano una sensibilità ad investire in tal senso da parte delle grandi compagnie di navigazione di container alquanto differente e fortemente condizionata dall’andamento dei mercati finanziari. L’ottica dell’analisi economica va sempre più a spostarsi verso il ruolo e la posizione che nei mercati globali giocano i grandi global carrier del trasporto marittimo containerizzato sempre più concentrato. I primi 20 operatori di trasporto marittimo, infatti, detengono l’82,3% della capacità mondiale, nel 2000 era il 52%, mentre i primi 10 terminalisti (world cargo handlers) detengono una quota del totale traffico mondiale pari al 60,7% e rappresentano il 70,7% del totale degli operatori portuali mondiali (Containerisation International, 2010). In alcuni casi, l’integrazione tra compagnie di navigazione e operatori portuali tende a rafforzare ancor più la posizione di mercato, come nel caso dell’Evergreen e della Cosco, dando luogo a forme di autoregolazione dei mercati dal lato dell’offerta (Forte, 2008).

Una profonda evoluzione si è determinata in senso logistico nei processi industriali che sono diventati complessi sistemi multilocalizzati. Queste nuove forme di organizzazione industriale spiegano l’abbandono dell’”economia delle scorte” e del magazzino e la nascita dell’”economia dei flussi”. Le caratteristiche della prima sono quelle di produzione poco diversificata e con un ciclo lento di rinnovo. Nel secondo caso si trovano prodotti personalizzati, in molti casi a livello locale presso i mercati di consumo, con un ciclo veloce di produzione e distribuzione che consente il rinnovo frequente di tutti i prodotti. Questa evoluzione comporta la specializzazione delle unità di produzione o di vaste regioni di produzione. L'obiettivo è di adeguare l’offerta alla domanda con costi di produzione più vantaggiosi, così aumenta la produttività e le scorte si riducono. I flussi devono essere rapidi, regolari e reattivi, rispettando i tempi di consegna e

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praticando prezzi più bassi della concorrenza. Questi requisiti produttivi e distributivi generano flussi più piccoli ma più frequenti (Verny, 2007).

Viene a questo punto da chiedersi quanto i processi di integrazione/cooperazione tra grandi operatori e gestori di terminali del trasporto containerizzato globale e della logistica globale, siano stati in qualche modo il preludio in termini strategici per affrontare la fase economica recessiva trovando nuove strade per il mantenimento delle posizioni di mercato e di conseguenza della redditività operativa. La tendenza attuale consiste nel prendere il controllo di diversi segmenti della filiera logistica al fine della riduzione di costi e rischi, della “cattura del valore aggiunto” e per assicurare affidabilità alla distribuzione inland. Le grandi imprese multinazionali decidono rotte, modi e terminali da utilizzare per le “loro” merci; DP World, APM Terminals, Hutchison Port Holdings e PSA, ad esempio, sono in grado di stabilire proprie reti di infrastrutture dedicate. Alla luce delle strategie di integrazione verticale perseguite negli scorsi anni, le compagnie di navigazione sono entrate nel mercato della logistica portuale attraverso lo sviluppo di terminali dedicati, in molti casi indipendentemente dalle politiche pubbliche locali basate essenzialmente sulla realizzazione e sul potenziamento delle infrastrutture (Notteboom, Rodrigue, 2009a).

Figura 14 – Scenari futuri del trasporto mondiale marittimo di container

Fonte: Notteboom e Rodrigue, 2009

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Notteboom e Rodrigue (2009b) hanno individuato tre possibili scenari di crescita del traffico containizzato mondiale a partire dalle più recenti previsioni effettuate da Drwery sino al 2015. Tali studiosi considerano l’attuale fase di crisi economica una sostanziale fase di maturità per il mercato del trasporto marittimo di container. Come illustrato nella figura 14, un primo scenario (reference scenario) sarebbe quello di una crescita tendenziale simile a quanto registrato negli anni di forte espansione dal 2000 al 2008 e presuppone praticamente il raddoppio del traffico container tra il 2005 e il 2015. Sono ben evidenti i segnali macroeconomici che fanno escludere che la crescita nel breve-medio periodo possa ripetersi a ritmi simili al recente passato, se non altro per la scarsa probabilità che la capacità portuale possa quasi raddoppiare dal 2010 al 2015 e che i sistemi attuali di distribuzione terrestre possano sostenere un tale incremento dei volumi di traffico. Del resto a inizio 2010 la flotta portacontainer inattiva è di 581 navi pari all’11,6% della flotta mondiale, corrispondente a circa 1,5 milioni di Teu (Axs-Alphaliner). Il secondo scenario (maturity scenario) è basato su un minore crescita del traffico anche in seguito al superamento del “picco negativo” raggiunto nel 2009-2010. Un terzo scenario (global recession scenario), infine, assolutamente più pessimistico, prevede una vera e propria depressione globale per il trasporto marittimo con una leggera ripresa solo a partire dal 2011. Una tale situazione potrebbe verificarsi per la stagnazione dei consumi in Europa e Nord America, per l’elevato costo del petrolio ed eventualmente per l’introduzione di misure neoprotezionistiche in particolare verso la Cina. Tutto ciò comporterebbe la drastica riduzione del commercio internazionale con l’Asia e la riorganizzazione produttiva delle economie occidentali verso sistemi a maggiore rilevanza regionale e locale piuttosto che soltanto globale come finora avvenuto.

L’interrogativo di fondo è se anche in Italia, come in altri paesi europei, si può parlare di decoupling tra trasporto stradale e crescita economica e, in termini di sub-ottimali, di crescita del commercio internazionale e del settore logistico quali driver di sviluppo e di corretta allocazione di risorse in chiave anticiclica in un periodo di recessione. La crescita del volume di produzione a livello mondiale, la liberalizzazione e la deregolamentazione del trasporto merci, la maggiore complessità delle catene logistiche, l'estensione dei mercati di approvvigionamento di materie prime e semilavorati e delle aree mercato per lo sbocco commerciale delle produzioni, la diminuzione del costo totale di trasporto, la maggiore importanza del design e della diversificazione produttiva e l'adozione sempre maggiore del just-in-time e la conseguente affermazione delle “economie di flusso”, sono fattori che continueranno a guidare ed a

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condizionare la domanda e l’offerta di trasporto. Il debole disaccoppiamento tra il PIL e la crescita del trasporto merci su strada è stato alimentato anche dalla maggiore internazionalizzazione della logistica e ciò può “segnalare” la possibilità di una transizione di regime verso una maggiore sostenibilità ambientale del trasporto.

Il disaccoppiamento deve quindi essere visto come una combinazione di strategie per ridurre il volume di traffico, la distanza percorsa e altre misure per aumentare l'efficienza del trasporto in senso logistico, assicurando allo stesso tempo la crescita economica. Il disaccoppiamento espansivo potrebbe verificarsi attraverso il rafforzamento, nell’ambito dei sistemi e delle reti di relazioni industriali globalizzati, di modelli di produzione e di consumo basati anche su reti locali e regionali. Attori centrali di tali nuovi scenari di evoluzione del trasporto e della logistica mondiale sono sicuramente identificabili nei grandi shipping carrier e freight forwarders attraverso forme diverse di integrazione organizzativa ed operativa.

Bisogna probabilmente allontanarsi da modelli basati esclusivamente sulla riduzione dei costi di trasporto e su condizioni di efficienza legate alla distanza, per approdare a modelli complessi di sviluppo territoriale che incorporino anche l’ottimizzazione dei tempi, l’uso della capacità, la condivisione di informazioni, la riduzione delle esternalità negative, ecc. In altre parole, se tali modifiche in senso territoriale dei costi di transazione hanno effettivamente luogo, è essenziale sviluppare un concetto molto più ampio di costo della distanza semplicemente basato sui costi di trasporto. Un approccio è quello di ampliare il concetto di costo/distanza del solo trasporto in “costo logistico totale” che comprende tutti i costi connessi ai flussi ed alle scorte (compreso il tempo) rispetto ai quali le componenti economiche spaziali di transazione (spatial transaction cost) assumono un ruolo determinante (McCann, Sherfer, 2004).

L'integrazione della variabile “spaziale” nelle strategie di localizzazione delle imprese deriva dalla evoluzione dei sistemi di logistica. Per diverse scale territoriali: locale, regionale, nazionale, continentale o mondiale, l’avvenuta riduzione dei costi di trasporto ed i miglioramento dell’efficienza logistica hanno avuto ripercussioni sulla dinamica territoriale delle strutture industriali. La logistica è diventata determinante nella scelta di localizzazione dei siti produttivi e distributivi in particolare nella scelta tra modelli centralizzati con poche o senza strutture periferiche regionali e modelli più decentralizzati nei quali aumentano i livelli periferici di rete (depositi, transit point, magazzini locali, ecc.). Krugman, Fujita e Thisse (Krugman, 1991, Fujita e Thisse, 2002) dimostrano l'importanza della logistica in uno spazio economico ideale che propone una serie di “posizionamenti ottimali”. Distanza fisica e costi di trasporto

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diventano fattori di scelta localizzativi subalterni a quello prioritario dell'aumento progressivo del valore aggiunto dei prodotti lungo le catene logistiche. Valore aggiunto che può identificarsi anche nella massimizzazione del livello di servizio offerto ai clienti ed al mercato in termini di flessibilità, tempestività, capillarità, regolarità e sicurezza degli approvvigionamenti e delle forniture. Facendo leva sulla logistica e su partner logistici 4PL (fourth party logistics provider) altamente specializzati nell’integrazione di filiera/catena, i produttori globali “a larga scala” tendono ad allargare la loro area di mercato da ciascun punto delle reti di distribuzione. L’obiettivo di minimizzare i costi di trasporto tra luogo di produzione e luogo di consumo è stato facilitato dalla minore incidenza della distanza sul costo di trasporto, mentre, l’obiettivo principale resta quello di facilitare le operazioni di post-produzione finali, come il completamento industriale, l’imballaggio, il magazzinaggio, ecc., mediante la corretta progettazione (posizionamenti, dimensionamenti, tipologie funzionali e gestionali, ecc.) di strutture logistiche regionali. L'aumento della mobilità a livello globale è stata una grande opportunità per sviluppare nuove modalità organizzative che comportano nuove relazioni con i territori. Il positivo risultato di un “posizionamento ottimale” contribuisce allo sviluppo di una nuova organizzazione geografica della produzione compatibile con gli obiettivi di mobilità sostenibile a livello locale, ad esempio, cooperando ed interagendo tra reti di imprese per ridurre la distanza media ed aumentare il fattore di carico medio del trasporto stradale.

8. Conclusioni La crescita in Italia nel periodo 2000-2008 delle tonnellate trasportate su strada è stata del 22,9%, in media annua del 2,8%, mentre il traffico in tonnellate-km è diminuito dal 2000 al 2008 del 2,3%, in media annua del 2,8%. Tali dati confermano la recente tendenziale riduzione della distanza media trasportata e probabilmente un miglioramento medio dell’efficienza logistica del settore del trasporto stradale avvenuta in questi ultimi anni con la liberalizzazione delle tariffe e l’aumento della concorrenza interna ed estera, l’aggregazione di imprese di piccole dimensioni, il coordinamento operativo in connessione con i grandi distributori e con i grandi operatori logistici, la tendenza all’incremento della “terminalizzazione” stradale rispetto alla media-lunga percorrenza.

Alla luce di quanto esposto, appare ragionevole considerare fondamentale lo sviluppo in senso logistico del territorio e dei mercati per far fronte alla crisi economica in atto. Anche con riferimento alla maggiore

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sostenibilità ambientale, l’intensità di trasporto stradale appare fortemente condizionata dall’andamento del trasporto e della logistica governata dai grandi operatori multinazionali.

Il settore dei trasporti e della logistica sta risentendo gravemente della difficile situazione economica del paese e del forte calo del commercio estero. Le importazioni e le esportazioni italiane sono diminuite entrambe nel 2009, in valore del 21,4% le esportazioni e del 23% le importazioni rispetto al 2008. L’import-export tiene solo con la Cina (Confetra, 2010). Il calo della domanda interna ed estera è inevitabile che comporti un calo della domanda di trasporto. Di conseguenza, il settore subisce ulteriormente la crisi a causa della scarsa disponibilità di risorse finanziarie per nuovi investimenti in grado di agire in maniera anticiclica. Il miglioramento degli assetti operativi ed organizzativi delle imprese, il rigido controllo dei costi attraverso l’ottimizzazione delle singole fasi della supply chain e una più incisiva politica di sviluppo fondata sul maggiore equilibrio economico-spaziale tra produzione globalizzata di massa e penetrazione dei mercati regionali grazie alla maggiore efficienza logistica “locale”, sono certamente tra i principali fattori di potenziale ripresa economica.

Processi quali la dematerializzazione, la specializzazione produttiva, la creazione di reti di imprese e di filiere logistiche territoriali, possono rappresentare una delle principali vie anticicliche da seguire se accompagnate da adeguati investimenti privati finalizzati alla maggiore integrazione, continuità e prossimità funzionale ed organizzativa, oltre che da investimenti pubblici finalizzati alla maggiore continuità tra elementi fisici ed immateriali dei sistemi logistici territoriali (nodi, connessioni, infrastrutture di secondo livello, reti info-telematiche, ecc.). Ribaltando la posizione delle variabili macroeconomiche e sulla base delle analisi di periodo effettuate è ragionevole pensare che se cresce l’economia internazionale ed il trasporto marittimo di container e la logistica con esso, il PIL cresce (in genere meno del trasporto marittimo - decupling negativo espansivo) ed il trasporto terrestre può crescere meno del PIL (decoupling debole) se non ridursi (decoupling forte), se invece l’economia internazionale ristagna ed il trasporto marittimo unitizzato con essa, il PIL cresce meno o decresce ed il trasporto marittimo e terrestre si riduce a tassi maggiori (decoupling recessivo).

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