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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE Composta dagli III.mi Magistrati: Dott . LUCA RAMACCI Dott . ORONZO DE MASI Dott . ssa ANTONELLA DI STASI Dott. ENRICO MENGONI Dott. GIUSEPPE RICCARDI ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da: SENTENZA Presidente Consigliere Consigliere Rei. Consigliere Consigliere Sento UDIENZA CAMERA DI CONSIGUO DEL 8/3/2016 R.G. N. 51664/2015 avverso l'ordinanza del 16/07/2015 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasii udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dotto Stefano Tocci che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi per l'imputato l'aw. e l'avv. che hanno concluso chiedendo riportandosi ai motivi e chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Sento n.~ - lexgenda.it · TERZA SEZIONE PENALE Composta dagli III.mi Magistrati: Dott. LUCA RAMACCI Dott. ORONZO DE MASI Dott. ssa ANTONELLA DI STASI Dott. ENRICO MENGONI Dott. GIUSEPPE

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli III.mi Magistrati:

Dott. LUCA RAMACCI

Dott. ORONZO DE MASI

Dott. ssa ANTONELLA DI STASI

Dott. ENRICO MENGONI

Dott. GIUSEPPE RICCARDI

ha pronunciato la seguente

sul ricorso proposto da:

SENTENZA

Presidente

Consigliere

Consigliere Rei.

Consigliere

Consigliere

Sento n.~ UDIENZA CAMERA

DI CONSIGUO DEL 8/3/2016

R.G.N. 51664/2015

avverso l'ordinanza del 16/07/2015 del Tribunale di Reggio Calabria

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasii

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dotto

Stefano Tocci che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

uditi per l'imputato l'aw. e l'avv. che hanno

concluso chiedendo riportandosi ai motivi e chiedendo l'accoglimento del

ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16.7.2015 il Tribunale di Reggio Calabria- a seguito di

istanza di riesame proposta nell'interesse dell'indagato avverso

Vordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa

dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria in data

11.5.2015- confermava detta ordinanza.

La misura cautelare veniva emessa per la sussistenza di gravi indizi di

colpevolezza in ordine ai reati di cui agli artt. 74, commi 1,2 e 3 D.P.R. n. 309{1990

e art. 4 legge 16 marzo 2006 n 146, per associazione criminosa finalizzata alla

commissione di una pluralità indeterminata di delitti di importazione, trasporto,

codetenzione e successiva cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo

cocaina svolgendo il il ruolo di coadiuvare

sotto il profilo logistico - tra l'altro mettendo a disposizione un veicolo per

trasportare la droga da recuperare a Genova il 16.7.2014- nonché assicurando la

circolazione delle informazioni fungendo da emissario nei rapporti con altri sodali

(quale il ) in relazione alla necessità di impartire loro direttive operative

(capo 1),e di cui agli artt. 110 e 73 comma 1 e 80 comma 2 d.P.R. 309{90 e

(perChé in concorso con altri coindagati),acquistava ed importava in Italia un

ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in particolare 52

Kg contenuti nel container e imbarcato sulla partita

dalla Costarica e giunta nel porto di Vado Ligure dove cadeva in sequestro,

svolgendo il il ruolo di interlocutore tra il committente e )

e che avrebbe dovuto assicurare il recupero dello

stupefacente(capo 11), e di cui agli artt. 110 e 73 comma 1 e 80 comma 2 d.P.R.

309{90 e (perché in concorso con altri coindagati),acquistava ed importava in

Italia un ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina in

particolare 54 pani (32 del peso netto di Kg 32.048, 14 del peso netto di Kg

13,961, 8 pani del peso netto di Kg 6,268) e 92 pani (20 pani del peso netto di KG

20, 12 pani del peno netto di Kg 12,003, 28 pani del peso netto di Kg 27,913, 22

pani del peso netto di Kg 7 , 6 pani del peso netto di Kg 5,979 e 4 pani del peso

netto di Kg 3,984) contenuto in un container imbarcato sulla

nel porto dì Genova dove cadeva in sequestro, svolgendo ìI ~

interlocutore tra il committente

giunta

~, il ruolo di

e assicurava i

preparativi per il trasporto dello stupefacente da Genova in Calabria, il cui corriere

era (capo 12), nonché per il reato dì cui agli artt. 110,81 cpv e

390 cod. peno perché, in concorso con ;

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I

aiutava J a sottarsi alle ricerche delle Autorità preordinate a

eseguire l'ordine di esecuzione per la carcerazione n. 46/2014 SIEP emesso dalla

Procura Generale presso la Corte di appello di Perugia, per una pena di anni 8 e

mesi otto di reclusione- in Sinopoli e altrove in Italia dal 8.3.2014 al 4.9.2014

(capo 16); le esigenze cautelari ritenute sussistenti erano quelle di cui alla lettera

c) dell'art. 274 cod. proc. peno .

Il Tribunale rigettava l'istanza di riesame, ritenendo esistente un solido

quadro di gravità indiziaria, emergente dalle conversazioni telematiche

intercettate, e le esigenze cautelari di cui alla lettera c) dell'art. 274 cod. proc.

pen, evincibili dalle modalità della condotta e dalla personalità del prevenuto;

riteneva, quindi, unica misura proporzionale e idonea quella di massimo grado

applicata dal Giudice per le indagini preliminari.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

per il tramite del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito

enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto

dall'art. 173 comma l, disp. atto cod. proc. pen:

a. Art. 606, comma 1, lett. b) c) ed e) cod. proc. peno in relazione agli artt.,

727 e 729 cod. proc. pen., art. 10 Costo e art. 1 I 12.3.1995 n. 124.

Il ricorrente deduce che l'ordinanza impugnata poggia su un compendio

indiziario che consta di intercettazioni del traffico telematico del • oggetto

di invio e ricezione mediante il sistema cd. Pin to PinI tipico degli apparati mobili

la cui attivazione genera dal collegamento Internet.

Contesta, quindi, l'utilizzazione, nelle operazioni di intercettazione, di impianti

diversi da quelli in dotazione alla Procura di Catanzaro, per l'assenza della

necessaria rogatoria alle autorità straniere, ed in particolare a quelle canadesi,

poiché l'attività captativa era diretta a percepire contenuti di comunicazioni o

conversazioni transitanti ed elaborati sul territorio straniero, attraverso server

ubicati tutti nel Canada; il concetto di attività di intercettazione non può limitarsi

alla sola ricezione in differita delle comunicazioni intercettate agli impianti della

Procura in quanto deve estendersi all'atto di captazione.

b. Art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. peno in relazione agli artt., 273

e 292 comma 2 lett. c bis cod. proc. pen., art. 110 cod. peno , 73, comma 1, 74 e

80 d.P.R. n. 309/1990, art. 4 I n. 146/06, art. 390 cod. pen.,

Il ricorrente contesta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine

ai reati di cui ai capi 1) e 11), 12) e 16) deducendo che il Tribunale, nel confermare

l'ordinanza genetica, offriva una motivazione apparente, in quanto rinviava alla

motivazione del Giudice per le indagini preliminari e non confutava le

argomentazioni difensive, sottraendosi in tal modo all'obbligo motivazionale;

aggiunge che con riferimento al capo 11) la difesa aveva contestato che vi fosse

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stato di un contatto con

aveva contestato la riferibilità al

con riferimento al capo 12) la difesa

del dispositivo avente nickname

. con riferimento al capo 16) la difesa aveva contestato la possibilità di

ricondurre le condotte contestate al lella fattispecie di cui all'art. 390

cod. peno

Con memoria depositata in data 4.3.2016 la difesa di ha

ribadito ed ampliato le argomentazioni difensive poste a fondamento del primo

motivo di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. II primo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente eccepisce la violazione di legge e la mancanza ed illogicità della

motivazione in relazione alle modalità esecutive delle intercettazioni poste in

essere su utenze con sistema

In particolare, lamenta l'omesso ricorso alla rogatoria internazionale per

ottenere i dati identificativi dei codici PIN e per lo svolgimento delle operazioni di

intercettazione.

Va osservato che, nel caso di specie, oggetto di intercettazione, non sono

"ordinarie" comunicazioni telefoniche, bensì comunicazioni protette tramite il

servizio cd. pin to pin offerto da sui suoi terminali, cioè cd.

comunicazioni in chat. Si tratta di una modalità di comunicazione comunemente

ritenuta più sicura per la privacy in quanto può intervenire esclusivamente fra

persone in possesso di apparecchi identificati soltanto a mezzo di un

PIN (da qui la denominazione pin to pin) e comporta che le comunicazioni

trasmesse siano compresse e, soprattutto, cifrate. L'interconnessione è garantita

da un server, cioè la memoria informatica centralizzata, che si trova presso la sede

della società canadese I, che appunto gestisce il servizio.

II Tribunale del riesame ha dettagliatamente individuato, sulla base delle

emergenze investigative, l'utenza nella disponibilità del ricorrente, ricostruendo i

suoi spostamenti e spiegando, con argomentazioni specificamente illustrate ed

immuni da vizi logico-giuridici in questa sede censurabili: a) che le operazioni di

intercettazione sono avvenute in territorio italiano, tramite la registrazione dei dati

nella memoria informatica centralizzata (server) installata nei locali della Procura

di catanzaro; b) che i dati telematici delle captazioni riguardanti lo scambio di

messaggi fra telefoni con il sistema cd. "pin to pin" sono stati

trasmessi in originale dalla società con sede in Italia direttamente sul server degli

uffici della Procura.

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Nel caso di specie, dunque, è stata rispettata la condizione necessaria per

l'utilizzabilità delle intercettazioni, ossia che l'attività di registrazione - consistente,

sulla base delle tecnologie attualmente in uso, nella immissione dei dati captati in

una memoria informatica centralizzata - awenga nei locali della Procura delta

Repubblica mediante l'utilizzo di impianti ivi esistenti (Sez. Un., n. 36359 del

26/06/2008, dep. 23/09/2008, Rv. 240395).

AI riguardo, inoltre, deve ribadirsi il principio, più volte affermato da questa

Suprema Corte (Sez. 6, n. 7634 del 12/12/2014, dep. 19/02/2015, Rv. 262495;

Sez. 1, n. 13972 del 04/03/2009, dep. 31/03/2009, Rv. 243138; v., inoltre, Sez.

4, n. 9161 del 29/01/2015, Rv. 262441), secondo cui, in tema di intercettazioni

telefoniche, il ricorso alla procedura cd di istradamento, e cioè il convogliamento

delle chiamate in partenza dall'estero in un "nodo" situato in Italia (e a maggior

ragione di quelle in partenza dall'Italia verso l'estero, delle quali è certo che

vengono convogliate a mezzo di gestore sito nel territorio nazionale) non comporta

la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, poichè in tal modo tutta

l'attività d'intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate viene

interamente compiuta nel territorio italiano, mentre il ricorso alle forme

dell'assistenza giudiziaria all'estero è necessario unicamente per gli interventi da

compiersi all'estero, per l'intercettazione di conversazioni captate solo da un

gestore straniero.

Va precisato che è principio consolidato che la destinazione ad uno specifico

"nodo" telefonico, posto in Italia, delle telefonate estere, provenienti da una

determinata zona (c.d. instradamento), non rende necessario il ricorso alla

rogatoria internazionale, in quanto l'intera attività di captazione e registrazione si

svolge sul territorio dello Stato (cfr. Sez. 6, n. 18480 del 12/12/2015 , Zinghini,

non mass.; sez. 6, n. 10051 del 3/12/2007, Ortiz e altri, Rv 239459).

Inoltre, è stato di recente precisato che "non è necessario esperire una

rogatoria internazionale allorquando l'attività di captazione e di registrazione del

flusso comunicativo avvenga in Italia e tanto sia nel caso di utenza mobile italiana

in uso all'estero sia nel caso di utenza mobile straniera in uso in Italia,

richiedendosi il ricorso alla rogatoria solo nell'ipotesi in cui l'attività captativa sia

diretta a percepire contenuti di comunicazioni o conversazioni transitanti

unicamente su territorio straniero" (cfr. Sez. 4, n. 9161 del 29/1/2015, Andreone

ed altri, Rv. 262441); il che conferma il principio, del tutto consolidato nella

giurisprudenza di legittimità, secondo il quale si deve far ricorso alla rogatoria

internazionale solo nei casi in cui l'attività captativa è diretta a percepire contenuti

di comunicazioni o conversazioni che transitano unicamente su territorio straniero,

il che dà spiegazione alla richiesta di assistenza giudiziaria ad uno Stato estero.

Ciò che dunque rileva non è la nazionalità dell'utenza da intercettare quanto se

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l'intercettazione sia compiuta o meno nel territorio italiano[ che costituisce

accertamento di fatto il quale si sottrae al sindacato dì legittimità seI come nella

specie[ congruamente motivato.

Questi assunti valgono anche in riferimento alle intercettazioni in oggetto[

laddove la captazione non riguardava comunicazioni tramite telefono ma

conversazioni via chat.

Con riferimento specifico alle intercettazioni telematiche[ infatti[ questa Corte

ha affermato che è legittima l'acquisizione di contenuti di attività di messaggistica

(nella specie, effettuata con sistema ) mediante intercettazione

operata ai sensi dell'art. 266 e ss. cod. proc. pen, poichè le "chat", anche se non

contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni (Sez. 3, n. 50452 del

10/11/2015,dep.23/12/2015, Rv.265615).

Orbene il Collegio della cautela ha correttamente applicato i principi nel caso

di cui si tratta ed ha evidenziato che le intercettazioni telematiche ex art. 266 bis

c.p.p. erano state disposte direttamente sui codici PIN, mentre la successiva

richiesta alla società in merito ai dati identificativi associati ai codici PIN

intercettati aveva riguardato dati comunque non muniti di alcuna protezione

particolare. Peraltro è stato opportunamente sottolineata la irrilevanza del fatto

che la società fosse canadese, posto che le comunicazioni awenivano in Italia

per effetto del convogliamento delle chiamate in un nodo situato in Italia, ove è

stata svolta l'attività di captazione.

Quanto, infine, all'ulteriore censura difensiva relativa alla correttezza del

codice di decriptazione della chat, sviluppata oralmente dalla difesa del ricorrente

all'udienza del 8.3.2016, essa è meramente assertiva e priva di concretezza.

2. E' infondato il secondo motivo di ricorso.

2.1. Va ricordato che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti relativi

all'applicazione di misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denunci la

violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della

motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto,

ma non anche quando proponga censure che riguardano la ricostruzione dei fatti

ovvero si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal

giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, , Rv. 241997; Sez.6,

n. 11194 del 8/03/2012, , Rv. 252178).

Sono, pertanto, inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la

motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle

circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità

accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione

della norma incriminatrice.

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Va, poi, precisato che la giurisprudenza di questa Corte si è da tempo

consolidata nell'affermare che in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi

di colpevolezza ai sensi dell'art. 273 c.p.p., devono intendersi tutti quegli elementi

a carico, di natura logica o rappresentativa che - contenendo in nuce tutti o

soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono,

di per sè, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato e tuttavia

consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura

acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità,

fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11

del 21/04/1995, ed altro, Rv. 202002; Sez. 2, n. 28865 del

14/06/2013, Rv.256657).

La funzione di legittimità, dunque, è limitata alla verifica della adeguatezza

del ragionamento e della valutazione adottata nel provvedimento sottoposto al suo

esame, che deve manifestare con chiarezza ed esaustività quale argomentazione

critica lo abbia sorretto nel pervenire alla ricostruzione dei fatti, tenendo conto di

tutti gli elementi, sia contro che a favore del soggetto sottoposto al suo esame

(Sez.6, n 40609 del 01/10/2008, Rv.241214; Sez.6, n. 18190 del 04/04/2012,

Rv.253006; Sez.6,n. 27928 del 14/06/2013, Rv.256262).

Alla luce di tali principi, quindi, va valutato il secondo motivo di ricorso

proposto.

2.2. Il Tribunale ha illustrato, adeguatamente e con argomentazioni logiche,

le ragioni giustificative della valutazione effettuata circa l'identificazione

dell'imputato nelle conversazioni oggetto di intercettazione, muovendo dalla

combinazione di una serie di dati univocamente ritenuti indicativi in tal senso

dei dispositivi associati al nickname e al (riconducibilità al

nickname attraverso certosini ed univoci riscontri tra contenuti delle

conversazioni; localizzazione fisica dell'imputato e localizzazione di precisione degli

spostamenti effettuati dai predetti dispositivi; cartellino fotosegnaletico di

; temporaneo uso anche del dispositivo collegato al nickname

al fine di rendere più difficoltosa la tracciabilità e riconducibilità delle

conversazioni).

Tale identificazione, integra una questione di fatto, rimessa all'apprezzamento

del giudice di merito e, come tale, estranea al sindacato proprio del giudizio di

legittimità se - come nella fattispecie è accaduto - la valutazione risulta

logicamente condotta in rapporto alle massime di esperienza ivi utilizzate (ex

multis, v. Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, dep. 20/11/2013, Rv. 258164; Sez.

6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724).

L'ordinanza impugnata, poi, dopo aver operato una ricostruzione fattuale e

individuato il ruolo del ricorrente nella vicenda, esprime una valutazione di

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jl f f.'., •..•..... : •. , . ! r fi t t li I, I ~:

correttezza dell'ordinanza genetica, che richiama integralmente, esplicitando, con

motivazione scevra da illogicità manifeste, le ragioni per le quali, alla luce del

contenuto delle conversazioni telematiche intercettate, si debba ritenere provato,

seppure in termini di elevata probabilità, il concorso del ricorrente nei due episodi

di narcoimportazione dal Sudamerica (capo 11 e capo 12), avendo egli operato

quale referente dei committenti e mediatore, interloquendo ed interfacciandosi con

:II fine di assicurare i preparativi per il recupero e trasporto della

sostanza stupefacente.

Va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questo Supremo

Collegio, ai fini della configurazione del concorso di persone nel reato, il contributo

concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi

come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un

contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione,

sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà.

Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti

in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla

commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o

l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della

sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della

produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche

le condotte degli altri concorrenti (Sez.6,n.36818 del 22/05/2012,Rv.253347;

Sez.4,n.4383 del 10/12/2013,dep. 30/01/2014,Rv.258185; Sez.4, n.24895 del

22/05/2007,Rv.236853; Sez.1, n.5631 del 17/01/2008Rv.238648).

Correttamente il Collegio cautelare ha, pertanto, ritenuto che l'avere il

assicurato, sia nella fase di ideazione che di esecuzione dei

reati programmati, un ruolo cd di collegamento tra sodali, quale soggetto che,

rispondendo alle direttive del vertice del sodalizio investigato, assicurava le

comunicazioni tra i compartecipi (in particolare, mettendo in contatto

con ai fini del programmato recupero e trasporto dello

stupefacente) la sua condotta si sia tradotta in un cosciente contributo di

rafforzamento e agevolazione all'importazione della sostanza stupefacente,

affinchè ciò potesse avvenire in sicurezza, il che - in ossequio ai principi generali

in tema di concorso di persone del reato - sostanzia la partecipazione del ricorrente

al delitto.

Adeguata e corretta e la motivazione offerta dal Tribunale in ordine alle ragioni

giustificatrici per le quali si debba ritenere provato, seppure in termini di elevata

probabilità, il concorso del ricorrente nel delitto di cui al capo 16) dell'imputazione

cautelare.

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Il Tribunale ha valutato analiticamente il contenuto delle conversazioni

intercorse in chat, evidenziando come avesse messo a

disposizione la sua persona al fine di favorire la latitanza di

inserendosi personalmente nella fitta di rete di soggetti deputati a curare gli

interessi pratici del ricercato e ad eludere i controlli delle Forze dell'ordine

scongiurandone la cattura, adoperandosi, in particolare, per assicurare

sposta menti sicuri al latitante ed incontri con terzi soggetti e prestandosi a

veicolare informazioni di evidente interesse per il latitante.

Correttamente il Collegio cautelare ha, quindi, ritenuto che la condotta del

si sia tradotta in un cosciente contributo di rafforzamento e agevolazione

alla commissione del reato contestato al capo 16 dell'imputazione cautelare il che

- in ossequio ai principi generali in tema di concorso di persone del reato -

sostanzia, in termini di gravità indiziaria, la partecipazione del ricorrente al delitto.

Non è da revocare in dubbio che la condotta accertata si è concretizzata,

infatti, in un'attività volontaria, specificamente diretta a eludere l'ordine di

esecuzione per la carcerazione a carico di j ; condotta che - come

richiesto dalla fattispecie e precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez.6,n

33424_del 22/05/2009, Rv. 244762; Sez. 6, 15 gennaio 2003 n. 9936) -deve

tradursi in un aiuto idoneo a conseguire l'effetto di sottrarre taluno all'esecuzione

della pena.

Il Tribunale del riesame ha, poi, esplicitato le ragioni per le quali si debba

ritenere provato, in termini di elevata probabilità, anche il concorso nel reato

associativo contestato (capo 1 dell'imputazione cautelare).

II Tribunale ha individuato e valutato criticamente il contenuto delle numerose

conversazioni telefoniche intercettate, osservando come l'attività posta in essere

dal operare in sinergia con gli altri coindagati, rispettando le gerarchie

del sodalizio, fungendo da tramite per il passaggio di informazioni e comunicazioni

tra sodali ed utilizzando il linguaggio criptico dell'associazione, apparisse

sintomatica della stabile appartenenza al consorzio criminale e della sua affidabilità

e piena disponibilità per la cura degli interessi dell'associazione criminale.

Tratta si di motivazione logica ed adeguata ed in linea con i principi di diritto

affermati da questa Suprema Corte.

Va, infatti, ricordato che questa Suprema Corte ha da tempo rilevato che in

tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, la

prova del vincolo permanente, nascente dall'accordo associativo, può essere data

anche per mezzo dell'accertamento di facta conc/udentia, quali i contatti continui

tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi

logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le

forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra

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gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro

specifiche modalità esecutive (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10781 del 13/12/2000,

dep. 16/03/2001, Rv. 218731).

E si è pure precisato che, ai fini della configurabilità dell'associazione

finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto

espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle

modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori,

dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un

comune obiettivo e dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non

particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del

vincolo criminale (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 40505 del 17/06/2009, dep.

19/10/2009, Rv. 245282).

Va, infine, rimarcato che alcuna contestazione specifica è stata effettuata dal

ricorrente in ordine alla sussistenza delle aggravanti dell'ingente quantità e della

transnazionalità, i cui presupposti di applicabilità sono stati esplicitati dal Tribunale

con argomentazioni adeguate e logiche e, come tali, non censurabili in questa sede

di legittimità.

4. Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e, in base al disposto dell'art. 616

cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa

al Direttore dell'Istituto Penitenziario competente a norma dell'art. 94 comma 1

ter disp. atto cod. proc. peno

Così deciso il 8/3/2016

II Consigliere estensore

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