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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli III.mi Magistrati:
Dott. LUCA RAMACCI
Dott. ORONZO DE MASI
Dott. ssa ANTONELLA DI STASI
Dott. ENRICO MENGONI
Dott. GIUSEPPE RICCARDI
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
SENTENZA
Presidente
Consigliere
Consigliere Rei.
Consigliere
Consigliere
Sento n.~ UDIENZA CAMERA
DI CONSIGUO DEL 8/3/2016
R.G.N. 51664/2015
avverso l'ordinanza del 16/07/2015 del Tribunale di Reggio Calabria
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasii
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dotto
Stefano Tocci che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per l'imputato l'aw. e l'avv. che hanno
concluso chiedendo riportandosi ai motivi e chiedendo l'accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16.7.2015 il Tribunale di Reggio Calabria- a seguito di
istanza di riesame proposta nell'interesse dell'indagato avverso
Vordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa
dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria in data
11.5.2015- confermava detta ordinanza.
La misura cautelare veniva emessa per la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai reati di cui agli artt. 74, commi 1,2 e 3 D.P.R. n. 309{1990
e art. 4 legge 16 marzo 2006 n 146, per associazione criminosa finalizzata alla
commissione di una pluralità indeterminata di delitti di importazione, trasporto,
codetenzione e successiva cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo
cocaina svolgendo il il ruolo di coadiuvare
sotto il profilo logistico - tra l'altro mettendo a disposizione un veicolo per
trasportare la droga da recuperare a Genova il 16.7.2014- nonché assicurando la
circolazione delle informazioni fungendo da emissario nei rapporti con altri sodali
(quale il ) in relazione alla necessità di impartire loro direttive operative
(capo 1),e di cui agli artt. 110 e 73 comma 1 e 80 comma 2 d.P.R. 309{90 e
(perChé in concorso con altri coindagati),acquistava ed importava in Italia un
ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in particolare 52
Kg contenuti nel container e imbarcato sulla partita
dalla Costarica e giunta nel porto di Vado Ligure dove cadeva in sequestro,
svolgendo il il ruolo di interlocutore tra il committente e )
e che avrebbe dovuto assicurare il recupero dello
stupefacente(capo 11), e di cui agli artt. 110 e 73 comma 1 e 80 comma 2 d.P.R.
309{90 e (perché in concorso con altri coindagati),acquistava ed importava in
Italia un ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina in
particolare 54 pani (32 del peso netto di Kg 32.048, 14 del peso netto di Kg
13,961, 8 pani del peso netto di Kg 6,268) e 92 pani (20 pani del peso netto di KG
20, 12 pani del peno netto di Kg 12,003, 28 pani del peso netto di Kg 27,913, 22
pani del peso netto di Kg 7 , 6 pani del peso netto di Kg 5,979 e 4 pani del peso
netto di Kg 3,984) contenuto in un container imbarcato sulla
nel porto dì Genova dove cadeva in sequestro, svolgendo ìI ~
interlocutore tra il committente
giunta
~, il ruolo di
e assicurava i
preparativi per il trasporto dello stupefacente da Genova in Calabria, il cui corriere
era (capo 12), nonché per il reato dì cui agli artt. 110,81 cpv e
390 cod. peno perché, in concorso con ;
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I
aiutava J a sottarsi alle ricerche delle Autorità preordinate a
eseguire l'ordine di esecuzione per la carcerazione n. 46/2014 SIEP emesso dalla
Procura Generale presso la Corte di appello di Perugia, per una pena di anni 8 e
mesi otto di reclusione- in Sinopoli e altrove in Italia dal 8.3.2014 al 4.9.2014
(capo 16); le esigenze cautelari ritenute sussistenti erano quelle di cui alla lettera
c) dell'art. 274 cod. proc. peno .
Il Tribunale rigettava l'istanza di riesame, ritenendo esistente un solido
quadro di gravità indiziaria, emergente dalle conversazioni telematiche
intercettate, e le esigenze cautelari di cui alla lettera c) dell'art. 274 cod. proc.
pen, evincibili dalle modalità della condotta e dalla personalità del prevenuto;
riteneva, quindi, unica misura proporzionale e idonea quella di massimo grado
applicata dal Giudice per le indagini preliminari.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione
per il tramite del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall'art. 173 comma l, disp. atto cod. proc. pen:
a. Art. 606, comma 1, lett. b) c) ed e) cod. proc. peno in relazione agli artt.,
727 e 729 cod. proc. pen., art. 10 Costo e art. 1 I 12.3.1995 n. 124.
Il ricorrente deduce che l'ordinanza impugnata poggia su un compendio
indiziario che consta di intercettazioni del traffico telematico del • oggetto
di invio e ricezione mediante il sistema cd. Pin to PinI tipico degli apparati mobili
la cui attivazione genera dal collegamento Internet.
Contesta, quindi, l'utilizzazione, nelle operazioni di intercettazione, di impianti
diversi da quelli in dotazione alla Procura di Catanzaro, per l'assenza della
necessaria rogatoria alle autorità straniere, ed in particolare a quelle canadesi,
poiché l'attività captativa era diretta a percepire contenuti di comunicazioni o
conversazioni transitanti ed elaborati sul territorio straniero, attraverso server
ubicati tutti nel Canada; il concetto di attività di intercettazione non può limitarsi
alla sola ricezione in differita delle comunicazioni intercettate agli impianti della
Procura in quanto deve estendersi all'atto di captazione.
b. Art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. peno in relazione agli artt., 273
e 292 comma 2 lett. c bis cod. proc. pen., art. 110 cod. peno , 73, comma 1, 74 e
80 d.P.R. n. 309/1990, art. 4 I n. 146/06, art. 390 cod. pen.,
Il ricorrente contesta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine
ai reati di cui ai capi 1) e 11), 12) e 16) deducendo che il Tribunale, nel confermare
l'ordinanza genetica, offriva una motivazione apparente, in quanto rinviava alla
motivazione del Giudice per le indagini preliminari e non confutava le
argomentazioni difensive, sottraendosi in tal modo all'obbligo motivazionale;
aggiunge che con riferimento al capo 11) la difesa aveva contestato che vi fosse
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stato di un contatto con
aveva contestato la riferibilità al
con riferimento al capo 12) la difesa
del dispositivo avente nickname
. con riferimento al capo 16) la difesa aveva contestato la possibilità di
ricondurre le condotte contestate al lella fattispecie di cui all'art. 390
cod. peno
Con memoria depositata in data 4.3.2016 la difesa di ha
ribadito ed ampliato le argomentazioni difensive poste a fondamento del primo
motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. II primo motivo di ricorso è infondato.
Il ricorrente eccepisce la violazione di legge e la mancanza ed illogicità della
motivazione in relazione alle modalità esecutive delle intercettazioni poste in
essere su utenze con sistema
In particolare, lamenta l'omesso ricorso alla rogatoria internazionale per
ottenere i dati identificativi dei codici PIN e per lo svolgimento delle operazioni di
intercettazione.
Va osservato che, nel caso di specie, oggetto di intercettazione, non sono
"ordinarie" comunicazioni telefoniche, bensì comunicazioni protette tramite il
servizio cd. pin to pin offerto da sui suoi terminali, cioè cd.
comunicazioni in chat. Si tratta di una modalità di comunicazione comunemente
ritenuta più sicura per la privacy in quanto può intervenire esclusivamente fra
persone in possesso di apparecchi identificati soltanto a mezzo di un
PIN (da qui la denominazione pin to pin) e comporta che le comunicazioni
trasmesse siano compresse e, soprattutto, cifrate. L'interconnessione è garantita
da un server, cioè la memoria informatica centralizzata, che si trova presso la sede
della società canadese I, che appunto gestisce il servizio.
II Tribunale del riesame ha dettagliatamente individuato, sulla base delle
emergenze investigative, l'utenza nella disponibilità del ricorrente, ricostruendo i
suoi spostamenti e spiegando, con argomentazioni specificamente illustrate ed
immuni da vizi logico-giuridici in questa sede censurabili: a) che le operazioni di
intercettazione sono avvenute in territorio italiano, tramite la registrazione dei dati
nella memoria informatica centralizzata (server) installata nei locali della Procura
di catanzaro; b) che i dati telematici delle captazioni riguardanti lo scambio di
messaggi fra telefoni con il sistema cd. "pin to pin" sono stati
trasmessi in originale dalla società con sede in Italia direttamente sul server degli
uffici della Procura.
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Nel caso di specie, dunque, è stata rispettata la condizione necessaria per
l'utilizzabilità delle intercettazioni, ossia che l'attività di registrazione - consistente,
sulla base delle tecnologie attualmente in uso, nella immissione dei dati captati in
una memoria informatica centralizzata - awenga nei locali della Procura delta
Repubblica mediante l'utilizzo di impianti ivi esistenti (Sez. Un., n. 36359 del
26/06/2008, dep. 23/09/2008, Rv. 240395).
AI riguardo, inoltre, deve ribadirsi il principio, più volte affermato da questa
Suprema Corte (Sez. 6, n. 7634 del 12/12/2014, dep. 19/02/2015, Rv. 262495;
Sez. 1, n. 13972 del 04/03/2009, dep. 31/03/2009, Rv. 243138; v., inoltre, Sez.
4, n. 9161 del 29/01/2015, Rv. 262441), secondo cui, in tema di intercettazioni
telefoniche, il ricorso alla procedura cd di istradamento, e cioè il convogliamento
delle chiamate in partenza dall'estero in un "nodo" situato in Italia (e a maggior
ragione di quelle in partenza dall'Italia verso l'estero, delle quali è certo che
vengono convogliate a mezzo di gestore sito nel territorio nazionale) non comporta
la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, poichè in tal modo tutta
l'attività d'intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate viene
interamente compiuta nel territorio italiano, mentre il ricorso alle forme
dell'assistenza giudiziaria all'estero è necessario unicamente per gli interventi da
compiersi all'estero, per l'intercettazione di conversazioni captate solo da un
gestore straniero.
Va precisato che è principio consolidato che la destinazione ad uno specifico
"nodo" telefonico, posto in Italia, delle telefonate estere, provenienti da una
determinata zona (c.d. instradamento), non rende necessario il ricorso alla
rogatoria internazionale, in quanto l'intera attività di captazione e registrazione si
svolge sul territorio dello Stato (cfr. Sez. 6, n. 18480 del 12/12/2015 , Zinghini,
non mass.; sez. 6, n. 10051 del 3/12/2007, Ortiz e altri, Rv 239459).
Inoltre, è stato di recente precisato che "non è necessario esperire una
rogatoria internazionale allorquando l'attività di captazione e di registrazione del
flusso comunicativo avvenga in Italia e tanto sia nel caso di utenza mobile italiana
in uso all'estero sia nel caso di utenza mobile straniera in uso in Italia,
richiedendosi il ricorso alla rogatoria solo nell'ipotesi in cui l'attività captativa sia
diretta a percepire contenuti di comunicazioni o conversazioni transitanti
unicamente su territorio straniero" (cfr. Sez. 4, n. 9161 del 29/1/2015, Andreone
ed altri, Rv. 262441); il che conferma il principio, del tutto consolidato nella
giurisprudenza di legittimità, secondo il quale si deve far ricorso alla rogatoria
internazionale solo nei casi in cui l'attività captativa è diretta a percepire contenuti
di comunicazioni o conversazioni che transitano unicamente su territorio straniero,
il che dà spiegazione alla richiesta di assistenza giudiziaria ad uno Stato estero.
Ciò che dunque rileva non è la nazionalità dell'utenza da intercettare quanto se
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l'intercettazione sia compiuta o meno nel territorio italiano[ che costituisce
accertamento di fatto il quale si sottrae al sindacato dì legittimità seI come nella
specie[ congruamente motivato.
Questi assunti valgono anche in riferimento alle intercettazioni in oggetto[
laddove la captazione non riguardava comunicazioni tramite telefono ma
conversazioni via chat.
Con riferimento specifico alle intercettazioni telematiche[ infatti[ questa Corte
ha affermato che è legittima l'acquisizione di contenuti di attività di messaggistica
(nella specie, effettuata con sistema ) mediante intercettazione
operata ai sensi dell'art. 266 e ss. cod. proc. pen, poichè le "chat", anche se non
contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni (Sez. 3, n. 50452 del
10/11/2015,dep.23/12/2015, Rv.265615).
Orbene il Collegio della cautela ha correttamente applicato i principi nel caso
di cui si tratta ed ha evidenziato che le intercettazioni telematiche ex art. 266 bis
c.p.p. erano state disposte direttamente sui codici PIN, mentre la successiva
richiesta alla società in merito ai dati identificativi associati ai codici PIN
intercettati aveva riguardato dati comunque non muniti di alcuna protezione
particolare. Peraltro è stato opportunamente sottolineata la irrilevanza del fatto
che la società fosse canadese, posto che le comunicazioni awenivano in Italia
per effetto del convogliamento delle chiamate in un nodo situato in Italia, ove è
stata svolta l'attività di captazione.
Quanto, infine, all'ulteriore censura difensiva relativa alla correttezza del
codice di decriptazione della chat, sviluppata oralmente dalla difesa del ricorrente
all'udienza del 8.3.2016, essa è meramente assertiva e priva di concretezza.
2. E' infondato il secondo motivo di ricorso.
2.1. Va ricordato che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti relativi
all'applicazione di misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denunci la
violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto,
ma non anche quando proponga censure che riguardano la ricostruzione dei fatti
ovvero si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, , Rv. 241997; Sez.6,
n. 11194 del 8/03/2012, , Rv. 252178).
Sono, pertanto, inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità
accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla previsione
della norma incriminatrice.
6
Va, poi, precisato che la giurisprudenza di questa Corte si è da tempo
consolidata nell'affermare che in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi
di colpevolezza ai sensi dell'art. 273 c.p.p., devono intendersi tutti quegli elementi
a carico, di natura logica o rappresentativa che - contenendo in nuce tutti o
soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono,
di per sè, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato e tuttavia
consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura
acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità,
fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11
del 21/04/1995, ed altro, Rv. 202002; Sez. 2, n. 28865 del
14/06/2013, Rv.256657).
La funzione di legittimità, dunque, è limitata alla verifica della adeguatezza
del ragionamento e della valutazione adottata nel provvedimento sottoposto al suo
esame, che deve manifestare con chiarezza ed esaustività quale argomentazione
critica lo abbia sorretto nel pervenire alla ricostruzione dei fatti, tenendo conto di
tutti gli elementi, sia contro che a favore del soggetto sottoposto al suo esame
(Sez.6, n 40609 del 01/10/2008, Rv.241214; Sez.6, n. 18190 del 04/04/2012,
Rv.253006; Sez.6,n. 27928 del 14/06/2013, Rv.256262).
Alla luce di tali principi, quindi, va valutato il secondo motivo di ricorso
proposto.
2.2. Il Tribunale ha illustrato, adeguatamente e con argomentazioni logiche,
le ragioni giustificative della valutazione effettuata circa l'identificazione
dell'imputato nelle conversazioni oggetto di intercettazione, muovendo dalla
combinazione di una serie di dati univocamente ritenuti indicativi in tal senso
dei dispositivi associati al nickname e al (riconducibilità al
nickname attraverso certosini ed univoci riscontri tra contenuti delle
conversazioni; localizzazione fisica dell'imputato e localizzazione di precisione degli
spostamenti effettuati dai predetti dispositivi; cartellino fotosegnaletico di
; temporaneo uso anche del dispositivo collegato al nickname
al fine di rendere più difficoltosa la tracciabilità e riconducibilità delle
conversazioni).
Tale identificazione, integra una questione di fatto, rimessa all'apprezzamento
del giudice di merito e, come tale, estranea al sindacato proprio del giudizio di
legittimità se - come nella fattispecie è accaduto - la valutazione risulta
logicamente condotta in rapporto alle massime di esperienza ivi utilizzate (ex
multis, v. Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, dep. 20/11/2013, Rv. 258164; Sez.
6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724).
L'ordinanza impugnata, poi, dopo aver operato una ricostruzione fattuale e
individuato il ruolo del ricorrente nella vicenda, esprime una valutazione di
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correttezza dell'ordinanza genetica, che richiama integralmente, esplicitando, con
motivazione scevra da illogicità manifeste, le ragioni per le quali, alla luce del
contenuto delle conversazioni telematiche intercettate, si debba ritenere provato,
seppure in termini di elevata probabilità, il concorso del ricorrente nei due episodi
di narcoimportazione dal Sudamerica (capo 11 e capo 12), avendo egli operato
quale referente dei committenti e mediatore, interloquendo ed interfacciandosi con
:II fine di assicurare i preparativi per il recupero e trasporto della
sostanza stupefacente.
Va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questo Supremo
Collegio, ai fini della configurazione del concorso di persone nel reato, il contributo
concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi
come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un
contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione,
sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà.
Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti
in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla
commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o
l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della
sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della
produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche
le condotte degli altri concorrenti (Sez.6,n.36818 del 22/05/2012,Rv.253347;
Sez.4,n.4383 del 10/12/2013,dep. 30/01/2014,Rv.258185; Sez.4, n.24895 del
22/05/2007,Rv.236853; Sez.1, n.5631 del 17/01/2008Rv.238648).
Correttamente il Collegio cautelare ha, pertanto, ritenuto che l'avere il
assicurato, sia nella fase di ideazione che di esecuzione dei
reati programmati, un ruolo cd di collegamento tra sodali, quale soggetto che,
rispondendo alle direttive del vertice del sodalizio investigato, assicurava le
comunicazioni tra i compartecipi (in particolare, mettendo in contatto
con ai fini del programmato recupero e trasporto dello
stupefacente) la sua condotta si sia tradotta in un cosciente contributo di
rafforzamento e agevolazione all'importazione della sostanza stupefacente,
affinchè ciò potesse avvenire in sicurezza, il che - in ossequio ai principi generali
in tema di concorso di persone del reato - sostanzia la partecipazione del ricorrente
al delitto.
Adeguata e corretta e la motivazione offerta dal Tribunale in ordine alle ragioni
giustificatrici per le quali si debba ritenere provato, seppure in termini di elevata
probabilità, il concorso del ricorrente nel delitto di cui al capo 16) dell'imputazione
cautelare.
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Il Tribunale ha valutato analiticamente il contenuto delle conversazioni
intercorse in chat, evidenziando come avesse messo a
disposizione la sua persona al fine di favorire la latitanza di
inserendosi personalmente nella fitta di rete di soggetti deputati a curare gli
interessi pratici del ricercato e ad eludere i controlli delle Forze dell'ordine
scongiurandone la cattura, adoperandosi, in particolare, per assicurare
sposta menti sicuri al latitante ed incontri con terzi soggetti e prestandosi a
veicolare informazioni di evidente interesse per il latitante.
Correttamente il Collegio cautelare ha, quindi, ritenuto che la condotta del
si sia tradotta in un cosciente contributo di rafforzamento e agevolazione
alla commissione del reato contestato al capo 16 dell'imputazione cautelare il che
- in ossequio ai principi generali in tema di concorso di persone del reato -
sostanzia, in termini di gravità indiziaria, la partecipazione del ricorrente al delitto.
Non è da revocare in dubbio che la condotta accertata si è concretizzata,
infatti, in un'attività volontaria, specificamente diretta a eludere l'ordine di
esecuzione per la carcerazione a carico di j ; condotta che - come
richiesto dalla fattispecie e precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez.6,n
33424_del 22/05/2009, Rv. 244762; Sez. 6, 15 gennaio 2003 n. 9936) -deve
tradursi in un aiuto idoneo a conseguire l'effetto di sottrarre taluno all'esecuzione
della pena.
Il Tribunale del riesame ha, poi, esplicitato le ragioni per le quali si debba
ritenere provato, in termini di elevata probabilità, anche il concorso nel reato
associativo contestato (capo 1 dell'imputazione cautelare).
II Tribunale ha individuato e valutato criticamente il contenuto delle numerose
conversazioni telefoniche intercettate, osservando come l'attività posta in essere
dal operare in sinergia con gli altri coindagati, rispettando le gerarchie
del sodalizio, fungendo da tramite per il passaggio di informazioni e comunicazioni
tra sodali ed utilizzando il linguaggio criptico dell'associazione, apparisse
sintomatica della stabile appartenenza al consorzio criminale e della sua affidabilità
e piena disponibilità per la cura degli interessi dell'associazione criminale.
Tratta si di motivazione logica ed adeguata ed in linea con i principi di diritto
affermati da questa Suprema Corte.
Va, infatti, ricordato che questa Suprema Corte ha da tempo rilevato che in
tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, la
prova del vincolo permanente, nascente dall'accordo associativo, può essere data
anche per mezzo dell'accertamento di facta conc/udentia, quali i contatti continui
tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi
logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le
forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra
9
•
gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro
specifiche modalità esecutive (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10781 del 13/12/2000,
dep. 16/03/2001, Rv. 218731).
E si è pure precisato che, ai fini della configurabilità dell'associazione
finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto
espresso fra gli associati, ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle
modalità esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori,
dalla ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di un
comune obiettivo e dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non
particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del
vincolo criminale (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 40505 del 17/06/2009, dep.
19/10/2009, Rv. 245282).
Va, infine, rimarcato che alcuna contestazione specifica è stata effettuata dal
ricorrente in ordine alla sussistenza delle aggravanti dell'ingente quantità e della
transnazionalità, i cui presupposti di applicabilità sono stati esplicitati dal Tribunale
con argomentazioni adeguate e logiche e, come tali, non censurabili in questa sede
di legittimità.
4. Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e, in base al disposto dell'art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al Direttore dell'Istituto Penitenziario competente a norma dell'art. 94 comma 1
ter disp. atto cod. proc. peno
Così deciso il 8/3/2016
II Consigliere estensore
at~~tdl~asi