15
S. TOMMASO D'AQUINO VOLUME 1 Libro Primo e Secondo EDIZIONI STUDIO DOMENICANO

S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

  • Upload
    others

  • View
    20

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

S. TOMMASO D'AQUINO

• •

VOLUME 1

Libro Primo e Secondo

EDIZIONI STUDIO DOMENICANO

Page 2: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

La traduzione in italiano di questa edizione della Somma contro i Gentili è quella eseguita per le Edizioni UTET (Torino 1975). Qui il curatore P. Tito Sante Centi o.p. la ripropone, rivista e corretta, per concessione dell'Editore originario.

TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

© 2000 - PDUL Edizioni Studio Domenicano Via dell'Osservanza 72-40136 Bologna- ITALIA

Tel. 051/582034- Fax. 051/331583 E-mail: [email protected] - Sito internet: www.esd-domenicani.it

Finito di stampare nel mese di dicembre 2000 presso le Grafiche Dehoniane - Bologna

5

INTRODUZIONE

«Raramente una dottrina fu maggiormente impegnata nel contesto storico».! Così il P. D. M. Chenu si esprimeva verso la prima metà del secolo XX, raccoglien­do i vari indizi che gli studiosi ritenevano accertati sulle circostanze che avevano condizionato S. Tommaso nello scrivere la Somma contro i Gentili. Dieci anni più tardi, dopo uno studio accurato dei documenti, così ribatteva vivacemente il P. René A. Gauthier (1913-1999): «La conclusione che i fatti c'impongono è dia­metralmente opposta: raramente un'opera fu meno impegnata nel contesto storico della Somma contro i Gentili, raramente un'opera è sfuggita più completamente alla storia per situarsi deliberatamente sul piano dell'intemporale».z

Tesi così contrastanti possono a prima vista sconcertare, ma chi si è familiariz­zato col testo dell'opera troverà facilmente del tutto marginali queste discussioni, perché l'importanza dei problemi affrontati e risolti da S. Tommaso è tale da non temere la diversa valutazione delle contingenze storiche in cui fu compilato il suo scritto. Comunque anche la storia di un testo così famoso può avere la sua impor­tanza per la sua esatta interpretazione; e più ancora essa sollecita l'interesse di que­gli studiosi, che vogliono vedere ad ogni costo sviluppi e ripensamenti nel pensiero tomistico.

Ma per avere di primo acchito la percezione di quanto nei secoli successivi il mondo dei dotti ha stimato e studiato la Somma contro i Gentili, basterà esaminare l'opera monumentale di Dom Pietro Mare, che in 683 pagine fittissime ha raccolto tutto quello che in proposito può interessare lo studioso contemporaneo.3 È un vero peccato che lo studioso benedettino, e il suo collaboratore P. Ceslao Pera, o. p., non avessero un senso critico paragonabile alla loro personale pazienza di ricercatori; cosicché le loro conclusioni sono state respinte in blocco, a dispetto dell'erudizione di cui sono conedate. È deprecabile inoltre che, specialmente in Italia, altri studiosi non abbiano avvertito subito i limiti di questa opera di erudizione, mettendo in disparte un lavoro analogo, anche se meno colossale, qual era quello del P. Gauthier, che meritava invece il massimo rispetto.4

l) M. D. CHENU, Introduction à l'étude de S. Thomas d'Aquin, Montréal-Paris 1950, pp. 248; tr. it. di Poggi e Tarchi, L. E. F., Firenze 1953, pp. 250. 2) R. A. GAUTHIER, Contra Gentiles, I, lntroduction historique, in «S. Thomas d' Aquin», Besançon 1961, p. 221. 3) Cf. DoM P. MARC, S. Tlwmas Aquinatis Liber de Veritate Catholicae Fidei Contra errores infideliwn, qui dicitur Summa Contra Gentiles, vol. l, Introductio, Marietti, Torino 1967. 4) Cf. R. A. GAUTHIER, op.cit., pp. 7-129.

PasqualePorro1Air
Linea poligonale
PasqualePorro1Air
Linea poligonale
PasqualePorro1Air
Linea
Page 3: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

Summa

contra Gentiles

LIBER PRIMUS

La Somma

contro i Gentili

LIBRO PRIMO

Page 4: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

66

CAPITULUM]

QUOD SIT OFFICIUM SAPIENTIS

« Veritatem meditabitur guttur meum, et la bi a me a detestabuntur impium» (Prov. 8, 7)

Multitudinis usus, quem in rebus nominandis sequendum Philosophus censet (Top. 2, c. l, n. 5), communiter obtinuit ut sapientes dicantur qui res directe ordi­nant et eas bene gubernant. Unde inter alia quae homines de sapiente concipiunt, a Philosopho ponitur quod «sapientis est ordinare» (Metaph., l, c. 2, n. 3). Omnium autem ordinatorum ad finem, gubernationis et ordinis regulam ex fine sumi necesse est: tunc enim unaquaeque res optime disponitur cum ad suum finem convenienter ordinatur; finis enim est bonum uniuscuiusque. Unde vide­mus in artibus unam alterius esse gubernativam et quasi principem, ad quam pertinet eius finis: sicut medicinalis ars pigmentariae principatur et eam ordi­nat, propter hoc quod sanitas, circa quam medicinalis versatw; finis est omnium pigmentorum, quae arte pigmentaria conficiuntw: Et simile apparet in arte gubernatoria respectu navifactivae; et in militari respectu equestris et omnis bellici apparatus. Quae quidem artes aliis principantes architectonicae nomi­nantU1; quasi principales artes: unde et earum artifices, qui architectores vocan­tur; nomen sibi vindicant sapientum. Quia vero praedicti artifices, singularium quarundam re rum fin es pertractantes, ad finem universalem omnium non pertin­gunt, dicuntur quidem sapientes huius vel illius rei, secundum quem modum dicitur I Cor: 3, IO, «Uf sapiens architectus,fundamentumposui»; nomen autem simpliciter sapientis illi soli reservatur cuius consideratio circa finem universi versatw; qui item est universitatis principium; unde secundum Philosophum, sapientis est «causas altissimas» considerare (Metaph., l, c. l, n. 12; c. 2, n. 7).

Finis autem ultimus uniuscuiusque rei est qui intenditur a primo auctore vel motore ipsius. Primus autem auctor et motor universi est intellectus, ut infra ostendetur (c. 44; lib. 2, c. 24). Oportet igitur ultimum finem universi esse bonum intellectus. Hoc autem est veritas. Oportet igitur veritatem esse ultimum finem totius universi; et circa eius considerationem principaliter sapientiam insistere. Et ideo ad veritatis manifestationem divina sapientia carne induta se venisse in mundum testatur, dicens, (Ioan. 18, 37): «Ego in hoc natus sum, et ad hoc veni in mundum, ut testimonium perhibeam veritati».

Sed et primam philosophiam Philosophus determinat esse scientiam verita­tis; non cuiuslibet, sed eius veritatis quae est origo omnis veritatis, scilicet quae pertinet ad primum principium essendi omnibus; unde et sua veritas est omnis veritatis principium; sic enim est dispositio rerum in veritate sicut in esse (Metaph., l, c. l, nn. 4, 5).

67

CAPITOLO l

QUALE SIA IL.COMPITO DEL SAPIENTE

«La mia bocca proclamerà la verità, e le mie labbra detesteranno l'empio» (Pr. 8, 7)'

L'uso comune, che a detta del Filosofo dobbiamo seguire nel denominare le cose, ha stabilito che siano chiamati sapienti coloro che ordinano rettamente le cose, e che le sanno ben governare. Ecco perché tra le prerogative che si attribuiscono al sapien­te il Filosofo afferma, che «è proprio del sapiente ordinare». Ma la regola o nonna di quanto è ordinato a un fine deve desumersi dal fine stesso: poiché ogni cosa è dispo­sta nel migliore dei modi quando è ben ordinata al proprio fine, essendo il fine il bene di ogni cosa. Notiamo infatti che tra i mestieri l'uno è guida e direttivo dell'al­tro, quando ne costituisce il fine: la medicina, p. es., dirige e guida l'arte del farmaci­sta, per il fatto che la guarigione, che è oggetto della medicina, è il fine di tutti i medicinali confezionati dali' arte farmaceutica. Lo stesso si riscontra nei rapporti tra l'arte nautica rispetto alla cantieristica navale; o tra l'arte militare e il maneggio di cavalli e di ogni altro apparato bellico. Ebbene, queste atti, o mestieri, che presiedo­no sulle altre sono denominate architettoniche, ossia arti principali: e i loro capima­stri, talora denominati architetti, rivendicano il nome di sapienti, o periti. Siccome però questi artigiani, occupandosi dei fini di cose particolari, non raggiungono il fine universale di tutte le cose, sono denominati sapienti in questa o in quell'altra materia, secondo l'espressione paolina: «Come sapiente architetto ho posto il fondamento». Ma il nome di sapiente in senso assoluto va riservato a colui che rivolge la sua consi­derazione al fine dell'universo, che poi è anche il principio di tutte le cose. Cosicché il Filosofo scrive, che è proprio del sapiente considerare «le cause supreme».

Ora fine ultimo di ogni cosa è quello perseguito dal primo autore e motore di essa. Ma il primo autore e motore dell'universo è un'intelligenza, come dimostrere­mo in seguito. Quindi l'ultimo fine dell'universo è necessariamente un bene di ordine intellettuale, ossia è la verità. Perciò è necessario che la verità sia l'ultimo fine di tutto l'universo; e che la sapienza abbia come scopo principale la considera­zione di essa. Ecco perché la Sapienza divina incru·nata attesta di essere venuta nel mondo per manifestare la verità: «Per questo io sono nato, e per questo sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla verità».

Anche il Filosofo del resto conclude che la Filosofia è «la conoscenza della verità»; non di una verità qualsiasi, ma di quella che è origine di ogni verità, ossia quella che riguarda il primo principio dell'essere per tutte le cose; cosicché la sua verità è il princi­pio di ogni verità, poiché le cose stanno alla verità esattamente come stanno all'essere.

1) In m9lte delle sue opere, specialmente in quelle esegetiche e in quelle dell'epoca giovanile,

S. Tommaso segue l'uso comune degli espositori del suo tempo, predicatori compresi, di aprire il discorso mediante la «proposizione». Ognuno dei quattro libri della Somma contro i Gentili è cosi preceduto da una sentenza desunta dalla Sacra Scrittura. Questo metodo non si riscontra invece nella Somma Teologica e neppure nel Compendium Theologiae. La frase iniziale della Somma contro i Gentili è stata riportata anche dai pittori del secolo XIV nel celebrare la gloria del suo autore ormai canonizzato.

Page 5: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

68 Liber Primus - Capitulum 2

Eiusdem autem est unum contrariorum prosequi et aliud refutare sicut medi­cina, quae sanitatem operatw; aegritudinem excludit. Unde sicut sapientis est veritatem praecipue de primo principio meditari et aliis disserere, ita eius est falsitatem contrariam impugnare.

Convenienter ergo ex ore sapientiae duplex sapientis officium in verbis pro­positis demonstratur: scilicet veritatem divinam, quae antonomasice est veritas, meditatam eloqui, quod tangit eu m dicit, « Veritatem meditabitur guttur meum»; et errorem contra veritatem impugnare, quod tangit cum dicit, «et labia mea detestabuntur impium», per quod falsitas contra divinam veritatem designatw; quae religioni contraria est, quae etiam «pietas» nominatw; unde et falsitas contraria ei «impietatis» sibi nomen assumit.

CAPITULUM 2

QUAE SIT IN HOC OPERE AUCTORIS INTENTIO

Inter omnia vero hominum studia sapientiae studium est pe1jectius, subli­mius, utilius et iucundius. Pe1jectius quidem, quia inquantum homo sapientiae studium dat, intantum verae beatitudinis iam aliquam partem habet unde sapiens dicit, «Beatus vir qui in sapientia morabitur» (Eccli. /4, 22). Sublimius autem est quia per ipsum homo praecipue ad divinam similitudinem accedit, quae «omnia in sapientia» fecit (Ps. /03, 24): unde, quia similitudo causa est dilectionis, sapientiae studium praecipue Dea per amicitiam coniungit; propter quod Sap. 7, 4 dicitur quod sapientia «infinitus thesaurus est hominibus, qua qui usi sunt, facti sunt participes amicitiae Dei». Utilius autem est quia per ipsam sapientiam ad immortalitatis regnum pervenitur: «concupiscentia enim sapientiae deducet ad regnum pe!petuum» (Sap. 6, 21). Iucundius autem est quia «non habet amaritudinem conversatio illius nec taedium convictus illius, sed laetitiam et gaudium» (Sap. 8, 16).

Assumpta igitur ex divina pietate fiducia sapientis officium prosequendi, quamvis proprias vires excedat, propositum nostrae intentionis est veritatem quam fides catholica profitetw; pro nostro modulo manifestare, errores elimi­nando contrarios: ut enim verbis Hilarii utm; «ego hoc ve! praecipuum vitae meae officiwn debere me Dea conscius sum, ut eum omnis sermo meus et sen­sus loquatur» (De Trin., l, c. 37).

Contra singulorum autem errores difficile est procedere, propter duo. Primo, quia non ita sunt nobis nota singulorum errantium dieta sacrilega ut ex

Libro Primo - Capitolo 2 69

È compito però dell'identica realtà perseguire una data cosa e respingere il suo contrario: la medicina, p. es., mentre dona la guarigione esclude il suo contrario. Perciò come è compito precipuo del sapiente meditare ed esporre agli altri la verità circa la causa prima, così è suo compito impugnare la falsità contraria.

È giusto quindi che per bocca della Sapienza vengano indicati i due compiti del sapiente nelle parole che abbiamo premesso: proclamare, cioè, la verità divina meditata, che è la verità per antonomasia, con l'espressione: «La mia bocca procla­merà la verità»; e impugnare l'errore contrario alla verità, con l'espressione: «e le mie labbra detesteranno l'empio», la quale sta a indicare la falsità contraria alla verità divina, che è contraria appunto alla religione, denominata anche pietà, cosic­ché la falsità opposta assume il nome di empietà.

CAPITOLO 2

L'INTENZIONE DELL'AUTORE NELLA COMPILAZIONE DELL'OPERA

Tra tutti i compiti cui si applicano gli uomini lo studio della sapienza la vince in perfezione, sublimità, utilità e godimento. - In perfezione, perché nella misura in cui l'uomo si applica alla sapienza, partecipa in qualche maniera alla vera beatitu­dine; di qui le parole del Savio: «Beato l'uomo che si applica alla sapienza». - In sublimità, perché tale studio specialmente avvicina l'uomo alla somiglianza di Dio, il quale «ha fatto con sapienza tutte le cose»; ed essendo la somiglianza causa della benevolenza, lo studio della sapienza è il mezzo principale che unisce a Dio con l'amicizia. Di qui l'affermazione della Scrittura, che la sapienza «è per gli uomini un tesoro inesauribile, cosicché quanti vi attingono sono partecipi dell'amicizia di Dio». - In utilità, perché mediante la sapienza si giunge al regno dell'immortalità: «poiché il desiderio della saggezza condurrà al regno imperituro». -In godimento, finalmente, perché «la familiarità con la sapienza non ha amarezze, né dà fastidio la sua convivenza, ma letizia e gioia».

Prendendo perciò fiducia dalla bontà divina, nell'affrontare il compito del sapiente, pur trattandosi di un'impresa superiore alle nostre forze, ci proponiamo di esporre, secondo le nostre capacità, la verità professata dalla fede cattolica, respin­gendo gli errori contrari; poiché, ripetendo le parole di S. Ilario,2 «io penso che il compito principale della mia vita sia quello di esprimere Dio in ogni parola e in ogni mio sentimento».

È però difficile confutare tutti e singoli gli errori, per due motivi. Primo, perché non abbiamo tale conoscenza delle asserzioni sacrileghe dei singoli oppositori, da

2) S. Ilario di Poitier (315-376 c.) è celebre per la lotta sostenuta contro l'eresia diArio, che gli meritò l'esilio da parte dell'imperatore Costante. Il De Trinita te che qui è citato costituisce la sua opera più importante, che gli meritò il titolo di Dottore della Chiesa.

Page 6: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

70 Liber Primus - Capitulum 3

his quae dicunt possimus rationes assumere ad eorum errores destruendos. Hoc enim modo usi sunt antiqui doctores in destructionem errorum gentilìum quorum positiones scire poterant quia et ipsi genti/es fuerant, vel saltem inter genti/es conversati et in eorum doctrinis eruditi. Secundo, quia quidam eorum, ut Mahumetistae et pagani, non conveniunt nobiscum in auctoritate alicuius Scripturae, per quam possint convinci, sicut contra Iudaeos disputare possu­mus per Vetus Testamentum, contra haereticos per Novum. Hi vero neutrum recipiunt. Unde necesse est ad naturalem rationem recurrere, cui omnes assen­tire coguntur. Quae tamen in rebus divinis deficiens est.

Simul autem veritatem aliquam investigantes ostendemus qui errores per eam excludantur: et quomodo demonstrativa veritas, fidei christianae religionis concordet.

CAP!TULUM 3

QUIS MODUS SIT POSSIBILIS DIVINAE VERITATIS MANIFESTANDAE

(S. Th., II-II, q. l, a. 5)

Quia vero non omnis veritatis manifestandae modus est idem; «disciplinati autem hominis est tantum de unoquoque fidem capere tentare, quantum natura rei permittit», ut a Philosopho, «optime dictum» Boetius introduci t ( Ethic., l, c. 2; cf De Trin., c. 2), necesse est prius ostendere quis modus sit possibilis ad veritatem propositam manifestandam.

Est autem in his quae de Deo confitemur duplex veritatis modus. Quaedam namque vera sunt de Deo quae omnem facultatem humanae rationis excedunt, ut Deum esse trinum et unum. Quaedam vero sunt ad quae etiam ratio naturalis pertingere potest, sicut est Deum esse, Deum esse unum, et alia huiusmodi; quae etiam philosophi demonstrative de Deo probaverunt, ducti naturalis lumi­ne rationis.

Quod autem sint aliqua intelligibilìum divinorum quae humanae rationis penitus excedant ingenium, evidentissime apparet. Cum enim principium totius scientiae quam de aliqua re ratio percipit, sit intellectus substantiae ipsius, eo quod, secundum doctrinam Philosophi demonstrationis principium est quod quid est; oportet quod secundum modum quo substantia rei intelligitw; sit modus eorum quae de re illa cognoscuntw: Unde si intellectus humanus, ali­cuius rei substantiam comprehendit, puta lapidis vel trianguli, nullum intelligi­bilìum illius reifacultatem humanae rationis excedet.

Libro Primo - Capitolo 3 71

poter desumere validi argomenti dalle ragioni da essi addotte per distruggere i loro errori partendo da esse. Così infatti fecero gli antichi dottori nel distruggere gli errori dei gentili, avendo avuto la possibilità di conoscere le loro posizioni, essendo stati gentili loro stessi, o per lo meno avendo vissuto con essi ed essendo stati istruiti nelle loro dottrine. - Secondo, perché alcuni di essi, quali i Maomettani e i pagani, non accettano come noi l'autorità della Scrittura, mediante la quale è possi­bile invece disputare con gli Ebrei, ricorrendo all'Antico Testamento, oppure con gli eretici ricorrendo al Nuovo Testamento. Quelli invece non accettano né l'uno né l'altro. Perciò è necessario d correre alla ragione naturale, cui tutti sono costretti a piegarsi. Questa però nelle cose di Dio non è sufficiente.

Nell'investigare quindi cette vedtà mostreremo quali errori esse escludano, e in che modo la verità raggiunta con la dimostrazione concordi con la fede della religione cdstiana.

CAPITOLO 3

MODI POSSIBILI PER MANIFESTARE LA VERITÀ DIVINA

Ma poiché non è identico il modo di manifestare ogni tipo di verità, perché secon­do l'ottima osservazione di Aristotele rifedta da Boezio, «è proprio dell'uomo saggio contentarsi in ciascuna cosa di capire quanto la natura di essa comporta», prima di tutto è necessario vedere quale sia il modo possibile di manifestare la verità proposta.3

Ora, tra le cose che affermiamo di Dio ci sono due tipi di verità. Ce ne sono alcune che superano ogni capacità della ragione umana: come, p. es., l'unità e tri­nità di Dio. Altre invece possono essere raggiunte dalla ragione naturale: che Dio esiste, p. es., che è uno, ed altre cose consimili. E queste furono dimostrate anche dai filosofi, guidati dalla luce della ragione naturale.

Che tra le nozioni riguardanti Dio ce ne siano di quelle le quali superano del tutto l'ingegno dell'uomo è evidentissimo. Principio infatti di qualsiasi conoscenza di ordine razionale è l'intellezione della natura di una cosa; poiché, come Aristotele spiega, principio della dimostrazione è la quiddità. Cosicché le proprietà che noi conosciamo di una cosa dipendono dal modo di comprenderne la natura. Se quindi l'intelletto umano comprende la natura di determinate cose, p. es., della pietra o del triangolo, nessuna nozione relativa ad esse supera la capacità della ragione umana.

3) Il principio metodologico qui invocato, con riferimento ad Aristotele e a Boezio, merita di essere sottolineato come criterio fondamentale di ogni ricerca, sia in campo filosofico e culturale, sia in campo religioso. Senza tenerlo abitualmente d'occhio, c'è il pericolo di cadere in gravi equivoci.

Page 7: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

72 Liber Primus - Capitulum 3

Quod quidem nobis circa Deum non accidit. Nam ad substantiam ipsius capiendam intellectus humanus naturali virtute pertingere non potest: cum intellectus nostri, secundum modum praesentis vitae, cognitio a sensu incipiat; et ideo ea quae in sensu non cadunt, non possunt humano intellectu capi, nisi quatenus ex sensibilibus earum cognitio colligitur. Sensibilia autem ad hoc ducere intellectum nostrum non possunt ut in eis divina substantia videatur quid sit: cum sint effectus causae virtutem non aequantes. Ducitur tamen ex sensibilibus intellectus noster in divinam cognitionem ut cognoscat de Deo quia est, et alia huiusmodi quae oportet attribui primo principio. Sunt igitur quae­dam intelligibilium divinorum quae humanae rationi sunt pervia; quaedam vero quae onmino vim humanae rationis excedunt.

Adhuc ex intellectuum gradibus idem facile est videre. Duorum enim quo­rum unus alia rem aliquam intellectu subtilius intuetw; ille cuius intellectus est elevatim; multa intelligit quae alius omnino capo·e non potest: sicut patet in rustico, qui nullo modo philosophiae subtiles considerationes capere potest. Intellectus autem angeli plus excedit intellectum humanum quam intellectus optimi philosophi intellectum rudissimi idiotae: quia haec distantia inter spe­ciei humanae limites continetw; quos angelicus intellectus excedit. Cognoscit quidem angelus Deum ex nobiliari effectu quam homo: quanto ipsa substantia angeli, per quam in Dei cognitionem ducitur naturali cognitione, est dignior rebus sensibilibus et etiam ipsa anima, per quam intellectus humanus in Dei cognitionem ascendit. Multoque amplius intellectus divinus excedit angelicum quam angelicus humanum. Ipse enim intellectus divinus sua capacitate sub­stantiam suam adaequat, et ideo pe1jecte de se intelligit quid est, et omnia cognoscit quae de ipso intelligibilia sunt: non autem naturali cognitione ange­lus de Deo cognoscit quid est, quia et ipsa substantia angeli, per quam in Dei cognitionem ducitw; est effectus causae virtutem non adaequans. Unde non omnia quae in seipso Deus intelligit, angelus naturali cognitione capere potest: nec ad omnia quae angelus sua naturali virtute intelligit, 11Umana ratio sufficit capienda. Sicut igitur maximae amentiae esset idiota qui ea quae a philosopho proponuntur falsa esse assereret propter hoc quod ea capere non potest, ifa, et multo amplius, nimiae stultitiae est homo si ea quae divinitus angelorum ministerio revelantur falsa esse suspicatur ex hoc quod ratione investigari non possunt.

Adi1Uc idem manifeste apparet ex defectu quem in rebus cognoscendis quoti­die experimur. Rerum enim sensibilium plurimas proprietates ignoramus, earumque proprietatum quas sensu apprehendimus rationes pe1jecte in p/uri­bus invenire non possumus. Multo igitur amplius illius excellentissimae sub­stantiae omnia intelligibilia lzumana ratio investigare non sufficit.

Huic etiam consonat dictum Philosophi, qui in 2 Metaphys. (c. l, n. 2) asse­rit quod «intellectus noster se habet ad prima entium, quae sunt manifestissima in natura, sicut oculus vespertilionis ad solem».

Libro Primo - Capitolo 3 73

Ma questo non avviene nella nostra conoscenza di Dio. Poiché l'intelletto umano non può arrivare a conoscerne l'essenza mediante le sue capacità naturali, essendo costretto nella vita presente a iniziare la conoscenza dai sensi; e quindi le cose che non cadono sotto il dominio dei sensi non possono essere capite dall'intel­letto umano, se non in quanto la loro conoscenza deriva dalle cose sensibili. Ora, le cose sensibili non possono condurre il nostro intelletto a scorgere in esse la quiddità della natura divina: poiché si tratta di effetti che non adeguano la virtù della causa. Tuttavia dalle cose sensibili il nostro intelletto viene condotto a conoscere di Dio che esiste, ed altre perfezioni che si devono attribuire al primo principio. Ci sono quindi delle cose divine che la ragione umana può raggiungere, e altre che ne tra­scendono del tutto la capacità.

La stessa conclusione si può facilmente dedurre, considerando i vari gradi del­l'intelligenza. Confrontando infatti due individui, uno dei quali percepisce intellet­tualmente una cosa con più acutezza dell'altro, vediamo che colui il quale possiede l'intelletto più elevato conosce molte cose che l'altro è affatto incapace di capire. Ciò è evidente nel caso dell'uomo dei campi del tutto impreparato alle sottili consi­derazioni della filosofia. Ora, l'intelletto di un angelo supera l'intelletto umano più di quanto l'intelletto del migliore filosofo non superi l'intelletto del più rozzo igno­rante: poiché quest'ultima distanza rientra nei limiti della specie umana, mentre que­sti sono trascesi dall'intelletto angelico. Un angelo infatti conosce Dio da effetti tanto più nobili quanto la natura angelica, che serve all'angelo per conoscere Dio, è superiore alle cose sensibili e all'anima stessa, con la quale l'intelletto umano sale alla conoscenza di Dio. L'intelletto divino poi supera quello angelico più di quanto quello angelico non superi l'intelletto umano. Infatti l'intelletto divino adegua con sua capacità la propria sostanza, e quindi ne conosce perfettamente l'essenza e quan­to c'è in lui d'intelligibile: invece l'angelo con propria conoscenza naturale non può conoscere l'essenza di Dio perché la sostanza stessa dell'angelo, di cui questi si serve per anivare a conoscere Dio, è un effetto che non adegua la virtù della causa. Perciò l'angelo con la sua conoscenza naturale non può comprendere tutto ciò che Dio conosce in se stesso: né, d'altra parte, la ragione naturale è sufficiente per capire tutto ciò che l'angelo conosce con la sua capacità naturale. Perciò come sarebbe sommamente pazzo l'ignorante il quale affermasse che sono false le asserzioni dei filosofi, perché egli non è in grado di capirle, così e più ancora sarebbe sommamente stolto l'uomo, se ritenesse false le rivelazioni delle cose divine trasmesse per il mini­stero degli angeli, per il fatto che non è possibile investigarle con la ragione.

La cosa appare anche più evidente dalle deficienze che riscontriamo ogni giorno nella nostra conoscenza. Ignoriamo infatti molte proprietà delle cose sensibili, e anche in quelle apprese dai sensi non siamo in grado di scoprire perfettamente il perché di molteplici aspetti. Perciò la ragione umana a molto maggior ragione deve ritenersi incapace con i propri concetti d'investigare quanto riguarda l'essere più sublime.

Si accorda con questo l'asserzione di Aristotele, il quale dice nel secondo libro della Metafisica, che «il nostro intelletto rispetto ai primi enti, i quali in natura sono evidentissimi, si comporta come l'occhio del pipistrello rispetto al sole».

Page 8: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

74 Liber Primus - Capitulum 4

Huic etiam veritati Sacra Scriptura testimonium perhibet. Dicitur enim Iob. 11, 7: <iforsitan vestigia Dei comprehendes, et Onmipotentem usque ad per­fectum reperies?». Et (ibid., 36, 26): «Ecce, Deus magnus, vincens scientiam no­stram». Et l Cor. 13, 9: «Ex parte cognoscimus».

Non igitur omne quod de Dea dicitw; quamvis ratione investigari non pos­sit, stati m quasi falsum abiiciendum est, ut Manichaei et plw·es infidelium puta­verunt.

CAPITULUM4

QUOD VERITAS DIVINORUM AD QUAM NATURALIS RATIO PERTINGIT

CONVENIENTER HOMINIBUS CREDENDA PROPONITUR

(S. Th., I, q. l, a. l; II-Il, q. 2, a. 4)

Duplici igitur veritate divinorum intelligibilium existente, una ad quam rationis inquisitio pertingere potest, altera quae omne ingenium humanae rationis excedit, utraque convenienter divinitus Jwmini credenda proponitur. Hoc autem de illa primo ostendendum est quae inquisitioni rationis pervia esse potest: ne forte alicui videatw; ex qua ratione haberi potest, frustra id superna­turali inspiratione credendum traditum esse.

Sequerentur autem tria inconvenientia si huiusmodi veritas solummodo rationi inquirenda relinqueretur. Unum est quod paucis hominibus Dei cognitio inesset. Afructu enim studiosae inquisitionis, qui est inventio veritatis, plurimi impediuntur tribus de causis. Quidam siquidem propter complexionis indisposi­tionem, ex qua multi natura/iter sunt indispositi ad sciendum: unde nullo studio ad hoc pertingere possent ut summum gradum humanae cognitionis attingerent, qui in cognoscendo Deum consistit. Quidam vero impediuntur necessitate rei familiaris. Oportet enim esse inter homines aliquos qui temporalibus adminis­trandis insistant, qui tantum tempus in otio contemplativae inquisitionis non possent expendere ut ad summum fastigium humanae inquisitionis pertingerent, scilicet Dei cognitionem. Quidam autem impediuntur pigritia. Ad cognitionem enim eorum quae de Dea ratio investigare potest, multa praecognoscere opor­tet: cum fere totius philosophiae consideratio ad Dei cognitionem ordinetur; propter quod metaphysica, qua e circa divina versatw; inter philosophiae partes ultima remanet addiscenda. Sic ergo non nisi cum magno labore studii ad prae­dictae veritatis inquisitionem perveniri potest. Quem quidem laborem pauci subire volunt pro amore scientiae, cuius tamen mentibus hominum naturalem Deus inseruit appetitum.

Libro Primo - Capitolo 4 75

Anche la Scrittura rende testimonianza a questa verità; poiché in Giobbe si legge: «Puoi tu scrutare le vestigia di Dio, e giungere alla perfezione dell'Onnipo­tente?». E ancora: «Ecco, Dio è così grande da vincere la nostra scienza». E S. Pao­lo afferma: «Parziale è la nostra conoscenza».

Perciò quanto si dice di Dio, anche se non è possibile investigarlo con la ragione, non si deve subito respingere come falso, alla maniera dei Manichei,4 e di molti altri increduli.

CAPITOLO 4

È CONVENIENTE CHE ALL'UOMO VENGANO PROPOSTE DA CREDERE

LE VERITÀ DIVINE CHE POSSONO ESSERE INVESTIGATE DALLA RAGIONE NATURALE

Essendoci dunque due serie di verità riguardo alle cose di Dio, la prima rag­giungibile dalla ragione, mentre la seconda trascende qualsiasi capacità dell'inge­gno umano, è conveniente che entrambe vengano proposte all'uomo da Dio come materia di fede. In proposito bisogna prima di tutto notare in che condizioni si tro­vino quelle verità che sono raggiungibili dall'indagine razionale, perché a nessuno sembri inutile la loro presentazione come oggetto di fede dall'ispirazione sopranna­turale, dal momento che sono raggiungi bili dalla ragione.

Seguirebbero infatti tre inconvenienti, se queste verità fossero lasciate alla sola indagine razionale. Primo inconveniente: pochi uomini avrebbero la conoscenza di Dio. Poiché i più si troverebbero impediti dal raggiungere i risultati di una ricerca scientifica, sarebbero cioè negati alla scoperta della verità, per tre motivi. Alcuni lo sarebbero per la loro complessione, che rende moltissimi inadatti allo studio. Co­sicché costoro con tutto il loro impegno non sarebbero capaci di raggiungere il grado supremo della conoscenza umana, che consiste nella cognizione di Dio. Altri sarebbero impediti dai bisogni familiari. Tra gli uomini infatti molti sono costretti a curare gli interessi temporali, così da non poter impiegare tanto tempo nella ricerca e nella contemplazione, per poter giungere al culmine dell'indagine umana, cioè alla conoscenza di Dio. Infine altri sono impediti dalla pigrizia; poiché per cono­scere quanto la ragione può sapere di Dio, è necessaria la previa conoscenza di molte cose, dal momento che quasi tutta la filosofia è ordinata alla conoscenza di Dio. Infatti la metafisica, che ha per oggetto le cose divine, viene insegnata per ulti­ma tra le discipline filosofiche. Perciò non si può arrivare all'indagine delle suddet­te verità, se non con grande fatica di studio; fatica che pochi si rassegnano ad affrontare per amore del sapere, pur avendone Dio posto in tutte le anime il deside­rio naturale.

4) Vedi S. AGOSTINO, Retractationes, l, c. 14.

Page 9: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

76 Liber Primus - Capitulunz 5

Secundunz inconveniens est quod illi qui ad praedictae veritatis inventionenz pervenirent, vix post longum tempus pertingerent. Tum propter huius veritatis profunditatem, ad quam capiendam per viam rationis non nisi post longum exercitium intellectus humanus idoneus invenitw: Tum etiam propter multa quae praeexiguntw; ut dictum est. Tum etiam propter hoc quod tempore iuven­tutis, dum diversis moti bus passionum anima fluctuat, non est apta ad tam altae veritatis cognitionem, sed «in quiescendo fit prudens et sciens», ut dicitur in 7 Physic. (c. 3, n. 7). Remaneret igitur humanum genus, si sola rationis via ad Deum cognoscendum pateret, in maximis ignorantiae tenebris: cum Dei cogni­tio, quae homines maxime perfectos et bonos facit, non nisi quibusdam paucis, et his etiam post temporis longitudinem proveniret.

Tertium inconveniens est quod investigationi rationis humanae plerumque falsitas admiscetw; propter debilitatem intellectus nostri in iudicando, et phan­tasmatum permixtionem. Et ideo apud multos in dubitatione remanerent ea quae sunt etiam verissime demonstrata, dum vim demonstrationis ignorant; et praecipue cum videant a diversis qui sapientes dicuntw; diversa doceri. Inter multa etiam vera quae demonstrantw; immiscetur aliqua11do aliquid falsum, quod 11011 demonstratw; sed aliqua probabili vel sophistica ratione asseritw; quae interdum demonstratio reputatur.

Et ideo oportuit per viam fidei jixam certitudinem et puram veritatem de rebus divinis hominibus exhiberi. Salubriter ergo divina providit clementia ut ea etiam quae ratio investigare potest, fide tenenda praeciperet: ut sic omnes de facili possent divinae cognitionis participes esse et absque dubitatione et errore.

Hinc est quod Ephes. (4, 17- 18) dicitur: «Iam non ambuletis sicut et gentes ambulant in vanitate sensus sui, tenebris obscuratum habentes intellectum». Et Isaiae (54, 13): «Ponam universosfilios tuos doctos a Domino».

CAPITULUM 5

QUOD EA QUAE RATIONE INVESTIGAR/ NON POSSUNT CONVENIENTER FIDE

TENENDA HOMINIBUS PROPONUNTUR

( Injra, l. III, cc. 118, 152; In 3 Sent., d. 24, a. 3, sol. l; De Verit., q. 14, a. lO; S. Th., II-Il, q. 2, a. 3; Comp. Theol., cc. l, 2)

Videtur aut e m quibusdam fortasse non de bere homini ad credendum proponi illa quae ratio investigare non sufficit cum divina sapientia unicuique secun­dum modum suae naturae provideat. Et ideo demonstrandum est quod necessa­rium si t homini divinitus credenda proponi etiam illa quae rationem excedu11t.

Libro Primo - Capitolo 5 77

Secondo inconveniente: quegli stessi che raggiungessero la conoscenza o la sc,r­petta di queste verità, ci arriverebbero difficilmente e dopo lungo tempo: sia per la profondità di esse, che richiede da parte della ragione umana un lungo esercizio, sia per le molte conoscenze prerequisite di cui abbiamo parlato, sia perché in gioventù l'anima, agitata tra i moti contrastanti delle passioni, non è adatta all'esercizio di una conoscenza così alta, ma «diviene prudente e savia nell'acquietarsi», come si esprime ~istotele nel se~~imo libro della Fisica. Perciò. il genere umano resterebbe nelle più fitte tenebre dell tgnoranza, se per conoscere Dw non avesse altra via che la ragione; qualora la conoscenza di Dio, che è il massimo coefficiente della perfezione e della bontà, fosse riservata a pochi, che poi non ci arriverebbero se non dopo lungo tempo.

Il terzo inconveniente sta nel fatto che nelle investigazioni della ragione umana il più delle volte si mescola il falso, a causa della debolezza nostra nel giudicare sotto le impressioni della fantasia.s Perciò presso molti resterebbero dubbie anche le cose Ii­gorosamente dimostrate, non afferrando essi il valore delle dimostrazioni; e soprattut­to vedendo i pareri contrastanti di coloro che sono considerati sapienti. E anche nelle verità dimostrate talora si mescola qualche falsità, che non deriva dalla dimostrazione, bensì da ragioni probabili o sofistiche, considerate come vere dimostrazioni.

Ecco perché era necessario che le verità divine fossero presentate agli umnini con certezza assoluta come materia di fede. Perciò la divina bontà provvide salutarmente a comandarci di tenere per fede anche le verità conoscibili con la ragione: affinché tutti possano con facilità essere pmtecipi della conoscenza di Dio, senza dubbi e senza errori.

Di qui le parole della Scrittura: «Non camminate più, come camminano i genti­li, nella vanità dei loro pensieri, con l'intelligenza ottenebrata». E ancora: «Tutti i tuoi figli saranno istruiti dal Signore».

CAPITOLO 5

È OPPORTUNO CHE ALL'UOMO VENGANO PROPOSTE COME MATERIA DI FEDE COSE CHE NON POSSONO ESSERE INVESTIGATE

DALLA RAGIONE

A qualcuno forse potrà sembrare che all'uomo non si debbano proporre a crede­re cose che la ragione non è in grado di investigare; poiché la sapienza divina prov­vede a ciascun essere secondo la sua natura. Perciò bisogna qui dimostrare che era necessario venissero proposte ali 'uomo come materia di fede anche cose che sor­passano la ragione.

5) Nel suo commento alla Metafisica di Aristotele S. Tommaso spiega in che modo non il senso ma la fantasia, sia causa di errore (cf. In 4 Metaph., lect. 14, n. 692). ' '

Page 10: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

78 Liber Primus - Capitulwn 5

Nullus enim desiderio et studio in aliq111'd t d't · · · · · Q . . · en 1. ms1 slt e1 praecogmtum . . uw ergo .ad altzus ~o~um quam experiri in praesenti vita possit humanafra i-

llfas: hom!nes per dzvmam providentiam ordinantw; ut in sequentibus inve!ti­gabrtur. (bb. III, c: 142), oportuit mentem evocari in aliquid altius quam ratio nos;a 1~ pra~se~ttl possit pertingere, ut sic disceret aliquid desiderare et studio t~n·. e~e m allqu.1~ qu~d totum statum praesentis vitae excedit. Et hoc ~raecipue c uzs~z~n~e ;hgl~lll comp~tit, quae singulariter bona spiritualia et aeterna proml!tlf. un e et m ea plunma humanum sensum excedentia proponuntur. Lex aute~t ~etu~, ~uae. t~~zporalia promissa habebat, pauca proposuit quae h~ma­naeh~atzoms r~quzsltzonem exc_ederent. Secundum etiam hunc modum philo­so~d zs cura fiut, ad hoc ut homl.nes a sensibilium delectationibus ad honestatem pn uceren:, ost~ndere esse alza bona his sensibilibus potiora, quorum ustu multo su~vrus quz vac~nt act~vis ve! contemplativis virtutibus delectantw: g

Est.etwm .n.ecessanum huzusmodi veritatem ad credendum hominibus ro ani ad Dez cogmtzonem veriorem habendam Tunc enl'm solztnl D p 'P · d · · eum vere cognos-cznn~s quan .o.zpsum esse credimus supra omne id quod de Dea co itari ab hom~.e possrbzle est: eo quod naturalem hominis cognitionem divina s~bstantia exce lt, ut supra ostensum est. Per hoc ergo quod homini de Dea al' . mt t . . · · · zqua pmpo-

n Ul quae latzonem excedunt ji'rmatur in holnl· . . d D . . · l · ' · ne opmzo qua eus szt alz-quzc. supra rd quod cogitare potest.

Alia etia~ utilitas inde provenit, scilicet praesumptionis repressio quae est mater errons. Sunt enim quidam tantum de suo ingenl'o . ' . . . . p1 aesumentes ut totam ; el um natura m se reputent suo intellectu posse me tiri, aestimantes scilicet otum .esse ver~m quod eis videtur et jalsum quod eis non videtur. Ut er o ab

ha c P' aesumptzone humanus animus liberatus ad modes'am t' • 't. g ·. t t' · . ,, nqu1s1 zonem ven-a l~ pelll'Vemat, ~ecessanum fui t homini proponi quaedam divinitus quae amni-

no znte ectum ezus excederent. Appare t etiam alia utilitas ex dictis Philosophi in 10 Eth. . ( 7 8 C ' S' 'd . · lCOl. C. . n. )

u~z e;mz lmom es .quldam homini praetermittendam divinam cognitionem. ~~~sua ere~ et ~umams rebus .ingenium applicandum, oportere inquiens huma­

h saper; b onunem ~t mortalz~ mortalem; contra eum Philosophus dicit quod « amo e. et ~e ad. znunortalza et divina trahere quantum potest». Unde in 11 De Ammahbus (z. e. De Partibus Animalium l c 5) i' 't d .. · · d d .. ' ' · c. l Cl , qua , quamv1s pm um ~l t qua e substantus superioribus percipimus, t amen illud modicum ~~~ ma;l~ amatum. e~ de~idn:atum amni cognitione quam de substantiis injerio-' l us a emus. Dlclt etwm m 2 De Caelo et Mundo (c 12 l) d d cor ·'b z 'b . · ' n. qua cum e . P_Oll ul~ c~e estl us quaestzones possint salvi parva et topica solutione con-

tmglt auc. lfon ut vehemens sit gaudium eius. '

Libro Primo - Capitolo 5 79

Ebbene, nessuno tende con desiderio e con impegno verso cose che non conosce. Ora, avendo la divina provvidenza, come vedremo in seguito, preordinato l'uomo a un bene più alto di quello sperimentabile nella vita presente, era necessario che la mente umana venisse iniziata a cose più alte di quelle raggiungibili al presente dal­la nostra ragione; imparando così a desiderare e a perseguire beni che trascendono la nostra condizione attuale. E questo compete soprattutto alla religione cristiana, che promette in modo singolare beni spirituali ed eterni. Ecco perché in essa si riscontrano molti insegnamenti che superano le capacità umane. Invece l'antica legge, in cui c'erano promesse di beni temporali, aveva proposto poche cose supe­riori all'indagine della ragione umana. -Del resto anche i filosofi hanno seguito lo stesso criterio nel distaccare gli uomini dai piaceri sensibili, per condurli all'onestà: mostrarono cioè che esistono beni superiori a quelli sensibili, capa~ di offrire godi­menti superiori a coloro che attendono alle virtù attive e a quelle contemplative.

Anzi è necessario che agli uomini vengano proposte come cose di fede verità di que­sto genere, per avere di Dio una conoscenza più vera. Allora soltanto infatti noi cono­sciamo Dio veramente, quando lo crediamo superiore a quanto l'uomo è capace di pen­sarne: poiché la realtà divina trascende la conoscenza naturale dell'uomo, come sopra abbiamo notato, perciò dall'esser proposte all'uomo verità divine superiori alla ragione, si conferma nell'uomo l'opinione che Dio è qualcosa di superiore a quanto è possibile pensare.6

C'è poi in questo un altro vantaggio, cioè il freno della presunzione che è madre dell'enore. Ci sono invero alcuni così presuntuosi del proprio ingegno, che imma­ginano di poter misurare con la propria intelligenza l'universo intero, ritenendo per vero quello che loro sembra tale, e falso quello che non li persuade. Affinché, dun­que, l'animo umano liberato da siffatta presunzione potesse giungere a ricercare con modestia la verità, era necessario che Dio proponesse all'uomo delle nozioni che superano del tutto l'intelligenza umana.

Un altro vantaggio poi è quello cui accenna Aristotele. Volendo infatti un certo Simonide convincere un uomo a disinteressarsi delle cose di Dio, per applicare il proprio ingegno alle cose umane, col pretesto che «L'uomo deve intendersi delle cose umane e il mortale di quelle mortali», il Filosofo replica dicendo che «l'uomo deve innalzarsi per quanto è possibile alle cose immortali e divine». Ed ecco perché nell'undicesimo libro De Animalibus7 afferma, che per quanto sia poca la nostra conoscenza delle nature superiori, tuttavia questo poco è più amato e desiderato di tutta la conoscenza che abbiamo delle nature inferiori. E insegna che, sebbene i problemi relativi ai corpi celesti non possano avere che una soluzione modesta e solo probabile, tuttavia producono in chi l'ascolta un grande godimento.

6) È facile concludere da questo ragionamento che l'assoluta impenetrabilità dei misteri, caratteri­stica nella dottrina cristiana, può essere portata come riprova indiretta dell'autenticità della rive­lazione soprannaturale, su cui essa si fonda. 7) Ovvero De Partibus Animalium, l, c. 5. Nel Primo Libro S. Tommaso ha conservato il titolo unico che l'antica versione latina dava ai vari opuscoli aristotelici relativi «agli animali». Nei libri seguenti egli li distinguerà secondo la nuova versione, pubblicata in quegli stessi anni in cui egli attendeva alla composizione della Somma contro i Gentili.

---.

Page 11: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

80 Liber Primus - Capitulum 6

Ex quibus omnibus apparet qt d l . b . . . . impe1jecta cognitio maximam per;:cti;:e;,~ :;~,~~:1;~~fo~·~s i:'~;;~mcumqu.e ea quae supra rationem sunt ratio humana lene c . . . , quamvls tumEsi~di pe!f~c!ionis acquiritur si saltem ea~ualite~~=~~q:~~:::::fit, .~:men mul-

t l eo d1c1tur (Eccli 3 25). P! . · · tibi». Et l Cor 2 10 .. , Q . « unma.supra sensum hominis ostensa sunt

autem revelavi~ Deus ;;,~sp:ri::,~: :::::n~el nemo novit nisi spiritus Dei,· nobis

CAP!TULUM6

QUOD ASSENTIRE HIS QUAE SUNT FIDE/ NON EST LEVITATIS QUAMVIS SUPRA RATIONEM SINT

(Injra, Iv, c. 55,· S. Th., III, q. 43, a. 4; In 3 Sent d 16 l 3. l l ., · 'q. • a. , n oan., c. 5, lect. 6,· c. 15, lect. 5)

Huiusmodi aut e m veri t ati eu. . t. h . fi'd d'' 'b . , l 'a w umana expenmentum non praebet

em a m entes non lev1ter credunt · · d ' l 16 dicit . H. . . . . , quast «m octas fabulas secuti», ut 2 Petr o' .' l ~'· . aec en.zm ~lVlnae sapientiae secreta ipsa divina sapientia qua~ e';;~;t~:a:s::~ze n.~vz~, d~gnat~ est hominibus revelare: quae sui praes~ntiam d ,;:; . dmspuatzonzs ventatem, convenientibus argumentis ostendit dum

a COl?J" man um e a quae naturale · · ' ·

~:tendi~ quae totius naturae superan~a~:r:::;~~:.e~;d:~~:~7~;n~~~~~i ~~~:::::;· ngumum, mortuorum suscitatione, caelestium cor . . . . . .

ne· et quod est · . b 'l' h porum mu ab1b unmutatw-pltces: dono Spi~:~; la~~;i ."n;a;arum mentium. ins~iratione, llf idiotae et sim-tl. con lep e l, summam saplentlam etfacundiam in instan · sequerentw: · -

Quibus inspectis, praedictae probationis efficacia non armorum . . non voluptatum promissione et quod est . b 'l' .' vzolentla,

. ' • · mlra l lSSlmum inter perse t . tyrannzdem, innumerabilis turba non solum simplicium , d . . ~u m um hominum, ad fidem christianam convolavit. in qua om~e: hsaptentlss.zmolll·um tum excedent' d' ·' · · umanum mte ec-

mundo ~unt ::nf::~/~~;;~~u:.~~~~:;s a~~~~: ~:~.~:~;:;: et o~~ia qua e i~ mum nuraculorum est, et manijest d' . . . . . . assen zre et maxl­visibilibus, sola invisibilia cupian~~ ~~mae tmsplratzon~~ opus, ut, contemptis

;;.~:v::t1/;'~::;i;;;;~~::r;,::;s;;a:~~{i0:"iE[:; h':c ~:o~ez;; ,: ;;~~;;:!, veneratione habentw; utpote nostrae fide i testimontu;::~~~~:~~;~.penes nos m

Libro Primo - Capitolo 6 81

E da tutti questi argomenti appare evidente che la conoscenza delle cose più subli­mi, per quanto imperfetta, conferisce all'anima la più grande perfezione. Perciò, seb­bene la ragione umana non possa capire pienamente ciò che la trascende, tuttavia acquista così una grande eccellenzq:, ritenendo almeno per fede queste verità.

Ecco perché si legge: «Ti sono state mostrate molte cose che sorpassano la com­prensione umana»; e S. Paolo afferma: «Nessuno conosce i segreti di Dio all'infuo­ri dello Spirito di Dio: ma Dio ce li ha rivelati mediante il suo Spirito».

CAPITOLO 6

NON È UN ATTO DI LEGGEREZZA L'ASSENSO ALLE COSE DI FEDE,

ANCHE SE ESSE SONO SUPERIORI ALLA RAGIONE

Prestando fede a queste verità, che la ragione umana non è in grado di controlla­re, non si fa un atto di leggerezza, quasi «prestando fede a dotte favole», secondo l'espressione di S. Pietro. Poiché la stessa sapienza divina, che tutto conosce in modo completo, si degnò di rivelare i suoi segreti agli uomini; mostrando il suo intervento e la verità del suo insegnamento e della sua ispirazione con argomenti adatti: confermando cioè cose che sorpassano la conoscenza naturale con opere visibili superiori alle capacità di tutta la natura. Vale a dire con la guarigione prodi­giosa di malattie, con la resurrezione dei morti, con le mutazioni miracolose dei corpi celesti, e, cosa ancora più mirabile, con l'ispirazione interiore delle menti umane, così da riempire col dono dello Spirito Santo uomini ignoranti e semplici, facendo loro conseguire all'istante somma sapienza ed eloquenza.

In considerazione di ciò, per l'efficacia delle prove suddette e non già per vio­lenza di armi, né per attrattiva di piaceri e, cosa mirabilissima, in mezzo alla tiran­nia dei persecutori, una turba innumerevole non solo di persone semplici, ma anche di uomini sapientissimi, abbracciò la fede cristiana; nella quale vengono predicate cose che trascendono qualsiasi intelletto umano, mentre insegna a tenere a freno i piaceri della carne, e a disprezzare tutte le cose del mondo. Ora, l'adesione degli animi dei mortali a queste cose è insieme il più grande dei miracoli, ed esige l'in­tervento manifesto dell'ispirazione divina, per disprezzare le cose visibili nel solo desiderio di quelle invisibili. E questo non avvenne improvvisamente o per caso, ma per disposizione divina, come è evidente dalla predizione fattane in precedenza dagli oracoli di molti profeti, i cui libri sono stati conservati religiosamente fino a noi, come testimonianza della nostra fede.

Page 12: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

82 Liber Primus - Capitulum 6

Huius quidem confirmationis modus tangitur Heb1: 2, 3 quae, scilicet huma­na salus, «cum initium accepisset enarrari per Dominum, ab eis qui audierunt in nos confirmata est, contestante Dea signis et portentis et variis Spiritus Sancti distributionibus».

Haec autem tam mirabilis mundi conversio ad fidem christianam indicium certissimum est praeteritorum signorum: ut ea ulterius iterari necesse non sit, cum in suo effectu appareant evidenter. Esset enùn omnibus signis mirabilius si ad credendum tam ardua, et ad operandum tam difficilia, et ad sperandum tam alta, mundus absque mirabilibus signis inductus juisset a simplicibus et ignobi­libus hominibus. Quamvis non cesset Deus etiam nostris temporibus, ad confir­mationem fidei, per sanctos suos miracula operari.

Hi vero qui sectas errorum introduxerunt processerunt via contraria: ut patet in Mahumeto qui carnalium voluptatum promissis, ad quorum desiderium carnalis concupiscentia instigat, populus illexit. Praecepta etiam tradidit pro­missis conformia, voluptati carnali habenas relaxans, in quibus in promptu est a carnalibus hominibus obediri. Documenta etiam veritatis non attulit nisi quae de facili a quolibet mediocriter sapiente naturali ingenio cognosci possint: quin potius vera quae docuit multis fabulis et falsissimis doctrinis immiscuit. Signa etiam non adhibuit supernaturaliterjacta, quibus solis divinae inspirationi con­veniens testimonium adhibetw; dum operatio visibilis quae non potest esse nisi divina, ostendit doctorem veritatis invisibiliter inspiratum: sed dixit se in armo­rum potentia missum, quae signa etiam latronibus et tyrannis non desunt. Ei etiam non aliqui sapientes, in rebus divinis et humanis exercitati, a principio crediderunt: sed homines bestia/es in desertis morantes, omnis doctrinae divi­nae prorsus ignari, per quorum multitudinem alias armorum violentia in suam legem coegit. Nulla etiam divina m·acula praecedentiunz prophetarum ei testi­monium perhibent: quin potius quasi omnia Veteris et Novi Testamenti docu­menta fabulosa narra tione depravat, ut patet eius legem inspicienti. Unde astu­to consilio libros Veteris et Novi Testamenti suis sequacibus non reliquit legen­dos, ne per eos falsitatis argueretw: Et sic patet quod eius dictis fidem adhiben­tes leviter credunt.

8) La storia delle migini rimane per l'apologetica cristiana l'argomento più forte, proprio perché

le cause puramente naturali non paiono sufficienti, da sole, a spiegare il sorgere e il diffondersi

Libro Primo - Capitolo 6 83

Di tale conferma si ha un accenno in quelle parole della Scrittura, in cui si dice che la salvezza umana «fu annunziata prima dal signore, poi ci è stata confermata da quelli che l'avevano udito, mentre Dio aggiungeva la sua testimonianza con segni e prodigi e coi doni dello Spirito Santo».

Questa mirabile conversione del mondo alla fede cristiana è segno certissimo degli antichi miracoli, così da non esser necessaria la loro ripetizione, apparendo essi evidenti nei loro effetti. Sarebbe infatti il più strepitoso dei miracoli, se il mondo fosse stato indotto a credere cose tanto ardue, a compiere azioni tanto diffi­cili e a sperare cose tanto alte da uomini semplici e poveri, senza prodigi mirabili. 8

Sebbene Dio non cessi, anche ai nostri giorni, per confermare la fede, di compiere miracoli per mezzo dei suoi santi.

Coloro invece che introdussero sette erronee procedettero per vie del tutto contra­rie, come è evidente nel caso di Maometto, il quale allettò i popoli con la promessa di piaceri carnali, ai quali essi sono già propensi per la concupiscenza della carne. Inoltre diede precetti conformi a queste promesse, sciogliendo le briglie alle passioni del piacere, in cui è facile farsi ubbidire dagli uomini carnali. In più egli non diede altri insegnamenti all'infuori di quelli che qualsiasi persona mediocremente istruita può dare facilmente e comprendere col suo ingegno naturale; anzi, le verità stesse che egli insegnò sono mescolate a favole e a dottrine falsissime. E neppure si servì di miracoli soprannaturali, che costituiscono la sola testimonianza adeguata della rivela­zione divina, in quanto un fatto visibile, il quale non può attribuirsi che a Dio, mostra essere ispirato da Dio colui che insegna questa data verità. Ma disse di essere stato inviato con la potenza delle armi: e questo contrassegno non manca neppure ai bri­ganti e ai tiranni. Inoltre a lui inizialmente non credettero uomini pratici delle cose divine e umane, ma uomini bestiali abitanti nel dese1to, del tutto ignari delle cose di Dio; e servendosi poi del loro numero, egli costrinse gli altri ad accettare la sua legge con la forza delle armi. E neppure ebbe anteriormente la testimonianza dei profeti precedenti; anzi, egli guasta tutti gli insegnamenti del Vecchio e del Nuovo Testamen­to con racconti favolosi, come risulta dalla lettura della sua legge.9 Ecco perché con astuzia egli proibisce ai suoi seguaci di leggere i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, per non essere tacciato di falsità. Perciò è evidente che coloro che credo­no in lui compiono (oggettivamente) un atto di leggerezza.

della religione di Cristo. - Dante Alighieri, di fronte a S. Pietro, ha così tradotto in versi il pensie­ro qui esposto da S. Tommaso: «Se 'l mondo si rivolse al cristianesimo diss'io, sanza miracoli, quest'uno è tal, che l'altri non sono il centesmo; ché tu intrasti povero e digiuno in campo, a seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pmno» (Paradiso, 24, 106-111). . . 9) Da questi accenni generici non si può affermare con certezza che S. Tommaso abbia letto Il Corano. Comunque in questo egli mostra una conoscenza sostanzialmente adeguata.

Page 13: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

84 Liber Primus - Capitulum 7

CAPITULUM 7

QUOD VERITATI FIDE/ CHRISTIANAE NON CONTRARIATUR VERITAS RATIONIS

Quamvis autem praedicta veritas fidei christianae hwnanae rationis capaci­tatem excedat, haec tamen quae ratio naturaliter indita habet, huic veritati con­traria esse non possunt.

l. Ea enim quae naturaliter rationi sunt insita, verissima esse constat: in tan­tum ut nec esse falsa sit possibile cogitare. Nec id quod fide tenetw; cum tam evidenter divinitus confirmatum sit, fas est credere esse jalsum. Quia igitur so­lum jalsum vero contrarium est, ut ex eorum definitionibus inspectis manifeste apparet, impossibile est illis principiis quae ratio naturaliter cognoscit, praedic­tam veritatemfidei contrariam esse.

2. Item. Illud idem quod inducitur in animam discipuli a docente, doctoris scientia continet: nisi doceat ficte, quod de Dea nefas est dicere. Principiorum autem naturaliter notorum cognitio nobis divinitus est indita: cum ipse Deus sit nostrae auctor naturae. Haec ergo principia etiam divina sapientia continet. Quicquid igitur principiis huiusmodi contrarium est, divinae sapientiae contra­riatur. Non igitur a Dea esse potest. Ea igitur quae ex revelatione divina per fidem tenentw; non possunt naturali cognitioni esse contraria.

3. Adhuc. Contrariis rationibus intellectus noster ligatw; ut ad veri cogni­tionem procedere nequeat. Si igitur contrariae cognitiones nobis a Deo immit­terent~a; ex hoc a veritatis cognitione noster intellectus impediretw: Quod a Deo esse non potest.

4. Amplius. Ea quae sunt naturalia mutari non possunt, natura manente. Contrariae autem opiniones simul eidem inesse non possunt. Non igitur contra cognitionem naturalem aliqua opinio ve l fides homini a Dea immittitw: Et ideo Apostolus dicit, Rom. 10, 8: «Prope est verbum in corde tuo et in ore tuo: hoc est verbum fidei, quod praedicamus». Sed quia superat rationem, a nonnullis reputatur quasi contrarium. Quod esse non potest. Huic etiam auctoritas Augustini concordat, qui in 2 Super Gen. ad litt. (c. 18) dicit sic: «Illud quod veritas patejaciet, libris sanctis sive Testamenti Veteris sive Novi nullo modo potest esse adversum».

Ex qua evidenter colligitw; quaecumque argumenta contra fide i documenta ponantur, haec ex principiis primis naturae inditis per se notis non recte proce­dere. Unde nec demonstrationis vim habent, sed vel sunt rationes probabiles vel sophisticae. Et sic ad ea solvenda locus relinquitw:

Libro Primo - Capitolo 7

CAPITOLO 7 (

LE VERITÀ DI FEDE NON SONO INCOMPATIBILI CON LA RAGIONE

85

Sebbene la verità della fede cristiana superi la capacità della ragione, tuttavia i princìpi naturali della ragione non possono essere in contrasto con questa verità. Infatti:

l. I princìpi così innati nella ragione si dimostrano verissimi: al punto che è impossibile pensare che siano falsi. E neppure è lecito ritenere che possa esser falso quanto si ritiene per fede, essendo confermato da Dio in maniera così evidente. Perciò essendo contrario al vero solo il falso, come è evidente dalle loro rispettive definizioni, è impossibile che una verità di fede possa essere contraria a quei princì­pi che la ragione conosce per natura.

2. Inoltre, le idee che l'insegnante suscita nell'anima del discepolo contengono la dottrina del maestro, se costui non ricorre alla finzione; il che sarebbe delittuoso attribuire a Dio. Ora, la conoscenza dei princìpi a noi noti per natura ci è stata infu­sa da Dio, essendo egli l'autore della nostra natura. Quindi anche la sapienza divina possiede questi princìpi. Perciò quanto è contrario a tali princìpi è contrario alla sa­pienza divina; e quindi non può derivare da Dio. Le cose dunque che si tengono per fede, derivando dalla rivelazione divina, non possono mai essere in contraddizione con le nozioni avute dalla conoscenza naturale.

3. In più, ragioni contrarie legano l'intelletto nostro al punto da non poter procede­re alla conoscenza della verità. Perciò se Dio ci infondesse conoscenze contrastanti, impedirebbe al nostro intelletto di conoscere la verità. Il che non si può pensare di Dio.

4. Inoltre, ciò che è naturale non può essere mutato finché permane la natura. Ora, opinioni contrastanti non sono compatibili nel medesimo soggetto. Dunque non è possibile che Dio infonda nell'uomo un'opinione, o una fede, incompatibile con la sua conoscenza naturale. Di qui le parole dell'Apostolo: «<l messaggio è vicino a te, nella tua bocca e nel tuo cuore, cioè il messaggio della fede che vi pre­dichiamo». Ma poiché le verità di fede superano la ragione, alcuni sono portati a considerarle come contrarie ad essa; e questo è impossibile. Ciò è confermato da quelle parole di S. Agostino: «Quanto viene manifestato dalla verità in nessun modo può essere in contrasto sia col Vecchio, che col Nuovo Testamento».

Da ciò si ricava con chiarezza che tutti gli argomenti addotti contro gli insegna­menti della fede non derivano logicamente dai princìpi primi naturali noti per se stessi. E quindi essi non hanno valore di dimostrazioni; ma, o sono ragioni solo dia­lettiche, o addirittura sofistiche, e quindi si possono sempre risolvere.

Page 14: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

86 Liber Primus - Capitulum 9

CAPJTULUM8

QUALITER SE HABEAT HUMANA RATIO AD VERITATEM FIDE!

(S. Th., l, q. l, a. 8; II-II, q. l, a. 5, ad 2; q. 2, a. 10; III, q. 55, a. 5)

~onsid~1:an~um ~ti~m. videtur quod res quidem sensibiles, ex quibus Immana ratw cogmtwms pnnczpzum sumit, aliquale vestigium in se divinae imitationis retin~nt, .ita ta~:n imJ?elfe~tum quod ad declarandam ipsius Dei substantiam ommno msu.ffzczens mvemtw: Habent enim e.ffectus suarum causarum suo modo simi.litu.di~~m, ~um agens agat sibi simile: non tamen e.ffectus ad pe~fec­tam a~en:zs sz~mlztudmem semper pertingit. Humana igitur ratio ad cognoscen­du~ Ji.dez ~entatem, quae solum videntibus divinam substantiam potest esse notzssuna, zta se habet. quod ad eam potest aliquas verisimilitudines colligere, quae fame~ non su.fficumt ad hoc quod praedicta veritas quasi demonstrative vel per se mtellecta comprehendatw: Utile tamen est ut in huiusmodi rationi­bus, quantumcumque debilibus, se mens humana exerceat, dummodo desit com­prehendendi ve! demonstrandi praesumptio: quia de rebus altissimis etiam parva et debiti consideratione aliquid posse inspicere iucundissimum est ut ex dictis apparet (c. 5). '

Cuf quidem sententiae auctoritas Hilarii concordat, qui sic dicit in libro De Tnn. (2, cc: 10, 11~, loquens de huiusmodi veritate: «Haec credendo incipe, pro~un:e, p~rs~st:: .etsz non perventurum sciam, gratulabor tamen profecturum. Quz .e~zm pie mfimta prosequitw; etsi non contingat aliquando, semper tamen projicret prodeundo. Sed ne te injeras in illud secretum et arcano interminabi­lis nativita:is n~n t~ immergas, summam intelligentiae 'comprehendere praesu­mens: sed mtellrge mcomprehensibilia esse».

CAPITULUM9

DE ORDINE ET MODO PROCEDENDIIN HOC OPERE

"f!x praen:i.ssis igitur evidenter apparet sapientis intentionem circa duplicem ventatem dzvmorum debere versari, et circa errores contrarios destruendos: ad quarum unam investigatio rationis pertingere potest, alia vero omnem rationis ~xc.edit i~dust:iam. Dico autem duplicem veritatem divinorum, non ex parte rpsru.s ?er, qUI est una et .simplex veritas; sed ex parte cognitionis nostrae, quae ad dzvma cognoscenda dzversimode se habet.

Ad primae. igitur v~rit~tis manifestationem per rationes demonstrativas, qui­bus adversanus convmcz possit, procedendum est. Sed quia tales rationes ad secundam veritatem haberi non possunt, non debet esse ad hoc intentio ut

Libro Primo - Capitolo 9

CAPITOLO 8

RAPPORTO TRA LA RAGIONE UMANA E LE VERITÀ DI FEDE

87

Si deve notare che le cose sensibili, dalle quali la ragione umana desume la conoscenza, conservano in sé un certo vestigio della causalità divina, però così imperfetto da essere del tutto insufficiente a manifestare la natura stessa di Dio. Poiché gli effetti conservano in una certa misura la somiglianza con la loro causa, perché ogni agente produce una cosa a sé somigliante; ma l'effetto non sempre rag­giunge una perfetta somiglianza. Perciò la ragione umana nel conoscere le verità di fede, che possono essere evidenti solo a coloro che contemplano l'essenza di Dio, è in grado di raccoglierne certe analogie, che però non sono sufficienti a dimostrare queste verità o a comprenderle per intuizione intellettiva. Tuttavia è proficuo per la mente umana esercitarsi in tali ragionamenti per quanto inadeguati, purché non si abbia la presunzione di comprendere o di dimostrare: poiché poter intendere anche poco e debolmente le cose e le realtà più sublimi procura la più grande gioia, come abbiamo già notato sopra.

Tale considerazione è confermata dall'autorità di S. Ilario, il quale afferma, a proposito delle verità di fede: «Nella tua fede inizia, progredisci, insisti: sebbene io sappia che non aniverai alla fine, mi rallegrerò del tuo progresso. Chi infatti si muove con fervore verso l'infinito, anche se non arriva mai, tuttavia va sempre avanti. Però non presumere di penetrare il mistero, e non ti immergere nell'arcano di una natura infinita, immaginando di comprendere il tutto dell'intelligibile: ma cerca di capire che si tratta di realtà incomprensibili».

CAPITOLO 9

PIANO E METODO ESPOSITIVO DELL'OPERA

Da quanto abbiamo detto risulta evidente che il sapiente deve mirare alle due serie delle verità divine, e alla confutazione degli enori contrari: circa la prima serie l'investigazione razionale è sufficiente; la seconda invece supera ogni risorsa della ragione. Ho parlato di due serie di verità divine non in riferimento a Dio, che è la verità unica e semplice, ma in riferimento alla nostra conoscenza, che nel cono­scere le cose di Dio ha varie maniere.

Perciò nell'esporre le verità della prima serie bisogna procedere con ragioni dimostrative, capaci di confutare gli avversari. Ma poiché tali ragioni non possono applicarsi alla seconda serie, non si deve mirare a confutare l'avversario col ragio­namento; bensì a risolvere gli argomenti da lui addotti contro la verità; poiché la

Page 15: S. TOMMASO D'AQUINO - uniba.it

88 Li ber Primus - Capitulum l O

adversarius rationibus convincatur: sed ut eius rationes, quas contra veritatem ha be t, solvantur; cum veritati fide i ratio naturalis contraria esse non passi t, ut ostensum est (c. 7). Singularis vero modus convincendi adversarium contra huiusmodi veritatem est ex auctoritate Scripturae divinitus confirmata miracu­lis: quae enim supra rationem humanam sunt, non credimus nisi Dea revelante. Sunt tamen ad huiusmodi veritatem manifestandam rationes aliquae verisimiles inducendae, ad fidelium quidem exercitium et solatium, non aut e m ad adversa­rios convincendos: quia ipsa rationum insufficientia eos magis in suo errore confinnaret, dum aestimarent nos propter tam debiles rationes veritati fidei consentire.

Modo ergo proposito procedere intendentes, primum nitemur ad manifesta­tionem illius veritatis quam fides profitetur et ratio investigat, inducentes ratio­nes demonstrativas et probabiles, quarum quasdam ex libris philosophorum et sanctorum collegimus per quas veritas confirmetur et adversarius convincatur (lib. I-III). Deinde, ut a manifestioribus ad minus manifesta fiat processus, ad illius veritatis manifestationem procedemus quae rationem excedit (lib. IV), sol­ventes rationes adversariorum et rationibus probabilibus et auctoritatibus, quantum Deus dederit, veritatemfidei declarantes.

Intendentibus igitur nobis per viam rationis prosequi ea quae de Dea ratio hwnana investigare potest, primo, occurrit consideratio de his quae Dea secun­dum seipsum conveniunt (lib. !); secundo, vero, de processu creaturarum ab ipso (lib. II); tertio, autem, de ordine creaturarum in ipsum sicut infinem (lib. III).

Inter ea vero quae de Dea secundum seipsum consideranda sunt, praemit­tendum est, quasi totius operis necessarium jundamentum, consideratio qua demonstratur Deum esse. Qua non habito, omnis consideratio de rebus divinis tollitw:

CAPITULUM J 0

DE OPINIONE DICENTIUM QUOD DEUM ESSE DEMONSTRARI NON POTEST

CUM SIT PER SE NOTUM

(S. Th., l, q. 2, a. l; In l Sent., d. 3, q. l. a. 2)

Haec autem consideratio qua quis nititur ad demonstrandum Deum esse, superflua fortasse quibusdam videbitw; qui asserunt quod Deum esse per se notum est, ita quod eius contrarium cogitari non possit, et sic Deum esse demonstrari non potest. Quod quidem videtur ex his.

Libro Primo - Capitolo 10 89

ragione naturale non può essere contraria alle verità della fede, come sopra abbia­mo dimostrato. Il modo singolare di confutare l'avversario che combatte verità di questo genere consiste nell'addurre l'autorità della Scrittura confermata divinamen­te dai miracoli: poiché quanto supera la ragione umana, non lo crediamo se non per rivelazione divina. Tuttavia nell'espone tali verità è bene addurre degli argomenti probabili, perché la fede dei credenti trovi il modo di esercitarsi e di confortarsi, senza la pretesa però di confutare gli avversari: poiché la debolezza stessa di tali argomenti potrebbe confermarli maggiormente nei loro errori, pensando essi che noi accettiamo le verità di fede per degli argomenti così fragili.

Volendo perciò procedere secondo il metodo indicato, cercheremo prima di esporre quella serie di verità che è insieme professata dalla fede e investigata dalla ragione, portando argomenti, sia dimostrativi che probabili, desunti in parte dai libri dei filosofi e dei santi, capaci di confermare la verità e di confutare gli avver­sari.10 Quindi, passando dalle cose più note a quelle meno note, esporremo quella serie di verità che sorpassa la ragione, illustrando le verità di fede, per quanto Dio ce lo concederà, sciogliendo gli argomenti degli avversari, sia con ragioni probabili che con argomenti d'autorità.

Volendo perciò procedere razionalmente nell'esporre quanto la ragione umana può investigare su Dio, in primo luo!_sO si presenta lo studio di ciò che va attribuito a Dio in se stesso; secondo, la derivazione delle creature da lui; terzo, il tendere ordinato delle creature verso di lui come loro fine.

Alle cose da considerare circa Dio in se stesso, si deve premettere, come fondamen­to necessario di tutta l'opera, la dimostrazione dell'esistenza di Dio. Poiché in mancan­za di questa ogni ricerca intorno alle cose di Dio sarebbe necessariamente distrutta.

CAPITOLO 10

L'OPINIONE DI CHI AFFERMA CHE NON SI PUÒ DIMOSTRARE L'ESISTENZA DI DIO,

ESSENDO UNA VERITÀ PER SÉ NOTA

Questa indagine, con la quale alcuni cercano di dimostrare l'esistenza di Dio, può forse sembrare superflua a chi afferma essere una verità per sé nota che Dio esiste, così da non potersi pensare il contrario; e che quindi è impossibile dimostra­re l'esistenza di Dio. li Ed ecco gli argomenti che sembrano a ciò favorevoli:

10) S. Tommaso suggerisce ai suoi lettori una traccia di studio. Dei suoi argomenti si possono prima di tutto ricercare le fonti bibliografiche, cominciando da quelle citate espressamente; in secondo luogo si può esaminare il valore intrinseco della dottrina, cercando di distinguere gli argomenti apodittici da quelli soltanto probabili. 11 ) Abbiamo qui l'esposizione del celebre argomento di S. Anselmo d'Aosta (1033-1109), di cui S. Tommaso ha mostrato più volte l'intrinseca debolezza. Per un confronto diretto delle fonti, vedi Proslogium, cc. 2-5 (ML 158, 227-229).