S. Tommaso D'Aquino

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Consiglio di strategia

S.Tommaso d'Aquino

A cura di Stefano Ulliana

Panoramica

1. Vita ed opere.

2. Ragione e fede.

3. La metafisica.

4. La teoria della conoscenza.

5. Antropologia ed etica.

6. Diritto e politica.

7. Estetica.

1. Vita ed opere.

Tommaso d'Aquino (1225 1274 d.C.) viene tradizionalmente considerato l'apice speculativo dell'intera scolastica. Egli riusc a ricomporre aristotelismo e neoplatonismo, in tal modo giungendo ad una nuova sintesi filosofica, capace di offrire spazio alla comprensione razionale dei dogmi della religione cristiana. Appartenente come Alberto Magno all'ordine domenicano (1243 d.C.), diventa a Parigi suo scolaro. Lo segue nel suo trasferimento a Colonia. Di nuovo a Parigi, commenta la Bibbia e le Sentenze di Pietro Lombardo. Inizia il suo insegnamento universitario, diventando subito famoso. Supera con il favore papale il contrasto dei maestri secolari e diventa magister (1257 d.C.). Rientra in Italia (1259 d.C.) e ottiene (1265 d.C.) la direzione degli studi dell'ordine domenicano.

Comincia a comporre i suoi testi pi famosi ed importanti: la Summa contra Gentiles, un secondo Commentario alle Sentenze, le prime due parti della Summa theologica. Da Roma rientra a Parigi (1269 d.C.), dove subentra nella carica di magister theologiae. Deve subire ancora i contrasti dei professori secolari, mentre combatte una dura battaglia contro gli influssi dell'averroismo, diffusi dall'opera di Sigieri di Brabante (De unitate intellectus). Ritorna di nuovo in Italia (1272 d.C.), per insegnare all'Universit di Napoli.

Tra le 36 opere e i 25 opuscoli devono essere ricordati: De ente et essentia (1254-56 d.C.), Commentario alle Sentenze; Commentario ad Aristotele, al Liber de Causis, a Boezio; Summa contra Gentiles (1259 1264 d.C.); Secondo commentario alle Sentenze; Summa theologica; Quaestiones; De unitate intellectus; De regimine principum.

2. Ragione e fede.

La triangolazione religiosa impressa nella mente umana dalla Rivelazione e manifestazione divina - formata ed espressa dal mistero insondabile ed altissimo della Trinit (Padre, Figlio e Spirito Santo); concretizzatasi nell'Incarnazione del Verbo divino, nella sua morte e resurrezione; esplicitatasi nella fede apostolica e nella tradizione dogmatica della Chiesa pu chiedere di essere riempita ma non completata dalla razionalit umana, finita e limitata, realmente ed idealmente sproporzionata rispetto all'infinito della volont, della sapienza e dell'amore di fronte al quale essa si trova. La Rivelazione stessa diventa, quindi, la guida per l'educazione razionale dell'uomo, che non pu non essere perfezionata dalla grazia e dall'amore divini. Accolta e raccolta dentro la fede, la ragione diventa suo strumento: per dimostrare in principio i preamboli della fede (l'esistenza di Dio; la sua natura ed i suoi

attributi, cos come possono essere desunti dalle sue opere); per chiarire con similitudini razionali le verit di fede; per confutare le obiezioni alla fede.

La fede dunque comprende la ragione e non pu essere contraddetta da questa. A sua volta la ragione vive di una propria autonomia legislativa, derivata dall'opera costitutiva di Dio stesso. I principi della ragione sono infatti stati istituiti da Dio stesso, per il coerente e regolare funzionamento della medesima, senza contraddizioni interne od esterne (con le verit di fede).

La ragione trova nella logica aristotelica lo strumento della propria migliore esplicitazione. In questo modo essa non pu non accogliere a maggior ragione il contesto costituito dall'ambientazione e dalla strutturazione della metafisica aristotelica stessa.

3. La metafisica.

L'orizzonte infinito della fede, immagine dell'infinito di Dio, costituisce l'unit pi elevata della speculazione umana. Qui memoria, intelletto e volont riflettono l'Essere (Padre), il Sapere (Figlio) e il Muoversi (Spirito Santo) divino e, in quest'azione di riflessione, riempiono progressivamente lo spazio dell'argomentazione razionale, del discorso che porta determinazione. In questo modo la fede accosta la ragione, la determina nei principi e la indirizza negli scopi. Nello stesso tempo le determinazioni della ragione ed i suoi scopi dimostrativi offrono alla fede chiarezza e distinzione, per quella parte umana e limitata che possibile. La parte della filosofia umana la filosofia razionale e naturale in senso lato si regge sulla consapevolezza di quella verticalizzazione.

Tale verticalizzazione dunque prima di tutto e massimamente fede nell'essenza infinita divina, che poi ha come primo effetto la propria immagine, oggetto della teologia; ultimo ed inferiore effetto sono le cose della natura, oggetto della filosofia. In quest'ordine e per quest'ordine la conoscenza delle cose naturali, delle creature, non pu non avere un riverbero sull'immagine di Dio. Per questa ragione essa non deve, n pu, entrare in contraddizione con essa (philosophia ancilla fidei). Ecco allora comparire il principio razionale che apre, determina e finalizza ogni azione conoscitiva e pratica umana, costituendone l'orizzonte metafisico, onto-logico, conoscitivo ed etico: il principio aristotelico di non-contraddizione. attraverso tale principio evidente di per se stesso che l'identit divina pu essere affermata, nella sua natura e nei suoi effetti, e che l'errore pu essere escluso e scacciato (confutato e/o dissolto), sia sul piano teologico e simbolico, che su quello naturale.

Questa stessa verticalizzazione fonda poi la dottrina stessa dell'analogia e della partecipazione dell'essere esistente, nel momento in cui alla stabilit d'orizzonte dell'infinita potenza creatrice divina corrisponda una sua immagine adeguata ed un innumerevole e variabilissimo vestigio e riflesso naturale, una figura di unione per adesione (partecipazione) dell'essere esistente, che raccolga sia la propria finitezza, che la propria determinatezza, entrambe decise dal creatore.

Cattedrale di Chartres

La medesima verticalizzazione apre la spazio e la visione dell'ontologia tomista, organizzata attorno al perno distintivo fra essenza ed esistenza reale (influenza della metafisica avicenniana). A questa distinzione Tommaso d'Aquino aggiunge poi un ulteriore elemento, che pu essere presente a solo livello mentale e logico-linguistico: l'essere del predicato, aggiunto ad un soggetto. comunque importante sottolineare come solamente dall'Essere assolutamente determinante divino si possa aprire, prolungare e distendere quella prima distinzione, che da un lato eleva l'orizzonte dell'immagine dell'infinito, mentre dall'altro depone e riflette il riflesso e vestigio molteplice dell'essere creaturale, dell'essere realmente esistente (codificabile secondo le 10 categorie aristoteliche).

La determinazione d'essere assoluta si rifrange nella potenza dell'essenza, prima di capovolgersi nell'atto d'esistenza. In questo modo la potenza universale si fa atto individuale, secondo la direzione necessariamente imposta dall'Essere. Come si pu notare, in questo schema molta l'influenza del necessitarismo arabo, contemperata per dall'atto assolutamente libero della volont-potenza divine.

ESSERE

Essentia

Actus essendi

Potenza universale

Atto individuale

Atto universale

Come si pu notare dallo schema precedente, l'Essere-Dio raccoglie in se stesso tutta la necessit, che deve poi essere esplicata (esplicitata) nelle relazioni d'esistenza/essenza posteriori e via via, nel tempo, successivamente dispiegatesi. Egli assomma a s tutti gli attributi, in grado e qualit massima, che successivamente andranno applicati realmente, per la definizione e determinazione materiale e formale della creatura. Questo Essere-Dio quindi un essere che se sta per-s e vale come Causa Prima, dalla quale tutto dipende e discende. L'aggiunta e l'applicazione dell'esistenza all'essenza preesistente come l'idea platonica mostra l'atto di creazione da parte di questa causa prima. Risalendo dalla creatura a Dio lungo quest'ordine necessario e voluto, si ritocca l'identit originaria di quella distinzione. Per questo si dice che in Dio essenza ed esistenza coincidono, mentre nella creazione valgono come due termini contrapposti.

La rarefazione della materia, alla quale si assiste procedendo all'indietro lungo l'ordine necessario e voluto della creazione, mostra la sua scomparsa - come materia concreta ed imprimibile - nelle intelligenze pure angeliche (superiori ed estrinseche alla natura astrale e naturale), le quali valgono come seconda mediazione delle idee presenti nella mente divina. In questo caso Tommaso d'Aquino resta evidentemente platonico, mentre aristotelicamente assegna ancora a queste nature angeliche una prima forma di potenza distinta dall'atto. Solamente Dio ha l'atto inseparato ed identico alla sua potenza, come pensiero di se stesso come pensiero. In questo modo Tommaso d'Aquino accorda la visione aristotelica a quella cristiana, modificando il necessitarismo arabo (cfr. Averro) con l'applicazione del concetto di creazione volontaria da parte dell'infinita potenza/atto pensante ed amoroso divino.

Tommaso d'Aquino riesce quindi a comporre in unit l'impianto discensivo neoplatonizzante con il finalismo aristotelizzante, aggiungendo allo schema necessitarista arabo il volontarismo agostiniano, tradizionale e dottrinario. In questo modo egli risente dell'identificazione della forma con l'atto, che porta ad eternizzare l'ordine attuale del mondo, giustificandolo con la volont e potenza divina.

Tommaso fra Platone ed Aristotele, vincitore di Averro.

Pi necessitarista del volontarista ebreo Maimonide e pi volontarista del necessitarista arabo Averro, Tommaso d'Aquino sceglie una posizione di mediazione fra l'assoluta libert divina - che con la sua infinita potenza potrebbe rivoluzionare l'ordine esistente - e l'assoluta necessit dell'ordine divino, che pur essendo fondato sull'amore divino e la sua misericordia per infinita potenza potrebbe essere ben diversamente congegnato ed organizzato (per eguaglianza, anzich secondo differenti stratificazioni gerarchiche). Tommaso allora salvaguarda, da un lato l'identit del principio egemonico e fabrile (attivo), dall'altro la partecipazione secondo differenti finalit alle determinazioni stabilite provvidenzialmente. Questo contemperare l'unicit e la differenza si esprimer nella teoria dell'analogia dell' essere e della partecipazione ad esso degli enti esistenti.

La posizione di mediet tenuta da Tommaso d'Aquino contraddistinta da una doppia negazione: la negazione dell'infinito della libert e la negazione corrispettiva dell'infinito d'eguaglianza. La sua impostazione speculativa bada bene, infatti, a sostituire la loro unit dialettica con la fede in un principio identitario unico, fonte del riconoscimento della globalit delle determinazioni espresse. In questo modo l'unit dialettica e creativa dell'infinito della libert e dell'infinito dell'eguaglianza viene ridotta ed annullata da una pietra di paragone immutabile ed immodificabile, che stabilisce il grado e la misura di partecipazione degli esseri subordinati (soggetti come sudditi). Questa pietra di paragone l'immagine fittizia di un Dio creatore, di un principio egemonico e fabrile, che fa vivere l'esistenza delle creature, per renderle poi parte dei propri progetti e disegni provvidenziali.

Solo con questa relazione di dipendenza e sudditanza l'essere delle creature pu essere detto simile e diverso dall'essere di Dio (analogicit dell'essere delle creature). Unito e distinto da esso, l'essere delle creature accoglie tutte le determinazioni ulteriori nello stesso modo e nello stesso senso, quindi con significato, misura e proporzione diversa. Per loro ogni predicato predicato proporzionabile dalla perfezione divina, che raccoglie in se stessa in modo semplice ed indivisibile (fittiziamente infinito) ci che nell'espresso diviso e moltiplicato (fittiziamente finito). dunque ancora in ragione di questa relazione che Tommaso d'Aquino critica l'immediatezza di necessitazione presentata dal punto di vista formale da Amalrico di Bne e dal punto di vista materiale da David di Dinant (pantesimo).

La speculazione di Tommaso d'Aquino - grazie alla gradualit di quel proporzionamento determinativo, che si realizza a partire dalla perfezione divina - stabilisce un particolare grado di separazione primario per Dio stesso. Accentua definitivamente la sua trascendenza. La sua perfezione si stacca e si staglia nel cielo delle possibili determinazioni razionali, come l'origine delle stesse (assolutismo linguistico).

La capacit dell'infinito divino di ergersi a termine di riferimento e di valore per l'insieme delle relazioni e la somma dei valori determinati ed attribuiti agli enti esistenti o creature assume il senso ed il significato, primitivo e fondamentale, dell'architrave di un sistema economico, di un sistema nel quale i soggetti partecipanti riconoscono ed accettano pena l'esclusione e la dannazione teologica e politica - la negazione assoluta annichilazione attribuita all'esterno (allo spazio e tempo dell'unit dialettica e creativa fra infinito della libert ed infinito dell'eguaglianza).

In questo senso allora l'infinito divino assume la funzione di orizzonte l'indifferenziato della res rispetto ad una polarit che dispone al capo opposto un qualsiasi essere creato ci che comincia a differenziarsi o aliquid. All'interno di questa polarit si innalza verticalmente il primo grado dello schematismo trascendentale tomistico: ogni ente creato uno perch identico a se stesso e diverso, distinto e separato da ogni altro, e reciprocamente (unum). Poi ogni ente creato vero (verum) perch pensato dall'intelligenza e dal pensiero divino nel rapporto della creazione. Infine ogni ente creato buono (bonum) perch voluto dalla potenza e dalla volont infinite ed amorose di Dio stesso, nel principio della creazione stessa. Si pu quindi concludere che, all'interno della polarit verticale res aliquid, Tommaso innalzi la propria glorificazione positiva del creato unum, verum, bonum - e del suo rapporto con il creatore (ottimismo teologico e metafisico tomista).

Lo schematismo dei trascendentali tomisti consente gi di vedere la possibilit di un tragitto di dimostrazione a posteriori dell'esistenza di Dio, appunto attraverso i gradi razionali che paiono attraversare il progetto e la volont dell'atto di creazione divina. In pi, questo tragitto consentir a Tommaso d'Aquino di determinare la natura dell'essere divino stesso.

RES

ORIZZONTE INDIFFERENZIATO

ALIQUID

UNUM

VERUM

BONUM

PENSATO

VOLUTO

Tommaso d'Aquino ritiene che l'esistenza di Dio debba essere dimostrata, perch conoscenza non immediatamente evidente alla mente umana, la quale invece procede dai sensi. Per questa ragione la prova dell'esistenza di Dio non potr essere a priori (cfr. Anselmo d'Aosta), ma solo a posteriori. Cinque sono le modalit attraverso le quali la logica reale tomista procede all'affermazione dell'esistenza di Dio: la prima ex motu dopo aver riconosciuto la presenza di enti in movimento mossi da altro e verso altro (secondo un concetto reale di scopo attuale) ed aver percorso la catena dell'effetto del movimento da ente in ente, giunge dopo aver escluso il progresso all'infinito, che impedirebbe l'instaurarsi del movimento stesso - ad un ente primo, causa prima del movimento stesso o motore primo, appunto Dio stesso (cfr. Aristotele, Fisica e Metafisica).

La seconda via ex causa prima riconosce nell'esperienza la presenza di una serie ordinata di cause efficienti o produttive, l'una che causa dell'altra e dell'altra ancora. Anche qui senza poter retrocedere all'infinito che altrimenti la produzione non ha inizio si deve necessariamente giungere ad una causa efficiente prima, appunto Dio stesso.

La terza via ex possibili et necessario richiama la presenza prima del necessario rispetto all'essere possibile che pu non essere. Senza un necessario precedente, il possibile che pu non essere (anche totalmente) non sarebbe mai. E l'essere necessario o tale per se stesso, o in virt di altro. Ed il secondo pu essere ridotto o ricondotto al primo, che appunto Dio.

La quarta via ex gradu riconosce che in relazione agli oggetti dell'esperienza sensibile possibile applicare la distinzione razionale maggiore di minore di, con l'apparire di un grado e di un ordine orientato, che pu essere risalito sino alla propria sommit. Il termine ultimo e grado massimo della determinazione applicata coincide con la perfezione, ovvero con Dio.

La quinta via ex fine riconosce nelle creature la presenza di un fine ordinante e quindi, implicitamente, di un'intelligenza. L'intelligenza di Dio.

Dio dunque secondo le cinque vie: motore immobile primo, causa efficiente prima, ente necessario, perfezione somma, intelligenza ordinatrice. Queste determinazioni razionali definiscono sia ci che Dio nega con la sua presenza delle negazioni creaturali via remotionis sia ci che Dio stesso afferma di se stesso analogicamente via causalitatis et via eminentiae. Grazie alla prima condizione Dio viene definito come entit semplice, unica e spirituale; per effetto delle seconde, combinate insieme, Dio viene qualificato tramite le implicazioni precedentemente indicate, nel suo modo perfetto (assolutamente migliore e sommo). Resta la consapevolezza umana che l'essenza di Dio come orizzonte infinito rimane al di l della conoscibilit umana: ecco, dunque, che di Dio vi sia conoscenza, che consapevolezza del suo mistero permanente.

4. La teoria della conoscenza.

La conoscenza umana si serve della sensibilit e dell'intelletto: la prima una potenza ricettiva di tutte le forme sensibili, il secondo una potenza ricettiva di tutte le forme intellegibili. All'estremo dell'attivit conoscitiva stanno le intelligenze angeliche e la sapienza divina: mentre queste colgono la forma priva della materia, l'intelligenza umana accoglie materia e forma. La specie colta dall'intelletto infatti il corrispettivo della forma, inscindibile dalla materia nei corpi e creature sensibili. Se l'immaginazione riesce a raccogliere ed unificare le determinazioni della sensibilit, immedesimando l'oggetto al soggetto conoscente, quest'ultimo lo identifica portando l'immagine stessa ad un livello superiore di universalit. Questo procedimento e passaggio dalla determinazione individuale al concetto universale si chiama astrazione ed compiuto dall'intelletto.

L'intelletto infatti passa dalla propria condizione di potenza a quella in atto, quando viene finalizzato dall'intelletto attivo, divino. Nella propria condizione di intelletto in potenza l'intelletto umano ancora legato alla dimensione generale della materia (materia commune), mentre riuscito a svincolarsi dalla materia individuale, del corpo sensibile particolare (materia signata), che per definisce il principio di individuazione di ogni essere esistente. Ci che viene astratto dagli enti esistenti dunque in loro stessi (universale in re), prima di essere presente nell'intelletto (universale post rem). L'universale ante rem solo nella mente divina, come idea.

La sapienza divina conosce tutto simultaneamente ed attualmente; le intelligenze angeliche conoscono in immagine divina ogni ente esistente; l'intelletto umano non pu conoscere tutto attualmente, perch non un intelletto infinito, pu invece conoscere tutto discretamente e nel tempo. Per questo viene definito intelletto possibile. Esso passa all'atto in virt di ci che gi atto: l'intelletto agente divino. Passa all'atto come intelletto esistente nell'anima umana e non separato da essa (come invece pensava Averro). In questo modo ci che stato reso atto ha di fronte a s gli intesi, che corrispondono alle forme presenti negli enti esistenti. Questa corrispondenza prende il nome di adequatio mentis et rei (adeguazione, corrispondenza della mente e della cosa).

Se dunque Dio determinante nei confronti degli enti esistenti e dell'intelletto umano, questo determinato sia da Dio stesso, che dagli enti esistenti. La conoscenza data ed offerta dal fine presuppone un oggetto intellettuale l'idea divina - ed un soggetto conoscente e produttivo Dio stesso che agiscono prioritariamente come causa creativa, dell'essere e del conoscere stesso. Dio dunque tutto e simultaneamente crea ed insieme conosce: crea conoscendo e conosce creando. L'intelletto umano, invece, da esso dipendente e determinato conosce senza creare, venendo determinato ulteriormente nella successione del tempo dagli atti d'esistenza degli enti creati. Perci disponendo attorno all'essenza le propriet ed i diversi accidenti delle cose stesse, per affermazioni e negazioni organiche e coerenti (ragionamento e discorso).

5. Antropologia ed etica.

Se la natura umana un composto di forma e materia, l'anima dell'uomo ha relazione sia con la materia dei corpi sensibili, attraverso la sensibilit, sia con gli oggetti intellegibili, per il tramite dell'intelligenza. Aristotelicamente Tommaso d'Aquino definisce l'anima atto (entelechia) del corpo, causa della sua vita vegetativa, del suo movimento finale e della sua intellezione. Per una parte, quindi, quella che collegata direttamente all'azione dell'intelletto agente divino, l'anima umana (l'intelletto) ha un essere che pu stare separato (subsistens) dal resto della corporeit materiale e sensibile. Infatti l'intelletto pu, legando a s l'immaginazione e la sensibilit, conoscere ogni corpo; toccare i concetti universali; diventare autoconsapevolezza.

In questo stare separata dal corpo nella propria funzionalit operativa l'anima manifesta la propria autonomia, il proprio poter decidere per se stessa, la propria forma e sostanza pura, immortale. Sempre identica a se stessa, essa infatti non si trasforma in altro e non diviene, non si corrompe, rimanendo inscindibile e per se stessa. Lo stesso desiderio d'essere che la attraversa e l'innerva vale come dimostrazione della sua natura immodificabile, immortale. Viva nel corpo e segnata dalla sua materialit, ne esce alla morte, per ricostituirne le vestigia nel momento della resurrezione.

Se dunque il poter fare, l'operare autonomamente, segno e dimostrazione nel contempo di autonomia d'essere, quest'ultima rimane il fondamento essenziale per quello (agere sequitur esse).

Infatti la determinazione assoluta di Dio a stabilire l'essere esistente nella sua propria determinatezza: nella sua vita, nella sua esistenza (d'azione) e nella sua eventuale conoscenza. Esistenza, finalit d'azione e conoscenza sono stati, condizioni e attivit che non possono non essere compresi nella volont e nella potenza creatrice divina. Cos tutto l'uomo, nella sua anima e nel suo corpo, tende a Dio secondo lo stesso ordine stabilito da Dio. In questa cornice la predeterminazione provvidenzialistica del fine operativo viene completata dal perfezionamento della felicit e della beatitudine. La felicit poi per l'uomo la contemplazione della verit, valida di per se stessa e capace di avvicinare l'essere creaturale razionale alle sostanze separate ed a Dio stesso, alla loro stessa attivit sapienziale. Inoltre aggiunge S.Tommaso d'Aquino a questa funzione sembrano subordinate tutte le attivit umane.

Infatti alla perfezione della contemplazione si richiede il benessere del corpo, al quale sono ordinati tutti i prodotti dell'arte necessari alla vita. Si richiede inoltre la pacificazione dei turbamenti delle passioni, alla quale si giunge con le virt morali e con la prudenza; e l'esclusione di turbamenti esterni, cui ordinato tutto il governo della vita civile. Cosicch, a ben considerare le cose, tutte le professioni umane sembrano a servizio di coloro che contemplano la verit. (Summa contra Gentiles, III, 37). Ordine del corpo, dell'anima e della vita civile e collettiva in generale, il perfezionamento della felicit deve consistere in un'operazione dell'intelletto circa i pi nobili oggetti intellegibili. Perci l'ultima felicit dell'uomo deve consistere nella contemplazione della sapienza circa le verit divine. (ibidem) Ma quest'ultima felicit dell'uomo, preparata nella vita attuale, potr essere conseguita solamente nella vita ultraterrena, con il pieno godimento intellettuale delle sostanze separate e di Dio.

La predestinazione provvidenzialistica di ogni finalit operativa, per ogni essere creaturale, derivata immediatamente dalla volont e potenza creatrice divina, stabilisce certamente un ordine divino da seguire, secondo per modalit diverse: ci che deve accadere necessariamente secondo cause necessarie, si svolger necessariamente; ci che deve accadere contingentemente secondo la possibilit d'essere o non essere si realizzer contingentemente. La libert dell'uomo appartiene a quest'ultima modalit. La libert dell'uomo viene poi illuminata dalla grazia divina, per poter accedere alla salvezza ed alla visione beatifica di Dio.

Che la determinazione divina si svolga fra la volont provvidenzialistica dello stesso soggetto divino ed il suo intelletto finale, capace di assicurare per grazia offerta la salvezza, implica il fatto certo ed assoluto che la decisione divina stessa sia motivata da una speciale prescienza e predeterminazione delle stesse possibilit di scelta umana (futuri contingenti). In questo contesto - dove la perfezione vuole, decide ed applica il deflettere umano da tale possibilit assoluta segna il comparire del male nel mondo (difetto nell'effetto voluto ed inteso da Dio), che non ha dunque una sua propria consistenza ontologica o metafisica, ma vale come presenza e dimostrazione della libert umana.

Il male poi apparentemente richiesto dalla presenza dello stesso ordine divino, dalla sua graduazione fra livelli superiori ed inferiori di essere e di perfezione. L'apparente allontanamento dalla perfezione somma quindi il comparire di un eguale difetto nell'effetto mondiale, di un male cosmologico e naturale. Questa differenza pena; corrispettivamente la differenza dell'azione rispetto alla volont e all'intenzione divine vale come colpa (peccato). La prima differenza per l'intervento stesso della provvidenza divina lo strumento di riduzione della seconda, come se fosse un richiamo ad agire correttamente ed adeguatamente. In un certo senso si potrebbe sostenere che il non recte agere dell'uomo si carica delle sofferenze del mondo e delle sue pene. Ma questo deriva direttamente dal peccato originale di Adamo.

La predeterminazione nella volont e nell'intelletto divini costituisce la ragione della legge divina, della necessit che pu essere avvertita nel cuore e nella mente dell'uomo, ma che pu essere volutamente disattesa, portando cos l'uomo alla colpa ed al peccato. Come l'uomo , infatti, dotato della capacit di comprendere ed integrare la propria parte speculativa dell'intelletto nell'ambito stabilito e direzionato dai principi logico-ontologici e metafisici, cos insieme capace di scorgere e di tendere con la parte pratica della propria speculazione (sinderesi e coscienza) al bene, rappresentato appunto dalla perfezione ed oggettivit di quella predeterminazione.

Se la potenza naturale dunque necessariamente orientata al fine prestabilito dalla divina provvidenza, la potenza razionale umana ha la facolt di scegliere e mantenere o conservare una precisa disposizione (habitus), che si trasforma infine in virt naturale (morale: temperanza, prudenza, fortezza e giustizia; o intellettuale). Se la virt naturale assicura la misura terrestre della felicit, la beatitudine della vita ultraterrena potr essere assicurata solamente dalle virt teologali (fede, speranza e carit).

6. Diritto e politica.

Come si gi detto, la predeterminazione nella volont e nell'intelletto divini costituisce la ragione della legge divina, della necessit che pu essere avvertita nel cuore e nella mente dell'uomo, ma che pu essere volutamente disattesa, portando cos l'uomo alla colpa ed al peccato. L'infinit e l'eternit di Dio costituiscono allora l'immutabilit di un orizzonte di riferimento teologico, rispetto al quale la natura in generale e la natura razionale umana in particolare non possono non ritenersi soggette e dipendenti, per la propria salvezza e per la propria stessa esistenza. Con ci l'ordine divino immediatamente e totalmente il fondamento di un diritto naturale e razionale immodificabile, ad immagine tramite l'immagine divina della mente umana della stessa razionalit divina.

Partendo dal fondo comune dell'essere l'uomo possiede dunque tre tipi di inclinazioni naturali: quella basilare comune a tutti gli enti creati (perseverare ad essere e desiderare di essere), quella che lo accomuna agli altri animali (la procreazione), quella che lo distingue come essere razionale (conoscere la verit, voler e dover vivere collettivamente). Il diritto naturale e razionale orientato alla giustizia - fonda poi un'ulteriore specificazione, la legge positiva, istituita dai diversi popoli per il bene comune di ciascuno di essi. La legge eterna invece depone quelle finalit per l'azione umana che garantiscono con l'aiuto della grazia divina l'attingimento dei fini soprannaturali di salvezza e di beatitudine (legge divina).

Data la determinazione della legge naturale e la sua specificazione progressiva nel diritto generale delle genti (jus gentium) e individualmente nelle diversit delle forme legislative civili (jus civile), Tommaso d'Aquino rammenta che solo l'ideale costituito dalla giustizia ad elevare e far costruire l'edificio delle legislazioni positive umane. Se, dunque, l'ideale della giustizia correlato al bene divino ed universale, l'ordine complessivo delle legislazioni positive non pu non far concorrere le leggi singole e nel loro complesso verso un ordinato sviluppo e progresso del bene comune, del bene proprio della moltitudine civile. La potest della legiferazione risiede pertanto nella collettivit (o nel suo rappresentante). In ossequio poi alla forma del governo divino del mondo governo di uno solo, con l'ausilio delle intelligenze la forma di governo politico privilegiata la monarchia, che si istituisce in immagine di quella, per la stabilit dell'ordine e dell'unit dello Stato.

Per come la forma terrena di esistenza soggetta a quella ultraterrena, cos la forma naturale dello Stato politico deve sottostare all'autorit religiosa (alla Chiesa ed al Papa), per poter garantire il raggiungimento e la stabile e felice acquisizione, oltre che delle virt civili utili al buon ordinamento esteriore degli atti e delle azioni dei cittadini, anche della salvezza di ciascuna delle loro anime. Per questa ragione al Papa, come allo stesso Signore Ges Cristo, devono essere soggetti tutti i re del popolo cristiano. (De regimine principum, I, 14). Una soggezione di puro e chiaro stampo teocratico, per difficile da accordare con il procedere popolare della potest legislativa.

7. Estetica.

L'orizzonte neoplatonico, utilizzato da S.Tommaso d'Aquino per l'integrazione della riflessione aristotelica, ne influenza anche la speculazione estetica. L'Uno di derivazione neoplatonica, che fa da sfondo alle proprie argomentazioni, dispone infatti da un lato la visione del bello e dall'altra la pratica secondo un fine del bene. Entrambi vengono desiderati e/o perseguiti: il bello viene avvertito tramite l'udito, nel caso delle armonie sonore, oppure viene visto per il tramite del senso della vista. In entrambi i casi la forma dell'oggetto ricevuta e prodotta nell'uomo a costituire ed a formare il piacere umano. Il bello poi tale, perch compiuto (perfetto), proporzionato ed armonico, chiaro e distinto nella sua comprensione.

La bellezza, pertanto, pu essere attribuita grazie alle caratteristiche appena definite sia agli oggetti sensibili, che agli oggetti spirituali. Le tre caratteristiche della bellezza trovano poi la loro composizione nella forma e nella funzione del Cristo, immagine perfetta del Padre. In questo senso viene a costituirsi un criterio per il giudizio estetico, che ne qualifica il valore nella perfezione della rappresentazione, nella presentificazione adeguata e corretta dell'oggetto.

Giotto Cappella degli Scrovegni