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MAGAZINE INDIPENDENTE GRATUITO #13 INVERNO 2013 Testata iscritta presso il Tribunale di Firenze il 12/3/2009, reg. n. 5707 CHE MANGINO START-UP

Riot Van #13 - Che mangino Start-Up

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Riot Van nasce nel 2008 come un laboratorio editoriale, creato da un gruppo di studenti universitari delle facoltà di giornalismo e disegno industriale. Riot Van è prima di tutto un magazine di attualità e cultura urbana. Per questo i suoi primi interlocutori sono tutti coloro che si interessano di quello che accade all'interno delle città e del loro tessuto socio-culturale. Attualità, musica, arte, cultura rappresentano la base dei contenuti della rivista. Cercare le persone e le cose che meritano di essere raccontate all'interno di queste aree. Raccoglierle ed elaborarle per metterle a disposizione di coloro che meritano di leggerle. Proporre idee e alternative, conoscere le nostre vite provando a guardarle da molteplici prospettive. Durante il suo percorso, Riot Van ha ampliato le proprie aree di attività, allargandosi alla produzione di contenuti video, con la RV Production, e all'organizzazione di eventi e iniziative di carattere culturale come mostre e serate musicali

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Magazine indipendente gratuito #13 inverno 2013

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Che mangino start-up

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Rv è una rivista indipendente, finanziata dall'università di Firenze, dal DSU toscana e talvolta auto finanziata. RV è aconfessionale, apartitico ed è redatto da giovani studenti, laureandi e neo-laureati. Fondata nell'ottobre del 2008 da due studenti del corso di Media e Giornalismo per l'esigenza di fare pratica nel settore del giornalismo e dell'editoria, possibilità che il corso non offriva, si è poi evoluta in un magazine di ampio respiro, un canale video, un sito web e un'associazione culturale che organizza eventi sul territorio fiorentino. Fornire un'informazione svincolata da logiche prettamente commerciali o da interessi politici è la nostra missione. Musica emergente, arte undeground, auto produzioni sono il nostro pane, ve lo offriamo fragrante ogni qual volta i fondi ci permettono di uscire.

Buon appetito.

Direttore responsabi le

Direttore editoria le

Responsabi l i organizzativ i

Redattori e col laboratori

Graf ica e impaginazione

Web Developement

Michele Manzotti

Mauro Andreani

Giuseppe Di Marzo, Alessandra Giachetti, Andrea Lattanzi, Michele Santel la, Niccolò Seccaf ieno, Giul io Schoen, Mattia Vegni

Daniele Baldassarri, Giovanni Balzin i, Francesco Guerri, Barbara Leol in i, Mario Mancini, Rosa Monicel l i, Chiara Morel lato, Daniele Pasquini, Mattia Ruti lensi, Elena Panchetti

Tiziano Berti, Mattia Vegni

Francesco Canessa

n’altra esperienza politica giunge al ter-mine. A breve le nuove elezioni ci mo-streranno cosa ci aspetta per i prossimi cinque anni. La società civile invoca, giustamente, un cambiamento, un uovo modo di fare le cose, di esprimere lo sta-

to, di vivere lo stato. Lo aspettano, o meglio lo aspettiamo, soprattutto noi giovani. Perché al-cune cose rimangono le stesse, specie per noi: tutti hanno un consiglio o un insegnamento da darci. Che sia metterci in guardia dalla noia e dalla monotonia del posto fisso, oppure stri-gliarci per il nostro non volerci accontentare quando si tratta di lavoro, per il nostro essere “choosy”. In tutto questo parlare di giovani, di cosa dovrebbero o potrebbero fare i giovani,

molte volte si è finiti con l’invocare, come sorta di deus ex machina, le “start up”. Guardandoci in giro, ci è sembrato che non sia ben chiaro a tutti, in primis a chi scrive, che cosa si intenda quando si parla di start up: un nuovo modo di fare impresa, un nuovo modo di fare innovazio-ne, un nuovo modo per non fare nulla, un nuo-vo nome per fare le stesse cose di prima. Parte della soluzione o parte del problema, ancora non l’abbiamo capito. Realtà, con tutte le pos-sibilità e le contraddizioni del caso, questo si. Dall’editoria, all’economia dei servizi, passando per il cinema e la fotografia, nel nostro piccolo viaggio attorno a noi, abbiamo trovato un po’ di tutto. Affascinante punto di partenza per una destinazione, ad oggi, ancora sconosciuta.

U

Riot Van Magazine Indipendente Gratuito n.13

Sono stati fatti tutti gl i sforzi per segnalare e a l locare correttamente i crediti fotograf ici. Ricordiamo che i l d ir itto del l'immagine fotograf ica resta del l'autore

Numero chiuso in redazione i l 15/02/2013

Stampato presso Pol istampa, Firenze - Tiratura 4000 copie in carta ecologica - Real izzato con i l contributo di DSU Toscana

L'editoriale

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bar massimo

puzzle shop

riot house

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copisteria universale

copisteria universale

Puoi trovare RiotVan presso i nostri sponsor

firenze

I nostri contatti...

[email protected]

facebook/redazione riotvan

www.riotvan.net

MP Studio

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L'INSURREzIoNE DEI PICCIoNIdi Mario Mancini _ pg. 8

ThE hUB A FIRENzE?di Andrea Lattanzi _ pg. 10

LUNGA VITA AI GIoVANI EDIToRIdi Daniele Pasquini _ pg. 12

NEL MoNDo DI zAdi Chiara Morellato _ pg. 14

INSERTo FoToGRAFIARV _ pg. 15

LA FoToGRAFIA AL TEMPo DEL SoCIALdi Barbara Leolini _ pg. 20

CoME LAVoRARE CoN LA MUSICAdi Francesco Guerri _ pg. 22

RoCk CoNTESTdi Mattia Rutilensi e Elena Panchetti _ pg. 24

FAREWELL To hEARTh AND hoMEdi Mattia Rutilensi _ pg. 26

SEVEN SoNGSdi Michele Manzotti _ pg. 28

GIoVAN BALzEy’S WoRDdi Giovanni Balzini e Niccolò Seccafieno _ pg. 29

CRUCIVERBAdi Filiman _ pg. 30

riot Van presenta

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Grafica R

iot Van

l quarto tomo de I miserabili, che Vic-tor Hugo conside-ra il cuore del ro-manzo, è dedicato

all’amore fra Marius e Cosette e ai moti di strada che sconvolse-ro Parigi nella notte fra il 5 e il 6 giugno 1832. In alcune pagine, che toccano l’apice espressivo della letteratura, Hugo descrive gli avvenimenti che hanno luogo intorno alla barricata eretta dagli insorti repubblicani, sotto la guida di Enjolras, per respingere i soldati di Luigi Filippo, già Filippo Égalité prima di vestire i panni del sovra-no liberticida. La barricata è presa con un bagno si sangue, perché i rivoltosi non erano abbastanza e le munizioni scarseggiarono. Ge-neralmente ci volevano milioni di dimostranti nelle strade per rove-

sciare lo status quo. Questo fino a oggi. Oggi ci sono voluti “appena” 65.000 sostenitori di una campa-gna condotta sui social media per costringere il governo francese a indietreggiare e ripensare un provvedimento inviso al mondo imprenditoriale francese. Questo gruppo d’imprenditori autopro-clamatosi “piccioni”, che in france-se identifica i babbei pronti a farsi fregare (in italiano li chiamerem-mo polli), hanno inscenato un’in-solita pacifica protesta contro il piano del governo di tassare le plusvalenze da cessioni con un’ali-quota fuori dall’ordinario al punto da sembrare una vera e propria purga sadica. Il quotidiano “Libe-ration”, portabandiera della sini-stra, ha commentato la marcia in-dietro del governo con la colorita espressione: “Il governo si è fatto

piccionare”. Anche a “Le Monde” non piacciono i piccioni. Ma que-sta è un’altra storia, tutta francese che ci vorrebbe un altro Hugo per farcela capire.Questi “indignatos” francesi non sono giovani disoccupati privati di ogni speranza, ma una genera-zione di giovani imprenditori che hanno dato vita a una start-up e non vogliono che il governo limiti la loro possibilità di fare dei soldi con la vendita della loro attività che potrebbe divenire il Google e il Facebook di domani. Una spe-ranza che toglie il sonno a molti giovani ambiziosi.Il movimento ha preso le mosse da un lungo e accorato articolo su “La Tribune” di Jean-David Chamboredon, ceo di Isai Ge-stion un fondo di vc e presiden-te di France Digitale, dal titolo

Le start-up sulle barricate parigine< Mario Mancini e-book goWare team>

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L’insurrezionedei piccioni

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Une loi de finances anti-start-up?. L’articolo [riprodotto di se-guito in traduzione] cercava di dimostrare efficacemente che la nuova imposizione sulle plu-svalenze da cessione d’impresa o di quote detenute in una so-cietà prevista nella finanziaria blindava soprattutto la crescita delle piccole e medie imprese. Infatti, in linea con il programma elettorale di Hollande, il governo si stava apprestando a tassare in modo uguale “lavoro e capitale” ponendo una tassa del 60% su tutte le rendite finanziarie, in-teressi, dividendi, plusvalenze e via dicendo. L’articolo di Cham-boredon toccava un nervo sco-perto a tal punto che, immedia-tamente, una pagina Facebook e un hashtag Twitter rendeva spontaneamente virale la pro-testa dando voce a un comune risentimento. La pagina di Fa-cebook otteneva 60 mila “like” e l’hasthtag twitter raccoglieva 7500 followers. “Non ho mai vi-sto tanta gente così depressa. Ne hanno abbastanza e stanno scappando. Sono pronti a tut-to”, commentava uno dei mag-giori sponsor dei “piccioni”, quel Marc Simoncini imprenditore di Marsiglia e fondatore del sito d’incontri Meetic che nel 2008 aveva un giro d’affari di 133 mi-lioni di euro. L’altro sponsor del movimento è un anch’egli un imprenditore Internet di succes-so planetraio, Pierre Chappaz, fondatore di Kelkoo e Wikio.I “piccioni” stanno cercando di far capire al governo che quan-do un imprenditore investe i

suoi soldi e si sacrifica in una start-up per poi venderla, quella plusvalenza non è equiparabile al capitale di rendita impiegato in azioni od obbligazioni che il governo intendeva tassare pe-santemente. Scriveva Cham-boredon a conclusione del suo articolo: “So che Madame Pel-lerin (giornalista di sinistra) e Messieurs Cahuzac (Jérôme Cahuzac, ministro del Bilancio) e Moscovici (Pierre Moscovici, mi-nistro dell’Economia) compren-dono bene quello che ho scritto sopra. Riusciranno a convincere Monsieur Hollande? Accetterà il nostro nuovo Presidente di non ostacolare (leggi, castrare) quel-li che, lontani dall’essere ricchi, vogliono creare posti di lavoro, generare crescita e, forse, un giorno se avranno fortuna dive-nire... più ricchi mantenendo la loro residenza fiscale nel nostro caro Paese? Gli imprenditori di Francia lo sperano, ne dipende la creazione di posti di lavoro in Francia.”Il messaggio è arrivato, eccome se è arrivato. il ministro Mo-scovici ha dichiarato di voler al-leggerire il carico fiscale sulle plusvalenze degli imprenditori sebbene abbia escluso tassativa-mente di modificare il suo piano di tassare in pari misura lavoro e capitale. “Quello che vogliamo tassare non è il rischio, ma la rendita”, ha precisato il ministro. Il piano, intorno a cui si sta anco-ra discutendo, non andrà a colpi-re chi detiene almeno il 10% del capitale di una società e ne rima-ne titolare per almeno cinque anni, inoltre è previsto un abbat-timento significativo per chi de-tiene una quota inferiore al 10% per almeno sei anni. Un succes-so significativo per i piccioni.In realtà il movimento dei pic-cioni ha scosso la politica fran-cese più profondamente di una rivolta di strada per il semplice motivo che i suoi aderenti sono i motori dello sviluppo prossi-

mo venturo: si tratta in massima parte di giovani imprenditori e fondatori di start-up con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni. Pa-trick Robin, imprenditore seriale e angel investor, sull’“Huffington Post” ha tracciato un identikit Pigeons nell’articolo dal colori-to titolo “Non dite a mia madre che sono un imprenditore di sini-stra... lei crede che io sia diventa-to un ricco stronzo”.Siamo piccoli imprenditori delle start-up, non facciamo vacanze, rischiamo, se va bene creiamo benessere e occupazione. Siamo gente della middle class con età media di 32 anni, abbiamo im-prese che crescono del 24% an-nuo. E il capo azienda guadagna in media 2,6 volte il salario me-dio dei suoi dipendenti. Insom-ma, non siamo miliardari contro cui invocare tribunali del popolo.Questa vicenda è stata commen-tata anche dall’“Economist” che con la solita ironia, un po’ com-piaciuta, commenta: I francesi, che hanno dato alla lingua in-glese la parola “entrepreneur”, sono profondamente ambiva-lenti sul business. Nei sondaggi di popolarità, difficilmente sono menzionati uomini d’affari. I te-sti scolastici raramente parlano bene delle imprese. I piccioni ar-rabbiati (angry pigeons = angry birds, il famoso videogioco app) possono aiutare gli imprenditori a diventare più simpatici in Fran-cia. Se no, non saranno più sol-tanto dei piccioni ripieni.

9#13 - Inverno 2013

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arco Tognetti, clas-se 1983, è un mi-lanese emigrato a Firenze per ragioni di studio. Qui si è

laureato in Economia dello Svilup-po Avanzata e ha fondato nel 2007 la società di consulenza LAMA. Ha lavorato in mezzo mondo, toc-cando Ghana, Senegal, Camerun, Malawi, Lituania, Romania, Nica-ragua, India e Cina. Adesso chiodo fisso suo e dei suoi partner, fra i quali Riot Van, è quello di portare a Firenze “The Hub”, rete interna-zionale di imprenditori, creativi e professionisti. Ma mancano gli spazi, per i quali certe cordate isti-tuzionali sembrano sempre favori-te. RV è andato a trovarlo nella sua “casa” delle Cure.

Io direi di partire dall’ABC del To-gnetti-pensiero. LAMA, la società di consulenza della quale sei pre-sidente. Ci puoi spiegare meglio di cosa si tratta?

LAMA è una società cooperativa nata 6 anni fa da tre persone, Lapo tanzi andrea rapisardi e me. era-vamo ancora studenti di Economia dello Sviluppo e abbiamo deciso di costituire una realtà di impresa che facesse servizi di consulenza strategica, organizzativa, comuni-cativa, internazionale sia al mondo profit che no profit, in Italia come all’estero.Il contesto in cui vi trovate a operare non è certo dei più semplici, anzi tutt’al-tro. Eppur qualcosa, anche qui a Firenze, si muove. L’incubato-re di Sesto, che cerca di favorire la crescita delle giovani imprese nel loro periodo di star-tup ne è un buon esempio.Sì, è vero. Anche se bisogna fare una precisazione. Con l’incubato-re, che si rivolge principalmente agli spin-off universitari, c’è stato un notevole boom iniziale. Coloro

che fino a quel momento non ave-vano trovato un posto per dire “ci siamo” vi si sono fiondati dentro. La vera sfida è quindi adesso. L’in-cubatore dovrà dimostrare di non essere stata una semplice risposta a una domanda di spazio ma, do-vrà dimostrare di funzionare per davvero. Che è tutt’altra cosa.Come mai poi metterlo a Sesto?Non so. Di certo una struttura si-

mile è sacrificata a Sesto, lontana, diffici-le da raggiungere. Gli spazi sono molto belli ma averlo avuto a Fi-renze sarebbe stata un’altra cosaE dire che a Firenze ci

sono tanti contenitori vuoti. Ca-serme, uffici, ex-industrie.Giusto, ma una cosa è la disponibi-lità di spazi, un’altra cosa è la loro effettiva “prendibilità”. Ti faccio un esempio. Con una quindicina di realtà locali apriremo a breve The Hub Firenze. The Hub è una rete

Foto ©Filippo Podestà / G

rafica Riot Van

m

Marco Tognetti:

the hub a Firenze?Ve lo portiamo noi.

The Hub Milano, foto di Filippo Podestà

Una rete internazionale

di professionisti, imprenditori e

creativi

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ub, dall’inglese, fulcro o mozzo della ruota. Dove tutti i raggi arrivano e da dove tutti i raggi partono. È questo il senso dell’omonima espe-

rienza inglese di co-working – ma non solo – che ha preso il via nel 2005 a Londra. Una rete internazio-nale di professionisti, imprenditori e creativi a va-rio titolo che ha i suoi centri nevralgici in apposite strutture situate nelle più importanti città del mon-do. The Hub offre una doppia possibilità: condivi-dere esperienze e capacità lavorative all’interno di uno stesso spazio fisico che, al tempo stesso, risul-

ta essere connesso con tutte le altre piattaforme di The Hub sparse per il globo. Gli ambienti messi a di-sposizione sono naturalmente a pagamento ma vi è una estrema flessibilità nella scelta del proprio pia-no tariffario. Tutto dipende dal tempo e dai servizi di cui si vuole usufruire. A Milano, ad esempio, si va da un minimo annuale di 220 euro a un massimo di 8.700. Ad ormai otto anni dal suo lancio, sono stati aperti 30 centri in tutti e 5 i continenti per un totale di oltre 5000 membri. Altri 50 hub sono in arrivo. Firenze, spazi permettendo, è già in lista d’attesa.

internazionale che copre 60 pae-si. Un network globale di spazi che hanno la caratteristica di essere sistemi facilitanti per l’innovazio-ne sociale. Giovani imprenditori, professionisti, startupper, che mi-rano alla realizzazione di prodotti e servizi ad alto impatto socio-ambientale. Sono otto mesi che cerchiamo uno spazio per la sede fiorentina di The Hub, ma fin’ora è stato tutto inutile o quasi. Sia ver-so il pubblico che verso il privato.C’è comunque un bando impor-tante cui state partecipando a questo fine.Sì, è la gara per la gestione di Pa-lazzo Giovane, la Casa della Cre-atività. Ci sono cordate più isti-tuzionali che sicuramente sono favorite. per febbraio si dovrebbe-ro conoscere i vincitori. Aspettia-mo fiduciosi.Chi visse sperando...(no comment)Questo numero di RV è dedicato al mondo delle startup. C’è grande fermento in Italia, soprattutto dopo il lan-cio da parte del ministro Passera delle startup innovative.Il lavoro di Passera ha por-tato in giro la parola star-tup. Bisogna vedere i risultati. I bandi e i premi sono tanti e sono sulla bocca di tutti. Ma sono le ban-che a man-care. Nel loro atteg-g iamen -to sono

semplicemente assentiCosa promuovi e cosa bocci del decreto crescita 2.0 con cui sono state definite le startup innovative?Il riconoscimento che a monte esi-sta un periodo di massimo rischio per le imprese, ovvero i 48 mesi di età, come condizione necessaria

per essere definite startup, assieme al fatto che il 51% del capitale sociale sia in mano a persone fisiche sono sicuramente punti di forza del decreto. Più critico è il versante del-

la ricerca e della quota di dottorati all’interno delle imprese. Le spese in ricer-

ca e sviluppo devono essere pari o

super ior i al 20% del maggio -re valore tra costo

e valore totale della produzione, mentre almeno un terzo dei dipen-denti deve possedere un dottorato o aver realizzato un brevetto. In un paese dove il tasso di dottorati è ri-dicolo e la ricerca soffre moltissimo si rischia che, tramite questi paletti, buona parte del lavoro fatto venga vanificato. Valorizzare imprese leggere, a bas-so capitale sociale. Non è il sinto-mo dei tempi di crisi? Valorizziamo cioè le cose che costano poco?Osservazione pertinente. Si diceva scherzando con dei colleghi qual-che giorno fa. Apriamo una srl a un euro. Poi inviti un cliente, gli offri un caffé, ed ecco che sei già fallito pri-ma di cominciare.Dalla prossima primavera, con ogni probabilità, su Rai 1 partirà un talent show sulle startup. Una sorta di X-factor delle idee.o mio dio.

Andrea Lattanzi

Marco Tognetti » The Hub «» The Hub «H

Startup Innovativa. Tecnologia ad alto rischio

Tipologia di impresa introdotta nell’ordinamento italiano dal decreto sviluppo-bis (D.L. n.179/2012). È prevista un’apposita sezione del regi-stro delle imprese a cui iscriversi. Per farlo è necessario essere in posses-so di alcuni requisiti, più o meno restrittivi, che qualora rispettati con-ducono ad agevolazioni fiscali di vario genere (es. totale esenzione dal pagamento dei diritti di segreteria e dall’imposta di bollo), a rilevanti de-roghe al diritto societario, a una una specifica disciplina dei rapporti di lavoro. L’età massima deve essere 48 mesi, la maggioranza dei soci e del capitale in mano a persone fisiche e l’oggetto sociale prevalentemen-te orientato allo sviluppo, alla produzione e alla commercializazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Sul sito della Ca-mera di Commercio è disponibile un elenco dettagliato dei requisiti e dei criteri da rispettare. Alto rischio ma chi sbaglia paga meno.

how to Start

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Incubatore è lo spazio del Salone Internazionale del Libro dedicato a case edi-trici appena partorite, con meno di due anni di vita e

senza l’appoggio dei grandi gruppi editoriali. L’Incubatore offre loro un’occasione di visibilità e di in-contro: per incamminarsi con pas-so meno incerto in un mercato impossibile come quello del libro. Ci ha spiegato come la madrina del progetto, Roberta Di Sabatino.

***Come e quando è nata l’idea dell’Incubatore?L’idea dell’Incubatore nasce nel 2007, con l’obiettivo di costrui-

re un nuovo progetto che potes-se supportare e dare visibilità a quei “piccoli eroi”capaci di dare vita ad un nuovo progetto edi-toriale. L’idea è quella di dare ad ogni nuova realtà la possibilità di partecipare alla più importante mani-festazione italiana dedicata all’editoria – il Salone interna-zionale del Libro di Torino - a condizio-ni davvero speciali. L’area prevede stand preallestiti a costi contenuti. Inoltre è possibile prenotare gratuitamente la sala incontri per le proprie presenta-

IncubatoreUn’incubatore di impresa è una struttura di supporto allo svi-luppo aziendale che offre alle startup sostegno e consulen-za nell’ambito di consigli, in-frastrutture, formazione, con-tributi finanziari, networking. Generalmente, l’opportunità di risiedere all’interno degli incu-batori è limitata nel tempo.

AcceleratoreUn acceleratore la supporta le imprese nel passaggio da star-tup a impresa matura. È una struttura che interviene suc-cessivamente all’incubatore, che sostiene le imprese solo in fase iniziale.

StartupNon esiste una definizione

univoca di startup, anche se, a livello generale, il termine è utilizzato per identificare l’azione e il periodo duran-te il quale si avvia un’impre-sa. una delle definizioni più utilizzate è quella dell’im-prenditore americano Eric Ries, che fa leva sui concetti di “novità” e “massima in-certezza” per circoscrivere l’ambito delle startup. Nella fase di startup possono av-venire operazioni di acquisi-

Glossario della Startup how to Start

7 anni di Incubatore, 183 nuove

case editrici.

“Lunga vita ai

giovani editori”

what: \\ L’incubatorelo spazio del Salone Internazionale del Libro

zioni, e sono previste agevolazioni sulle spese di soggiorno durante i giorni della manifestazione.Come si può accedere a questa “vetrina”?All’incubatore può partecipare qualsiasi casa editrice nata da meno di 24 mesi e non legata a grandi gruppi editoriali. E’ impor-tante sottolineare che l’Incubato-re non è solo una vetrina. All’in-cubatore i giovani editori possono verificare direttamente sul campo la validità dei propri prodotti, con-frontandosi non solo con il grande

pubblico, ma soprat-tutto con gli opera-tori del settore. Va in questa direzione, ad esempio, l’iniziati-va Striscia Business, che prevede una se-rie di incontri tra gli

editori presenti nell’area e librerie indipendenti, biblioteche, distri-butori e operatori professionali. Un’opportunità importante per

L’

Grafica R

iot Van

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#13 - Inverno 201313

chi si è affacciato da poco sul mer-cato e un’occasione di confronto diretto con i professionisti del set-tore per individuare le strategie migliori di vendita, distribuzione e promozione.L’incubatore compie sette anni: quanti editori sono passati da lì?Con il 2012 siamo arrivati a 184 case editrici. 183 case editrici ita-liane e una brasiliana. E quanti sono quelli “sopravvis-suti” al mercato editoriale, che hanno vinto la scommessa?I dati reali non possiamo averli,

però possiamo dirvi che circa il 70% delle case editrici che sono passate dall’Incubatore ora parte-cipano al Salone – nelle aree tradi-zionali - con un proprio stand.Quali sono, a tuo avviso, i migliori editori passati dall’Incubatore?Domanda non facile. In ogni caso tra le case editrici più interessan-ti segnalerei sicuramente Inter-mezzi, Espress, La Lepre, Miraggi, Tunuè, Neo, Area51, Quintadico-pertina. Poi non vanno dimenti-cate alcune eccellenze in settori

specifici: ad esempio lo Stampa-tello con i suoi libri per bambini e Alfaudiobook per gli audiolibri. A proposito degli editori delle pas-sate edizioni, credo sia interessan-te segnalare come questo proget-to salvaguardi e monitori gli editori anche dopo la singola esperienza fieristica nell’area dedicata. Non a caso, infatti, è stata ideata l’inizia-tiva Incubatore...e poi! Si tratta di incontri in cui le case editrici che hanno partecipato all’Incubatore nelle passate edizioni raccontano i progressi effettuati e presentano le proprie novità. Nonostante la crisi dell’editoria tradizionale, nonostante il dibatti-to attorno al mondo dell’ebook e delle nuove frontiere della pubbli-cazione, c’è ancora chi investe per realizzare libri: credi sia sensato continuare a farlo?La risposta è indiscutibilmente Sì. La sfida è provare a capire come questo possa ancora generare pro-fitto, dare lavoro, creare affari. La sfida è quella di intercettare nuo-ve nicchie di mercato e focalizzare l’attenzione sulle nuove tendenze, non solo culturali ma anche tec-nologiche. Ormai l’innovazione anche in questo campo è impre-scindibile. Il mondo del digitale va visto anche dagli editori come una opportunità concreta, una sfida, mai una minaccia.

Daniele Pasquini

who: \\ Roberta Sabatinolavora per l’incubatore dal 2008

zione delle risorse tecniche correnti, di definizione del-le gerarchie e dei metodi di produzione, di ricerca di per-sonale, di attività per l’acces-so al mercato.

Round A, B, CNella vita di una startup un round è un momento di rac-colta di finanziamenti da in-vestitori. Le lettere A, B, C, indicano una successione temporale di round.

Spin-offDistaccamento di un settore d’impresa che diventa total-mente indipendente. Le uni-versità chiamano così le star-tup che nascono a partire dai loro laboratori di ricerca. Ogni volta che soggetti, impegnati in contesti industriali, accademi-ci o istituzionali, danno vita ad una iniziativa imprenditoriale, valorizzando le esperienze pro-fessionali e il know how matu-rato, si crea uno spin-off.

StakeholderChiunque abbia un interesse (stake) nell’azienda o in quello che l’azienda fa, direttamente o indirettamente.

CrowdfundingIl crowdfunding è una mo-dalità di raccolta fondi da un pubblico esteso (una folla). I finanziamenti possono essere di diversa natura - donazioni, prestiti, partecipazioni al capi-tale - e servire per sviluppare

roberta Di Sabatino nasce in Abruzzo nel 1981. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione a Perugia con una tesi sulle piccole e medie case editrici di scienze sociali inizia a lavorare per edito-ri e biblioteche, fino ad entrare nello staff di Più Libri più Liberi (la fiera romana della piccola e media editoria). Da quattro anni lavora per il progetto “Incubato-re” del Salone Internazionale del Libro di Torino. Nel 2013 seguirà anche le sezioni speciali del Sa-lone “Book to the future” e “Di-mensione Musica”.

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progetti di impresa, lancia-re nuovi prodotti, finanzia-re progetti culturali o sociali ecc. Il crowdfunding è parti-colarmente indicato per pro-getti molto specifici che pos-so suscitare l’interesse di un pubblico ben definito anche se limitato o di un pubblico molto ampio.

Venture CapitalSono investitori nel capitale di rischio di società con for-

te potenziale di crescita e danno valore aggiunto alle società investite sotto forma di consulenza direzionale e strategica. Effettuano inve-stimenti maggiori dei Busi-ness angel e di durata anche più lunga.

Love CapitalCapitale raccolto presso i propri familiari, parenti e amici per l’avvio e lo sviluppo dell’impresa.

Business AngelSi tratta di investitori privati o di aziende che sostengono la startup con una partecipazio-ne finanziaria. Condividono con la startup il know-how, i contatti e partecipano al con-siglio d’amministrazione. Il guadagno finanziario non è l’unica matrice che muove il business angel, il quale può in-teressarsi a una startup anche nell’ottica di una sua crescita aziendale.

Di Chiara Morellato

NEL MONDO DI ZaDOCUMENTARI PER RACCONTARE LA SOCIETÀ“Una start-up? Non proprio, ma in un certo senso abbiamo creato una rete utile ai giovani autori”

Foto ©ZaLab / G

rafica Riot Van

Tutto comincia all’Odeon il 14 dicembre durante la pro-iezione dell’ultimo lungo-metraggio di Andrea Segre “Io sono lì”. Il film, riassunto

in pochissime parole, racconta del rapporto di affetto nato tra una ca-meriera cinese e un vecchio pesca-tore, e focalizza l’attenzione sull’in-tegrazione possibile, ma sempre ostacolata, tra la comunità cinese e quella locale (di Chioggia, dove vie-ne ambientato il film). Dopo la nor-male ricerca su internet, per avere qualche informazione in più, mi im-batto in ZaLab, un’associazione di videomaker (tra cui Segre) impron-tata alla produzione di documenta-ri e lungometraggi. Dietro al nome ZaLab sono in sei a mandare avanti l’associazione: Stefano Collizzoli, An-drea Segre, Alberto Bougleux, Mat-teo Calore, Maddalena Grechi, Sara Zavarise insieme a Giulia Moretti e Mario Cirillo. “Si devono evidenziare tre cose della nostra associazione – spiega Collizzoli, fondatore nel 2006 assieme a Segre e Bougleux – faccia-mo documentari, laboratori di video partecipativo e ultimamente abbia-mo lanciato le “Schegge di Za”, picco-li film visibili online.Nel nome evocate la figura di Cesa-

re Zavattini, sostenitore di un cine-ma-verità. Quanto c’è di lui in voi? Molto, alla base c’è la voglia di prova-re a provocare cambiamenti sociali con l’uso di un linguaggio creativo. I nostri documentari nascono per de-nunciare delle realtà poco conosciu-te, squallide e xenofobe: sono poi associati a proiezioni e incontri, mi-rati a far alzare un po’ di polverone. Il nostro primo laboratorio, “Immagini oltre il muro”, parlava dell’apertura di un centro giovanile in Palestina. Al centro andavano quasi esclusiva-mente ragazzi e la partecipazione delle ragazze non era ben vista dall’o-pinione pubblica locale. Partendo da lì, abbiamo montato le attrezzature e abbiamo cominciato a filmare. Il risultato è stata una proiezione e un bel po’ di caos! Questo però è pro-prio un esempio di video partecipa-tivo: su richiesta o su nostra inizia-tiva, abbiamo lavorato insieme ad altri per mettere su “pellicola” realtà territoriali e sociali che ci premeva evidenziare”. Come siete organizzati per quanto riguarda la distribuzione? “La prima cosa che abbiamo riscon-trato è stata l’assenza, in Italia, di un mercato o di una struttura di distri-buzione interessata a sostenere do-

cumentari, allora abbiamo provato noi, creando una rete di associazioni che li proiettano e che hanno inte-resse ad usarli per costruire momen-ti di dibattito e azione civile. Ad oggi questa rete vale qualche centinaio di date all’anno e, come una specie di start-up di sostegno a giovani registi o autori, è una rete a disposizione di tutti. Se ci vengono proposti dei film o dei documentari fatti con una logi-ca di intervento sociale, li facciamo entrare nella nostra rete. Ogni anno ci arrivano più o meno una trentina di proposte, ma abbiamo le forze per sceglierne al massimo due. Detto ciò, rimangono le “Schegge di Za” “Sono dei mini-documentari di cir-ca 5 minuti. Sono schegge, perché piccole, ma nel momento del loro lancio hanno attorno delle campa-gne di sensibilizzazione e advocacy. Nascono con il sostegno di Open So-ciety Foundations e sono aperte e a chi si presenta con un’idea valida. Se ci piace, se ci convince, allora la rea-lizziamo. ovviamente nel limite del nostro budget.”

ZALAB IN TUSCANY: Il 26 febbraio p.v., presso l’ Istituto Confucio di Pisa, sarà proiettato “Io Sono Li” di An-drea Segre.

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alessandro ComandiniHa iniziato a fotografare e a stampare fin dall’adolescenza; nel 1983 vince il 2° premio nella sezione “Bianco e Nero” del concorso fotografico “Citta di Cisterna”. Nei primi anni ’90, in contemporanea con l’attività di cronista, collabora con alcune testate locali come foto-giornalista. Proprio rifacendosi alla tecnica giornalistica del racconto per immagini, ha esplorato la realtà della fotografia di matrimonio, realizzando lavori nei quali il rigore del bianco e nero si alterna ai primi esperimenti con il digitale.Nel corso del 2012 ha realizzato 3 progetti fotografici: “Tutti giù per terra”, “Windows” e “De Multitudi-ne” e ha esposto le proprie opere in diverse collettive.Attualmente sta esplorando le potenzialità narrative ed evocative delle immagini realizzate con cellulari e vecchie fotocamere analogiche.

stefano LondonFotografo freelance, si occupa prevalentemente di fotografia di scena in teatro e ritrattistica. Ha collabo-rato con diverse scuole di danza per le quali ha curato la realizzazione di servizi fotografici. Nel corso de-gli ultimi anni ha svolto interessanti lavori in teatro collaborando con compagnie di fama internazionale.Nel 2012 ha partecipato a workshop (“La realizzazione del portfolio”) ed ha esposto le proprie opere in occasione delle collettive “Con i miei occhi” e “Arte in piazza”.

alvaro palmaAppassionato da sempre di fotografia, ha iniziato sin da giovane con la fotografia in bianco e nero, dilet-tandosi in camera oscura e sperimentando tecniche quali la ripresa con foro stenopeico, l’impressione diretta della carta fotografica, la stampa a contatto e la solarizzazione. Predilige la fotografia architetto-nica e il close-up; oggi lavora esclusivamente in digitale, dedicando molta attenzione alla post produzio-ne. Da quasi dieci anni si dedica anche alla fotografia astronomica del profondo cielo avvalendosi di un osservatorio astronomico amatoriale.Nel corso del 2012 ha esposto con successo le proprie opere in occasione di alcune collettive.

I vincitori

Quella parola di troppo che il ministro del Lavoro Elsa Fornero non avrebbe mai forse voluto dire. E che, parimenti, non tutti hanno compreso fino in fondo. Ma cosa vuol dire poi “choosy”?Gli esempi si sprecano, ma non è così facile circoscri-verne il significato con le parole. Per questo motivo

vi chiediamo: Cosa significa per voi esserlo? Quale momento della vostra esperienza lavorativa, quale rospo ingoiato, sopruso o rigetto immortalereste in uno scatto?

Stay Riot!

iia edizione del concorso fotografico targato rV

FOTOGRAFIAii

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1o classificato: Choosy. Alessandro Comandini, Stefano London, Alvaro Palma

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2o classificato: senza titolo. Giorgia Chistè

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arlando di fotografia 2.0, di fotografia al tempo dei Social, qualche tempo fa mi sono imbattuta in un articolo(http://lens.blogs.

nytimes.com/2012/09/07/in-an-age-of-likes-commonplace-images-prevail/) di James Estrin, giornalista e fotografo del New York Times che ho imparato a stimare per il suo la-voro nel NYT blog "Lens". Estrin, nel suo articolo, parla dell'esponenziale crescita di telefonini muniti di foto-camera, c'è quindi da dire che oggi i cellulari registrano una serie infinita di azioni come se avessero tutte pari importanza. Bene, questa afferma-zione di estrin mi rimanda alla me-moria un pensiero di Susan Sontag che riguardo alla fotografia, parla di "voyeurismo livellante" che fa appa-rire identici eventi tragici e situazioni scanzonate. Erano gli anni '70. Inve-

ce la fotografia come forma artistica democratica e largamente disponi-bile ha iniziato ad affermarsi solo un decennio dopo ('80) con i ritratti di famiglia e la prima commer-cializzazione dell' "Istante Kodak", come affermato da Richard Chalfen nella sua opera "The Kodak Culture", dove per la prima volta viene esplicitata la capacità di ren-dere accessibili gli strumenti fotografici anche al mercato dei con-sumer. Da allora è divenuta il segno della vita quotidiana contempora-nea, attraverso la proliferazione di siti web di condivisione delle immagini come Facebook e Flickr fino ad arri-vare a oggi dove basta essere dotati di un telefono per essere dei poten-ziali fotografi. Purtroppo, il web non ha ancora creato provetti fotografi, infatti la qualità di foto non è altret-

tanto elevata come la loro quantità. Allora, le domanda che invece mi pongo sono come diventare buoni fotografi? Studiando e sudando su

pesanti manuali cartacei o affidandosi al web? A questo proposito, recentemente ho scoperto una startup (adoro-letuefoto.it) legata non solo alla fotografia, ma anche all'apprendimento fotografi-co. L'ideatore, Marco Govo-

ni, CEO & Founder at Luvurprix.com/ look, play, learn, non è un fotografo professionista, ma solo un grande ap-passionato di fotografia. Ho così deci-so di fargli un intervista, per avere più chiara l'idea stessa di startup legata al mondo fotografico via web.

***Marco partiamo dalla domanda che viene più ovvia. Non sei un fotogra-fo professionista, cosa ti ha spinto a

La fotografia al tempo del socialIl Social crea tonnellate di foto, ma non ha ancora creato tonnellate di buoni fotografi.

TheKodakCulture

Adoroletuefoto.it

P

Grafica R

iot Van

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creare una startup legata alla realtà fotografica?La passione per la fotografia, per il web e il marketing. Tre elementi che combinati tra loro mi hanno spinto a creare qualcosa che cercavo e che non trovavo. Da fotografo amatoriale mi divertivo - e mi diverto tutt'ora - nel partecipare a contest fotografici. Ritengo sia un'occasione per impara-re divertendosi. Non riuscivo però a trovare un sito che mi piacesse, con un alto tasso di coinvolgimento. E così, ho provato a realizzarlo.Per intraprendere questa strada sei legato dunque ad una forte passio-ne. Da comunicatrice specializzata in social media ti dico che la lotta per la sopravvivenza non riguarda solo il mondo della fotografia, ma sta investendo grosso modo tut-ti i settori professionali in qualche modo “rivoluzionati” dalla deriva social della comunicazione e della creazione del contenuto. A questo proposito spiegaci che cos'è adoro-letuefoto.it e quali pensi possano essere i suoi punti forti? Quale la sua rivoluzione? Adoroletuefoto.it è una piattaforma web per fotoamatori (si va da chi fo-tografa col telefono fino a chi usa una reflex professionale) dove si impara a fare foto attraverso concorsi fotogra-fici online a tema. Durante le sessio-ni di voto, a cui tutta la community partecipa, le discussioni permettono di confrontarsi e discutere di molti temi: da quelli tecnici a quelli artisti-ci. Senza ombra di dubbio il punto di forza di adoroletuefoto.it è la capaci-tà di creare una community. Il mec-canismo dei contest guidati da un timer, coinvolge l'utente in maniera positiva: le "fasi" che si susseguono, ovvero quella di caricamento foto e quella di voto, rendono "attivi" i par-tecipanti, facendo sì che ci sia, duran-

te le votazioni, uno scambio di com-menti (e di voti) molto alto, che nella maggior parte delle volte si tramuta in consigli.Ma questo è solo l'inizio. Stiamo progettando la nuova versio-ne di adoroletuefoto.it , che si chia-merà luvurpix.com: una piattaforma innovativa dove partecipare ai con-test sarà un'esperienza gratificante e anche redditizia, con la possibilità di accedere a meccanismi di vendita delle foto sia in formato digitale che su stampa.Siamo tutti d'accordo sul fatto che il photosharing, ab-bia ampliato la possi-bilità di fare fotogra-fia anche a chi non è professionista. La tua startup però tocca un concetto diverso, quel-lo dell'apprendimen-to. Perché definirlo photo-gaming?Perché nel DNA di adoroletuefoto c'è il gioco: gli utenti devono prima di tutto divertirsi. Se raggiungiamo que-sto obiettivo, siamo già a buon pun-to. La nuova versione avrà ulteriori meccanismi che aiuteranno gli utenti a "giocare": una serie di "badge" che possono essere collezionati in funzio-ne del punteggio raggiunto durante i contest. In questo modo ciascuno potrà costruirsi un vero e proprio "palmares". Ogni utente quindi avrà un profilo personale che rispecchie-rà le proprie competenze in campo fotografico, i progressi raggiunti, e le skills.Ridefinire la fotografia 2.0, la foto-grafia ai tempi di instrangram e delle piattaforme di condivisione fotogra-fica pensi possa essere il passo che porta ad un evoluzione del realtà fo-tografica stessa?Instagram & co. hanno rivoluzionato in parte la fotografia: come tutti i nuo-vi strumenti, aprono mercati nuovi e di conseguenza creano nuove oppor-

tunità e nuovi spazi da esplorare. La fotografia quindi evolve anche grazie a questi nuovi strumenti, che per-mettono ad un pubblico sempre più vasto di avvicinarsi ad una passione che magari non conoscevano.La fotografia del Social web ha por-tato inevitabilmente a determinare un sovraffollamento fotografico, ma non è ancora riuscita a migliorare le capacità qualitative dei fotografi. A tal riguardo, qual'è la soluzione pra-tica di "adoroletuefoto"?Questo è uno dei punti chiave: più

strumenti, più occasio-ni, pubblico più vasto, ma - spesso - la qualità inevitabilmente si ab-bassa. Adoroletuefoto.it prova invece ad an-dare in controtenden-za: durante le fasi di votazione dei contest viene automaticamen-

te svolta una funzione di selezione delle foto. Basta guardare le classi-fiche dei contest per capire come la community raggiunge un ottimo ri-sultato finale, ovvero premiando le foto più belle. Gli utenti possano cosi confrontarsi tra di loro ed imparare qualcosa di nuovo.

***Ora su questa nuova pratica fotogra-fica si sono dette anche troppe paro-le e la verità è che il social web ama le foto. Si parla addirittura di "visual web culture" per indicare il valore sempre crescente dei contenuti vi-suali per i social network. Insomma la conclusione è che divo-riamo immagini in una sorta di buli-nino consumismo estetico, per cui come direbbe McLuhan il contenu-to, il messaggio dell'immagine perde qualsiasi importanza identificandosi con il medium stesso (il medium è il messaggio). Sicuramente viviamo tempi in cui l'evoluzione della pratica fotografica ha allargato il pubblico spettatore, da una parte adesso più capace di apprezzare la fotografia documen-taristica perché più abituato a pen-sare per immagini, ma dall'altra ciò implica una mediatizzazione della fotografia stessa che quindi perde di credibilità.

Barbara Leolini

è una piattaforma

per fotoamatori dove si impara

a fare foto

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uello che mi piace di David Byrne è che riesce a por-tare avanti una miriade di proget-

ti creativi finalizzandoli. “A causa dell’Asperger”, disse una volta. Può darsi. Resta il fatto che riesce a ideare, creare e mettere in pra-tica. Chi lavora nel settore sa che non è una cosa da poco.

Una delle ultime interessanti idee messe in pratica è How Music Works (McSweeney’s, 332p, 32$), un libro che ha il compito molto difficile di spiegare come lavora la musica, in tutte le sue sfumatu-re. Dal punto di vista economico, a quello meccanico, passando dal sentimento e l’umore. Che succe-de dentro di te quando ascolti una canzone? Come ti resta in testa e ti trasforma?

Come ti modella. Qualcuno dice che non ne può fare a meno. Nei momenti più tri-sti, o quelli più felici, abbiamo avu-to tutti la nostra colonna sonora? Pensate a una canzone che vi vie-ne in mente in questo momento, per ricordare due persone che si sono lasciate. Il mondo prima dei Tre allegri ragazzi morti sarebbe la mia risposta. Sarà perché ho visto da poco il concerto, sono sicuro che la vostra risposta sarà diffe-rente. Perché questo? A cosa è dovuto? Dipende da quello che

abbiamo accumulato nella nostra vita fino a ora. “Tu non puoi tocca-re la musica”, dice il cantante dei Talking Heads, “lei esiste nel mo-mento in cui la si ascolta. In quel momento ti cambia profonda-mente e ti fa vedere il mondo in maniera diversa”.

Come si evolve. Per gran parte del libro Byrne par-la di movimenti artistici e musicali non statunitensi, soffermando-si sulla musica balinese, il teatro giapponese, il pop brasiliano e al-tro. È un fedele sostenitore e se-guace della musica di altri paesi, e pensa che la definizione “world music” sia assurda e riduttiva. Nel 1999 ha scritto un editoriale molto enfatico per il “New York Times”, dal titolo I Hate World Music. Per fare musica bisogna saper suonare, e per saper suonare ci vuole dedizione e studio. Ognuno ha il ritmo dentro. Pensate ai pa-esi africani. In quei posti si suona

David Byrne racconta la sua esperienza nel settore. Un libro che ogni appassionato di musica dovrebbe leggere e studiare.

Come LaVorareCon La musiCa

Q

Foto dal film “This m

ust be the place”

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#13 - Inverno 201323

con strumenti artigianali e non c’è bisogno di amplificazione, eppure è il paese dove si crea più musica, si balla, e la gente fa comunità in-torno a questo. Possiamo dire che c’è un genere per ogni posto, ed esiste un modo di fare musica per ogni situazione. Sarà difficile sen-tire la stessa canzone nelle chiese e nelle discoteche. Dove si suona e dove si crea musica conterà im-prescindibilmente su quello che si andrà a comporre.Fra le altre considerazioni condi-vise da Byrne c’è il sempre mag-giore utilizzo di software musica-li: “Quello che ascoltiamo nella musica contemporanea – scrive Byrne – è uno spostamento della struttura sonora che è stato inco-raggiato dall’atto compositivo così come il computer lo interpreta. Anche se il software viene sempre promosso come uno strumento imparziale che ci aiuta a fare tut-to quello che vogliamo, ogni tipo di programma è di per sé impo-stato in maniere per le quali sarà

più semplice lavorare in un modo piuttosto che in un altro”.

Come si vende. Nel capitolo Business and Finances, Byrne ci descrive accuratamente come vengono spartiti gli introi-ti di un album. Dopo lo studio di registrazione il tuo lavoro è finito, ma arriva la parte più importante. Come reagirà il pubblico? Che pen-seranno della tua opera? Per sape-re questo, bisogna aspettare che le nostre copie vengano vendute e che il disco venga ascoltato. Per far ciò c’è bisogno di agenzie di promo-zione e distribuzione, che si pren-dono una bella fetta delle vendite. Nei dettagli:1% sala prove – 1% trasporto mer-ci – 1% noleggio attrezzature – 1% pasti – 3% anticipo artista al netto dei costi di registrazione – 3% viag-gi/presentazioni – 4% diritti – 7% tasse – 17% ingegnere di mixaggio – 24% spese di studio di registrazio-ne – 38% musicista.Byrne in questo è particolarmen-

te affabile, parlando delle cifre che guadagna durante la produ-zione di un album. Come esempio prende l’anticipo di 225.000$ che ha ottenuto nel 2004 per Grown Backwards. Ne spese 218.000$ per la produzione “avrei potuto regi-strarlo con meno musicisti e avrei guadagnato di più, ma non so se avrebbe avuto senso”, disse. Arrivò a guadagnarne 58 000$ con le ven-dite. Non male, come dice lui – è quanto “un insegnante delle scuole elementari del New Jersey guada-gna in un anno”. Solo pochi artisti del calibro di Byrne hanno rivelato questa informazione. “Per un po’ il music business è sem-brato un universo parallelo utopico. Vedere Elvis nella cadillac rosa, il palazzo della Capitol, Bruce Spring-steen che rimane in studio per tre anni per incidere Born to Run. Fare musica oggi, come una volta, ha un valore di per sé, con un’altra com-pensazione che non è soltanto economica.”How Music Works è una guida per coloro che vogliono capire l’esem-pio di Byrne. Presentando il lavoro spiega: “Ho pensato che provan-do a essere molto chiaro e a usare la mia esperienza come esempio, avrei potuto mostrare ad altri mu-sicisti le loro possibilità – e il modo in cui le loro decisioni potessero portare a dei risultati”. dice Byrne. “Sembra tutto molto astratto e con-fuso finché non guardi al lavoro che uno veramente dedica al disco.”

Francesco Guerri

Le dichiarazioni di David Byrne sono state tratte da: Wired.comhttp://www.wired.com/underwire/2012/09/david-byrne-how-music-works/

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l Rock Contest (d’ora in poi RC) sta invecchiando, nel senso buono del termine: 24 anni di gruppi emergenti che hanno avuto la possibi-

lità di farsi notare: da Roy Paci a Irene Grandi, dagli Hacienda agli Street Clerks. Com’è cambiato il RC negli anni?Sicuramente è cambiato tantis-simo perché tutto il mondo della musica è cambiato: ora c’è Inter-net. I gruppi si propongono di-

versamente e il RC si è adeguato ai tempi. Usiamo molto Internet, sia per diffondere il bando che per radunare gruppi e promuovere il concorso. Dal punto di vista del-le proposte musicali si nota un aumento di qualità, a differenza delle vecchie edizioni dove c’e-rano anche progetti molto ap-prossimativi. Adesso la tecnologia permette di creare un demo ben fatto, senza nulla da invidiare ai dischi delle etichette, quasi senza

Riot Van ha incontrato Giuseppe Barone, direttore Artistico del Rock Contest per parlare dell’edizione di quest’anno, tracciare un bilancio del festival e discutere sulla situazione musicale a Firenze. Ecco il risultato.

rock Contest:11 lettere, 28 anni di grande musicaDietro la quinte del contest per band emergenti più longevo d'Italia

I

Foto Rock Contest

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muoversi da casa.Tanti generi musicali: dal cantau-torato italiano, all’afrobeat, pas-sando per l’elettronica ed il rap. Ormai il concetto di rock è stato affiancato ed allargato da una va-rietà enorme di generi e di stili; con quali criteri vengono selezio-nati i gruppi partecipanti?Il RC si chiama così perché nell’84 si scelse così. In quel periodo i ge-neri erano abbastanza distinti fra loro ma poi lo sviluppo della mu-sica ha portato ad una contami-nazione generale. Noi intendiamo come “Rock” un’attitudine, un po’ quella del “Do it yourself”, di non aspettare un produttore. Avere coraggio e fiducia nelle proprie cose, presentarle autoproducen-dosi: questo è Rock. Non conta il genere musicale, anche un ar-tista Hip-Hop può essere Rock: nella selezione del materiale sia-mo aperti a tutti i generi. Il nostro obiettivo è fare una fotografia del-la scena italiana anno per anno, seguire l’evoluzione dell’arte mu-sicale in Italia.Su quali elementi si basa la giuria per decretare il vincitore? C’è una giuria di esperti più il voto del pubblico che conta quanto uno della giuria.Il pubblico vota durante la serata tramite una scheda da mettere nell’urna del gruppo relativo. Questo perché noi vogliamo far valutare la pre-stazione live dal momento che i demo di oggi sono tutti fatti bene e non si distingue da lì la bravura. I componenti della giuria valutano la maturità del progetto, la padro-nanza tecnica sul palco, l’origina-lità della proposta. Nella finale ci sono giornalisti dalle principali testate musicali d’Italia e discogra-fici di etichette indipendenti che vengono per vedere le novità in anteprima. Cosa c’è in premio per il vincitore?Il vincitore ha diritto a dei giorni presso lo studio di registrazione Larione10, un ottimo studio dove sono stati registrati i migliori di-schi della musica italiana. Ci impe-gniamo inoltre per dare alla band vincitrice tutta la visibilità possibi-le e per aiutarli a suonare in situa-zioni qualificate. C’è da dire però

che non sempre è il vincitore quel-lo che riesce a far fruttare meglio la sua partecipazione al contest, in alcuni casi altri classificati si sono saputi imporre meglio all’atten-zione dei media. Ernesto De Pascale, due anni dal-la sua scomparsa ed un premio a lui dedicato per la miglior canzo-ne con testo in italiano; come si è adeguato il Rock Contest, all’as-senza di una figura così impor-tante? Ernesto è stato, negli anni della rinascita, una figura fonda-mentale del Contest. Per chi non lo conosce: lui era un grandissimo giornalista e conoscitore di musi-ca, ha fatto la famosa trasmissione Stereo Notte sulle radio della rai ed è stato uno dei più grandi co-noscitori della musica folk e blues internazionale. La sua eredità è stata in qualche modo metaboliz-zata, cerchiamo di fare come se lui ci fosse ancora. Lui sosteneva, non a torto, che in Italia è quasi impos-sibile avere una buona riuscita discografica cantando in inglese. Stava molto attento a questo, alla scrittura dei testi e alla musicalità delle parole. Abbiamo quindi isti-tuito questo premio per ricordarlo e per farlo tutti gli anni ci avvalia-mo di un testimonial della nuova scena cantautoriale italiana. L’an-no scorso avevamo Dario Brunori, di Brunori SAS e quest’anno Giu-seppe Peveri, meglio conosciuto come Dente. Una domanda sulla vostra emit-tente invece: Controradio organiz-za ogni anno il RC ma la situazione non è tutta rose e fiori. Come re-agite a questo momento di crisi? Dobbiamo dire che il RC è rea-lizzato con l’aiuto del comune di Firenze e della Regione Toscana,

i quali con un investimento vera-mente minimo mantengono vivo questo appuntamento impor-tante per tutta la scena non solo musicale ma anche produttiva toscana. Far crescere i gruppi che suonano ha tutto un indotto, dà lavoro ai negozi di strumenti mu-sicali, alle sale di prove, agli studi di registrazione, le istituzioni so-stengono il RC anche per questo. Per la radio invece è un modo per tenersi sempre aggiornata con la scena che ci interessa cioè quella dei musicisti e degli appassionati di musica. I finanziamenti stata-li per le emittenti radiofoniche sono diminuiti ancora quest’anno tranne che per le radio di partito. In tempi come questi, complice la crisi economica che rende difficile anche gli investimenti esterni su-gli spot, la radio si trova in grande difficoltà. Noi rispondiamo chie-dendo una sottoscrizione a tutti gli ascoltatori. A questo punto chi è appassionato di Controradio, per la musica e per l’informazio-ne, dovrebbe essere disposto a pagare qualche decina di euro, come se fosse l’abbonamento ad un giornale, per continuare a far esistere la radio.

Da qualche anno seguiamo da vicino le band che si danno bat-taglia al Rock Contest. Per l’edizio-ne 2012, insieme a blueswriters (blog di condivisione concerti), abbiamo creato una raccolta delle serate di quest’anno con pieno di recensioni e foto. Il tutto sfogliabile on-line su ri-otvan.net e blueswriters.com.

Mattia RutilensiElena Panchetti

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#13 - Inverno 201326

Farewell to hearth and homea cura di Mattia Rutilensi

lassica domanda intro-duttiva: da dove viene il nome del gruppo? E come mai ti firmi come “Una Boboli “?

Il nome del gruppo si è generato per sedimentazione con l’accumu-lo di numerose proposte.“Farewell to Hearth and Home” (d’ora in poi FTHAH ndr), inoltre, restituisce molto efficacemente il sentimen-to di abbandono che travaglia il nostro canzoniere.“Una Boboli” nasce da una preoc-cupazione fonetica: volevo evitaredi firmare i brani con il mio vero nome perchè troppo gof-fo e scomposto per un orecchio inglese.La storia del gruppo è un po’ par-ticolare. Raccontami come siamoarrivati dalla tua voglia di pub-blicare le canzoni al sestetto dei FTHAH di adesso.Quando mi sono reso conto che da solo non sarei mai riuscito a dare una forma decente alle can-zonette che avevo sbozzato in camera, ho affidato l’impresa a

Diego Boboli che è stato in grado di rianimare le opere con nuovi ar-rangiamenti, sopportando il carico del mixaggio e della produzione. Così, dopo un anno di isolamento nei Domestic Studios (il salotto di Boboli a Campi Bisenzio), i FTHAH pubblicavano nel Novembre 2010, il tanto atteso “Domestic EP”. Ci sono stati poi tentativi di riduzione elettronica e acustica per suona-re all’aperto preservando l’unione tra me e Diego Boboli. Infine gra-zie alle segrete manovre di Boboli, nell’estate 2011 FTHAH sono stati finalmente soccorsi da Marco Bal-ducci (chitarra acustica), France-sco Fanciullacci (batteria) e Nicola Beneventi (Batteria). Condotti alla Fattoria di Legri, io e Diego ci siamo rispettivamente installati all’ukule-le baritono ed al piano elettrico ed abbiamo avviato un intervento di ingrassamento e restauro dei pezzi.Nei primi giorni di Aprile 2012, tra canzoni inedite ed arrangiamen-ti rivoluzionari, abbiamo adotta-to nella formazione anche Emma Lanza e il suo violino.

Il vostro sound è stato “stravol-to” dal passaggio dall’ep al di-sco. Come avete vissuto questo cambiamento?Quando riascolto le incisioni in studio ricordo trovate musicali che sono andate perdute nel tra-sloco dai Domestic Studios alla Fattoria di Legri e che vorrei poter integrare nella nuova formazio-ne. In ogni caso, sono contento di come lavora il sestetto e non ba-ratterei il presente con glorie pas-sate o alternative ignote.Nei vostri testi si trovano spesso riferimenti alla realtà e ai luoghi comuni: il verso “The summer the news called the saddest ever known.” è un po’ una parodia dei servizi allarmistici dei tg che ogni anno annunciano le ondate di caldo assassino; la critica alle can-zonette in “Hegel says nothing about” è attuale più che mai; il testo di “Everytime i miss you my songbook rejoices” che gioca sul clichè dell’amore e delle sue pene come ispirazione è molto ironico ma allo stesso tempo acuto.

C

Foto: Farwell to heart and hom

e / foto esibizione: Tiziano Berti

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A cosa ti ispiri quando scrivi? Qual’è il filo conduttore del Do-mestic Ep?L’elemento che accomuna i testi dei FTHAH è una serpeggiante malinconia. L’ispirazione dunque non va intesa come sorgente di contenuti ma come caratteristica dello stile. Qualcuno ha classifi-cato la mia scrittura come “naif”: ho accolto l’etichetta ribaltando-ne il segno negativo, rileggendo-la come desiderio di indagare le massime categorie sbirciando nelle fessure più anguste. Questo travaso del grande nel piccolo si contrae con la comparsa di per-sonaggi immaginari. Quando Ca-roline, Josè o Eveline si affacciano al davanzale della canzone pro-mettono all’ascoltatore una ricca biografia che il testo in realtà non svelerà. Mantenere in movimen-to questo carosello di estrema vi-cinanza e incolmabile distanza tra pubblico e mondo fittizio della canzone è una delle gioie regala-tami dalla composizione.In “Hegel says nothing about Desperate Sundays” perchè hai scelto proprio il filosofo tedesco per questa canzone?Hegel non è stato scelto per par-ticolari demeriti filosofici o segre-ta disposizione alle redenzioni domenicali. Sembrerebbe legit-timo però aspettarsi una risposta illuminante perfino su questi di-lemmi da un colosso del pensiero sistematico. Il bizzarro riferimen-to al filosofo è la marcatura ironi-ca di una simile aspettativa.Come mai hai scelto di compor-re in Inglese? Ernesto De Pa-scale, ricordato nell’intervista a Barone, sosteneva che i testi in italiano hanno un’importanza non trascurabile. Diceva addirit-tura che in Italia non si può avere una buona riuscita discografica se non si canta in Italiano. Come la pensi al riguardo?La dimensione di mercato do-vrebbe dischiudersi come con-seguenza e riconoscimento del valore di un gruppo, non come una precondizione. Se i FTHAH ri-usciranno a mostrare al pubblico i loro “tesori” il mercato discogra-fico sarà costretto ad interessar-

si di loro. All’interno del gruppo esplodono comunque frequenti discussioni su questa faccenda ed il mio ottimismo è bilancia-to dal vigile Diego Boboli, che difende un più disincantato re-alismo. Da una prospettiva arti-stica la scelta dell’inglese è una necessità. Il talento necessario a partorire un testo in italiano, che sia almeno decente, mi è scono-sciuto: qualsiasi spunto o idea che si profila all’orizzonte viene soggiogata immediatamente alle pretese della lingua ingle-se. Nonostante ciò, molti mi in-vitano al rimpatrio con formule come: “Dal momento che scrivi in inglese, perché non scrivi in italiano?”. In realtà il consiglio ri-sulta strampalato quanto la do-manda: “Dal momento che sai dipingere, perché non scolpisci il marmo?”. L’abisso che divarica le opzioni “inglese” e “italiano” è titanico come quello che separa pittura e scultura.Le canzoni di Domestic le hai scritte tutte da solo. In futuro ci sarà spazio anche per gli altri nella concezione di nuovi brani?Mi sono abituato a considerare il canzoniere dei FTHAH come la riscrittura collettiva di un lavoro cantautoriale. Temo di non po-ter fare affidamento sulla ma-turità democratica che gover-na la composizione di gruppo. Inoltre la gestazione di un’opera musicale custodisce il momento di più bruciante delizia che rie-sco ad ottenere dal mestiere di canzonettaro.Al momento pensate di dare un seguito a Domestic o volete con-centrarvi di più sull’attività Live? O tenterete entrambe le cose? L’idea di barricarci in studio è se-ducente, sotto certi aspetti è an-che incoraggiata dall’urgenza di un nuovo lavoro che sguinzagli finalmente la più recente incar-nazione musicale dei FTHAH.Tuttavia l’obbligo di mantenere un elementare presenzialismo sul palco e il supporto che spe-riamo di ricevere da Controradio ci costringeranno ad un’altalena tra i concerti e l’accudimento del secondo album.

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avorare con Ernesto de Pascale è stato un grande privilegio. Progetti condivisi in dieci anni di frequentazione assidua mi hanno lasciato un’impronta fonda-mentale nella metodologia di lavoro,

non solo nella musica. Inoltre in così tanto tempo si conoscono le persone anche nel loro aspetto carat-teriale, non solo in quello della professione. E in una persona non comune come era Ernesto, ogni giorno era una sfida continua per capirlo al meglio. Si poteva godere della sua competenza e delle sue mille idee, ma si doveva anche incassare altri lati meno facili do-vuti all’estremo rigore con cui affrontava la sua stessa vita e che pretendeva fosse un metodo di coloro che lo circondavano. E’ quindi proprio dalla conoscenza e dal ricordo del carattere di Ernesto che sono entrato nel mondo di Seven Songs while the City is sleeping. Il mio ricordo era relativo a un pomeriggio di lavoro che lui stesso aveva programmato a casa sua con Gui-do Melis. Una giornata fredda di tardo autunno con la neve che sarebbe caduta su Firenze il giorno dopo. Era logico aspettarsi dunque delle canzoni dal mood pre-valentemente malinconico. Invece anche questa volta Ernesto era riuscito a stupirmi, perché l’intimismo che è alla base delle sette canzoni presentava molti mo-menti di solarità. Ogni brano è una sorta di Giano bi-fronte, ma dalle infinite sfumature tra un lato e l’altro della sua fisionomia. Ne viene fuori un autore che dia-logando con il suo pianoforte quasi si compiace di una scrittura divenuta più matura rispetto a quella di Mor-ning Manic Music, suo precedente album nel quale non mancavano elementi di spettacolarità. In questo caso invece si entrerà in punta in piedi in una stanza che a poco a poco diventa un auditorium. Un risultato che è stato reso possibile grazie al lavoro di ricostruzione ap-passionato di Guido Melis e Giulia Nuti. Proprio a quest’ultima sono infine particolarmente grato per la capacità di portare avanti in-sieme una buona parte delle idee di Ernesto. Perché queste Seven Songs sono senza alcun dubbio un bel modo di guardare avanti.

Michele Manzotti

SevenSongs

Seven Songs While The City is Sleeping è il terzo ca-pitolo della discografia solista di Ernesto de Pasca-le, preceduto dal debutto Morning Manic Music (Il Popolo del Blues, 2007) e da My Land is Your Land (Esoteric/Cherry Red/Audioglobe, 2008), album re-alizzato assieme ad Ashley Hutchings dei Fairport Convention, il “governatore” del folk rock inglese. La carriera di Ernesto come musicista fonda però le sue radici nelle esperienze con le band Lightshine e Hyp-nodance. Con quest’ultima, oltre all’omonimo LP e al 12 pollici In the City, nel 1988 insieme a Roberto Ter-zani e Massimo Altomare ha inciso l’album Il grande ritmo dei treni neri. Tra i suoni lavori come produttore si ricordano gli album Siberia e Tre volte lacrime dei Diaframma, oltre a quelli di Aeroplani Italiani e Artico-lo 31. Collaboratore di Jam, Rolling Stone, La Nazione, Viva Verdi e delle testate britanniche Rocksbackpages

e Record Collector, De Pascale è stato tra i conduttori di Rai Stere-onotte ed ha contribuito nel 1984 alla nascita di Videomusic. Dal 1995 ha condotto sulle frequenze di Controradio/Popolare Network il programma radiofonico Il Popo-lo del Blues e fondato il marchio omonimo. Il ricavato delle vendite dell’album da parte del Popolo del Blues sarà devoluto ad attività vol-te a promuovere l’arte e la musica tra i giovani, tematica verso la qua-le Ernesto de Pascale era partico-larmente sensibile.

L

Foto: Ernesto de Pascale / copertina album “S

even Songs”

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Oggi se la intendono tutti di cucina. I menù di quella, la prova di quell’altra, mezzogiorno di fuoco, e altre stronzate del genere. E a me queste cazzate mi stanno al culo, perchè non sono la Cucina. La cucina è sudore, sangue, ustioni, fatica, mani gelate e occhi che piangono su quelle fottute cipolle. In questa rubrica parleremo di cucina per davvero. A questo giro un assag-gio generale, giusto per testare i vostri palatini delicati.

Guardando quei programmi, sembra che cucinare sia una scampagnata, un pic nic con gli amici. Ma quella è la cucina vista come hobby, che se rie-sce bene e sennò sarà per la prossima. Ma un conto è cucinare il piattino per la tipa tanto carina che viene a cena, un conto è gestire una cucina con decine di ordinazioni. Forse l’unico programma che davvero ci mostra come funzionano le cose è Hell’s Kitchen, e infatti li la gente si ferisce e volano insulti come fosse il giorno del giudizio.Ma andiamo per ordine: in questi programmi di facile audience, ci si pre-senta all’audizione con il nostro piatto speciale, cantandosela e suonan-dosela su quanto sia buono, quanto piaccia alla nonna e al cognato. Se ai giudici, espertissimi, non girano le palle, uno magari vince e viene catapul-tato in una realtà totalmente estranea alla cucina. Quindi, tutto sommato, poche grane e alta percentuale di successo: diventare Chef è alla portata di tutti, babbei e non.Purtroppo o per fortuna nella realtà la scaletta è molto più lunga e tortuo-sa, caratterizzata da lavori poco gradevoli, incidenti di percorso e continui esami... una scuola dopo la scuola. In una cucina “vera” le operazione che vediamo in Tv sono più severe, mi viene in mente la divisa: tutti gli addetti di cucina portano giacca e cappello da chef e non jeans, giacche, lustrini e giarrettiere; inoltre piani di lavoro, taglieri e coltelli sono divisi e ben riconoscibili per alimento, non si può tagliare la carne dove si taglia il pesce. Bisogna oltretutto considerare la “platea “ alla quale ci si esibisce, chiaramente preparare un pasto che ha un certo costo e un certo numero di utenti comporta sacrificio e organizzazione. La cosa più divertente è ri-pensare al primo incontro con una cucina. Non sai minimamente da dove iniziare e tutto quello che pensavi di saper fare viene immediatamente cancellato; a quel punto cominciano, come dicevo, le brutte storie: pian-ti causati da infiniti chili di cipolle sbucciate, geloni alle mani dovuti alle quantità infinita di insalata lavata, tagli, bruciature e molte altre.In culo alla kitchen reality.

Giovan Balzey’s

Worda cura di Giovanni Balzini e Niccolò Seccafieno

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ORIZZONTALI2. Bastone con reticella per catturare insetti. 17. Protagonista di un’opera di Moliere. 19. Chiamato anche Zoroastro. 20. Mascot-te ufficiale Italia ’90. 21. Esperienze in aziende di durata molto variabile, allo scopo principale di apprendimento e formazione. 22. Aiuto Pubblico allo Sviluppo. 23. Honduras. 24. Sigla che con-traddistingue alcune motociclette della Honda. 26. Giuliana De ….attrice. 27. Approvazione, consenso, permesso. 28. Sostanza liquida o solida, farmacologicamente inattiva, nella quale si scio-glie un medicamento per meglio somministrarlo. 30. Versi acuti e lamentosi, emessi con insistenza dal cane. 31. io e … . 32. Certo, senza “se” e senza “ma”. 33. Non è la … di Ambra Angiolini. 35. Il Cattaneo che cantò “una zebra a pois” (iniz.) 36. un modello di scarpe Nike molto in voga. 37. Varriale giornalista sportive (iniz.) 38. Telamonio , figura mitologica greca. 40. Eccoci all’inizio. 41. Toilet, nello slang londinese. 42. Coppia d’assi. 44. National Bu-reau of Economic Research. 45. Centro Servizi Amministrativi. 47. Sistema che, anziché disperdere l’energia cinetica in forma

di calore durante la frenata, ne consente un parziale recupero sotto forma di energia meccanica o elettrica. 49. Girò, insieme ad altri tre registi, Four Rooms nel 1995. 54. Film di fantascienza del 1982 diretto da Steven Spielberg. 55. Concernente il ciclo da prodotto agricolo a prodotto alimentare. 56. La lupa spagnola. 58. Metà Thomas. 59. Viene premuto per registrare. 60. Producono miele. 61. Esploratore anglosassone. 62. Agassi, famoso tennista. 64. L’orso di Madrid. 66. Steve, fenomeno NBA. 67. Ok, va bene. 68. Due. 70. Senza emozione. 72. Precede il tres. 74. Conoscenza pervenuta al sapiente per vie divine o sapienziali. 76. Lenin, capo del partito bolscevico (iniz.) 77. Rivista dedicata al mondo dell’ar-redamento. 79. Catena di negozi di abbigliamento. 80. Pratica che avrebbe proprietà curative per mezzo di un aumento della temperatura di alcune zone del corpo non superficiali. 82. Moglie di Oronzo Canà. 83. Prima persona del verbo essere in latino. 84. Luce che sfiora una superficie. 86. Da un solo punto di vista 90. Da seguire se spiati da un meganoide. 91. Zinco. 92. una delle principali divinità dei popoli germanici, noto come il dio del tuo-

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no. 93. Si ripete in un programma televisivo sui viaggi nel mondo della natura. 94. prima persona del passato remoto di lodare. 95. Un punto di giallo.

VERTICALI1. Film del 2010 di R.Rodriguez. 2. Precede il cercasi nei giornali di annunci. 3. Può essere la tosse. 4. Si usa al posto di Company. 5. Facile in inglese, scritto come è detto. 6. Fiume delle Alpi ber-nesi. 7. Alain, ex pilota di formula 1. 8. Chi calma gruppi in con-trasto. 9. In fondo al patio. 10. Fiber Home Network. 11. Maturi senza dispari. 12. Una motocicletta sportiva dell’Aprilia. 13. Acido derivato dal dicarbossilico del benzene, sostanza cristallina inco-lore usata per la preparazione di coloranti organici. 14. Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana. 15. Smet-tere di tenere. 16. Scienza che studia i fenomeni cui danno luogo cariche statiche. 18. Vedi foto in basso a dx. 21. Che può essere ridotto in piccolissime parti. 25. Compiere uno scatto improvviso e velocissimo. 27. Due elementi della stessa specie che sono o si

considerano insieme. 29. Relativo ad un epoca del periodo del Paleogene. 30. Ippoliti personaggio televisivo italiano. (iniz.) 34. Ammasso, mucchio. 39. Engine Room Team Management. 41. Locale con impianto igienico per il soddisfacimento dei bisogni corporali. 43. Oggetto con grande facilita di movimento nell’a-ria. 46. Cantarono “ Rhythm Is a Dancer”. 47. Azienda collettiva russa.48. Gioco enigmistico. 49. Stato del Medio Oriente. 50. per niente, non se ne parla neanche. 51. Vengono fatti con fogli di carta piegati più volte. 52. Provincia di Rimini. 53. Internet Explo-rer.57. tipo di farina. 61. Solid-State Drive.63. rivolta internazio-nale.65. Saggezza, soprattutto con riferimento alla condotta nella vita pratica. 69. Guardare poeticamente. 71. La Dalser compagna di Mussolini.73. Aronica, calciatore italiano (iniz.) 74. Arrivò. 75. Può esserlo un killer. 78. Locale popolare in cui si balla.80. Diritto allo Studio Universitario. 81. Madre senza pari.85. Torino in auto. 87. Preposizione semplice. 88. American Head Charge. 89. Prece-de i “signori” per sottolinearne l’importanza.

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