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©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte La tavoletta rappresentante S. Girolamo misura cm. 41 di altezza per 31 di larghezza; quella ove i tre Angeli appaiono ad Abramo, cm. 30,4 di largo per 21,41 di altezza; la prima venne tagliata nel lato dietro il Santo (a destra di chi guarda) dove non solo manca il margine corrispondente al lato opposto, ma si possono anche vedere tagliate le gallerie dei tarli. L'altro dipinto invece presenta un taglio assai irregolare su tutti e due i lati minori. A sinistra la scena deve essere quasi completa, a destra invece venne tagliata nel punto in cui posava sul terreno il cappello di Abramo, una cui falda è ancora visibile. Questa ultima tavoletta serba nella parte inferiore larghe tracci e di una Zona dorata che doveva così limitarla. I caratteri e l'identità dello stile fan pensare che le due tavolette appartengono ad uno stesso periodo, assai pros- simo a quello in cui venne eseguita la Crocifissione di Hermannstadt e la Pietà Gavazzi pubblicata dal Fiocco nella Critica d'Arte.I) Il Bottari anzi, nell'articolo della stessa rivista 2) che tanto chiarifica la prima formazione di Antonello, pensa che le due tavolette di Reggio Cala- bria e la Pietà oggi a Milano ma proveniente pur essa dalla Calabria, possano far parte di uno stesso polittico. Per quanto non siano certo queste ragioni sufficienti per scartare a priori tale ipotesi, pure le misure di un poco . maggiori nella Pietà Gavazzi (cm. 52 di altezza per cm. 38, mentre il S. Girolamo cui dovrebbe fare riscon- tro misura cm. 41 alt. per 31) e la diversa qualità del legno (noce le due tavole di Reggio, pioppo, a quanto I) G. FIOCCO, Una nuova opera giovanile di Antonello da Messina. La Critica d'Arte (IX) giugno 1937, p. 110 ss. 2) STEFANO BOTTARI, Il primo Antonello, id., p. 97 ss., fà la storia delle varie attribuzioni e dà la bibliografia relativa alle due tavolette. afferma il Fiocco, quella di Milano) pongono una nota dubitativa all' idea avanzata dal Bottari. In ogni modo appare certo, anche dalla sola riproduzione fotografica, che i tre dipinti appartengono ad uno stesso momento creativo. Nel 1457 (prima data conosciuta per l'attività di Antonello) il maestro firmava un contratto con cui si impegnava a dipingere un gonfalone per la Confrater- nita di S. Michele dei Gerbini in Reggio Calabria (cfr. i documenti relativi in Di Marzo 3) e bibliografia nel- l'articolo citato del Bottari) recante da un lato la imma- gine della Vergine col Bambino, dall'altro le Storie della Passione di Cristo e al disopra S. Michele. Nel 1460 sappiamo dai documenti che l'artista si trovava in Cala- bria e stava per far ritorno in patria con la sua famiglia. Nemmeno la chiara ed esauriente ricerca del Bottari ha potuto far luce sull'attività di Antonello in Cala- bria o per la Calabria. La data 1457, prima nei docu- menti che parlano del Messinese, viene ormai da tutti accettata per i due quadretti di Reggio Calabria, che mal- grado la mancanza di decisivi punti di riferimento recano chiaro il nome del maestro nella nobiltà della loro arte. Il restauro oggi compiuto non è valso solo a fermare · l'azione disgregatrice del tempo; ma ha riportato i due dipinti a quella cristallina nitidezza che più di ogni documento ne afferma l'alta paternità; paternità che, di fronte alle opere così reintegrate nel loro vero valore, nemmeno i critici ancora dubbiosi potranno più negare. PAOLA DELLA PERGOLA 3) G. DI MARZO, Di Antonello e dei suoi congiunti, Palermo 1903; D., Nuovi studi ed appunti su Antonello da Messina, Messina 1905. Cfr. anche G. LA CORTE CAIL- LER, Antonello da Messina, in Archivio Storico Messi- nese, 1903. RESTAURI DI MON· UMENTI LA FACCIATA DELLA CHIESA DI S. PRASSEDE A ROMA L A facciata della Chiesa di S. Prassede, che come è noto risaliva ad un restauro di sistemazione e di adat- tamento della basilica, compiuto quando ne era titolare S. Carlo Borromeo (1560) presentava strapiombi e le- sioni, che richiesero urgenti lavori di consolidamento, eseguiti a spese del Fondo per il Culto, ad opera del Ge- nio Civile e sotto la direzione artistica della R. Soprain- tendenza ai Monumenti per il Lazio. Appena iniziato il restauro e tolto lo strato di intonaco cinquecentesco ap- parve al disotto di esso una cortina laterizia del tutto simile a quella dei muri perimetrali della basilica, mura- tura"che si ha ragione di ritenere quella originaria della costruzione di Pasquale I (817 - 824). Oltre alle normali opere di scrostamento e di consolidamento, si dovettero affrontare diversi problemi di carattere statico e stili- stico e primo fra tutti quello offerto dal pessimo stato della cortina nella sua metà inferiore; infatti non solo la malta aveva perduto il suo potere coesivo, ma il mattone appariva consumato e sfarinato al punto di non poter essere rimesso in vista in quelle condizioni per ovvie ragioni estetiche e statiche. Si dovette pertanto nella parte inferiore provvedere a larghissime riprese della cortina lasciando sussistere quella antica solo là dove essa era meglio conservata e ciò specialmente nella parte superiore. In alto, al disopra del portale cinquecentesco che è stato conservato, perchè non era possibile ripristi- nare l'apertura antica della quale non conosciamo nè la forma nè la dimensione, si trovarono le due finestre estre- me originarie con doppia centina di laterizi, uguali a quelle esistenti nella navata centrale ed anzi nello sguan- cio di quella sinistra si rinvenne un resto di decorazione musiva a disegno geometrico. La finestra mediana che era andata perduta, perchè sostituita da quella più ampia del restauro cinquecentesco è stata rifatta in tutto simile alle laterali venute in luce; I) per la chiusura di esse sono state adottate transenne analoghe a quella tuttora

RESTAURI DI MON·UMENTI

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©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

La tavoletta rappresentante S. Girolamo misura cm. 41 di altezza per 31 di larghezza; quella ove i tre Angeli appaiono ad Abramo, cm. 30,4 di largo per 21,41 di altezza; la prima venne tagliata nel lato dietro il Santo (a destra di chi guarda) dove non solo manca il margine corrispondente al lato opposto, ma si possono anche vedere tagliate le gallerie dei tarli. L'altro dipinto invece presenta un taglio assai irregolare su tutti e due i lati minori. A sinistra la scena deve essere quasi completa, a destra invece venne tagliata nel punto in cui posava sul terreno il cappello di Abramo, una cui falda è ancora visibile. Questa ultima tavoletta serba nella parte inferiore larghe tracci e di una Zona dorata che doveva così limitarla.

I caratteri e l'identità dello stile fan pensare che le due tavolette appartengono ad uno stesso periodo, assai pros­simo a quello in cui venne eseguita la Crocifissione di Hermannstadt e la Pietà Gavazzi pubblicata dal Fiocco nella Critica d'Arte.I) Il Bottari anzi, nell'articolo della stessa rivista 2) che tanto chiarifica la prima formazione di Antonello, pensa che le due tavolette di Reggio Cala­bria e la Pietà oggi a Milano ma proveniente pur essa dalla Calabria, possano far parte di uno stesso polittico. Per quanto non siano certo queste ragioni sufficienti per scartare a priori tale ipotesi, pure le misure di un poco

. maggiori nella Pietà Gavazzi (cm. 52 di altezza per cm. 38, mentre il S. Girolamo cui dovrebbe fare riscon­tro misura cm. 41 alt. per 31) e la diversa qualità del legno (noce le due tavole di Reggio, pioppo, a quanto

I) G. FIOCCO, Una nuova opera giovanile di Antonello da Messina. La Critica d'Arte (IX) giugno 1937, p. 110 ss.

2) STEFANO BOTTARI, Il primo Antonello, id., p. 97 ss., fà la storia delle varie attribuzioni e dà la bibliografia relativa alle due tavolette.

afferma il Fiocco, quella di Milano) pongono una nota dubitativa all' idea avanzata dal Bottari. In ogni modo appare certo, anche dalla sola riproduzione fotografica, che i tre dipinti appartengono ad uno stesso momento creativo. Nel 1457 (prima data conosciuta per l'attività di Antonello) il maestro firmava un contratto con cui si impegnava a dipingere un gonfalone per la Confrater­nita di S. Michele dei Gerbini in Reggio Calabria (cfr. i documenti relativi in Di Marzo 3) e bibliografia nel­l'articolo citato del Bottari) recante da un lato la imma­gine della Vergine col Bambino, dall'altro le Storie della Passione di Cristo e al disopra S. Michele. Nel 1460 sappiamo dai documenti che l'artista si trovava in Cala­bria e stava per far ritorno in patria con la sua famiglia. Nemmeno la chiara ed esauriente ricerca del Bottari ha potuto far luce sull'attività di Antonello in Cala­bria o per la Calabria. La data 1457, prima nei docu­menti che parlano del Messinese, viene ormai da tutti accettata per i due quadretti di Reggio Calabria, che mal­grado la mancanza di decisivi punti di riferimento recano chiaro il nome del maestro nella nobiltà della loro arte.

Il restauro oggi compiuto non è valso solo a fermare · l'azione disgregatrice del tempo; ma ha riportato i due dipinti a quella cristallina nitidezza che più di ogni documento ne afferma l'alta paternità; paternità che, di fronte alle opere così reintegrate nel loro vero valore, nemmeno i critici ancora dubbiosi potranno più negare. PAOLA DELLA PERGOLA

3) G. DI MARZO, Di Antonello e dei suoi congiunti, Palermo 1903; D., Nuovi studi ed appunti su Antonello da Messina, Messina 1905. Cfr. anche G. LA CORTE CAIL­LER, Antonello da Messina, in Archivio Storico Messi­nese, 1903.

RESTAURI DI MON·UMENTI LA FACCIATA DELLA CHIESA DI S. PRASSEDE A ROMA

L A facciata della Chiesa di S. Prassede, che come è noto risaliva ad un restauro di sistemazione e di adat­

tamento della basilica, compiuto quando ne era titolare S. Carlo Borromeo (1560) presentava strapiombi e le­sioni, che richiesero urgenti lavori di consolidamento, eseguiti a spese del Fondo per il Culto, ad opera del Ge­nio Civile e sotto la direzione artistica della R. Soprain­tendenza ai Monumenti per il Lazio. Appena iniziato il restauro e tolto lo strato di intonaco cinquecentesco ap­parve al disotto di esso una cortina laterizia del tutto simile a quella dei muri perimetrali della basilica, mura­tura" che si ha ragione di ritenere quella originaria della costruzione di Pasquale I (817 - 824). Oltre alle normali opere di scrostamento e di consolidamento, si dovettero affrontare diversi problemi di carattere statico e stili­stico e primo fra tutti quello offerto dal pessimo stato della cortina nella sua metà inferiore; infatti non solo la malta aveva perduto il suo potere coesivo, ma il mattone

appariva consumato e sfarinato al punto di non poter essere rimesso in vista in quelle condizioni per ovvie ragioni estetiche e statiche. Si dovette pertanto nella parte inferiore provvedere a larghissime riprese della cortina lasciando sussistere quella antica solo là dove essa era meglio conservata e ciò specialmente nella parte superiore. In alto, al disopra del portale cinquecentesco che è stato conservato, perchè non era possibile ripristi­nare l'apertura antica della quale non conosciamo nè la forma nè la dimensione, si trovarono le due finestre estre­me originarie con doppia centina di laterizi, uguali a quelle esistenti nella navata centrale ed anzi nello sguan­cio di quella sinistra si rinvenne un resto di decorazione musiva a disegno geometrico. La finestra mediana che era andata perduta, perchè sostituita da quella più ampia del restauro cinquecentesco è stata rifatta in tutto simile alle laterali venute in luce; I) per la chiusura di esse sono state adottate transenne analoghe a quella tuttora

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FIG. I - ROMA, CHIESA DI S. PRASSEDE - FACCIATA (Gab. Fot. Naz., Roma)

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FIG. 2 - ROMA, CHIESA DI S. PRASSEDE - BLOCCHI DI TUFO SOTTO LA FACCIATA (Fot. R. Soprint., Roma)

esistente integra ed in situ alla base del campanile, varian­done i disegni secondo altri numerosi frammenti ritrovati nelle finestre stesse ed in quelle della navata centrale. 2)

Tale fortunato ritrovamento ha permesso così di resti­tuire, se pure in piccola parte,alla basilica del sec. IX il suo originario sistema di illuminazione che la traccia delle aperture nella navata maggiore consente di riportare al completo, in una forma però solo ideale, poichè il loro ripristino è reso impossibile dalle ulteriori trasformazioni.

Passando ora a considerare la facciata quale appare dopo il restauro, si deve osservare come il tipo della mura­tura e la forma delle finestre arcuate corrisponda in tutto a quanto del tempo di Pasquale I è ancora visibile sui fianchi della navata maggiore; pertanto quella che è stata rimessa in luce in S. Prassede deve ritenersi un esemplare tipico e senza riscontri fra le altre chiese romane di quel tempo. 3) Ma la parte terminale della facciata stessa con la caratteristica cornice a mensoline non può appartenere al sec. IX; ciò è confermato da di­versi fatti e principalmente dall'avere in quel tratto la muratura un andamento più irregolare rispetto alla parte sottostante. Per di più l'edicoletta al sommo della facciata, che è rimasta incompiuta non essendovi gli elementi per una ricostruzione, si approfonda tanto nella muratura da doversi considerare nata con essa più tosto che applicata posteriormente. L'analisi di quanto rimane dell'edicola permette d'altra parte di stabilire che essa doveva essere stilisticaménte prossima a quella del fianco di S. Maria in Trastevere o alle altre dei campanili di

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FIG. 3 - ROMA, CHIESA DI S. PRASSEDE - SCALA PRESSO LA FACCIATA (Fot. R. Soprint., Roma)

S. Maria Nova o di S. Giovanni e Paolo. Occorre al­tresi osservare che quanto si è notato nella parte superiore della facciata, si può riscontrare anche sui fianchi ove ricorre la medesima cornice di fattura un poco bizzara ed insolita e la muratura fra essa e le finestre appare di fattura alquanto diversa. Sembra perciò probabile che al momento in cui furono eretti gli archi trasversi della na­vata centrale, si modificasse anche la pendenza del tetto e magari si rialzasse di un poco la navata stessa rifa­cendo poi la cornice di coronamento. Il problema della terminazione della facciata si connette cosi con quello più arduo che la fabbrica presenta, problema insieme sta­tico e storico, in quanto non appare chiara la necessità che indusse alla costruzione degli archi trasversi e si hanno sin'ora termini troppo lontani nel tempo fra i quali collocare quella serie di lavori. 4) Le notizie storiche a questo proposito scarseggiano e mentre sembra troppo semplice trarre partito dalle disavventure di Gelasio II, si sa di positivo solo che Anastasio IV (II53 - 54) conce­dette la chiesa ai monaci di S. Maria de Reno di Bologna e che a questi, dopo un periodo di cattiva amministra­zione, successero i Vallombrosani sotto Celestino III (IIgI-IIg8). 5) Che con questi passaggi di proprietà pos­sano collegarsi i lavori non appare difficile, ma mentre la costruzione del pro tiro può ben risalire alla prima metà del sec. XII o al più tardi al pontificato di Anastasio, tempo nel quale si manifesta in Roma la tipica influenza lombarda che determina l'alternarsi di pilastri e colonne in S. Maria in Cosmedin e la costruzione di altri protiri

Page 4: RESTAURI DI MON·UMENTI

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come quello della stessa chiesa e di S. Clemente, con senso non ancora rinnovato nell'uso del materiale di spoglio, la stessa data non sembra convenire alla spiritosa bizzarria della cornice di coronamento o all' avanZato progresso tec­nico che indusse ad utilizzare l'arco trasverso non nella sua funzione costruttiva, quale elemento limitante della cam­pata, ma quale parziale sostituzione delle capriate con evi­denti vantaggi di solidità e di durata. 6) Pertanto, se quei lavori ebbero lo scopo che si è cercato di chiarire, essi si po­trebbero datare con probabilità al principio del sec. XIII, poco dopo la concessione della chiesa ai Vallombrosani.

Notevole importanza hanno pure altri ritrova menti eseguiti in occasione dei lavori di consolidamento; si è infatti potuto accertare che la facciata sorge su grossi blocchi di tufo squadrato rimessi in opera, allo stesso modo di quanto avviene per il fianco della chiesa di San Martino ai Monti; nè sono state trovate sotto la facciata e l'atrio tracce della precedente costruzione del sec. IV, in pieno accordo con quanto afferma il liber Pontifi­calis che Pasquale I riedificò la basilica in luogo vicino, ma diverso da quello ove anteriormente essa era situata.

Altro ritrovamento d'importanza è quello che riguarda l'atrio della chiesa, la cui presenza fin' ora si poteva solo supporre attraverso l'esistenza del piccolo cortile anti­stante, cui si giunge attraverso la lunga scala creata dal restauro del Borromeo e recentemente rinnovata e miglio­rata. Infatti sul lato sinistro del cortile sono state rimesse in luce due colonne con capitello corinzio di spoglio, rac­cordate da arcate in laterizio e di un' altra è stata accertata l'esistenza nell' interno della casa a sinistra della scalinata. Da quanto ancora appare è possibile ritenere che una buona parte dell'atrio stesso sia tuttora conservata e già fin da ora si possono definire i caratteri di tale parte della Basilica. Le colonne alte circa m. 3,80 distano fra loro m. 2,15; i capitelli sono di spoglio analoghi a quelli delle due prime colonne della navata ora incluse in un pilastro di muratura; la brevità degli intercolunni, la presenza degli archetti, l'uso del materiale di spoglio analogamente a quanto fu fatto nella chiesa di S. Prassede e in quella di S. Maria in Domnica, inducono a ritenere che anche l'atrio appartenga al tempo di Pasquale I, opera quindi anch' essa tipica ed unica dell'architettura medioevale romana.

GUGLIELMO MATTHIAE

I) Il tipo di facciata con tre finestre uguali e allineate fu assai comune a Roma ed antiche incisioni mostrano quale larga diffusione esso avesse; ha origine da esemplari romani e più precisamente dalla facciata dioclezianea della Curia e si diffuse prestissimo nell'architettura chiesastica (S. Salvatore di Spoleto).

2) Sulla datazione e l'importanza della transenna in situ discusse già A. MUNoz, Studi nelle chiese romane di S. Sabina e S. Prassede, in Dissertazioni della Pontificia Accademia d'Archeologia, XIII.

3) Le antiche facciate del tempo di Leone III o di Pasquale I sono state tutte trasformate; e da notare come nella navata le finestre, che hanno proporzioni ana­loghe a quelle dei Santi Nereo e Achilleo, possono sem­brare abbinate o assai avvicinate due a due.

4) MUNOZ A., op. cito

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FIG. 4 - ROMA, CHIESA DI s. PRASSEDE COLONNA DELL'ANTICO ATRIO (Fot. R. Sopr., Roma)

5) FEDELE P., Tabularium S. Praxedis in Atti della Società romana di Storia Patria, XXVI, 1-2.

6) Tale uso degli archi trasversi corrisponde piùttosto che ad un periodo di influenza lombarda, ad una volgariz­zazione pratica di quelle ricerche costruttive per lo svi­luppo dell'architettura gotica ed appunto in questo senso ebbe la sua applicazione in Italia dalla fine del sec. XII.

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