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Polinomi CCF 28 gennaio 2010 1 Introduzione Poniamoci in un ambiente molto familiare: l’insieme dei polinomi nella va- riabile x. Di tale insieme vogliamo studiare alcune propriet`a, legate a nozioni altrettanto familiari quali quella di radice o di scomposizione in fattori ir- riducibili. Cercheremo di mettere in evidenza che molte delle propriet`a pi` u rilevanti dipendono in definitiva dalla struttura dell’insieme in cui scegliamo i coefficienti dei nostri polinomi. Consideriamo ad esempio il polinomio p(x)=7x 2 - 14. Possiamo ri- scrivere tale polinomio in tante forme fra loro equivalenti, elenchiamone alcune: - p(x)=7 · (x 2 - 2) - p(x)= -7 · (2 - x 2 ) - p(x)= -21 · ( 2 3 - x 2 3 ) - p(x)=7 · (x - 2) · (x + 2) e cos` ı via in infinite varianti... Armati di uno spirito un po’ radicale, potremmo porci alcune domande: hanno qualcosa in comune tutte queste decomposizioni ? Che legame esiste fra le decomposizioni di p(x) in cui intervengono solo numeri interi e quelle in cui intervengono anche numeri razionali o irrazionali ? In ogni caso, oltre alle decomposizioni che abbiamo elencato e a tutte quelle simili che si pos- sono ricavare in modo analogo moltiplicando per degli ulteriori coefficienti, ne esistono di realmente differenti ? E se invece considerassimo un altro polinomio - diciamo ad esempio q(x)=2x 14 - 7 - cosa saremmo in grado di affermare ? Cosa ci assicurerebbe di poter infine giungere anche per q(x) ad una decomposizione di questo stesso tipo ? 1

Polinomi - crf.uniroma2.itcrf.uniroma2.it/wp-content/uploads/2010/04/Polinomi.pdf · f viene denotato con il simbolo1 deg(f). Chiaramente, un polinomio non nullo f ha grado zero se

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Polinomi

CCF

28 gennaio 2010

1 Introduzione

Poniamoci in un ambiente molto familiare: l’insieme dei polinomi nella va-riabile x. Di tale insieme vogliamo studiare alcune proprieta, legate a nozionialtrettanto familiari quali quella di radice o di scomposizione in fattori ir-riducibili. Cercheremo di mettere in evidenza che molte delle proprieta piurilevanti dipendono in definitiva dalla struttura dell’insieme in cui scegliamoi coefficienti dei nostri polinomi.

Consideriamo ad esempio il polinomio p(x) = 7x2 − 14. Possiamo ri-scrivere tale polinomio in tante forme fra loro equivalenti, elenchiamonealcune:

- p(x) = 7 · (x2 − 2)

- p(x) = −7 · (2 − x2)

- p(x) = −21 · (23 − x2

3 )

- p(x) = 7 · (x −√

2) · (x +√

2)

e cosı via in infinite varianti...Armati di uno spirito un po’ radicale, potremmo porci alcune domande:

hanno qualcosa in comune tutte queste decomposizioni ? Che legame esistefra le decomposizioni di p(x) in cui intervengono solo numeri interi e quellein cui intervengono anche numeri razionali o irrazionali ? In ogni caso, oltrealle decomposizioni che abbiamo elencato e a tutte quelle simili che si pos-sono ricavare in modo analogo moltiplicando per degli ulteriori coefficienti,ne esistono di realmente differenti ? E se invece considerassimo un altropolinomio - diciamo ad esempio q(x) = 2x14 − 7 - cosa saremmo in grado diaffermare ? Cosa ci assicurerebbe di poter infine giungere anche per q(x) aduna decomposizione di questo stesso tipo ?

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In estrema sintesi, cio che vogliamo arrivare a mettere in luce in questenote e che l’insieme dei polinomi gode in definitiva di molte proprieta similia quelle che sappiamo essere valide per i numeri interi. Piu precisamentei suoi elementi possono sempre essere fattorizzati in modo essenzialmenteunico come prodotti di potenze di certi elementi fondamentali, vale a diredei “polinomi irriducibili”. La fattorizzazione - proprio come nel caso dellafattorizzazione in Z - risultera unica a meno dell’ordine dei fattori e dellamoltiplicazione per degli “elementi invertibili”.Cominciamo a fissare qualche notazione. Per indicare il generico polinomio

f(x) = a0 + a1x + · · · + an−1xn−1 + anxn,

spesso utilizzeremo il simbolo di sommatoria

f(x) =n∑

i=0

aixi.

Denoteremo poi rispettivamente con Z[x], Q[x] e R[x] gli insiemi dei polinomia coefficienti interi, razionali e reali:

Z[x] = {n∑

i=0

aixi | ai ∈ Z},

Q[x] = {n∑

i=0

aixi | ai ∈ Q},

R[x] = {n∑

i=0

aixi | ai ∈ R}.

Piu in generale denoteremo con

D[x] = {n∑

i=0

aixi | ai ∈ D},

l’insieme dei polinomi a coefficienti in D quando non sara necessario speci-ficare se D = Z, Q o R.Come vedremo, una circostanza che determinera qualche differenza abba-stanza importante fra le proprieta di Z[x] e quelle di Q[x] e R[x], e dovutaal fatto che in Z ci sono solo due elementi invertibili : +1 e −1. Invece, inQ e in R tutti gli elementi diversi da zero sono invertibili. In generale, se

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D = Z, Q o R l’insieme degli elementi invertibili di D sara denotato con ilsimbolo D×:

D× = {x ∈ D | ∃y ∈ D | x · y = 1}.

Osserviamo ora che l’insieme dei polinomi D[x] e dotato evidentemente didue operazioni interne: vale a dire la somma e il prodotto. Un’altra opera-zione - questa volta esterna - usuale quando si ha a che fare con i polinomie la cosiddetta sostituzione. Fissato comunque un numero c ∈ D risultadefinita una funzione

Sc : D[x] → D

che al generico polinomio f(x) associa il suo valore in c: Sc(f(x)) = f(c).Nella prossima sezione vedremo pero che per comprendere meglio la struttu-ra dell’insieme dei polinomi e indispensabile studiare un’ulteriore operazione:la divisione.

2 Grado e divisione con resto

In questa prima sezione introduciamo due strumenti basilari: il concetto digrado di un polinomio e l’algoritmo di divisione con resto. Per cominciarediamo pero una serie di definizioni che ci saranno utili nel corso di questatrattazione.

2.1 Definizione. Dati due polinomi a(x), b(x) ∈ D[x] diremo che a(x)divide b(x) - in simboli a(x) | b(x) - se esiste c(x) ∈ D[x] tale che

a(x) · c(x) = b(x).

2.2 Definizione. Un polinomio f(x) ∈ D[x] e detto invertibile in D[x]se f(x) | 1.

2.3 Definizione. Un polinomio f(x) ∈ D[x] si dice irriducibile se in ognisua fattorizzazione f = g · h almeno uno fra g e h e un elemento invertibilein D[x].

2.4 Definizione. Consideriamo il monomio non nullo a · xk ∈ D[x]:definiamo il suo grado come l’intero non negativo k. Piu in generale, il grado

del polinomio f(x) =n∑

i=0aix

i, con an 6= 0, e n. Il grado di un polinomio

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f viene denotato con il simbolo1 deg (f). Chiaramente, un polinomio nonnullo f ha grado zero se e soltanto se e un polinomio costante f = a0 = a0x

0.Per delle ragioni tecniche e opportuno definire il grado del polinomio (iden-ticamente) nullo come −∞. In simboli: deg (0) := −∞. Si adottano inoltrele seguenti convenzioni: −∞ < n e −∞ + n = −∞, ∀n ∈ Z.

2.5 Lemma. Siano f, g ∈ D[x] due polinomi.

- deg (−f) = deg (f);

- deg (f + g) ≤ max (deg (f), deg (g));

- deg (f · g) = deg (f) + deg (g).Dimostrazione. Per esercizio, facendo attenzione al polinomio nullo. �

Avendo a disposizione la nozione di grado non e difficile dimostrare iseguenti risultati.

2.6 Esercizio. Utilizzando il Lemma precedente dimostra che

- gli invertibili in D[x] sono esattamente i polinomi costanti che sonoinvertibili in D;

- se c ∈ D e c e irriducibile in D allora il polinomio costante c ∈ D[x] eirriducibile in D[x];

- ogni polinomio di grado 1 il cui coefficiente direttore e invertibile in De irriducibile.

Parliamo ora della divisione con resto. Stabilire l’esistenza e l’unicita delquoziente e del resto nella divisione fra polinomi e un costituira un passocruciale per il nostro programma di esplorazione delle analogie fra i polinomie i numeri interi. Come vedremo e da tale risultato che discenderanno leproprieta di fattorizzazione. Sottolineiamo inoltre che esso ci permette difornire un esempio niente affatto banale di dimostrazione per induzione.

2.7 Teorema. Siano

f(x) =n∑

i=0

aixi, g(x) =

m∑j=0

bjxj

due polinomi di D[x] tali che bm ∈ D×. Allora esistono e sono unici duepolinomi q(x), r(x) ∈ D[x] tali che

f(x) = q(x) · g(x) + r(x), e deg (r) < deg (g).1Derivato dalla parola inglese “degree”, che appunto significa grado.

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Dimostrazione. Se deg (f) < deg (g), possiamo prendere q = 0 e r = f .

Se invece deg (f) ≥ deg (g), sia allora f(x) =n∑

i=0aix

i, g(x) =m∑

j=0bjx

j ,

con an 6= 0 e bm ∈ D×, n ≥ m ≥ 0. Procederemo per induzione su n =deg (f). Se n = 0, allora m = 0, f = a0 e g = b0. Si puo dunque scegliereq = a0 · b−1

0 e r = 0, ottenendo infatti deg (r) < deg (g) e q · g + r =(a0b

−10 )b0 = a0 = f .Assumiamo ora che la parte del teorema che riguarda l’esistenza sia vera

per i polinomi di grado minore di n = deg (f). Un calcolo immediato mostrache il polinomio (anb−1

m xn−m) · g ha grado n e coefficiente di grado massimoan. Quindi

f − (anb−1m xn−m) · g = (anxn + · · · + a0) − (anxn + · · · + anb−1

m b0xn−m)

e un polinomio di grado minore di n. L’ipotesi induttiva assicura allora cheesistono dei polinomi q′ e r tali che

f − (anb−1m xn−m) · g = q′g + r e deg (r) < deg (g).

Possiamo allora porre q = (anb−1m xn−m) + q′, ottenendo

f = (anb−1m xn−m) · g + q′g + r = q · g + r.

Passiamo ora a provare la parte del teorema che riguarda l’unicita. Sup-poniamo che sia f = q1 · g + r1 e f = q2 · g + r2, con deg (r1) < deg (g) edeg (r2) < deg (g). L’uguaglianza q1 · g + r1 = q2 · g + r2 implica che

(q1 − q2) · g = r2 − r1.

Il Lemma 2.5 assicura allora che

deg (q1 − q2) + deg (g) = deg (r2 − r1) ≤ max (deg (r2), deg (r1)) < deg (g).

Pertanto necessariamente deg (q1 − q2) = −∞ = deg (r2 − r1). In altri ter-mini q1 − q2 = 0 e r1 − r2 = 0. �

2.8 Corollario. (Teorema del resto.) Sia f ∈ D[x] un polinomio. Perogni c ∈ D, esiste un unico polinomio q ∈ D(x) tale che

f(x) = q(x) · (x − c) + f(c).

5

Dimostrazione. Se f = 0, allora q = 0. Se invece f 6= 0, possiamo usare ilTeorema 2.7 e concludere che esistono e sono unici due polinomi q(x) e r(x)in D[x] tali che f(x) = q(x) · (x − c) + r(x) con deg (r) < deg (x − c) = 1.Pertanto r(x) e un polinomio costante r(x) = r0 (eventualmente nullo). Ora,ovviamente risulta

f(c) = q(c) · (c − c) + r0 = r0.

Fattorizzazione unica in Q[x] e R[x] e massimo comun divisore

Il Teorema 2.7 ha delle conseguenze importanti. Per cominciare, esso implicache la struttura di Q[x] e di R[x] hanno delle analogie molto strette con quelladi Z. Esso ci assicura infatti che - similmente a quanto capita in Z - si puoeffettuare la divisione fra due qualsivoglia elementi in Q[x] o R[x] (purcheil secondo non sia nullo) trovando un resto di grado inferiore a quello deldivisore. Non e difficile allora, a partire da tale proprieta, vedere che ognipolinomio in Q[x] o in R[x] si puo fattorizzare come prodotto di un numerofinito di fattori irriducibili (o “primi”). Inoltre tale fattorizzazione risulteranecessariamente unica a meno dell’ordine dei fattori e della moltiplicazioneper eventuali elementi invertibili.

Un’altra conseguenza notevole del Teorema 2.7 consiste nel fatto cheesso consente di applicare il cosiddetto algoritmo euclideo delle divisionisuccessive per determinare il massimo comune divisore fra due polinomi inQ[x] e in R[x]. Per completezza, richiamiamo brevemente tale procedura.Dati due polinomi a e b con b 6= 0, applicando iterativamente il Teorema 2.7avremo

a = q0b + r1, con deg (r1) < deg (b);b = q1r1 + r2, con deg (r2) < deg (r1);r1 = q2r2 + r3, con deg (r3) < deg (r2);...rn = qn+1rn+1 + rn+2, con deg (rn+2) < deg (rn+1);..

Ponendo se necessario r0 = b, il massimo comun divisore di a e b, in simboliMCD(a, b), risulta essere rk se k e il minimo intero tale che rk+1 = 0. Un tale

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k dovendo esistere necessariamente visto che i gradi formano una sequenzadecrescente di interi. Vale la pena sottolineare che dall’algoritmo euclideosegue poi anche il cosiddetto teorema di Bezout. Dati cioe a, b ∈ Q[x], ovveroa, b ∈ R[x], esistono dei polinomi c, d ∈ Q[x] o, rispettivamente, c, d ∈ R[x]tali che

MCD(a, b) = a · c + b · d.

2.9 Osservazione. Il massimo comun divisore MCD(a(x), b(x)) di duepolinomi a(x) e b(x) e definito a meno di invertibili in Q (ovvero in R).Ovvero, la scrittura MCD(a(x), b(x)) = c(x) equivale a qualunque scritturadel tipo MCD(a(x), b(x)) = d · c(x) per ogni d ∈ Q× (R×, rispettivamente).

2.10 Esercizio. Per definizione, dati due polinomi a(x), b(x) ∈ D[x]un polinomio d(x) ∈ D[x] e un massimo comun divisore di a(x) e b(x) sesoddisfa le seguenti due proprieta:

- d(x) | a(x) ∧ d(x) | b(x);

- (c(x) | a(x) ∧ c(x) | b(x)) =⇒ c(x) | d(x).

Dimostra che se D = Q o R il MCD fra due polinomi si ottiene effettivamenteapplicando l’algoritmo euclideo delle divisoni successive.

2.11 Esempio. Siano a(x) = 2x3−x+1 e b(x) = 3x2+4x+1. Dividendoa(x) per b(x) si ottiene

2x3 − x + 1 3x2 + 4x + 1

2x3 + 83x2 + 2

3x 23x − 8

9

−83x2 − 5

3x + 1

−83x2 − 32

9 x − 89

179 x + 17

9

Ovvero 2x3 − x + 1 = (3x2 + 4x + 1) · (23x− 8

9) + (179 x + 17

9 ). Ora, dividendoancora b(x) per il resto che abbiamo trovato, avremo

3x2 + 4x + 1 179 x + 17

9

3x2 + 3x 2717x + 9

17x + 1x + 1

0

7

Ne segue che MCD(a(x), b(x)) = 179 x + 17

9 . Per l’Osservazione 2.9, si haanche MCD(a(x), b(x)) = x + 1.

3 Radici

3.1 Definizione. Sia f(x) =n∑

i=0aix

i ∈ D[x] e sia c ∈ R un numero tale

che f(c) = 0, allora c e detta radice di f .

3.2 Teorema. (Teorema di Ruffini.) Sia f ∈ D[x] un polinomio. Allorac ∈ D e una radice di f se e soltanto se (x − c) divide f .Dimostrazione. Per il Corollario 2.8, possiamo scrivere

f(x) = q(x) · (x − c) + f(c),

con un polinomio q(x) univocamente determinato.Ora, se (x−c) divide f(x), per definizione si avra che f(x) = (x−c)·h(x),

per un opportuno polinomio h(x) ∈ D[x]. Quindi

f(c) = (h(x) − q(x)) · (x − c).

Se h(x) = q(x), allora f(c) = 0 e c e radice di f . Se invece h(x) 6= q(x) siottiene un assurdo confrontando i gradi.

Viceversa, se f(c) = 0, f(x) = q(x) · (x − c), e dunque (x − c) dividef(x). �

3.3 Teorema. Sia f(x) ∈ D[x] un polinomio di grado n. Allora f(x) haal piu n radici distinte.Dimostrazione. Siano c1, c2, . . . , cm le radici distinte di f . Per il Teorema3.2, avremo

f(x) = q1(x) · (x − c1),

e quindi0 = f(c2) = q1(c2)(c2 − c1).

Visto che c2 − c1 6= 0, necessariamente q1(c2) = 0, cioe (x − c2) divide q1.Potremo allora scrivere

f(x) = q2(x) · (x − c2) · (x − c1).

Iterando questo procedimento, si ottiene che se c1, c2, . . . , cm sono radicidistinte di f(x) allora gm(x) = (x − cm) · · · (x − c2) · (x − c1) divide f(x).Ma deg (gm) = m, e quindi, per il Lemma 2.5 m ≤ n. �

8

3.4 Proposizione. Sia f(x) =n∑

i=0aix

i ∈ Z[x] un polinomio di grado n.

Se u = cd e una radice razionale di f(x) (con c e d interi e coprimi) allora c

divide a0 e d divide an.Dimostrazione. Se u e radice allora vale le relazione

a0dn +

n−1∑i=1

aicidn−i + ancn = 0,

dalla quale discende da un lato che

a0dn = c

( n∑i=1

−aici−1dn−i

),

e dall’altro che

−ancn =( n−1∑

i=0

aicidn−i−1

)d.

Conseguentemente, visto che c e d sono coprimi, c deve dividere a0 e d devedividere an. �

3.5 Esempio. E bene osservare che la precedente proposizione puo es-sere applicata anche per trovare le radici razionali di un polinomio a coeffi-cienti razionali. Per esempio consideriamo il polinomio f(x) = x4 − 3x3 −2x2 + 11

2 x + 32 ∈ Q[x]. Evidentemente tale polinomio ha le stesse radici di

2f = 2x4 − 6x3 − 4x2 + 11x + 3 ∈ Z[x]. La proposizione 3.4 ci assicurache le possibili radici razionali di 3f sono da trovarsi in {±1,±3,±1

2 ,±32}.

Procedendo per tentativi si mostra che l’unica radice razionale e in effetti 3.Come curiosita presentiamo il grafico di f(x).

3.6 Esercizio. Cosa si puo dire riguardo alle radici razionali di f(x) =x4 − 2x3 − 7x2 − 11

3 x − 43 ?

Radici multiple

Parliamo ora di “radici multiple”. Consideriamo un polinomio f ∈ D[x], esia c una sua radice. L’uso ripetuto del Teorema 3.2 mostra che esiste unintero positivo massimo 0 < m ≤ deg (f) tale che

f(x) = (x − c)m · g(x),

9

dove g(x) ∈ D[x] e (x − c) non divide g(x) (ovvero g(c) 6= 0). L’intero mviene allora detto molteplicita della radice c. Se m = 1 allora c viene dettaradice semplice. Se invece m > 1, si parlera di c come di una radice multipla.

Per caratterizzare i polinomi che hanno radici multiple ci serve introdurreun nuovo strumento.

3.7 Lemma. Sia f(x) =n∑

i=0aix

i ∈ D[x]. Sia

f ′(x) =n∑

i=1

i · aixi−1 = a1 + 2a2x + 3a3x

2 + · · · + nanxn−1.

Allora ∀f, g ∈ D[x] e ∀c ∈ D

(i) (c · f)′ = c · f ′;

(ii) (f + g)′ = f ′ + g′;

(iii) (f · g)′ = f ′ · g + f · g′;

(iv) (gh)′ = h · gh−1 · g′, (h ∈ N).Dimostrazione. Per esercizio. �

Il polinomio f ′ viene detto derivata formale di f . Il termine formale staa sottolineare il fatto che la definizione di f ′ non coinvolge il concetto dilimite.

3.8 Teorema. Sia f(x) ∈ R[x].

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(i) Se c e una radice di f , c e multipla se e solo se f ′(c) = 0;

(ii) se f e coprimo con f ′ allora f non ha radici multiple;

(iii) se f e irriducibile di grado positivo, allora f non ha radici multiple.Dimostrazione.

(i) Se c ha molteplicita m allora f(x) = (x − c)m · g(x) con g(c) 6= 0.Usando il Lemma 3.7

f ′(x) = m(x − c)m−1g(x) + (x − c)mg′(x).

Ora, se m > 1, allora f ′(c) = 0. Se m = 1 f ′(c) = g(c) 6= 0.

(ii) dall’ipotesi segue che esistono2 dei polinomi a, b ∈ R[x] tali che

a(x) · f(x) + b(x) · f ′(x) = 1.

Quindi se c e una radice multipla 1 = a(c) · f(c) + b(c) · f ′(c) = 0, ilche e evidentemente assurdo.

(iii) Se f e irriducibile di grado positivo, f e f ′ sono sicuramente coprimi,perche 0 ≤ deg (f ′) < deg (f).

4 Invertibili e Irriducibili

Il passo successivo consiste ora nel cercare di comprendere meglio quali so-no gli elementi irriducibili in D[x]. Si tratta in generale di una questioneabbastanza delicata. Cominciamo a considerare il caso di Z[x] e quello diQ[x]. Piu specificamente cominciamo a osservare quanto segue.

Non sorprende che un polinomio sia irriducibile in Z[x] senza esserlouna volta considerato in un insieme di polinomi piu grande: per esempio siconsideri x2−2 = (x−

√2)·(x+

√2). D’altra parte occorre fare attenzione al

fatto che si puo presentare anche la situazione opposta. Cioe, un polinomiopuo ad esempio essere irriducibile in Q[x] senza esserlo in Z[x]: per esempio2x + 2 ha la fattorizzazione 2 · (x + 1) che e una vera fattorizzazione solo inZ[x] (2 e invertibile in Q).

Lo scopo di questa sezione consiste in effetti nel dimostrare che l’unicadifferenza fra le fattorizzazioni in Z[x] e quelle in Q[x] e in effetti quella acui si e accennato nella precedente osservazione.

2Per il Teorema di Bezout e per l’Osservazione 2.9.

11

4.1 Definizione. Sia f(x) =n∑

i=0aix

i ∈ Z[x] un polinomio non nullo. Il

massimo comun divisore dei coefficienti a1, a2, . . . , an, viene detto contenutodi f e denotato con il simbolo C(f). Il polinomio f si dira poi primitivoquando C(f) = 1.

4.2 Lemma. Siano f(x) ∈ Z[x], f(x) 6= 0 e a ∈ Z∗, allora

C(a · f) = a · C(f)

ef = C(f) · f1,

dove f1 e un polinomio primitivo.Dimostrazione. Per esercizio. �

4.3 Teorema. Siano f(x), g(x) ∈ Z[x] due polinomi non nulli. AlloraC(f · g) = C(f) · C(g). In particolare il prodotto di due polinomi primitivie un polinomio primitivo.Dimostrazione. Sappiamo che f = C(f) · f1 e che g = C(g) · g1 con f1 eg1 primitivi. Quindi

C(f · g) = C(C(f) · f1 · C(g) · g1) = C(f) · C(g) · C(f1 · g1).

Quindi e sufficiente dimostrare la seconda parte del teorema. Procediamo

“per assurdo”. Siano dunque f1 =n∑

i=0aix

i e g1 =m∑

i=0bjx

j due polinomi

primitivi, e supponiamo che il loro prodotto

f1 · g1 =n+m∑k=0

ckxk, con ck =

∑i+j=k

ai · bj

non sia primitivo. Esiste allora un numero primo p che divide tutti i coeffi-cienti ck. Visto che f1 e g1 sono primitivi, esisteranno degli interi minimi se t tali che

p | ai per i < s, e p - as,

p | bj per j < t, e p - bt.

Ora, pero sappiamo che

p | cs+t = a0bs+t + · · · + as−1bt+1 + asbt + as+1bt−1 + · · · as+tb0,

e quindi p deve dividere anche asbt, e questo e assurdo perche p - as e p - bt.�

12

4.4 Teorema.(“Lemma di Gauss.”) Sia f(x) ∈ Z[x] un polinomio pri-mitivo di grado positivo. Allora f e irriducibile in Z[x] se e solo se lo e inQ[x].Dimostrazione. Supponiamo che f sia irriducibile in Z[x] ma che esistanodei polinomi di grado positivo g, h ∈ Q[x] tali che f = g · h. Avremo allora

g(x) =n∑

i=0

ai

bixi, h(x) =

m∑j=0

cj

djxj ,

con ai, cj ∈ Z e bi, dj ∈ Z∗. Consideriamo il prodotto di tutti i denominatorib = b0 ·b1 · · · bn e il polinomio g = b ·g ∈ Z[x]. Se poniamo a = C(g), avremoche g = a · g1 per un certo polinomio primitivo g1. Dunque abbiamo che

g =a

b· g1.

Analogamente avremo cheh =

c

d· h1.

con c e d interi, h1 primitivo e deg h = deg h1. Quindi

f = g · h =ac

bdf1 · h1,

cioe bd · f = ac · g1h1. Ma ora sia f (per ipotesi) che f1 · h1 (per il Teorema4.3) sono primitivi, quindi

bd = ±C(bd · f) = ±C(ac · h1 · g1) = ±ac.

Pertanto f = ±g1 · h1, cioe f e riducibile in Z[x].Viceversa se f e irriducibile in Q[x], ma f = g · h, con g, h ∈ Z[x], allora

visto che in Q[x] le fattorizzazioni sono uniche, almeno uno fra g e h, diciamog, deve essere costante. Quindi, visto che f e primitivo, 1 = C(f) = g ·C(h),cioe g = ±1 e f e irriducibile in Z[x]. �

4.5 Osservazione. Anche se non lo dimostriamo in dettaglio, vale lapena sottolineare che i risultati visti finora sarebbero sufficienti a dimostrareche anche in Z[x] ogni polinomio puo essere fattorizzato in modo unico comeprodotto di polinomi irriducibili di Z[x]. In estrema sintesi, il risultato seguedall’esistenza e unicita delle fattorizzazioni in Q[x] e in Z e dal Lemma diGauss.

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Criterio di Eisenstein

In generale non e facile capire se un dato polinomio sia irriducibile. Perquanto riguarda i polinomi a coefficienti interi, uno dei pochi strumentidisponibili e dato dal seguente criterio.

4.6 Teorema.(“Criterio di Eisenstein.”) Sia f(x) =n∑

i=0aix

i ∈ Z[x] un

polinomio di grado positivo e sia p un numero primo tale che

p - an; p | ai per i = 0, 1, . . . , n − 1; p2 - a0,

allora f e irriducibile in Q[x]. Se f e primitivo allora e irriducibile anche inZ[x].Dimostrazione. Cominciamo con lo scrivere come al solito f = C(f) ·f1, con f1 primitivo (in particolare f1 = f se f e primitivo). Vogliamodimostrare che f1 e irriducibile in Q[x], ovvero, equivalentemente (per ilTeorema 4.4), in Z[x].

Supponiamo per assurdo che f1 sia fattorizzabile come g · h, con

g(x) = brxr + . . . b0 ∈ Z[x], deg (g) = r ≥ 1;

eh(x) = csx

s + . . . c0 ∈ Z[x], deg (h) = s ≥ 1.

Ora, il numero primo p non divide C(f) perche p - an, quindi i coefficienti

di f1(x) =n∑

i=0aix

i soddisfano le stesse proprieta di divisibilita rispetto a p

di quelli di f . Visto che p divide dunque a0 = b0 ·c0 , p dividera sicuramentealmeno uno fra b0 e c0, diciamo p | b0. Visto che pero p2 - a0, c0 nonpuo essere divisibile per p. Osserviamo ora che non tutti i coefficienti dig possono essere divisibili per p, altrimenti f1 non sarebbe primitivo. Siadunque k il minimo intero positivo tale che

p | bi per i < k, e p - bk.

Visto che 1 ≤ k ≤ r < n, per ipotesi p | ak = b0ck +b1ck−1+. . . bk−1c1+bkc0.Ma allora necessariamente p | bkc0, che e assurdo perche p non divide nebk ne c0. Siamo quindi giunti ad una contraddizione e pertanto possiamoconcludere che f1 deve essere irriducibile in Q[x] e in Z[x]. �

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4.7 Esempio. Il polinomio f(x) = 3x6 − 8x5 + 4x2 + 10 e sicuramenteirriducibile in Q[x] e in Z[x]. Basta usare il criterio di Eisenstein con p = 2.

4.8 Esempio. Tutti i polinomi del tipo xn±p (n intero positivo, p primo)sono irriducibili in Z[x]. (Pertanto, per ogni n esistono infiniti polinomi digrado n irriducibili in Z[x].)

5 Lagrange e Kronecker

A priori non e chiaro se dato un polinomio si riesca a trovare la sua fattoriz-zazione in fattori irriducibili. Lo scopo di questa sezione e di illustrare unapossibile procedura che, per quanto laboriosa, permette di fattorizzare inun numero finito di passi qualunque polinomio a coefficienti interi (o razio-nali). L’interesse principale di questa procedura e per cosı dire di carattere“teorico”, nel senso che fornisce una risposta positiva alla questione dellafattorizzabilita. D’altra parte, la quantita di calcoli e verifiche da fare crescein modo talmente rapido al crescere del grado, da rendere di scarsa rilevanzapratica la procedura.

1. Interpolazione di Lagrange.

Se c0, c1, . . . cn sono numeri razionali distinti e d0, d1, . . . dn sono numerirazionali, allora esiste al piu un polinomio f(x) ∈ Q[x] di grado n taleche f(ci) = di per i = 0, . . . , n.

Il precedente enunciato vale immutato se si sostituisce Q con R.

In effetti, se poniamo

gi(x) = (x − c0) · · · (x − ci−1)(x − ci+1) · · · (x − cn) (i = 0, 1, . . . , n)

vediamo che gi(cj) = 0 se i 6= j e quindi il polinomio

f(x) =n∑

i=0

gi(x)gi(ci)

di

e l’unico in Q[x] (o in R[x]) di grado al piu n tale che f(ci) = di, ∀i.

2. Metodo di Kronecker. Sia ora f(x) ∈ Z[x] di grado n. Per quantoappena detto, fissati n+1 interi distinti c0, c1, . . . cn, il polinomio f(x)e univocamente determinato dai valori f(c0), f(c1), . . . , f(cn). Quelloche segue e il cosiddetto metodo di Kronecker per determinare tutti ifattori irriducibili di f(x) in Z[x].

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(a) E sufficiente trovare i fattori di grado al piu n/2.

(b) I polinomi g ∈ Z[x] che dividono f , vanno cercati fra i polinomitali che g(c) divide f(c) (c ∈ Z).

(c) Sia m il massimo intero non superiore a n/2. Si fissano gli interidistinti c0, c1, . . . , cm e si calcolano i valori f(c0), f(c1), . . . , f(cm).Si scelgono degli interi d0, d1, . . . , dm in modo che di divide f(ci).Si determina il solo polinomio (a coefficienti razionali) di gradoal piu m tale che g(ci) = di con l’interpolazione di Lagrange.

(d) Si controlla se il polinomio g(x) ∈ Q[x] appena determinato di-vide f(x). Se non lo divide, si fa una nuova scelta per i divisorid0, d1, . . . , dm. Si noti che c’e solo un numero finito di scelte pos-sibili. Se invece f = g · h, allora si ripete il procedimento su g esu h.

(e) Dopo un numero finito di passi tutti i fattori irriducibili di f inQ[x] saranno stati trovati. Se g ∈ Q[x] e uno di tali fattori (digrado positivo) ed r e il prodotto dei denominatori dei coefficientidi g allora r·g ∈ Z[x]. Se C e il contenuto di r·g allora g1 = (r/C)ge un fattore irriducibile di f in Z[x].

Esempi

Fattorizziamo il polinomio f(x) = x5+x+1. Visto che il grado e 5 cerchiamoun possibile fattore g di f che abbia grado 2. Se scegliamo c0 = 0, c1 = 1e c2 = −1, troviamo i valori f(c0) = 1, f(c1) = 3 e f(c2) = −1. Pertrovare i possibili fattori g con l’interpolazione di Lagrange avremo al piusedici possibilita, relative ai seguenti possibili valori di d0 ∈ {1,−1}, d1 ∈{1,−1, 3,−3} e d2 ∈ {1,−1}. Dai calcoli risulta che la terna d0 = 1, d1 = 3,d2 = 1 ci fornisce il polinomio

(x − 1) · (x + 1)(−1) · (1)

· 1 +(x) · (x + 1)

(1) · (2)· 3 +

(x) · (x − 1)(1) · (2)

· 1

troviamo cioe g(x) = x2 + x + 1. Effettuando la divisione troviamo cheeffettivamente questo g(x) divide il nostro polinomio. Risulta infatti chex5 + x + 1 = (x2 + x + 1) · (x3 − x2 + 1). Ora, il polinomio g(x) e sicura-mente irriducibile perche le sole possibili radici razionali sarebbero 1 e −1,ma g(1) = g(−1) = 1. Analogamente si verifica che anche x3 − x2 + 1 eirriducibile, e quindi la fattorizzazione di f(x) e completa.

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Il polinomio f(x) = x5 − x + 1 e invece irriducibile. Scegliendo ancorac0 = 0, c1 = 1 e c2 = −1, troviamo i valori f(c0) = 1, f(c1) = 1 e f(c2) = 1.Procedendo come sopra si troveranno al piu otto possibili fattori g relativiai possibili valori di d0, d1, d2 ∈ {1,−1}. In effetti un calcolo diretto mostrache, a meno del segno, i fattori possibili di grado positivo risultano essere2x2 − 1, x2 − x − 1 e x2 + x − 1. Ma nessuno di essi divide f(x).

6 Radici complesse

Consideriamo l’insieme dei numeri complessi

C = {a + i · b | a, b ∈ R}

dove il simbolo i - la cosiddetta unita immaginaria - soddisfa la seguenterelazione fondamentale

i2 = −1.

Nell’insieme C e molto semplice svolgere qualunque calcolo: basta utiliz-zare le solite proprieta delle operazioni in R (commutativa, associativa,distributiva, etc.) e ricordarsi che i2 = −1. Ad esempio

(a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d);

(a + ib) · (c + id) = ac + iad + ibc + i2bd = (ac − bd) + i(ad + bc);

1a + ib

=a − ib

(a − ib)(a + ib)=

a − ib

a2 + b2.

L’insieme C munito delle operazioni di somma e moltiplicazione, risulta indefinitiva avere una struttura analoga a quella di R (o Q): e quello che inmatematica si dice campo. In particolare tutti i risultati che nelle sezioniprecedenti abbiamo visto valere in R[x] si possono estendere senza difficoltaa C[x].La proprieta che pero rende estremamente interessanti i numeri complessi emostrata nel seguente enunciato.

6.1 Teorema.(“Teorema fondamentale dell’algebra.”) Sia f(x) ∈ C[x]un polinomio di grado n, allora f(x) ammette esattamente n radici in C,contate con la relativa molteplicita.

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Esistono numerose dimostrazioni differenti di questo importante risultato,ma nessuna completamente elementare. Inoltre nessuna fra queste dimostra-zioni e puramente algebrica. In effetti, anche quelle piu semplici si basano al-meno in qualche punto su argomentazioni di natura analitica (occorre quantomeno utilizzare il fatto che i polinomi sono “funzioni continue” e il Teoremadi Weierstrass) ed esulano comunque dai limiti di questa trattazione.

Ci accontenteremo invece di vedere una semplice conseguenza del Teore-ma 6.1 al riguardo dei polinomi a coefficienti reali. Premettiamo un’ultimadefinizione.

6.2 Definizione. Il complesso coniugato del numero complesso z = a +ib ∈ C e il numero complesso z = a − ib.

6.3 Lemma. Siano z1, z2 ∈ C due numeri complessi. Allora

- z1 = z1;

- z1 + z2 = z1 + z2;

- z1 · z2 = z1 · z2;

- z1 = z1 se e solo se z1 ∈ R;

- z1 + z1 ∈ R;

- z1 · z1 ∈ R.Dimostrazione. Per esercizio. �

6.4 Proposizione. Sia f(x) ∈ R[x]. Allora c ∈ C e radice di f(x) see solo anche c lo e. Inoltre c e c hanno la stessa molteplicita. In parti-colare un polinomio a coefficienti reali ha necessariamente un numero pari(eventualmente nullo) di radici complesse non reali.

Dimostrazione. Sia f(x) =n∑

i=0aix

i con ai ∈ R. Allora, usando il Lemma

6.3,

f(c) =n∑

i=0

aici =

n∑i=0

aici = f(c).

Qundi c e radice di f se e solo se lo e c.Ora se c e radice complessa non reale, potremo scrivere

f(x) = (x − c) · (x − c) · g(x),

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per un certo polinomio g(x) che a priori appartiene a C[x]. Osserviamo peroche

(x − c) · (x − c) = x2 − (c + c)x + c · c ∈ R[x],

e quindi anche g(x) ∈ R[x]. Ripetendo per g(x) lo stesso procedimento fattoper f(x) si ottiene la tesi. �

6.5 Corollario. Sia f(x) ∈ R[x] di grado dispari. Allora f(x) ammettealmeno una radice reale.Dimostrazione. Infatti f avra un numero dispari di radici complesse per ilTeorema 6.1, ma fra queste solo un numero pari potranno essere non reali. �

6.6 Esercizio. Sia f(x) ∈ R[x] irriducibile. Dimostra che f(x) ha gradoal piu 2.

7 Appendice: Metodo risolutivo per equazioni diterzo grado

Si definisce equazione di terzo grado o cubica un’equazione polinomiale incui il grado massimo dell’incognita sia di. Nella forma canonica, si presentacome

ax3 + bx2 + cx + d = 0.

La prima soluzione generale dell’equazione di terzo grado si deve al mate-matico italiano Scipione del Ferro, ma lo scopritore per cosı dire ufficiale eGirolamo Cardano, dal quale la formula risolutiva prende il nome.

Il metodo risolutivo che intendiamo illustrare conduce alla risoluzione diun’equazione di terzo grado riconducendola, tramite una multipla sostituzio-ne delle variabili, ad una particolare equazione quadratica. Il procedimentoe il seguente. Si considera un’equazione del tipo

x3 + ax2 + bx + c = 0,

e la si trasforma inizialmente in un’equazione sempre cubica ma piu semplice:

y3 + py + q = 0.

Per essere piu precisi, per ottenere l’equazione in y ridotta (priva di terminidi secondo grado) si opera la sostituzione

x = y − a

3

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che conduce ad un’equazione del tipo menzionato con{p = −a2

3 + b

q = 2a3

27 − ab3 + c

.

Vale la pena di ricordare che le equazioni risolte da del Ferro erano esatta-mente quelle di tipo ridotto.

A questo punto si effettua un’ulteriore sostituzione: si pone

y = z − p

3z

e, con alcuni calcoli, e moltiplicando per z3, si porta l’equazione in questaforma

z6 + qz3 − p3

27= 0,

che e un’equazione trinomia in z3, riconducibile ad una quadratica

t2 + qt − p3

27= 0,

effettuando la sostituzione z3 = t. Il risultato sara dunque dato da

t1,2 =−q ±

√q2 + 4p3

27

2= −q

2±√

q2

4+

p3

27.

Si osservi che, per delle ben note proprieta delle soluzioni di un’equazionequadratica, si ha {

t1 + t2 = −q,

t1 · t2 = −(p

3

)3.

Definiamo ora

u = 3√

t1 =3

√−q

2+

√q2

4+

p3

27,

v = 3√

t2 =3

√−q

2−√

q2

4+

p3

27.

e supponiamo che il numero ∆ = q2

4 + p3

27 , ovvero il radicando della radicequadrata all’interno della cubica, sia un numero maggiore od uguale a 0. Si

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puo verificare che il numero reale u+v e una soluzione dell’equazione cubicaridotta. Infatti

(u + v)3 + p(u + v) + q = u3 + v3 + 3uv(u + v) + p(u + v) + q

= t1 + t2 +(3(−p

3

)+ p)

(u + v) + q

= −q + (−p + p)(u + v) + q = 0.

Ora, se α e una soluzione reale dell’equazione cubica ridotta, possiamosenz’altro scrivere

y3 + py + q = (y − α)(y2 + αy + α2 + p

)= (y − α)

(y +

α

2−√−3α2

4− p

)(y +

α

2+

√−3α2

4− p

).

Dunque, essendo u + v una soluzione reale dell’equazione cubica ridotta,abbiamo che le altre due soluzioni sono complesse

y1 = u + v

y2 = −u+v2 + i · u−v

2 ·√

3y3 = −u+v

2 − i · u−v2 ·

√3

dove i e l’unita immaginaria.Infatti √

−3(u + v)2

4− p =

√−3

4(u2 + 2uv + v2) − p

=

√−3

4(u2 + 2uv + v2) + 3uv

=

√−3

4(u2 + v2) +

32uv

=

√−3

4(u2 − 2uv + v2)

=

√−3

4(u − v)2

= ± i · u − v

2·√

3.

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In particolare il risultato del procedimento e la formula di Cardano

y =3

√−q

2+

√q2

4+

p3

27+

3

√−q

2−√

q2

4+

p3

27,

che fornisce la soluzione reale dell’equazione cubica ridotta. Da cui, lasoluzione reale dell’equazione cubica e

x =3

√−q

2+

√q2

4+

p3

27+

3

√−q

2−√

q2

4+

p3

27− a

3.

Piu in generale, le soluzioni dell’equazione di terzo grado sono date da

xi = yi −a

3

con i = 1, 2, 3.Si noti che, come evidenziato nel procedimento risolutivo, non possono

esistere tre soluzioni reali se ∆ ≥ 0.

7.1 Problemi relativi alle soluzioni

Si consideri l’equazionex3 = 15x + 4.

Avremo dunque {p = −15q = −4

da cui ∆ = 164 + −

(153

)3 = 4 − 125 = −121 < 0. Dunque le due soluzionicomplesse dell’equazione quadratica associata sono

t1,2 = 2 ± i · 11,

e la formula risolutiva porterebbe a considerare numeri non reali. Tuttavia,si trova che una soluzione e x = 4, e di conseguenza altre due soluzioni sonoottenibili risolvendo l’equazione x2 + 4x + 1 = 0. Quindi l’equazione ha treradici reali, ovvero si ha la fattorizzazione

x3 − 15x − 4 = (x − 4) · (x + 2 −√

3) · (x + 2 +√

3).

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7.2 Il caso ∆ < 0

Se ∆ < 0, l’equazione cubica ridotta ha tre soluzioni realiy1 = 2

√−p

3 cos θ3

y2 = 2√

−p3 cos θ+2π

3

y3 = 2√

−p3 cos θ+4π

3

dove {θ = arctan(−2

√−∆

q ) se − q2 > 0,

θ = π + arctan(−2√−∆

q ) se − q2 < 0,

Riferimenti bibliografici

[1] M. Artin, Algebra. Collana “Programma di Matematica, Fisica,Elettronica”. Bollati Boringhieri, 1997.

[2] I. N. Herstein, Algebra. Collana “Nuova Biblioteca di CulturaScientifica”. Editori Riuniti, 2003.

[3] G. Piacentini Cattaneo, Algebra. Un approccio algoritmico. Collana diMatematica. Testi e manuali. Zanichelli, 1996.

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