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“L’ETADELLA RESTAURAZIONEPROF. VINCENZO BARRA

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Università Telematica Pegaso L’età della restaurazione

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 QUESTIONE TERMINOLOGICA ---------------------------------------------------------------------------------------- 3

2 LA POLITICA INTERNAZIONALE: IL CONGRESSO DI VIENNA --------------------------------------------- 5

3 L’ASSETTO EUROPEO ED ITALIANO --------------------------------------------------------------------------------- 8

4 LA “SANTA ALLEANZA” E LA “QUADRUPLICE ALLEANZA”----------------------------------------------- 11

5 PRIMI SEGNI DI CEDIMENTO DEL “CONCERTO” EUROPEO ----------------------------------------------- 13

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15

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1 Questione terminologica

Anche se il termine “restaurazione” è entrato ormai nell’uso corrente, esso appare molto

inadeguato a rappresentare la complessità del periodo storico a cui si riferisce. Una vera

restaurazione, intesa come colpo di spugna sulle trasformazioni dei decenni precedenti, non era

nemmeno nelle intenzioni degli stessi monarchi vincitori di Napoleone. La restaurazione consisté

semmai in un tentativo, difficilissimo, di salvaguardare contemporaneamente l’esistenza delle

antiche dinastie e l’eredità della fase storica precedente.

Gli storici non la pongono più come inizio dell’età contemporanea perché, a ben vedere, i

cambiamenti tra prima del 1814 e dopo, sono molto pochi, nel senso che i cambiamenti epocali

messi in moto dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale non subiscono interruzioni

decisive: sul piano politico continua l’affermazione della borghesia; sul piano economico continua

l’espansione capitalistica e l’industrializzazione. L’eversione della feudalità e la vendita dei beni

ecclesiastici, ad esempio, restarono un fatto compiuto.

Ancora più ambiguo il termine restaurazione se lo riferiamo al contesto italiano, in cui il periodo

della restaurazione è lo stesso periodo che in un’altra prospettiva si indica come Risorgimento.

Come può lo stesso periodo storico contenere in sé contemporaneamente elementi reazionari e di

conservazione, come nella restaurazione, ed elementi di progresso, come nel Risorgimento?

Noi allora conserviamo il termine restaurazione ma ci riferiamo ad esso dandogli un valore per lo

più cronologico, per indicare cioè il periodo della storia europea che arriva fino alla rivoluzione

francese del luglio 1830. Ciò che succede in questo periodo non è tutto riconducibile alla

riesumazione del passato, anzi vedremo come dietro lo stesso richiamo al passato degli uomini della

restaurazione vi fosse l’esigenza di dare risposte nuove a problemi nuovi. Più che una restaurazione

potremmo dire che fu una “ristrutturazione”, perché si cercò di conciliare il ritorno delle vecchie

dinastie con i cambiamenti strutturali nella società ormai irreversibilmente avvenuti. Ciò potette

avvenire o ignorando i cambiamenti o assimilandoli. Il comportamento dei monarchi restaurati in

questo senso non fu uniforme. Alcuni Stati, come ad esempio il regno di Napoli, si trasformò in uno

stato amministrativo1, mantenendo la legislazione napoleonica. Altri, come lo Stato della Chiesa e il

1 Lo Stato amministrativo è un tipo di governo che mantiene nelle mani del sovrano ogni potere, ma lo

vincola all’osservanza di una norma, cioè della legge, da lui stesso emanata, ed è uno Stato con una forte

centralizzazione e una strutturata burocrazia.

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Piemonte sabaudo, ritornarono ad essere uno stato patrimoniale e assoluto2, abolendo la legislazione

e i Codici napoleonici. Ma in nessuno dei due casi la nobiltà potette ritornare ad occupare le antiche

posizioni di potere politico e giurisdizionale. Le rimase l’importanza sociale per le ricchezze restate

nelle sue mani, ma l’imposta fondiaria fu conservata, così come il catasto, la burocrazia, l’istruzione

obbligatoria, ecc.

Esamineremo l’età della restaurazione nei suoi ambiti principali: quello della politica internazionale

e quello della cultura e del pensiero politico.

2 Nello Stato assoluto il sovrano concentra in se stesso il potere legislativo, esecutivo e giudiziario e li

esercita in modo svincolato dalla legge. Nella concezione patrimoniale dello Stato non c’è distinzione tra il

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2 La politica internazionale: il Congresso di Vienna

Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia nel 1813 ed il suo esilio all’isola d’Elba, si aprì a

Vienna il 4 ottobre 1814 il più importante ed affollato consesso di sovrani che si fosse mai visto in

Europa. L’Atto finale a chiusura del Congresso fu firmato il 9 giugno 1815, solo alcuni giorni prima

della sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo, nel frattempo fuggito dall’Elba, il 18 giugno

1815.

Le decisioni importanti furono adottate da un gruppo ristretto, quello cioè delle maggiori potenze

vincitrici di Napoleone: Inghilterra, Austria, Prussia e Russia. Ad esse venne ammessa anche la

Francia. Ciò fu dovuto non solo all’abilità politica e diplomatica di Talleyrand, rappresentante del

monarca francese restaurato, Luigi XVIII, ma soprattutto per

il valore simbolico di una piena riabilitazione e di un recupero dell’ordine europeo della

dinastia [dei Borbone di Francia], sulla quale più che su qualsiasi altra avevano

imperversato la rivoluzione e Napoleone.3

La Francia fu ammessa al tavolo dei vincitori, insomma, perché il fine principale del Congresso

restò sempre quello di scongiurare ogni eventuale ripresa rivoluzionaria e sviluppi

inauspicati dei mutamenti che, comunque, la rivoluzione aveva prodotto.4

Oltre il già ricordato Talleyrand, gli altri rappresentanti delle grandi potenze furono: lo zar

Alessandro I per la Russia, il ministro Castlereagh e lord Wellington per l’Inghilterra, il ministro

Hardenberg per la Prussia e il principe di Metternich per l’Austria, il grande organizzatore ed abile

“regista” del Congresso.

Il Congresso si ispirò al principio di legittimità delle dinastie, e cioè il ripristino dei diritti dei

sovrani, fondati sulla antichità della sovranità e del possesso.

patrimonio personale del sovrano e il patrimonio dello Stato. Lo Stato perciò è gestito dal re come una sua

proprietà privata personale. 3 G. GALASSO, Storia d’Europa. Età moderna, Vol.2, Laterza, Bari 1996, pag. 296.

4 Ivi.

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Ma quello della legittimità non fu l’unico principio che diresse l’attività del Congresso: ad esso

infatti si affiancò, e anzi a volte si oppose, un altro principio, quello dell’equilibrio tra le potenze

europee. Di fatti ogni volta che i due principi vennero in contrasto tra di loro, fu sempre quello

dell’equilibrio a prevalere. Per non creare sbilanciamenti tra le forze dei grandi Stati infatti, in base

al principio di equilibrio furono consentite delle violazioni al principio di legittimità, per adeguare

la carta dell’Europa ai rapporti di forza mutati, stando bene attenti a non creare situazioni di

prevalenza di una potenza sull’altra, per preservare la pace.

Infatti non fu rispettato il principio di legittimità in molti casi. Le repubbliche di Venezia e di

Genova non riottennero la loro indipendenza; il Sacro Romano Impero, soppresso da Napoleone,

non fu restaurato e fu invece sostituito da una Confederazione germanica con presidenza

dell’Austria. Gli Stati tedeschi furono drasticamente diminuiti, passando dai circa 350 Stati che

esistevano prima della rivoluzione francese a soli 39. L’Austria non rientrò in possesso del Belgio

ma ottenne la Galizia ed il Veneto in Italia. La Prussia ottenne allargamenti ad ovest, con la

Sassonia e la zona del Reno. La Russia inglobò buona parte della Polonia. L’Inghilterra invece fece

acquisizioni di piccola entità territoriale ma di grande importanza strategica: le Isole Ionie, Malta,

Ceylon, ecc.

Il criterio dell’equilibrio, o “di potenza” che ispirò questi cambiamenti territoriali era più che

evidente. Difatti le acquisizioni di Prussia e Russia erano compensate per l’Austria dall’egemonia

netta che acquistava in Italia, sia con l’unione di Venezia ai territori lombardi che già possedeva, ma

anche grazie ai rapporti familiari tra i vari rami della dinastia asburgica, che si trovò a regnare anche

Toscana, Parma e Modena.

L’equilibrio europeo in realtà si costruì ad opera soprattutto dell’asse tra Austria e Inghilterra, che si

accordarono, inoltre, per la sopravvivenza e l’integrità dell’Impero Ottomano, soprattutto per

contrastare l’espansionismo della Russia. Anche il permanere della Francia nella condizione di

potenza fu dovuto molto alla diplomazia e alla volontà inglese. Pur dovendo corrispondere una forte

indennità di guerra e mantenere un presidio militare dei vincitori fino al 1818, la Francia non ebbe

altri obblighi particolari di disarmo e anche territorialmente conservò i confini che aveva nel 1791.

Da ciò che si è detto si capisce bene come

piena restaurazione non vi fu, dunque, sul piano della geografia politica. Si può anzi

sostenere che quello di Vienna sia stato l’ultimo dei congressi di pace nello stile

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dell’ancien règime. […] Fu, infatti, tutto fondato sui diritti dei sovrani e dei vincitori,

sui giochi di potenza e di equilibrio, senza riguardi per la storia e le opinioni dei popoli.5

Quindi il principio di legittimità trovò la sua applicazione maggiore, più che sulla carte geo-politica

dell’Europa, proprio nella riaffermazione del diritto divino dei re:

La restaurazione più importante rimase, comunque, quella del potere effettivo dei

sovrani. Doveva essere chiaro, e fu di fatto subito chiaro, che il sistema di governo

tornava a gravitare su di essi e che la rivendicazione della sovranità popolare andava

accantonata. Il potere era del re. Egli ne avrebbe anche potuto concedere (in francese

“octroyer”) quanto gliene fosse sembrato opportuno, ma si sarebbe trattato, appunto, di

una concessione.6

5 G. GALASSO, Storia d’Europa. Età moderna, cit., pag. 305.

6 Ivi pagg. 305-306.

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3 L’assetto europeo ed italiano

L’Europa che usciva dal Congresso di Vienna ricalcava solo in linea di massima la sistemazione

politica del continente prima degli sconvolgimenti causati dalle imprese napoleoniche, infatti vi

furono parecchie innovazioni politiche e territoriali. Esaminiamole più in dettaglio:

La Francia, in cui veniva restaurata la monarchia borbonica sotto Luigi XVIII (1814-1824),

venne riportata ai confini del 1791, conservando però i territori pontifici di Venassino ed

Avignone. Il sovrano tenne in vita la costituzione concessa nel 1814 con una Camera dei

deputati eletta a suffragio molto ristretto e una Camera dei pari ereditaria, su modello della

costituzione inglese che faceva del re soprattutto il titolare del potere esecutivo. Il fatto che

questa costituzione fosse concessa dall’alto, dalla benevolenza del re (fosse “ottriata”) era

indicativo del fatto che l’esistenza della costituzione non affermava né legittimava alcuna idea

di sovranità popolare. La sovranità risiedeva interamente nella persona del re per diritto divino

e legittimità dinastica. Furono mantenuti e rispettati il Codice civile, la struttura

amministrativa e il Concordato del 1801, ma nel complesso furono le forze dell’estrema destra

ad influenzare sempre più la vita pubblica francese.

La penisola iberica: in Portogallo fu ristabilita la sovranità di Giovanni VI di Braganza,

mentre in Spagna Ferdinando VII di Borbone (1814-1833) si affrettò ad abrogare la

costituzione del 1812.

Il Regno Unito, costituito dalla Gran Bretagna e dall’Irlanda dopo l’atto di unione del 1800,

continuava ad essere retto da Giorgio III d’Hannover (1760-1820) e conservava molte delle

conquiste del periodo napoleonico sia in Europa (Malta e le isole Jonie) sia nelle colonie

(Ceylon e il capo di Buona Speranza in Africa).

Nasceva il regno dei Paesi Bassi dall’unione dell’Olanda con il Belgio sotto la corona di

Guglielmo I d’Orange (1815-1840).

L’Impero austriaco, sorto dopo lo scioglimento del Sacro Romano Impero (1806) sotto

Francesco I d’Asburgo-Lorena (1792-1835), acquisì, in cambio del Belgio, i territori della

Repubblica di Venezia tranne le isole Jonie. Esso dunque comprendeva: l’Austria, con il

Trentino, Trieste e la Boemia, il Regno d’Ungheria con la Croazia, l’Istria, la Dalmazia, i

territori ex polacchi della Galizia e della Bucovina e il regno Lombardo-Veneto. L’imperatore

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d’Austria si vide, inoltre, attribuita anche la presidenza della Confederazione germanica, su

cui tendeva di fatto ad esercitare una funzione egemonica, come del resto sull’Italia.

Nasceva la Confederazione germanica comprendente 39 Stati tedeschi e con un unico

organismo la Dieta di Francoforte, presieduta dall’imperatore d’Austria.

La Prussia sotto Federico Guglielmo III di Hohenzollern (1797-1840), si ingrandiva a spese di

parte della Sassonia e di qualche altro territorio sulle rive del Reno.

Svezia e Norvegia vennero unite sotto Carlo XIII di Holstein, cui subito successe l’ex

generale francese Bernadotte. In cambio della Norvegia il Regno di Svezia aveva dovuto

cedere la Finlandia alla Russia e la Pomerania alla Prussia.

La Danimarca, che aveva perduto la Norvegia in favore della Svezia, ebbe come compenso i

Ducati tedeschi di Holstein e Lauenburg.

La Russia, con Alessandro I (1801-1825) acquistava la Finlandia (ex svedese), la Bessarabia

(ex turca) e l’intero ex Principato di Varsavia. In questo modo gran parte del territorio polacco

cadeva sotto la dominazione russa che vanificò qualunque tentativo autonomistico e nazionale

dei polacchi.

La Svizzera si riorganizzava in confederazione con l’impegno da parte degli altri stati a

garantirne la neutralità.

In sintesi, il nuovo assetto europeo vedeva il vecchio continente dominato politicamente da quattro

principali potenze: l’Austria, che controllava tutta l’Europa centro-orientale e l’Italia; la Russia

saldamente affermata ad Oriente; l’Inghilterra interessata a mantenere il proprio status quo e a

difendere i propri interessi economici e coloniali; la Francia, che, nonostante il ridimensionamento

territoriale restava una potenza cardine nel nuovo assetto territoriale.

Per quanto concerne l’Italia, la Restaurazione, come in Germania, portò alla eliminazione degli stati

più piccoli ma soprattutto sancì il predominio austriaco, diretto o indiretto, sul territorio

peninsulare. Più nel dettaglio:

il Lombardo-Veneto, con Venezia, tornò all’Austria che mantenne presidi militari anche nei

territori pontifici di Ferrara e Comacchio e a Piacenza.

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Il Ducato di Parma e Piacenza venne assegnato alla moglie di Napoleone, Maria Luisa

d’Asburgo, con l’intesa che alla sua morte (1831) sarebbe tornato ai Borbone.

Il Ducato di Modena e Reggio toccò a Francesco IV d’Asburgo-Este (1814-1846) a cui, dopo

la morte della madre, andarono in eredità anche Massa e Carrara.

Il Granducato di Toscana fu assegnato a Ferdinando III d’Asburgo-Lorena (1814-1824), che

acquistava anche l’ex Stato dei Presidi e l’ex Principato di Piombino.

La Repubblica di San Marino vide riconosciuta la sua secolare indipendenza.

Lo Stato Pontificio fu restituito a Pio VII (1800-1823). Per qualche tempo sembrò prevalere

una corrente riformistica capeggiata dal cardinale Consalvi, favorevole ad un

ammodernamento dell’amministrazione; ma l’opposizione di cardinali cosiddetti “zelanti” fece

ricadere lo Stato nel malgoverno e nello strapotere di alcune famiglie patrizie.

Il Regno delle Due Sicilie, ex Regno di Napoli a cui si era aggiunta la Sicilia, fu restituito a

Ferdinando IV di Borbone, che nel 1816 assunse pertanto il titolo di re delle Due Sicilie. Qui

più che altrove fu forte il contrasto tra le tendenze accentratrici del sovrano, la tradizione di

moderate riforme realizzata all’epoca di Murat (a cui nel 1808 Napoleone aveva affidato il

Regno di Napoli) e l’autonomismo siciliano, evidenziato dalla costituzione del 1812, subito

abolita. La linea politica adottata dal sovrano a dal ministro Luigi de’ Medici, portò il Regno

ad un progressivo ripiegamento conservatore, che si espresse nella restaurazione di alcuni

diritti feudali e nel Concordato con la Santa Sede del 1818, che restituiva alla Chiesa molti

privilegi.

Il Regno di Sardegna, che aveva recuperato Nizza e Savoia e si era visto assegnare il territorio

dell’ex Repubblica di Genova, toccò a Vittorio Emanuele I di Savoia. Le tendenze

assolutistiche e tradizionalistiche del sovrano lo portarono a demolire la legislazione francese,

a restaurare privilegi feudali ed ecclesiastici, a restituire al clero posizioni di predominio nel

campo dell’istruzione; ma queste misure non tardarono a suscitare un comune malcontento

soprattutto negli ambienti della nobiltà e della borghesia che avevano vissuto l’esperienza

francese e respirato l’aria della più aperta cultura europea.

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4 La “Santa alleanza” e la “Quadruplice alleanza”

Così ridisegnato l’ordine europeo, si approntò un sistema diplomatico-militare che

vigilasse sul rispetto degli equilibri, sia a livello internazionale che riguardo il mantenimento

dell’ordine all’interno degli Stati. Ciò si rivelava essenziale perché le potenze vincitrici di

Napoleone erano ben consapevoli che sul tavolo europeo, una volta chiuso il Congresso,

rimanevano ancora irrisolti tre grandi questioni che la rivoluzione francese prima e Napoleone

poi, avevano posto: il problema della libertà, la questione nazionale e quella sociale. Il

principale strumento in questo senso fu la “Santa Alleanza”, costituitasi su iniziativa dello zar

Alessandro I, a cui aderirono Austria e Prussia. Successivamente vi aderirono molti altri paesi

d’Europa ma non l’Inghilterra né lo Stato della Chiesa. Il fine dichiarato della Alleanza,

dunque, era quello di scongiurare ogni ripresa rivoluzionaria e di mantenere l’ordine e la pace

che il Congresso aveva riportato in Europa dopo gli sconvolgimenti rivoluzionari e le

devastanti guerre.

L’Alleanza, stipulata tra il sovrano austriaco, cattolico, quello russo, ortodosso e quello

prussiano, protestante, si definiva “santa” perché stipulata «nel nome della santissima e

indivisibile Trinità», era cioè basata sul principio comune alle confessioni cristiane, del diritto

divino dei re. Il riferimento alla religione, dunque, non fu un fatto formale o di convenienza.

Essa diresse realmente l’Europa secondo le linee stabilite al Congresso di Vienna, prevedendo

anche riunioni periodiche fra i tre paesi contraenti. Pur essendo partita da un’iniziativa dello

zar, divenne però uno strumento essenzialmente guidato dal ministro austriaco Metternich,

grazie al quale fu adottato il principio d’intervento delle potenze alleate nei paesi in cui il

nazionalismo o il liberalismo mettessero in pericolo l’ordine stabilito dal Congresso. Grazie

all’adozione di questo principio molti sovrani europei aderirono all’Alleanza, perché di fatto

garantiva la saldezza dei loro troni. La stessa Francia restaurata faceva pressione per entrarvi

perché la dinastia borbonica si trovava in una situazione di grave debolezza all’interno del

paese, ma fu ammessa solamente nel 1818 proprio perché, in quanto paese che aveva dato

inizio alla rivoluzione nel 1789, non offriva molte garanzie di stabilità politica.

Come anticipato, l’Inghilterra non aderì. Sia perché il suo regime costituzionale era

difficilmente compatibile con i principi della Santa Alleanza, sia soprattutto perché non volle

rinunciare alla propria libertà di azione.

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Lo Stato della Chiesa non aderì perché per Pio VII i principi religiosi che infarcivano il testo

dell’Alleanza apparivano generici ed anche troppo equivocamente sincretisti e perfino di

derivazione massonica. D’altra parte in questa alleanza cosiddetta “del Trono e dell’Altare”, il

sostegno della Chiesa alle forze e ai principi antirivoluzionari fu indubbio e si rafforzò sempre

di più.

Dopo gli eccessi di venti anni di guerre rivoluzionarie e napoleoniche, l’idea di uno strumento

efficace per il mantenimento dell’ordine e della pace andava incontro alle aspettative di molti.

Fu per questo che si può dire che

se non su un vero e proprio entusiasmo etico-politico, la restaurazione e la Santa

Alleanza poterono contare su un consenso che le circostanze […] rendevano

inizialmente alquanto largo […]7

La Santa Alleanza però non poteva esaurire da sola tutto il senso politico del Congresso e

dell’ordine da esso stabilito. Era necessario il completamento con la “Quadruplice Alleanza”

stipulata singolarmente fra Austria, Prussia e Russia con l’Inghilterra. Suo scopo precipuo era

quello di vigilare sulla Francia e impedire che minacciasse ancora l’ordine europeo.

Questo doppio piano di alleanze era una novità nella diplomazia europea, perché legava

indissolubilmente l’ordine internazionale all’ordine all’interno dei singoli paesi. Nacque così quello

che venne definito “il concerto europeo”, cioè il tentativo di armonizzare le politiche dei paesi

europei per la riduzione delle tensioni e di garantire all’Europa il mantenimento della pace.

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5 Primi segni di cedimento del “concerto” europeo

Dalla Spagna partì una prima ondata rivoluzionaria che, con una reazione a catena, incrinò

l’ordine del Congresso di Vienna. La scintilla era stata la volontà del re di Spagna, Ferdinando VII

di riprendere il controllo delle colonie americane, che si erano rese indipendenti approfittando

dell’invasione della Spagna da parte delle truppe napoleoniche. Il forte contingente militare però si

rifiutò di partire per le Americhe e si ammutinò il 1° gennaio 1820. La rivolta si estese agli altri

reparti ed in breve tempo il re fu costretto a emanare la Costituzione del 1812 che aveva ritirata una

volta restaurato sul suo trono dal Congresso di Vienna.

Questi avvenimenti ebbero l’effetto di scatenare la ripresa degli eventi rivoluzionari soprattutto nei

paesi dell’Europa mediterranea, tra l’altro colpita da una crisi agricola per i cattivi raccolti del 1816

e 1817.

Nel febbraio 1820 fu assassinato in Francia il duca de Berry, erede al trono e capo degli ultrarealisti.

In Portogallo, nell’estate di quell’anno, un’insurrezione costrinse il re Giovanni VI Braganza a

concedere una Costituzione.

Nel Regno delle Due Sicilie il 1° luglio la guarnigione militare di Nola guidata dai due giovani

ufficiali carbonari Morelli e Silvati insorsero chiedendo la Costituzione e il decentramento

amministrativo. Anche Palermo insorse, subito dopo Napoli ma con la differenza che ci fu un largo

concorso delle masse popolari, che chiedevano l’indipendenza dell’isola.

La Santa Alleanza decise di intervenire per mano dell’Austria, che il 23 marzo 1821 entrò a Napoli

per restaurare il potere assoluto di Ferdinando I, che mise in atto una dura repressione contro i

liberali e i democratici, il cosiddetto «spurgo dei settari».

Mentre, però, l’Austria era impegnata nelle Due Sicilie insorse Regno di Sardegna.

L’ammutinamento dell’esercito costrinse il re di Sardegna, Vittorio Emanuele I ad abdicare in

favore del fratello Carlo Felice. Siccome questi però non era nel regno la reggenza fu affidata al

nipote Carlo Alberto, il quale si impegnò a concedere una costituzione. Fu però sconfessato da

Carlo Felice e poi si unì alle truppe lealiste che sconfissero, con l’aiuto dell’Austria, i rivoluzionari

a Novara.

Sempre per conto della Santa Alleanza la Francia invase la Spagna nel 1823 per ristabilire la

monarchia assoluta e di lì a poco anche in Portogallo la costituzione fu revocata. Elemento comune

7 G. GALASSO, Storia d’Europa. Età moderna, cit., pag. 301.

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a questa esperienza fu la compattezza del fronte conservatore della Santa Alleanza ma anche la

completa mancanza di legami fra le forze liberali e le masse popolari.

L’unica insurrezione ad avere successo fra le rivoluzioni degli anni Venti, fu quella greca, che iniziò

nel 1821 contro l’Impero ottomano e si concluse dieci anni dopo con la proclamazione

dell’indipendenza. La setta patriottica detta Eteria, che aveva promosso la rivolta, aveva una forte

corrispondenza con le masse popolari contro cui si volse la crudeltà della repressione turca. Lo

sdegno che ciò suscitò in Europa fece sorgere una opinione pubblica internazionale favorevole agli

insorti greci, tanto che da tutta Europa accorsero volontari per combattere i turchi. Ma solo

l’intervento militare della Francia e dell’Inghilterra contro la flotta turco-egiziana, e l’intervento

della Russia, portarono alla pace di Adrianopoli nel 1829 e al riconoscimento da parte del sultano

dell’indipendenza greca, paese a cui fu imposto una monarchia assolutista. Iniziò inoltre l’ultima

fase di vita dell’Impero turco, fase di crisi che era destinata a durare ancora quasi un secolo, durante

il quale sarebbe iniziato il suo smembramento, con la conquista dell’Algeria da parte della Francia

nel 1830 e l’indipendenza dell’Egitto.

L’indipendenza della Grecia fu un grave colpo all’equilibrio del Congresso di Vienna, perché su di

essa per la prima volta la Santa Alleanza si era spaccata, data la contrarietà dell’Austria

all’indipendenza dei Greci. Va notato comunque come l’indipendenza dell’America Latina e della

Grecia sono inconcepibili per il principio di legittimità dinastica, eppure furono perfettamente

accettate e accettabili da parte delle potenze europee in base al principio dell’equilibrio.

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