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1 © Giuseppe Circhetta

OURPHOTO N03

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il periodico non periodico di libera fotografia.

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SOMMARIO

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Ai sensi della Legge n.62 del 7 marzo 2001, si dichiara che questa pubblicazione non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto viene aggiornato ad intervalli non regolari.

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eDITORIALE

NUMERO

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Lavoro di squadra.Si dice sempre “bravo il fotografo” ma mai, o quasi, ci si rende conto appieno di quanto real-mente fondamentale sia il lavoro di squadra che sta dietro.Si immagina il fotografo come un moderno eroe solitario, degno di Re Aragorn di Tolkien, solcare i set alla mistica ricerca dello scatto perfetto che rappresenti tutta la sua arte. Ora, anche in quei non scontati casi nei quali egli riesca a portare a casa gli “scatti perfetti del mese” bisogna sapere che il merito non è solo suo. Insomma confessiamo: non è solo farina del no-stro creativo sacco.

Dietro di noi abbiamo un vero e proprio esercito di valorosi combattenti.MUA (Make Up Artist, ndr) sempre sorridenti con il compito di intuire ciò desideriamo venga realiz-zato sui volti dei soggetti.Hair Stylist dalle mani e dalle menti rapidissime capaci (costretti) a realizzare opere degne di Ren-zo Piano in pochi minuti.Stylist che da due valigie tirano fuori un’intera boutique di abiti ed accessori splendidamente inerenti al tema (mood) che abbiamo richiesto.

Modelle/i pronte e capaci a lavorare per 8 ore sotto caldi riflettori e phon sempre in forma con sorriso smagliante o sguardo ammiccante a co-mando. Assistenti che montano/smontano come ai mercati generali perchè “eh no, qui se non montiamo un quarto snoot sul fondale non abbia-mo la luce giusta”

Non siamo gli eroi. Siamo un anello della catena. Importante si, come gli altri. Con la responsabili-ta’ del dover valorizzare (o del non dover vanifica-re) il lavoro altrui.

La stessa cosa è accaduta ed accade con OurPho-to. Siete voi a fare il grosso del lavoro, con i vostri articoli, le vostre foto, la vostra fantasia.E noi stavamo rischiando di vanificare il tutto. Era-vamo due piccoli Re senza esercito. Così abbiamo sospeso le pubblicazioni, per for-mare il team.

Ora OurPhoto è pronta a darvi ciò che meritate. Attenzione, merito. Diamo personalmente il benvenuto ai nuovi membri della squadra: Chiara, Ivan e Mario.

E diamo il benvenuto ad una nuova e più forte OurPhoto, che vuole e può farsi notare nel pano-rama editoriale fotografico. Parlando di noi, delle nostre foto, delle nostre idee.

E come sempre abbiamo bisogno di voi. Siete voi il panorama fotografico, siete voi il polso della situazione, la moda o il mercato.

Siete voi, noi.

Fabio Camandona.

Umberto

Fabio

Ivan

Mario

Chiara

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ospita il Tate Modern Museum e delle famose cabine telefoniche rosse) e venne costruita in 2 tempi: una prima metà (sezione A) nel 1939 e una seconda metà speculare (B) nel 1955. Deco-rata internamente con ricchi elementi Art Dèco, forniva 1/5 del fabbisogno energetico della città e divenne presto l’emblema della potenza industria-le londinese…ed è per questo che i Pink Floyd, nel 1977, la scelsero come copertina dell’album “Animals”, dando all’edificio un aspetto minaccio-so ed inserendo tra le sue ciminiere un maiale vo-lante, simbolo della politica oppressiva dei potenti capitalisti dell’epoca. La centrale (soprannomi-nata il “tavolo rovesciato”) venne definitivamente chiusa nel 1983 e malgrado sia stata più volte al centro di vari progetti di riqualificazione urbana (mai concretizzatosi), versa ora in un grave stato di degrado.

QPR – Manchester City…compro i biglietti e con il mio amico Giuseppe mi ritrovo per l’ennesima volta nella capitale d’oltremani-ca; questa volta però mi porto dietro, oltre alla nuova fotocamera, un filo di esperienza e consapevolezza in più in materia fotografi-ca (frutto di vari corsi, laboratori e workshop) e l’intento di riprendere qualcosa di diverso, che non siano i soliti big ben, tower bridge o la ruota panoramica, visti e rivisti da tutte le angolazioni.Ci mettiamo quindi alla ricerca delle curiosità che la poliedrica Londra offre…

Battersea Power Station…l’edificio in mattoni più grande d’Europa.Situata sulla riva destra del Tamigi, all’altezza del Chelsea Bridge, la Centrale elettrica a carbone di Battersea fu progettata da Sir Giles Gilbert Scott (padre anche della ex centrale termoelettrica che

FOTO Massimo Bertoniemail: [email protected]

TESTO Massimo Bertoni

Una Londra... Insolita

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The Monument…da far girar la testa.Uscendo dall’omonima fermata del metro, sulla Central line, ci si trova davanti questa colonna in pietra costruita tra il 1671 ed 1677, su disegno dell’Arch. Christopher Wren, per commemorare il grande incendio di Londra del 2 settembre 1666. Alta 62 metri, la stessa distanza che c’è tra la base e la panetteria in Pudding Lane dove ebbe origine l’incendio che durò 3 giorni, permette di godere (nelle giornate più limpide) di una splen-dida visuale sulla città.

Per poter arrivare sotto alla statua in rame dorato (che rappresenta il fuoco), occore “superare” la stretta scala a chiocciola che contiene al suo inter-no; 311 scalini veramente impegnativi, al punto tale che all’uscita viene consegnato un attestato di …congratulazioni!

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Abbey road…le strisce pedonali più fa-mose al mondo.Nel distretto di Westminster, a poche centinaia di metri della stazione metropo-litana di St. John’s Wood, al n° 7 di Ab-bey road, si trovano gli EMI Abbey Road Studios, dove nel 1969 i Beatles stavano registrando il loro 11° album che porta il nome della via stessa. Il mattino del 8 agosto, durante una pausa, i 4 di Liver-pool uscirono in strada e si fecero immor-talare dall’Hasselblad del fotografo Iain McMillan mentre in fila attraversavano le strisce pedonali…dando vita all’immagine che divenne la copertina del disco e che fu in seguito oggetto delle più svariate interpretazioni, in particolare a supporto della teoria riguardante la presunta morte di Paul McCartney (Poul Is Dead). Oggi il luogo è patrimonio culturale nazionale…ed è facile trovare turisti che ricreano la celebre scena (qualcuno anche si toglie scarpe e calze),con buona pace degli automobilisti che rispettosamente …atten-dono lo scatto!

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minata la costruzione di una città, questa veniva depredata e cadeva in rovina.In un contesto climatico caratterizzato da clima continentale con scarsa piovosità, l’orografia di-venta una chiave preziosa al fine di comprendere l’attività con cui l’uomo ha plasmato il territorio. In effetti, in corrispondenza di cime che svettano arrivando a sfiorare i 5000 metri di altitudine, la pianura è fertile ed è totalmente irrigata durante tutto l’anno. In passato i nomadi vivevano sulle alte montagne, ma nella formazione montuosa più comune un’arida catena collinosa si interpone tra il massiccio montano e la pianura, formando una barriera tra i nomadi stessi e le popolazioni delle oasi.Al giorno d’oggi i villaggi dove si svolgono con-temporaneamente mercati del bestiame e di prodotti agricoli costituiscono i punti di contat-to tra allevatori e contadini. L’attività agricola è favorita dall’abbondante presenza di acqua; nei punti in cui i torrenti sboccano dalla catena col-

Seconda tappa: la valle dell’Ili tra steppe e can-yon “La valle dell’Ili è la terra promessa dell’Asia centrale cinese”: con queste parole Owen Latti-more, nel suo mirabile volume La Frontiera, inizia la descrizione della regione che rappresenta oggi il sud-est del Kazakhstan. Pur essendo un territo-rio caratterizzato da vari tipi di ambiente - monta-no con pascoli e ricchi boschi nell’estremità orien-tale, arido con presenza di oasi nel pedemonte centrale meridionale,irrigato e adatto all’agricol-tura nella parte occidentale, umido con folta ve-getazione di latifoglie là dove l’Ili si getta nel lago Kapshagay- non ha mai conosciuto un lungo e continuo sviluppo, a differenza della parte cinese della valle. Prima della sedentarizzazione forzata stalinista, la grande vallata costituiva una insena-tura in cui venivano risucchiati da tutte le migra-zioni membri di gruppi etnici che percorrevano le rotte migratorie dei nomadi tra la Mongolia e l’Asia centrale russa. Il continuo rimescolamente delle popolazioni ha fatto si che, non ancora ter-

FOTO Andrea [email protected]

TESTI François [email protected]

I’m Marco Polo . Kazakistan. 02

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differenza con il concetto di “territorio”. La steppa ha le vere caratteristiche di uno spazio, ovvero una tabula rasa ricoperta da una vegetazione composta da piccolis-sime piante arbustifere che costituiscono il nutrimento per le sporadiche mandrie di ruminanti che si incontrano.Il canyon di Charin si trova a poco più di 100 km dal confine cinese e rappresenta una delle meraviglie di tutto il Kazakhstan sud-orientale. La parte più scenografica del canyon si dipana su un percorso di circa due chilometri lungo i quali l’am-piezza della valle varia dai 20 agli 80 metri, mentre le pareti rocciose raggiun-gono altezze comprese tra i 150 e i 300 metri. La vicenda più curiosa legata a questo spettacolare monumento naturale, secondo per bellezza forse solo al Grand Canyon in Colorado, è la sua scoperta in tempi relativamente recenti. Fino agli anni ’60 infatti la sua esistenza era totalmente sconosciuta al mondo “civile”; le autorità dell’epoca si affrettarono a dichiarare il canyon sito protetto e ad alcune delle for-mazioni rocciose più spettacolari fu attri-buito lo status di monumento naturale.

linosa, storicamente è stato possibile distribuire l’acqua a ventaglio mediante sistemi di irrigazio-ne che formano le famose oasi. Ciò ha sempre portato un’eccezionale stabilità all’agricoltura, poichè l’acqua, arrivando dallo scioglimento di nevi e ghiacciai, è presente in grandi quanti-tà proprio quando più è necessaria. I periodi di abbondanza sono due: uno in primavera, quando fonde la neve delle colline più a valle, e uno in estate, quando il disgelo interessa le nevi più alte e i ghiacciai. La grande abbondanza di frutta e verdura caratterizza l’agricoltura di questa regio-ne, con le mele in testa, ma anche uva, meloni e frutteti in genere.Tra Almaty e Baichent, su una distanza di circa 100 km, vi sono, a intervalli regolari, una deci-na di torrenti che scorrono verso valle andando in seguito a gettarsi nel lago Kapshagay. L’im-pressionante scenario a cui si assiste una volta oltrepassato l’ultimo corso d’acqua, il Shelek, è l’interruzione improvvisa di ogni forma di attività e insediamento umano e l’inizio di un ambien-te ostile quanto affascinante, la steppa. Usando un linguaggio mutuato dalla geografia, tipico degli esploratori del XIX secolo, si può definire con “spazio” un ambiente in cui non vi è traccia dell’attività umana, che segna, in tal senso, una

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costruirlo e vedere solo i dettagli che si desidera-no omettendo ciò che non si vuole.Mi sono messo in testa quindi di fare delle foto di beach volley (era estate quando ho deciso) come se fossero in studio e cercare qualche scatto che non sarebbe possibile fare in una partita reale.Come prima cosa mi servivano i modelli da foto-grafare, e, considerando che la squadra della mia compagna era più famosa per la bellezza delle giocatrici che per i risultati ho optato per soggetti femminili. La prima scelta è stata facile: Noemi Sacco. Compagna di gioco di Romina nel Giave-no nonchè mia socia per i tornei estivi di Beach Volley, bella ragazza, alta simpatica, bel fisico e

FOTO Mario Perottoemail: [email protected]

TESTO Mario Perottowww.marioperotto.it

Il “mio” Beach Volley

Sono sempre stato uno sportivo agonista, dalla pallavolo al basket, dallo judo al kung-fu, ma da quando la mia passione per la tavola e il buon cibo ha superato la passione per il movimento mi sono dedicato allo sport da dietro l’obiettivo.La mia compagna, Romina, giocava in una squa-dra di pallavolo in B1, il Giaveno, e ho seguito l’intero campionato facendo migliaia di scatti. Nel periodo estivo mi sono invece dedicato a fotogra-fare il beach volley.La fotografia sportiva è una fotografia pe certi versi “facile” che richiede però un’attrezzatura estremamente costosa. Se non si conosce lo sport che si fotografa (parlo di pallavolo qui) e si è uno spettatore qua-lunque, ciò che serve per le foto indoor è:• una buona macchina con multiscatto rapi-do che regga bene gli ISO alti• ottiche lunghe (almeno 200 di focale) e luminosi (f 2.8 minimo)• Tutto ciò a volte non basta ancora e po-trebbe servire un bel flash che supporti tem-pi di scatto rapidi (1/1000 sec. minimo)Nel caso si conosca invece lo sport e si è in grado di scegliere in modo autonomo il mo-mento in cui scattare, si può fare a meno del multiscatto rapido e passare dalla tecni-ca di massa “scatto a raffica e prima o poi una foto decente la becco” a quella previ-sionale “qui succederà qualcosa e attendo che capiti il momento buono per scattare”.A parte queste considerazioni tecniche mi sono ritrovato dopo 1 anno di foto sportive a riguardare gli album fatti ed accorgermi tristemente che non mi davano nessuna emozione. In tutti gli scatti, per quanto io fossi autorizzato a stare vicino al campo, non ero mai abbastanza vicino da poter fare le foto che avrei desiderato, dando aria e profondità a fotografie diversamen-te piatte. Insomma l’unica cosa che facevo era stare lì come un avvoltoio ed aspettare il gesto atletico e scattare. Mancava quella componente artistica del pensare lo scatto,

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giornata è stata una lotta nel tenerle a freno, spiegando loro che bisogna solo cercare il gesto, non il punto! Questo freno alle ragazze è richiesto oltre che per motivi si salute del flash anche da un limite tecnico dovuto dall’uso di

soprattutto buona confidenza.A questo punto non mi rimaneva che cercare la seconda giocatrice.In quei giorni si svolgeva un torneo femminile di beach volley a cui partecipava anche Noemi. Buona occasione per fare del casting! Dopo la giornata passata ad osservare il gioco di decine di ragazze rimasi in dubbio sulla scelta fra 3: una era molto brava nelle ricezioni e sembrava un gatto per come si muoveva; la seconda era for-te nell’attacco ed aveva una grinta eccezionale; la terza aveva delle mani d’oro e ogni palla che toccava era punto. Feci un paio di riflessioni e alla fine, pensando che non dovevo fare uno squadro-ne per vincere un torneo, ma dovevo fare delle foto, non scelsi nessuna delle 3 e scelsi quella col sedere più bello! Luisa Bosato.Ottimo! Il cast era fatto non mi rimaneva che scegliere un collaboratore che conoscesse lo sport e capitò a fagiolo l’alzatore della mia ex squadra Alessandro Crisafulli, il quale vedendo a chi biso-gnava fare le foto è stato ben contento di venire ad aiutarmi.Come location ho cercato tra i vari campi disponi-bili in Torino e cintura e ne ho scelto uno singolo, circondato da siepi e poco altro, ottimo per non avere troppi elementi di disturbo sullo sfondo.Location pronta. Appuntamento dato. Via!Già via… con un po’ di ritardo… cronico della Sacco che si è persa! Benissimo… recuperata No-emi finalmente si comincia.L’obiettivo è quello di portare a casa foto da punti di vista impossibili in una partita reale: da sopra la rete, in mezzo al campo, sdraiato sulla linea laterale.Tecnica strobist con trasmettitore e ricevitori wire-less con flash.Mentre le ragazze si scaldano con il pallone, piaz-zo il primo set luci con uno dei flash molto vicino alla rete. Piazzo lo sgabello da arbitro (che mi servirà per le riprese dall’alto) in mezzo al campo, sempre vicino a rete lasciando tra me e il flash lo spazio per far attaccare le ragazze con la palla. “Bene, chi vuole iniziare?”.Inizia Noemi, schiacciatrice di mano pesante. Alessandro le alza la palla, Noe prende la rin-corsa e via! Una bella cannonata direttamente… sul flash… che cade inesorabilmente a terra con stativo e tutto chiedendo pietà…Mi era sfuggito il particolare che queste ragazze sono atlete, mica modelle… sono macchine da guerra! Quando vedono un pallone ci devono dare contro il più forte possibile! Il resto della

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dell’impatto della palla col polso che genera uno sbuffo di sabbia! Seguono qualche prova per ricezioni in bagher in cui ci scappa anche una foto alla Ray Charles… Nelle foto successive cerco un effetto particolare: esaltare gli addominali (visto che i miei mi hanno lasciato senza possibilità di ritorno). Ho pensato di usare non solo le luci radenti, classico per esalta-re le forme, ma anche di sfruttare l’ombra della rete sull’addome. La luce ormai inizia a mancare e comincia ad es-sere complicato vedere cosa si fa. Rimane il tem-po per un paio di foto di coppia. Questo primo lavoro di prova ha prodotto scat-ti imperfetti ma che sono una buona base per i prossimi che farò. Un grande ringraziamento al mio aiutante Ales-sandro Crisafulli e alle mie modelle d’eccezione Noemi Sacco e Luisa Bosato che si sono prestate al gioco rendendo divertente il tutto.

Buono sport a tutti!

flash e trasmettitori cinesi: la velocità di sincro è massimo 1/200 sec. Decisamente troppo poco per una foto sportiva in movimento. Quindi movimenti lenti.Una volta inquadrati i problemi tecnici e spie-gato cosa c’è da fare per superarli si è andati decisamente spediti. Dopo qualche scatto sull’attacco decido di inserire la seconda gio-catrice di sfondo come in una partita reale.Probabilmente la situazione era troppo di-vertente o forse le mie modelle troppo forti e sicure perché alla mia richiesta di interpretare come se si fosse all’ultimo punto di una finale la Sacco si esibisce in un’espressione da vispa Teresa in mezzo a prati di violette! Bello scatto. Espressioni poco credibili per una partita!A questo punto preparo il set per una foto che avevo bene in mente: una ricezione presa dalla linea del campo. Posiziono le luci, do le dritte per dove la palla deve essere lanciata, da dove deve partire la giocatrice per difen-dere e dove deve stare l’altra giocatrice. Io mi sdraio a circa 20 cm dal punto previsto per l’impatto. Messa a fuoco manuale inquadro e do il via. La prima palla mi arriva in testa, con il secondo tentativo rischio di essere travolto dalla giocatrice (beh tutto sommato mi sareb-be anche andato bene), dal terzo in poi solo prove per trovare lo scatto giusto che final-mente arriva, compreso un primissimo piano

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Creare FototessereTESTO [email protected]

FOTO Ges

Le fototessere servono a tutti quanti, principal-mente per i documenti di riconoscimento ma anche per tanti altre fini (es. abbonamento mezzi pubblici, iscrizioni scuola ecc.) allora la soluzione ideale è farcele da noi.

Vediamo come:

Dopo aver superato la pova più difficile (procurar-ci la foto che più ci piace) passiamo alla creazione delle 4 fototessere.

1) Apriamo la nostra foto con Photoshop (nel mio esempio ho preso in prestito un’immagi ne della bella miss Italia 2011, Stefania Bivo ne, dopo la premiazione);

2) Le proporzioni sono impostate 7x5 cm e la prima cosa fa fare è mettere una cornice bianca;

3) Vado su Immagine-> Dimensione quadro , spunto la casellina “Relativo” e inserisco come cm 1 per la larghezza ed 1 per l’altezza e imposto come colore estensione quadro “bianco”, quindi Ok;

4) Clicco su Selezione -> tutto

5) Poi vado su Modifica -> Definisci pattern vie ne fuori una finestra, che io ho rinominato “fototessera” e clicco su Ok

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6) Deseleziono l’immagine e clicco su Immagi- ne -> Dimensione quadro e quindi imposto le dimensioni del riquadro che conterrà le 4 fo- totessere. Nel mio caso ho come dimensioni della foto (compresa cornice bianca) 8x6 cm

7) Per creare un riquadro che contenga tutte le 4 foto la sua dimensione dovrà essere il doppio in altezza e il doppio in larghezza, quindi imposto come dimensioni 12x 16 cm e clicco su Ok;

8) Aggiungo un nuovo livello vuoto

9) Vado sulla palette dove c’è l’iconcina del timbro clone e clicco col tasto destro del mouse, quindi seleziono lo strumento timbro con pattern;

10) Clicco sull’iconcina il alto (1) e quindi seleziono il pattern creato prima (2)

11) A questo punto non mi resta che dare delle pennellate sul riquadro creato per applicare il pattern (non ha importanza la dimensione del pennello perché il timbro pattern, diversa mente dal timbro clone, non copia l’area di origine ma copia l’immagine del pattern stesso)

12) Dopo aver passato su tutto il riquadro col pennello pattern questo è il risultato

13) Se si vuole velocizzare l’applicazione del pattern, al posto del timbro pattern basta utilizzare lo strumento secchiello avendo cura di spuntare l’opzione “pattern”, sempre posizionandosi su un nuovo livello vuoto (come al punto 8) è sufficiente un solo click per avere le 4 fototessere.

14) A questo punto non resta che stamparle.

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Intro: Abbiamo chiesto al nostro amico Francesco di raccontarci come sia riuscito a realizzare lo scat-to di copertina del numero 2 di OP.

“Era il due giugno dell’anno scorso, la calda e lunga estate che si stava presentando era da poco iniziata, o meglio avrebbe dovuto iniziare da li a pochi giorni, per le fotografie macro era già un periodo propizio.Era da poco più di un anno che il mio interesse fotografico propendeva per la tecnica macro, ne venni rapito sin da subito, grazie anche ad un gruppo fotografico :”NATURALIFE” “FOTOPERPAS-SIONE” di Sarezzo (Bs), che mi aiutarono intro-ducendomi alla fotografia macro e facendomi conoscere meglio il meraviglioso mondo natura-listico, facendo accrescere la mia passione e la conoscenza tecnica.

Quella mattina ci alzammo presto, verso le 5, in compagnia di due amici fotografi, Mario Frassine ed Alberto Baruffi, ancora assonnati ci avviammo per raggiungere la bassa bresciana, alle prime luci dell’alba che iniziavano a schiarire il cielo.Sulle sponde del fiume Oglio in prossimità di Villachiara sotto il comune di Orzinuovi, raggiun-gemmo la piccola frazione di Bompensiero.Il posto ormai lo conoscevamo abbastanza bene essendo per noi una classica meta.Spesso si trovano soggetti interessanti ed il luogo è piacevole in quanto si fiancheggiano le sponde del fiume, la vegetazione è lasciata abbastanza incolta e di conseguenza gli insetti si fanno vedere più facilmente rispetto alla periferia della città.Un alba muta aveva dato inizio al nuovo giorno, la temperatura era ancora freschina e gli inset-ti non ancora riscaldati dal sole risultavano più tranquilli e meno nevrotici.

Due chiacchere e qualche battuta tra amici rag-giungiamo la zona prestabilita e cominciamo a tirare fuori la nostra attrezzatura, come tre bravi fotografi provetti i nostri zaini erano riempiti a do-

FOTO Francesco Basileemail: francesco@ fotofrancescobasile.it

Lo scatto in copertinaTESTO Francesco Basilewww.fotofrancescobasile.it

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vere, spesso più di quel che poi ci serve, ma si sa che quando ci “sei dentro” fino al collo non puoi farti mancare nulla; non fa niente se lo zaino spesso pesa più di te! (non è il mio caso,non sono certo un fuscello!!!).

Scrutando con lo sguardo attento tra i cespu-gli e l’erba incolta iniziamo a notare piccole damigelle, cavallette, coccinelle e man mano che il sole scalda l’ambiente tutto ricomincia a prendere vita, dopo il sonno dato dalle ore fresche della notte appena passata.Inevitabilmente quando si va per Macro, si tende poi a cercarsi i propri soggetti, quindi da li a breve ognuno era intento a scovare sia il suo scatto che il suo insetto!... Fu così che dietro uno stelo d’erba un pò rinsecchi-to scorsi questa piccolissima damigella che mi osservava quasi spaventata, ricordo che girandovi attorno essa si spostava attorno al filo come una bandiera al vento, ed il vento chissà perché proveniva sempre dalla parte da dove io l’osservavo, probabilmente lei si sentiva più al sicuro non dandomi mai le spalle... Approfittando della temperatu-ra favorevole a non far “agitare” gli insetti, riuscì ad avvicinarmi abbastanza da non farla scappare. Dolcemente adagiai il caval-letto ad una quarantina di cm da lei facendo bene attenzione a cercare di esserle il più perpendicolare e parallelo possibile.

La mia ottica macro era già montata, le im-postazioni erano tutte settate , non mi resta-va che collegare il cavetto di scatto remoto e trovare l’inquadratura giusta per immorta-lare la simpatica scenetta. Subito optai per lo scatto in verticale visto che la scena a mio avviso si prestava ad essere così ripresa.Azionai il live wiev della fotocamera, in-grandendo sugli occhietti della piccola e quando il tutto mi parve a fuoco scattai due tre foto in sequenza. Ricordo che con la mano schiacciai l’erba dietro al soggetto per avere uno sfondo omogeneo e più pulito. Feci qualche prova di diaframma e di tempi finche trovai il compromesso migliore. Fui subito soddisfatto dei colori, della compo-sizione e della nitidezza, mi avventurai così alla ricerca di altri piccoli soggetti.

Nella fotografia macro i tempi di scatto sono fondamentali per evitare il mosso, dovuto a

“Di quella mattina porto un bel ri-cordo, sia per la compagnia che per gli scatti fatti, non capita spesso, al-meno a me, di tornare da un uscita macro con più di 3 o 4 scatti buoni.”

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volte dal vento, la brezza e sopratutto al rapporto di ingrandimento così elevato ad un soggetto piccolo del quale devi far percepire tutti i dettagli.

Di quella mattina porto un bel ricordo, sia per la compagnia che per gli scatti fatti, non capita spesso, almeno a me, di tor-nare da un uscita macro con più di 3 o 4 scatti buoni. Quel dì ne salvai almeno il doppio ed ancora oggi alcuni di loro sono tra i miei scatti macro preferiti.Arrivarono le dieci, gli insetti ormai erano irrequieti, il caldo si faceva sentire e le zanzare cominciavano ad abbeverarsi di noi… Era meglio andarsene...

Così facemmo, entusiasti della giornata produttiva, felici di aver passato una mat-tinata nella natura con le nostre amate fotocamere.

I dati dello scatto: Nikon D300 1/100 sec f8 iso 400 sigma 180mm macro, cavallet-to, scatto remoto, alza specchio ed ovvia-mente una bella sistemata in post produ-zione con capture NX.”

Nella prossima pagina ripubblichiamo vo-lentieri lo scatto della damigella, copertina di OurPhoto 02.

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Vediamo come fotografare il più etereo degli ele-menti e trasformarlo, grazie a semplici passaggi con photoshop, in un elegante e colorato quadro astratto.

Innanzitutto procuriamoci la materia prima: il fumo. Un bastoncino di incenso è l’ideale in quanto produce un flusso costante di fumo oltre a durare parecchio.

Passiamo subito allo schema del set:

FOTO Mario Tarelloemail: [email protected]

TESTO Mario Tarellowww.tarello.it

Il Tutorial di TarelloFotografare il fumo

Come potete notare, l’incenso è posizionato tra la fotocamera e un fondale nero (se si ha a di-sposizione parecchio spazio non è necessario uno sfondo scuro). Sulla sinistra è presente un flash con uno snoot, accessorio utile per restringere il fascio luminoso e convogliare la luce nel punto voluto (lo snoot può essere tranquillamente auto costruito utilizzando un foglio di carta arrotola-to posizionato in cima al flash). Nel mio caso il flash veniva comandato via D200 tramite sistema Nikon CLS. Come obbiettivo non ci sono partico-

lari indicazioni, personalmente ho usato un Sigma 17-70 macro per la sua distanza di messa a fuoco e versatilità.

Ovviamente vanno fatte un po’ di prove per trovare la corretta illuminazione ma soprattutto il giusto flusso di fumo. Consiglio a proposito un ambiente con un flusso di aria non eccessivo. Il trucco per creare gli effetti a spirale consiste nel dare dei piccoli tocchi all’incenso.

Ecco il risultato. L’immagine è stata desaturata per eliminare dominanti oltre all’aver subito un au-mento di contrasto tramite una curva ad S.

Vediamo ora come dare un tocco di colore. Se-lezioniamo lo strumento Gradiente dalla palette degli strumenti e applichiamo un gradiente a piacimento. Ecco quello da me utilizzato.

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Creiamo ora un livello sopra l’immagine del fumo, sempre con lo strumento Gradiente sele-zionato tracciamo una linea orizzontale sul nuovo livello, a questo punto modifichiamo la tipologia di fusione del livello (ovale rosso nell’immagine sottostante) in Moltiplica. Ecco il risultato.

Selezioniamo infine il livello con il fumo, ap-plichiamo il comando Immagine > Modifica > Inverti (CTRL+I) e sul livello con il gradiente modi-fichiamo il metodo di fusione in Colore. Voilà

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Idea, programmazione e fatoFOTO Max LucottiTESTO Max Lucotti

email: [email protected]

Ci siamo lasciati nello scorso numero di Ourphoto sullo scoglio di Quarto, quello da dove sono parti-ti i Mille pensando che la serata fotografica fosse terminata, pregustando già l’imminente cenetta ma doveva arrivare ancora l’elemento sorpresa, quello non programmato e non programmabile.Un lontano brontolio mentre il sole scendeva die-tro l’orizzonte.Tuoni in lontananza nel cielo minaccioso, una grossa massa nuvolosa si stava velocemente ada-giando sul mare.Mi guardo intorno, e mi rendo conto che non ero nel posto giusto, l’occasione non era certo da perdere e il temporale stava arrivando rapido dalla parte opposta e sopratutto c’erano troppe

luci della città che illuminavano il mare con le loro lampade giallognole. Voi state pensano che pensavo di mettermi al riparo? Non mi è neanche venuto per un attimo in mente, eccitato come ero dalla possibilità di fare degli scatti che da tanto bramavo. Finalmente un temporale, e aveva l’a-spetto di essere un gran bel temporale!Prendo l’attrezzatura e mi metto a correre dall’al-tra parte del piccolo golfo, dove la scogliera sem-bra meno illuminata dai lampioni stradali. Scendo sulla scogliera, il mare non sembra abbia voglia di mettersi al mosso..Dal promontorio di Portofino i fulmini illuminano il cielo ancora nell’ora blu.

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Con la macchina sempre sul trepiede, il 14mm montato ed in posa b, variando il dia-framma in funzione della luce residua della giornata, faccio innumerevoli scatti, go-dendomi questo spettacolo della natura che stà transitando sul mare di fronte a me.

l’istogramma che risulti il più a destra possibile. Si possono anche impressionare sullo stesso scatto più lampi, sono però valutazioni da farsi sul mo-mento e che non si possono dare a tavolino per-chè dipendono da moltissimi fattori.

Sono su uno scoglio, ogni tanto arrivano folate di freddo vento che mi obbligano ad asciugare la macchina e l’ottica, ma lo spettacolo è subli-me. Ad una decina di Km davanti a me la massa temporalesca sembra che si ingrossi sempre più, i fulmini cadono con una cadenza costante, con un fragore infernale. Sono felice come un bambino con il giocattolo nuovo.

Quando si scatta durante un temporale biso-gna considerare i lampi come se arrivassero da un flash. Il problema maggiore è capire quando cadranno, in certi temporali come questo tendono ad avere una cadenza che si può calcolare. Quì tra 1e 2 minuti un lampo cadeva sempre. Quindi considerando che lo sfondo è molto scuro visto che si accinge a scendere la notte, tenendo iso bassi, chiudiamo un pò il diaframma di modo di poter tenere aperto l’otturatore per 1-2 mi-nuti senza sovraesporre nulla sulla scena (ma se arriva prima un bel fulmine possiamo terminare prima l’esposizione, anche dopo 30 secondi, è il lampo che illumina). Buona norma è al termine dello scatto guardarne il risultato, specialmente

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La grossa nuvola temporalesca mi transita davanti, si nota chiaramente una tromba d’aria sul mare. Sembra quasi che sia in posa per me, gli scrosci di pioggia mi sfiorano senza prendermi direttamente e i fulmini cadono sufficentemente lontani, pure la tromba d’aria sembra che faccia un ballo per i pochi spettatori.

Man mano che cala l’oscurità l’effetto dei fulmini è diverso, come è diversa la colorazione che prende il cielo, illuminato come da un grande flash.

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I due articoli volevano raccontare come sia importante nella fotografia paesaggistica programmare il più possibile per mettere sul sensore la propria idea, quindi andare prima sul posto se possibile per ve-rificare le composizioni e la logistica, pensare alle difficoltà che si potrebbe andare incontro e studiarsi la posizione del sole al momento dello scatto. Ma volevano anche raccontare come bisogna sempre stare attenti e pronti all’evolvere delle situazioni ambientali, perchè avere un colpo di c... (hops) fortu-na è raro e quindi bisogna non perdere l’occasione quando ti si presenta. Carpe diem!

Dopo un paio d’ore il temporale esaurisce la sua forza, e quindi così finisce la giornata ideale del foto-grafo paesaggista, soddisfatto e sereno anche se molto infreddolito e un pò bagnaticcio..

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Se ne parla troppo e in maniera poco scientifica, troppo poco in maniera chiara e sincera.Da “Porta a Porta” a “Matrix”, da Pierre Dukan a Gianluca Mech, dal dottore di alimentazione plu-ripremiato galattico (che se poi vai a vedere bene magari è sostenuto e finanziato da varie fondazio-ni come Barilla Center) alla “scienza” del sondino (solo a scriverlo mi viene la pelle d’oca).Tutti ne disquisiscono, propongono diete ed han-no consigli e soluzioni miracolose, tutti hanno la risposta giusta e tutti hanno scoperto la scorciatoia per essere snelli, magri in forma e sani.Intanto l’allarme obesità dilaga soprattutto nei bambini come un’epidemia (colpa quindi dei ge-nitori con abitudini e conoscenze alimentari limi-tate), con una crescita così rapida che ha sorpreso perfino gli specialisti delle autorità sanitarie.

L’obesità infantile colpisce più del 30% dei bambini (non sovrappeso… OBESITÀ! Più del trentapercen-to!!!) e si arriva a percentuali in continua crescita e a numeri pazzeschi se si va a vedere il sovrappeso e l’obesità della popolazione adulta (dati presi dal sito governativo www.salute.gov.it).Meno male che c’è LEI… la dieta mediterranea.Ahhh, la dieta mediterranea, patrimonio dell’Une-sco… intoccabile (perdonate… non resisto... apro solo una piccola parentesi sull’argomento).

Peccato che la dieta mediterranea ATTUALE propo-sta nei vari talk show non è altro che una rivisita-zione fatta dalle multinazionali della pasta e della pizza, le lobby che controllano le informazioni per tenere le masse delle persone nell’ignoranza ali-mentare.Pochi sanno infatti che è diventata patrimonio dell’umanità non come dieta dimagrante o dieta in quanto sana e benefica dal punto di vista pretta-mente alimentare (come mai nessuno lo dice?!?!?), ma come stile di vita (dieta dall’etimo greco “stile di vita”) cioè dall’insieme delle pratiche, delle rap-presentazioni, delle espressioni, delle conoscenze, delle abilità, dei saperi e degli spazi culturali con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno vis-

suto nei secoli (cito dal sito dell’Unesco, www.une-sco.it). Quindi più che un regime alimentare cheporta al benessere, studiato a DOC per il nostro organismo e per la nostra struttura, rappresenta più un insieme di antiche competenze, pratiche re-ligiose e tradizioni.

La nostra “dieta mediterranea” si va ad unire alla lista dei 166 beni immateriali, di cui altri due ita-liani: l’Opera dei Pupi siciliana e il Canto a tenore sardo (non sto scherzando).A riguardo mi vien da dire: ma se reperti arche-ologici scoperti nelle Ande centrali, testimoniano come l’uomo abbia cominciato a masticare le fo-glie di coca (da cui si estrae la cocaina) in epoche precedenti al 2500 a.C. (una pratica molto più an-tica rispetto alla tradizionale “dieta mediterranea”) mettiamo anche questa pratica nel “patrimoniodell’Unesco” sicuramente troveremo moltissimi so-stenitori :-)Questa provocazione è per sottolineare quanto il tradizionale e l’antico (soprattutto se storpiato!), non sempre è MEGLIO e CORRETTO (anche se... devo dirlo… la VERA dieta mediterranea… VERA... è un regime alimentare “menopeggio”).Ma cos’è allora questa “VERA” dieta mediterranea?Pasta… pizza… pulcinella e pummarola?!?! NO!!!Facciamo un minimo di storia (promesso… sarò breve…).Si attribuisce questo mito a un dietologo america-no che negli anni ’60 scrisse il libro “How to Eat Well and stay Well: the Mediterranean way” che eleggeva la cucina del sud d’Italia come in grado

Il paradosso alimentareTESTO Carlo [email protected]

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mi danno fiducia a scapito di chi è troppo pigro e depresso per voler afferrare le re-dini della propria vita e vivere un qualun-que cambiamento; nonostante il magone che mi genera, ho imparato ad accettarlo. A me, questa cattiva informazione, tutta questa confusione e ricerca di scorciatoie e mancanza di buon senso mi manda fuori di testa, mi irrita terribilmente. Voglio mettere da parte le mie idee, voglio per il momento solo farvi sapere una cosa sconcertante:In realtà gli scienziati sanno BENISSIMO perché l’obesità dilaga nel mondo, e lo sanno da una vita.Voglio prendere ad esempio il numero 471 de “Le Scienze” dedicato al Paradosso Ali-mentare (ve lo consiglio perché in poche pagine molto discorsive vengono descritti i motivi del dilagare endemico dell’obesità).Se un’informazione scientifica filtra in una rivista scientifica a grande tiratura, signi-fica che nel ristretto ambiente scientifico questa informazione è nota, se non altro come ipotesi, da almeno 10-15 anni. Di-ciamo perciò che sono ben 20 anni che sia sa perché il mondo (industrializzato) si sta obesizzando. Il motivo in linea di massima è semplice, banale, stupido.

LE CALORIE IN ECCESSO (siete scioccati?)Io poi potrei aprire argomenti riguardanti le intolleranze alimentari, il problema del glutine, delle leptine con conseguente im-permeabilizzazione intestinale, del lattosio, di sindromi strane e di ingredienti messi ad arte per far mangiare di più… ma non vo-glio spaventarvi troppo.Voglio concentrarmi sulle SEMPLICI... CALORIE IN ECCESSO.

Quando un fenomeno è endemico, pla-netario (è più forte di me, ma devo spe-cificarlo… planetario per 2 quinti…) e si verifica dove prima non c’era, i fattori che lo causano devono essere ragionevol-mente semplici. La malaria qui non esi-ste, potrebbe arrivare solo se la portasse la zanzara anofele. Anche in questo caso, quando un paese in via di sviluppo pas-sa da avere metà della popolazione che fa la fame ad avere metà della popolazione obesa le cause non possono che essere estremamente semplici:

di risolvere alcune patologie come diabete, obe-sità, colesterolomia. Ma Puglia e Calabria, pur vantando un patrimonio culinario di rilievo non rappresentano affatto la complessità del Mediter-raneo che comprende cibi secolari come kebab e il couscous (noto già nel 1570), al cui confronto la pasta al pomodoro appare come un nuovo esoti-smo. Giusto per fare chiarezza, il cibo Mediterra-neo per eccellenza è un cibo “Low Carb” (a bas-sissimo/nullo tenore di cereali e di carboidrati): lo stufato di carni miste, cotto a lungo con ortaggi.Questa preparazione è nota in tutto il Mediterra-neo con nomi differenti (pote allego, olla potrida, cassoulet, cazzoeula, couscous).

Siamo alle porte del 2012 e non si può dare un colpo di spugna agli studi antropologici, all’evo-luzione, alla genetica, agli studi scientifici sull’ali-mentazione, alla ricerca medica e alla più recente lettura del DNA.E tra una serata di gala a vedere i Pupi siciliani e l’altra a sentire il canto a tenore sardo, tra un “Por-ta a Porta” e una diatriba sulla funzione del son-dino o palloncino gastrico… gli obesi aumentano con tutte le conseguenze che ne derivano… sem-pre nel mentre che tre quinti dell’umanità MUORE di fame (non ce la faccio a non ricordarlo).

Ma allora Carlo… che facciamo?Tutti i giorni combatto una guerra impari contro la cattiva informazione data dalla televisione, dalla pubblicità delle multinazionali, dalle riviste del 5Kg in 15 minuti (giuro ho visto una crema costosissima che lo PROMETTEVA) , dalle case farmaceutiche e da chi ha interesse a lasciare tutto com’è.

Io non nasco imparato.Leggo, studio, mi informo, in un certo senso faccio ricerca. Vedo come cambiano vita le persone che

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1 Introduzione dei Junk food nello stile di vita (cibi spazzatura)2 Meno movimento3 Introduzione di cibi ad alta densità caloricaMi voglio concentrare sul terzo punto (cibi densi) che è interessante e determinante perché riguarda il meccanismo della sa-zietà: tagliando corto e semplificando mol-tissimo… quando le pareti dello stomaco vengono tese oltre un certo livello, partono

dei segnali verso il cervello che danno la sensazione di sazietà… lo stesso effetto del palloncino gastrico (GULP!!!).

Siete sazi per il volume di roba che avete nella pancia…Vi invito a fare un piccolo esperimento a casa. Prendete ad esempio un bel “Mul-ler Mix” (bianco + stelle di cioccolato) da 220Kcal circa e cercate altri alimenti con le

stesse Kcal totali.Io ho trovato una scatola di piselli, una scatola da 200 gr. di ceci sgocciolati, poco più di 200 gr. di fagioli sgocciolati, 4 scatolette piccole di tonno al naturale, 7 fette biscottate, 200 gr. di mais dolce, 4 bicchieri di latte e 3 fette di fesa di pollo.Metteteli tutti uno vicino all’altro su un ripiano ed osservate… secondo voi, quali tra questi va giù senza nemmeno sentirlo?Ovvio, lo yogurt!Non ve li scolereste 3 bei Muller in una giornata? Perché non 4? Facciamo 2 la mattina… due la sera e magari quello “bianco + fragole” per spuntino.Non ci vuole NULLA.E ridendo e scherzando sono più di 1200 Kcal di cazzate. Ve le mangereste 20 scatolette di tonno al naturale??? Ma quando mai… oppure 1 Kg di fagioli o ceci o 1 kg di fesa di pollo? Quasi 50 fette biscottate (non è una sfida!)???Lo yogurt, va giù a palla…

Ed ecco che in questo modo si capisce la densità dei cibi e il perché quando sei al mare si vedono quei bambini che sono 3 volte i compagni di gio-chi.E da qui si capisce perché la dieta Mediterranea (quella VERA) potrebbe essere la soluzione “me-nopeggio”, perché non c’erano prodotti ad alta densità calorica… quella di oggi con la pasta e la pizza “mangiare tutto ma con moderazione” non lo è più.

E senza toccare l’argomento salute e “star bene” e delle malattie autoimmuni e concentrandomi solo ed esclusivamente sull’argomento sovrappeso/obesità, si può dire che qualunque regime alimen-tare antico va bene… anche la dieta del Turkhme-nistan o del Laos… le stesse diete ma con gli ali-menti di oggi, sono gonfie di calorie.

Sapere è potere e salva la vita.

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FOTO Matteo Fantoliniemail:

Ecco la prima puntata dei racconti diMatteo Fantolini, che ci porterà nel suo personale viaggio in Thailandia. Buona lettura.

Batteria carica e postazione dondolante.

L’ultima cicatrice sulla mia faccia risale a qualche giorno fa, ed è l’inconfondibile segno della mia brutale barbaria nei confronti dei miei troppi pun-ti neri. Me la vedo nello specchio. Sì, nello spec-chio di un bagno. Beh, in effetti è il bagno un po’ squallido di un treno notturno che da Ayuthaya ci sta portando a Chiang Mai, mentre sto fumando una sigaretta. In bagno si può. Ma facciamo un breve salto indietro.

Era esattamente una settimana fa quando io e Luisa ci apprestavamo a salire in macchina alla volta della Malpensa per fermarci ad Istanbul fino a raggiungere il giorno dopo Bangkok.Ed è stato un attimo rendersi conto che quelle dodici ore in Turchia ci sarebbero costate quanto tre giorni di vita in Thailandia. Ma va beh, fa par-te del gioco e ci siamo lasciati prendere la mano dall’unicità della condizione. Entrambi non erava-

TESTO Matteo Fantoliniwww.

Chissà quanto riuscirò a scrivere

mo mai stati lì ed io ero colto da frenesia fotogra-fica. Comunque, annegando nel traffico mostruo-so della capitale dai due continenti raggiungiamo a bordo di un TAKSI (come si chiamano lì) il cen-tro storico. Ci lasciamo rapire dalla bellezza di Sultanhamet – la moschea blu – affascinati dalle decorazioni delle mura e delle cupole; riposiamo sui tappeti confondendoci tra i fedeli ed ascol-tiamo il richiamo alla preghiera che impone ai turisti di lasciare il luogo di culto per rispetto ai praticanti; ci spostiamo in Aga Sophia dove am-

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miriamo i mosaici e le iscrizioni, ed i giochi di luce che attraverso le enormi vetrate fanno risaltare i particolari dei capitelli del colonnato, e poi fuori, dove i minareti puntano il grigio del cielo che ci accompagna. Uscendo osserviamo le abitudini di cittadini e turisti sdraiati sui prati puliti ed ordinati nella piazza che separa i due edifici e maciniamo chilometri a piedi per raggiungere il Grand Bazar dove incontriamo facce di diversa etnia, miscuglio di popoli e sorrisi, e odori. Un mercato coperto che si articola in vicoli e strade affollate di gen-te, luci sgargianti ed abiti tradizionali appesi alle pareti sopra pile di sciarpe di lana di pashmina e scarpiere colme di buffe ciabatte a punta!

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Gli zaini che ci portiamo indosso pesano ma i bagagli pesanti sono in aeroporto in attesa di essere imbarcati per la nostra destinazione finale. Fa caldo. Ci concediamo, com’era dovuto fare, un Turkish Kebap (lo scrivono con la p anziché la b) e torniamo in aeroporto in attesa del volo.

E’ tutto puntuale. Imbarco, decollo e…

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ed, a seguire, costante flusso di gente di diversa provenienza cominciò a generare un grande volume di affari. Oggi vi si trova-no sistemazioni per la notte, alberghi, guest house, ostelli e dormitori adatti ad ogni tasca.Khao San Road di per se è un microcosmo. Vive. Affollatissima si comporta come un quartiere tutto nella stessa via. Oltre ai rifugi per la notte vi si trovano farmacie, supermercati aperti ventiquattro ore, negozi di sartoria, gioiellerie, tatuatori, ristoranti, fast food e pub, bar, negozi di telefonia e centinaia di banchetti componibili piazza-ti per strada che vendono ogni genere di abbigliamento, dalla maglietta alla cravat-ta, scarpe e cappelli. Vi sono inoltre molte

improvvisate agenzie di viaggio che orga-nizzano tour, visti e documenti per visitare i paesi confinanti, e poi cibo.Cibo ovunque. Attrezzatissimi uomini e donne su carretti a ruote (a volte montati al lato di un motorino) regolarmente accesso-riati con un ombrello per ripararsi dal sole del giorno, la bombola del gas in parte ed il necessario per cucinare, affollano la strada con l’odore dei fritti, delle salsicce alla pia-stra, dei noodles e delle decine di varietà di riso: con gamberi, con curry, con gamberi e curry, con maiale fritto o in agro dolce, con manzo e verdure, insomma, per tutti i gusti! Spiedini di pollo o di frutta, piadine dolci e salate, minestre liquide servite in sacchetti di plastica per essere consumate cammi-nando, bibite fresche e fluorescenti, birra a fiumi, superalcolici mischiati in mille modi e

CAPITOLO 1 - BANGKOK

E fu poi Bangkok.Una Lonely Planet mai sfogliata con attenzio-ne e aperta e chiusa mille volte, consigli raccolti in appunti e foglietti sparsi qua e là, ricordi di chiacchiere con amici e conoscenti, suggerimenti ricevuti tramite l’insuperabile Facebook e un po’ di sano culo – e diciamolo – ci hanno portati alla Four Sons Village Guest House, decoroso rifugio notturno per le nostre seguenti quattro notti, dal nome tanto lungo quanto lunga era la scala – quattro piani – che separava la reception dal tra-gico strappo finale per arrivare in camera, dove neanche al Giro d’Italia piazzano l’arrivo così in salita! Siamo in zona Khao San Road – Load o Loa, pronunciato dai thailandesi.

KHAO SAN ROAD

Un’arteria pulsante nel cuore della Bangkok turi-stica: così si potrebbe definire Khao San Road.Una strada attorno alla quale ruotano e transita-no le vite di migliaia di persone ogni giorno, che è sbalorditivo se si pensa che stiamo parlando di una strada lunga trecento metri circa.Situata nel quartiere Banglamphu nella zona ovest della città, è facilmente raggiungibile via taxi dall’aeroporto in trenta minuti circa. Da qui, poco distante a piedi, è possibile visitare il palaz-zo reale ed i vicini famosi monasteri che racchiu-dono enormi statue del Buddha.La storia di Khao San Road comincia a scriversi nel 1982 quando il governo thailandese richia-mò sul territorio molti turisti per la ricorrenza del bicentenario della capitale moderna. I turisti stessi convinsero gli abitanti della zona a mettere a disposizione alcune stanze delle loro case a fronte di un piccolo compenso economico; l’inaspettato

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gud pLaaaiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiice” (trad: “come here, take a bear, good price” – vieni qua, prendi una birra, buon prezzo).Mille proposte di massaggi. Vetrine trasparenti che mostrano lettini puliti e ben ordinati in grandi stanze comuni, poltrone comodissime lungo la strada per i turisti che desiderano il sollievo di un bel massaggio ai piedi stanchi dopo una giornata di cammino, negozi attrezzati con specifiche pic-cole vasche piene di pesci che si occupano della pulizia dei piedi e da ogni parte arriva il richiamo: “Massaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaage” Il resto è un brusio misto in un’insalata di in-glese, tedesco, olandese e altre lingue nordiche, qualche spunto mediterraneo ogni tanto urlato qua e là in spagnolo, tanto francese e come fosse una spolverata finale di pepe, un po’ di russo. E’ davvero poco l’italiano che si capta tra la folla.La Thailandia è famosa per il commercio di ma-teriale contraffatto e Khao San Road, come altre zone della città, è una delle patrie dei rivenditori

di orologi, occhiali d’ogni marca, borse ed acces-sori, CD e DVD. Tutto rigorosamente falso. Ma a buon mercato. Qua ogni viaggiatore trova qual-siasi cosa di cui possa aver bisogno, dalle stelle ninja agli accendini ed i venditori sono sempre pronti a sparare alto coi prezzi al fine di conclu-dere l’affare dopo un’accesa contrattazione. Di-cono: (come pronunciato) “Iu mek yul plaaaiiice, I mek my plaaaiiice” (trad: “you make your price, I make my price” – tu fai il tuo prezzo, io faccio il mio prezzo).Vi sono centinaia di raffigurazioni sacre e statuet-te del Buddha, collane e braccialetti, estensioni e fermagli per capelli, tutto ordinatamente me-scolato in un infinito sfilare di bancarelle lungo

per finire, scarafaggi fritti.C’è odore di cibo ad ogni passo ed ognuno è forte e distinto. C’è gente ovunque. Oggi la strada è il cuore della zona dei backpa-ckers, così vengono chiamati i viaggiatori da zaino in spalla, cui meta assolutamente

gradita è appunto la Thailandia. La soprav-vivenza, se così vogliamo definire il sempli-ce dormire e mangiare, può essere davve-ro economica. E non c’è neanche troppo spesso da dover “chiudere un occhio”. Le stanze delle guest house – affittacamere – sono sufficientemente decorose senza grosse pretese. Magari non c’è un comodo armadio ed in bagno non c’è la vasca, ma considerato il flusso mostruoso di turisti che transitano per Bangkok che difficilmente vi si fermano per più di due giorni, le camere sono assolutamente accoglienti e decorose. E’ forse necessario avere un po’ di pazien-za e visitarne alcune per trovare quella di proprio gradimento, e comunque sono collocate una vicina all’altra.In Khao San Road si sentono parlare mille lingue differenti.Lo stridulo urlare il nome delle rispettive pietanze mischiato alle offerte di prezzi di magliette e completi d’abito da uomo, al richiamo delle ragazze fuori dai locali vestite coi colori delle birre che sponsoriz-zano, e alle offerte dei prodotti dei ven-ditori itineranti è il rumore dominante. Si comunica in un inglese storpiato da un allungamento delle vocali tipicamente thailandese che rende anche i più sem-plici vocaboli assolutamente incompren-sibili: (come pronunciato) “Coooooom Heeeeeeeeere, tek a beeeeeeeeeeeeer,

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Poi ci sono i Tuk Tuk.Il Tuk Tuk è uno dei mezzi di trasporto pubblico più utilizzati in città. Una sorta di evoluzione del mitico Ape Piaggio che anziché trasportare merce è stato riadat-tato per trasportare due passeggeri. I Tuk Tuk si infilano facilmente nelle trame col-lose del traffico impossibile di Bangkok soprattutto nei momenti di pioggia e negli orari di punta. Questi sembrano non avere regole. Salgono sui marciapiedi, schivano

i passanti, tagliano strade e percorrono viuzze alternative. In Khao San Road sono centinaia i procacciatori di turisti per i conducenti dei Tuk Tuk. Si presentano come gentili e desiderosi di dare, gratuitamente, informazioni poi suggeriscono un percorso che casualmente è fuori dai progetti prefis-sati, adducono anche educate motivazioni come “quel tempio che vuoi visitare è chiu-so, ti dico io dove andare che quello è mol-

la via. I più attrezzati hanno costruito dei ripari per il sole e la pioggia con teli di nylon ed alcuni di questi anche per dimostrare di giorno, come di sera, il colore brillante delle mille lampade di carta che vendono. Colori brillanti.Ovunque. Le insegne dei locali illuminano il cielo in arcobaleni al neon tra l’intreccio dei fili della corrente che passano sui pali a pochi metri da terra. Ci sono momenti in cui è difficile cammina-re in Khao San Road. Incredibile la folla di pas-santi fermi, spesso in gruppi e capannelli a sor-seggiare birra ascoltando il chitarrista che suona fuori da un bar mentre altri fanno acquisti e altri mangiano. A qualsiasi ora. In Khao San Road tutti scambiano qualcosa. I commercianti scambiano merce in cambio di denaro, i thailandesi regalano sorrisi cercando di accaparrare l’attenzione dei turisti e i viaggiatori si scambiano storie e racconti di viaggio. Passano serate che i tavolini si riempiono di fondi di bot-tiglia mentre coi racconti dei viandanti si riesce ad immaginare tutto il mondo. Ognuno ha la sua storia, la sua esperienza, il suo punto di vista e il suo disappunto. E ogni storia porta con sé il sapo-re di un’avventura.

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Bangkok è una meta piacevolmente ricercata da-gli amanti del sud est asiatico, e Khao San Road è la porta d’accesso ad ogni tipo di esperienza. Sono in molti che si fermano a lungo in Thailan-dia trovando lavoretti occasionali durante il loro girovagare, o quelli che si impegnano in organiz-zazioni di volontariato, o quelli che aspettano di trasferirsi sulle isole del sud. Ma praticamente tutti passano da qua. Zaini enormi in spalla con scar-pe legate penzoloni, zainetti e marsupio sul petto e sui fianchi e ciabatte infradito ai piedi. Barba lunga, pantaloncini e t-shirt per lui, capelli disor-dinati, pantaloni larghi e canottiera per lei. En-trambi con pochi soldi in tasca e alcune buste di plastica con gli acquisti delle bancarelle. Questo il ritratto dei passanti. Un fiume di persone che si modella con lo scorrere delle ore e del cambia-re della luce, in costante movimento seguendo il flusso migratorio dei banchetti itineranti che cu-cinano prelibatezze su e giù per la via. Khao San Road di giorno.A sera di banchetti ve ne sono meno. La gente della notte prende il posto dei commercianti, i locali si cominciano a riempire e le poltrone dei massaggiatori di piedi sono letteralmente prese d’assalto. I procacciatori di turisti che invitava-no i passanti a visitare i templi durante il giorno adesso si propongono come guide per la Bangkok notturna e trasgressiva: si sente parlare di “Ping Pong Show” e di spettacoli di combattimenti di lotta Muay Thai.Dai bar vengono allestite delle postazioni di ven-dita per la strada che annunciano offerte speciali su miscugli micidiali di alcolici e bevande gasate servite in un secchiello pieno di ghiaccio, il rino-mato “bucket” (trad: secchiello, appunto), e le

to bello”, si prendono la briga di accompa-gnare il turista dall’autista del Tuk Tuk che, concordato il prezzo, indossa la mascherina per lo smog, avvia il motore e parte ver-so una destinazione che non è mai quella prefissata. E’ prassi aiutarsi tra i thailandesi,

in un certo modo. L’autista conduce i turisti a vedere dei negozi di sartoria. In cambio questo riceve un buono per la benzina dal negozio e una commissione sull’eventuale vendita del capo di abbigliamento. Nessu-na pretesa di acquisto e assoluta cortesia e gentilezza da parte di chiunque, ma se non si è interessati è indubbiamente una perdita di tempo. E di Tuk Tuk, in Khao San Road, ce ne sono veramente tanti.Com’è facile da immaginare, l’età media di frequentatori di Khao San Road è discre-tamente bassa. Sembra essere un’usanza molto comune nei paesi del nord Europa che i giovani dopo il liceo ricevano in dono dalla famiglia la possibilità di vivere un viaggio, per alcuni lungo anche dei mesi; e

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la stanchezza delle giornate trascorse in giro, un po’ per la sana voglia di farsi anche delle coccole, e complici anche le condizioni meteo che alla sera peggioravano innaffian-do Bangkok con una pioggerella fastidiosa e costante, abbiamo deciso di festeggiare a modo nostro. In città è immancabile la visita all’MBK; il più grande centro commerciale della Thailandia. L’MBK non è molto vicino da Khao San Road pertanto ci rivolgiamo ad alcuni tassisti che rifiutano di condurci laggiù poiché, dicono, c’è troppo traffico per strada e la corsa non sarebbe per loro conveniente; ci invitano a salire su un Tuk Tuk. In effetti, intrappolati nel traffico abbiamo modo di osservare le persone e le loro abitudini, dagli autisti con la mascherina per lo smog agli occupanti dei mezzi pubblici assorti nei loro pensieri con lo sguardo perso fuori dai finestrini, ai pas-santi titubanti nell’attraversare la strada per i motorini che fanno slalom tra gli specchiet-ti; cattura la nostra attenzione una ragazza che, seduta nel retro di un furgone, coglie l’occasione per riordinare il trucco ogni volta che la vettura si ferma.

L’organizzazione logistica della zona com-merciale è ben studiata; vi sono passaggi pedonali sopraelevati che concedono facil-mente lo spostamento da un marciapiede all’altro e che in effetti prendono vita come teatro di artisti di strada, palchi per sfrenati ballerini di hip hop e figuranti travestiti da statue, e si trasformano in abusive galle-rie di vendita dopo l’orario di chiusura dei negozi. Tanti negozi in mille piani di possibi-lità di acquisto ed esigenza, dall’elettronica

bancarelle lungo la strada cominciano a riporre la merce. La vita non si ferma. Mai. La notte prose-gue tra musiche ad alti volumi e bottiglie e lattine sparse per la strada fin quando i giovani, dondo-lando, tornano ai propri alloggi con la testa piena di storie e lo stomaco gorgogliante che il cielo comincia già a schiarire. Ma Bangkok funziona bene. A mattina è tutto in ordine. Non c’è sporci-zia e la strada torna a scorrere il suo vivere co-stante coi rumori del traffico vicino in sottofondo.Solo la pioggia, quella fitta che non perdona, ha la meglio sulla vita di Khao San Road, l’arteria pulsante nel cuore turistico di Bangkok: la porta delle avventure.

Dopo aver girovagato nelle vicinanze, abbiamo organizzato quello che sarebbe stato il nostro primo assaggio di Thailandia prenotando in se-quenza le escursioni: Damnoen Saduak – mercato galleggiante; Erwan Waterfalls – cascate dai sette livelli; Tiger Temple – ne parlo dopo.E’ sempre poi la Lonely Planet ha guidarci per la città alla scoperta di templi, luoghi di culto e statue che avevamo già visto in fotografie e docu-mentari. I modi della gente, le riverenze, le offer-te al Buddha, le strade ed il colore sgargiante dei taxi hanno fatto da contorno ai panorami urbani di questi nostri primi giorni. I mezzi di traspor-to in genere sono molto pittoreschi. Quasi tutti i motorini sono attrezzati con un carrello saldato al fianco per il trasporto dei materiali e anche le bi-ciclette sono spesso dotate di un “side car”. Il traf-fico è micidiale e spostarsi a quattro ruote diventa improponibile soprattutto nelle ore di punta e con la pioggia. Abbiamo visto più volte scooter carichi come autotreni, anche con 4 persone a bordo!Ho parlato del cibo per strada; una nota di me-rito importante va al petto di pollo fritto che ho mangiato poco prima di entrare nel Wat Pho (il tempio che racchiude il più grande Buddha diste-so di tutta la Thailandia), appena scesi dal giro sul canale Chao Praya dove ho rubato immagini ad una parte di popolazione che vive ancora oggi nelle baracche sul fiume. Anche un varano ci ha fatto compagnia per un breve tratto attraversando il canale davanti alla nostra imbarcazione. C’è da dire che il giorno 12 agosto si festeggiano un paio di cosette: 1) il compleanno della regina di Thailandia; 2) il compleanno della mia bella Lui-sa. Per l’occasione (la nr.2, ovviamente), il popolo Thailandese aveva preparato grandi festeggia-menti con fuochi di artificio in svariati punti della città e per tre giorni consecutivi, ma, un po’ per

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all’abbigliamento, da McDonald’s al risto-rante Giapponese, centinaia di bancarelle nei corridoi e altrettante vetrine alle pareti, un cinema multisala ed un bowling all’ulti-mo piano, mille diversi fast food e tantissi-me persone in giro. Il centro commerciale sembra non fermarsi mai: da mattina fino all’orario di chiusura è costantemente inva-so da turisti e thailandesi che si lanciano in acquisti e contrattazioni. Il problema grosso è: “a che piano avevo visto quella cosa là che mi piaceva?” Di Bangkok ci ha stupito una particolarità. L’assoluta normale convi-venza della popolazione con l’idea dell’am-biguità sessuale. Si sente spesso parlare di Thailandia come luogo di prostituzione ma non ho modo di dire niente sull’argomento perché in effetti la zona trasgressiva della città, chiamata Pat Pong, non è rientrata nei nostri piani. L’omosessualità è vissuta come un ingrediente della quotidianità senza alcun tipo di discriminazione. Sono molti i ragazzi truccati e con atteggiamenti effeminati che si incrociano per strada o al lavoro in eser-cizi pubblici o anche al centro commerciale. C’è da dire però che è anche in uso il poco elegante termine “Lady Boy” che col qua-le vengono etichettati ad alcuni grotteschi soggetti palesemente mascolini che si atteg-giano a movenze enfatizzate e pettinature stravaganti ondeggiando su tacchi altissimi, che generalmente lavorano nel mondo dello spettacolo o rientrano nel giro della prostitu-zione. Ciò nonostante si percepisce quanto, nella vita di tutti i giorni, non vi sia nessun tipo di pregiudizio e “categorizzazione” come spesso accade in occidente.

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Intervista di Fabio Camandonawww.camandonapilolla.com

Giuseppe Circhetta si raccontaFOTO Giuseppe CirchettaM: +39 347-30.10.382www.giuseppecirchetta.comBlog: www.giuseppecirchetta.com/blog

Fotografo di moda e bellezza con sede a Milano, Giuseppe viaggia in tutto il mondo per la sua pas-sione e professione. Nato nel 1979, è cresciuto in Toscana e non ricorda quando ha deciso di inizia-re a comunicare con le immagini. Probabilmente quando ha trovato una vecchia Zenith di suo padre ed ha scoperto la magia di raccontarsi attraverso i suoi soggetti. Il suo tipo preferito di fotografia è quella ritrattistica in cui mette alla prova le sue capacità relazionali di coinvolgere il soggetto e ottenere il meglio da lui. Dà importanza alle tec-nica come base di uno scatto, ma afferma anche che una volta che la si dimentica, ci si avvicina più velocemente alla magia della Fotografia stessa.

GC: Eccomi, buonaseraFB: Buonasera, cominciamo?GC: CertoFC: Ricordi a quando risalgono i tuoi primi scatti?GC: Sinceramente non con esattezza. Ricordo vagamente che partii da una compatta a pellicola per poi passare alla Zenith di mio padre,ma la vera svolta è stata col digitaleFC: Possiamo pensare quindi che prima del digi-tale scattassi fotografie non da fotografo “serio”?GC: Non saprei, ho sempre cercato di mantenere una certa spontaneità nei miei scatti.FC: Prima della svolta digitale, quali erano i tuoi soggetti preferiti o quelli che ritraevi abitualmente GC: Vari ed eventuali, ma soprattutto amici e parenti.FC: Quindi, quale evento ti ha portato ad essere ciò che sei oggi?GC: Dopo il mio arrivo a Milano, casualmente ho scoperto la fotografia, in particolar modo il foto-grafare quelli che sarebbero diventati i miei sog-getti preferiti, ovvero le donne. Oltre ovviamente al piacere di uscirci, si è aggiun-to quello di fotografarle ed “usarle” in un certo senso per raccontare qualcosa di me: ogni don-na è un mondo a se stante, reagisce in maniera diversa a persone diverse e quindi a fotografi diversi. Scattando un certo soggetto, si fotografa di fatto l’interazione che si ha con lui e si capisce

come il soggetto stesso ci vede e cosa riusciamo a comunicargli.FC: Una domanda per tutti i nostri lettori che sognano di diventare professionisti, ovvero come guadagnare i soldi necessari per vivere scattando fotografie, in che circostanza hai capito che era il momento di provarci seriamente?GC: Non l’ho di fatto capito dalle fotografie che scattavo, ma dalla passione che, unita alla deter-minazione, mi ha portato avanti.Prima della passione però ci deve essere la de-terminazione nel fare una cosa bella ma spesso, almeno all’inizio, poco remunerativa. Solo chi insiste, investe, osa, prova e riprova va avanti.FC: Durante uno shooting, sei un solitario o lavori in gruppo? Intendo durante la fase di scatto.GC: In gruppo: mi faccio consigliare ed ascolto

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tutti, anche l’assistente.Ci sono poi momenti di ricerca personale in cui preferisco star solo con la modella, ma solitamen-te più paia di occhi lavorano meglio di uno solo. E motivano anche la modella che viene “corteggia-ta” da più “attori”.FC: Se ho capito bene, quindi, al contrario di ciò che molti pensano riguardo al “fotografare le modelle”, tu ci stai parlando di una ricerca per-sonale, di anima e filosofia e psicologia... di un qualcosa che va molto oltre la rappresentazione di un corpo, giusto?GC: Esatto, soprattutto la mia psicologia persona-le... quindi spesso i visi mi bastano e mi dimentico del corpo...FC: Una curiosità tecnica, prepari i singoli scatti oppure decidi il mood e poi improvvisi?GC: Preparo uno storyboard e poi mi capita an-che di improvvisare, ma i migliori risultati li otten-go studiando prima dello shooting.FC: La luce e le donne, ciò di cui vivi, che emozio-ni ti danno?GC: Odio e amore. Ogni sessione di scatti mi svuota di questi due sentimenti, trovando forse l’equilibrio fra i due estremi.FC: Negli shooting che talvolta ci mostrano in TV vediamo solitamente un set con due luci a 45°,

schiarita sullo sfondo e una modella super abbigliata e sistemata che si muove in ma-niera casualmente autonoma con il fotografo che la incita e solitamente poi la fa piangere: che cosa ne pensi, sinceramente?GC: Sinceramente mi pare un reality... a cui non appartengo. Mi è stato proposto di girare in Inghilterra una nota trasmissione di questo genere, ma sinceramente non sono il tipo.FC: Sei stato molto diplomatico; un consiglio o una critica a tutti i fotografi che amano fo-tografare l’universo femminile, che spesso poi si ritrovano ad emulare gli scatti senza anima dei cataloghi di lingerie femminile?GC: Non imitate gli altri fotografi nei vostri scatti, ma imitate voi stessi: la fotografia la fate voi con le vostre emozioni. Le donnine ignude sulle riviste sono la copia della copia di foto fatte da altri e con visioni che proba-bilmente non sono le vostre...Mettete a fuoco la vostra vision e lasciate da parte le foto... sbiadite.FC: Sei docente di fotografia in casa Nikon: quale fotografia stai tentando di insegnare?GC: Quella che si realizza col cuore e con la magia. La tecnica deve essere imparata e

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messa da parte.FC: Cosa vorresti lasciare di tuo nel campo dell’insegnamento?GC: Vorrei far capire alle persone che la fotografia è una questione di squadra ma an-che di “testa” del fotografo: le foto si fanno da soli e non solamente ai workshop, da cui sicuramente si può imparare molto, almeno inizialmente. “It’s all in there” diceva Helmut Newton intendendo che è tutto lì a portata di mano, nella nostra mente.FC: Come vedi il panorama italiano nel cam-po della fotografia?GC: Non saprei... è confuso... abbiamo tanti bravi fotografi, che poi vanno a scatta-re all’estero, tanti giovani che imitano, ma poche idee originali. Ci sono sì diverse punte di eccellenza, ma purtroppo non vengono nè valorizzate nè ascoltate.FC: Eccoci al termine dell’intervista.Qual’è lo scatto che devi ancora fare? La foto perfetta?GC: Quello in cui la moda incontra la ricerca personale. Ed una bella donna naturalmente.

FC: Ultima domanda:Chi è Giuseppe Circhetta?GC: Un fotografo che sta insistendo.

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Bianco e Nero: psicologia e postproduzione

TESTO Alessandro Anglisaniwww.

FOTO Alessandro Anglisaniemail:

versione occorre valutare bene cosa si vuole rac-contare e quali sono i punti chiave.

In postproduzione il bianco e nero si può ottenere in moltissimi modi, vediamone alcuni.Possiamo cominciare con l’analisi dei canali che compongono la nostra immagine, che sono tutti in scala di grigio, per vedere se uno di loro ci offre il giusto mix di toni.Abbiamo quindi: Red, Green e Blue (RGB) oppure Cyan, Magenta, Yellow, Black (CMYK) e L (lightness di Lab) ognuno con le sue ben definite caratteristi-che, solitamente il canale L di Lab offre un grade-vole esempio di mono cromaticità.Un altro sistema che Photoshop ci mette a di-sposizione è la conversione in scala di grigio ef-fettuata dal programma, una ricetta ottenuta mischiando con dei valori ben precisi i tre cana-li del metodo RGB e cioè nello specifico: tre par-ti di rosso, sei parti di verde e una parte di blu... e il piatto è pronto.

Possiamo comunque interagire con il programma e creare noi stessi la miscela giusta.Allo scopo Photoshop ci mette a disposizione un potente strumento: il comodo e diretto livello di regolazione “Bianco e Nero” che grazie alle sei regolazioni di altrettanti colori ci permette di cor-reggere con precisione la resa dei toni della nostra immagine.

Se vogliamo ottenere una immagine simile a quel-la che avremmo ottenuto apponendo dei filtri

Ero seduto in prima fila, li, davanti a me,c’era il maestro (Gianni Berengo Gardin ndr).Anni fa, in quella occasione ho sentito per la prima volta una definizione di bianco e nero che mi colpì e che mi è rimasta impressa.Egli disse: “Il colore distrae, distoglie l’attenzione, lo sguardo, dal vero soggetto della foto”.Mentre il colore può distrarre, fuorviare, rendere accattivante un nulla ben fatto, il bianco nero è la sintesi della nostra motivazione, ossia, il perché vogliamo scattare quella foto.Il bianco e nero è il punto di arrivo, dobbiamo ca-pire subito che questo scatto sarà monocolore.Io fuggo dal colore ogni volta che mi confonde, ecco quindi che converto lo scatto in bianco e nero e poi, eventualmente, viro con toni freddi o caldi, togliendo al colore il suo potere.Questo potere adesso è nelle mie mani.Ho composto e suonato il mio strumento ed espon-go agli altri la mia musica, ovvero, io, che ho visto e sentito la scena, la rendo in bianco e nero e la mostro nuda nella sua armonica geometria fatta di linee, punti, spazi e di attrazioni per l’occhio.Molto spesso l’immagine in bianco e nero non è solo “immagine” ma è sensazione, evoca dei sen-timenti palpabili, netti.A volte la causa che ci porta ad utilizzare il bianco e nero, anche inconsciamente, è proprio il colore, ovvero la sua caratteristica .Esso ci distrae e nulla apporta di positivo alla scena è monocromatico, insipido (a volte).La nostra mente vaga per il mondo magico del-la fotografia (fotografia intesa come oggetto fisico,mezzo) e cerca un appiglio per aggrapparsi e potersi fermare a capire il senso di quello che la circonda, che la attrae.

Chi scatta in bianco e nero deve fornire allo spet-tatore questo appiglio per la mente, altrimenti essa spaesata, erra dentro la cornice dello scatto.Nel colore, un appiglio può essere fornito da una macchia, da una tonalità o da un forte accento.Nel bianco e nero colori diversi generano simili to-nalità di grigio quindi durante lo scatto o la con-

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resta altro che caricare i canali in livelli ed eliminare le parti non desiderate con una maschera di livello e cosi il nostro persona-lissimo bianco e nero è pronto per essere stampato ed esposto.Il consiglio che posso darvi è provare... pro-vare a convertire in bianco e nero e provare a immaginare una scena che volete fotogra-fare in bianco nero, togliendo i colori e ricor-dando che colori diversi hanno simili tonalità di grigio, una volta convertiti e quindi magari il vostro bellissimo soggetto dalla carnagio-ne olivastra, stagliato davanti a una parete di edera, in bianco e nero si confonde con la stessa... e l’immagine è rovinata.Da qua se ne deduce che conviene elabo-rare la foto a colori prima della conversione in bianco e nero per cercare di ottenere poi l’effetto desiderato...Ricordate: per fare una bella fotografia (sog-gettivamente parlando) non serve ne il colo-re ne il bianco e nero, serve il cervello.

Alcuni colori sono convertiti in bn con forti contrasti, altri con gradazioni di grigio molto simili

colorati davanti all’obiettivo della nostra reflex a pellicola (filtri: rosso, giallo, blu, verde) dobbiamo rivolgerci allo strumento “Miscelatore Canale” che ci dà la possibilità di mixare i canali R-G-B in di-

verse quantità tale da ottenere degli interessanti effetti tra i quali la simulazione dei suddetti filtri (nel menu dello strumento ci sono dei preset pronti per essere usati).Per poter usare queste particolarità occorre ricor-dare la formuletta che ci dice come interagiscono i filtri colorati rispetto ai coloriUn filtro schiarisce i colori del soggetto dello stesso colore del filtro o adiacenti a quel colore nel trian-golo di Maxwell:In Photoshop esiste un’altra possibilità per ottenere un bianco e nero personalizzato e cioè utilizzare due livelli di regolazione “tonalità e saturazione” .Il primo livello in alto di regolazione serve a de-saturare completamente l’immagine, mettendo lo slide della saturazione a zero e mettendo il metodo di fusione del livello in modalità “colore”.Il secondo livello, di regolazione tonalità e satu-razione, serve per fare una regolazione fine del bianco e nero... spostando lo slide della saturazio-ne e della tonalità a nostro piacere fino a quando l’immagine non ci aggrada.Altri metodi possibili sono quelli offerti dai softwa-re Lightroom e Camera Raw che ci danno la gran-de possibilità di ottenere dei meravigliosi bianco e nero attraverso il sapiente uso della finestraTonalità/scala di grigio che ci mette a disposizione gli slide dei colori da ottimizzare cosi come nel li-vello di regolazione “Bianco e Nero“ di Photoshop.Tornando all’uso dei canali, possiamo notare che le caratteristiche da noi ricercate risiedono non in un solo canale ma in due o tre che però hanno contemporaneamente delle parti non idonee..non

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In bianco e nero l’immagine perde forza e non evoca nessun sentimento

Il colore è il punto di forza della foto

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Mentre leggevo l’ultimo numero della rivista, alle pagine di “Idea programmazione e fato”, mi sono accorto di essermi più volte imbattuto in situazioni analoghe a quelle descritte e una di quelle è stata per questa foto. L’idea era di regalare a un amico uno scatto significativo da poter affiggere in casa, ma ho scoperto purtroppo di essere in ritardo con i tempi, soprattutto a causa dell’inverno ormai inoltrato e dello scarseggiare dei giorni con una bella luce. Inoltre mi trovavo limitato dal fatto di non possedere una reflex di alto livello e nemme-no di ottiche “miracolose”. Per qualche giorno ho avuto la macchina fotografica sempre a portata di mano, una Fuji S6500FD, ma le condizioni me-teorologiche erano sempre pessime. Così, data la situazione, ho pensato che dove non poteva arrivare il sensore CCD o la luce del sole, forse ci potevo arrivare tramite Photoshop!

Piazzo il cavalletto in mezzo ad un campo, era circa mezzogiorno, una brutta nebbia risaliva imperterrita dal fondovalle, pronta ad offuscar-mi la visuale. Pensai che una neve così fresca e perfetta sulle pendici delle montagne non avreb-be aspettato me nei giorni successivi e neppure il sole, le nuvole o la stessa nebbia. Decido così di scattare qualche RAW di prova da poter utilizzare nella creazione dell’HDR. Ho un’ottica abba-stanza limitata (28-300 mm 35 mm equiv F2.8 - F4.9) così ho fatto un braketing del lato destro, uno del lato sinistro e un paio per il cuore della foto, il Monviso centrale. Qualche altro scatto ai particolari e via, dubbioso del risultato. Dal visore della macchina fotografica le foto non erano delle migliori, ma un buon lavoro in post-produzione sicuramente mi avrebbe aiutato.

Le foto scaricate su pc erano peggiori di quello che potessi immaginare. Unite in un unico pano-rama, composti svariati HDR per trovare quello che forse avrebbe reso al meglio, ho notato che le foto orinigali fatte in raw, mi sarebbero tornate molto utili per i particolari in primo piano. Ero così giunto ad avere una foto panoramica e i detta

FOTO Andrea GozzarinoPostproduzione Andrea Gozzarino e Matteo Origlia

TESTO Andrea Gozzarinowww.

MONVISO 90x30

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gliati particolari frontali, però non avevo ancora la minima idea di come comporre il tutto in un gioco di chiaro scuri.Qui entra in gioco Matteo, gli parlo della mia idea per il regalo, della serie di scatti e della com-posizione che stavo creando.

Qualche idea su come impostarla e qualche con-siglio sulle funzioni da utilizzare e la stampa era quasi pronta. Ci lavorai molto su questa compo-sizione non riuscendo però a trovare la combi-nazione esatta tra luminosità, contrasto e colori tra i vari livelli mantenendo una certa credibilità e originalità della fotografia pur trattandosi di un HDR. Dopo molti scambi di opinioni tra me e Matteo, su Photoshop : file > nuovo > 90cm X 30 cm 300dpi, la composizione era pressoché finita pronta per essere data al fotografo e stampata. Tuttora fa la sua bella figura inquadrata in casa del mio amico.

http://www.flickr.com/photos/andreagozzari-no/5434365108/

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Fotografare a 12mm significa stare a diretto con-tatto con i soggetti, dentro la scena. Per questo motivo il reportage sulla battaglia delle arance del 2011 è interamente improntato su questo stile. Gli anni passati usavo il tele su un secon-do corpo esclusivamente per dettagli, ritratti o le classiche foto ravvicinate del tiro. Stufo di ripeter-mi ho voluto alleggerire l’attrezzatura ricercando uno stile fortemente reportagistico.

FOTO Mario Tarelloemail: [email protected]

TESTO Mario Tarellowww.tarello.it

La Battaglia delle Arance a 12mm

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Questo tipo di filosofia comporta scelte differenti rispetto alle riprese classiche, ad esempio la fase di inquadratura non avviene più da mirino ma con la macchina nelle più disparate angolazio-ni e sempre distante dall’occhio del fotografo. Tale tecnica torna particolarmente utile in questo specifico caso in quanto permette di avere sempre (o quasi) sotto controllo eventuali arance vaganti. Tutte le foto sono infatti scattate “a caso” immagi-nando l’inquadratura mentalmente. In questi casi un minimo di imprevedibilità è ov-viamente d’obbligo.

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Trovarsi a fotografare in mezzo a quel caos è un esperienza allo stesso tempo elettrizzante e divertente, sicuramente da provare!

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FOTO Giorgio Fochesatowww.unitalianosuistock.com

Siamo in ritardo sulla pubblicazione dell’articolo di Giorgio, però era qui, ben scritto e con i consigli giusti che non abbiamo avuto il coraggio di buttar-lo nel cestino... quindi eccolo...

Nel numero precedente di OurPhoto abbia-mo parlato di me e della mia esperienza con iStockphoto, Mi sono accorto però di aver dato per scontato alcuni concetti che oggi mi piacerebbe precisare, per dare una visione più completa di cosa significhi microstock e royalty ree. Clienti e fotografi spesso fanno confusione su questi concetti.

MicrostockSignifica micro pagamento, ma non significa micro guadagno. L’idea è quella di vendere una fotografia ad un prezzo micro a partire da po-chi centesimi di euro (o dollaro). Il vantaggio di questo sistema può sembrare soprattutto per il cliente: con un budget molto ridotto è possibile acquistare fotografie di livello qualitativo eccellen-te, per qualsiasi tipologia di utilizzo (o quasi). In questo modo si è aperto il mercato della fotogra-fia mondiale a tutti quei piccoli designer e agen-zie di web design che non avevano mai avuto accesso a materiale di tale livello qualitativo sem-plicemente perché le agenzie tradizionali avevano prezzi troppo elevati. Visto che i prezzi d’acquisto sono molto bassi, la tendenza dei designer si è rivelata essere quella di aumentare la creatività e variare le proprie opere di design scegliendo di volta in volta fotografie ed illustrazioni differenti. Ciò ha fatto crescere le richieste del mercato ed ha evidenziato la necessità di avere sempre con-tenuti nuovi. In questo modo si è anche ampliato il mercato in modo sensibile e grazie ad internet il mercato è diventato mondiale. I potenziali clienti di una singola fotografia sono diventati milioni di persone e così anche i fotografi ne hanno tratto vantaggio: è possibile rivendere la stessa fotogra-fia infinite volte raggiungendo livelli di guadagno

impensabili. Un esempio personale: attualmente la mia migliore fotografia é stata venduta 950 volte e la fotografia è tutt’ora in vendita. Il fattu-rato è destinato a salire, teoricamente per sem-pre.

Royalty FreeA differenza di quanto si sente dire spesso in giro: “Royalty Free” non significa gratis, ne tanto meno che quella fotografia possa essere usata per fare ciò che si vuole. Royalty Free è spesso tradotto erroneamente come “senza diritti” o “senza dirit-ti d’autore”. In realtà non esiste una traduzione corretta in italiano. Il concetto Royalty Free signi-fica che la fotografia è venduta al cliente senza limiti di utilizzo in termini di tempo e luogo. Si-gnifica che chi acquista la foto potrà usarla oggi, domani e anche fra 10 anni. Significa che potrà usarla in una fiera, in una brochure e anche sul sito internet. Esistono delle limitazioni e quindi è sempre necessario che il cliente verifichi di rispet-tare i contratti di licenza stipulati con l’agenzia che la distribuisce, per esempio le fotografie di iStockphoto con licenza standard non possono es-sere stampate più di 500.000 volte (per ovviare a questo limite sono state introdotte le licenze este-se, [in uno dei prossimi articoli parlerò in modo approfondito delle licenze]).Inoltre, è importante sottolineare che il fotogra-fo rimane il proprietario della fotografia. Infatti i contenuti non sono mai ceduti in modo esclu-sivo ad un cliente e al fotografo rimane il diritto d’autore dell’opera realizzata. Per questo motivo per esempio, le fotografie di iStock non possono essere utilizzate (nemmeno in parte) per la realiz-

TESTO Giorgio Fochesatogiorgiofochesato.com

Pensieri dal mondo microstock

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zazione di loghi o marchi registrati, in quanto non è possibile trasferire in nessun modo la proprietà intellettuale della fotografia realizzata.

Fatte queste dovute precisazioni vorrei passare alla difficoltà maggiore che si incontra quando ci si bussa alla porta del microstock ed in partico-lare iStockphoto. Le fotografie vengono rifiutate. Inesorabilmente rifiutate appena si cerca di dare un’effetto vintage oppure si aumenta il contrasto, ecc. Le problematiche legate alla tecnica sono molte, ma ciò non significa che sia impossibile fare della post-produzione spinta. Significa sola-mente che per poterla fare è necessario capire e studiare quali sono le tecniche e metodologie da applicare. Spesso sento dire “iStock non mi accet-ta le fotografie solo perché sono nuovo” oppure “se io facessi un processing come il tuo la foto sarebbe rifiutata”, quasi a dire che io sia racco-mandato! Magari! :-) Apprendere i meccanismi di scatto e di post-produzione è un processo lento. L’unico modo per superare questo “scoglio” è andare incontro ai rifiuti. Una foto rifiutata non è una questione personale tra il fotografo e l’ispet-tore che ha visionato la foto, ma è uno step che si deve superare. Se vi rifiutano una fotografia, apri-tela, riguardatela e pensate quali possano essere

le cose che non piacciono ad iStock. Cor-reggetela e rimandatela. Quando la fo-tografia sarà stata accettata significa che avrete appreso una nuova tecnica, avrete fatto un passo avanti verso gli standard di iStock. Non è detto che gli standard di iStock siano la perfezione della fotografia, ma se volete lavorare con loro è necessa-rio rispettarli.

Alcuni consigli pratici: evitate totalmente la maschera di contrasto e quasi total-mente la riduzione rumore; scattate mas-simo a ISO 400; controllate sempre che non ci siano aberrazioni cromatiche dovu-te alla lente, se ci sono correggetele (con Lightroom basta un clic!); scattate in RAW; scegliete soggetti che siano chiaramente identificabili, evitate composizioni troppo confuse; verificate sempre che la foto sia contrastata, in generale è meglio un pò di contrasto in più che un pò di contrasto in meno; nello stil life lasciate perdere le ombre troppo dure, non sono adatte a questo mercato.

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Chiudo questo lunghissimo articolo con due parole su un evento che si è tenuto a Milano a fine settembre, l’iStockalypse. Cosa sarebbe? iStockphoto ha organizza-to 5 gg di fotografie con modelli e mo-delle, in splendide location in giro per la città e in uno studio di quasi 1.000 metri quadrati (Studio 10 Watt). E’ stata una grande festa dove 32 fotografi provenien-ti da tutto il mondo hanno avuto modo di fotografare e realizzare fotografie per questo mercato. Io ho partecipato come parte dello staff locale, occupandomi di traduzioni, logistica e coordinamento dei lavori all’interno dello studio fotografico. E’ stato un momento di condivisione uni-co. Centinaia di persone sono intervenute, anche fotografi che non avevano il pass per fotografare sono venuti solamente a dire “ciao” e scambiare quattro chiacchie-re. Personalmente ogni volta che parte-cipo ad un evento di questo tipo torno a casa con il pieno di energie e di idee per proseguire nella stagione fotografica. Il

bello della community del microstock è che non esistono gelosie, non esiste invidia. Tutto si rac-conta, i progetti si condividono e i consigli si spre-cano. Si parla 24 ore al giorno di fotografia ed è la più grande scuola che si possa fare. In futuro in Italia ci saranno nuovi eventi di questo tipo, quin-di alzate le antenne… certe occasioni andrebbero colte al volo ;) Alla prossima puntata…

Rock On!

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A un appuntamento importante come il Wildlife Photographer of the Year 2011, non potevamo certo mancare: appena avuto conferma delle date, ci siamo infatti fiondati al Forte di Bard, prima tappa prevista del tour mondiale della mostra, dove rimarrà fino all’8 maggio 2012. Nonostante la neve che cadeva copiosa, non abbiamo resistito oltre: siamo andati a visitare la mostra nel suo primo giorno di apertura (è stata infatti inaugurata sabato 28 gennaio scorso). In-nanzitutto a colpirci è stata la suggestiva cornice scelta come sede della prima tappa della mostra, cornice, oltre che di rara bellezza, estremamente ricca di storia : il Forte di Bard, roccaforte che si erge maestosa su un’altura situata all’imbocco della Valle d’Aosta, pare avere origini preroma-niche, anche se le prime citazioni ufficiali risalgo-no solamente all’ XI secolo. Teatro di importanti avvenimenti storici, risulta perfetta anche come teatro di eventi culturali, come ad esempio la mo-stra stessa. Attualmente le attività del Forte sono gestite dall’’ Associazione Forte di Bard, un’asso-ciazione culturale che si occupa di promuovere le peculiarità storiche, culturali e monumentali del forte e del borgo stesso, Associazione che ringra-ziamo caldamente per l’ospitalità e disponibilità dimostrataci. Nella totalità di questo straordinario contesto, l’esposizione occupa solamente un’ala del forte, più precisamente un corridoio dal quale

si accede ad alcune stanzette. La mostra racco-glie oltre cento immagini, vincitrici del Wildlife Photographer of the Year, giunto ormai alla sua 47esima edizione, indetto dal Natural Museum di Londra, in collaborazione con il Bbc Wildlife Magazine. Si tratta del più prestigioso concorso al mondo nel suo genere e in questa edizione ha vi-sto la partecipazione di oltre 40.000 concorrenti, provenienti da ogni angolo del pianeta, anche da paesi molto lontani come Cambogia e Brunei. Per ogni categoria sono stati selezionati i vincitori da una giuria di stimati esperti fotografi naturalisti: Michael Aw, fotografo australiano dell’ambiente marino, nonché autore, Mark Carwardine,zoologo scrittore e fotografo britannico, Joe Cornish, fotografo paesaggista, Colin Finlay, responsabile delle Risorse visive del Natural History Museum di Londra, Anders Geidemark, fotografo naturalista e scrittore svedese, Pal Hermansen, fotografo e autore norvegese, Rosamund Kidman cox, editri-ce e scrittrice britannica, Erik Sampers, direttore della rivista fotografica francese Terre Sauvage Magazine, Sophie Stafford, editrice del Bbc Wildli-fe Magazine e Markus Varesvuo, fotografo natu-ralista finlandese. Vincitore del premio più am-bito, il Veolia Environment Wildlife Photographer of the Year 2011, lo spagnolo Daniel Beltrà con una fotografia estremamente significativa: la foto ritrae infatti otto pellicani salvati dalla marea nera a Fort Jackson, in Lousiana, immagine giudicata

FOTO Ivan [email protected]

TESTO Chiara [email protected]

Mostra WILDLIFE al Forte di Bard

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Veolia Environnement Wildlife Photographer of the Year is owned by the Natural History Museum and BBC Wildlife Magazine

SNOW KINGS - Ole Jørgen Liodden (Norway) - Veolia Environnement Wildlife Photographer of the Year 2011

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«bella e scioccante allo stesso tempo». L’ameri-cano Paul Souders ha vinto nella categoria “The underwater world” per l’istantanea “The grace of giants”, che ritrae «un momento magico: faccia a faccia con un gigantesco ed energico animale da 1.800 kg», ovvero una coppia di trichechi nel mar Artico norvegese, una fotografia per cui il fotografo ha corso un grande rischio. Tra i vincito-ri anche l’italiano Marco Colombo, che l’ha spun-tata nella categoria “Animal Portraits” con la foto “Sinousness”, istantanea che cattura un serpente sulle rocce di un torrente, immagine che, grazie al particolare effetto dato dall’acqua, ci immerge in un’atmosfera quasi irreale. Un altro italiano, Stefano Unterthiner, vincitore della categoria “Creative visions of nature” con “Illusion”, splen-dida composizione giocata sui colori a contrasto di un gruppo di cigni sulla neve. Significativa la magnifica istantanea scattata dal vincitore del Ve-olia Envirronnement young wildlife photographer of the year, che premia i fotografi sotto i 18 anni, il Polacco Mateusz Piesiak, con Pester Power, che ritrae una coppia di ostricai americani, che cerca-no di cibarsi della stessa preda: comportamento assai curioso e difficoltoso da catturare. In realtà ogni singola istantanea è il risultato di un lavo-ro estremamente complesso e accurato, pieno di inventiva e sacrifici, ma soprattutto pazienza: il fo-

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MIST RISING AT SUNSET Sander Broström (Sweden) - Veolia Environnement Wildlife Photographer of the Year 2011

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natura, passa ore e ore, a volte giorni,immobile a temperature estreme, sotto la neve o il sole co-

tografo, spinto dalla passione per la foto-grafia stessa e l’amore che prova verso la

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FOREST FOX Klaus Echele (Germany) - Veolia Environnement Wildlife Photographer of the Year 2011

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HIGH DIVE PRECISION Gennady Fedorenko (Russia) - Veolia Environnement Wildlife Photographer of the Year 2011

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STORM PAINTING Joel Sartore (USA) - Veolia Environnement Wildlife Photographer of the Year 2011

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parte dei quali, abbiamo appurato, sicuramente non intenditori, possono così visitare la mostra in modo tranquillo e ammirare in tutta calma le foto esposte. La modalità di esposizione delle foto ci ha permesso di scrutare e commentare in modo quasi maniacale ogni particolare delle foto stesse, ma alla fine quello che ci è rimasto è l’incanto e le emozioni che ci fa provare la natura nella sua meravigliosa semplicità. Per capire se le emozioni provate sono state condivise dagli altri visitato-ri, ci siamo permessi di chiedere ad alcuni di loro, quelli dai visi più simpatici, un opinione sulla mostra in generale, opinione condivisa da tutti gli “intervistati” :«una raccolta di foto entusiasmanti, soprattutto per chi, anche se “non fotografo” ama la natura in tutti i suoi aspetti, con la sua spieta-tezza, ma anche la sua dolcezza, una natura che non smette mai di stupire con la sua bellezza stra-ziante». Complice anche la splendida cornice del Forte di Bard, coperta da una coltre di neve, in cui aleggiano ancora i fantasmi delle guerre passate.

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cente, sotto la pioggia o vittima di insetti assetati del suo sangue, in situazioni che spesso e volentieri possono rivelarsi pe-ricolose, ma sempre lì, ad aspettare quel solo momento che durerà pochi millesimi di secondo: tutto il resto non conta più nulla, non sente più nè freddo nè caldo, il ronzio degli insetti sparisce. Eccolo: al centro dell’obiettivo, solo più una serie di numeri lo separano da quell’istante tanto atteso. Ed ecco, il respiro si ferma e”click”: finalmente tutti gli sforzi vengono ripagati, lo scatto tanto atteso, quello perfetto!Oppure, nulla, tutto da rifare... A volte l’impegno, la pazienza, la fatica e i sacri-fici non portano a nulla, l’occasione non arriva, ma il fotografo non si arrende: prova e riprova all’infinito, fino al rag-giungimento del risultato sperato. Da notare poi l’ingegnosità dei fotografi stessi che, pur di riuscire a catturare l’”attimo sfuggente” si inventano ogni tipo di ap-postamento, dai rifugi sull’albero a quelli galleggianti sui fiumi a quelli sulle cime più alte. Stupendi e particolarmente dif-ficoltosi gli scatti subacquei, dove il foto-grafo si trova ad agire in un ambiente che non è il suo, affrontando ogni genere di pericolo, difficili condizioni di luce e le leggi della fisica. Le fotocamere vengo-no collocate su supporti tanto incredibili quanto efficaci, come ad esempio sacchi pieni di fagioli per mantenerle in equili-brio.Tutte queste informazioni riguardo alle difficoltà affrontate dagli autori degli scatti sono perfettamente descritti accanto ad ogni opera esposta, per far comprende-re, anche a chi non fa parte di questo universo, l’importanza e la storia dello scatto stesso, accanto ai dati di scatto e alle varie indicazioni gegografiche. Non dimentichiamo infine l’iniziativa benefica, a cui è stato dedicato uno spazio specifico nella mostra, a sostegno dell’ Animals Asia Foundation, a cui sarà devoluto parte del ricavato della mostra, a favore del progetto “Salviamo gli orsi della luna”, orsi che, a causa dei presunti poteri be-nefici della loro bile, usata nella medicina tradizionale cinese, vengono maltrattati e torturati a vita per l’estrazione del li-quido pancreatico. I visitatori, la maggior

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cONTEST“Punti di vista”

NUMERO

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Si è concluso il nostro terzo contest.Sempre più partecipanti, questa volta anche gra-zie al simpatico premio in palio, sempre più diffi-cile scegliere il vincitore. Troppo difficile.Allora abbiamo chiamato 5 professionisti d’ecce-zione e gli abbiamo lasciato la patata bollente.

Chi ha vinto festeggi, non solo per il premio.

I giudici:

Massimo Principi Creativo d’eccezione. Non possiamo nominare i suoi clienti ma sappiate che li mangiate e guidate tutti i giorni.

Giuseppe Circhetta Tra i migliori fotografi in Ita-lia nel Fashion/Beauty. Docente Nikon School.

Simona Pilolla Nascente fotografa con spiccato talento nella ritrattistica estemporanea.

Jasra Farry Da Islamabad un fotografo profes-sionista specializzato in Wedding Reportage.

Massimiliano Lucotti I lettori di Ourphoto lo co-noscono già, i suoi paesaggi lo hanno preceduto.

Il premio per il primo classificato è stato offerto dall’azienda Photoworld, leader nella stampa fo-tografica (con album e tutti gli annessi e connes-si): Un fotolibro professionale (linea Vacanze) con 50 fogli/100 pagine.Valore di mercato circa 200 euro.Per chi non la conoscesse: www.photoworld.it

I vincitori:

1° Mauro Negri2° Samuel Tuzza - “C.S.I. Messina”3° Antonio Fressa - “Della notte triestina”

Il commento personale: molto breve. Ho pensato molto se votare anche io, nel senso che l’avrei fatto volentieri avendo visto negli scatti ricevuti molti nomi importanti e soprattutto molte fotogra-fie meritevoli. Ma alla fine ho capito che non avrei potuto farlo per due motivi: sono dal lato “reda-zione” e vi erano parecchi amici tra i partecipanti.

Complimenti a tutti.

Fabio Camandona

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Mauro Negri

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Mauro Negri

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C.S.I. Messina - Samuel Tuzza

Della notte triestina - Antonio Frezza

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Davide Marchesi

Francesco Basile

Marcello Parini

Matteo Zin

Stefania Grasso

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Davide Pellegrini

Donato Mengarelli

Giuliano Di Guida

Massimo Malfatto

Massimo Merli

Tina Mallia

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63Emanuele Villano

Francesco Portelli

Luca Vangelisti

Maurizio Geda

Roberta Castronovo

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Erika Citriniti

Massimo Bertoni

Simone Infantino

Pietro Branchi

Mauro Quirini

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Ivan Barberis

Paola Di Tillo

Rita De Nardi

Spiro Sanarica

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66Manuela Innocenti

Matteo Fantolini

Basso Antonio

Chiara Sonnessa

Giulio Mastroddi

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67Andrea Facco

Mario Bosio

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