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    Nella societ moderna, una volta adottato sistematica-mente litaliano, il notaio diventato utente e produttore di lin-gua amministrativo-burocratica ( burocratese), alla quale sideve attenere per ragioni professionali, ovviamente senza lafunzione trainante e propulsiva che allorigine della storia del-litaliano fu propria di questa categoria professionale.

    Ludovica Maconi

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    1. Termini cronologici

    In pochi casi, come in quello dellitaliano moderno, nel fare lastoria di una lingua ci si imbatte in un termine cronologico pre-ciso che abbia segnato un cambiamento netto di situazione am-bientale generale (di condizioni esterne) e abbia investito, siapure in modo vario, luso linguistico dellintera popolazione. al momento dellunificazione politica, conclusasi rapida-mente negli anni 1859-1870, che in Italia, dopo secoli di for-mazione e sedimentazione di un dato assetto linguistico, si poseper lintera popolazione un problema di cambiamento lingui-stico. Nel Paese, popolato allora da circa 26 milioni di abitanti,si present infatti la necessit di:

    a) avvicinare alluso personale dellitaliano parlato, e di paripasso scritto, il 90% circa della popolazione, in precedenza, al-

    meno dal punto di vista produttivo, solo dialettofona; un 90%in cui si iscriveva il 74,6% (secondo altri calcoli il 78%) di anal-fabeti (per un confronto, in Germania lanalfabetismo riguar-dava allora il 20% della popolazione), ai quali vanno aggiuntii semianalfabeti (secondo alcuni calcoli il 19%);

    b) far sviluppare un uso pi moderno (effettivamentecomunicativo, nello scritto e nel parlato) e pi nazionale (condistacco dalle pieghe regionali) della lingua stessa in chi il re-stante 10% laveva fino ad allora praticata prevalentementeper iscritto e, scrittori compresi, secondo modelli abbastanzarigidi.

    Che al momento del raggiunto traguardo dellUnit la si-tuazione linguistica italiana nel suo complesso si presentasse inquesti termini possiamo ormai ammetterlo, sulla base dei cal-coli compiuti pi volte e delle considerazioni che possiamosvolgere giudicando a distanza levoluzione successiva del-litaliano. La svolta nella storia complessiva dellitaliano fudunque radicale, ma questa affermazione va intesa in un sensoche va precisato, sia pure con un ragionamento di tipo ipote-tico: senza lunificazione politica, con tutto ci che prima o poi

    ne deriv, e cio senza la formazione di una comunit socio-politica unificata che lo adottasse pienamente, litaliano nonavrebbe avuto la diffusione sociale che ha avuto e il suo uso nonavrebbe accolto e condiviso quelle innovazioni che gli per-mettono oggi di essere impiegato in funzioni comunicative eculturali rispondenti allo standard delle societ avanzate. Intermini pi precisi, non avrebbe trovato un alveo sociale en-tro il quale rimodellarsi in direzione di tale standard. Questo

    tipo di argomentazione valido per impostare i giudizi sulcorso postunitario della lingua italiana, non per condividereaposteriorile posizioni di coloro (i manzonisti) che allepoca, difronte allo stato dei fatti, proponevano un programma di go-verno per istituire per decreto e diffondere con provvedimentiscolastici coattivi ( scuola e lingua; questione dellalingua) una nuova lingua (estratta dal fiorentino parlatoborghese) nellintera popolazione italiana.

    A quella pretesa rispose la rivendicazione dei diritti dellatradizione scritta compiuta dal glottologo Graziadio Isaia Ascoli(Proemio, 1873; pi tarda la pungente satira di Giosu Carducci, Le mosche cocchiere, 1897), le cui previsioni si sonoin sostanza avverate: la lingua ereditata dalla storia ha avuto unamaggiore diffusione sociale di pari passo con la crescita del-listruzione e il suo rinnovamento complessivo venuto dal pro-gressivo, e non stravolgente, incontro delluso colto con le esi-genze del parlato nelle sue variet. Lestensione dellitaliano ditradizione scritta alle masse avvenuta, fino ad ora, nel segnodi una forte continuit: morfologica, sintattica, lessicale, orto-grafica. Di fonologia non si pu parlare, perch le antiche pro-nunce dellitaliano ci sono ignote e comunque non fanno tra-dizione; in ogni caso, le pronunce dovevano essere pi marcateregionalmente di quelle di oggi. Ancora nellOttocento perfinolitaliano pronunciato a Firenze (per via della spirantizzazionedi tutte le occlusive sorde intervocaliche) era incomprensibileagli stranieri che lo avevano studiato sui libri.

    Anche dal punto di vista linguistico, oltre che da quello sto-rico generale, il traguardo dal quale prese lavvio il nuovocorso va messo direttamente a riscontro con laltro grandecrinale della nostra storia, segnato dal crollo della civilt ro-mana. La forte penetrazione della lingua italiana nella massa

    degli abitanti dellItalia odierna (oltre 58 milioni) un eventoche chiude il lungo periodo storico che si era aperto tra V e VIsecolo con lo smembramento politico e linguistico del territo-rio italiano. Anche in altri territori dellantica latinit si sonoavute ricomposizioni attraverso una nuova lingua: ma altrove(Francia, Spagna), tale processo stato molto pi graduale neltempo; in Italia invece leffettiva ricomposizione linguistica stata irruente, al ritmo dei cambiamenti sociali e tecnologici deinostri tempi. Collegando con lo sguardo i due estremi di que-sto lungo arco storico si vede emergere pi chiaramente ancheil pilastro centrale del ponte che ci ha ricondotti allunit: la na-scita e la prima diffusione, tra gli abitanti dItalia, del fioren-tino letterario fra il Trecento e il Cinquecento.

    Avanzando dalla tappa unitaria verso il presente, bisognacogliere lintreccio dei processi di ricomposizione avviati daquellonda durto con i fenomeni di trasformazione intervenuti

    strada facendo sotto la spinta di altri fattori e individuare an-che cesure intermedie che hanno aperto altri cicli nella nostrastoria linguistica. Nel secolo e mezzo che alle nostre spalle isegni del passaggio a una diversa fase si colgono negli anni fi-nali del Novecento, nei quali si addensano molti fatti nuovi: glieffetti pi netti dellinternazionalizzazione della vita indivi-duale e sociale (la globalizzazione e pi specificamente laper-tura delle frontiere europee); la pressione, su tutte le tradizioniculturali, delle generazioni pi giovani (entrate in particolareagitazione tra gli anni Sessanta e Settanta); gli scuotimenti de-mografici prodotti dai consistenti e incessanti flussi immigra-tori; il sopraggiungere e il moltiplicarsi delle emittenti radio-foniche e televisive private, portatrici anche di inusitata libertlinguistica ( radio e lingua; televisione e lingua); la per-vasivit dei nuovi media capillari e interattivi. Nellultimo de-cennio del secolo litaliano ha cominciato cos a essere sotto-posto a sfide molto pi acute, che richiedono una trattazionein chiave notevolmente diversa (lingua doggi).

    La ricostruzione che segue occupa dunque, pi precisa-mente, il periodo compreso tra questi termini: laffacciarsi

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    dellitaliano, insieme con lunificazione politica dItalia, alla ci-vilt moderna e il suo venire a confronto con gli effetti dei mo-vimenti fortemente accelerati portati, in sintesi, dalla globa-lizzazione. Ma al primo mezzo secolo della nostra vita unitaria(Migliorini 1960: 669-747), che trattato specificamente in al-tra voce ( Ottocento, lingua dell), ci si riferir qui bre-vemente, solo per misurare, rispetto ad esso, le differenze chesi presentano nel periodo successivo, che decorre a partire

    dalla prima Guerra mondiale (sul quale come principali studidi riferimento si indicano De Mauro 1970a; Baldelli 1971; Du-rante 1981: 257-286; Mengaldo 1994; Marazzini 20023: 381-461; Tesi 2005).

    2. Il primo mezzo secolo di Unit nazionale

    Per la prima met dei centotrentanni considerati, data la for-tissima divaricazione nelle condizioni socioculturali di partenzatra lesigua classe borghese e la massa popolare, le informazionie descrizioni vanno spesso rivolte distintamente a questi duelivelli della societ.

    Gi nei quattro decenni che seguono allunificazione poli-tica si verificano cambiamenti che separano nettamente questoperiodo della vita nazionale dal precedente. Basta far mente lo-cale, per pochi istanti, alle conseguenze generali che comin-ciarono ad avere, anche sui fatti linguistici, eventi del genere(cfr. De Mauro 1970a): la costruzione della rete ferroviaria(l80% di quella tuttora esistente); la costituzione di un esercito,con leva obbligatoria, e di una burocrazia nazionali ( mili-tare, linguaggio; burocratese; giuridico-amministra-tivo, linguaggio); lintroduzione dellobbligo scolastico (conleggi del 1859 e 1877, notoriamente osteggiate negli ambientidei Gesuiti e del Vaticano, dalle classi pi abbienti e dai tradi-zionalisti in genere, tra i quali sincontra perfino Carducci); idue spostamenti della capitale nellarco di dieci anni; il som-movimento profondo prodotto in tutta la societ dallemigra-zione degli strati popolari verso lestero (alcuni milioni di abi-tanti che allimprovviso uscirono dallambiente e dallacondizione in cui erano stati racchiusi per secoli); le iniziali

    forme di mobilitazione politica delle masse. Non c dubbio,per, che i mutamenti propriamente linguistici indotti da similifenomeni si avvertirono pi rapidamente nelle classi medio-alte, desiderose e capaci di integrarsi nel mutato ambiente divita delle citt, poco o nulla invece nelle classi popolari. Alleaspirazioni, alle possibilit e ai gusti della rimescolata e nuovaborghesia si collegavano anche il fiorire di una nuova lettera-tura (ricca di sperimentalismi, tra il toscanismo e lespressivi-smo dialettale) e lapparire di un buon numero di testate gior-nalistiche nazionali, espressione, luna e le altre, anche di unnuovo apparato editoriale. Accenniamo appena al fatto cheaccanto ai nomi destinati alla maggiore celebrit (il classi-cheggiante Carducci, Giovanni Verga, Luigi Capuana,Federico De Roberto, Giovanni Pascoli, il primo DAn-nunzio, il primo Pirandello, il primo Svevo, ecc.; tra lefirme femminili Matilde Serao e Grazia Deledda), emersero gli

    autori di una letteratura di tono medio (Carlo Collodi, Ed-mondo De Amicis, Emilio Salgari; si aggiungano i romanzi ei giornali per ragazzi: Il giornalino di Giamburrasca e Ciondo-linodi Vamba, il Corriere dei Piccoli), e che ebbero subito di-screta fortuna i quotidiani nazionali apparsi nelle citt princi-pali (dal 1870 a Firenze e dal 1871 a Roma Il Fanfulla,seguito dal domenicale letterario dal 1879; dal 1876 Il Corrieredella sera a Milano; dal 1878 Il Messaggero e dal 1883 LaTribuna a Roma; dal 1892 Il Mattino a Napoli; dal 1895 LaStampa a Torino; si segnalano anche Il Giornale delle fan-ciulle, La Ricamatrice e La donna sarda).

    Tutta poesia e prosa (anche quella delle riviste di divulga-zione culturale: Lillustrazione italiana, La Lettura, Il Se-colo XX) destinata, comunque, a un pubblico preselezionatosocialmente, che in questo modo certamente and aprendosi alnuovo anche in fatto di lingua. Ma era un nuovo che non ve-niva ancora sancito in sede di norma. La grammaticografia ( grammatica; Catrical 1995), come sempre arbitra dellanorma ( norma linguistica) e punto di riferimento per lascuola, segnava sostanzialmente il passo, evitando di coone-

    stare apertamente molte scelte gi compiute dagli scrittori: conleccezione dellopera di Raffaello Fornaciari, che prendeva lemosse dalle aperture manzoniane per disegnare una Sintassiitaliana delluso moderno(1881; 2a ed. 1897; storia dellalinguistica italiana) nella quale cercava di riagganciare a unfilone storico le forme delluso vivo toscano. Sicch la scuola,se combatt contro lanalfabetismo ( analfabetismo e alfa-betizzazione), non fu per vera promotrice di svecchiamento

    della lingua (le grammatiche tenevano in vita ancora le formepronominali eglinoedelleno, tra laltro difese da Carducci), no-nostante la folata di toscanismo introdotta dalla proposta man-zoniana ( Manzoni). Lincidenza dellistruzione scolasticasulluso generale della lingua per alcuni decenni non and, peruna gran parte della popolazione infantile, oltre laccosta-mento alla lettura e ai livelli iniziali della scrittura.

    Anche il distacco dalluso personale del dialetto non fu, perla stragrande maggioranza degli appena alfabetizzati, un tra-guardo raggiunto in quel mezzo secolo. Il progetto di far pro-cedere sistematicamente lapprendimento scolastico dellita-liano partendo dal dialetto (De Mauro1970a: 359-360) nondette risultati (n avrebbe potuto darli, mancando nel corpo in-segnante la preparazione specifica per unoperazione del ge-nere). Lanalfabetismo pass dal citato 74,6% del 1861 al 50%nel 1901 (in Germania si era arrivati all1%; in Francia si eraal 16,5%) e al 40% nel 1911. Ma nella produzione linguisticapersonale la dialettofonia abituale, e il pi delle volte esclusiva,riguardava, si presume, ancora pi dell80% degli abitanti. Ildato si ricava per induzione da due fatti: la totale dialettofoniadei milioni di emigrati che lasciarono lItalia fino alla vigiliadella prima Guerra mondiale; lesistenza di un 66% di dialet-tofoni abituali risultante ancora nel rilevamento statistico del1951.

    Anche ai vertici della coscienza linguistica nazionale, in unaistituzione come lAccademia della Crusca ( accademie nellastoria della lingua), regnava lincertezza sui criteri di ac-cettabilit degli usi. La grande impresa della quinta edizionedelVocabolario(1863-1923, fino alla lettera o inclusa; les-sicografia) accumulava testimonianze solo delluso scritto,sulla base di testi ancora prevalentemente antichi e comunque

    fortemente selezionati, operazione che non era dindirizzo ainuovi utenti della lingua (sulla Crusca nel Novecento v. Sa-batini 2007).

    3. Dalla prima Guerra mondiale alla fine dellaseconda

    Nel trentennio che corre tra il 1915 e il 1945 lintera nazioneitaliana fu colpita da tre sconvolgimenti di natura politica e bel-lica: la Grande guerra; lavvento e la durata del regime fasci-sta; la seconda guerra mondiale. In concomitanza con questieventi, di per s capaci di incidere fortemente sugli assetti so-ciali e culturali della popolazione italiana, agirono fattori di al-tra natura, altrettanto incisivi sullo stesso piano e proprio suquello linguistico: un nuovo passo avanti nellindustrializza-

    zione, con i connessi fenomeni di maggiore urbanizzazione;lavvento delle prime consistenti innovazioni nella sfera dellecomunicazioni foniche a distanza (telefono, radio, cinema so-noro, registrazione fonografica).

    La mobilitazione e la mobilizzazione di milioni di indivi-dui in occasione dei due conflitti, specialmente del secondo,pi tragico e coinvolgente per militari e civili, crearono i pitraumatici rimescolamenti verificatisi nella popolazione italianada molti secoli a questa parte. Rimescolamenti che influivanodirettamente sullaccostamento delle masse allitaliano. Unaccostamento, per, forzato dalle circostanze, mancando vereiniziative e condizioni di promozione dellistruzione dellemasse stesse. Laspirazione al possesso dellitaliano si facevacomunque sentire in esse e in ogni caso cera la loro maggioreesposizione alluso orale dellitaliano, nei comizi e nelle adu-nate, ormai dominate dallaltoparlante. Quanto alluso scritto,le testimonianze ben note delle lettere in italiano popolaredi soldati del primo e del secondo conflitto mondiale rivelanoil passo avanti compiuto nellalfabetizzazione, ma non segna-lano una familiarit del ceto popolare con la lingua nazionale.

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    Lavvento del regime fascista (ottobre 1922; fascismo,lingua del) chiuse le prospettive di libera e vivace dialetticapolitica e cre condizioni diverse per una modernizzazionedel ceto popolare: linquadramento nelle organizzazioni dipartito e, specialmente per i ragazzi e i giovani, la partecipa-zione ai riti del sabato fascista e alle manifestazioni sportive.Loratoria fascista, le parole dordine (di prammatica gli ag-gettiviindefettibile,fatidico,granitico,vibrante,infallibile, ecc.)

    e, via via, lobbligo del voiallocutivo di rispetto invece del lei(1938), lostracismo ai dialetti e ai forestierismi rappresenta-vano i modelli per un italiano di regime, imposto natural-mente anche nella scuola. A questa forma di italianizzazionecontribuivano anche le canzoni di esaltazione delle impresedAfrica e, qualche anno dopo, delle azioni militari sui frontidella nuova guerra (Borgna & Serianni 1994: 24-35).

    Iniziative pi specifiche venivano prese negli ambiti pi acontatto con i centri del potere. Con la creazione, nel 1924, diunemittente radiofonica di Stato, lEIAR (radio e lingua),si posero problemi per lunificazione della pronuncia e perladeguamento di altri settori della lingua (esclusione di dia-lettismi e forestierismi) alle esigenze e alle possibilit di pia-nificazione linguistica attraverso questo primo mezzo di comu-nicazione di massa. Due filologi, Giulio Bertoni e FrancescoUgolini, pubblicarono, a distanza di 15 anni da quella data, unProntuario di pronunzia e di ortografia destinato alluso radiofo-nico (Bertoni & Ugolini 1939; pronuncia): vi veniva tra lal-tro affrontata la questione delle difformit di pronuncia tra Fi-renze, patria di origine dellitaliano, e Roma, da considerareormaila maggior fucinadella lingua attuale(per es. colnna, lt-tera,flla, dera a Firenze, colnna, lttera, dera,flla a Roma).Sia pure a fini di propaganda di regime, venne favorita la pra-tica degli ascolti radiofonici, vero nuovo canale di diffusione del-litaliano parlato, per quanto centralizzato e rigidamente codifi-cato. Le trasmissioni che promossero maggiormente i primiaccostamenti delle masse popolari allitaliano fonico furonoquelle delle cronache sportive (sport, lingua dello).

    Lattivit lessicografica, e quindi normatrice, dellAccade-mia della Crusca era stata fatta cessare dal ministro GiovanniGentile nel 1923, e ad essa era subentrata, a Roma, quella di una

    neofondata Accademia dItalia (1926, inaugurata nel 1929),che produsse nel 1941 il primo, e unico, volume (lettere A-C)di un nuovo Vocabolario, diretto da Bertoni: era fondato sullusocomune, riscontrato con quello degli autori moderni, e propo-neva le sostituzioni dei forestierismi (nel programma redazio-nale si citavano casi comeprimatoinvece direcord,listainvecedi menu, ecc.) e anche i casi di presenza di forestierismi correnti(camion,claque, ecc.). La discussione tra zelanti italianizzatoridei forestierismi (cera chi in sostituzione della parolabarpro-poneva mescita, bettolino, quisibeve, ber, arguto incrocio colverbo bere, ecc.) che avrebbe portato nel 1941-43 allistituzionedi una Commissione per litalianit della lingua, che pubblicelenchi di forestierismi da sostituire con parole italiane (Raffa-elli 2010) si documenta nei primi numeri della rivista Linguanostra, fondata nel 1939 a Firenze da Bruno Migliorini e Gia-como Devoto. Migliorini fu il principale interprete delle esi-

    genze di ordine e funzionalit nelluso scritto dellitaliano de-gli anni centrali del secolo e fu anche il primo a ricoprire unacattedra di storia della lingua italiana (istituita a Firenze nel1938; la seconda si ebbe a Roma lanno dopo e fu affidata ad Al-fredo Schiaffini): fu in particolare il fondatore del neopuri-smo(ispirato ai criteri di una glottotecnicache studia la forma-zione delle parole sotto il profilo della loro compatibilit colsistema e della funzionalit nelluso) e aliment gli studi sul-litaliano comune contemporaneo (Migliorini 1990). Fu ancheil realizzatore della prima complessiva e ampia trattazione dellastoria della lingua italiana (Migliorini 1960).

    Nel campo della norma, tradizionalmente esplicitata nellegrammatiche, lavvento dellestetica di Benedetto Croce(Estetica come scienza dellespressione e linguistica generale, Pa-lermo 1902, anno di fondazione anche della sua rivista La cri-tica) aveva prodotto una generale perdita dimportanza diquesto genere di produzioni e anche della sua presenza nellascuola. Se si fa eccezione per lopera di Pier Gabriele Goida-nich (1918) che procur una ricognizione ampia, attenta anchealle variazioni di registro e alla prospettiva storica della lingua

    italiana, le altre grammatiche cercarono prima o poi di far va-lere i principi crociani della lingua come espressione indivi-duale. Caso emblematico quello di Ciro Trabalza, che dopoaver lungamente elaborato la benemerita e ponderosa Storiadella grammatica italiana, al momento della pubblicazione,convertito di colpo al crocianesimo, premise alla sua opera unaIntroduzione che negava ogni valore scientifico alla gramma-tica (un baloccarsi con le parole di fronte a tanto turbinio di

    cose, al complicarsi e allapprofondirsi della vita, al sorgerperenne di tanti interessi spirituali: Trabalza 1908: 1-2). Unasimile perdita di orientamento era dovuta in realt alla man-cata apertura dellambiente italiano alle nuove scienze del lin-guaggio, che fiorivano invece in altre parti del mondo.

    Anche la riforma gentiliana dellistruzione (1923) si posesulla linea dellidealismo per quanto riguarda linsegnamentolinguistico, anche se il miglior collaboratore del ministro fa-scista, il pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, cerc di af-frontare nuovamente, ma sul terreno della prassi, il rapportodel passaggio dal dialetto alla lingua nelleducazione elemen-tare (Gensini 1995; DAlessio 2009). La riduzione dellanal-fabetismo, in effetti, fu piuttosto lenta: dal 27,7% del 1921 sipass al 21,1% del 1931 (altre fonti indicano il 31% per il 1921e il 25% per il 1931), con permanenti fortissimi dislivelli traSud e Nord.

    In campo letterario, dopo le esperienze dei veristi, degliscapigliati, del decadentismo allitaliana e del crepuscolarismo,che chiusero la stagione postrisorgimentale e primonovecen-tesca, i fenomeni pi caratterizzanti che poterono improntareanche luso generale della lingua scritta colta furono il Futu-rismo, il DAnnunzio del Notturno(con il nuovo gusto dellaprosa spezzata, spiccatamente nominale) e le varie esperienzetendenti allelitarismo di molti scrittori (dai vociani ai rondi-sti, ad Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Elio Vittorini, ecc.,agli ermetici, con gli emergenti Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Umberto Saba, Salvatore Quasimodo, ecc., al-lesperienza irripetibile gi del primo Gadda). Si era di ne-cessit avvicinata alla sintassi del parlato, invece, la linguateatrale ( teatro e lingua), soprattutto con Pirandello, mala sua prosa narrativa sentiva di ricerca non risolta. Nella sag-

    gistica lormeggio pi forte era la prosa di Benedetto Croce,tuttavia di limitata circolazione, data anche lavversione del cri-tico e filosofo al regime fascista. Nellinsieme, per, i fatti let-terari contemporanei non raggiungevano luso comune, nonessendo aperta al presente la scuola e non essendoci, allepoca,quel tramite di divulgazione che sarebbe stato fornito pitardi dai pi potenti e versatili mezzi televisivi e audiovisivi.Listruzione obbligatoria era sempre limitata alle cinque classidelle elementari (un limite che fu superato solo nel 1962).

    La sensibilit verso il nuovo, ma anche un certo umoristicodistacco, sono testimoniati dal Dizionario modernomesso in-sieme da Alfredo Panzini, apparso nel 1905, e aggiornato pivolte (nel 1942 da Alfredo Schiaffini e Bruno Migliorini, cheaggiunse appendici di neologismi fino al 1963: cfr. Panzini1905; Migliorini 1963). Lavvento del cinema sonoro (1927),con le sue esigenze di pi ampia comunicazione rispetto al tea-

    tro ( cinema e lingua), mise infatti a dura prova la lingua ita-liana di fronte alle sfide di un parlato pi autentico. Da se-gnalare che il divieto del regime fascista di far circolare film inlingua straniera dette origine alla tecnica del doppiaggio dellevoci (doppiaggio e lingua), utile palestra anche per la pro-duzione filmica italiana.

    Nellultimo decennio dellesperienza fascista, tra il 1931 eil 1942, si raggiunse un traguardo importante in campo giuri-dico, con la redazione dei nuovi quattro codici fondamentali(penale e civile e rispettive procedure), il cui robusto tessutolinguistico rispecchia ancora oggi i valori normali dellita-liano standard.

    4. Dal cambiamento istituzionale allapertura dellefrontiere europee

    Allindomani dello sfacelo prodotto dallimmane conflitto del1940-45, il cambiamento istituzionale, che port alla Costi-tuzione repubblicana del dicembre 1947, il vasto processo

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    della ricostruzione postbellica, connessa con il fortissimo de-collo industriale delle regioni settentrionali, una nuova mas-siccia ondata migratoria, sia allinterno (verso le citt indu-strializzate) che verso lestero (europeo ed extracontinentale),fecero compiere in pochi anni alla societ italiana il verobalzo in avanti verso la modernit. Se si aggiungono altri duefatti di grande impatto socioculturale, quali lavvento delletrasmissioni televisive (1954; televisione e lingua) e lin-

    nalzamento dellobbligo scolastico al quattordicesimo anno diet (1962; con la successiva tappa della Scuola media unificatae vari aggiustamenti fino al 1977), si comprende come in unquindicennio appena fossero mutati tutti i riferimenti conte-stuali per lassetto linguistico dItalia, tanto che Pier Paolo Pasolininel 1964, salutando la nascita, nelle nuove realtindustriali del Nord, di un nuovo italiano di impronta tec-nologica, in cui la comunicazione contava pi dellespres-sione, dava il via a una nuova questione della lingua (Par-langeli 1971).

    Sul piano linguistico il fenomeno nel quale convergonotutte le spinte generate dai fatti sopra ricordati fu il decisivo ac-costamento dellintera societ alla lingua italiana. Un pro-cesso che va visto, com ovvio, bilateralmente: e cio anchecome esposizione della lingua italiana a unondata di ibrida-zioni senza precedenti e come adattamento generale della lin-gua, in molti contesti, alle modalit delluso orale, per rivol-gersi a una massa di riceventi scarsamente italofoni, attraversoil nuovo potente mezzo di trasmissione. Diffusore, questo, in-sieme con i nuovi strumenti di registrazione magnetica, anchedella canzone popolare, profondamente rinnovatasi sul pianolinguistico a partire dalla fine degli anni Cinquanta ( canzonepopolare e lingua).

    In rapporto con questi multiformi processi di contattolinguistico diafasico, diastratico e diamesico ( variazionediafasica; variazione diastratica; variazione diame-sica) sta la formazione di vere e proprie variet dellitaliano,alle quali sono stati dati i nomi di italiano regionale(Pel-legrini 1960), italiano popolare (De Mauro 1970b), ita-liano delluso medio (Sabatini 1985). Le prime due variet,come prodotti nati dallincontro dellitaliano di tradizione

    scritta (fortemente uniforme fino al momento dellunifica-zione politica) con gli idiomi locali e con i tentativi di scritturadei semicolti, formalmente non sono delle novit: di nuovo cil fatto che questi modi ibridi non sono pi fenomeni sporadicima sono ora gli strumenti linguistici di masse di parlanti e diun certo numero di scriventi (gli emigrati appena alfabetiz-zati; emigrazione, italiano dell). Per quanto riguarda in-vece la terza variet, si tratta di una realt nuova: dellaffiora-mento di tendenze secolari che ora vengono a formare sistemae che trovano un habitat in molti ambiti della societ, nei suoimezzi di comunicazione e in molte sue espressioni culturali,dalla letteratura al cinema alla pubblicit.

    Se alle tre variet segnalate si aggiunge anche la persistenzadi un uso standard dellitaliano, come forma ufficiale della lin-gua, e, al polo opposto, di una dialettofonia consistente (madintensit cangiante, per distribuzione regionale, sociale e

    funzionale), si arriva a disegnare lintero repertorio delle va-riet linguistiche ( repertorio linguistico) presenti nella so-ciet italiana sullo scorcio del XX secolo. A partire dagli anniSettanta negli studi sulla situazione linguistica generale delPaese si sono andate affermando proprio mappe del genere (unesame complessivo in Berruto 1993), che hanno permesso diqualificare una serie di fenomeni e di valutarne le prospettivedi vita.

    In un primo tempo, lattenzione degli studiosi andata al-litaliano regionale, o, pi correttamente, agli italiani regionali,considerati presto come un felice approdo della societ italianaa una condizione che sdrammatizzava lo scontro dialetto-lin-gua. Si tratta, come il termine lascia comprendere, del prodottodellinfluenza del dialetto familiare e ambientale sullitalianocome lingua sostanzialmente appresa dallindividuo col cre-scere dellet e dellistruzione, essendo ancora scarsa, nellaprima met del Novecento, la percentuale di italofoni nativi.Si deve per tener conto di una quantit di distinzioni nellemanifestazioni di questi usi, cominciando da quella tra uso par-lato e uso scritto nella stessa persona. Nel parlato le tracce di

    regionalismo a livello fonologico (il diverso trattamento dellasintervocalica sorda o sonora; le incertezze nei timbri vocalicidi e e o che interessano vaste aree fuori della Toscana; inter-vengono poi di area in area le pi diverse alterazioni dei suonie gruppi consonantici) e prosodico hanno caratterizzato la lin-gua anche di personaggi del pi alto livello culturale. Ne sonotestimonianza le registrazioni di discorsi, per es., di Bene-detto Croce. Ai livelli socioculturali alti sono rari, almeno in

    situazioni di una certa formalit, ma affiorano ugualmente, fe-nomeni morfologici e microsintattici, quali potrebbero essere:per i parlanti settentrionali lomissione delnonnella dichiara-tiva (il tiposo micaper non so) o solo piper soltanto; peri toscani il tiponoi si vaper noi andiamo e noi ci shaper noiabbiamo; per i meridionali la posposizione del possessivo deltipoil libro mioil mio libro. Permangono a lungo nella mentedei parlanti i geosinonimi riferiti alle nozioni del vivere quo-tidiano (arredi della casa, abbigliamento personale, cibi, ecc.).Sono tutti fenomeni che scompaiono ovviamente sulla paginascritta degli stessi soggetti.

    Tenute entro questi limiti, le coloriture regionali sonostate e sono considerate tuttora tratti di vivacit dellitalianoparlato. Un loro accentuarsi rende gradualmente dissonante ilrapporto comunicativo. Hanno generato un certo fastidio,nelle trasmissioni televisive, le pronunce regionali molto mar-cate di alcuni protagonisti ditalk-showdegli anni Novanta, agliesordi delle emittenti private.

    A un livello di marcatezza regionale pi forte si collocatala variet definita come italiano popolare. Si tratta pur sem-pre di una variet di italiano, ma posseduto nei limiti raggiuntida soggetti con scarsa istruzione, i cosiddetti semicolti. Ladocumentazione di questo livello di italianizzazione fornitadalle loro scritture (in genere lettere, rari i diari). Questo tipodi italiano non , per, alterato solo da influssi del sostrato dia-lettale, perch presenta anche devianze di altro genere: so-prattutto metaplasmi (nominali, come le mane le mani, ilcanoil cane, e verbali, comevadivada,dassedesse,dichidica) e malapropismi (del tipo carta dindennitper cartadidentit). Per un certo tempo alla denominazioneitalianopopolare stata attaccata, da taluni, anche letichettaunitario

    (De Mauro 1970b): perch si consideravano prodotti maturatinellambito di questa variet molti altri tratti di discosta-mento dallo standard, che in realt erano e sono presenti an-che nelluso colloquiale nazionale (il che polivalente,lanacoluto, la riduzione del congiuntivo nelle frasi com-pletive) e si riteneva perci di poter individuare in questa va-riet un nascente neoitaliano plasmato unitariamente dalleclassi popolari.

    I giudizi di valore sulle due variet indicate sono percambiati via via che le ricerche sono andate anche in direzionediacronica e hanno potuto illuminare il processo questo sunitario di recupero generale dal parlato dialettale o regio-nale di tratti di antica data, emarginati e censurati per secolidalla norma dei grammatici e rispondenti alle esigenze di unacomunicazione reale, parlata e scritta (DAchille 1990). La no-vit pi consistente nelle pratiche linguistiche attuate dalla so-

    ciet italiana nel corso del Novecento, pi decisamente nella se-conda met del secolo, apparsa, infatti, la riacquisizionedelle modalit pragmatiche fortemente penalizzate dalla codi-ficazione cinquecentesca, e successiva, avvenuta su base gram-maticale e non testuale.

    Ricevono ormai piena accettazione, non solo nella narrativama nella saggistica di pi ampia diffusione, i tratti seguenti: lafrase segmentata (con tema a sinistra, il caff lo bevo amaro, oa destra,lo bevo amaro,il caff; dislocazioni), presente neivolgari italiani fin dalle origini; luso dei pronomi lui,lei,lorocome apparenti soggetti (in realt con valore tematico, se an-teposti al verbo, e rematico se posposti; personali, pro-nomi), circolante dal XIV secolo; ilchepolivalente con valoretemporale (il giorno che ti ho incontrato);glicome forma dati-vale onnivalente; la frase scissa ( lui che mi manca; scisse,frasi); ilciattualizzante o presentativo con i verbi avere,esseree altri (entrare,volere; pronominali, verbi); ilper cuisenzaantecedente nominale, ma riferito complessivamente a unenunciato o a un blocco di discorso precedente, ilcomunqueeilsennonchprivi di una loro struttura frasale (entrambi molto

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    frequenti nella prosa di Benedetto Croce; Proietti 2007); gli avverbifrasali che compendiano unintera frase di giudiziodel parlante; la frase ipotetica con il doppio indicativo im-perfetto (se me lo dicevi,ci pensavo io), ecc. C ormai una mi-nore intolleranza per lindicativo invece del congiun-tivo nelle frasi completive con verbo di opinione (credere,pensare,sembrare), un uso ritenuto sempre pi di ragione sti-listica e non sintattica ( semplificazione). Significativo il

    fatto che molti di tali fenomeni erano stati gi introdotti, conspregio ai divieti dei puristi, da Manzoni nella stesura finale deiPromessi sposie da allora avevano cominciato a trovare accet-tazione nei narratori che si erano messi sulla sua scia (Testa1997). La novit consiste soprattutto nel fatto che non solo lanarrativa pi mimetica del parlato, ma anche la saggistica e ilgiornalismo (giornali, lingua dei) fanno propri questi usi(Bonomi 1993; Bonomi 1996). Di qui, conglobando anche al-tri fenomeni di natura fonologica (svalutazione delle opposi-zioni tra vocaliaperte e chiuse, cancellazione della ipro-stetica davanti a s + consonante, abbandono del dittongomobile, ecc.), laffermazione di trovarsi davanti a un vero con-corrente dellitaliano standard, un italiano delluso medio(Sabatini 1985; 1990) oneostandard(Berruto 1987), capace difare da nuovo riferimento normativo.

    Contribuiscono notevolmente a caratterizzare la facies del-litaliano tardonovecentesco altri due fenomeni, che perduranonellitaliano di oggi: la pressione dei linguaggi settorialie quella degli angloamericanismi ( anglicismi). Non sololincessante innovazione tecnologica a riversare nella lingua co-mune forti dosi di tecnicismi ( tecnica, lingua della),quanto la propensione di molti soggetti che operano nelle am-ministrazioni e nei servizi a far uso e mostra di preziosismo lin-guistico e a mettere in circolazione espressioni comeobliterare(il biglietto) invece diconvalidare, o a denominareluogo staticosicurolarea di sicurezza nei luoghi pubblici (in inglese safetyarea). Forti componenti esibizionistiche agiscono anche nel-laccettazione senza freni dei vocaboli della lingua inglese (itangliano), per cui perfino un ministero di Stato, quellocompetente nel campo delle politiche sociali (previdenza, fa-miglia, minori, ecc.) ha assunto il nome corrente di ministero

    del Welfare.Il termineperformancefa la gioia di un gran nu-mero di parlanti, che ne sbagliano sistematicamente laccen-tazione.

    Il Novecento, infine, stato decisivo anche per la sortedei dialettiitaliani. La loro presenza nella societ italianasi avverte ancora, sia perch gli stessi mezzi di comunicazionefonica a distanza, che ne hanno segnato la sorte, permettono invario modo di farli emergere e segnalarne lesistenza, sia per-ch essi sono stati rilanciati variamente nel cinema e nella let-teratura (dialetto, usi letterari del), ci che ha fatto ve-nire meno nei loro confronti la sanzione socioculturale. Manella loro reale essenza essi ci offrono gli esempi di pi fortecambiamento strutturale che si sia determinato nel patrimoniolinguistico preesistente. La loro italianizzazione non conoscelimiti, come dimostrano le centinaia di esempi che sono statiraccolti in tutte le regioni (italianizzazione dei dialetti).

    Se ne danno qui pochi esempi: in Piemonte raz diventatora-dz,peyla passato apadela; a Milano non pi lama lat; nelVenetopiron stato sostituito daforketa; a Roma ainasse statosostituito da affrettasse; in Calabria jancu diventato biancu;in Siciliagiugnettu stato sostituito da lugliu.

    Le varie tendenze manifestatesi, sia nella sfera della linguanazionale sia in quella dei dialetti e di altri idiomi locali (taloraclassificati, impropriamente, come lingue di minoranze; mi-noranze linguistiche), hanno trovato ampio spazio di rap-presentazione nella letteratura, nel cinema e in altre sedi dispettacolo: questo fatto ha contribuito a familiarizzare gli ita-liani complessivamente con lintero repertorio di variet lin-guistiche del Paese e, se da una parte ha certamente abbassatoin molti la tensione verso una lingua nazionale pi uniforme,dallaltro ha sdrammatizzato i contrasti linguistici. A riacutiz-zarli, per, sembra che puntino oggi gruppi di potere locale chemirano a una pi generale frammentazione del tessuto nazio-nale: giusto in coincidenza con il ricorrere dei 150 anni dellanostra unit politica.

    Francesco Sabatini

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