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Museo Geopaleontologico “Ardito Desio” Rocca di Cave Settembre 2010 - N. 1 MUSEO QUADERNI del MUSEO QUADERNI del

MUSEO - · PDF fileAntonio Scipioni. 7 SETTEMBRE PRESENTAZIONE 2010 - N. 1 Dal terrazzo della Rocca Colonna, che co-rona la sommità del ripido rilievo su cui sorge il paese di Rocca

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Museo Geopaleontologico“Ardito Desio”Rocca di Cave

Settembre2010 - N. 1

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� In copertina: Conchiglia fossile di un gasteropode nelle rocce delle antiche scogliere coralline di Rocca di Cave. Sullo sfondo la ricostruzione di un tratto di quelle scogliere. Il piccolo guscio poggiato sulla roccia (freccia) è un lontanissimo discendente del fossile, di cui ripete la forma generale.

Tratta da: Geological Society of America, 2009

Schema di classificazione tassonomica

Schema gerarchico delle categorietassonomiche usate in paleontologiaper la classificazione dei fossili: ognilivello è costituito da un gruppo dielementi compresi nella categoriasottostante e comprende più elementidi quella soprastante. Ad esempio,ogni ordine comprende più famiglie,ciascuna famiglia più generi ecc. (di-segno modificato da Woese, 1990).

PRESENTAZIONE4 L’augurio dell’Assessore alle politiche culturali

della Provincia di Roma, Cecilia D’Elia

5 Una voce per il Museo, introduzionedi Antonio Scipioni (Sindaco), e Gabriella Federici(Ass. alla Cultura del Comune di Rocca di Cave)

7 Perché un museo a Rocca di Cave?di Maurizio Parotto

9 Il Museo Geopaleontologico “Ardito Desio”di Francesco Grossi

RUBRICHE14 Pluricellulari antichissimi. Dinosauri «europei».

Quasicristalli18 Darwinius masillae: un primate da “urlo”39 Stephen J. Gould, “I have landed”62 Notizie da Rosetta. Vulcani su Venere.

L’interno di Titano66 Il tempo che ha fatto: Luglio-Settembre 201068 Stelle variabili: Betelgeuse70 Nebulose, supernovae e comete

ARTICOLI22 I fossili del Museo “Ardito Desio”

Plesioptygmatis nobilis - Francesco Grossi

26 Paleoecologia. Le scogliere del passatoTassos Kotsakis

41 Didattica. Geomitologia: quando anche gli scienziati ricercano il mito - Chiara Amadori

46 Museologia. L’ambiente museale - Luigi Campanella

48 Archivi della Terra: il clima. Gli archivi degli antichi mutamenti climatici e le cause delle variazioni climatiche (parte prima) - Maurizio Chirri

58 I protagonisti. Giulio Andrea Pirona, storico della natura - Francesco Grossi

GEO-QUIZ (a cura di Akira)

35 Geocruciverba per gli “esperti”36 Geocruciverba per i piccoli

APPUNTAMENTI AL MUSEO40 Attività didattiche: scuole primarie, scuole medie,

scuole medie superiori65 Programma osservazioni: Ottobre 2010 - Marzo 2011

La rocca delle stelle: Serate osservative del cieloLa scogliera fossile: Escursioni

In attesa di autorizzazione,chiesta al Tribunale di Roma.

Pubblicazione finanziata con il contributo della Provincia di Roma, L.R. 42/97

Direttore responsabile:Paolo D’Angelo………..

Comitato scientifico:A. Altamore, L. Campanella, A. Kotsakis, C. Marangoni, M. Mattei

Comitato di redazione:Chiara Amadori, Maurizio Chirri, Francesco Grossi, Maurizio Parotto

Collaborazioni redazionali:C. Amadori (disegni, ove non specificamente indicato)

S. Mora (preparazione testi)

Sede:Cooperativa “Archimede”, Via Nomentana, 175 - 00161 RomaE-mail: [email protected]

Impaginazione e grafica:[email protected]

Stampa:Tipografia Rotastampa s.a.s.,Via Giuseppe Mirri, 21 - 00159 Roma

Finito di stampare: Marzo 2011

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PERIODICO QUADRIMESTRALE

Anno I - N. 1

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4QUADERNI

DEL MUSEO

PRESENTAZIONE

Abbiamo ricevuto dall’Assessore alle Politiche Culturalidella Provincia di Roma il messaggio che qui riportiamo e al quale vorremmo affidare l’avvio della collana di Quaderni che si affianca alle altre attività del Museo Geopaeontologico “Ardito Desio” di Rocca di Cave

I musei stanno attraversando un momento di grande vita-lità. Sempre più sanno essere protagonisti dell’offerta culturale.Sono luoghi di diffusione e di condivisione dei saperi. Porta per accedere al sapere, disegnano uno spazio pubblico inclu-sivo in cui la cultura ci fa comunicare, ci unisce, ci rende partedel mondo. Così facendo si rafforza lo spessore culturale di ognuno di noi e la vita civile si fa più ricca, e con essa la democrazia. I musei quindi, anche quando raccontano la paleontologia, raccontano di noi, del nostro tempo e della nostra società.

I “Quaderni del Museo” sono un esempio virtuoso di conoscenza del territorio. Ci aiutano a leggere la nostra vita all’interno del contesto in cui agiamo. Il paesaggio, dai fossilialle stelle, si mostra come quel grandioso bene comune che ci rende possibile la vita. Così la sua tutela diventa il nostroobiettivo, fondamentale per tutte le comunità e per noi stessi.

Di fonte a progetti come i Quaderni non si può non pro-vare un moto di gratitudine per tutte quelle persone che conprofessionalità e passione civile animano la vita dei musei, talvolta anche molto piccoli e ingiustamente poco conosciuti.La Provincia di Roma nelle sue politiche culturali ha dato centralità alla rete dei musei del territorio portando a maggiorevisibilità la loro ricchezza di contenuti, di idee e di opportunitàdi conoscenza per tutti.

Cecilia D’EliaAssessore alle Politiche Culturali

della Provincia di Roma

PROVINCIADI ROMA

La voce del Museo

5SETTEMBRE2010 - N. 1

PRESENTAZIONE

Nell’accingerci a queste righe di presentazione e di augurio perquesta pubblicazione, la rivista quadrimestrale “I Quaderni del Museo”, bollettino del Museo Geopaleontologico Ardito Desio diRocca di Cave, siamo riandati con la memoria a questi anni di la-voro e fruttuosa collaborazione che il Comune e il nostro Museocittadino hanno stabilito con il Dipartimento di Scienze Geologi-che dell’Università degli studi «Roma Tre». Questa collaborazione è fi-nalizzata a promuovere la ricerca e la conservazione dei beni culturali,ma anche la valorizzazione e la crescita culturale e materiale della nostra comunità. L’Amministrazione Comunale ha guardato ai pro-grammi, ai progetti culturali, al fervore di attività che sono state rea-lizzate come a un’importante risorsa, che si colloca nel contesto di unpiù ampio programma che ci ha visto conseguire importanti risultati.Ciò ha condotto, tra gli altri, allo sviluppo del turismo, sia didatticoche generico, dando impulso alle attività commerciali già presenti nelterritorio comunale, come a nuove iniziative imprenditoriali.La storia del nostro paese è simbolicamente legata alla Rocca Colonnada oltre 10 secoli. Con orgoglio, ripercorrendo le tappe di sviluppo delpaese, dall’istituzione del Comune nel 1912 a oggi, possiamo consta-tare l’importanza che i simboli assumono nel rendere più efficace l’im-pegno quotidiano, a realizzare iniziative e opere volte a migliorare lavita della collettività. La nostra piccola comunità nei Monti Prenestini è consapevole che l’evoluzione e il progresso, cioè il nostro futuro,poggiano su basi tanto più solide quanto più conserviamo tradizioni e beni culturali.Dagli ormai lontani anni ‘80, l’amministrazione del Comune di Roccadi Cave ha compreso che il restauro, il recupero e infine la valorizza-zione della Rocca Colonna erano insieme una tappa fondamentale e losfondo per ogni incremento e miglioramento. Attraverso due cicli dilavori e restauri, eseguiti negli anni ‘80, fu ripristinata la cinta murariadell’XI secolo e fu collocato all’interno del mastio del XIV secolo il serbatoio, che assicura i rifornimenti idrici alle abitazioni della partealta di Rocca di Cave.Nel 1994 gli amministratori si convinsero che l’opzione più sicura pergiungere al completamento dei lavori di restauro e recupero era legataa una particolare coincidenza: il nostro territorio conserva beni monu-mentali storici, ma in tutte le rocce su cui poggiano le nostre case, lestrade, i campi e gli allevamenti, sono conservati come fossili i resti diun remotissimo passato. Studiosi e scienziati di molti paesi conosconoRocca di Cave e ne studiano le testimonianze. L’importanza di valoriz-

COMUNE DI ROCCA DI CAVE

6QUADERNI

DEL MUSEO

Presentazione

zare questo insieme di beni della storia e della natura, poteva megliosvilupparsi attraverso una collaborazione con l’Università.Tale scelta ha valorizzato il nostro progetto permettendo l’approva-zione, nell’annualità 1999 del Piano VB 1995-2000, da parte dell’alloraAssessore all’Ambiente della Regione Lazio, Dott. Giovanni Herma-nin, del finanziamento che ha consentito il pieno restauro e l’allesti-mento museale. Dall’inaugurazione del museo, avvenuta il 28 lugliodel 2002, fino a oggi, circa 30 mila presenze di pubblico e scuole testi-moniano il successo dell’iniziativa. Nel corso degli anni sono stati apportati incrementi che fanno del museo e dell’osservatorio astrono-mico annesso un importante riferimento per le scuole della regione, gliappassionati e gli studiosi. Nel 2008 abbiamo formalizzato la collabo-razione con l’Università Roma Tre, con una Convenzione che pone in divenire ulteriori importanti sviluppi e programmi. Vogliamo concludere osservando che è sicuramente ampio il lavoroche l’Amministrazione Comunale e il Museo hanno svolto fino adoggi, ma che sono sicuramente maggiori gli impegni che ci stanno difronte, per la loro ampiezza e per le importanti ricadute che consegui-ranno al nostro paese. Tra questi, ricordiamo l’obiettivo di realizzare ilprimo osservatorio ambientale sul territorio della nostra Regione, conil conseguente prevedibile incremento dei flussi di turismo didattico e valorizzazione dell’ostello comunale.Ringraziamo la Dott.ssa Cecilia D’Elia, Assessore alle Politiche Culturalidella Provincia di Roma, e le Dott.sse Bruna Amendolea e Laura Indio,dell’Ufficio Musei dell’Assessorato, per il sostegno e l’interessamentosempre concessi; il Direttore del Dipartimento di Scienze Geologiche del-l’Università Roma Tre, Prof. T. Kotsakis, e il Prof. Maurizio Parotto, dellamedesima università, che segue da sempre le realizzazioni museali, illavoro scientifico e l’aggiornamento didattico, insieme con i docenti ericercatori universitari che, volontariamente, collaborano all’iniziativa;gli amici dell’associazione Hipparcos, che, altrettanto volontariamente,contribuiscono alle riuscitissime “serate delle stelle”, che hanno resofamosa la Rocca; e infine il nostro Direttore Maurizio Chirri che, conl’amico e concittadino Pietro Lunghi, si occupano delle attività per ilpubblico e di quanto utile al mantenimento della nostra bella Rocca.Di nuovo auguri a nome di tutta l’Amministrazione al collettivo di re-dazione, per questa ulteriore iniziativa che contribuirà a far conoscereancora e meglio, presso le scuole e il pubblico, Rocca di Cave, “il paesedell’antico mare e delle stelle”.

Il VicesindacoDott.ssa Gabriella Federici

Ass. Cultura

Il SindacoAntonio Scipioni

7SETTEMBRE2010 - N. 1

PRESENTAZIONE

Dal terrazzo della Rocca Colonna, che co-rona la sommità del ripido rilievo su cuisorge il paese di Rocca di Cave, all’estre-mità meridionale dei Monti Prenestini, lavista corre libera su tutto l’orizzonte.Verso W e NW si apre fino al mare, l’am-pia pianura in cui giace Roma, dallaquale si alzano appena, come isole da unmare increspato, i Monti Sabatini, ilMonte Soratte e i Monti Cornicolani.In direzione Nord la vista è portata apercorrere il vicino profilo della dorsaledei Monti Prenestini, lungo i quali si ri-conoscono, grigi sulla roccia grigia, ipaesi di Castel San Pietro (verso sinistra)e quello di Capranica (verso destra): inprimavera tra i due paesi si stende undrappo giallo di ginestre.Proseguendo con lo sguardo verso SE,altre dorsali si inseguono fino a conflui-re nei Monti Ernici e nel M. Cairo, ulti-mo rilievo isolato. L’insieme di questi ri-lievi si interrompe per lasciare spazio al-l’ampia e larghissima Valle Latina, uncorridoio in direzione SE tra Roma e Ca-serta, limitata sul lato opposto dalla dor-sale dei Volsci (con i Monti Lepini in pri-mo piano) che sorge quasi direttamentea sud di Rocca di Cave. Verso SW l’oc-chio torna a scoprire lontanissimo il ma-re al di là di un’ampia valle, prima di arrestarsi sul lungo gruppo di colli bo-scosi che ci riportano alla pianura di Ro-

ma e che nell’insieme disegnano un co-no schiacciato, molto più largo che alto: iColli Albani, disseminati di “castelli”.Uno scenario che varia senza fine alcambiare della luce col passare delle ore,al trascorrere delle nubi, al fluire dellestagioni.

Ma il terrazzo è anche una finestra sullastoria, un territorio ricco di stimoli e te-stimonianze, a partire dalla Rocca stori-ca, che ben rappresenta il sistema di di-fesa della struttura feudale dell’iniziodel Medioevo, con poderose costruzioni,spesso su crinali o su cime isolate (comeRocca di Cave, a quasi 1000 m di quota).Castelli e rocche erano disseminate nellavalle del Sacco e collegate da una reteviaria, e i loro resti narrano lunghe vi-cende di lotte tra grandi famiglie nobi-liari, in un area che, dal XV secolo, di-venne di confine tra lo Stato Pontificio eil Regno di Napoli, rimanendo così coin-volta in conflitti ben più importanti.Ma le tracce della storia vanno ben piùindietro: basta riandare ai nomi dei rilie-vi prima ricordati, per riconoscere quellidi antiche popolazioni italiche: gli Ernici,i Volsci, i Sabini, protagonisti di lungheguerre con i Latini, che abitavano i ColliAlbani. Secoli di storia che vedono l’uo-mo in primo piano, preceduti da centi-naia di migliaia di anni (quasi un milio-ne) nei quali l’uomo aveva raggiunto ilLazio, con l’uomo di Ceprano (nella valledel Sacco, presso la confluenza con il

Perché un museo a Rocca di Cave?

Maurizio Parotto

Maurizio Parotto: Ordinario di Geologia,Università degli studi “Roma Tre”

8QUADERNI

DEL MUSEO

Fiume Liri), con l’uomo di Neandertal (nel-le grotte del Circeo), e con l’Uomo di Sac-copastore (sulle colline ai lati del bassocorso del Tevere, dove sorgerà Roma).Tuttavia il nostro osservatorio può spin-gersi ben oltre nel tempo, con le rocce sucui sorge Rocca di Cave, ricchissime diresti di vita in forma fossile: può tra-sportarci sulle rive di un antico oceano,popolato di scogliere coralline in pienorigoglio circa 100 milioni di anni fa, inpiena Era Mesozoica.Il Museo geopaleontologico è nato pro-prio su quegli antichi resti geologici, in-tagliati dall’erosione nelle forme carsi-che tipiche dell’estremità più meridiona-le dei Monti Prenestini. Al suo interno, il museo racconta la storia geologica di Rocca di Cave, una storia di oceanitropicali, di contese tra mari e fiumi, digiganteschi vulcani; all’esterno aiuta amettere in evidenza i numerosi affiora-

menti di rocce che, con i loro fossili an-cora nelle posizioni di quando erano for-me vive, offrono con forza l’immaginedi momenti lontani del nostro passato.

Infine, il terrazzo è anche una finestrasull’infinito, su un cielo libero alla vistaper tutto il giro dell’orizzonte e, soprat-tutto, libero da quell’inquinamento lumi-noso che ha reso ormai difficile l’osserva-zione delle stelle da Roma. Il terrazzostesso è un posto ideale per osservazionia occhio nudo o con il binocolo, ma sipuò andare oltre: la sommità della torreche si innalza nel cortile della rocca ospi-ta, infatti, una cupola che protegge un te-lescopio per osservazioni astronomiche.Rocca di Cave, con il suo Museo geopa-leontologico, è ormai un porto per viag-gi senza limiti: attraverso lo spazio, ver-so pianeti, stelle e galassie, e attraversoil tempo, tra i resti di antichi mari…

Presentazione

9SETTEMBRE2010 - N. 1

Presentazione

Il Museo Geopaleontologico “Ardito De-sio” di Rocca di Cave è situato al mar-gine meridionale dei Monti Prenestini,

nel Lazio, e le sue collezioni geopaleon-tologiche sono fortemente legate al terri-torio. Rocca di Cave sorge in una magni-fica posizione panoramica (a circa 1000metri di quota, fig. 1), a ridosso dellemura della torre di avvistamento che imonaci benedettini edificarono nell’an-no 850 per difendersi dalle incursioni dei

Saraceni. Nel 1315, Rocca di Cave diven-ne feudo dei Colonna insieme alla citta-dina di Cave alle sue pendici, ed i duepaesi appartennero al ramo di Palianodella famiglia fino all’Unità d’Italia. LaRocca (fig. 2) è oggi valorizzata dal Ci-vico Museo Geopaleontologico dedicatoal grande geologo Ardito Desio che nel1954 guidò la prima spedizione sul K2.L’area di Rocca di Cave riveste una no-tevole importanza paleogeografica, inquanto rappresenta il lembo più occi-dentale di Cretacico Superiore in facieslaziale-abruzzese. Più in particolare,

Il Museo Geopaleontologico“ARDITO DESIO”

di Rocca di Cave

Francesco Grossi

Figura 1 - Rocca di Cave vista da uno dei sentieri geopaleontologici

Francesco Grossi: PhD, Dip. di Scienze Geo-logiche dell’Università degli studi “Roma Tre”

10QUADERNI

DEL MUSEO

Presentazione

questo settore costituiva il margine occi-dentale della piattaforma carbonaticanel Cenomaniano e nel Turoniano, le cuiscogliere fossili erano caratterizzate dal-la peculiare associazione con bivalvi do-minanti (rudiste ed altri), gasteropodi,esacoralli, poriferi e rari echinidi.

La salvaguardia e la valorizzazione delpatrimonio geopaleontologico dell’areadi Rocca di Cave è attuata attraversouna serie di iniziative e di strutture col-legate al Museo “Ardito Desio”, dedica-te sia ai visitatori più piccoli, sia ai ra-gazzi, sia ad un pubblico generalista. Su prenotazione, nelle sale del Museo èprevista una presentazione mirata, cor-redata, soprattutto per le scolaresche, daesperienze dirette nelle quali è possibi-le “toccare con mano” le rocce e i fossilipresenti nel museo, raggiungendo cosìun maggiore grado di coinvolgimento,mirando ad una sempre più ampia inte-rattività. Lo scorso anno, più di 4000 vi-sitatori (tra cui tantissime classi di stu-denti, dalle elementari ai licei) hanno af-follato le sale della Rocca, in un percorsomuseale pensato come un immaginarioviaggio indietro nel tempo per salti suc-cessivi, dall’attuale all’epoca del super-continente Pangea, con particolare det-taglio al Cretacico Superiore.Il percorso all’interno del museo è arti-colato in 5 sale disposte su due piani.(fig. 3). All’inizio, il visitatore viene intro-dotto all’uso dei colori in geologia, larga-mente impiegati nelle sale per evidenzia-

Figura 2 - Scorcio della Rocca che ospita il Museo “Ardito Desio”

Figura 3 - Pianta del museo

re contrassegni e indicatori, affinché ci sipossa orientare più agevolmente nellastoria della Terra e nell’evoluzione del-l’Appennino. L’approccio integrato è fa-vorito dalla presenza di diorami, plasti-ci, globi, che si affiancano alle lezioni teo-riche multimediali ed ai numerosi pan-nelli. Inoltre, sono state recentemente ac-quisite le audio-guide, per consentire alvisitatore di essere accompagnato nelladescrizione degli stop più significativi all’interno del percorso museale.

In particolare, nella sala A quattro pan-nelli di immagini e testi, una diafania retroilluminata, un plastico e un globo,permettono al visitatore di rendersi con-to dell’attuale aspetto della nostra regio-ne e dei cambiamenti verificatisi negliultimi 100.000 anni. Al centro della salasono posizionate due colonne stratigra-fiche che riassumono le successioni dirocce che formano l’Appennino laziale-abruzzese e sabino (fig. 4).Nella sala B si inizia il viaggio in un tem-po più remoto, circa 65 milioni di anni fa,

con riferimento all’evoluzio-ne geologica del Lazio conparticolare riguardo all’areadei Monti Prenestini. Un glo-bo mostra la disposizione deicontinenti 10 milioni di annifa, molto simile a quella at-tuale, con l’arco alpino ormaiemerso, mentre gli Appenninilo sono solo in parte. È inoltrepresente un plastico dell’areadel Vulcano Laziale, con unmotore che ne permette l’a-pertura per poter apprezza-re la posizione della cameramagmatica e le strutture cheessa coinvolse. Le vetrine rac-colgono campioni di roccia e

fossili raccolti nei depositi marini delPliocene della Campagna Romana.Salendo al piano superiore della Rocca,si prosegue il viaggio per approdare nel-l’Era Mesozoica. Con un lungo salto in-dietro nel tempo ci si sofferma tra i 150milioni di anni fa, quando l’Oceano Li-gure era in pieno sviluppo, ed i 65 milio-ni di anni fa. Le sale C e D sono dedica-te prettamente a Rocca di Cave, alla suaantica geografia e agli ambienti del pas-

11SETTEMBRE2010 - N. 1

Presentazione

Figura 4 - Parte della sala A con, al centro, le colonne stratigrafiche

Figura 5 - Diorama con la ricostruzione di un tratto di antica scogliera, con i fossili

più significativi (Sala D)

sato. Alcuni pannelli descrivono nel det-taglio le piattaforme carbonatiche attuali(cioè le grandi “scogliere coralline”, co-me le Bahamas) ed il confronto con glianaloghi antichi ambienti marini meso-zoici in cui si formarono le rocce del-l’Appennino: un mosaico di piattaformecarbonatiche separate fra loro da braccidi mare più profondi, in cui gli organi-smi marini costruivano la loro conchi-glia sottraendo il carbonato di calcio al-l’acqua. Le informazioni sulle piattafor-me carbonatiche sono completate dalconfronto con una piattaforma attuale: ilgrande banco coralligeno delle Isole Ba-hamas. Due globi illustrano la posizionedei continenti nel Cretacico Inferiore eall’inizio del Cretacico Superiore, men-tre le numerose vetrine ospitano i tipicicalcari fossiliferi ed e fossili isolati pro-venienti dalle scogliere a rudiste dell’a-rea di Rocca di Cave (esacoralli, bivalvi,gasteropodi, echinidi e poriferi), orga-nizzate secondo un criterio sistematico.Un diorama mostra la ricostruzione del-l’antico ambiente di margine di piatta-forma con gli organismi biocostruttori egli abitanti che lo popolavano (fig. 5).

Nella sala E si compie l’ulti-mo balzo indietro nel tempofino all’inizio del Mesozoico,con i pannelli ed un globoche descrivono la Terra al-l’epoca del supercontinentePangea, per illustrare il gran-de golfo tra la Lauràsia, e laGondwana: la Tètide, il marein cui, nell’era Mesozoica, sidepositeranno i sedimentiche costituiscono i rilievi ap-penninici.Oltre alle sale espositive, è di particolare interesse sali-re sulla sommità della torre

presente nella Rocca, che consente l’os-servazione diretta del territorio e dellasua morfologia, con una visuale che,specie nelle giornate limpide, spazianord-sud ed est-ovest per oltre 100 km.

12QUADERNI

DEL MUSEO

Presentazione

Figura 6 - Un tratto del perimetro della terrazza,con l’indicazione del nome dei monti visibili

Figura 7 - Sulla torre è anche presente un osservatorio astronomico

13SETTEMBRE2010 - N. 1

Presentazione

Rilievi appenninici, prodotti del vulcanolaziale, Campagna Romana: tutti gli ele-menti visibili, accompagnati dai toponi-mi più importanti, sono segnalati al visi-tatore su una striscia che percorre tuttoil perimetro della terrazza (fig. 6). Sullatorre è presente un planetario didattico:il calendario delle attività comprende in-fatti anche delle serate divulgative dedi-cate all’osservazione del cielo e dellestelle (fig. 7).Le visite guidate non si esauriscono nel-le sale della Rocca, proseguono infattilungo una serie di percorsi geopaleonto-logici mirati, evidenziati da cartelli, tuttinell’area prossima al paese (fig. 8). Il ma-teriale distribuito ai visitatori compren-de anche figure, disegni, note esplicativeriferite ai sentieri, con una parte deglielaborati grafici dedicati alle scuole ele-mentari e basati sull’uso del fumetto:raffigurare i fossili come divertenti pro-tagonisti di situazioni immaginarie per-

mette ai bambini di accostare un mondoa loro sconosciuto a temi ed elementicon i quali si confrontano e cresconoogni giorno.In un prossimo futuro, si è programma-to di implementare sia il materiale di-vulgativo dedicato agli affioramenti sulterreno che circonda il paese, sia il nu-mero dei percorsi stessi all’esterno delmuseo.La tutela dei geositi e l’organizzazionedelle conoscenze nei centri museali deveessere affiancata dal tentativo, semprecrescente, di avvicinare i cittadini, gran-di e piccoli, al patrimonio naturale italia-no, in modo da educare una cittadinanzaquanto più responsabile, matura e atten-ta al rispetto dell’ambiente e della storianaturale del proprio territorio; anchepiccole realtà locali (forse, soprattuttoqueste), come il Museo “Ardito Desio”di Rocca di Cave, devono assolvere aquesto compito con rinnovato impegno.

Figura 8 - Due affioramenti a rudiste lungo uno dei sentieri geopaleontologici

14QUADERNI

DEL MUSEO

GEO NEWS

I primi organismi comparvero sulla Ter-ra circa 3,5 miliardi di anni fa ed era-no procarioti unicellulari, mentrela comparsa delle prime forme divita pluricellulari è stata finoramessa in relazione alle esplosionidi vita della fauna di Ediacara (circa600 milioni di anni fa) e del Cam-briano (540 milioni di anni fa). Tra idue eventi trascorsero quasi 3 miliar-di di anni: la storia della vita sullaTerra sembrava essere, dunque, pre-valentemente una storia di vita unicel-lulare. Questa visione del popolamen-to del nostro pianeta è stata sconvoltaalcune settimane fa, quando la presti-giosa rivista Nature ha dedicato la suacopertina a uno straordinario ritrova-mento (fig. 1).Si tratta di numerosi resti fossili in ot-timo stato di conservazione, oltre 250esemplari, che sembrerebbero proprioessere organismi pluricellulari risalenti a 2,1 miliardi di anni fa, retrodatando,quindi, uno dei più importanti eventibiologici della storia della Terra di circaun miliardo e mezzo di anni!Il ritrovamento è stato realizzato in unbacino sedimentario vicino la città diFranceville, in Gabon (Africa centro-oc-

cidentale), da un gruppo internazionaledi ricercatori guidato da Abderrazak ElAlbani, dell’Università di Poitiers. I fos-sili, a cui non sono ancora stati attribuitinomi scientifici, presentano forme e di-mensioni molto variabili, margini frasta-gliati e irregolari ed elementi radiali. Le

Pluricellulari antichissimi.Dinosauri «europei».

Quasicristalli

I primi pluricellulari?

a cura di Francesco Grossi e Chiara Amadori

Figura 1 - La copertina di Nature dedicata al ritrovamento

Tre orme di dinosauro recentemente sco-perte in una galleria del Monte Pasubio,massiccio calcareo tra le province di Vi-cenza e Trento, possono riscriverela storia antica della penisola italia-na e, in particolare, ridisegnare l’a-spetto paleogeografico del Giuras-sico. Le orme sono state individua-te da Marco Avanzini, conservatoreresponsabile della sezione di geolo-gia del Museo Tridentino di Scien-ze Naturali di Trento e noto espertodi icnologia (la disciplina che studiale orme fossili) all’interno della gal-leria del Monte Buso, scavata dagliaustriaci durante la prima guerramondiale. Le tracce sono costituiteda tre orme tridattile robuste con

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Geo news

loro dimensioni raggiungono i 12 centi-metri di lunghezza per uno spessore chenon supera il centimetro.I ricercatori hanno appurato l’origine or-ganica dei campioni grazie alla misura-zione degli rapporti relativi degli isoto-pi di zolfo in essi contenuti, grazie a unasofisticata tecnica di scansione in 3D, lamicrotomografia a raggi X. Con questaanalisi sono stati in grado di ricostruirecon buona precisione la struttura internadei fossili senza danneggiarli.Spesso non è facile distinguere coloniedi organismi unicellulari da un organi-smo pluricellulare, specie in rocce cosìantiche, ma in questo caso, secondo gliautori, la morfologia chiaramente defini-ta suggerisce che ci fosse comunicazionetra le singole cellule della colonia, carat-teristica tipicamente associata all’orga-nizzazione multicellulare della vita.

Dall’analisi delle strutture sedimentariedello straordinario giacimento gabone-se, i ricercatori hanno appurato che que-sti organismi vivevano in prossimitàdelle coste alla profondità di circa 20-30metri, in acque ricche in ossigeno e soli-tamente calme, ma interessate periodica-mente a episodi di tempesta. Oltre alledimensioni, anche la loro struttura tridi-mensionale escluderebbe la possibilitàche si tratti di unicellulari straordinaria-mente grandi e propenderebbe per l’ipo-tesi di organismi coloniali che rappre-senterebbero il primo (finora conosciu-to) tentativo di pluricellularità. (F.G.)

Per approfondire

Abderrazak El Albani et alii, 2010. Large colonialorganisms with coordinated growth in oxy-genated environments 2.1 Gyr ago. Nature,466, pp. 100-104. doi: 10.1038/nature09166.

artigli alle estremità delle dita, sono lun-ghe circa 30 centimetri e sono parzial-mente sovrapposte (fig. 2).

Dinosauri «europei»

Figura 2 - Le tracce fossili del Monte Pasubio

Le hanno lasciate due dinosauri carnivo-ri appartenenti al genere Dilophosaurus,bipedi di medie dimensioni e di misureconsistenti (circa due metri di altezza, 7-8 di lunghezza e 400 kg di peso). Se-condo Avanzini, è probabile che i dino-sauri camminassero in una palude di ac-qua salmastra, bordata verso i marginidella «piattaforma carbonatica» di Tren-to da litorali sabbiosi che si affacciavanosul mare (piattaforma carbonatica indicauna vasta area caratterizzata da grossispessori di sedimenti calcarei marini).Accanto alle orme sono stati ritrovati al-tri resti dell’antico ambiente in cui vive-vano: piante (conifere e felci), molluschidi acqua dolce, crostacei, ossa di cocco-drilli e pesci.Quelle orme, secondo gli studi paleo-geografici precedenti, in quella gallerianon sarebbero dovute esistere: si pensa-va infatti che, nel Giurassico inferiore emedio (da circa 200 a 160 milioni di annifa, l’età delle rocce del Pasubio), quelterritorio fosse sommerso dal mare, conun ambiente di piattaforma carbonaticasimile a quello delle attuali scogliere deimari tropicali. Già nel 1990, la scopertadi tracce di dinosauri ai Lavini di Marco,nel Trentino meridionale, fece vacillare

questa ipotesi. I ritrovamenti successivi,avvenuti nell’area compresa tra la Valledell’Adige e il Feltrino, provano che ilterritorio denominato dai geologi, comericordato poco sopra, “piattaforma diTrento” era costituito, nel Giurassico in-feriore (200-190 milioni di anni fa), ingran parte da terre emerse. Occorre,quindi, spostare in avanti le lancette del-la sommersione marina del territorio, testimoniata dalle rocce successive, dariferire probabilmente nel Giurassico superiore, 160 milioni di anni fa.Il nuovo ritrovamento riscrive non solouna parte della storia geologica di que-st’area, ma anche la sua antica geografia.I modelli tradizionali ponevano la partemeridionale della piattaforma di Trentoin connessione con il continente africa-no. Se vengono confrontate con quellecoeve, le orme del Monte Buso non pre-sentano però affinità con quelle africane;mostrano invece chiare analogie conquelle rinvenute in Polonia, in Francia,in Scandinavia e in Nordamerica. I dinosauri giurassici delle Alpi eranodinosauri «europei» e quindi anche lapiattaforma di Trento apparteneva al-l’Eurasia e non al continente africano,come finora ritenuto. (F.G.)

I quasicristalli sono dei solidi inorganici(naturali e sintetici) la cui disposizione in-terna degli atomi ha un ordine molto par-ticolare: una simmetria pentagonale(1).È molto semplice immaginare una stellaa cinque punte inscritta in un piano ma,fino al 1984 (data della scoperta in labo-ratorio dei quasicristalli), la cristallogra-fia classica escludeva la simmetria pen-

tagonale applicabile ad una superficietridimensionale, se non ricreata in labo-ratorio sotto determinate condizioni pre-cisamente controllate durante il proces-so di sintesi.Non esistevano o meglio, non erano an-cora stati scoperti, fino a quella data, deicristalli naturali a forma di icosaedro(2)

o dodecaedro(3) (fig. 3).

Quasicristalli: 5 volte rari, 5 volte importanti

16QUADERNI

DEL MUSEO

Geo news

Anche oggi, a distanza di più di 20 anni,la mineralogia ha nuovamente sobbalza-to e ricostruito le proprie basi; il merito èdi una collaborazione internazionale dinomi illustri ma, con un pizzico di orgo-glio, sottolineiamo il primo autore, unricercatore italiano: Luca Bindi dell’Uni-versità di Firenze.La scoperta di questi minerali così rari èstata fatta quasi per caso, analizzandodei campioni provenienti dalle monta-gne Koryak in Russia (Kamchatka).La ricerca ha subito destato l’interessedell’intera comunità scientifica ed è statapubblicata sulla prestigiosa rivista ame-ricana Science lo scorso 2009, nonchépresentata in numerosi congressi.Il principio che anche in natura possanoesistere (e mantenersi) tali condizioni,costringe i geologi ad immaginare unmodello caratterizzato da pressioni etemperature finora mai studiate. (C.A.)

Per approfondire

Luca Bindi et alii, 2009. Natural Quasycristals.Science, 324 (5932), pp. 1306-1309. doi:10.1126/science.1170827.

Note

(1) simmetria pentagonale: ripetizione della di-sposizione atomica secondo un asse 5 di rotazio-ne, ovvero lo stesso ordine di atomi si ripete nel-lo spazio come se ruotasse intorno ad un asse,con un angolo di 360°/5.

(2) icosaedro: poliedro avente 12 vertici, 30 spi-goli e 20 facce, le quali sono tutte triangoli equilateri. L’icosaedro è uno dei cinque solidiplatonici.

(3) dodecaedro: poliedro di 12 facce, le cui faccesono pentagoni regolari che si incontrano inogni vertice a gruppi di tre. Anch’esso è uno deicinque solidi platonici. La pirite può assumereabito dodecaedrico ma irregolare, detto anchepentadodecaedro, ossia un abito in cui le faccesono pentagoni sì regolari, ma non uguali tra loro, al contrario dei quasicristalli.

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Geo news

Figura 3 - Dodecaedro regolare

È a uno sconosciuto ricercatore di fossiliche si deve quello che è stato conside-rato uno dei ritrovamenti più importan-ti della storia della paleoantropologia,Darwinius masillae Franzen et al., 2009,un cucciolo di primate femmina vissutodurante il Luteziano (Eocene medio) edatato circa 47 Ma (milioni di anni). Loscheletro dell’olotipo, soprannominato“Ida”, è stato rinvenuto del 1983 nel la-gerstätten(1) di Messel (Germania), giaci-mento i cui scisti bituminosi(2) hanno re-

stituito un gran numero di reperti fossili.“Ida” era inizialmente stata divisa indue placche e vendute a un museo nelWyoming (USA) e al Museo di StoriaNaturale dell’Università di Oslo (Norve-gia) (fig. 1). Nel 2007 le due parti sonostate ricongiunte e Darwinius masillae èstato sottoposto ad analisi da parte di unteam internazionale di ricercatori, chenel maggio del 2009 ha reso noti i risul-tati sulla rivista online “open access”PLoS ONE, istituendo un genere e unaspecie nuovi, a sottolineare l’importanzadel reperto.Darwinius masillae è un adapide, fa parte,cioè, dell’infraordine Adapiformes, ungruppo di primati estinti, la cui filogene-si è ancora piuttosto dibattuta.È senza dubbio un reperto in ottimo sta-to di conservazione (95%), il che lo ren-de uno dei primati fossili più completimai ritrovati; nello stomaco ci sono an-cora i resti dell’ultimo suo pasto, a basedi frutta e foglie. “Ida” è lunga circa 24cm con una coda di 34 cm ed era unagiovane femmina, morta entro il primoanno di vita. Per quanto riguarda la deri-vatio nominis(3) del genere, non è un casol’omaggio a Charles Darwin nel bicente-nario della sua nascita; quello della spe-cie ricorda invece il luogo di provenien-za dell’olotipo, Messel (in latino Masilla).Il fossile è stato presentato nel corso diuna conferenza il 19 maggio 2009 al-l’American Museum of Natural Historydi New York, in un’atmosfera da grandi

Darwinius masillae: un primate da “urlo”

Francesco Grossi

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DEL MUSEO

PALEO NEWS

Figura 1 - L’olotipo di Darwinius masillaeconservato al Museo di Storia Naturale dell’Università di Oslo

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Paleo news

eventi; History Channel ha dedicato alprimate il documentario “The Link” (os-sia “l’anello mancante”), definendo lascoperta «il più importante ritrovamento in47 milioni di anni», mentre Jørn H. Hu-rum, paleontologo norvegese coordina-tore delle ricerche e coautore in Franzenet al. (2009), ha definito “Ida” «il SantoGraal della paleontologia». La presentazio-ne spettacolarizzata e queste dichiara-zioni roboanti sono state accompagnatedalla grancassa mediatica, tanto che lapiccola “Ida” ha anche ricevuto l’ ”ono-re” di campeggiare nel logo di Google(fig. 2)! Tutto ciò ha suscitato più di qual-che qualche perplessità, cui Hurum, cheintanto spera nel successo del suo libro(anch’esso intitolato The Link), ha repli-cato sostenendo che qualsiasi soluzioneè utile se pone l’attenzione del pubblicosu scoperte scientifiche degne di nota.Le iperboli usate sono state numerose,molte delle quali si leggono già nel do-cumento preparato dal museo di StoriaNaturale dell’Università di Oslo («she’sthe ‘Mona Lisa’ of fossils», «she answers allof Darwin’s questions about transitional fos-sils» sono alcune tra queste), documentoche ha lasciato piuttosto perplessi alcunicommentatori e parte della comunitàscientifica internazionale, e che in partehanno giustificato anche l’eco risuonatanel mondo dell’informazione parascien-tifica e generalista.Tornando agli aspetti scientifici della vi-cenda, “Ida” è considerata una forma ditransizione tra le attuali linee evolutivedegli strepsirrhini e degli aplorrhini. Pergli autori della descrizione, l’animalepresenta caratteristiche tali da far sup-porre che sia una forma di transizioneverso il sottordine degli Haplorrhini, lacategoria tassonomica che include i par-vordini(4) Platirrhini (scimmie del nuovo

mondo) e Catarrhini (scimmie del vec-chio mondo); in quest’ultimo raggrup-pamento è inclusa anche la famiglia Hominidae, con la specie Homo sapiens: si può quindi comprendere l’enorme interesse scientifico e mediatico che cir-conda “Ida”…Secondo gli autori, Darwinius masillaeporterebbe quindi conferme alla teoriadi chi sostiene che gli antenati dellescimmie (e dell’uomo) siano da cercaretra gli adapidi, stravolgendo l’ ”alberogenealogico” dei primati (fig. 3). I criticidi questa teoria, però, sottolinearono dasubito come le caratteristiche indicatedagli autori potessero essere frutto diconvergenze evolutive e non fossero de-cisive, tanto più quando si riscontrinodelle sospette falle dal punto di vistametodologico da parte dei sostenitoridel “link” mancante: a questo proposito,sulla prestigiosa rivista Science, AnnGibbons ha trattato la notizia in un arti-colo (“Revolutionary” Fossil Fails to Daz-zle Paleontologists) nel quale ha raccoltoalcune pesanti critiche da parte di col-leghi. Tra queste, il confronto di soli 30tratti caratteristici tra D. masillae e altriprimati fossili (quando la pratica ne pre-vedrebbe tra i 200 e i 400 per avere unamaggiore attendibilità), il mancato con-fronto con resti antropoidi di recentescoperta in Egitto e con nuovi ritrova-menti in Asia di Eosimias («they’ve igno-red 15 years of literature»), il mancato uso

Figura 2 - Il logo di Google su cui campeggia Darwinius masillae

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DEL MUSEO

Paleo news

dei moderni metodi di analisi filogeneti-che e della cladistica. Ad ascoltare que-ste critiche, sembra quindi che sia stataposta maggiore cura nella preparazionedell’evento mediatico rispetto all’appro-fondimento dei dati che avrebbero do-vuto corroborare in modo più robusto leaffermazioni presenti nell’articolo e nel-le dichiarazioni di contorno.La palma di definizione più caustica sipuò attribuire ad un articolo di TimArango sul New York Times («Seeking aMissing Link, and a Mass Audience») dovesi evidenzia che «It is science for the Me-diacene age», coniando questa nuova“epoca”, a proposito dell’uso dei mezzidi comunicazione per sostenere e ampli-ficare particolari scoperte paleontologi-che e, più in generale, scientifiche. An-che il paleontologo Brian Switek hascritto un articolo dal titolo che non la-scia spazio a dubbi (Poor, poor Ida, Or:Overselling an Adapid), e mostra anch’es-so alcune serie perplessità sul posiziona-mento tassonomico e sulla rilevanza fi-logenetica di D. masillae, che consente,

secondo gli autori, di modificare le lineeevolutive dei primati, attualmente accet-tate, sulla base di un solo (nuovo) gene-re e senza usare la cladistica. C’è da no-tare come anche la redazione di PLoSONE abbia pubblicato un articolo (Intro-ducing Darwinius masillae) in cui si de-scrive come si sia arrivati alla pubbli-cazione e di come non si concordi con la decisione degli autori di puntare sul concetto di “anello mancante” comeprincipale chiave di interpretazione diquesto reperto fossile seppur davveronotevole.Qualche problema è sorto anche per laformalizzazione del nome della nuovaspecie: la International Commission onZoological Nomenclature stava per auto-rizzare anche una procedura per accetta-re le denominazioni effettuate su rivisteon-line, ma la procedura non è attual-mente accettata. Peter Binfield, l’editoredi PLoS ONE, aveva ammesso il proble-ma («Does Darwinius exist, Revisited: TheOfficial Word Is… Not Yet») e ha succes-sivamente riferito come stia proceden-

Figura 3 - L’albero evolutivodei primati con le età in milioni di anni

do, con apposite versioni a stampa del-l’articolo, per ottenere il riconoscimentoufficiale e, quindi, la formalizzazione.Il colpo probabilmente decisivo inferto a“Ida” è arrivato nell’ottobre del 2009,quando il gruppo di ricerca coordinatoda Erik Seiffert della Stony Brook Uni-versity ha pubblicato su Nature (Seiffertet al., 2009) i risultati di una ricerca effet-tuata su alcuni tra i nuovi resti di pri-mati provenienti dal sito di El Fayoum(Sahara egiziano, 37 Ma) e ribattezzatiAfradapis longicristatus. Secondo gli auto-ri, Afradapis e Darwinius sono entrambigeneri di adapidi fortemente specializ-zati, soprattutto per quanto riguarda iloro adattamenti dentari, e rappresente-rebbero un gruppo di primati eoceniciestinto senza lasciare discendenti (fig. 4).I caratteri anthropoid-like testimoniati daqueste forme sarebbero frutto di conver-genze evolutive, come recita il titolo del-l’Editor’s summary di Nature che introdu-ce l’articolo di Seiffert et al.: «aping theanthropoids», ossia “scimmiottando gliantropoidi”…Al di là di campagne mediatiche più omeno spinte, il rigore scientifico è sem-pre il pilastro sul quale si deve fondarequalsiasi ricerca: con grande probabilità,

quindi, la stella di “Ida” quale nostraprogenitrice ha brillato per una sola notte…

Bibliografia

Franzen J.L., Gingerich P.H., Habersetzer J., Hu-rum J.H. von Koenigswald W., Smith B.H.,2009. Complete Primate Skeleton from the Mid-dle Eocene of Messel in Germany: Morphology and Paleobiology. PLoS ONE, 4(5): e5723. doi:10.1371/journal.pone.0005723

Seiffert E.R., Perry J.M.G., Simons E.L., BoyerD.M., 2009. Convergent evolution of anthropoid-like adaptations in Eocene adapiform primates.Nature, 461, 1118-1121. doi:10.1038/natu-re08429.

Manzi, G., 2007. L’evoluzione umana. Il Mulino,pp. 1-144.

Note

(1) Lagerstätten: giacimento di rocce sedimen-tarie caratterizzato da ricchissime associazionifossili e/o dalla straordinaria conservazione del-le stesse.

(2) Scisti bituminosi: sedimenti a granulometriafine, fittamente stratificati e ricchi in materia organica.

(3) Derivatio nominis: origine di un nome scien-tifico nella classificazione binomiale, spesso de-rivato da un personaggio noto nel mondo dellescienze della Terra, da un luogo o da una carat-teristica morfologica.

(4) Parvordine: livello di classificazione inferio-re all’infraordine e superiore alla famiglia.

Figura 4 - L’alberoevolutivo dei primati

secondo Seiffert et al. (2009)

con la collocazionedel nuovo genere

Darwinius

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Paleo news

22QUADERNI

DEL MUSEO

I FOSSILI DEL MUSEO “ARDITO DESIO’

Questa rubrica prenderà in esame, perciascun numero, un fossile tra quelli pre-senti nella collezione del Museo “ArditoDesio”, esaminandone brevemente gliaspetti riguardanti la sistematica, la de-scrizione morfologica, l’antico ambientedi vita e l’intervallo cronologico in cuivisse, per conoscere un po’ più da vicinoi protagonisti delle antiche scogliere pre-senti nell’area di Rocca di Cave un cen-tinaio di milioni di anni fa.In paleontologia, ciascuna specie è inse-rita, dal punto di vista della classifica-zione, in un genere di appartenenza as-sieme ad altre specie ad essa comparabi-li, così come più generi, simili tra loroper alcune caratteristiche, sono inseritiin una stessa famiglia e così via per livel-li superiori, le cosiddette categorie tasso-nomiche, ordinate in maniera gerarchica,secondo una nomenclatura codificata

per la prima volta dal famoso botanicosvedese Carl von Linné (Linneo) nel1758 (si veda lo schema nella 2ª paginadi copertina).Così, la prima parte della scheda identifi-cativa dell’organismo fossile riguarda lasua collocazione nella grande famigliadi appartenenza, a cui segue la cosiddet-ta sinonimia, ossia la lista delle più im-portanti citazioni di quella stessa speciein lavori paleontologici. Questo elenco serve al paleontologo per vedere come nel corso del tempo,dalla prima istituzione, sia cambiato il genere di appartenenza in seguito anuovi studi, e anche per correggereeventuali errori di classificazione delpassato; inoltre, è comunque uno stru-mento importante per chi volesse appro-fondire le informazioni sulla specie inquestione.

Plesioptygmatis nobilis

Phylum MOLLUSCAClasse GASTROPODASottoclasse PROSOBRANCHIAOrdine MESOGASTROPODAFamiglia NERINEIDAEGenere Plesioptygmatis BOESE, 1906

Plesioptygmatis nobilis (Münster, 1844)

1844 Nerinea nobilis - Münster in Goldfuss, p. 4, tav. 176, fig. 91852 Nerinea nobilis - Zekeli, p. 33, tav. 4, figg. 1-21911 Nerinea nobilis - Fritsch, p. 22, fig. 961925 Nerinea nobilis - Dietrich, p. 127

Francesco Grossi

La specie Plesioptygmatis nobilis è unadelle specie di gasteropodi fossili appar-tenenti alla Famiglia Nerineidae più diffuse nelle rocce calcaree di Rocca diCave; l’associazione di facies compren-de anche lamellibranchi Radiolitidi eCaprinidi.È una forma di dimensioni notevoli: ol-tre il decimetro di sviluppo dall’apice all’apertura, circa 3-4 centimetri di lar-ghezza misurata in posizione abapicale(cioè opposta all’estremità appuntita delguscio); il profilo esterno della conchigliaè caratterizzato da giri piano-convessi.Come per le altre Nerineidi, la classifica-zione è basata anche sui caratteri interni,per cui è di prioritaria importanza avereuna buona sezione longitudinale dellaforma, cioè una sezione tagliata lungol’asse di sviluppo del guscio. In Tavola Iè illustrato un esemplare di P. nobilis insezione longitudinale proveniente dallacollezione del Museo Geopaleontologico“Ardito Desio”, ed è possibile osservare,soprattutto in posizione abapicale, il ca-ratteristico ordinamento delle pieghe in-terne, il cui numero e la cui morfologiasono caratteri diagnostici della specie:quattro pieghe, di cui due columellari,una palatale (o labiale) ed una parieto-columellare (Tavola I: 1,3).Sia la piega columellare principale, sia lasecondaria, hanno forma subtriangolare

e circa le stesse dimensioni; la piega pa-latale, anch’essa di forma triangolare, èrobusta, soprattutto in posizione adapi-cale, mentre la piega parieto-columellareè meno pronunciata.In Tavola I: 2 è possibile osservare unasezione trasversale di un altro esemplaredi P. nobilis esposto nel Museo.P. nobilis sembra non avere particolaripreferenze ecologiche nell’ambito del-l’antico ambiente di piattaforma-scoglie-ra che costituiva una larga parte dell’at-tuale Lazio meridionale: a differenza dialtri Nerineidi, è stata infatti rinvenutasia in aree considerate piuttosto internerispetto al margine di scogliera, (Cori, S.Martino d’Ocre), sia in settori più esternirispetto alla soglia stessa, dove l’energiadel moto ondoso era decisamente mag-giore (Rocca di Cave).Per quanto riguarda la distribuzionecronostratigrafica, P. nobilis è stata se-gnalata nel Cenomaniano e nel Turonia-no inferiore (ossia tra circa 100 e 90 mi-lioni di anni fa) in diversi settori del Me-diterraneo.

Bibliografia

Sirna, G., 1995. The Nerineids: taxonomy, stra-tigraphy and paleoecology with particular references to Italian examples. Geologica Ro-mana, 31, pp. 285-305.

1938 Nerinea nobilis - Montagne, p. 985, tav. 1, fig. 101940 Nerinea nobilis - Delpey, p. 198, tav. 9, fig. 91953 Plesioptygmatis nobilis - Pcelincev, p. 172, 186, 195, 2351963 Nerinea nobilis - Accordi, p. 251967 Nerinea nobilis - Polsak, p. 133, tav. 1, fig. 31971 Plesioptygmatis nobilis - Carbone, Praturlon, Sirna, p. 151-152, fig. 221980 Plesioptygmatis nobilis - Iannone, Laviano, p. 225, fig. 321995 Nerinea nobilis - Sirna, p. 292, tav. 3, fig. 21996 Plesioptygmatis nobilis - Laviano, p. 145, fig. 5

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I Fossili del Museo “Ardito Desio”

a b

c d

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DEL MUSEO

I Fossili del Museo “Ardito Desio”

Struttura generale delle nerinee

a: Disegno dell’apertura di un nerineide generico con il dettaglio delle pieghe interne. b: Sezionelongitudinale di P. nobilis (da Carbone et al., 1971). c: Nomenclatura delle possibili pieghe di un nerineide (modificata da Sirna, 1995). d: Poliptyxis schiosensis, esemplare completo (sinistra) e sezione longitudinale (destra) (da Carbone et al., 1971)

Plesioptygmatis nobilis (Münster)

1 - Sezione longitudinale naturale (per erosione). La barra corrisponde a 1cm. (Il riquadrobianco indica la parte finale della spira e appare ingrandito in figura 3). 2 - Sezione trasversale(la barra corrisponde a 1 cm). 3 - Dettaglio delle quattro pieghe interne: pc: piega columellare;pp: piega palatale; ppc: piega parieto-columellare.

1 2

3

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I Fossili del Museo “Ardito Desio”

TAVOLA I

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DEL MUSEO

PALEOECOLOGIA

La stampa mondiale riporta quasi ognigiorno notizie dei pericoli che corre (inseguito ad attività antropiche) il piùcomplesso ecosistema delle terre emer-se, quello che presenta la maggiore bio-diversità: la foresta pluviale tropicale.Più raramente ci si occupa dell’ecosiste-ma marino che ospita la maggiore biodi-versità (anche se questo è ugualmenteminacciato in modo grave): la scoglieracorallina.

Le scogliere «geologiche»

Il termine scogliera nel parlare quotidia-no ha un significato differente rispettoalla definizione che ne danno marinai dauna parte e biologi e geologi dall’altra. Avolte si parla di scogliera per indicareuna costa rocciosa e le “Bianche Scoglie-re di Dover” indicano la scoscesa costainglese che si affaccia sul tratto orientaledella Manica. Per i marinai, invece, sco-gliera è qualsiasi struttura, rocciosa osabbiosa, che si trova appena sopra o appena sotto la superficie dell’acqua (anon più di due metri di profondità) e co-stituisce un pericolo per la navigazione.Per geologi e biologi infine la scogliera èuna struttura costituita da sedimenti escheletri di organismi che deve presen-tare le seguenti caratteristiche:

1) presenza di una impalcatura organica(biocostruzione);

2) posizione rilevata rispetto al fondo;

3) resistenza alle onde;

4) presenza limitata alla zona di penetra-zione della luce;

5) distribuzione in acque calde tropicali (in linea di massima).

È di queste scogliere «geologiche» che cioccuperemo, seguendone ruolo ed evo-luzione nella lunga storia della Terra.Esistono attualmente vari tipi di scoglie-re organiche, per esempio quelle compo-ste da ostriche, ma le più massicce e notesono le scogliere coralline che costituisco-no le scogliere a frangia, attaccate allacosta, gli atolli e le barriere separate dal-la costa da una laguna più o meno am-pia; fra queste ultime la più famosa è laGrande Barriera Australiana (fig. 1). Unascogliera corallina attuale è un ecosiste-ma estremamente complesso compostoda moltissime specie di organismi chepossono essere classificati in cinque ca-tegorie funzionali: 1) i costruttori, 2) gliintrappolatori, 3) i leganti, 4) i distrut-tori e 5) gli abitanti.Alla costruzione prendono parte le treprime categorie. La prima è costituitadagli organismi biocostruttori, che forni-scono la maggior parte del volume sche-letrico e conferiscono rigidità alla strut-tura. Come suggerisce il loro nome, gliintrappolatori intrappolano e stabilizzano

Da miliardi di anni, organismi marini costruiscono giganteschi ammassi di rocce

Le scogliere del passato

Anastassios (Tassos) Kotsakis: Ordinario diPaleontologia, Dip. di Scienze Geologichedell’Università degli studi “Roma Tre”

Tassos Kotsakis

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Paleoecologia

i sedimenti nelle varie strutture dellascogliera e in questo modo ostacolanol’azione distruttrice delle onde. I legantiinfine fissano in un’unica struttura rigi-da l’impalcatura scheletrica e i sedimen-ti intrappolati.I principali costruttori delle scogliere at-tuali sono, come abbiamo già detto, i co-ralli (fig. 2) e in particolare varie specieappartenenti all’ordine Scleractinia(1)

(noti anche come esacoralli). Le specie co-struttrici di quest’ordine sono coloniali evivono in simbiosi con delle piccole al-ghe unicellulari, note col nome di zoo-xantelle(2), che vivono nelle cellule endo-dermiche delle parti molli dei coralli. Icoralli hanno bisogno di utilizzare l’ani-dride carbonica, prodotta dalla respira-zione, per produrre il carbonato di calcio(CaCO3) necessario alla formazione delloro scheletro costituito da aragonite(3).Le zooxantelle, organismi autotrofi chehanno bisogno di anidride carbonica perla fotosintesi, agiscono da pompe di CO2

e fanno sì che ci sia sempre una grandepresenza di questo gas, fatto che accele-

ra il processo di formazione dello sche-letro dei coralli di almeno dieci volte ri-spetto ai coralli che non vivono in sim-biosi con le zooxantelle. Il fatto che lezooxantelle abbiano bisogno della luce

Figura 1 - Grande Barriera Australiana

Figura 2 - Esacoralli attuali

28QUADERNI

DEL MUSEO

Paleoecologia

solare per effettuare la fotosintesi, spie-ga perché le scogliere coralline siano li-mitate in profondità nella zona di pene-trazione della luce. Le condizioni otti-mali per lo sviluppo dei coralli che costi-tuiscono le scogliere dipendono dunquedalla profondità (fino a 25 m), dalla sali-nità (34-36 per mille di NaCl), dalla tem-peratura (23°-28°C), anche se si tolleranoampie variazioni di intervallo per ognu-no di questi parametri. Condizioni otti-mali come quelle descritte si trovano ge-neralmente nei mari tropicali e per que-sto la distribuzione latitudinale dellescogliere coralline attuali va da 23°N a23°S, mentre isolate scogliere si possonotrovare entro una fascia più ampia, da35°N a 32°S.Le barriere coralline sono divise in variezone (figg. 3 e 4): partendo dalla parteinterna possiamo individuare:

– retroscogliera, con acque relativamentetranquille, a volte vere lagune, nellequali si possono sviluppare delle picco-le scogliere di laguna (patch reef);

– piana di scogliera, zona poco profonda,quasi affiorante durante la bassa marea;

– cresta della scogliera, che determina ilfrangersi delle onde, area di grandeenergia idrodinamica, dove possonosopravvivere solamente organismi in-crostanti;

– fronte della scogliera, che si estende dallazona dei frangenti ad una profondità dicirca 30-50 m (mediamente) ed è popo-lata dalla maggioranza dei coralli e del-le alghe rosse: i coralli presentano mor-fologie che vanno da incrostanti, a mas-sicci, a ramificati, a stratiformi, manmano che aumenta la profondità e di-minuisce l’idrodinami-smo e la pene-trazione della luce;

– avanscogliera, dove si accumulano i de-triti di scogliera e si sviluppano piccolibiostromi ad alghe rosse(4).

Le scogliere nel tempo

L’ambiente di scogliera non è esclusivodella nostra epoca. Nella lunga storiadella Terra scogliere di vario tipo hannocaratterizzato l’ambiente marino pocoprofondo. La loro presenza è testimonia-ta da numerosissimi affioramenti di roc-ce carbonatiche(5) che includono i restifossili degli organismi costruttori, a vol-te con spessori di centinaia di metri. Ol-tre a queste scogliere fossili, che vengo-no chiamate bioerme, nelle successionicarbonatiche si trovano accumuli di ma-teriale organico più sviluppati in oriz-zontale che in verticale, chiamati biostro-mi, che indicano la presenza di “prate-rie” occupate da organismi con scheletroduro. Le scogliere fossili sono caratteriz-zate da alcuni stadi evolutivi:

– stadio pionieristico o di stabilizzazione, rap-presentato da una serie di bassifondicomposti da detriti di vari organismi;

– stadio della colonizzazione, caratterizzatodalla colonizzazione dell’area da partedi poche specie;

– stadio della diversificazione, caratterizza-to dal gran numero di specie presenti;

– stadio della dominazione, caratterizzatodalla presenza di poche specie.

Prima della comparsa di erbivori marinimulticellulari, all’inizio del Cambriano,le stromatoliti (6) sono state le uniche co-struttrici di scogliere. Le più antiche sco-gliere a stromatoliti sono state rinvenutein Australia occidentale e hanno un’etàcompresa fra i 3,5 e i 3,0 miliardi di anni.

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Paleoecologia

Durante tutto l’Archeano e il Proterozoi-co le stromatoliti hanno costruito strut-ture sempre più complesse.I primi metazoi(7) a costruire scoglieresono state le archeociate (8), durante ilCambriano inferiore. Questi organismi(grandi fino a 25 cm in altezza, più in-trappolatori che costruttori) hanno datoorigine a scogliere di piccole dimensio-ni, spesse 2 o 3 metri e dal diametro dicirca 10-30 m. Queste strutture potevanosvilupparsi su substrati mobili e in ac-que turbolente e alla loro costruzione

partecipavano anche varie alghe incro-stanti. La loro distribuzione latitudinaleera abbastanza ampia: da 30°N a 60°S.Le archeociate declinarono fortementealla fine del Cambriano inferiore (scom-pariranno del tutto alla fine del Cam-briano). Durante il Cambriano medio esuperiore e l’Ordoviciano inferiore leuniche scogliere presenti erano le picco-le strutture costruite da stromatoliti.A partire dall’Ordoviciano medio hannofatto la loro comparsa scogliere di gran-di dimensioni, costituite da coralli colo-

Figura 3 - Profilo di una scogliera (da Raffi e Serpagli, 1993)

Figura 4 - Blocco-diagramma che illustra l’ambiente di scogliera (da Raffi e Serpagli, 1993)

30QUADERNI

DEL MUSEO

Paleoecologia

niali appartenenti agli ordini, oggi estin-ti, dei Rugosa (9) e dei Tabulata (10), e daspugne stromatoporoidi(11). Alla costruzio-ne di tali scogliere parteciparono le al-ghe calcaree, altri gruppi di spugne e i briozoi(12), mentre hanno dato il lorocontributo anche i brachiopodi(13) e gliechinodermi(14) pelmatozoi(15).La complessità dell’ecosistema aumentòdurante il Siluriano e raggiunse il culmi-ne durante il Devoniano, un periodo ca-ratterizzato da alto livello del mare, cheha dato origine a molti mari epicon-tinentali(16) tropicali, permettendo unadistribuzione latitudinale di scogliereestesa dai 40° ai 60° a nord e a sud del-l’equatore. Nelle alte latitudini, con ac-que temperate, predominavano i corallirugosi. Le scogliere devoniane raggiun-gevano dimensioni molto grandi, fino a2000 km di lunghezza, e la biodiversitàche le caratterizzava era molto simile aquella attuale. A differenza tuttavia de-gli organismi costruttori di oggi, la mag-gioranza delle forme del Paleozoico me-dio aveva uno scheletro calcitico(17) enon aragonitico. L’associazione rugosi-tabulati-stromatoporoidi sembra aver oc-cupato acque con limitate risorse di nu-trienti, mentre nelle aree dove erano pre-senti abbondanti nutrienti, altri organi-smi (spugne diverse dagli stromatopo-roidi ecc.) prendevano il sopravvento e,a volte, costituivano delle vere e propriescogliere. Questo fenomeno sarà ripetu-to anche in periodi più vicini a noi, con icoralli coloniali che occupano zone rela-tivamente povere di nutrienti.Alla fine del Devoniano, a seguito diuno o più eventi, si verificò una grandeestinzione. Il mondo delle grandi sco-gliere scomparve e al suo posto duranteil successivo periodo Carbonifero com-

parvero strutture sedimentarie chiamatemud mounds, con pochi organismi co-struttori veri e propri e prevalenza degliorganismi leganti. Dominavano durantequesto lasso di tempo associazioni aspugne, alghe, batteri e foraminiferi(18),mentre gli echinodermi crinoidi(19) eranoa volte molto abbondanti. L’assenza divere e proprie scogliere durante il Car-bonifero inferiore è stata attribuita alladiminuzione generale della temperatu-ra, che ha interessato l’intero globo. Car-bonifero superiore e Permiano inferiorecontinuarono ad essere caratterizzatidall’assenza di costruttori di scogliere edalla presenza di mud mounds dominatida associazioni di alghe calcaree, spu-gne e briozoi, anche se alcune scoglieredel Carbonifero superiore, costruite dachetetidi(20) erano caratteristiche di questointervallo di tempo. Molte associazionidel Permiano medio e superiore eranougualmente dominate da spugne, alghefilloidi e microorganismi, mentre altre,come quelle che vissero nel mare epi-continentale dello Zechstein (Germa-nia), erano costruite da briozoi e stroma-toliti e costituivano delle vere e propriescogliere. Scogliere coralline costituiteda coralli rugosi, molto probabilmentesimbiotici con zooxantelle, e tabulati,erano presenti nella Tetide(21) orientale.Nelle stesse strutture si trovavano brio-zoi, foraminiferi e brachiopodi. Fra que-sti ultimi particolarmente interessantisono i rappresentanti della famigliaRichthofenidae, che presentano una forteconvergenza morfologica con i corallirugosi. Quasi tutte queste scogliere era-no concentrate nell’area tropicale. Du-rante il Permiano i sistemi carbonaticideposti in acque tropicali e subtropicalicominciarono ad essere dominati dalla

31SETTEMBRE2010 - N. 1

Paleoecologia

presenza dell’aragonite invece della cal-cite, presentando così una decisa somi-glianza mineralogica con quanto avvie-ne nei mari attuali.La fine del Permiano è caratterizzatadalla più grande estinzione di organisminella storia della Terra. La quasi totalitàdelle specie che facevano parte delle sco-gliere del Permiano finale si è estinta eun intervallo di circa 10 milioni di annisepara queste associazioni dalle prime epoco sviluppate associazioni di scoglie-ra del Triassico inferiore. Le scoglieretriassiche erano composte da organismiunicellulari, coralli, spugne, alghe calca-ree, bivalvi e serpulidi(22). Le scoglieredel Triassico inferiore erano di piccoledimensioni e dominate da organismiunicellulari; quelle del Triassico mediodalle spugne calcaree e quelle del Trias-

sico superiore dai coralli scleractini, an-tenati diretti delle nostre forme attuali.Durante questo lasso di tempo le sco-gliere si sono espanse dalla zona tropi-cale e sono arrivate, durante il Triassicosuperiore, ad avere una distribuzione la-titudinale che andava dai 35°N ai 35°S.Fra le più imponenti scogliere triassichesi possono segnalare quelle delle Dolo-miti. Tuttavia, nonostante notevoli somi-glianze con le scogliere attuali, le sco-gliere triassiche presentano grandi diffe-renze. Quasi tutti gli organismi presenti,compresi i coralli scleractini, si compor-tavano da intrappolatori e leganti e nonda costruttori. Inoltre un grande nume-ro di specie di scleractini di questo pe-riodo erano colonizzatori di fondali sab-biosi e fangosi, mentre quelli attuali co-lonizzano fondali duri.

Figura 5 - Particolare di una scogliera fossile a rudiste (radiolitidi) nei pressi di Rocca di Cave

32QUADERNI

DEL MUSEO

Paleoecologia

Alla fine del Triassico una grande estin-zione ha portato alla quasi totale scom-parsa degli organismi di scogliera trias-sici e l’inizio del Giurassico è caratteriz-zato da grande rarità di scogliere. In se-guito, l’innalzamento del livello marinoe la frantumazione del Pangèa(23) duran-te questo periodo hanno portato a unaproliferazione delle scogliere. La lorodistribuzione latitudinale durante il Giu-rassico inferiore copriva una fascia che siestendeva da 30°N a 30°S, per ampliarsia 35°N durante il Giurassico medio e ar-rivare a 45°N durante il Giurassico supe-riore. Le scogliere giurassiche erano co-struite principalmente dai coralli sclerac-tini, ma partecipavano alla loro forma-zione anche spugne, microrganismi, e bi-valvi (antenati di ostriche e di rudiste).Le scogliere del Cretacico erano caratte-rizzate dalla massiccia presenza di ungruppo di bivalvi dal guscio molto robu-sto, in grado di resistere alle sollecitazio-ni meccaniche, le rudiste(24), molto diffusenelle rocce di Rocca di Cave (fig. 5).Numerose specie di rudiste svolgevanoun ruolo di pioniere, colonizzando fon-dali incoerenti e formando un substratosul quale si sviluppavano coralli o altrespecie di rudiste. Questo gruppo di bi-valvi era composto da numerose specieappartenenti a varie famiglie. Specie ap-partenenti alle famiglie Caprinidae e Ca-protinidae erano diventate le principalicostruttrici di scogliera durante il Creta-cico inferiore, mentre durante la parterecente del Cretacico inferiore diventa-vano abbondanti i rappresentanti dellafamiglia Radiolitidae, che rimanevanofra i principali costruttori anche duranteil Cretacico superiore, affiancate durantequesto ultimo intervallo di tempo dairappresentanti della famiglia Hippuriti-

dae. Durante il Cretacico inferiore le ru-diste erano spesso associate con i coralliscleractini, mentre durante il Cretacicosuperiore spesso costituivano delle sco-gliere monotipiche (fig. 6). Infatti le sco-gliere a rudiste erano caratterizzate dabassa biodiversità, poco consistenti, dilimitate dimensioni. Inoltre erano limita-te nelle aree con abbondanti nutrienti eristrette nella fascia della Tetide tropica-le e subtropicale. La loro distribuzionelatitudinale, che andò espandendosi du-rante il Cretacico, era comunque limitatafra 30°N e 30°S durante il Cretacico su-periore, mentre le scogliere a coralli siestendevano di circa altri 10° a nord e asud ed erano presenti nelle zone conbassa presenza di nutrienti anche nellazona tropicale.La grande crisi biotica della fine del Cre-tacico ha portato all’estinzione delle ru-diste e a un forte declino dei coralli scle-ractini. All’inizio del Terziario erano pre-senti limitati mud-mound e piccole sco-gliere a briozoi. Il recupero delle scoglie-re coralline sarà lento e attraverserà l’in-tero Paleocene ed Eocene, fino a ristabi-lirsi completamente solamente nell’Oli-gocene. Nel Terziario le scogliere rag-giunsero la loro massima estensione ver-so N durante il Miocene. In questa epocafiorenti scogliere ad alta biodiversitàerano ancora presenti nel Mediterraneo.Verso la fine del Miocene, invece, le sco-gliere mediterranee erano composte dalsolo genere Porites. Dall’inizio del Plio-cene le scogliere scompaiono dal Medi-terraneo. Le scogliere plioceniche e plei-stoceniche erano quasi identiche a quel-le attuali e ristrette latitudinalmente en-tro gli stessi limiti (o quasi).Oltre alle bioerme sviluppatesi in acquepoco profonde e calde, esistono e sono

33SETTEMBRE2010 - N. 1

Paleoecologia

state presenti anche nel passato, bioco-struzioni di altri ambienti. Attualmenteesistono strutture carbonatiche che sisviluppano anche a profondità di ol-tre 1000 m, chiamate litoermi, costituiteprincipalmente da coralli scleractini aer-matipici, cioè non simbionti con le zoo-xantelle, e da altri organismi come gli ot-tocoralli(25). È possibile che alcuni mud-mound del Paleozoico fossero della stes-sa origine. Durante tutto il Mesozoico ein particolar modo durante il Giurassico,erano presenti biocostruzioni silicee, fat-te da spugne silicee esactinellidi(26). Ne-gli ultimi venti anni sono state scoperteanche recenti strutture di questo tipo,strutture che sembravano scomparse al-la fine del Cretacico. Anche in ambientesalmastro o iperalino (cioè a salinitàmolto elevata) si sono sviluppate dellebiocostruzioni prodotte da ostriche, daassociazioni di briozoi e serpulidi e davermetidi(27). Tali costruzioni si sono svi-

luppate specialmente nel mare dellaParatetide(28), caratterizzato da salinitàfortemente variabile, ma anche in altrearee geografiche.

Testi consigliati

Generali:Allasinaz A. (1999) - Invertebrati fossili. UTET.Bosellini A. (1991) - Introduzione allo studio

delle rocce carbonatiche. Italo Bovolenta Edi-tore.

Raffi S. & Serpagli E. (1993) - Introduzione allaPaleontologia. UTET.

Di approfondimento:Rohwer F. & Youle M. (2010) - Coral reefs in

the microbial seas. Plaid Press.Sellwood B.W. (2005) - Reefs (“Build Ups”). In

Selley R.C., Cocks L.R.M. & Plimer I.L.(Eds.) - Ency-clopedia of Geology, vol. 4, pp.562-570, Elsevier.

Sheppard C.R.C., Davy S.K. & Pilling G.M.(2009) - The biology of coral reefs. OxfordUniversity Press.

Veron J.E.N. (2010) - A reef in time: the GreatBarrier Reef from beginning to end. BelknapPress of Harvard University Press.

Figura 6 - Evoluzione nel tempo dei principali organismi biocostruttori (da Raffi e Serpagli, 1993)

34QUADERNI

DEL MUSEO

Paleoecologia

Note

(1) Scleractinia: ordine di coralli sia colonialisia solitari, dallo scheletro aragonitico, presentidal Triassico all’Attuale.

(2) Zooxantelle: alghe unicellulari che vivono insimbiosi con coralli e bivalvi.

(3) Aragonite: forma cristallina metastabile dicarbonato di calcio (CaCO3).

(4) Alghe Rosse: alghe pluricellulari marine del-la famiglia Corallinaceae, caratterizzate dallapresenza di carbonato di calcio nelle pareti dellecellule che costituiscono il tallo, presenti dal-l’Ordoviciano all’Attuale.

(5) Rocce carbonatiche: rocce composte di carbo-nato di calcio (CaCO3).

(6) Stromatoliti: strutture biosedimentarie com-poste da un’alternanza di tappeti di cianobatteri(microscopici organismi procarioti) e altri orga-nismi unicellulari, e di sedimento intrappolatodal tappeto.

(7) Metazoa: tutti gli animali pluricellulari.(8) Archeociate (Archaeocyatha): gruppo di ani-

mali marini estinti simili alle spugne considera-to da alcuni studiosi un phylum a sé e da altricome classe particolare dei Porifera (= spugne),presenti durante il Cambriano.

(9) Rugosa: ordine estinto di coralli sia colonia-li sia solitari, dallo scheletro calcitico, presentidall’Ordoviciano al Permiano.

(10) Tabulata: ordine estinto di coralli coloniali,con scheletro calcitico, presenti nel tempo dal-l’Ordoviciano al Permiano.

(11) Stromatoporoidea: estinto gruppo di anima-li marini spesso accostato ai Cnidaria ma recen-temente assegnato ai Porifera, presente dall’Or-doviciano al Cretacico.

(12) Briozoi (Bryozoa): phylum di animali pre-valentemente marini, esclusivamente coloniali,presente dall’Ordoviciano all’Attuale.

(13) Brachiopodi (Brachiopoda): phylum di ani-mali marini solitari, caratterizzati dalla presen-za di una valva ventrale e una dorsale, presentedal Cambriano all’Attuale.

(14) Echinodermata: phylum di animali marini,a simmetria pentaraggiata, comprendente gli at-tuali ricci di mare, stelle marine ecc., presentedal Cambriano all’Attuale.

(15) Pelmatozoa: sottophylum di echinodermipeduncolati, fissi, esclusivamente marini, pre-sente dal Cambriano all’Attuale.

(16) Mare epicontinentale: mare generalmentepoco profondo che copre aree composte da cro-sta continentale (SiAl).

(17) Calcite: forma cristallina stabile del carbo-nato di calcio (CaCO3).

(18) Foraminiferi: gruppo di animali unicellula-ri marini (ordine Foraminiferida), sia planctoni-ci sia bentonici (= abitanti del fondo), con sche-letro prevalentemente calcareo, che hanno la-sciato un enorme numero di fossili, presenti dalCambriano all’Attuale.

(19) Crinoidea: classe di echinodermi pelmato-zoi, presenti dal Cambriano medio all’Attuale.

(20) Chetetidi (Chaetetida): gruppo enigmaticodi organismi coloniali marini considerato dallamaggioranza dei paleontologi come facente par-te dei tabulati. Presente dall’Ordoviciano al Per-miano. Ad esso furono attribuiti anche alcunifossili mesozoici.

(21) Tetide: Vasto oceano che si estendeva insenso latitudinale lungo l’equatore, separando icontinenti boreali da quelli australi dal Carbo-nifero al Triassico (Paleotetide) e dal Tiassico all’Eocene (Neotetide).

(22) Serpulidi: vermi marini del phylum Anel-lida che vivono in un tubo calcareo da essi co-struito, noti dal Cambriano all’Attuale.

(23) Pangèa: supercontinente che si formò dall’unione di tutti i continenti durante il Per-miano e cominciò a frantumarsi alla fine delTriassico.

(24) Rudiste: bivalvi marini dell’estinto ordinedegli Hippuritoida, generalmente di grandi di-mensioni (le più grandi raggiungevano dimen-sioni di oltre due metri di altezza e 60 cm di dia-metro) con valve fortemente modificate, costrut-tori di scogliera, presenti dal Giurassico supe-riore al Cretacico terminale. Sono assegnate asette famiglie: Diceratidae, Requieniidae, Mono-pleuridae, Caprotinidae, Caprinidae, Radioliti-dae e Hippuritidae.

(25) Ottocoralli (Octocorallia): organismi mari-ni, coloniali, appartenenti ad una sottoclasse dicoralli della classe Anthozoa, scarsamente rap-presentati fra i fossili, presenti dal Siluriano al-l’Attuale.

(26) Esactinellidi (Hexactinellida): classe di spu-gne con spicole silicee, esclusivamente marine,note dal Cambriano all’Attuale.

(27) Vermetidae: famiglia di gasteropodi marini,con guscio che si avvolge in maniera irregolare,incrostanti, nota dal Cretacico all’Attuale.

(28) Paratetide: mare sviluppato dall’Eocene su-periore al Pliocene, esteso dal Bacino di Viennaal Lago di Aral. Gli attuali Mar Nero, Mar Ca-spio e Lago di Aral sono resti di quel mare.

35SETTEMBRE2010 - N. 1

GEO-QUIZ

1 - Branca della geologia cheindividua aree, omoge-nee dal punto di vistageologico, della crostaterrestre e ne descrive i li-neamenti geologici tipi-ci, delineandone la storiageologica ed i rapporti re-ciproci con le regioni con-finanti.

8 - Il primo eone.11 - È preceduto dal Paleo-

gene e seguito dal Qua-ternario.

12 - Roccia intrusiva a chimi-smo intermedio.

13 - Progetto per la Carto-grafia Geologica.

14 - Sistema cristallino con itre assi tutti di lunghez-za differente ma tutticon angoli di 90°.

16 - Oggetti vetrosi naturaliformatisi in seguito adun grande impatto me-teoritico sulla superficieterrestre.

17 - Particella elettricamentecarica.

18 - Sigla del titanio.19 - Materiale che, con par-

ticolari caratteristiche,può opporsi al passag-gio di calore e/o dellacorrente elettrica.

20 - Cristallizzazioni secon-

darie alla mesoscala,spesso discordanti, chesi ramificano all’internodi una formazione.

21 - Lo studio sulla sua ri-flessione è un metodochiave per identificare la temperatura in fase didiagenesi dei sedimentiall’interno di bacini.

22 - Strato di rocce basichecontenenti Silicio e Ma-gnesio posto sotto il Sial.

24 - Rocce a composizionebasica e a densità moltoelevata. I minerali pre-senti sono anidri.

GEOCRUCIVERBA PER GLI “ESPERTI”

DEFINIZIONI ORIZZONTALI

segue a pag. 38

(di Akira)

36QUADERNI

DEL MUSEO

DEFINIZIONI ORIZZONTALI1 - La scienza che studia i fossili.6 - Lo respiriamo per vivere.10 - È nel cielo. È bianca con il bel tempo e nera

quando piove.11 - Il viso del cane.12 - Le prime due lettere di Italia.13 - Albero alto e sempre verde. Come frutto ha

le pigne.14 - Grande rettile estinto del Giurassico. Cu-

gino dei coccodrilli.16 - Si attacca al ferro senza colla.18 - Regione italiana bagnata dal Mar Adriatico

che confina con Umbria e Abruzzo.20 - L’articolo determinativo più famoso.21 - Sono dure e formate da tanti minerali.24 - Cristalli preziosi che formano le rocce.27 - Si legge e si studia a scuola.28 - È molto alta e quando c’è neve ci si va a

sciare.29 - Si urla alla partenza.31 - Il cane lo nasconde e lo rosicchia.32 - Chiamato il Pianeta Rosso.

33 - Si dice per salutare un amico.34 - Materiale trasparente con cui sono fatte le

finestre.35 - Quando è bel tempo è azzurro.37 - Lo sono i fiori e le verdure.39 - Può essere sia un principe sia un aquila.40 - Gli uccelli le sbattono per volare.41 - Si chiede dopo aver mangiato al ristorante.42 - Lo è ogni roccia trovata per terra…. Se si

lancia fa male!44 - Gennaio è il primo dell’anno.46 - Si trova al mare sia in acqua sia nella sab-

bia. Spesso si colleziona.49 - Lo porta la Befana ai bambini cattivi e bru-

cia molto facilmente.51 - È tonda, gira e ci viviamo tutti sopra.52 - Uccello che vive vicino al mare.54 - Fa tremare la Terra... e nel 2009 è successo

in Abruzzo.56 - Momento della giornata in cui si possono

vedere le stelle.58 - Lo sono la rosa e la margherita.59 - Isola italiana a sud della Corsica.

GEOCRUCIVERBA

Geo-Quiz

37SETTEMBRE2010 - N. 1

Geo-Quiz

60 - Punto cardinale indicato dalla bussola.61 - Momento della giornata in cui il cielo di-

venta rosa.

DEFINIZIONI VERTICALI1 - Lo zio di Qui Quo Qua.2 - È bianca e cade dal cielo quando fa molto

freddo.3 - La scienza che studia il pianeta Terra.4 - Si attacca alla lenza per pescare.5 - Parte di terra emersa circondata dalle acque.7 - Isola italiana a forma di triangolo.8 - La nostra nazione.9 - Ci si condisce l’insalata insieme a sale e aceto.10 - Il contrario di amico.15 - Vive negli stagni e gracida.17 - Mare che bagna l’est dell’Italia.19 - Capitale d’Italia.22 - Il miglior amico dell’uomo.23 - Organismi morti intrappolati nella roccia.24 - Serve per attaccare i chiodi al muro e per

rompere le rocce.25 - Piccoli fiumi di montagna.

26 - È luminosa e può essere piena o a spicchi.30 - Serve per orientarsi in qualsiasi luogo.31 - Dopo il sette c’è…32 - Il Mare che bagna il Lazio.35 - L’insieme di tutti i cambiamenti delle sta-

gioni nei secoli dipende dal…36 - Sulla Terra esiste quello Nord e quello Sud,

separati dall’Equatore.37 - Quando erutta emette fumo e lava.38 - Animale cui piace tanto dormire.42 - Sulla spiaggia ci si fanno i castelli.43 - Se interrati e annaffiati fanno crescere le

piante.45 - Formato da 12 mesi.46 - Luoghi dove si estraggono materiali utili.47 - Può essere stradale, geografica o politica.48 - Ci si può fare il bagno d’estate e non è il mare.50 - È la parte più alta dei castelli e negli aero-

porti c’è quella di controllo.53 - I pesci non la possono respirare.55 - Si dice che una al giorno tolga il medico di

torno.57 - Punto cardinale da cui sorge il sole.

PER I PIÙ PICCOLI (di Akira)

26 - Supercontinente che sa-rebbe esistito fra i 600 ed i540 milioni di anni fa. Vie-ne anche chiamata il Su-percontinente vendiano.

29 - Sigla del Rutenio30 - meteorite rocciosa carat-

terizzata dall’assenza dicondrule.

31 - L’ultimo piano dell’Eo-cene.

35 - Sigla dell’Argon.37 - Materiale inizialmente

inutilizzabile estratto insieme al materialeutile.

39 - Nel gennaio 2010 vi èavvenuto un terremotodi Mw 7,0.

41 - Fondatore dell’Attuali-smo, è considerato il pa-dre della geologia mo-derna.

42 - Logaritmo naturale.43 - Ardito: geologo, geogra-

fo ed esploratore italia-no che guidò la primasalita sul K2.

49 - Organismo di grandeabbondanza e grandeespansione geografica,utilissimo per la datazio-ne relativa delle rocce.

51 - Miscela complessa diColumbite e Tantalite.

38QUADERNI

DEL MUSEO

Geo-Quiz

seguito di pag. 35

DEFINIZIONI VERTICALI

1 - Bivalve che era il princi-pale costruttore di bar-riere nel Cretacico supe-riore.

2 - La scienza che unisce laricerca archeologica coni concetti e metodi delleScienze della Terra.

3 - Rocce verdi: porzioni dicrosta oceanica sollevatae affiorante grazie all’o-rogenesi.

4 - Dipendono dallo statodi ossidazione dell’Azo-to quando esso è +5.

5 - È una funzione di statoche quantifica l’indispo-nibilità di un sistema aprodurre lavoro.

6 - Scienza che ha come og-getto di studio l’univer-so nel suo insieme.

7 - Situato lungo i marginicontinentali

8 - Grande classe delle me-teoriti che raccogliequelle pietrose.

9 - Agenzia per la Protezio-ne dell’Ambiente e per iServizi Tecnici

10 - La sua chimica è basatasul carbonio.

15 - Sigla del silicio.23 - Zona pianeggiante, ta-

lora con rilievi residui;costituisce lo stadio fi-nale cui tende, a causadell’erosione subaerea e in opportune condi-zioni climatiche, ogni rilievo.

25 - Porzione di crosta terre-stre sprofondata a causadi un sistema di fagliedirette in regime tettoni-co distensivo.

26 - Catena monuosa di ori-gine calcarea situata asud-est di Roma.

27 - Tra i generi più noti visono Calpionella, Calpio-nellites, Tintinnopsella eAmphorellina.

28 - Promontorio africano.29 - La formazione di questi

bacini è un fenomenoessenzialmente oceanicoin ambienti geodinamiciassociati a zone in sub-duzione.

32 - Processo di fusione par-ziale di una roccia meta-morfica all’interno dellacrosta terrestre.

33 - La parte di crosta terre-stre composta prevalen-temente da Silicio e Al-luminio.

34 - Sigla dell’Argento.36 - Gas nobile utilizzato

nelle lampade.38 - Quello terrestre è incli-

nato rispetto alla per-pendicolare all’eclitticadi 23°27’.

40 - Istituto Superiore per laProtezione e la RicercaAmbientale.

44 - La più diffusa tra le roc-ce piroclastiche.

45 - Sigla del Cloro.46 - Formula chimica del Ci-

nabro.47 - Sigla dei Rubidio.48 - Consiglio Nazionale

delle Ricerche.50 - Satellite di Giove.52 - Sigla del Lutezio.

39SETTEMBRE2010 - N. 1

UN LIBRO ALLA VOLTA

il centesimo anniversario del viaggioamericano intrapreso dalla famiglia del-l’autore, l’arrivo a Ellis Island del nonnodi Gould che, tredicenne, annota sullasua grammatica inglese, appena acqui-stata, la frase “I have landed”. Era l’11settembre 1901…“Le storie, la Storia”, come recita il sot-totitolo, perché l’autore tiene molto asottolineare il parallelo tra le vicendepersonali di ciascuno in relazione allapropria famiglia, gli eventi storici checambiano le esistenze di tutti e la vitasulla terra attraverso l’evoluzione. La se-zione conclusiva chiude il cerchio conalcuni capitoli proprio dedicati al dram-ma dell’11 settembre 2001, cento annidopo quella frase, “un messaggio di tra-gica speranza” che l’autore sente dove-roso. In mezzo, decine di saggi raccoltiin sezioni, in cui Gould, con la consuetaarte affabulatoria e instancabile passio-ne, parla del rapporto tra la scienza e lealtre discipline (letteratura, storia, arte),dei pensatori prima della rivoluzionescientifica, degli attacchi del creazioni-smo, di come il concetto di evoluzionepermei la nostra vita al di là della nostrapercezione, porta infiniti esempi chespieghino, al grande pubblico e agli spe-cialisti, quali siano le trame dell’evolu-zione, discorrendo di Linneo, Agassiz,dinosauri piumati, presunte razze supe-riori e inferiori.La sua curiosità per ogni espressionedella creatività umana, dalla sua amata

Stephen J. Gould“I have landed”

a cura di Francesco Grossi

“I have landed” è l’ultima raccolta di sag-gi di Stephen J. Gould, curata poco pri-ma della sua prematura scomparsa, av-venuta nel maggio del 2002. Gould, pa-leontologo evoluzionista dalla culturaenciclopedica, è stato da sempre un in-stancabile editorialista per riviste e gior-nali, tra cui “Natural History”, “Time” e“New York Times”, un uomo che, comepochi altri, ha lasciato un segno nel pa-norama scientifico del XX secolo, e allostesso tempo straordinario divulgatore.Un gioco di numeri caratteristica questasua ultima raccolta di lavori: il saggionumero 300 di Gould esce a gennaio del2001, alba del nuovo millennio, sorta ditestamento spirituale, ed il 2001 è anche

40QUADERNI

DEL MUSEO

Un libro alla volta

scienza alla politica, dall’arte al baseball,dai Simpson alla letteratura, sono statela cifra del suo percorso intellettuale, ecome nelle centinaia di altri suoi saggi, ilsuo modo di essere si tramuta in una di-vertente e divertita varietà di scrittura,che trova in questa raccolta una dellesue massime espressioni, perché per-meata dal testamento spirituale di unuomo sempre ben calato nella realtà po-litica e sociale, amante della vita, non so-lo “fossile”. “I have landed” è uno spac-cato completo della sua scrittura, capacedi trasmettere il talento, l’acume, la lie-vità ma allo stesso tempo la profondità

di uno degli intellettuali più influentidel Novecento. Un testo imprescindibileper tutti gli appassionati delle scienzeevoluzionistiche, per gli amanti dellastoria naturale del pianeta ma, anche,per tutti coloro che vogliano lasciarsiguidare con intelligenza ed ironia attra-verso temi di grande interesse.

ATTIVITÀ DIDATTICHE DEL MUSEOUfficio Comune (lunedì-sabato ore 9-13.30): tel. 06 9584098/9574952; fax 06 9584025siti web: [email protected] / www.hipparcos.it mail: [email protected] di apertura: Pubblico: sabato e domenica: 10.00 - 13.00 e 16.00 - 19.00Scuole e gruppi: martedì e venerdì su prenotazione (per scuole e gruppi superiori alle 20 unità). Costi: euro 4-5 (per tipologia di attività)Note: Le attività si svolgono durante l’intero periodo scolastico. Attività previste: Visita almuseo; Laboratorio; Percorso esterno; Intervento in classe: su richiesta.

■ SCUOLE PRIMARIE - Alla scoperta delle rocce e dei fossili; Età: 8-10 anni; classi:3-4-5; durata attività: 3 ore; costi: 4 euro.Obiettivi didattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione, l’orienta-mento geografico, il riconoscimento delle rocce e dei fossili.

■ SCUOLE MEDIE - La storia del Lazio raccontata dalle rocce e dai fossili; Età:10-13 anni; durata: 3 ore; costi: 4 euro.Obiettivi didattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione, l’orienta-mento geografico, il riconoscimento delle rocce e dei fossili, le fasi dell’evoluzione del-l’Appennino.

■ SCUOLE MEDIE SUPERIORI - Sulle sponde di un altro mare: l’evoluzione geolo-gica dell’Appennino centrale; Età: 14-18 anni; durata: 3 ore; costi: 4 euro.Obiettivi didattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione, il riconosci-mento delle rocce e dei fossili, le principali fasi dell’evoluzione e della strutturazionedella catena appenninica, la nascita del Mar Tirreno e dei vulcani laziali.

MODULO DIDATTICO “ESPLORIAMO IL CIELO”Laboratorio: Serata astronomica (o Planetario didattico, sostitutivo per cause meteorolo-giche o su richiesta); durata: 150’-180’; costi: 5 euro; Attività previste: Visita al museo;Seminario; Osservazione astronomica; Planetario (opzionale); Percorso esterno.

Stephen J. Gould“I have landed”Codice Edizioni, 2009, 452 pp. Edizioneitaliana a cura di Telmo Pievani, traduzionedi Isabella C. Blum.

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DIDATTICA

La geomitologia è la scienza che analizzale relazioni tra i fenomeni geologici e laletteratura orale o scritta pre-scientifica.In particolare, valuta le descrizioni diquesti eventi naturali (terremoti, inon-dazioni, fossili, vulcani ecc.) così comesono state tramandate nella mitologia enel folklore locale L’uomo ha sempreavuto l’esigenza di capire le cause di ciòche gli accadeva intorno, soprattutto

quando avvertiva di non avere l’assolutocontrollo sulla natura.Le credenze religiose e folkloristichenon sono altro che la testimonianza del-la sete di “reale” e fin dalle origini del-l’uomo hanno fornito gli strumenti perdecifrare gli eventi allora incomprensi-bili e le loro cause. Molte di esse infattisono state chiarite solo in epoca moder-na grazie alla tecnologia e alla ricercascientifica. Si può comprendere, quindi,come caratteristiche montagne, grotte,rocce e altri particolari luoghi e forme

Geomitologia:quando anche gli scienziati

ricercano il mitoChiara Amadori

Figura 1 - Tellus sull’Ara Pacis (Roma)

Chiara Amadori: Collaboratrice del MuseoGeopaleontologico “Ardito Desio”

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DEL MUSEO

Didattica

naturali, siano stati oggetto di venera-zione, e in molti casi continuino ad es-serlo. Lo stesso vale per l’acqua, porta-trice di vita e per i punti di emissionigassose, spesso letali, che hanno assun-to connotazioni soprannaturali e legamicon il mondo sotterraneo, considerato ilregno dei morti. Tutte queste sono infor-mazioni sull’evoluzione della regionelocale che oggi, vagliate con la dovutacautela, forniscono dati persino sulla ci-clicità di alcuni eventi della quale nonera noto il periodo di ritorno, come fra-ne, alluvioni e terremoti. Tutti questi fenomeni oggi vengono visti solo comeun ostacolo per l’uomo mentre nellapreistoria questi erano guardati sì conterrore, ma anche con grande sacralità erispetto. La figura principale in tutte lereligioni era infatti la Grande Dea Ma-dre. La sua rappresentazione principaleera quella di Gea, la Madre Terra, ma ènota anche con molti altri nomi. I Roma-ni la conoscevano col nome di Tellus oTerra (fig. 1), i Celti la chiamavano DeaOscura o Dea Nera e in Messico Tonant-zin, la dea Azteca della Terra. Tutte lepreghiere ed i riti erano quindi rivoltiverso il basso, verso Terra, e l’elementofondamentale che la caratterizzava erala fertilità.Col passare del tempo vennero associativari dèi ai singoli fenomeni naturali: ipiù noti sono quelli greci e romani, masi hanno altrettante figure mitologichelegate ai culti sud americani e orientali.Particolare attenzione era rivolta agli dèiassociati ai terremoti. Da sempre questeenormi e soprattutto inaspettate libera-zioni di energia erano viste come unapunizione per l’uomo o peggio ancoracome avvertimento di catastrofi mag-giori. Una delle principali figure legate

al mito era Ercole (Heracle), figlio diZeus, che percuoteva con la sua enormeclava il suolo creando montagne, capaceaddirittura di deviare il corso dei fiumi.La presenza mitica è rintracciabile attra-verso i numerosi templi a lui dedicati:questi infatti sono posizionati lungo lafamosa Via Eraclea, sulla parte sismicadel territorio nazionale che coincide conlinee tettonico-strutturali (lungo le quali,cioè, affiorano grandi lacerazioni – notecome faglie – che tagliano fino a grandeprofondità le masse rocciose). Noto è ilTempio di Ercole Curino (Sulmona), delIV secolo a.C., dove si può osservare ilposizionamento dell’area sacra a cavallodella traccia di una faglia attiva, lungo laquale le masse rocciose che essa taglia simuovono a intervelli più o meno lun-ghi, provocando terremoti. Si può quin-di pensare che proprio particolari feno-meni naturali lungo questa traccia ab-biano influenzato l’ubicazione dei luo-ghi sacri. Dopotutto oggi la cosa nondeve sorprendere. Sulmona è nota per il catastrofico terre-moto del 1706 di magnitudo 6.6 in cui levittime furono più di 1000. Tutta l’areadell’Appennino abruzzese è considera-ta ad alto rischio sismico e le prove dieventi passati sono da ricercare anche insiti archeologici di costruzioni paganedi questo tipo, grazie alle quali possia-mo ricavare informazioni utili. Il diogreco del mare Poseidone, in origine an-che dio dei terremoti, era figlio del tita-no Crono e di Rea, e fratello di Zeus e diAde. Capriccioso e irascibile, non per-deva mai occasione per dimostrare ilsuo potere distruttivo. Troviamo moltetestimonianze degli Achei, che viveva-no nel terrore delle sue ire e cercavanodi blandirlo offrendogli doni e sacrifici,

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Didattica

ma il dio non si lasciava convincere fa-cilmente e con il suo tridente scuoteva i monti e le valli del Peloponneso, fa-cendo tremare le città dei Troiani. Terro-rizzava anche il signore dell’Ade a talpunto che egli temeva potesse aprire laterra fino al suo regno. Divinità simili a Poseidone del mondo antico furonoRodon nella mitologia illirica, Nethunsnella mitologia etrusca e Nettuno inquella romana.Gli antichi romani vedevano nei feno-meni sismici una sorta di tramite tra ilmondo degli dèi e quello degli uomini,ma molto spesso preludio di catastrofi.Nella terza orazione di Cicerone controCatilina si parla di un cielo infiammatodi meteore, di cadute di fulmini e di ter-remoti. Cicerone così commenta: «[...]Per non parlare degli altri prodigi che si sono verificati durante il mio consolato inun numero così grande da far pensare a unvero e proprio presagio, da parte degli im-mortali, degli attuali avvenimenti». L’opi-nione dei Romani venne poi quasi con-validata nel 79 d.C., quando violenti ter-remoti colpirono la costa campana, anti-cipando l’eruzione esplosiva del monteSomma-Vesuvio che provocherà la di-struzione di Pompei. In Sicilia si crede-va che i terremoti e le eruzioni dell’Etnafossero causate da Tifone (fig. 2), unenorme mostro con 100 teste di dragoche Zeus aveva sconfitto gettandogliaddosso proprio la Sicilia. A volte Tifo-ne, provando a liberarsi, causava feno-meni sismici e vulcanici comuni in tuttala regione.Anche nel Cristianesimo si riscontranoansie e superstizioni simili; il Clero rac-comandava al popolo di cantare le Lita-nie dei Santi per scongiurare i disastri. Ilverificarsi di una crisi sismica provoca

inevitabilmente terrore e nervosismo fa-cendo riemergere antiche superstizionie credenze popolari cosa che, ovvia-mente, il Cristianesimo ha sempre cer-cato di evitare attribuendo ogni causa aintervento di Dio. Nei Fioretti di SanFrancesco (1370-1390), si narra che in-torno al 1228, poco dopo l’inizio dei la-vori per la costruzione della famosa Basilica di Assisi, Frate Leone, uno deiprimi compagni del santo, contrario allapomposa ostentazione, pronunciò unanatema con le seguenti parole: «Fran-cesco non l’avrebbe voluta e prima o poicrollerà».Cosa accadde in séguito alla Chiesa, loricordiamo tutti… Un altro esempio èscritto nella profezia biblica di Zaccaria(Zc, 14, 4-5): “In quel giorno i suoi piedi siposeranno sopra il monte degli Ulivi che sta di fronte a Gerusalemme verso oriente,

Figura 2 - Affresco etrusco raffigurante Tifone (Tomba di Tifone, Tarquinia)

e il monte degli Ulivi si fenderà in due, da oriente a occidente, formando una vallemolto profonda; una metà del monte si riti-rerà verso settentrione e l’altra verso mez-zogiorno. Sarà ostruita la valle fra i monti,poiché la nuova valle fra i monti giungeràfino ad Asal; sarà ostruita come fu ostruitadurante il terremoto, avvenuto al tempo diOzia re di Giuda”. Per un geologo questopasso è un’accurata descrizione del mo-vimento di una faglia trascorrente (unafaglia, cioè, lungo la quale due ammassirocciosi si muovono in direzioni oppo-ste) e si può ricavare anche la cinematicadei blocchi, cioè il loro movimento reci-proco. Ciò ha poi trovato conferma nel-le indagini scientifiche effettuate sullagrande faglia del Mar Morto.

La necessità di trovare un colpevole,una personificazione di quella forzaignota accompagna davvero tutte le popolazioni, tra le quali non mancanoquelle orientali e americane, che peròpreferiscono utilizzare animali partico-larmente emblematici per forza e resi-stenza. Ad esempio, in India i braminiraccontano che la causa dei terremoti èda attribuire alla stanchezza di uno deisette serpenti incaricati dal dio Visnù disostenere la Terra. Nell’intento di scari-care il peso sulle spalle del vicino, il ser-pente provoca sconvenienti movimentidella crosta. Per altri i sismi sono pro-dotti da un’enorme rana che vive nelleprofondità del pianeta e che ogni tantosi scuote. Nella mitologia dei tartari delCaucaso i terremoti sono generati inve-ce da un toro gigantesco che porta laTerra sulle corna: ogni volta che l’ani-male agita violentemente la testa, ilmondo trema.Anche i giapponesi hanno personificatoi terremoti con orribili esseri dal corpodi uomo e la testa di pesce-gatto. Neltempio di Kashina è rappresentata unadivinità celeste che ordina al dio Daim-yojin (fig. 3) di conficcare, a colpi dimartello, un cuneo di legno nella testadel mostro, chiamato anche nanazu, col-pevole di aver provocato il terremoto diEdo, l’attuale Tokyo. Durante la cerimo-nia, gli altri nanazu che assistono allascena rappresentano altrettanti terremo-ti storici giapponesi: Kwanto, Osaka,Koshu, Echigo, Odawara e Sado. La fre-quenza continua dei terremoti sarebbeda attribuire alla momentanea disatten-zione di Daimyojin.Gli Indiani Gabrielino, del sud della California, hanno creato un mito più articolato, che in qualche modo ricorda

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DEL MUSEO

Didattica

Figura 3 - Daimyojin

la moderna teoria della tettonica delleplacche. Essi infatti immaginano la Ter-ra supportata sulla schiena di otto tarta-rughe marine divise in due file. Una diqueste file cominciò a nuotare verso est,mentre l’altra verso ovest; la Terra quin-di fu soggetta a forze opposte che ten-devano ad assottigliarla e, non riuscen-do a sopportare tale stress, si spaccò conun forte boato. Le tartaru-ghe non pote-rono proseguire a lungo per via del pe-so che portavano, ma di tanto in tantotornano a muoversi, provocando ap-punto terremoti.Meno complessa e più ironica è la visio-ne dei nativi Tzotzil del Messico meri-dionale, i quali credevano che un gia-guaro cercasse sollievo ai suoi pruritistrofinandosi proprio contro i pilastridai quali la Terra era sostenuta. Una cre-denza popolare proveniente dal Cilemeridionale vuole che la causa dei ter-remoti sia da attribuirsi a due serpenti:Cai-cai e Treg-treg. Il primo rappresentala signora dell’idrosfera e vive in unagrotta sotterranea; quando ne esce cau-sa maremoti e inondazioni. Treg-treg in-vece vive nelle viscere di una collina eda lì controlla l’attività di Cai-cai. Ognitanto i due si scontrano e le forti codatedi Treg-treg provocano frane che sep-pelliscono Cai-cai. Quest’ultimo, per li-berarsi dal peso dei macigni, si agitaviolentemente, provocando scosse.Infine, anche i miti nordici associano i terremoti alla punizione del dio Loki(fig. 4), incatenato ad una rupe nel re-gno sotterraneo con sopra un enormeserpente che gli fa gocciolare veleno sul-la faccia. La moglie devota raccoglie ilveleno con un vaso, ma quando questoè pieno ed ella deve allontanarsi pervuotarlo, il veleno cade su Loki che,

scuotendosi per il tremendo dolore, fatremare la terra.La geomitologia deve essere quindi con-siderata come una scienza interdiscipli-nare: essa può fornire grandi informa-zioni se integrata con la storia, l’archeo-logia e l’antropologia, creando una fittatrama da rileggere tutta in chiave geofi-sica. È d’obbligo a questo punto sottoli-neare un fatto oggi più che mai attuale:cioè il paradosso della continua ricerca,del dover scavare in un passato semprepiù lontano per acquisire dati utili allaprevenzione, quando, gli insegnamentidella storia recente degli ultimi fattidrammatici vengono persi in pochi an-ni o in poche generazioni.

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Didattica

Figura 4 - “Il castigo di Loki”, incisione di Louis Huard

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DEL MUSEO

MUSEOLOGIA

Il degrado di un’opera d’arte, fortementeaccentuato in questi ultimi anni, si mani-festa subito dopo la realizzazione del ma-nufatto e continua progressivamente acontatto con l’ambiente. Tale fenomeno,anche in assenza di fattori di degrado an-tropogenico, è un processo naturale, pro-gressivo e irreversibile, in quanto soggia-ce al Secondo Principio della Termodina-mica, cioè rientra nell’ordine naturaledelle cose. Si può affermare che questetrasformazioni sono la diretta conseguen-

za di un disequilibrio che si manifesta trale due entità fondamentali cui fa riferi-mento il ragionamento termodinamico,cioè tra il “sistema” e il “mezzo”, inten-dendo per “sistema” il corpo o la porzio-ne di materia che si intende studiare, eper “mezzo” l’ambiente circostante chepuò interagire con il sistema.Una condizione di disequilibrio si produ-ce ogni volta che una o più grandezze fi-siche scelte per rappresentare lo stato delsistema o del mezzo assumono nelle dueentità valori diversi. Questo ragionamen-to può essere esteso per analogia anche aifenomeni di deterioramento dei materialistorico-artistici. Infatti se si attribuisce al-

L’ambiente musealeLuigi Campanella

Luigi Campanella: Ordinario di Chimica analitica,Università “Sapienza” di Roma, Presidente dellaSocietà Chimica Italiana, Presidente del MUSIS

Una tipica WunderKammer (Camera delle Meraviglie) del Seicento

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Museologia

l’oggetto-bene culturale il carattere di “si-stema” e quello di “mezzo” all’ambientein cui l’oggetto è conservato, si può soste-nere che ogni processo di deterioramen-to, prodotto da cause diverse, di naturafisica, chimica o biologica, è riconducibilea trasformazioni termodinamiche. Le tra-sformazioni più frequenti sono rappre-sentate da trasferimenti di calore dal si-stema al mezzo (o viceversa), spesso ac-compagnati da trasferimenti di acqua infase liquida o di vapore. Il modello ter-modinamico consente di dedurre che lamaggior parte dei processi di degradopotrebbe essere evitata se si potesse rea-lizzare una condizione di perfetto equili-brio tra oggetto da conservare e ambientedi conservazione. Esso fornisce inoltrel’indicazione concreta di un criterio gene-rale di conservazione, fondato sulla pos-sibilità di ottenere un rallentamento deiprocessi di deterioramento con procedi-menti capaci di ridurre l’entità degli squi-

libri tra oggetto e ambiente. I fenomeni didegrado sono determinati da quei fattoriche agiscono nell’alterare l’aspetto, le di-mensioni, o il comportamento chimicodel materiale, sia nei suoi elementi indi-viduali, sia come parti nell’insieme dellastruttura. Lo studio del fenomeno è resocomplesso a causa della difficoltà di sepa-rare gli effetti dei vari agenti di degrado.Nessun fattore agisce da solo; l’importan-za di ognuno è influenzata dall’effettoconcomitante degli altri, ossia l’esposizio-ne all’azione di uno può rendere il mate-riale maggiormente suscettibile alla suc-cessiva azione degli altri. È quindi chiaroche l’effetto osservato è dovuto alla som-ma di più fattori. Da ciò si comprende co-me da un lato sia complessa la manuten-zione di un museo, ma anche dall’altrocome essa sia preziosa per salvaguardareimportanti testimonianze di cultura dicui si rischia di perdere la possibilità ditrasferimento alle future generazioni.

Il Crystal Palace (Palazzo di Cristallo) di Londra, del 1851

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DEL MUSEO

ARCHIVI DELLA TERRA: IL CLIMA

Nelle immediate adiacenze dell’area diRocca di Cave, nella zona compresa fraCapranica Prenestina e Castel S. Pietro(foto qui sopra), si possono vedere roccedecisamente differenti rispetto ai duricalcari organogeni che contengono i re-sti fossili delle scogliere cretaciche di ol-tre 70 milioni di anni fa, esposti nel mu-seo geopaleontologico. Lungo la stradaprovinciale SP 58/a si possono agevol-mente osservare, in fitta alternanza, li-velli di calcari marnosi, marne calcaree emarne argillose, con intercalati strati di

calcareniti, dai colori variabili dal gialloal bruno chiaro, al grigio azzurrognolo,esposti lungo la strada, con una potenzacomplessiva di circa 6-700 metri. Sono letestimonianze di una successione di se-dimenti di scarpata sottomarina, depo-stasi in un intervallo compreso all’incir-ca fra 23 e 15 milioni di anni fa, chiamataFormazione di Guadagnolo (età: Aquita-niano p.p.-Langhiano p.p.). A Rocca diCave modesti lembi di queste rocce te-nere e varicolori affiorano nei pressi delcimitero comunale, appoggiate diretta-mente sui calcari cretacici, più antichi dicirca 50 milioni di anni (punto 5 del per-corso geopaleontologico); il loro spesso-

Gli archivi degli antichi mutamenti climaticie le cause delle variazioni climatiche

Maurizio Chirri(parte prima)

Maurizio Chirri: Direttore del Museo, Docentea contratto, Università degli studi “Roma Tre”

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Archivi della Terra: il clima

re aumenta rapidamente verso nord. Al-cuni livelli di queste rocce sono note peril ricco contenuto in resti di spugne edechinodermi, e per la presenza di gra-nuli di glauconite, minerale dal tipico co-lore verde, (campioni di queste rocce edi esemplari di fossili sono esposti nella sala B del Museo). Negli ultimi 30 anni, i sedimentologihanno riconosciuto nelle successioni de-gli strati sedimentari anche i riflessi difattori astronomici: gli effetti di lunghis-simo periodo (decine di milioni di anni)definiscono i cosiddetti cicli di primo esecondo ordine, quelli di minore estensio-ne temporale (circa 1 milione di anni),sono connessi a variazioni eustatiche del livello dei mari e costituiscono i ciclidi terzo ordine, riconducibili a perturba-zioni periodiche astronomiche. Probabil-mente nelle rocce sedimentarie sono re-gistrate, come un “rumore di fondo”,anche le variazioni di quei fattori orbita-li che perturbano il clima del pianeta, ela cui frequenza si scandisce in periodicompresi fra duecentomila e circa ven-timila anni, costituendo di fatto cicli diordine superiore.Nell’ultimo decennio alcune particolari-tà della Formazione di Guadagnolo, co-me di altre formazioni analoghe in varieparti del globo, sono state interpretatecome conseguenza, nella sedimentazio-ne marina, di cicli di origine cosmica.

Il pianeta, nel corso delle ere geologiche,ha mantenuto costante il valore del se-miasse orbitale, collocandosi sempre al-l’interno della fascia dell’acqua liquida,la zona del Sistema solare in cui l’ener-gia irradiata dalla stella è in grado dimantenere oceani sulla superficie di unpianeta.

Tuttavia, sia la quantità dell’irraggia-mento solare che raggiunge la superficieesterna dell’atmosfera terrestre, conse-guenza della cosiddetta “costante so-lare” (oggi pari a 1367 watt/m2), che lastessa atmosfera che circonda il pianetahanno subìto sensibili variazioni dall’eo-ne Archeozoico al presente. La composi-zione chimica, la pressione, la tempera-tura sono, insieme alla varia disposizio-ne dei continenti e delle quote dei lo-ro rilievi, alla distribuzione degli oceanie all’obliquità della Terra, i cosiddetti“fondamentali” per la composizione delClima definibile come l’insieme delle ca-ratteristiche di temperatura, pressione, umi-dità, insolazione, piovosità, e loro distribu-zione periodica, che caratterizza le differentiregioni geografiche del pianeta. Il clima del-le diverse regioni e la sua evoluzionemodella la morfologia e il paesaggio, la-sciando testimonianze geologiche nei se-dimenti continentali o marini. Le regi-strazioni geologiche delle vicissitudiniclimatiche attestano che la dinamica diqueste variazioni è stata talora lentissi-ma, altre volte ha subito brusche accele-razioni. La storia dell’evoluzione clima-tica del pianeta (Rhodes W. Fairbridge) èil risultato di fenomeni con origini variee della loro reciproca interazione. Sche-matizzando è possibile riconoscere cau-se, periodi, intensità delle modifiche cli-matiche, ampiamente differenti tra loro:

Cause astronomiche– Attività del Sole e interazione con

l’ambiente cosmico(periodo secolare, circa 100-1000 anni)

– Variazioni dei parametri orbitali delpianeta(periodo plurimillennario, compreso fra 20-200 mila anni)

energetico della nostra stella. Il Sole pre-senta tuttavia dei fenomeni, alcuni deiquali ciclici, relativi alle cosiddette re-gioni attive, come quello undecennaledelle macchie solari, che producono lievivariazioni dell’energia irradiata.I dati osservativi del satellite Nimbus 7estesi per un intero ciclo solare, dal 1980al 1991, hanno confermato che l’energiaricevuta alla soglia atmosferica, fra ilmassimo e il minimo undecennale, è va-riata dello 0,3%.Gli astrofisici hanno cercato conferme al-le oscillazioni del flusso energetico sola-re in diverse direzioni. Gli studi delle re-gistrazioni telescopiche delle macchiedal 1600 (fig. 1), le descrizioni delle stes-se e di altre manifestazioni solari nelleantiche cronache astronomiche, le cita-zioni in opere classiche di eclissi e feno-meni astronomici e climatici, dati dalladendrocronologia, hanno confermato pe-riodici, e in alcuni casi insospettati, mu-tamenti dell’attività solare.

Le macchie solari mancanti e la scoperta del minimo di MaunderL’astronomo britannico EdwardW. Maunder (1851-1928) studiòle registrazioni delle macchie solari a partire dalla metà del1600, e identificò un periodo dibassa attività solare durato qua-si un secolo, fra il 1650 e il 1730.Gli effetti del “Sole quieto” dalpunto di vista climatico furonoconsiderevoli e si estesero du-rante l’intero secolo XVIII. Esta-ti brevi e insolitamente miti, senon fredde, si susseguirono intutta l’Europa continentale, pro-traendosi per oltre mezzo secolo

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DEL MUSEO

Archivi della Terra: il clima

Cause geologiche– Variazioni della distribuzione delle

correnti oceaniche(periodo millennario)

– Variazione delle altitudini delle terreemerse (variazione della curva ipso-metrica)(periodi di durata geologica, decine di milioni di anni)

– Distribuzione delle aree continentalialle differenti latitudini(periodi di durata geologica, da decine a centinaia di milioni di anni)

– Variazioni maggiori (geofisiche) del-l’obliquità dell’asse(periodi di durata geologica, decine - centinaia di milioni di anni)

L’attività del Sole e l’interazione con l’ambiente galatticoLa costanza della “costante solare” rap-presenta la testimonianza evidente del-l’attività stabile e duratura del motore

Figura 1 - Registrazione di macchie solari alla metà del secolo XVII

dalla ricomparsa del cicloundecennale. Nel vecchiocontinente le bizzarrie cli-matiche determinarono ca-restie e crisi economiche econtribuirono a innescaresommovimenti sociali, (ilpiù ampio tra i quali ebbeinizio nel 1789, ed è notocome “Rivoluzione Fran-cese”).Le conseguenze a livelloregionale nei due emisferihanno evidenziato ghiac-ciai montani in avanzata,banchisa polare artica inespansione, ghiacciai continentale comein Groenlandia in ampliamento. La cor-relazione climatica, con uno scarto di 1 o2 decenni, e i minimi di attività solare èottima. Durante la prima delle mini-gla-ciazioni si verificò un abbassamento del-la temperatura media di circa 1,5 °C, cheebbe come conseguenze, nel XV secolo,la glaciazione di ampie porzioni del Bal-tico. Nei due successivi periodi freddi siverificarono eventi climatici eccezionali,quali per esempio ripetute glaciazioniinvernali rispettivamente del Tamigi edella Senna.

L’attività solare interagisce con la magnetosfera terrestreL’interazione del “vento solare” con lamagnetosfera terrestre, produce la tipicaforma allungata del CMT (campo magne-tico terrestre) (fig. 2), e, nello stesso tem-po, modula la produzione di isotopi delcarbonio, determinando nei periodi dimassima attività solare uno schermo airaggi cosmici di origine galattica respon-sabili della formazione nella stratosferadell’isotopo pesante 14C. La conseguen-

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Archivi della Terra: il clima

za diretta è che durante prolungati mini-mi o massimi dell’attività solare il rap-porto fra i due isotopi del carbonio neitessuti degli organismi viventi subiscevariazioni. Durante i minimi aumenta laproduzione di 14C e il conseguente as-sorbimento dello stesso nei tessuti degliorganismi biologici. Una ridotta attivitàdel Sole consente ai raggi cosmici di ori-gine galattica di interagire nell’alta at-mosfera terrestre con l’14N che si trasfor-ma in 14C. Il carbonio presente nell’atmosfera è as-sorbito dagli organismi e accumulato neitessuti organici. Questo effetto costringei ricercatori nel campo delle analisi ra-diometriche per scopi cronologici, a cali-brare i metodi di lettura, ma suggerisceimportanti indicazioni agli studiosi delclima del passato. Di particolare interesse l’accumulo neitessuti vegetali. L’analisi delle serie dianelli di accrescimento di alberi negli ul-timi 600 anni ha consentito di estenderenel tempo la serie dei dati climatici, e dimettere così in evidenza che per ben trevolte il livello di 14C si è incrementato.

Figura 2 - Schema del campo magnetico terrestre modellato dagli effetti del vento solare

Le registrazione storiche delle eclissi,dunque, assumono un’importanza note-vole per lo studio dell’attività pregressadel Sole. Nonostante che eventi naturalispettacolari come le eclissi totali di Solesiano state seguite e descritte nel corsodei secoli con notevole attenzione, le re-gistrazioni della corona risultano accu-rate a partire dal 1800 (fig. 4). In epoca storica antica, classica e medie-vale la corona probabilmente veniva in-terpretata come un fenomeno atmosferi-co e non si riscontrano menzioni direttedel fenomeno nelle varie fonti (con la rimarchevole eccezione di Plutarco ne Il volto della Luna, riferibile all’eclisse del75 D.C. probabilmente osservata dal-l’autore a sud di Roma). Registrazioni indirette dello stato del-l’attività solare sono ricavate anche dallaregistrazione delle aurore boreali: i fisicisolari ammettono, infatti, che la frequen-te ripetizione di aurore è un chiaro indi-zio di un’incrementata attività solare,strettamente connessa con l’andamentodel ciclo undecennale delle macchie. Lo studio delle registrazioni delle auro-re, evidenzia periodi con frequenti ma-

nifestazioni e periodi con rari fe-nomeni (Fritz H., Catalogo delleaurore boreali (503 A.C.-1870 D.C.),Vienna 1873).

Correlazioni fra attività solare dedotta dalle registrazioni climatiche storicheLe comparazione fra i dati cli-matici dedotti da documentazio-ne storica e metodi di indaginebasati sul metodo del carbonio,hanno ulteriormente esteso il pe-riodo di indagine delle perturba-zioni climatiche.

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DEL MUSEO

Archivi della Terra: il clima

Gli eventi sono registrati per i primi de-cenni del quattrocento, alla metà del cin-quecento e quindi nel settecento. Il pri-mo e l’ultimo evento sono rispettiva-mente noti come minimo di “Sporer” edi “Maunder”.

Eclissi, corona solare, aurore borealiL’osservazione delle eclissi totali per-mette di rendersi conto dell’attività dellastella con l’osservazione dell’estensionedella corona, a volte assente, in altri casiestesissima (fig. 3).

Figura 3 - Eclisse totale durante il massimo del ciclo nel 1958

Figura 4 - Registrazioni coronali e attività solare

li diffusi, all’epoca, in Grecia e nelle iso-le. Di particolare interesse risulta il para-

pegma di Democrito scrittonel IV sec A.C., che riportai fenomeni atmosferici me-di nel corso dell’anno perlocalità comprese fra i 45° e i 31° di latitudine Nord nelMediterraneo orientale. La periodicità di piogge eprecipitazioni nevose atte-sta di un clima decisamentepiù freddo ell’attuale, pro-babilmente con temperatu-re medie di almeno 2 °C in-feriori alle attuali (vedi il

Si deve verosimilmente al “peggiora-mento” climatico nel XIII secolo, lascomparsa delle colonie vichinghe inGroenlandia: gli insediamenti furonoletteralmente sepolti dai ghiacciai inavanzata e i viaggi nell’Atlantico setten-

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Archivi della Terra: il clima

trionale resi proibitivi dall’estensionedel pack e dai frequenti iceberg.Appare notevole il tentativo di correla-zione fra alcuni periodi storici e gli opti-mum climatici costituiti dai massimi diattività solare, quali il massimo “dellepiramidi” (figg. 5 e 6), quello “romano”o “basso medievale” (curva superiore).La fioritura greca del VI-IV sec. A.C. cor-risponde a un periodo di peggioramentoclimatico. I dati dalla dendrocronologia,confermano le testimonianze contenutein alcuni “parapegmi” o calendari natura-

Figura 5 - La piana di Giza con le tre piramidi

Figura 6 - Eventi storici degli ultimi cinque millenni e correlazione con massimi e minimi secolari dell’attività solare

Figura 7 - L’osservatorio glacialogico di Luis Agassiz a Neuchatel, (tratto da un disegno del 1844)

fini sabbie eoliche, caratterizzano ampiearee dell’emisfero nord, dall’Italia set-tentrionale (Lombardia) al bacino del-l’Hoang Ho (Fiume Giallo) in Cina, erappresentano gli accumuli della polve-re fine che i venti sollevavano dalle areedesertiche periglaciali.J. L. Agassiz (geologo svizzero), J. Adhe-mar (astronomo francese) e J. Croll,(astronomo britannico), nei decenni frail 1830 e il 1870, riconobbero le testimo-nianze e intuirono le cause delle ciclichemanifestazioni della macchina del clima.Il primo studiò le testimonianze del gla-cialismo nelle valli svizzere e in Germa-nia (fig. 7) individuando i segni delleforme glaciali e periglaciali, mentre idue astronomi riconobbero l’origineastronomica di cicliche variazioni nel-l’intensità della radiazione solare inci-dente sui due emisferi.La Terra osservata dallo spazio durantel’ultimo milione di anni, ha mostrato unpianeta i cui cappucci polari si sonoespansi e ritirati per almeno cinque volte,originando le glaciazioni pleistoceniche.Le carote di ghiaccio antartico permetto-

no di ricostruire le variazioni climati-che degli ultimi 600 mila anni (fig. 8).L’analisi delle vescicole atmosfericheintrappolate nel ghiaccio ha permes-so di riconoscere le variazioni dellacomposizione chimica della miscelaatmosferica, particolarmente in rela-zione ai costituenti minori quali CO2

e CH4, tra i gas responsabili dell’ef-fetto serra, e di verificare che le va-riazioni nella concentrazione seguo-no l’alternanza dei cicli glaciali-in-terglaciali, in buon accordo con leprevisioni astronomiche e le risul-tanze delle concentrazioni isotopichemarine.

grafico di fig. 6). (I presocratici” Democri-to, a cura di Diels H. e Kranz W., Bom-piani, 2006). Si evidenzia inoltre unbuon accordo con quanto noto sullo svi-luppo dei ghiacciai.

Cause astronomiche delle glaciazioniAlcune rocce sedimentarie di originecontinentale, la cui diffusione è ubiqui-taria sui continenti, chiamate tilliti, sonoil risultato della litificazione di sedimen-ti morenici lasciati dai ghiacciai.Vasti orizzonti, o più piccole “lenti” di

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DEL MUSEO

Archivi della Terra: il clima

Figura 8 - Carote di ghiaccio per studi climatici(Base McMurdo, Antartide)

Figura 9 - La conchiglia dell’«ospite freddo» Arcticaislandica, il cui guscio risulta arricchito in isotopidell’ 18O, per l’accumularsi dei ghiacciai continentali(diagramma pittorico di Olivia Iacoangeli)

riazioni del rapporto 18O/16O dell’ossi-geno contenuto nei gusci dei foraminife-ri, seguono la periodicità delle variazio-ni orbitali, confermando la teoria astro-nomica delle glaciazioni (Hays J.D., Im-brie J., Shackleton N., 1976).

Parametri orbitaliIl ruolo delle periodicità dell’orbita ter-restre nel clima del pianeta fu chiaritoda Milutin Milankovitch, geofisico ju-goslavo, che durante gli anni 1920-1940descrisse e definì matematicamente iparametri astronomici che controllanociclicamente le variazioni del flusso so-lare incidente sulla superficie terrestre(fig. 10). Stabilì, così, che ogni 200 mila anni circala quantità di radiazione solare che rag-giunge le latitudini medio-alte dell’emi-sfero boreale diminuisce del 20%. Milan-kovitch provò, infatti, che quando gli ef-fetti della massima eccentricità dell’orbi-ta, del minore valore angolare dell’obli-quità, del passaggio della Terra all’afelio

nell’estate boreale, si sommano fraloro, determinano la cospicua dimi-nuzione della radiazione solare allelatitudini medio-alte di uno dei dueemisferi.

L’assetto della Terra nello spazioL’inclinazione dell’asse terrestre, l’obliquità, è il principale fattore dicontrollo della radiazione solare in-cidente. L’inclinazione dell’asse dirotazione oscilla fra 22° 30’ e 24° 30’.La causa dell’oscillazione è dovutaprincipalmente agli effetti gravita-zionali di Giove. Il gigante gassosofa oscillare il piano dell’orbita terre-stre con una periodicità di circa 40mila anni.

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Archivi della Terra: il clima

Ghiacciai, conchiglie, isotopi: un termometro naturale per gli oceaniL’isotopo 18O, il carbonato di calcio delleconchiglie e i ghiacciai sono collegati dauna precisa relazione. Durante i raffred-damenti climatici, l’accumulo dei ghiac-ci continentali avviene a spese dell’ac-qua degli oceani.Le precipitazioni nevose sono infatti co-stituite dall’acqua evaporata dalla su-perficie marina. L’ossigeno della mole-cola dell’acqua si presenta in due formeisotopiche, quella prevalente dell’ 16O equella, più rara, dell’18O. Le molecoled’acqua costituite da 16O evaporano piùfacilmente, per cui si determina un arric-chimento selettivo nell’acqua residuanegli oceani di 18O, che è utilizzato per lacostruzione dei gusci degli organismimarini (fig. 9). Negli anni ‘60 dello scorso secolo, talemetodo fu utilizzato per confermare l’at-tendibilità delle previsioni di Milanko-vitch. Migliaia di analisi delle carote se-dimentarie hanno dimostrato che le va-

Figura 10 - I parametri astronomici delle glaciazioni

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DEL MUSEO

Archivi della Terra: il clima

III sec AC: 23°50’ (media astronomi greci)

X sec DC: 23°33’ (media astronomi arabi, Al Battani)

XXI sec DC: 23°26’ (valore attuale).

Oceani e variazioni climaticheLa distribuzione delle correnti oceanichea sviluppo longitudinale permette unaridistribuzione efficace del calore inter-tropicale. L’interruzione delle correntiSud-Nord (p.e. la Corrente del Golfo),che riscaldano le latitudini medio-alte,può determinare irrigidimenti climaticidi ampie regioni. Un’interruzione dellaCorrente del Golfo si verificò circa die-cimila anni fa, (fenomeno noto come“evento Dryass” dell’8000 A.C.). Il climasulle due sponde dell’Atlantico setten-trionale subì un drastico e repentinopeggioramento. Le temperature mediedi una vasta porzione dell’emisfero set-tentrionale crollarono di 2-3 °C, forse insolo 50 anni. Il limite delle nevi perenniscese di circa 1200 metri in tutta l’Euro-pa, favorendo un ampio sviluppo di unaspecie di margherita diffusa nei climi ni-vali, la Dryass octopetala, fenomeno cheha dato il nome all’evento climatico.Le analisi delle “carote” dei fanghi ocea-nici a foraminiferi hanno confermato,con la brusca variazione delle popola-zioni dei plantonici, sia il raffreddamen-to climatico della Dryass, sia un eventosimile, verificatosi durante l’ultimo in-terglaciale Riss-Wurm.

Le calotte glaciali, una configurazio-ne non permanente della TerraAttualmente i ghiacciai coprono circa il 10% delle superficie delle terre emer-se. All’apice dell’ultima glaciazione, la

La forma dell’orbita subisce sensibilimodificazioni, da un assetto quasi circo-lare a un’ellisse più spiccata. In circa 100mila anni l’eccentricità (il cui valore at-tuale è 0,017) varia fra i valori di 0,003 e 0,057, anche in questo caso principal-mente per il disturbo gravitazionaleesercitato dal pianeta Giove sul semiassemaggiore dell’orbita della Terra.Inoltre, per effetto della precessioneequinozionale e del contemporaneo moto antiorario della linea degli apsidi, ogni10.500 anni si inverte la stagione in cui siverifica il passaggio al perielio.

Testimonianze dall’Archeologia del-l’inclinazione dell’asse di rotazioneAnche i dati archeologici (fig. 11) e stori-ci confermano l’attuale lenta diminuzio-ne del valore dell’obliquità di circa 44’’al secolo. È interessante verificare la cor-rispondenza di questo decremento con i dati dell’obliquità registrati da astro-nomi del passato: dai mesopotamici, aigreci, agli arabi.

Tabella dell’obliquità ricavata da testimo-nianze storiche:

XV sec AC: 23°58’ (media osservatori pre-greci)

Figura 11 - Stonehenge: anche i monumenti archeologici forniscono preziose indicazionidella variazione dell’inclinazione della Terra

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Archivi della Terra: il clima

“Wurm”, questi si estendevano per circail 35% delle superfici continentali. L’esi-stenza di passate ere glaciali era stata ri-conosciuta dai geologi nel corso del se-colo XIX. Come si è evidenziato, fonda-mentali sono stati gli studi del geologosvizzero Louis Agassiz, di Karl Schim-per (geologo tedesco), con i quali la co-munità scientifica ha accettato delle de-roghe alla “teoria uniformitaria” di Hut-ton e Lyell. Per almeno cinque volte nelcorso dell’ultimo milione di anni (Plei-stocene), i ghiacciai sono avanzati e sisono ritirati. Tuttavia le testimonianzegeologiche confermano che per il 90%della sua storia il pianeta è stato “acrio-genico”, in pratica quasi privo di ghiac-ci, con nevai o limitati ghiacciai solo allealte quote; inoltre la Terra non è mai stata totalmente ghiacciata. Altri fattoriintervengono nel determinare il valoredella temperatura media della Terra, fat-tori senza i quali le variazioni astrono-miche descritte non sono sufficienti a innescare la “macchina del freddo”.

(fine della prima parte)

Bibliografia

AA.VV., Encyclopedia of Planetary Science, Chap-man & Hall.

Preston Cloud, Oasis in Space: Earth history fromthe Beginnigs, Norton & Company.

Bosellini A., Mutti E., Ricci Lucchi F., Rocce e successioni sedimentarie, UTET.

AA.VV. (a cura di U. Villante), Sole e Terra, LeScienze, I Quaderni, n° 80.

Glossario

corona solare: strato dell’atmosfera del Sole, so-vrastante la cromosfera, esteso fino a 2 raggisolari, caratterizzato da bassissima densità(10-6 atmosfere), osservabile durante le eclissitotali.

curva ipsometrica: curva di tipo cumulativo chedescrive le variazioni di quota e le relativeestensioni, in percentuale, delle superfici con-tinentali e dei fondi marini e oceanici.

dendrocronologia: la scienza che studia le infor-mazioni ricavate dal tipico accrescimento an-nuale a cerchi concentrici degli alberi.

eccentricità: parametro orbitale che descrive loschiacciamento di un’orbita planetaria.

foraminiferi: organismi marini unicellulari del-la Classe dei Rhizopoda, con dimensioni da 0,1fino a decine di mm e con una notevole varie-tà morfologica. Sono caratterizzati da un gu-scio con numerose minuscole perforazioni,da cui prende il nome l’intero ordine. Rive-stono notevole importanza come fossili a sco-po stratigrafico.

glauconite: silicato idrato di Fe e K, mineraledal caratteristico colore verde intenso, che haconsentito la datazione radiometrica dellaparte basale della Formazione di Guadagno-lo, risultata di 21 (+/-1) milioni di anni fa.

linea degli apsidi: linea che unisce i punti diafelio e perielio di un’orbita planetaria.

obliquità: definita come l’inclinazione dell’assedi rotazione rispetto alla normale al pianodell’orbita: oscilla fra 22° 30’ e 24°30’. La cau-sa dell’oscillazione è dovuta principalmenteagli effetti gravitazionali di Giove sul pianodell’orbita terrestre, che presentano una pe-riodicità di 40 mila anni.

perielio: in un’orbita planetaria, punto di mini-ma distanza dal Sole.

raggi cosmici: particelle elementari e nuclei ato-mici che viaggiano nello spazio cosmico a ve-locità prossime a quelle della luce. Sono per-tanto dotati di elevatissima energia, e quandoattraversano l’atmosfera collidono con mole-cole, dando origine a raggi cosmici secondarie alla creazione di isotopi, come p.e. il 14C.

Teoria Uniformitaria o dell’Attualismo è allabase delle Scienze geologiche, e afferma chetutti i processi geologici riconosciuti attual-mente si sono verificati anche nel passatodando luogo agli stessi fenomeni: “Il presenteè la chiave del passato”.

tilliti: nome, di origine scozzese, di rocce costi-tuite da sedimenti di origine glaciale.

variazioni eustatiche: sono oscillazioni del li-vello marino riconducibili a cause geodina-miche (come la variazione di volume delledorsali oceaniche) oppure connesse a fattoriclimatici di carattere globale, quali modifichedelle temperature delle acque oceaniche, eformazione o scioglimento di ampie calotte.

58QUADERNI

DEL MUSEO

I PROTAGONISTI

Giulio Andrea Pirona fu una personali-tà di spicco del mondo scientifico dellaseconda metà dell’800 (figg. 1 e 4). Nac-que a Dignano al Tagliamento il 20 no-vembre del 1822 e, rimasto orfano dimadre a meno di tre anni, venne affi-dato ad Udine allo zio Jacopo, abate eumanista molto legato alla sua terra, ilFriuli, regione che divenne parte impor-tante anche nella vita di Giulio Andrea.Pirona si laureò in medicina a Padovanel 1846, ma oltre ad esercitare saltua-riamente la professione fu docente discienze naturali nel Ginnasio di Udine,paleontologo, botanico, geologo e zoo-logo, dando dimostrazione di approfon-dire con grande originalità di ricerca efervente impegno discipline molto di-verse. La sua curiosità e l’appassiona-ta visione a 360° della conoscenza non si fermò alle materie scientifiche: constraordinario spirito moderno, seppe in-tegrare la cultura umanistica a quellascientifica: al nome Pirona è infatti lega-to uno strumento ancora fondamentaleper lo studio del friulano, il primo Voca-bolario Friulano. Fu uno dei padri fondatori della Biblio-teca Civica, che contribuì ad istituire nel1866, stesso anno in cui inaugurò ancheil Museo Friulano.

Egli si rese conto che gli sforzi delle ri-cerche degli studiosi locali, per quanto

ampi e produttivi, dovevano trovare ne-cessariamente un riferimento in un’isti-tuzione come il Museo Friulano, intesocome “un centro della coltura cittadina, undeposito delle patrie memorie, un santuariopel culto della patria”. Un progetto cultu-rale di indubbia portata, che volle vede-re unite le Lettere e le Scienze, la biblio-teca e i musei, attraverso un centro cul-turale sviluppato modernamente me-diante itinerari e percorsi didattici. InPirona, le convergenze tra le ricerchenaturalistiche e quelle lessicografico-umanistiche sono notevoli anche rispet-

Giulio Andrea Pironastorico della natura

Francesco Grossi

Figura 1 - Giulio Andrea Pirona

to ai suoi contemporanei, grazie al con-cetto unitario sotteso dietro entrambe,la conoscenza e la salvaguardia del ter-ritorio. L’indagine dei fenomeni lingui-stici e di quelli geologico-biologici sonola manifestazione della continua volon-tà del friulano di entrare in contatto conuna realtà complessa, con la “storia na-turale” del proprio territorio, altro con-cetto che è andato via via attenuandosi,come sottolinea anche Poldini (1997),proprio perché andato progressivamen-te perso il senso della profonda unitàdei fenomeni.Per quanto riguarda la botanica, fon-damentale la sua summa, il“Florae Forojuliensis Syllabus”(1855), il primo trattato sullaflora friulana, nel quale elen-ca e descrive 2046 taxa, nu-mero non distante rispetto aquello attuale. Pirona curòanche il Vocabolario BotanicoFriulano (1862), a riprova del-la sua decisa volontà di co-niugare il sapere del camponaturalistico con quello lessi-cografico. Da ricordare ancheil trattato Piante indigene delFriuli utili all’industria (1859),nel quale ancora una volta ètestimoniata la volontà delfriulano di abbattere qualsia-si tipo di barriera che separiforme di conoscenza diverse,mettendo, in questo caso, labotanica al servizio delle ap-plicazioni industriali. Il Pi-rona geologo produsse, nel1861, la prima carta geologicadel Friuli (in scala 1:332.000),oltre numerosi lavori anche

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I protagonisti

nel campo della geologia applicata. Oc-corre fare qualche accenno anche allesue opere zoologiche, per rendere ancorpiù la misura della vastità del suo ap-passionato impegno di ricercatore.

Si interessò ai vertebrati, entrando incontatto con i maggiori studiosi dell’e-poca; produsse un Vocabolario Zoologico(1871), così come diversi lavori applica-tivi anche in questo settore, dalla pescaalla zootecnia. La sua specializzazionefurono però i molluschi, la loro classifi-cazione e distribuzione geografica, tan-to che diversi autori dedicarono a Piro-

Figura 2 - Prima pagina del lavoro sui fossili cretacici del Friuli (1884)

verdi a fauna giurese, e coi calcari più recen-ti che più a nord formano le cime del Trémole del monte Cavallo (m. 2248). Ciocché, sela salute e l’energia non mi faranno difetto,spero di intraprendere tra non lungo tem-po”. In quest’ultima frase, poi, sembraessere racchiusa tutta la passione e l’e-clettico spirito dell’autore (all’epoca ul-trasessantenne), guidato dalla stella po-lare della Ricerca e della successiva or-ganizzazione e conservazione delle co-noscenze acquisite. La precisione tasso-nomica del lavoro, poi approfondito inulteriori pubblicazioni del periodo, trale quali Pirona (1887), fu confermataproprio da Zittel, a cui Pirona aveva in-viato alcuni esemplari per una consu-lenza. I suoi lavori sulle faune fossili amolluschi vennero apprezzati fin da subito: il paleontologo tedesco GeorgeBoehm esaminò il materiale raccolto

da Pirona, recuperò al-tri esemplari nei terreniesaminati dall’autore e,a conferma di un’impor-tante intuizione del friu-lano, dedicò nel 1885 alcollega la nuova speciedi rudista Diceras pironai,genere che si ritenevaestinto alla fine del Giu-rassico e che Pirona ave-va identificato in livellidi età indiscutibilmentecretacica. Pirona istituìun unico nuovo generein tanti anni di ricerche e decine di pubblicazio-ni, Synodontites (una ru-dista): ciò è prova dellasua meticolosità nel ri-cercare le informazioni e

60QUADERNI

DEL MUSEO

I protagonisti

na nuove specie. In Pirona (1884) (fig.2), l’autore istituisce 6 nuove specie dimolluschi fossili: 4 gasteropodi riferiti algenere Nerinea, un gasteropode riferitoal genere Nerita e un Pectinidae, Janirazitteli, attribuita poi da Redlich nel 1901al genere Neithea, taxon istituito già nel1825 da Drouet. Dal punto di vista dellanomenclatura, è interessante notare co-me, nel lavoro di Pirona, il nome specifi-co sia riportato in maiuscolo come erain uso ai tempi nel caso la specie fossededicata ad una personalità del mondoscientifico, in questo caso al noto pa-leontologo tedesco Karl Zittel. In ognicaso, Pirona approccia anche le questio-ni paleontologiche con vivo taglio geo-logico: “L’importanza del fatto esige che sie-no fissate con sicurezza le relazioni che i cal-cari a fauna urgoniana dell’altipiano di Colde Schiosi hanno coi calcari e colle arenarie

Figura 3 - Esemplare di Neithea zitteliesposto al Museo “Ardito Desio”

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I protagonisti

nel confrontare i propri dati (in questocaso tassonomici) con quelli già noti,della volontà di non aumentare la con-fusione che spesso regnava (e regna tut-tora) nel mondo della sistematica. Pur-troppo, solo una parte delle sue raccoltepaleontologiche è conservata presso ilMuseo Friulano di Storia Naturale, ingran parte perse a seguito delle dueguerre mondiali. La morte lo sorprese il28 dicembre 1895, mentre si recava allastazione di Udine, dove il treno per Ve-nezia lo avrebbe portato ad una riunio-ne dell’Istituto Veneto di Scienze, Arti eLettere, di cui era ancora appassionatocollaboratore.Il Museo “Ardito Desio” è recentementeentrato in “contatto” con la multiformefigura di Giulio Pirona durante la risi-stemazione delle collezioni geopaleon-tologiche: ad arricchire il patrimoniopaleontologico del Museo è infatti pre-sente un esemplare di Neithea zitteli (Pi-rona, 1884) (fig. 3), il primo dei ritrova-menti della specie in Appennino centra-le, che ha permesso di estendere la suadistribuzione rispetto all’area friulana alcentro degli studi di Pirona.Occorre quanto più possibile che il pa-trimonio paleontologico italiano siadapprima tutelato, poi conservato e va-lorizzato, anche per il doppio nodo traquesto patrimonio, inteso come beneculturale, ed il territorio. Nel solco trac-ciato da personalità come quella di Giu-lio Andrea Pirona, i centri museali, spe-cie quelli fortemente legati alle realtà locali, dovrebbero avere come propriastella polare la ricerca scientifica, la sal-vaguardia e l’organizzazione delle co-noscenze e dei patrimoni acquisiti e laloro divulgazione ad un pubblico il più

vasto possibile, in modo che, semprepiù, si possa entrare in contatto con lastoria naturale del proprio territorio.

In chiusura, un’esortazione tratta dalFlorae Forojuliensis Syllabus, con le qualiPirona chiude l’introduzione del volu-me, dedicata agli adolescenti (“Adole-scentes dilectissimi”):

“Eja igitur adolescentes strenui, si non in-cassum naturalis historiae studiis operamdedistis, experiamini quam dulce sit patriaetelluris opes et nosse, et in lucem proferre”.(“Orsù, dunque, ragazzi coraggiosi, sevi foste dedicati alla non inutile impresadello studio della storia naturale, avre-ste sperimentato quanto sia dolce cono-scere le forme della terra patria e por-tarle alla luce”).

Bibliografia

Pirona G.A., 1855. Florae Forojuliensis Syllabus,1-170, Udine.

Pirona G.A., 1859. Piante indigene del Friuli uti-li all’industria, Udine.

Pirona G.A., 1884. Nuovi fossili del terreno cre-taceo del Friuli. Memorie dell’Istituto Veneto diScienze Lettere ed Arti, 22, 1-12.

Pirona G.A., 1887. Nuova contribuzione allafauna fossile del terreno cretaceo del Friuli.Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, 5, 1335-1340.

Poldini L., 1997. Giulio Andrea Pirona botanico.In: Vecchiet R. (ed.), Giulio Andrea Pirona1822-1895 - Atti del Convegno di studi suGiulio Andrea Pirona nel centenario dellamorte, Udine, 81-91.

Figura 4 - La firma dell’autore

miasse maggiore orbitale min-max 3,2-2,7 U.A.), ha la forma di un ellissoide atre assi, con l’asse maggiore lungo 130km (fig. 1). Presenta l’asse polare incli-nato di quasi 85° rispetto al piano del-l’orbita, risultando circa parallelo al pia-no orbitale. Le analisi spettroscopicheda Terra avevano fatto pensare che fosseun oggetto di tipo M, ovvero avesse unacomposizione metallica. Lo spettrografo di bordo OSIRIS (acro-nimo per Optical, Spectroscopic and Infra-red Remote Imaging System) ha stabilitoche almeno il materiale superficiale, peruno strato di regolite di circa 600 metri,

appartiene al tipo C, costituito damateriale di tipo condritico: la den-sità è 3,4 g/cm3. Questo è il secondo “corpo minore”raggiunto dalla sonda, dopo l’incon-tro con Mathilde verificatosi nel 2006.Un importante obiettivo nello cono-scenza dei corpi minori del nostro Sistema sarà raggiunto nel luglio del2011, quando la sonda Dawn rag-giungerà 4 Vesta, entrando in orbitaintorno ad esso, con lo scopo di stu-diare l’enigmatico pianetino, che, no-nostante le limitate dimensioni, pre-senta una superficie di tipo basaltico,analoga a quella della Luna.

62QUADERNI

DEL MUSEO

L’asteroide, scoperto nel 1852, e il cuinome è dedicato a Parigi, Lutetia è infat-ti il nome latino della capitale francese, èstato raggiunto dalla sonda Rosetta del-l’Agenzia Spaziale Europea, durante ilsesto anno del lungo viaggio che la por-terà nel maggio del 2014 a incontrare lacometa 67P/Churyumov-Gerasimenko conl’obiettivo, tra gli altri, di analizzare lacomposizione chimica e mineralogica diquell’oggetto celeste.Il 10 luglio 2010 Rosetta ha effettuato un fly-by (sorvolo ravvicinato) alla mi-nima distanza di 3160 km. L’asteroide,appartenente alla Fascia Principale (se-

Notizie da Rosetta. Vulcani su Venere. L’interno di Titano

a cura di Maurizio Chirri

L’asteroide 21 Lutetia sorvolato dalla sonda Rosetta

Figura 1 - Lutetia ripreso dalle telecamere di Rosetta, durante il “fly-by” (ESA released)

BREVI DAL SISTEMA SOLARE

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Brevi dal Sistema Solare

La sonda Venus Express dell’ESA, ha rile-vato, tramite lo spettrometro di bordoVIRTIS (acronimo per Visible and InfraRedThermal Imaging Spectrometer), tracce direcente attività vulcanica. Le precedentimissioni Venera 15 e 16 (URSS, 1983) eMagellan (USA 1990-1994) avevano con-fermato la presenza di vulcani imponentisul pianeta gemello della Terra, che sug-gerivano l’esistenza di un vulcanismo ti-po “hot spot”, analogo a quello delle iso-le Hawai. Le stesse riprese al suolo dellesonde Venera 13 e 14 (rispettivamente ot-tobre e novembre del 1981) avevano mes-so in evidenza estese pianure laviche, lacui composizione, analizzata dallo spet-trometro di bordo, era risultata rispet-tivamente analoga ai tipi terrestri noti come basalti leucititico e tholeitico.

Il team di gestione dello spettrometroVIRTIS, progettato dai ricercatori del-l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisi-ca), ha mappato alcune regioni attive,chiamate Imdr, Dione e Themis (fig. 2),rilevando, sulla base dell’analisi colori-metrica, deviazioni di 2°-3°, dalla tempe-ratura prevista al suolo.In effetti l’alterazione prodotta dall’at-mosfera altamente corrosiva e dalle altepressioni tipiche, deteriora efficacementele rocce basaltiche, procurando un effettodi sbiancamento. Le colate laviche map-pate da Venus Express erano, invece, de-cisamente scure, suggerendo un’età diemissione recente, forse di solo pochemigliaia di anni: geologicamente parlan-do, si può dunque affermare che alcunivulcani di Venere sono ancora attivi.

Vulcani attivi su Venere?

Figura 2 - La regione dei vulcani attivi è nell’ellisse in nero (cartografia da Pioneer Venus, USA 1977)

la presenza di bacini e laghi di idrocar-buri (fig. 3). Questi sarebbero alimentati da un ciclodel metano analogo a quello idrologicodella Terra, come previsto dagli astrofi-sici Tobias Owen e Carl Sagan con circatrent’anni di anticipo. L’atmosfera di Ti-tano è composta dal 98% di azoto e dal2% circa di idrocarburi, fra cui prevale ilmetano, e altri componenti minori, conuna pressione di 1,5 bar. La crosta dellaluna, risulta composta da ghiaccio d’ac-qua, che alla temperatura di –180 °C (95 K) si comporta come un materiale

più duro del granito. Le per-turbazioni gravitazionali in-dotte sulla sonda Cassini,hanno fornito preziose in-formazioni sul coefficiented’inerzia del satellite, dimo-strando che Titano presentaun modesto grado di diffe-renziazione del suo interno.Non si potrebbe dunque par-lare di una struttura internasuddivisa in nucleo, mantel-lo e crosta, come per esem-pio per le lune di Giove, madi una composizione pre-valentemente omogenea dighiaccio misto a silicati. Successivi sorvoli ravvicina-ti (“fly-by”), permetterannodi confermare o escludere l’ipotesi di un oceano sottola crosta ghiacciata. La mis-sione congiunta NASA-ESA-ASI della Cassini è stata este-sa fino al 2017.

64QUADERNI

DEL MUSEO

Brevi dal Sistema Solare

La sonda Cassini, giunta nel sistema diSaturno nel luglio 2004, continua il pro-gramma di esplorazione del pianeta edei suoi satelliti, fornendo un’impressio-nante mole di informazioni. I dati rica-vati dalle variazioni delle orbite permet-tono di indagare e svelare la costituzio-ne fisica dei satelliti.Titano, la “sesta luna”, con un diametrodi 2575 km, sulla cui superficie si è po-sata nel gennaio 2005 la “sonda figlia”Huyghens, ha svelato il suo enigmaticoaspetto, celato dalla coltre di spesse eopache nebbie atmosferiche, rilevando

Figura 3 - Riflesso solare sulla superficie del Kraken Mare,al polo nord di Titano (Cassini, luglio 2009, NASA released)

Titano: la struttura interna differisceda quella di altri satelliti giganti

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MUSEO GEOPALEONTOLOGICO ARDITO DESIOPROGRAMMA OSSERVAZIONI

ottobre 2010-marzo 2011

LA ROCCA DELLE STELLESERATE OSSERVATIVE

Il programma prevede una breve conferenza introduttiva seguita dall’osservazioneguidata della volta celeste a occhio nudo, al binocolo e al telescopio. Il calendariopuò subire delle modificazioni per imprevisti meteorologici: si consiglia di telefonareal numero indicato per ogni serata. L’appuntamento è fissato alla Rocca Colonna. Le serate si svolgono a circa 1000 metri di quota, pertanto si consiglia un abbiglia-mento adeguato. (info: Comune lun-ven, ore 9-13 - tel.: 06-9574952-9584098; fax: 06-9584025. È richiesta la prenotazione per gruppi o associazioni. Costi: 5 euro)

LA SCOGLIERA FOSSILEESCURSIONI

Il programma prevede una breve conferenza introduttiva dalle terrazze del Museo,con la descrizione della vista di un'ampia parte della regione e di aspetti rilevantidella storia geologica del Lazio. Segue l'escursione alla scogliera fossile. Il calendariopuò subire delle modificazioni per gli imprevisti meteorologici: si consiglia di tele-fonare al numero indicato. L’appuntamento è fissato al Museo presso la Rocca Colonna. Le visite sono collegate alle serate osservative astronomiche; si consiglia un abbigliamento adeguato. (info: Comune lun-ven, ore 9-13 - tel.: 06-9574952-9584098; fax: 06-9584025. È richiesta la prenotazione anche per i singoli visitatori oltre che per gruppi o associazio-ni; la visita si effettua con almeno 10 richieste. Costi: 4 euro, prenotazione obbligatoria almeno un giorno prima all’indirizzo [email protected])

Sabato 16 ottobre 2010 - Serata Lunaore 21.00 – 23.30; info 06-5566271

Sabato 30 ottobre 2010ore 18.00 – 21.00; info 06-5566271

Sabato 27 novembre 2010ore 18.00 – 21.00; info 06-5566271

Sabato 11 dicembre 2010 - Serata Lunaore 18.00 – 21.00; info 335-6575023

Sabato 16 ottobre 2010ore 16.30 – 18.30; info 06-5566271

Sabato 11 dicembre 2010ore 15.00 – 16.30; info 335-6575023

Sabato 26 febbraio 2011ore 15.30 – 17.30; info 06-5566271

Sabato 26 marzo 2011ore 16.00 – 18.00; info 335-6575023

Sabato 29 gennaio 2011ore 18.00 – 21.00; info 335-6575023

Sabato 26 febbraio 2011ore 18.00 – 21.00; info 06-5566271

Sabato 12 marzo 2011- Serata Lunaore 18:00 – 21:00; info 06-5566271

Sabato 26 marzo 2011ore 18.00 – 21.00; info 335-6575023

66QUADERNI

DEL MUSEO

METEO

In questo spazio vengono presentati i dati registrati dalla stazione meteorologicadel Museo Geopaleontologico: temperatura (minima e massima), vento (direzione e velocità), precipitazioni e stato del cielo.

Il tempo che ha fattoAssociazione Onlus Edmondo Bernacca

L’Associazione Edmondo Bernacca - Onlus è natagrazie alla volontà ed alla dedizione di alcuni gio-vani uniti dalla stessa passione: la meteorologia.L’Associazione racconta questa scienza a 360° tra-mite la divulgazione e l’informazione della meteo-rologia passata, presente e futura. Fra i soci fon-datori, oltre a molti meteo-appassionati, il figlio diEdmondo, Paolo, il Gen. Andrea Baroni, l’amico ecollega di sempre, la Dottoressa Franca Mangianti

(Presidente dell’Associazione), responsa-bile dell’Osservatorio meteorologico delCollegio Romano di Roma, e i noti meteo-rologi Giancarlo Bonelli (Vice presidente)e Francesco Laurenzi.Proprio in quest’ottica è nato il ProgettoCLIMA, in cui rientra la centralina meteoposta a Rocca di Cave, la quale rivesteun ruolo importante vista la sua posizionedominante sulla Provincia Romana.Solo studiando il clima possiamo capire illuogo dove viviamo, gestire al meglio lenostre attività lavorative e il tempo libero,rispettare l’ambiente prevenendo disastri.

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Meteo

Cielo sopra il Monte Soratte (foto C. Amadori)

Associazione Edmondo Bernaccaonlus

68QUADERNI

DEL MUSEO

VARIABILIA

Iniziamo questa rubrica occupandoci diuna stella variabile peculiare, e cioè Be-telgeuse, la stella alfa della costellazionedi Orione (fig. 1).Betelgeuse, una stella supergigante dicolore rosso, è stata classificata come va-riabile semiregolare di tipo c.Questa stella ha attirato su di sé l’atten-zione e la curiosità di tutta la comunitàastronomica in almeno un paio di occa-sioni. Infatti, nel 1920, fu la prima stelladi cui si riuscì a misurare direttamente ildiametro, utilizzando uno strumento ap-pena inventato, l’interferometro. Betel-geuse fece ancora parlare di sé qualcheanno fa, in quanto fu la prima stella dellaquale si riuscì ad ottenere, grazie al Tele-scopio Spaziale Hubble, un’immaginediretta della sua atmosfera (fig. 2).

Ma le sorprese non finirono qui, perché,proprio dall’esame di queste immagini,gli astronomi riuscirono a rivelare quelloche non era mai stato possibile rivelaresu nessun’altra superficie stellare, e cioèla presenza di una sorta di area più chia-ra di cui, inizialmente non si riuscì ad in-tuire il significato.Le prime misure relative alle sue dimen-sioni ed alla sua temperatura, evidenzia-rono che si trattava di una formazioneche possedeva un diametro dieci voltemaggiore di quello della Terra, e che lasua temperatura era all’incirca 2.000 gra-di Kelvin più elevata rispetto a quelladelle zone circostanti.L’immagine suggeriva che un fenomenocompletamente nuovo e inaspettato po-teva originarsi nell’atmosfera di alcunestelle, ma naturalmente, per poter appu-rare un fatto del genere, saranno neces-sarie ulteriori, approfondite campagnedi osservazioni condotte con i maggioritelescopi a disposizione della comunitàscientifica.In particolare, si dovrà verificare se que-sta “macchia calda” sia associata alleoscillazioni tipiche delle stelle supergi-ganti, e, soprattutto, se esiste una varia-

Stelle variabili: BetelgeuseMarco Vincenzi

Figura 1 - Orione

Figura 2 -Immagine

dell’atmosfera di Betelgeuse

ottenuta dal Telescopio

Spaziale Hubble

Questo vuol dire che siamo di fronte auna supergigante, cioè una stella estre-mamente luminosa e massiccia.L’ampiezza della variazione luminosa èabbastanza contenuta (dell’ordine di al-cuni decimi di magnitudine), e la curvadi luce, ovvero il grafico che la rappre-senta in funzione del tempo, mostra del-le oscillazioni che non sono esattamenteperiodiche, alternate con dei periodi neiquali la variazione non è presente (fig. 3).

Le osservazioniLe osservazioni di questa variabile nonsono semplici da ottenere, soprattuttoperché, data la magnitudine apparentedella stella, non è semplice trovare stelledi confronto di luminosità adeguata nel-le immediate vicinanze.Con questa stella, data la grande lumino-sità, i metodi di osservazione più utiliz-zati sono quello visuale e quello tramitefotometro fotoelettrico. L’AAVSO, la maggiore organizzazione a livello mondiale che si occupa dell’os-

servazione e dello studio dellestelle variabili, ha appronta-to uno specifico programmaosservativo per poter seguirequesta interessante stella.

zione delle dimensioni e della posizionedi questa formazione, dovuta magari al-l’influenza di potenti campi magnetici.

Le variazioni di luceLe reali cause delle variazioni di luce diBetelgeuse ancora oggi non sono stateben comprese e si ipotizza che esse sianodovute alla lentissima e continua espan-sione degli strati esterni della stella, se-guite da nuove contrazioni. Sono movi-menti che avvengono su tempi di alcunianni, e che, in definitiva, non fanno altroche modificare la superficie totale dellastella, provocando aumenti della tempe-ratura superficiale, seguìti da diminuzio-ni della stessa, con il risultato che da Ter-ra si osservano le variazioni di luce dicui si è detto.

La classificazioneAbbiamo in precedenza accennato al fat-to che Betelgeuse è stata classificata co-me variabile di tipo SRc, ossia semirego-lare appartenente alla sottoclasse c.

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Variabilia

Figura 3 - La curva di luce di Betelgeuse nel periodo compreso tra il 1911 e il 2001

Bibliografia

Burnham, R. Jr., 1966. Burnham’s Ce-lestial Handbook v. 2. Dover Publi-cations, New York, pp. 1280-1299.

Davis, G.A., 1955. The meaning of Be-telgeuse. Sky and Telescope, p. 237.

Gilliland, R., Dupree, A.K., 1996.First image of the surface of a starwith the Hubble Space Telescope.Astrophysical Journal Letters, v. 463, p. L26.

Goldberg, L., 1984. The variability of Alpha Orionis. Publications ofthe Astronomical Society of the Pa-cific, 96, pp. 366-371.

70QUADERNI

DEL MUSEO

IL CIELO NEL MIRINO

Nebulose, supernovae, comete... e altro

Il terrazzo alla sommità della torre della Rocca Colonna ospita una stazione perl’osservazione della volta celeste, sia direttamente, sia utilizzando strumenti astronomici, fra cui un riflettore Schmidt-Cassegrain da 36 cm, con l’aiuto e laguida degli astronomi dell’Associazione Hipparcos. La strumentazione consente anche di ottenere splendide immagini degli oggetti celesti: in attesa dell’immi-nente arrivo della nuova camera CCD, ecco una breve panoramica di immaginiastronomiche realizzate a Rocca di Cave mediante una reflex digitale CanonEOS350D predisposta per una sensibilità di 800 ISO.

Nella pagina a fronte

Figura 1 - Le nebulose Laguna (M8) e Trifida (M20).

Figura 2 - La nebulosa Crescent (NGC6888).

Figura 3 - Il Velo del Cigno, il resto di una supernova intorno alla stella Sadr.

Figura 4 - Un’immagine della cometa 103/P-Hartley, una cometa periodicache passa nei pressi della Terra ogni 6,5 anni, ripresa il 2 ottobre 2010,quando si trovava a metà strada tra Cassiopea e Andromeda (in basso a sinistra si nota la fortuita traccia di un satellite artificiale).

Le immagini sono state ottenute attraverso il riflettore-guida montatoin parallelo allo strumento principale (diametro 80 mm, lunghezza focale 500 mm), con tempi di posa di 3 minuti.

Nell’ultima pagina di copertina

Il Mare Humorum, sulla Luna, ripreso al fuoco diretto del telescopio prin-cipale (Celestron C14, diametro 360 mm, lunghezza focale 3950 mm), conun tempo di posa di 1/1000 s.Il riquadro rosso sull’immagine piccola del nostro satellite indica la posizionedell’area ripresa nella fotografia della superficie lunare.

a cura di Bruno Pulcinelli

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Luna

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