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METODI E TECNICHE DEL LAVORO SOCIALE Collana diretta da Fabio Folgheraiter Lisa Parkinson La mediazione familiare Modelli e strategie operative Nuova edizione italiana a cura di Costanza Marzotto

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m e t o d i e t e c n i c h e d e l l a v o r o s o c i a l e

Collana diretta da Fabio Folgheraiter

Lisa Parkinson

La mediazione familiareModelli e strategie operative

Nuova edizione italiana a cura di Costanza Marzotto

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11 Presentazione (C. Marzotto)

25 Introduzione alla seconda edizione italiana

29 CAP. 1 La mediazione e la gestione del conflitto 29 Gestire il conflitto 31 Origini e sviluppo della mediazione 32 La Raccomandazione del Consiglio d’Europa 34 La Direttiva europea sulla mediazione del 2008 35 Definire la mediazione familiare 36 Differenze tra mediazione e conciliazione 38 Differenze tra la mediazione familiare e il counseling 40 La mediazione offre un’alternativa al processo 42 La mediazione non sostituisce la consulenza legale 43 La risoluzione alternativa delle controversie (ADR) 45 Principi e limiti della mediazione familiare 54 L’evoluzione della mediazione familiare come nuova disciplina

professionale

55 CAP. 2 Diversi approcci alla mediazione 55 Diversi modelli di mediazione 56 Mediazione strutturata 59 Mediazione trasformativa 62 Mediazione narrativa 64 Mediazione ecosistemica 69 Ecogrammi 71 Principi della mediazione ecosistemica 72 Connessioni tra i sistemi familiari e altri sistemi 74 Attaccamento e perdita 77 Mediazione interculturale 78 La mediazione: scienza o arte? 80 Una cornice teorica coerente per la mediazione familiare 81 Turbolenze e cambiamento nella mediazione con famiglie in cam-

biamento 83 Teoria del caos

i n d i c e

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85 CAP. 3 Prendere in considerazione la mediazione familiare 85 Il paradosso della mediazione familiare 86 Usare la mediazione fin dalle prime fasi? 87 La mediazione nelle situazioni di crisi 89 Atteggiamenti ambivalenti verso la fine della relazione 90 Triangolazione 91 Mediazione familiare e diversità culturale 92 Incontri di informazione e valutazione 95 Valutare l’idoneità della mediazione 97 Legami tra violenza domestica e abusi su minori 98 Screening dell’abuso domestico e protezione minorile 102 Altre circostanze in cui è necessario valutare l’opportunità di una

mediazione 103 Rinvio dei procedimenti legali per la mediazione

107 CAP. 4 Strutturare la mediazione 107 Spazi e attrezzature per la mediazione 108 Problemi di genere 109 Co-mediazione 112 Co-mediazione interdisciplinare 113 Diversi modelli di co-mediazione 115 Le condizioni per una co-mediazione efficace 117 La sinergia della co-mediazione 118 Mediazione-shuttle e caucus 124 Ampliare le possibilità della mediazione familiare 130 Mediazione ibrida familiare/civile

133 CAP. 5 Fasi e strumenti della mediazione 133 Le diverse dimensioni della separazione e del divorzio 134 Fasi della mediazione familiare 139 Gestire il conflitto 140 Coppie che si separano e divorziano: modelli di comunicazione e

di gestione del conflitto 150 Gestione del tempo 152 I limiti dei modelli a fasi 153 Il movimento circolare nella mediazione 153 Combinare abilità di processo, interpersonali, di problem solving 155 Le diverse sfaccettature del ruolo del mediatore

159 CAP. 6 Linguaggio e comunicazione 159 Comunicazione 160 Ascolto attivo e posizione «centrata» 161 Comunicazione non verbale 161 Silenzio

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161 Tensione, stress, rabbia repressa 162 Coppie che litigano senza ascoltare 163 Versioni conflittuali della verità 164 Fare domande 166 Domande orientate al presente 166 Domande orientate al passato 167 Diversi tipi di domande 170 Filtrare le negatività 171 Impiegare un linguaggio semplice 172 Difficoltà di linguaggio o di udito 172 Condizionamenti di genere nell’uso del linguaggio 173 Rapporti di superiorità e di inferiorità 173 Incoraggiare ognuno a parlare di sé 174 Agire come arbitri, mantenendo le regole di base 174 Ripetere e riassumere 175 Il mediatore come interprete per la coppia 175 Riformulazione e reframing 177 Messaggi e meta-messaggi 178 La punteggiatura 178 Linguaggio figurato e metafore

185 CAP. 7 La mediazione che mette al centro i figli 185 Figli e separazione 187 Conflitti tra genitori e adattamento dei figli 188 Reazioni comuni a diverse età 191 L’adattamento dei figli alla separazione dei genitori 192 Affidamento dei figli dopo il divorzio e responsabilità genitoriale 193 Figli a rischio di un danno 193 Genitorialità condivisa dopo la separazione 197 Mantenere l’attaccamento dei figli 197 Controversie e accordi tra genitori 198 Aiutare i genitori a elaborare progetti genitoriali nella mediazione 200 Aiutare i genitori a passare dal conflitto alla cooperazione 202 Tecniche e abilità nella mediazione sui figli 204 I ruoli dei figli nei conflitti genitoriali

211 CAP. 8 La mediazione familiare con coinvolgimento dei figli 211 I figli devono avere voce in capitolo 212 La voce del figlio 214 Un giudice dovrebbe incontrare i figli? 214 La mediazione focalizzata sul figlio 215 Rassicurazioni che i genitori devono dare ai figli 216 La mediazione che coinvolge i figli 217 Potenziali svantaggi del coinvolgimento dei figli nella mediazione

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218 Potenziali vantaggi del coinvolgimento dei figli nella mediazione 220 Prerequisiti e check-list per la mediazione con coinvolgimento dei figli 221 Concordare gli accordi sia con i genitori, sia con il figlio 221 L’approccio al figlio e il consenso del figlio 223 I figli e la loro esperienza di coinvolgimento nel processo di mediazione 225 Talenti, conoscenze e abilità per la mediazione con coinvolgimento

dei figli 227 Mediazione genitori-figli 227 Mediazione con figli, genitori e insegnanti 228 Lavori di gruppo con i figli di genitori separati 228 Formare bambini e ragazzi alla mediazione tra pari 229 Un approccio olistico

231 CAP. 9 La mediazione nelle questioni finanziarie 231 Separazione, divorzio e povertà 232 Il significato del denaro e della proprietà 233 Problemi correlati: figli e questioni finanziarie 234 Raccogliere informazioni finanziarie 234 Entrate e uscite 235 Un esempio di mediazione su questioni finanziarie 237 Usare la lavagna 239 Abilità di mediazione quando si affrontano questioni finanziarie 242 Valore emotivo e simbolico dei beni di proprietà 243 Controversie nelle unioni civili 243 Mediazione nelle dispute ereditarie

245 CAP. 10 Gestire gli squilibri di potere nella mediazione 245 Diversi modi di vedere il potere 246 Potere e genere 247 Coppie che condividono il «posto di guida» 249 Gli squilibri di potere nella mediazione familiare 257 Rafforzare l’empowerment dei partecipanti alla mediazione 258 Fino a che punto il mediatore deve intervenire? 259 Gestire gli squilibri di potere in mediazione 260 Concordare regole di base 261 L’uso del potere da parte del mediatore 265 L’altalena della mediazione

269 CAP. 11 Affrontare le impasse 269 Circoli e trappole 270 Tecniche di Programmazione Neuro Linguistica (NLP) e mediazione 272 Struttura e ritmo 273 Tecniche e strumenti 276 Una tipologia dei blocchi

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277 Individuare i blocchi 281 Verificare l’impegno nella mediazione 283 Aspro conflitto nella mediazione 286 I blocchi all’interno degli individui 293 Blocchi interiori del mediatore 294 BATNAS e WATNAS 296 Alcuni punti morti restano punti morti 297 Teoria dei nodi e mediazione

299 CAP. 12 La ricerca sulla mediazione

299 Valutare la mediazione 301 Il progetto pilota di ricerca sulla mediazione familiare 302 Questioni di genere e mediazione 304 Costi della mediazione e costi legali 306 I mediatori risolvono casi facili? 307 Percentuali di accordo e soddisfazione fra i clienti 309 Il processo di mediazione 310 Che cosa rende un mediatore più efficace di un altro? 311 Fattori predittivi di esiti positivi in mediazione 312 Si può trarre qualche conclusione?

315 CAP. 13 La mediazione familiare internazionale e i suoi orientamenti per il futuro

315 La mediazione familiare in Europa: una panoramica 326 Il Forum europeo per la formazione e la ricerca in mediazione familiare 327 La Direttiva Europea sulla Mediazione 2008 328 Armonizzazione dei sistemi legali in Europa 328 Conferenza dell’Aia di Diritto Internazionale Privato 329 Cooperazione giudiziaria nei casi internazionali transfrontalieri 331 Mediazione transfrontaliera in materia familiare 334 Diversi modelli di mediazione familiare internazionale 335 Invio alla mediazione transfrontaliera 335 Esecuzione degli accordi stretti in mediazione 336 Formazione nella mediazione familiare internazionale 338 Mediazione online 339 L’evoluzione continua della mediazione familiare

341 Bibliografia

353 APPendiCe 1 Gli standard del Forum europeo per la formazione nella mediazione familiare

357 APPendiCe 2 La normativa italiana in materia di famiglia (M. Jacometti e M.A. Ermini)

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Presentazione

Costanza Marzotto

La fedeltà di un’amicizia

Questo principio secondo cui il tribunale interviene soltanto nei casi in cui sia davvero necessario è in armonia con la filosofia della mediazione familiare di aiutare i genitori a raggiungere un accordo riguardo alla sistemazione dei figli.

Ditemi se è poco!Ribadiamo da tempo — e la Parkinson lo raccomanda anche ai ricercatori

nell’ultimo capitolo — che la mediazione dovrebbe «tener conto dell’orizzonte a lungo termine degli adulti, piuttosto che concentrarsi su una risoluzione a breve termine delle controversie». In questo evocando una dimensione trasformativa della relazione tra i due genitori e tra i genitori e i figli che va ben al di là della redazione di un accordo. Il focus dell’intervento professionale del mediatore è la cura dei legami familiari, che per loro natura sono eterni (Marzotto, Adamo e Morici, 2012).

Era la primavera 2012 quando con Lisa Parkinson ci siamo trovate di nuovo insieme a Venezia, con un gruppetto di «grandes mères de la médiation familiale», come amiamo chiamarci: Annie Babu, Linda Bérubé e noi due. Nel corso degli ultimi 25 anni abbiamo avuto — tutte e quattro — la grande fortuna di progre-dire parallelamente nell’universo della mediazione familiare e di contribuire, con molti altri, allo sviluppo di questa azione professionale che avrebbe permesso ai genitori separati di vivere la rottura della propria coppia, pur mantenendo il legame genitoriale, con grande beneficio proprio e soprattutto dei figli. Nel

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12 La mediazione famiLiare

frattempo eravamo diventate tutte nonne di nipotini nati dai nostri figli in Fran-cia, Inghilterra, Canada e Italia, avevamo generato numerose stirpi di mediatori familiari nei diversi centri di formazione e potevamo a buon diritto collocarci tra i promotori di questa pratica nei rispettivi Paesi. Adesso per ciascuna di noi l’impegno con le coppie in conflitto e la didattica sono allietate dalla compagnia dei rispettivi petits enfants, ai quali raccontiamo di un gruppo di amiche storiche con le quali ci siamo appassionate ai «litigi» e abbiamo collaborato intensamente al di là degli oceani.

Già allora Lisa aveva cominciato a rivedere il suo testo base sulla mediazione familiare e a distanza di dieci anni anche per l’Italia era giunto il momento di una riedizione.

Le novità e gli approfondimenti

Troverete in questa seconda edizione delle perle ancora più preziose di quanto già condiviso nella edizione del 2003, utili per arricchire la nostra competenza professionale di mediatori: prima di tutto segnalo l’attenzione dedicata nel capitolo 13 alla mediazione familiare internazionale — «transfrontaliera» come la definisce la Parkinson — dove sono presi in considerazione i conflitti e le interazioni tra sistemi culturali, legali e familiari dei diversi Paesi che richiedono al mediatore un lavoro sempre più complesso. Molti di noi infatti sono coinvolti in situazioni in cui «i figli generati da persone in movimento» sono sottratti a uno dei genitori e alla parentela di una delle due stirpi familiari, con la necessità di interventi non solo del Servizio Sociale Internazionale, ma anche dei mediatori familiari plurilingue, capaci di mettersi in comunicazione tra stati e contesti assai intrecciati per poter sortire accordi efficaci. Ancora una volta però la sensibilità dell’autrice, oltre alle tecniche operative, ci segnala il dolore e la fatica fisica e mentale che questi minori devono affrontare, al di là della buona volontà dei professionisti.

L’altra perla preziosa di questa seconda edizione è l’ampliamento dei capitoli in cui si esplora l’utilizzo della mediazione in altri contesti, quali ad esempio la cura delle relazioni tra le generazioni e tra pari, dove l’autrice ci fornisce strumenti utili per favorire la negoziazione tra eredi e anziani, ecc., che noi chiamiamo mediazione intergenerazionale. Nel capitolo 4, infatti, la Parkinson approfondisce metodologie e tecniche per accompagnare questo tipo di transizione familiare, ovvero individua le caratteristiche di un percorso mediativo in cui ancora una volta il contenuto dell’accordo è strettamente connesso alla continuità della relazione e in cui la «persona anziana» è da valutare come soggetto in possesso di un potere negoziale adeguato al contesto. Anche in Italia quest’area di appli-

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PresenTazione 13

cazione della mediazione si sta molto sviluppando e richiede un aggiornamento delle competenze acquisite (Marzotto e Digrandi, 2013). In questo stesso capitolo la mediazione viene proposta anche per le così dette «adozioni aperte», da noi inesistenti, ma dove i contenuti ci interessano comunque come possibilità di utilizzo di tecniche mediative in contesti in cui la parità di potere è inesistente, e il terzo non è per niente imparziale, in quanto si preoccupa prevalentemente dell’interesse del minore.

Ancora più apprezzabile è ritrovare nel capitolo 2 un approfondito lavoro della Parkinson dedicato alla presentazione dei diversi modelli di mediazione familiare — da quello «strutturato» a quello «trasformativo» — per arrivare a illustrare il proprio, definito «ecosistemico». Come un mediatore efficace esplora più opzioni con i confliggendi prima di aiutarli a scegliere la soluzione buona per loro, così il professionista conosce, esamina con curiosità i vari stili di lavoro oggi affermati nel mondo, ne commenta quelli che a suo parere sono i vantaggi, ma ne evidenzia anche i difetti e sceglie cosa mettere nella sua borsa degli attrezzi. Come noto i modelli di intervento mediativo fanno riferimento a teorie sulla famiglia, definiscono il ruolo del mediatore e i suoi rapporti con il contesto ed enfatizzano alcuni obiettivi rispetto ad altri (raggiungere un accordo o trasformare la natura della relazione o addirittura il funzionamento psichico delle parti). Ogni scuola adopera tecniche specifiche pur nella comune appartenenza alla comunità scientifica dei mediatori familiari, e per ogni scelta compiuta l’autrice ben ce ne mostra le fondamenta. Non una rassegna neutrale, ma una presentazione che meglio ci aiuta a capire dove lei si colloca, affinché ciascuno di noi lettori possa a sua volta essere maggiormente informato e compiere le proprie scelte, e declinare più profondamente il proprio modo di operare.

Ancora a proposito del modello relazionale simbolico

Nella precedente presentazione mi ero soffermata a lungo sulle affinità e differenze tra il modello di lavoro della collega anglosassone e quello «relazionale simbolico» al quale facciamo riferimento con il gruppo di mediatori formati all’Alta Scuola di Psicologia «A. Gemelli» dell’Università Cattolica di Milano; anche oggi mi piace compiere alcune connessioni e riscontrare diversità, grazie anche alle numerose occasioni di confronto che abbiamo avuto in questi anni. Penso ad esem-pio a quando in occasione del V Congresso internazionale dell’ESFR (European Society Family Research) su Family’s transitions and families in transition, svoltosi a Milano nell’ottobre 2010 in Università Cattolica, ci confrontammo nel mio workshop sulla mediazione familiare come risorsa per accompagnare la

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14 La mediazione famiLiare

transizione del divorzio in Gran Bretagna, Spagna, Polonia e Italia, o al Seminario internazionale del 20 febbraio 2013, in cui abbiamo dialogato con Francine Cyr dell’Università di Montréal sul tema dell’accesso alla mediazione familiare. Molto proficua è stata la riflessione comune sugli aspetti normativi, le prassi operative, le procedure utilizzate in Canada, in Inghilterra e in Italia per informare i genitori, come troverete nel terzo capitolo.

A partire dalla pubblicazione del volume di Scabini e Cigoli Alla ricerca del famigliare e in occasione del Convegno promosso dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, presso l’Università Cattolica di Milano, il 26 e 27 ottobre 2012, Il «famigliare» tra ricerca e intervento. Il modello relazionale simbolico, ho avuto modo di ripensare con il collega Giancarlo Tamanza alle peculiarità della mediazione familiare relazionale simbolica, e desidero continuare quel dialogo/confronto con Lisa focalizzandomi su due questioni particolari: gli oggetti della mediazione e l’uso di specifici strumenti quali il genogramma, che lei chiama ecogramma.

Prima di tutto concordo sul fatto che la mediazione è globale, ovvero che la formazione del professionista e la proposta ai genitori verte sulle questioni relative alla cura dei figli, ma anche sugli aspetti finanziari: non è pensabile che le questioni di tipo economico possano essere slegate dalle scelte educative. L’opzione per un tipo di scuola privata bilingue per una coppia di madre ame-ricana e padre italiano verte su un contenzioso culturale ma anche finanziario: è innegabile. A questo proposito questa seconda edizione si è arricchita di due capitoli: il 9, dedicato analiticamente a come affrontare le questioni economiche e al loro valore simbolico (vendita della casa, spese per i figli, ecc.), e il 10, dove si approfondisce il tema dello squilibrio di potere nella coppia — tema ripreso anche nel capitolo 13 quando si parla della mediazione familiare tra genitori di cultura, etnia, appartenenza geografica diverse, dove anche il denaro ha un valore diverso soprattutto in tempi di crisi internazionale.

L’altra tematica, più tecnica, ma dal forte valore simbolico, è l’uso della lavagna a fogli mobili per la rappresentazione grafica del corpo familiare. La questione della storia, intesa come insieme di vicissitudini in cui un padre e una madre hanno fatto esperienza di legami e di cura — sono stati allevati al Sud o al Nord Italia, in Europa o in Argentina, ecc. —, da alcuni mediatori viene ritenuta inutile se non addirittura dannosa, in quanto sposterebbe il focus dall’accordo alle relazioni. Credo invece che il genogramma sia uno strumento coerente con il modello, in quanto aiuta i genitori a ricollocarsi nel proprio scenario generazionale e riconoscere che vi sono più generazioni interessate e coinvolte nella transizione e nel conflitto separativo e che gli effetti della separazione interessano l’intera organizzazione familiare. La diversità del termine utilizzato dalla Parkinson, «eco-

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PresenTazione 15

gramma», rimanda a una mappa relazionale arricchita di persone, luoghi e fatti che vanno al di là dei legami di sangue. È qui che in modo sintetico e rapido si collocano fatti ed emozioni connessi con l’evento separativo, spesso all’origine del contenzioso; è in questo semplice strumento che sono rappresentate le radici dei legami — pure a fronte delle diverse forme assunte dal corpo familiare nelle nostre società.

Andiamo oltre: come ho avuto modo di approfondire in altri testi, è il padre che costruisce l’identità della buona madre e la madre costruisce e per-mette l’avvento dell’identità del padre. Davanti a una frattura coniugale occorre prima di tutto fermarsi a capire cosa cambia nelle relazioni familiari e ancora più nella mente e nel cuore dei figli che attraversano questa inattesa e «non scelta» transizione di vita. In occasione della separazione o divorzio, il triangolo «sacro» padre, madre, figlio a volte diventa una semplice coppia e si tende all’espulsione/esilio del padre e della stirpe paterna dall’universo relazionale della prole. Mi sento perciò in dovere di approfondire ulteriormente la linea di lavoro della collega per sottolineare la dimensione cruciale del trauma da legame, quella relativa alla legittimazione reciproca tra genitori. Se — come ricordava Vittorio Cigoli (2013) — gli ex partner non hanno legittimato se stessi e l’altro in quanto genitori e se — in quanto figli — non hanno legitti-mato i propri genitori, riconoscendone così autorità e valore, non avranno a disposizione le fonti identificatorie necessarie per ciò che riguarda il rapporto generazionale. Se questo sia un lavoro da counselor o da mediatore è una questione aperta: forse fa parte degli effetti trasformativi della mediazione, ma certamente è un segmento di lavoro ineliminabile per accompagnare una coppia a negoziare.

Confermo ancora, a distanza di tanti anni di pratica e di supervisione di colleghi, quanto scrissi nell’edizione precedente: la transizione del divorzio ri-chiede — al pari di altre transizioni critiche — di essere fortemente ritualizzata, di avere un luogo e un tempo adeguati alla elaborazione del patto segreto e del patto esplicito. Non è sufficiente la redazione formale di un accordo di non belli-geranza tra i genitori, come avviene nella maggioranza delle separazioni quando viene sottoscritto un affidamento condiviso della prole: alla mediazione familiare la comunità sociale assegna una funzione più ampia, chiede che davanti a un terzo — rappresentante del corpo sociale — avvenga il riconoscimento dell’altro e il recupero della fiducia nei legami. Si può parlare di mediazione come transito verso l’acquisizione di una nuova identità soggettiva e del gruppo familiare. La Parkinson nel capitolo 6 parla del bisogno dei genitori di «riconoscere che è estremamente difficile continuare a essere co-genitori» anche se l’amore per la prole non viene mai meno!

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16 La mediazione famiLiare

La forma specifica che assume la relazione tra uomo e donna nella coppia è il patto. Il patto rimanda a un assetto fatto per vincolare-regolare elementi po-tenzialmente in tensione e conflitto. Non ci sarebbe bisogno di patto se l’armonia e il consenso fossero automatici o dati per scontati. Il punto non è passare dal conflitto al consenso; si tratta piuttosto di considerare il conflitto entro il legame, vale a dire entro un contesto teso a costruire appartenenza identitaria.

Il patto è nutrito dalle qualità simboliche che attraversano tutte le relazioni familiari e cioè fiducia-speranza sul versante affettivo e giustizia-lealtà su quello etico. La fiducia-speranza, il versante psichico del dono della vita, è il tipico dono della madre e la giustizia-lealtà è il tipico dono del padre, un patrimonio che fornisce appartenenza e attribuisce diritti e doveri. Da un punto di vista simboli-co tali qualità connotano però anche il rapporto tra coniugi: in esso infatti vive un’attesa materna (la fiducia-speranza nella relazione e la cura) e un’attesa paterna (l’impegno a mantenere ciò che si è promesso, cioè la responsabilità verso l’altro e i figli). «Materno e paterno», proprio perché qualità simboliche, non sono da confondere con ruoli e compiti di genere; a tutti e a ciascuno compete essere e madre e padre della relazione con l’altro. La «cura responsabile» è perciò l’azione cruciale che connota l’esercizio della genitorialità, ma anche, e con caratteristiche di maggior reciprocità, quello della coniugalità. Nel nostro modello teorico due sono gli elementi basilari della relazione di coppia che s’intersecano tra loro: la promessa e l’incontro segreto. La promessa è un impegno nei confronti dell’altro (di fedeltà, di condivisione di gioie e dolori) teso a trapassare il tempo. L’incontro segreto è quell’intreccio di affetti, in buona parte inconsapevoli, che dà luogo all’attrattiva prima e al legame poi. Si tratta delle attese e dei bisogni che ciascun partner si aspetta di soddisfare nel rapporto di coppia e che, ovviamente, si collega alla propria storia pregressa, ai modelli identificatori familiari e alle rappresen-tazioni della vita di coppia veicolate dalla cultura di appartenenza. L’incontro di bisogni e attese, sempre e comunque riferite al legame, tende a rivelarsi ex post, vale a dire quando il rapporto entra in crisi. La crisi è pensata come inevitabile, e come in sé neutra, nel senso che il legame può acquisire nuovi valori e nuova forza, oppure deteriorarsi e spegnersi. Qui la coppia è concepita come avente suoi gradi di libertà (apertura all’incerto e al non prevedibile) e non come mero ripetitore-trasmettitore di qualcosa che è avvenuto e avviene altrove. Essa ha un suo potere generativo-degenerativo; è nuovo soggetto che, pur immettendo nel suo spazio-tempo le eredità delle proprie stirpi e della cultura in cui vive, ha sue specificità e responsabilità nel forgiare il campo mentale della generazione successiva (Scabini e Rossi, 2004).

Il familiare ha dunque una struttura drammatica: è la sede del benessere della persona, ma può essere anche matrice della grave patologia e della sof-

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PresenTazione 17

ferenza psichica; perciò particolarmente importanti sono gli strumenti dedicati all’accompagnamento di questa transizione critica della separazione come la mediazione. Si tratta infatti di un passaggio a più stadi a cui alcune coppie vanno incontro e che vede dapprima la rottura — ovvero il riconoscimento del fallimen-to e della delusione —, per poi rilanciare il legame stesso, rilanciare un nuovo tipo di patto e «portare in salvo gli dei». L’evento paranormativo che provoca il passaggio, sia esso un evento espansivo come una nascita o un matrimonio o traumatico come un tradimento o una separazione, dà luogo a un periodo di disorganizzazione cui segue un periodo di ricerca più o meno attiva di soluzioni. La difficoltà del transito risiede nel fatto che esso pone i membri familiari in una condizione incerta, ambigua, rischiosa. In tutti i passaggi saliente è il tema della perdita, e ciò implica sempre una quota di dolore e faticosi processi di elabora-zione perché avvenga una vera trasformazione. Le trasformazioni non sono da concepirsi come semplici passaggi da una posizione all’altra; esse riguardano qualcosa che va lasciato producendo dolore e implicano il raggiungimento di un obiettivo/scopo che si declina in compiti precisi. Per questo pensiamo che non tutti i divorzi producono effetti relazionali deleteri e soprattutto non tutti i divorzi producono gli stessi effetti.

In occasione del divorzio quello che è in gioco è la negoziazione dei nuovi confini familiari, di nuove regole della vita familiare sotto due tetti; questa nuova pattuizione avviene all’interno di una prospettiva storica in cui il genogramma permette di ricollocare gli attori sulla scena del teatro delle «alchimie familiari», come le chiama V. Cigoli.

Non si può uscire dalla condizione di separati senza aver recuperato un sen-so, senza sentire di aver dato qualcosa e di aver ricevuto qualcosa. Il lavoro sulla storia di coppia, che non occupa tanto spazio in mediazione, non trattandosi di una terapia, non può prescindere da una ricerca sulle motivazioni alla divisione, in genere sostenuta da più cause, in cui soprattutto si cerca di superare il pen-siero, presente in alcune delle parti, che la rottura è avvenuta per «la malvagità di uno solo».

Molti mediatori condividono l’obiettivo della mediazione come occasione per imboccare la strada del riconoscimento della quota di responsabilità in capo a ciascun genitore, del riconoscimento del valore di sé e dell’altro e come un «nuovo momento pubblico», ritualizzato socialmente, in cui accordarsi sul modo di svolgere e di condividere il difficile compito dello scambio di doni tra le generazioni. Il senso e il valore di questo percorso compiuto trascende ampiamente il contenuto degli accordi raggiunti e ciò richiede di essere reso visibile, affinché possa essere riprodotto anche al di fuori del contesto di mediazione, nel proseguimento della cooperazione genitoriale. Per questo il modello di mediazione familiare relazio-

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nale simbolico prevede un ultimo incontro dedicato alla meditazione, cioè a una riflessione comune in cui si ripercorre il cammino compiuto e si aiutano i genitori a individuare le ragioni e le loro personali risorse che lo hanno reso possibile. È opportuno infatti prendere atto della conclusione degli incontri di mediazione, ovvero in termini simbolici della fine di un legame professionale in cui i genitori possono a volte sentirsi nuovamente fragili per l’assenza del «terzo», e possono fare fatica a praticare la fiducia nell’altro.

L’attuale panorama italiano

L’azione mediativa

In Italia la grande innovazione in questo campo è stata la promulgazione della Legge 54/2006 intitolata Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso, che introduce l’affidamento «condiviso», ovvero il diritto del minore ad accedere al padre e alla madre per poter crescere (la legge parla di bi-genitorialità).1 È all’interno di questa norma che si nomina esplicitamente l’istituto della mediazione familiare. All’articolo 155 sexsies del codice civile si legge: «Qualora se ne ravvisi la necessità il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione di provvedimenti […] per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiunger un accordo, con particolare riferimento all’interesse materiale e morale dei figli». Tale passaggio non deve essere visto nell’ottica dell’obbligatorietà, ma come una possibilità rivolta alle coppie per definire insieme un accordo di separazione che tenga conto delle reali necessità di entrambi e in particolar modo dei figli, in una prospettiva che riconosca le relazioni familiari e intergenerazionali come quel «prodotto generato da un accordo direttamente negoziato». L’itinerario della mediazione familiare è infatti un percorso per procedere al di là della frattura, contenendo la portata distruttiva della discordia e canalizzando le risorse familiari in senso generazionale. Come scrivevano Scabini e Cigoli già nel 2004, la mediazione dà un contributo nella direzione della salvazione del codice simbolico del legame. Di tale «salvazione» si gioverà il corpo sociale stesso, perché, come ci illustra anche questo volume della Parkinson, senza fiducia non nasce legame sociale. Proteggendo il legame familiare intergenerazionale il sociale protegge il suo futuro.

1 A me piace però parlare di co-genitorialità, nel senso che l’altro termine rischia di prefigurare due binari paralleli in cui il figlio cresce, ma non può ancora contare sulla collaborazione/cooperazione tra papà e mamma e si trova sulle spalle la difficoltà di dover compiere lui l’integrazione tra i modelli educativi delle due stirpi familiari.

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L’accesso alla mediazione viene prefigurato nella legge 45/2006 come un’indicazione «soft» da parte del magistrato, il quale — se i genitori sono d’accordo — suggerisce di rivolgersi a un servizio di mediazione familiare per redigere il «progetto educativo condiviso». Al suo interno sono però contenuti alcuni aspetti su cui vigilare: infatti per i magistrati può insinuarsi l’aspettativa di avere nel mediatore un «ausiliario del giudice», che riferirà in seguito quanto acquisto negli incontri con la coppia. Per i genitori questa può apparire come una retrocessione a un terzo — immaginato come onnipotente e magico — più capace del giudice di imporre scelte valide; infine alla collettività questo rimando alla mediazione può apparire come un prolungamento dei tempi e dei costi della giustizia!

Pur consapevoli del passo in avanti rappresentato dalla scelta per tutti i figli di avere diritto a un affidamento «condiviso», cioè di poter contare sulla responsa-bilità piena sia del papà che della mamma per crescere, l’utilizzo della mediazione si colloca in una posizione «rischiosa». Infatti a mio parere la tempistica non è la migliore: l’indicazione di andare altrove, data alla coppia quando già siede nelle aule di un tribunale, può essere vissuta come un «inutile rinvio» spesso imprati-cabile essendosi già insinuato uno stile di comunicazione antagonistico. Ormai lo stile oppositivo ha preso il sopravvento e i valori educativi condivisi fino a poco tempo prima sembrano sfumati… Le ricerche ci dicono altresì che quanto più è precoce l’avvio di una mediazione nella vicissitudine di una famiglia, tanto più esso è efficace e maggiori sono i risultati (Lucardi, Allegri e Tamanza, 2012). Perché sia evidente la separazione tra mediazione e iter giudiziario e perché la responsabilità educativa resti in capo a mamma e papà, il tempo «ottimale» per prendere accordi non può essere troppo vicino all’annuncio della decisione, ma nemmeno può avvenire quando si è già dentro l’ingranaggio tribunalizio — dal quale si esce o vittoriosi o sconfitti!

La figura del mediatore

In Italia noi mediatori siamo sempre traghettatori (Cigoli, 1999), ma non ancora una comunità di professionisti affermata. Infatti a oggi la mediazione familiare non è una attività riconosciuta e normata: disponiamo di quattro associazioni nazionali che aggregano le persone praticanti in questo ambito, ovvero sembra prefigurarsi una situazione in cui degli organismi intermedi si faranno carico di valutare le competenze e le abilità dei mediatori familiari, essendo sfumata l’idea di un ordine professionale ad hoc, o degli elenchi divisi per professionalità come in Canada (Farinacci e Errore, 2013). A prescindere dagli studi di base, colui che ha compiuto per un periodo di almeno due anni

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un lavoro teorico pratico di almeno 240 ore,2 sarà esaminato da una delle as-sociazioni dei mediatori familiari riconosciute a livello nazionale e offrirà così alle famiglie una prestazione utile ed efficace. Come ribadisce la Parkinson nel capitolo 10, sono indispensabili un controllo di qualità sulla mediazione e la definizione di standard nazionali circa la loro preparazione, la supervisione, l’accreditamento e il monitoraggio dell’esercizio della professione come garan-zia per i clienti e i mediatori stessi. Inoltre, come affermai dieci anni fa, resta indispensabile per coloro che intendono intraprendere questa strada attuare un «viaggio interiore all’interno delle proprie rappresentazioni di famiglia, di legami, di conflitto, di denaro, ecc., per poter lasciare alla coppia lo spazio di formulare un suo modo di riorganizzare la famiglia, di litigare, di riannodare relazione, di impiegare i soldi». Oggi ancora di più questo bisogno è ribadito dai candidati alla formazione, a volte già esperti in tecniche negoziali, ma incapaci di capire il senso del contendere, impossibilitati a realizzare quanto si prefiguravano, per la poca sintonia emotiva con quella coppia in quel determinato contesto. Per usare una metafora sartoriale, il prêt à porter non funziona con tutti, e il setting va costruito su misura per ogni singola situazione!

Altri strumenti integrati con la mediazione familiare

A fronte delle recenti ricerche che hanno sempre meglio evidenziato le conseguenze per tutti i membri della famiglia connesse all’evento separativo della coppia genitoriale e alla permanenza del conflitto, la programmazione dei servizi psicosociali e le politiche per la famiglia hanno sempre più sostenuto quegli interventi di natura preventiva del disagio familiare tra cui la mediazione, i gruppi per adulti e per i minorenni.3

2 Come membro del Comitato per gli standard formativi dell’European Forum Family Mediation Training and Research, dal 1997, anno della sua fondazione, a oggi, ho visto aumentare le ore di formazione dei mediatori familiari, per una integrazione dei saperi non noti e per verificare l’effettiva capacità di conduzione del processo senza deviazioni in campo terapeutico o di consulenza legale. È da segnalare altresì che il Master executive in mediazione dell’Alta scuola di psicologia «A. Gemelli» rilascia 60 CUF e prevede 1.500 ore di lavoro, ed esonera per due anni i professionisti obbligati all’aggiornamento permanente (assistenti sociali, avvocati, educatori, psicologi, psichiatri).

3 Si fa qui riferimento alla ricerca di Amato e Spencer (2010) e più in particolare a quello che J.B. Kelly (2009) chiama sleeper effect, ovvero gli effetti a lungo termine che la separazione può esercitare sui figli. Si parla di evidenti sintomi legati a un divorzio che ha comportato una rottura nell’accesso ai due genitori, alle due stirpi: minore capacità di impegnarsi in relazioni affettive durature; maggiore tendenza a sperimentare precocemente rapporti affettivi e sessuali occasionali; maggiori difficoltà nella progettualità professionale e nel raggiungimento di uno

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PresenTazione 21

Nel capitolo 7, l’autrice ribadisce come la mediazione metta al centro i figli, ma numerose sono le situazioni in cui il nucleo si è chiuso in una dimensione monogenitoriale rendendo difficile o addirittura impossibile l’accesso al secondo genitore, spesso al padre.

In questi dieci anni anche il nostro Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, diretto dalla prof.ssa Giovanna Rossi, è andato avanti nell’analisi e nella ricerca su altri strumenti per intervenire a fianco delle famiglie divise: in particolare dal 2005 abbiamo introdotto i Gruppi di parola per figli di coppie separate di cui parla anche la Parkinson nel cap. 8. Si tratta di un ciclo di quattro incontri di due ore ciascuno con un conduttore esperto, finalizzato a nominare le emozioni, le questioni inerenti alla condizione di figlio di separato. Questa risorsa ha lo scopo di far sentire ai bambini il supporto di un piccolo gruppo che sta vivendo la stessa situazione e che può anche aiutarlo a trovare strategie buone per fronteggiare la situazione di conflitto tra genitori e a volte tra le due famiglie d’origine.

Sempre più attenzione viene rivolta dai professionisti alla prole coinvolta nell’evento separativo e, laddove i figli non sono introdotti nella stanza della mediazione, è di fondamentale importanza avere per loro un luogo dove poter nominare il dolore per il divorzio della coppia genitoriale. L’esperienza pra-tica e le ricerche condotte con lo staff del Servizio di psicologia clinica per la coppia e la famiglia di via Nirone 15 a Milano, dove conduciamo Gruppi di parola per bambini tra i 6 e i 12 anni, hanno evidenziato ancora una volta il bisogno dei figli di poter crescere facendo riferimento a un «triangolo sacro», come lo chiama V. Cigoli (2006), e di non essere appiattiti in una relazione duale con un solo genitore. Mi colpisce la coincidenza tra quanto la Parkin-son ci ricorda nei capitoli 7 e 8 e quelle che sono le necessità ripetutamente nominate dai figli nelle lettere indirizzate come gruppo agli adulti invitati a presenziare all’ultimo incontro: «Vorrei che i miei genitori tornassero insieme» (desiderio di riconciliazione); «E ora io che posto occupo?» (prendere atto che l’amore finisce, chiedersi se saranno ancora amati); «Quando i miei litigano, e succede spesso, se la prendono sempre con me» (come non essere presi in mezzo nel conflitto).

Per alcuni figli è possibile accedere alla stessa stanza dove lavorano i genitori, ma in molti casi la funzione costruttiva e «protettiva» del gruppo aiuta a parlare il familiare e a prevenire pericolosi silenzi.

status economico stabile; diffidenza e paura per le relazioni affettive; difficoltà a progettare il proprio futuro da adulto; timore di ripetere il «fallimento» dei genitori; bisogno di riscattare l’immagine di unità familiare perduta.

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Dove stiamo andando?

Mi piace ribadire la dimensione profondamente sociale del lavoro di me-diazione. Il mediatore infatti non svolge un’attività puramente «privata» per la regolazione dei rapporti nella famiglia, ma rappresenta il sostegno offerto dal corpo sociale in questa transizione difficile. Il mediatore è un po’ come il testimone delle nozze, che — seppure in condizione rovesciata — manda un messaggio alla coppia sull’importanza del familiare per la sopravvivenza della comunità stessa. La figura del mediatore in questo senso aiuta non solo a «comporre il conflitto», ma anche a contrastare le scissioni non solo nella famiglia, ma anche tra la famiglia e la comunità.

Inoltre come ci ricordava nel suo contributo (2008) la collega polacca Hanna Przybyla-Basista, mediatrice didatta e Coordinatrice del Comitato per gli standard del Forum Europeo dei centri di formazione e ricerca in mediazione familiare, abbiamo bisogno di «ricerche di seconda generazione», quelle in cui si illustri effettivamente quanto avviene nella stanza della mediazione, quali siano gli invii efficaci e quale fase del processo separativo risulti più indicata per utilizzare questa risorsa. La questione potrebbe essere così formulata: «Che cosa succede tra mediatore e clienti che fa sì che si possano costruire degli accordi? E i genitori riescono ad affrontare in autonomia altri conflitti?». Oggi le indagini più costrut-tive sono infatti quelle tese a dimostrare non più e non solo che la mediazione è utile per i soggetti coinvolti, ma quelle che ci permettono anche di individuare gli ingredienti che ne garantiscono il successo non solo nel senso che gli accordi sono presi senza lasciare spazio alla distruttività del conflitto, ma dove è visibile anche a distanza di tempo che si è avviato un nuovo corso per la famiglia divisa. Ovvero ci interessa sapere cosa succede in questi incontri di lavoro con un terzo imparziale, per cui i genitori divisi restano legati ai figli nel tempo più di coloro che hanno chiesto a un esterno di decidere per il bene della propria famiglia.

Per questo sono da analizzare con molto interesse le esperienze realizzate nel mondo di cui ci parla la Parkinson nei capitoli 12 e 13 per valorizzare anche le sperimentazioni messe in atto in diverse regioni italiane, i protocolli d’intesa costruiti tra coloro che intervengono sulla scena della separazione e del divorzio, dove gli avvocati — i migliori invianti in mediazione, come emergeva dalle ricerche Simef avviate nel 2005 — e gli altri operatori informano i genitori di questa via alternativa per prendere accordi alla fine del patto coniugale. Il testo ci fornisce infatti interessanti spunti rispetto al quality time, al momento più opportuno per intraprendere una mediazione — che richiede però un’informazione capillare e precisa. Un Punto Informativo nella sede del tribunale ordinario a disposizione di tutti, in orari concordati, con la presenza di personale preparato, e aggiornato

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sulle risorse pubbliche e private disponibili sul territorio, sembra essere effettiva-mente la soluzione migliore anche per il nostro Paese!

Dopo tanti anni di lavoro con le coppie, di trasmissione agli allievi, di discussione accesa con altri colleghi mediatori, mi sento di affermare che la me-diazione familiare è insieme una tecnica, un’arte, una professione e anche una Weltanschauung. Mentre all’inizio della mia attività ci tenevo a distinguere tra la tecnica negoziale propria di altre modalità alternative di gestione delle dispute, per non illudersi che bastasse un comportamento x perché si verificasse l’azione y, oggi riconosco il valore di alcune tecniche in senso stretto del termine, di cui il testo è disseminato. Ci sono alcuni interventi puntuali e specifici che in certi momenti «fanno svoltare»! Ci tengo anche a ribadire che la mediazione come percorso extragiudiziale è un marchingegno che conviene a tutti, adulti e minori coinvolti sulla scena del divorzio, e che non si tratta di una via benefica solo per i figli che indirettamente lascia qualche briciola ai genitori. È un’«arte professio-nale», un «itinerario creativo», ma molto serio, ben strutturato, ma flessibile — in cui un gruppo di lavoro raggiunge il compito che si dà nella fase così detta di pre-mediazione. Per usare la terminologia della Parkinson è indispensabile l’uso sia dell’emisfero destro, che di quello sinistro.

Infine è un attività che non si può solo svolgere diligentemente, ma richiede di giungere a una diversa visione del mondo: come scrivevo nella prima edizione, richiede una fiducia nei genitori, una speranza nella tenuta e nella funzione dei legami familiari; richiede la stima e la collaborazione tra professionisti — che non possono più funzionare in categorie elementari di buoni e cattivi; in cui l’ottimi-smo verso il prossimo e verso il collega richiede molta riflessione e adeguamento della mente a vedere le differenze, a tollerare le divergenze e a costruire realtà di vita quotidiana migliori per tutti. Condivido pienamente la lettura che i colleghi australiani hanno dato dell’evoluzione della mediazione e anche per il nostro Paese mi auguro che si giunga presto alla quarta fase, di maggior cooperazione e collaborazione tra professionisti sulla scena del divorzio. Ritornando alle sug-gestive citazioni da Barenboim forniteci dalla Parkinson, chi fa mediazione ama la musica, e cerca il tempo giusto proprio e altrui!

Ho nuovamente chiesto ai due avvocati esperti in diritto di famiglia, Marco Jacometti e Mariella Ermini — formata anche alla mediazione familiare — di aggiornare le risposte ai quesiti inerenti a questa materia, così come avevano fatto nell’appendice della prima edizione. Le novità giuridiche sono tante e il paziente lavoro da loro compiuto mi fa ancora una volta ringraziare gli amici ed esprimere loro tutta la mia ammirazione per questo prezioso contributo integrativo.

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introduzione

alla seconda edizione italiana

La prima edizione italiana di questo libro fu pubblicata dalla Erickson nel 2003, ormai dieci anni fa. In questi dieci anni, la mediazione familiare ha cono-sciuto importanti sviluppi (vedi il capitolo finale di questa nuova edizione). Sono grata alla Erickson che mi offre la possibilità di dare alle stampe una seconda edizione, proprio in un momento in cui la mediazione familiare si sta avvicinando a un altro punto critico della sua evoluzione. Oggi, ci sono molte più esperienze da cui trarre insegnamento e molte nuove ricerche condotte in Europa e altrove, in modo particolare in Australia.

Il confronto con mediatori e ricercatori di altri Paesi arricchisce le nostre riflessioni e il nostro lavoro. In particolare, sono occasioni importanti per me le visite e la collaborazione, da molti anni, con i colleghi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La professoressa Eugenia Scabini e il professor Vittorio Cigoli, che sono recentemente andati in pensione lasciando il Centro studi e ricerche sulla famiglia, hanno dato un contributo di straordinario valore alla nostra comprensione del concetto di relazioni familiari (vedi, ad esempio, Scabini e Rossi, 2003). Seminari e conferenze organizzati all’Università Cat-tolica richiamano ricercatori e professionisti da tutto il mondo. Il Master in Mediazione familiare e comunitaria, coordinato dalla mia cara amica, la dot-toressa Costanza Marzotto, con i suoi ottimi colleghi, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per il lavoro teorico e pratico sulla mediazione in Italia. Vorrei esprimere alla dottoressa Marzotto tutta la mia gratitudine per il suo sostegno: lavorare con lei è per me sempre motivo di grande piacere. Ho potuto anche fare tesoro del mio lungo rapporto con Mediamente di Firenze,

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e ammiro l’energia e l’impegno che questa piccola associazione dimostra nei suoi nuovi progetti.

Un ringraziamento speciale va anche a tutti quei colleghi, sparsi per il mon-do, che hanno risposto con grande rapidità alle mie richieste di «aggiornamenti istantanei» sugli sviluppi della mediazione nei loro Paesi. Tra loro ricordo Stephan Auerbach e Cilgia Caratsch dell’International Social Service (ISS) di Ginevra, Pia Deleuran in Danimarca, Juliane Hirsch (ex funzionario legale del Central Bureau della Conferenza dell’Aia e che adesso si sta formando come mediatore familiare in Francia), Sybille Kiesewetter, Christoph Paul e Jamie Walker (MiKK) in Germania, Manuela Plizga-Jonarska in Polonia, professor Juan Carlos Vez-zulla in Portogallo, dr.ssa Tsisana Shamlikashvili in Russia, professoressa Leticia Villaluenga in Spagna e Bernt Wahlsten in Svezia. Verena Schlubach dell’ISS di Berlino mi ha fornito l’ecogramma della mediazione familiare transfrontaliera del capitolo 13. Si intende, naturalmente, che ogni errore e omissione sono esclusiva responsabilità di chi scrive.

In Inghilterra e in Galles i finanziamenti statali per la mediazione familiare sono stati erogati fin dal 1997, attraverso il sistema dell’assistenza legale. Lo stanziamento di queste risorse fu ottenuto dopo vent’anni di appassionate cam-pagne, appoggiate su ricerche che avevano dimostrato i benefici significativi della mediazione per i genitori separati e per i loro figli e la sua efficacia dal punto di vista dei costi. Un finanziamento pubblico richiede di stabilire degli standard nazionali per la formazione e la pratica di lavoro, qualifiche e riconoscimenti ufficiali dei mediatori familiari e dei regolamenti. In Inghilterra e in Galles, la nuova legislazione sta cambiando il sistema di giustizia familiare e ci si aspetta che la mediazione vi giochi un ruolo importante. La partecipazione a un incon-tro di informazione e mediazione con un mediatore ufficialmente riconosciuto è oggi un prerequisito per tutte le istanze che vengono presentate a un tribunale familiare nei procedimenti di diritto privato, salvo eccezioni. Il sussidio legale è stato revocato per l’assistenza legale e per la rappresentanza nella maggior parte dei procedimenti di diritto privato familiare, ma continua a essere disponibile per la mediazione. La mediazione offre alle coppie in fase di separazione e divorzio e ad altri membri del gruppo familiare la possibilità di elaborare degli accordi extragiudiziali che migliorano la comunicazione, risolvono i conflitti e aiutano i rapporti figlio-genitore. La mediazione familiare, con altre forme di risoluzione delle controversie come il diritto collaborativo, fa parte di un sistema di giustizia familiare in evoluzione: da un contesto di processi e sentenze antagonistici ci si sta spostando verso un sistema partecipativo, orientato al raggiungimento di un accordo, che è più economico, più veloce e molto più utile per le famiglie che stanno vivendo i cambiamenti portati dalla separazione e dal divorzio.

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inTroduzione aLLa seConda edizione iTaLiana 27

Questa nuova edizione vuole essere qualcosa di più che un aggiornamento della prima edizione. Ci sono nuove domande a cui si deve rispondere, sul ruolo dei mediatori familiari e sulla qualità del servizio che offrono. Oggi si presta molta più attenzione alla necessità di ascoltare i punti di vista e i sentimenti dei figli e di trovare dei modi per parlare con loro, in modo che i genitori raggiungano degli accordi che tengano in considerazione questi loro bisogni, le loro idee e i loro sentimenti. Arrivare a stringere un accordo concreto non dovrebbe essere l’unico, e nemmeno il principale, obiettivo della mediazione. I mediatori devono coltivare lo spirito della mediazione, e unire un alto livello di competenza professionale a qualità come l’empatia e la creatività.

Come «nonna» della mediazione familiare, ho potuto vivere magnifiche esperienze di congressi e laboratori in molti Paesi, tra cui Canada e USA, Rus-sia, Slovenia e Ucraina, Spagna e Portogallo, Cuba, Guadalupe e La Réunion nell’Oceano Indiano. La rete di mediazione familiare ha una grande importanza nello sviluppo della mediazione familiare internazionale transfrontaliera. Nel 2012, la Conferenza dell’Aia ha pubblicato le Linee guida per le buone pratiche nella mediazione familiare internazionale, sulla base della Convenzione dell’Aia sul Rapimento minorile, del 1980. L’Unione Europea ha finanziato un programma di formazione europeo, in questo specifico campo. Ma molto lavoro c’è ancora da fare per sviluppare un registro internazionale unificato di mediatori familiari qualificati in grado di intraprendere una mediazione in casi di rapimento minorile e altre fattispecie di controversie transfrontaliere.

Spero che questo libro possa suscitare l’interesse dei mediatori familiari e degli studenti di psicologia, di giurisprudenza e di altre discipline, oltre che dei professionisti interessati a nuovi punti di vista sulla mediazione e sulla risoluzione alternativa delle controversie. Sono molti gli sviluppi innovativi che vanno al di là degli obiettivi di questo libro e che devono essere indagati da altri studiosi. Spero che chi darà un’occhiata a queste pagine scopra dei modi di vedere le cose capaci di incoraggiare quella risoluzione pacifica delle controversie e dei conflitti cercata dai mediatori di tutto il mondo.

Lisa ParkinsonBristol, marzo 2013