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LINEE GUIDA PER LA PREVENZIONE COORDINAMENTO TECNICO DELLE REGIONI Materiale raccolto e organizzato da: CISL USR Lombardia - Dipartimento Ambiente e sicurezza Sommario Protezione da agenti biologici Protezione da agenti chimici Applicazione del D.Lgs. 626/94 nella Pubblica Amministrazione Uso delle attrezzature di lavoro Protezione da agenti cancerogeni e/o mutageni Documento di linee-guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario Contratto di appalto o contratto d’opera Definizione ruolo e funzioni del medico competente Uso di dispositivi di protezione individuale La formazione dei soggetti della prevenzione secondo il D.Lgs 626/94. Criteri e orientamenti Informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori Lavorazioni che espongono a polveri di legno duro Luoghi di lavoro Prevenzione incendi, evacuazione dei lavoratori, pronto soccorso Rispetto dei principi ergonomici Servizio di Prevenzione e Protezione Linee guida per l'applicazione del decreto legislativo 645 del 25 novembre 1996 La valutazione per il controllo dei rischi Uso di attrezzature munite di videoterminali Linee guida per le misure di concentrazione di radon in aria nei luoghi di lavoro sotterranei La movimentazione manuale dei carichi

LINEE GUIDA PER LA PREVENZIONE - PARTE III · Documento di linee-guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario

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LINEE GUIDA PER LA PREVENZIONE COORDINAMENTO TECNICO DELLE REGIONI

Materiale raccolto e organizzato da: CISL USR Lombardia - Dipartimento Ambiente e sicurezza

Sommario

Protezione da agenti biologici

Protezione da agenti chimici

Applicazione del D.Lgs. 626/94 nella Pubblica Amministrazione

Uso delle attrezzature di lavoro

Protezione da agenti cancerogeni e/o mutageni

Documento di linee-guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici

antiblastici in ambiente sanitario

Contratto di appalto o contratto d’opera

Definizione ruolo e funzioni del medico competente

Uso di dispositivi di protezione individuale

La formazione dei soggetti della prevenzione secondo il D.Lgs 626/94. Criteri e

orientamenti

Informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori

Lavorazioni che espongono a polveri di legno duro

Luoghi di lavoro

Prevenzione incendi, evacuazione dei lavoratori, pronto soccorso

Rispetto dei principi ergonomici

Servizio di Prevenzione e Protezione

Linee guida per l'applicazione del decreto legislativo 645 del 25 novembre 1996

La valutazione per il controllo dei rischi

Uso di attrezzature munite di videoterminali

Linee guida per le misure di concentrazione di radon in aria nei luoghi di lavoro sotterranei

La movimentazione manuale dei carichi

Ivo Parpinelli
Evidenziato
Ivo Parpinelli
Evidenziato
Ivo Parpinelli
Evidenziato

Coordinamento Tecnicoper la Sicurezza nei luoghi di lavoro

delle Regioni e delle Province autonome

TITOLO VII DECRETO LEGISLATIVO N.626/94

Protezione da agenti cancerogeni

Lavorazioni che espongono a

polveri di legno duro

LINEE GUIDA

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INDICE

LINEE GUIDA SULL’APPLICAZIONE DEL TITOLO VII D.LGS. 626/94 RELATIVE ALLE LAVORAZIONI CHE ESPONGONO A POLVERI DI LEGNO DURO. PREMESSA pag. 3

CLASSIFICAZIONE DEI LEGNI “ 3

LE POLVERI DI LEGNO DURO “ 4

IL D.LGS. 66/2000: COSA FARE “ 9

ALLEGATO A MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE. MISURE TECNICHE, ORGANIZZATIVE E PROCEDURALI “ 14

1. MACCHINE E IMPIANTI “ 14

1.1. SEPARAZIONE DELLE LAVORAZIONI “ 14

1.2. SCELTA E UTILIZZO DELLE MACCHINE “ 14

1.3 VENTILAZIONE “ 15

CRITERI PER LA VERIFICA DEGLI IMPIANTI DI ASPIRAZIONE “ 20

1.4. PULIZIA DEI LOCALI, DELLE MACCHINE E DELLE ATTREZZATURE “ 23

1.5. ALTRI RISCHI “ 23

1.6. IMPIANTI PER LAVORI DI LEVIGATURA “ 25

2. DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE “ 26

ALLEGATO B CAMPIONAMENTO, ANALISI GRAVIMETRICA E VALUTAZIONE DI CONFORMITÀ AL VALORE LIMITE NELLA MISURAZIONE DELLA ESPOSIZIONE A POLVERI DI LEGNO “ 28

ALLEGATO C SORVEGLIANZA SANITARIA “ 37

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LINEE GUIDA SULL’APPLICAZIONE DEL TITOLO VII D.LGS. 626/94 RELATIVE ALLE LAVORAZIONI CHE ESPONGONO A POLVERI DI LEGNO DURO. PREMESSA

Il D.Lgs. n.66 del 25 febbraio 2000 ha introdotto alcuni cambiamenti al Titolo VII del D.Lgs. 626/94 “Protezione da Agenti Cancerogeni e Mutageni”: uno dei principali riguarda l’inserimento tra le lavorazioni con esposizione a rischio cancerogeno del “lavoro comportante l’esposizione a polveri di legno duro”. La presente Linea Guida ha come obiettivo di fornire ai diversi soggetti interessati (datori di lavoro, lavoratori, RLS, RSPP., Medici Competenti, operatori dei Servizi di Prevenzione negli Ambienti di Lavoro, ….) elementi che possano risultare utili per un’efficace applicazione dello stesso decreto.

Le Linee Guida sono composte da: un’introduzione relativa alla classificazione dei legni e alle indicazioni applicative del D.Lgs. 66/00, di un Allegato A sulle misure di prevenzione e protezione, di un Allegato B sul campionamento, analisi e valutazione dei risultati e un Allegato C sulla sorveglianza sanitaria.

CLASSIFICAZIONE DEI LEGNI

I legni sono materiali complessi e relativamente eterogenei, con una quota di componenti comuni a tutte le essenze ed una quota di componenti particolari specifici per ciascuna classe di esse; in assenza di importante riscaldamento, il legno mantiene durante le lavorazioni la composizione del materiale originario.

I componenti comuni sono rappresentati essenzialmente da cellulosa, emicellulosa e lignina, per una percentuale complessiva superiore al 95% del materiale; il restante 5% è costituito da miscele variabili dei seguenti componenti particolari:

componenti organici polari e non polari: acidi grassi, resine acide, cere, alcoli, terpeni, steroli, sterileteri, gliceroli, tannini, flavonoidi, chinoni;

componenti organici idrosolubili: carboidrati, alcaloidi, proteine;

componenti inorganici: sali minerali disciolti, particelle minerali della granulometria delle sabbie (eventualmente anche di natura quarzosa in alcuni legni africani).

Il potenziale allergogeno di alcuni legni è stato già da tempo posto in solida relazione alla loro quota proteica e terpenica, vi sono indicazioni (ancora da confermare) che il potenziale cancerogeno possa essere associato alla loro quota tanninica.

Dal punto di vista merceologico, i vari tipi di legni (“essenze”) vengono correntemente distinti:

su base botanica: legni di latifoglie e di conifere;

sulla base della provenienza geografica: “indigeni” (rispetto all’Europa e all’America Settentrionale) ed “esotici”;

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sulla base della loro compattezza: “duri” ovvero “forti” e “teneri” ovvero “dolci”.

Va evidenziato che vi è un gradiente continuo tra “massima forza” e “massima dolcezza” dei legni utilizzati ai fini di qualsiasi attività umana, senza una netta linea di demarcazione tra legni “duri” da una parte e “teneri” dall’altra, essendovi essenze che si collocano verso la “metà strada”, per l’appunto, tra gli opposti estremi della “massima forza” e “massima dolcezza” (ad esempio, il castagno è correntemente definito come un legno “mediamente duro”). I legni “duri” sono in genere più ricchi di componenti organici polari. Tale distinzione così intesa ha però solo valenza merceologica. Diverso è il concetto di legno duro o dolce secondo le finalità di salute e sicurezza sul lavoro.

Il volume IARC 62/1995 “Monographs on the evaluation of carcinogenic risk to humans. Wood dust and formaldehyde” riporta un’elencazione (indicativa, non esaustiva) di legni rispettivamente “duri” ovvero “forti” e “teneri” ovvero “dolci” (Tabella 4).

Appare necessario evidenziare che il termine “duro” in questo caso, è la traduzione letterale del termine inglese “hardwood”, utilizzato per indicare il legno ricavato da alberi del tipo Angiosperme. In linea generale i “legni duri” sono rappresentati dalle latifoglie ed i “legni dolci” o teneri, dalle conifere (Gymnosperme). Emblematico è il caso del legno di pioppo che, pur essendo un legno tenero in termini di lavorabilità, è compreso tra i legni duri.

Si segnalano, tra i legni “duri” “esotici”, anche i nominativi di tre essenze non riportate nel suddetto elenco IARC, ma per le quali si ha notizia di un impiego quantitativamente significativo nel tessuto produttivo italiano, quali: Ayous; Frakè e Ramin.

LE POLVERI DI LEGNO DURO

La letteratura internazionale da molti anni segnala la cancerogenicità di alcune lavorazioni che espongono a polveri di legno; dall’anno 1987 la IARC (International Agency for Research on Cancer) classifica in:

gruppo 1 (cancerogeni per l’uomo): la fabbricazione di mobili e le lavorazioni di “ebanista”;

gruppo 2B (possibili cancerogeni per l’uomo): le lavorazioni di falegnameria e carpenteria;

gruppo 3 (non classificabili in relazione alla cancerogenicità per l’uomo): l’industria del legname (compreso il taglio) e delle segherie.

Nel 1995 la IARC, in base all'osservazione di un marcato incremento dell’incidenza delle neoplasie a livello delle fosse nasali e dei seni paranasali tra i lavoratori esposti prevalentemente a polveri di legno duro, valuta sufficiente l'evidenza di cancerogenicità delle polveri di legno per l'uomo e quindi le inserisce nel gruppo 1.

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Alla luce di questa classificazione tutte le lavorazioni prima comprese nei gruppi 1, 2B, 3 sono da tenere in considerazione ai fini delle esposizione a polveri di legno duro e per esse è prevista, quando occorre, l’applicazione del D.Lgs. 66/00.

In passato, per consolidata prassi di igiene industriale, in Italia, per valutare le esposizioni professionali a polveri di legno duro, (limitatamente alle specie faggio e quercia), si è fatto riferimento al TLV-TWA di 1 mg/m3(frazione inalabile)

adottato dall’ACGIH. Nel 1996 l’ACGIH (American Conference of Governmental

Industrial Hygienists) ha inserito le polveri di legno duro con particolare riferimento a faggio e quercia, in classe A1.

Nel 1998 l’ACGIH ha inserito le polveri di legno in proposta di modifica per portare a 5 mg/m3 il limite per tutte le essenze ad eccezione del cedro rosso (per il quale viene proposto un TLV-TWA di 0.5 mg/m3). Nel 1999 l’ACGIH conferma la proposta di tale limite e propone di modificare la classificazione di cancerogenicità mantenendo in classe A1 le essenze di quercia e faggio, ed inserendo, in classe A2, le essenze di betulla, mogano, teak e noce. Per le altre essenze di legno duro viene proposto l’inserimento in classe A4.

Nel 2001, per le polveri di legno, il TLV-TWA indicato dall’ACGIH è ancora 1 mg/m3 per alcuni legni duri quali faggio e rovere (classe A1) e TLV-TWA = 5 mg/m3, TLV-STEL = 10 mg/m3 per i legni dolci.

Tuttavia è stata ripresentata una proposta di modifica che prevederebbe, se adottata, i riferimenti di cui alla Tabella 1:

Tabella 1: Polveri di legno (frazione inalabile) – proposta ACGIH

Faggio e rovere TLV-TWA = 1 mg/m3 (classe A1)

Betulla, mogano, teak, noce TLV-TWA = 1 mg/m3 (classe A2)

Cedro rosso dell'Ovest TLV-TWA = 0.5 mg/m3 (Sensibilizzante; classe A4)

Tutte le altre polveri di legno, duro e tenero, allergeniche per le vie respiratorie TLV-TWA = 1 mg/m3 (Sensibilizzante; classe A4)

Tutte le altre polveri di legno, duro e tenero, Non allergeniche e non cancerogene TLV-TWA = 2 mg/m3 (classe A4)

Nell’anno 1999 la U.E. in sede di pubblicazione della Direttiva 1999/38/CE cita in premessa le polveri di quercia e faggio quali fonti di confermata cancerogenicità ma, precauzionalmente, estende la tutela nei riguardi delle polveri di tutti i legni duri.

Determina che è necessario proteggere efficacemente i lavoratori dal rischio di sviluppare il cancro a seguito dell’esposizione professionale alle polveri di legno duro.

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Tabella 2: Classificazione IARC degli agenti cancerogeni

CLASSIFICAZIONE IARC DEGLI AGENTI CANCEROGENI

Gruppo 1: l’agente (o miscela) è cancerogeno per l’uomo. Oppure, la lavorazione comporta esposizioni che sono cancerogene per l’uomo. Questa categoria è utilizzata quando sussiste sufficiente evidenza di cancerogenicità per l’uomo.

Gruppo 2A: l’agente (o miscela) è cancerogeno per l’uomo. Oppure, la lavorazione comporta esposizioni che sono cancerogene per l’uomo. Questa categoria è utilizzata quando sussiste sufficiente evidenza di cancerogenicità per l’uomo.

Gruppo 2B: l’agente (o miscela) è un possibile cancerogeno per l’uomo. Oppure, la lavorazione comporta esposizioni che sono possibili cancerogene per l’uomo. Questa categoria è utilizzata per agenti, miscele e lavorazioni che comportano esposizioni per le quali esiste limitata evidenza di cancerogenicità per l’uomo e non sufficiente evidenza di cancerogenicità in animali da laboratorio.

Gruppo 3: l’agente (o la miscela o circostanza di esposizione) non è classificabile in relazione alla sua cancerogenicità per l’uomo. Questa categoria è utilizzata comunemente per agenti, miscele e circostanze di esposizione per le quali esistono inadeguate evidenze di cancerogenicità per l’uomo e inadeguate o limitate in animali da laboratorio.

Gruppo 4: l’agente (o la miscela) probabilmente non agisce come cancerogeno per l’uomo.

Precisa che l’obiettivo non è:

- limitare l’uso del legno sostituendolo con altri materiali;

- la sostituzione di tipi di legno con altri tipi di legno.

Fissa un valore limite per le esposizioni a polveri di legno: 5 mg/m3 (frazione inalabile) misurato o calcolato per un periodo di riferimento di 8 ore, da

adottare anche in presenza di qualsiasi miscela di polveri di legno contenente

legno duro, facendo riferimento alla monografia IARC per un elenco dei legni duri e imponendo agli stati membri di conformarsi entro il 29 aprile 2003.

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Tabella 3: Classificazione ACGIH degli agenti cancerogeni

CLASSIFICAZIONE ACGIH DEGLI AGENTI CANCEROGENI

A1: Carcinogeno riconosciuto per l’uomo: l’agente è risultato carcinogeno per l’uomo sulla base dei risultati di studi epidemiologici.

A2: Carcinogeno sospetto per l’uomo: i dati sull’uomo sono controversi o insufficienti per classificare l’agente come carcinogeno per l’uomo; oppure, l’agente è risultato carcinogeno in animali da esperimento.

A3: Carcinogeno riconosciuto per l’animale con rilevanza non nota per

l’uomo: l’agente è risultato carcinogeno in animali da esperimento ad una dose relativamente elevata o per vie di somministrazione, in siti di tipo istologico o per meccanismi che possono non essere rilevanti per i lavoratori esposti.

A4: Non classificabile come carcinogeno per l’uomo: agente che lascia presupporre che possa risultare carcinogeno per l’uomo ma che non può essere classificato definitivamente per insufficienza di dati.

A5: Non sospetto come carcinogeno per l’uomo: l’agente non è ritenuto essere carcinogeno per l’uomo sulla base di studi epidemiologici appropriatamente condotti sull’uomo.

L’Italia, nel febbraio 2000 con il D.Lgs. 66/00, recepisce la direttiva 99/38/CE che va ad implementare i contenuti del Titolo VII “Protezione da agenti cancerogeni e mutageni” del D.Lgs. 626/94 prescrivendo a carico del datore di lavoro l’adozione di una serie di misure di tutela in relazione alla presenza di esposizioni professionali alle polveri di legno duro, fissandone il valore limite a 5 mg/m3.

Si tratta peraltro di un valore alquanto elevato e scarsamente giustificato, sul piano sanitario, per le seguenti considerazioni:

- in ogni caso, l’esposizione a polveri di legno può indurre malattie respiratorie non neoplastiche, soprattutto allergiche, anche entro il limite di un solo milligrammo per metro cubo d’aria;

- è, ad oggi, tecnicamente possibile contenere l’esposizione a polveri di legno, senza soverchie difficoltà e/o costi gravosi, ben al di sotto del valore limite di cinque milligrammi per metro cubo d’aria.

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Tabella 4: Classificazione dei legni (Monografia n. 62 – IARC)

Genere e Specie Nome comune Inglese Nome comune Italiano

Softwood Essenze legni dolciAbies Fir Abete

Chamaecyparis Cedar Cipresso-Cedro Cupressus Cypress Cipresso

Larix Larch Larice Picea Spruce Peccio-Abete Pinus Pine Pino

Pseudotsuga menziesii Douglas fir Abete di Douglas Sequoia sempervirens Redwood Sequoia gigante

Thuja Thuja, arbor fitae Tuia-Cipresacea

Tsuga Hemlock Tsuga-Pinacea

Hardwood Essenze legni duriAcer Maple Acero Alnus Alder Olmo Betula Birch Betulla

Carya Hickory Noce americano o Noce

Hickory Carpinus Hornbeam, white beech Carpino o Faggio bianco Castanea Chestnut Castagno

Fagus Beech Faggio Fraxinus Ash Frassino Juglans Walnut Noce Platanus Sycamore Platano americano Populus Aspen, poplar Pioppo Prunus Cherry Ciliegio Salix Willow Salice

Quercus Oak Quercia Tilia Lime, basswood Tiglio

Ulmus Elm Olmo Tropical Hardwood Essenze legni duri tropicali

Agathis australis Kauri pine Pino kauri Chlorophora excelsa Iroko Iroko

Dacrydium cupressinum Rimu, red pine Pino rosso Dalbergia Palisander Palissandro

Dalbergia nigra Brazilian rosewood Palissandro brasiliano Diospyros Ebony Ebano

Khaya African mahogany Mogano Africano Mansonia Mansonia, bete Mansonia Ochroma Balsa Balsa

Palaquium hexandrum Nyatoh Nyatoh Pericopsis elata Afrormosia Afrormosia

Shorea Meranti Meranti Tectona grandis Teak Teak

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IL D.LGS. 66/2000: COSA FARE

Nel seguito delle Linee guida il numero degli articoli fa riferimento al D.Lgs. 626/94 così come modificato dal D.Lgs. 66/00.

Sostituzione e riduzione (art. 62)

L’articolato riguarda tutti gli agenti cancerogeni. Per le polveri di legno duro si deve tenere presente che l’obiettivo è:

limitare al più basso valore tecnologicamente fattibile l’esposizione dei lavoratori (il valore limite di 5 mg/m3rappresenta solo un valore di salvaguardia il cui rispetto va comunque garantito per gli stabilimenti esistenti entro il 31 dicembre 2002 e per i nuovi stabilimenti, entrati in funzione dopo l’8 aprile 2000, sin dal momento dell’inizio dell’attività produttiva);

non essendo ipotizzabili sostituzioni del legno o del tipo di legno e considerando l’oggettiva difficoltà di realizzare sistemi chiusi "in senso stretto", si deve ricordare che per la maggioranza degli impianti e delle lavorazioni del settore esistono soluzioni di bonifica idonee e consolidate dal punto di vista tecnico. Per le situazioni più complesse va sempre perseguita la ricerca di soluzioni adeguate implementando, nelle more, misure organizzative procedurali e di protezione personale quali quelle riportate negli allegati. Esperienze di misura effettuate dai servizi pubblici di prevenzione nell'ultimo decennio dimostrano che, in presenza di idonei sistemi di aspirazione localizzata sulle macchine ed in assenza di ricircolo dell'aria captata in ambiente di lavoro, si contengono adeguatamente i livelli di inquinamento ambientale da polveri di legno inalabili e in un certo numero di casi si riesce a realizzare valori di concentrazione, al di sotto del 1 mg/m3.Peraltro, il DPR 303/56 all’art. 21 già prevedeva la captazione all’origine di tutte le polveri, comprese le polveri di legno, tramite aspirazione localizzata.

A far data dal 01/01/2003 i datori di lavoro che effettuano lavorazioni comportanti l’esposizione a polveri di legno duro dovranno essere in grado di dimostrare:

di aver messo in atto tutte le misure previste per la riduzione dell’esposizione al valore più basso tecnicamente possibile (art. 62 comma 3. D.Lgs. 626/94);

che l’esposizione all’interno della loro attività è inferiore a 5 mg/m3.

Si rammenta che gli articoli relativi al Titolo VII del Decreto sono già entrati in vigore con l’esclusione dell’art. 62 (sostituzione e riduzione) e art. 70 (registro di esposizione e cartelle sanitarie).

Valutazione del rischio (artt. 4 e 63)

Il D.Lgs. 626/94 già prevedeva, nei processi produttivi che determinano un’esposizione professionale a polveri di legno, la valutazione e il contenimento di

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questo fattore di rischio tramite l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione.

Le aziende devono quindi effettuare una rilettura ed una eventuale integrazione del documento di valutazione dei rischi (per le aziende fino a 10 dipendenti esiste la possibilità dell’autocertificazione) che consideri la cancerogenicità delle polveri di legno duro e che quindi approfondisca i seguenti aspetti:

le attività lavorative che comportano esposizione a polveri di legno duro;

i quantitativi e le essenze di legno duro lavorato;

il numero dei lavoratori esposti o potenzialmente esposti;

l’esposizione, ove nota, dei lavoratori e il grado della stessa (le misure andranno effettuate dopo avere implementato e/o adeguato i sistemi di aspirazione localizzata);

le misure preventive e protettive applicate, il tipo dei dispositivi di protezione individuale utilizzati (vedi Allegato A).

L’autocertificazione è comunque l’esito del processo di valutazione del rischio che, pur non sfociando nel documento di cui all’art.4 del D.Lgs. 626/94, è necessario che in linea di massima si basi sulla raccolta di dati reperibili in forma scritta quali:

tipologia e quantità di legno utilizzato;

schede di istruzioni d’uso delle macchine e/o degli impianti;

istruzioni relative alle procedure di pulizia e manutenzione delle macchine e/o degli impianti, compresi i documenti, comprovanti l’avvenuta manutenzione. I documenti si intendono correttamente compilati quando fanno esplicito riferimento alle parti di macchina interessate dall’intervento e alla tipologia dello stesso;

rapporti di prova sulle misure effettuate;

protocollo di sorveglianza sanitaria.

Va fortemente raccomandato che, per i motivi già indicati (e segnatamente, per l’impossibilità di escludere, sulla base delle conoscenze attuali, che anche i “legni teneri” possiedano un certo potenziale cancerogeno), analoghe azioni di valutazione del rischio, con i conseguenti provvedimenti, siano assunte anche dalle aziende che trattano esclusivamente “legni teneri”, ricordando che comunque le attività che utilizzano esclusivamente questo tipo di legni rimangono disciplinate dagli artt. 20 e 21 del DPR 303/56 nonché dal D.Lgs. 626/94 così come modificato dal D.Lgs.25/02.

Si ritiene che anche i pannelli truciolari, MDF e compensati rientrino nell’ambito della valutazione dell’applicazione del D.Lgs. 66/2000 per quanto concerne le polveri di legno duro, tranne nei casi in cui vi sia adeguata certificazione del produttore che ne attesti la completa composizione con legni teneri.

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Misure tecniche organizzative e procedurali (art. 64)

Si ritengono rilevanti:

1) la limitazione del numero degli esposti (ad esempio con l’introduzione di sistemi di automazione) e la segregazione delle lavorazioni ove possibile;

2) l’aspirazione alla fonte senza ricircolo in ambiente di lavoro attuata secondo le norme di buona tecnica;

3) la regolare e sistematica pulizia dei locali, delle attrezzature e degli impianti, adottando sistemi in aspirazione;

4) l’individuazione di idonee procedure di intervento per ridurre il rischio di esposizione nelle fasi di attrezzaggio e manutenzione;

5) la corretta gestione dei residui delle lavorazioni;

6) la valutazione dell'esposizione residua.

Il D.Lgs. 626/94 prevede espressamente all’art. 64 che il datore di lavoro provveda alla misurazione delle polveri di legno per verificare l'efficacia delle misure adottate. Tale misurazione deve intendersi parte di un articolato processo di valutazione dell'esposizione che dovrà ripercorrere i precetti della Norma UNI-EN 689:1997.

Per la valutazione dell'esposizione e per le tecniche di campionamento vedasi l'Allegato B.

Nel caso in cui i risultati delle misurazioni riscontrino il superamento del valore limite di 5 mg/m3 devono essere messe immediatamente in atto ulteriori misure di protezione per ridurre l’esposizione ed in particolare:

il datore di lavoro ha l’obbligo tassativo di:

identificare e rimuovere le cause dell’evento, adottando quanto prima le misure appropriate;

verificare l’efficacia delle misure adottate, procedendo ad una nuova determinazione delle polveri di legno nell’aria;

adottare adeguate misure per la protezione dei lavoratori, qualora le misure preventive non possano “giustificatamente” essere attuate immediatamente;

l’organo di vigilanza potrà adottare, in base alle specifiche situazioni riscontrate, altri e più restrittivi provvedimenti finalizzati ad interrompere l’eccessiva esposizione dei lavoratori.

Misure igieniche e tecniche (art. 65)

1) Vanno messi a disposizione dei lavoratori idonei indumenti protettivi da riporre, prima di lasciare il luogo di lavoro (pausa pranzo e fine turno), in appositi armadietti personali almeno a doppio scomparto per la conservazione separata dagli abiti civili;

CISL USR Lombardia - Sito internet: www.lombardia.cisl.it > Speciali > Ambiente e sicurezza > Legislazione 399

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2) sono da escludere procedure di pulizia personale con aria compressa;

3) il “depolveramento” dei vestiti e delle calzature, a fine turno, può essere effettuato con attrezzi aspiranti. Deve avvenire sul luogo di lavoro, prima di accedere allo spogliatoio;

4) la pulizia degli indumenti utilizzati durante il lavoro deve essere effettuata a cura del datore di lavoro senza oneri per il lavoratore;

5) ai lavoratori vanno forniti adeguati dispositivi di protezione individuale, da custodire in luoghi idonei e puliti, provvedendo alla sostituzione di quelli difettosi, se riutilizzabili, prima di ogni nuova utilizzazione.

Si ribadiscono ovviamente le disposizioni della normativa vigente in merito alla disponibilità di servizi igienico assistenziali e quella di non fumare, consumare cibo

e/o bevande nei luoghi di lavoro.

Formazione ed informazione (art. 66)

Va integrata la normale attività di formazione ed informazione in relazione alla mutata situazione legislativa. In particolare per i lavoratori esposti questa attività dovrà essere integrata includendo specifici argomenti relativi sulla cancerogenicità delle polveri di legno duro e sulle misure di prevenzione e protezione anche individuale.

Formazione ed informazione devono essere ripetute con frequenza almeno quinquennale, o quando si verificano mutamenti nella natura e nel grado dei rischi. Nel caso di nuovi assunti tale formazione deve essere preventiva rispetto allo svolgimento delle mansioni assegnate, ossia dovrà avvenire al momento dell’assunzione e prima dell’effettivo svolgimento delle mansioni assegnate, anche per lavoratori in prova, con contratti di formazione/apprendistato.

Gli argomenti minimi della formazione specifica sono individuabili in:

- i rischi per la salute connessi all’esposizione a polveri di legno duro, le modalità d’uso che né comportano l’esposizione e la dislocazione dell’agente;

- i rischi supplementari dovuti al fumo;

- le precauzioni da prendere per evitare l’esposizione;

- le misure igieniche da osservare;

- la necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro e protettivi;

- i DPI ed il loro corretto impiego;

- gli obblighi del lavoratore;

- la sorveglianza sanitaria.

Esposizione non prevedibile (art. 67)

Non si ritiene di approfondire l’argomento in quanto non sono prevedibili situazioni critiche nelle normali attività lavorative del settore.

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Operazioni lavorative particolari (art. 68)

Nel caso di lavorazioni particolari (in operazioni di manutenzione o di puliziamacchine) che possono comportare un'esposizione significativa, vanno definite procedure che garantiscano:

la limitazione massima del numero degli esposti;

la riduzione dei tempi di esposizione;

la segregazione delle lavorazioni, quando possibile;

la protezione personale degli addetti.

Accertamenti sanitari e norme preventive e protettive specifiche (art. 69)

Per i lavoratori esposti alle polveri di legno va attuata una sorveglianza sanitaria mirata al rischio specifico (neoplasie delle cavità nasali). Per i programmi di sorveglianza sanitaria da adottare per i lavoratori si veda Allegato C.

Il medico competente provvede ad istituire per ogni lavoratore una cartella sanitaria e di rischio da custodire sotto la responsabilità del datore di lavoro.

Il medico competente che a seguito dei risultati degli accertamenti sanitari rilevi nei lavoratori un’anomalia imputabile all’esposizione a questo fattore di rischio ne informa per iscritto il datore di lavoro che a sua volta dovrà provvedere a:

- eseguire una nuova valutazione dei rischi;

- eseguire campionamenti delle polveri nell’ambiente di lavoro.

Registro degli esposti (art. 70)

I lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria sono iscritti nel registro degli esposti che, in assenza del modello ministeriale, dovrà, indipendentemente dal modulo utilizzato, riportare le informazioni previste (attività svolta, tipo di polvere di legno duro utilizzato, valore dell’esposizione).

Pur in assenza del decreto attuativo per l’istituzione del registro degli esposti, si ritiene debba essere utilizzato il modello a suo tempo concordato tra l’ISPESL, il Coordinamento delle Regioni ed il Ministero del Lavoro, reperibile nel sito www. ISPESL.it

Il registro è istituito ed aggiornato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta per il tramite del medico competente. Il responsabile del SPP e gli RLS hanno accesso a tale registro.

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ALLEGATO A

MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE. MISURE TECNICHE, ORGANIZZATIVE E PROCEDURALI

L’attività di prevenzione per ridurre l’esposizione alle polveri di legno si articola in interventi di tipo tecnico incentrati sui sistemi di ventilazione, di tipo organizzativo sulle modalità di lavoro, sulla gestione degli impianti, della pulizia e dei rifiuti, di tipo procedurale sull’igiene personale e sulla formazione e informazione, in modo da determinare comportamenti corretti.

1. MACCHINE E IMPIANTI

Nella scelta e nella gestione di macchine ed impianti il datore di lavoro “…provvede affinché il livello di esposizione dei lavoratori all’agente cancerogeno sia ridotto al più basso valore tecnicamente possibile” (art. 62 comma 3. del D.Lgs. 626/94).

1.1. SEPARAZIONE DELLE LAVORAZIONI

E’ necessario effettuare in luoghi separati le operazioni che emettono polveri (es. taglio, piallatura, fresatura, foratura, tornitura, sgrossatura, levigatura) rispetto a quelle che non ne emettono (es. la finitura e il montaggio, l’attività di magazzino), allo scopo di limitare al minimo il numero delle persone esposte (art. 64 comma 1. lettera b) del D.Lgs. 626/94).

1.2. SCELTA E UTILIZZO DELLE MACCHINE

Per i datori di lavoro che utilizzano macchine vige l’art. 20 comma 3 del DPR 303/56, il quale recita: “un'attrezzatura di lavoro che comporta pericoli dovuti ad emanazione di gas, vapori o liquidi ovvero ad emissioni di polvere, deve essere munita di appropriati dispositivi di ritenuta ovvero di estrazione vicino alla fonte corrispondente a tali pericoli”.

Questa prescrizione è data anche ai fabbricanti di macchine dal DPR 459/96 (allegato 1, § 1.5.13). Inoltre le successive norme armonizzate per le macchine del legno (ad es. EN 860/1998 per le pialle a spessore, EN 940/1998 per le macchine combinate) stabiliscono che il costruttore fornisca le macchine di prese e indichi i parametri aerodinamici necessari per un collegamento ottimale ad un impianto di aspirazione delle polveri e dei trucioli. Questo deve garantire una velocità di trasporto di 20 m/s per il materiale essiccato e di 28 m/s per il materiale umido.

Per quanto riguarda la polverosità generata dalle macchine, la norma tedesca DIN 33893-2/1997 prevede, per esempio, che nell’intorno della macchina per la lavorazione del legno la concentrazione di polvere non superi i 2 mg/m3.

Quindi il primo passo da fare per i datori di lavoro, nel caso di nuovi acquisti, in ottemperanza all’art. 35 e all’art. 62 comma 3. del D.Lgs. 626/94, è dotarsi di macchine conformi a queste norme.

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1.3. VENTILAZIONE

Durante la lavorazione del legno si producono trucioli (convenzionalmente particelle con diametro medio superiore a 0.5 mm) e polveri (con diametro medio inferiore a 0.5 mm).

Gli interventi che impediscono o riducono la diffusione degli inquinanti sono:

la ventilazione generale: consiste nell’introdurre nel locale di lavoro aria proveniente dall’esterno (attraverso estrazione forzata dell’aria), per diluire gli inquinanti, che tuttavia permangono a concentrazioni più ridotte nell’aria ambiente;

la ventilazione per aspirazione localizzata: consiste nel catturare gli inquinanti vicino alla loro sorgente di emissione, prima che essi possano diffondersi nella zona delle vie respiratorie e possano disperdersi nella atmosfera del locale di lavoro.

Per bonificare l’atmosfera durante le operazioni di lavorazione del legno è necessario utilizzare solo la ventilazione per aspirazione localizzata.

Tutte le macchine e le attrezzature che possono produrre polvere e trucioli di legno, comprese quelle per lavorazioni manuali, devono essere collegate all’ impianto di aspirazione localizzata. Possono essere escluse le lavorazioni che vengono svolte normalmente all’aperto (es. cantieri edili). Le levigatrici per pavimenti devono essere munite di aspirazione autonoma.

L’impianto di ventilazione comprende i dispositivi di captazione, le condotte di trasporto, il gruppo motore-ventilatore, il sistema di depurazione dell’aria, i camini di espulsione, il silo di stoccaggio, i dispositivi di reintegro dell’aria. L’impianto deve essere progettato e realizzato in maniera da minimizzare il rischio d’innesco e di propagazione d’incendio, secondo quanto previsto dalle norme antincendio.

1.3.1. Dispositivi di captazione

Un dispositivo di captazione localizzata è un elemento destinato a captare le polveri emesse da una sorgente di inquinamento prima che queste si disperdano. Esso va collocato il più vicino possibile alla sorgente di emissione.L’efficacia di captazione dipende dalla forma del dispositivo di captazione, dalla portata d’aria messa in gioco e quindi dalla velocità di cattura indotta nel punto di emissione delle polveri.

Il dispositivo di captazione deve essere ben adattato all’utensile. Se è necessario modificare la disposizione dell’utensile durante la lavorazione, questi dispositivi devono essere regolabili in modo da seguire il più possibile la sorgente di emissione. Inoltre bisogna tenere conto che essi devono contemporaneamente proteggere dai rischi di contatto con l’utensile e dal rumore, garantendo allo stesso tempo un’adeguata visibilità del piano di lavoro.

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Per la scelta del dispositivo di captazione bisogna prendere in considerazione i seguenti parametri:

velocità di proiezione e diametro delle particelle - la velocità di proiezione delle particelle è normalmente superiore a 10 m/s (in relazione al diametro ed alla velocità di rotazione si possono raggiungere anche 90 m/s) in quest’ultimo caso l’effetto di trascinamento su particelle inalabili, dovuto a particelle di diametro superiore a quelle inalabili, è significativo;

direzione di lancio delle particelle - può essere unica e costante o variabile in relazione all’utensile di lavoro;

costanza o variabilità della sorgente di emissione - in alcune macchine l’organo lavoratore è intercambiabile in relazione alla tipologia di lavoro;

posizionamento della macchina nell’ambiente di lavoro – deve essere verificata l’eventuale presenza di correnti d’aria nella zona di posizionamento della macchina.

Il dispositivo di captazione sarà costruito seguendo questi criteri:

Avvolgere al massimo la zona di produzione delle particelle.

Avvicinare il più possibile la sezione aspirante della cappa alla sorgente inquinante.

A parità di portata d’aria aspirata la velocità di cattura, e quindi l’efficacia della cappa, diminuisce molto rapidamente all’aumentare della distanza.

Utilizzare i movimenti delle particelle generate dagli utensili di taglio o d’abrasione.

L’apertura della cappa, di opportune dimensioni, va posta verso la proiezione dei trucioli e delle polveri. Se la direzione di questa proiezione varia a seconda della lavorazione, è importante che la cappa si sposti in modo che si situi sempre di fronte alla proiezione (toupie lavorante all’albero, tornio, sega radiale). Per sfruttare al meglio la corrente d’aria intorno agli utensili rotanti, convogliare tale corrente, mediante deflettori, nella direzione di aspirazione.

Evitare che la zona respiratoria del lavoratore si trovi sulla traiettoria dell’aria inquinata.

Non utilizzare cappe sospese. Utilizzare banchi aspirati inferiormente per la levigatura a mano o mediante utensili portatili.

Indurre una velocità dell’aria sufficiente in tutti i punti della zona d’emissione.

L’efficacia di captazione dipende da numerosi parametri quali la forma dell’elemento di captazione, la direzione e la velocità delle particelle emesse, conseguentemente ed è impossibile stabilire una velocità di cattura unica per tutte le macchine e le lavorazioni.

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1.3.2. Rete di trasporto

L’aria inquinata captata nei luoghi di lavoro deve essere espulsa all’esterno, per cui è necessaria una rete di condotte per il trasporto. Il dimensionamento e la scelta degli elementi costitutivi della rete devono tenere conto di diversi fattori quali: la velocità ottimale di trasporto dell’aria, le perdite di carico, i fenomeni di abrasione, il disturbo acustico, la lunghezza delle condotte ecc. e sono pertanto compiti da affidare ad un tecnico competente.

La velocità dell’aria indotta all’interno delle condotte deve avere un valore minimale sufficiente per evitare il deposito nella rete di trasporto, senza per questo superare un valore troppo elevato, anche per limitare il rumore. Le velocità consigliate sono quelle precedentemente richiamate e riportate nelle norme EN per le macchine del legno.

Certi costruttori di impianti raccomandano di arrivare fino a 30 m/s in modo da ottenere in ogni caso una velocità di cattura sufficiente nel punto di emissione. Ma è preferibile ottimizzare la progettazione e la messa in opera delle cappe piuttosto che aumentare esageratamente la velocità dell’aria nelle condotte. Si ricorda che la potenza assorbita è proporzionale al cubo della velocità dell’aria.

I gomiti e i raccordi devono essere opportunamente dimensionati; le tubazioni sistemate in modo ascendente dovrebbero seguire un decorso per quanto possibile obliquo, in modo da impedire il pulsare della corrente e la conseguente formazione di un deposito del materiale trasportato. Sono da evitare le tubature corrugate internamente, per i possibili depositi e per le elevate perdite di carico.

Le tubazioni devono essere in materiale non combustibile e con capacità di resistenza alla usura e alla rottura tale da sopportare le sollecitazioni prevedibili.

Per evitare l’accumulo di cariche elettrostatiche il materiale deve essere elettroconduttore; le tubazioni flessibili e le parti non metalliche devono essere cavallottate; la rete di tubazioni deve essere collegata a terra.

1.3.3. Depurazione

E’ ottenuta tramite:

➜ Separatori per forza centrifuga, dei quali il più conosciuto è il ciclone. La loro efficacia è funzione della velocità periferica data alla particella e del diametro aerodinamico di quest’ultima. Sono usati da soli soltanto in caso di scarsa produzione di polvere, come per esempio nel caso di macchine di segheria. Molto più efficacemente un ciclone può essere utilizzato abbinandolo ad un separatore filtrante.

➜ Separatori filtranti, che utilizzano filtri a manica o filtri a cartuccia. Il potere filtrante del mezzo deve essere assicurato in modo da conservare la portata d’aria estratta durante tutta l’utilizzazione, per cui è necessario una

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pulizia periodica. Questa può essere meccanica o pneumatica (con controcorrente d’aria).

➜ Separatori combinati, che impiegano entrambe le tecniche. I separatori devono essere facilmente accessibili ed ispezionabili, in modo da consentirne la pulizia.

Nell’industria del legno i filtri non costituiscono mai una barriera assoluta alle polveri. Le particelle più fini non vengono bloccate. Una fase critica è quella immediatamente successiva alla pulizia del filtro, per "controlavaggio" con aria compressa o per scuotimento: in questa fase l’efficienza è piuttosto bassa, perché non si è ancora formato lo strato di polvere che costituisce il vero mezzo filtrante; l’efficienza di abbattimento aumenta man mano che il filtro si sporca, richiedendo una pressione sempre maggiore per consentire il passaggio dell’aria.

Gli impianti di filtrazione devono essere collocati all’esterno, o quanto meno in ambienti separati dai locali di lavoro; la necessità di separazione nasce da esigenze di prevenzione incendi e da esigenze di salubrità dell’aria, in particolare nelle fasi di pulitura degli elementi filtranti e dello svuotamento dei contenitori di raccolta.

1.3.4. Ventilatori

E’ il dispositivo che crea la depressione all’interno dell’impianto consentendo il movimento dell’aria all’interno delle tubazioni. La portata generata da un ventilatore è funzione delle sue caratteristiche e delle perdite di carico incontrate nella rete. I ventilatori centrifughi sono i più adatti al trasporto pneumatico dei residui di lavorazione nell’industria del legno. Essi permettono di ottenere delle portate medie importanti con pressioni elevate per il trasporto dell’aria nelle reti lunghe e ramificate.

I ventilatori è opportuno che siano posti a valle del depuratore (filtro in depressione) in modo da funzionare con aria depurata, rendendo possibili rendimenti superiori ed evitando nel contempo inneschi d’incendio dovuti a surriscaldamenti o formazione di scintille per sfregamenti e urti tra parti fisse e mobili del ventilatore stesso.

Se si vuole sezionare la rete, bisogna prevedere tanti ventilatori messi a monte del depuratore (filtro in pressione), quante sono le porzioni dell’impianto che si vogliono poter far funzionare in maniera indipendente. In questo caso devono essere costruiti con materiali che riducano la possibilità di formazione di scintille e bisogna installare, a monte dei ventilatori, dei separatori di pezzetti di legno o utilizzare dei ventilatori a pale aperte per prodotto passante.

I ventilatori vanno posti all’esterno, soprattutto per il rumore e le vibrazionigenerati. In questo caso l’insonorizzazione può essere necessaria se non si rispettano i limiti imposti dalla legge sull’inquinamento acustico (L. 447/1995).

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1.3.5. Stoccaggio

Normalmente viene realizzato mediante l’impiego di silos. I contenitori di raccolta devono essere posti esternamente all’ambiente di lavoro, per gli stessi motivi di prevenzione incendi e di salubrità dell’aria indicati per i separatori. Una fase critica, in cui ci può essere una dispersione anche all’esterno dell’area dello stabilimento, è quella dello svuotamento dei silos nei camion, per il successivo smaltimento o recupero; per limitare la polverosità vanno previste attrezzature a tenuta.

1.3.6. Espulsione e ricircolo

Il ricircolo consiste nel reintrodurre, di solito parzialmente ed ai fini del risparmio energetico, l’aria aspirata nel locale dopo depurazione. In molte aziende del mobile è andato in disuso, perché in contrasto con una elevata qualità di finitura del prodotto. Questo processo comunque non è più consentito con le polveri di legno inalabili, in quanto si tratta di inquinanti cancerogeni.

Per le polveri di legno è pertanto necessaria l’espulsione all’esterno dell’aria depurata. L’espulsione va realizzata con camini costruiti e collocati in maniera da escludere la possibilità che l’emissione possa rientrare nell’ambiente di lavoro; questo si realizza sicuramente quando il punto di emissione è posto ad un’altezza almeno superiore al 30% rispetto all’altezza dell’edificio.

1.3.7. Aria di compensazione

E’ necessario compensare le estrazioni di aria mediante l’introduzione di un’equivalente quantità d’aria di compensazione (o di reintegro) in maniera da:

assicurare l’efficacia dei dispositivi di captazione: una mancanza d’aria di compensazione provoca la messa in depressione dei locali, che porta ad una diminuzione della portata d’aria estratta;

eliminare le correnti d’aria perturbatrici provenienti dalle aperture esistenti.

L’introduzione di aria di compensazione può essere naturale o meccanica.

L’introduzione meccanica (mediante ventilatori) è preferibile, perché permette un migliore controllo dell’apporto di aria nuova e della sua diffusione nel locale. Essa permette anche di eliminare le correnti d’aria provenienti dalle aperture (porte e finestre) che possono diminuire l’efficacia di captazione, disperdere gli inquinanti in tutto il laboratorio, provocare uno discomfort termico per il personale e trascinare l’aria proveniente dalle zone inquinate verso le zone salubri.

L’aria di compensazione deve essere presa all’esterno dei laboratori in una zona dove non c’è rischio d'interferenza con espulsioni di aria inquinata.

Deve essere riscaldata durante la stagione fredda, al fine di assicurare il comfort termico del personale.

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Per quanto possibile andrebbe ricercata una compensazione localizzata, cioè effettuata direttamente sui punti di aspirazione, realizzando un risparmio energetico e non provocando correnti d’aria sugli operatori.

1.3.8. Gestione dell’impianto di aspirazione

Il numero e la geometria dei punti da aspirare, la velocità di trasporto necessaria, insieme alle velocità di cattura, costituiscono il punto di partenza per il calcolo delle portate necessarie. Un impianto ben progettato necessita comunque di una messa a punto in opera attraverso regolazioni mediante registri e serrande. Questi dovranno poi essere bloccate nella regolazione di collaudo e modificate solo da personale esperto.

Quando le macchine non funzionano tutte simultaneamente e i tempi di lavoro sono brevi, il progettista potrà prevedere una portata inferiore - dedotta in base al numero di macchine funzionanti simultaneamente indicate dall’utilizzatore - senza discendere però sotto il 75% della potenzialità dell’impianto, altrimenti la velocità dell’aria in certe branche del circuito potrà calare in modo troppo importante e comportare dei depositi. In questo caso è importante che si chiudano i registri delle macchine che non sono in funzione, altrimenti la velocità nelle condotte decade.

Nel caso (non raro) in cui tutte le macchine siano ferme, l’impianto d’aspirazione andrà chiuso per motivi di economia e di rumore. Per contro è necessario che questo venga rimesso in servizio anche se una sola delle macchine viene messa in marcia, anche per operazioni di breve durata. A questo si può in parte ovviare sezionando opportunamente la rete.

E’ importante facilitare la messa in marcia dell’impianto di aspirazione, automaticamente, tramite l’asservimento del suo avvio alla messa in marcia di una qualunque delle macchine. Dopo lo spegnimento delle macchine l’impianto dovrà rimanere in funzione per almeno 15-20 secondi.

L’efficienza dell’impianto, in particolar modo in caso di impianti costituiti da una rete particolarmente estesa, deve essere tenuta costantemente sotto controllo mediante adatta strumentazione fissa, come ad es. dei misuratori di pressione statica, collegata ad una centralina d’allarme.

Controlli regolari vanno fatti anche sui parametri di funzionamento del ventilatore, in particolare sul numero di giri. Un controllo qualitativo sulla efficacia dell’aspirazione, soprattutto per quanto riguarda le direzioni delle correnti d’aria, può essere realizzato con fialette fumogene.

CRITERI PER LA VERIFICA DEGLI IMPIANTI DI ASPIRAZIONE

La valutazione delle caratteristiche fluidodinamiche degli impianti di aspirazione localizzata viene fatta mediante:

A. esame della documentazione tecnica presente in azienda;

B. verifica della presenza di polveri depositate nell’ambiente di lavoro;

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C. misurazioni strumentali della velocità dell’aria.

A. L’esame della documentazione tecnica (valutazione di tipo quantitativo e qualitativo) ha come scopo principale quello di orientamento delle successive rilevazioni strumentali, oltre a quello di verificare la corrispondenza tra lo stato di fatto dell’impianto e quello di progetto.

B. La verifica della presenza di polveri depositate e disperse nell’ambiente di lavoro durante la lavorazione (valutazione di tipo qualitativo) anch’essa ha lo scopo di orientare le rilevazioni strumentali ed attiene ad un giudizio soggettivo dell’osservatore sulle condizioni della lavorazione e sulle condizioni ambientali (nella scheda A sono indicati i parametri da rilevare).

C. Le misurazioni strumentali della velocità dell’aria possono essere sia quantitative che qualitative.

Relativamente alle misurazioni quantitative il problema principale da risolvere, prima della loro effettuazione, è quello relativo alla o alle posizioni di misura nelle quali determinare la velocità dell’aria. L’Industrial Ventilation individua vari tipi di velocità di aspirazione, relativi a specifiche posizioni di misura, che riportiamo di seguito:

a) velocità di cattura (capture velocity): velocità dell’aria in corrispondenza ad un punto qualsiasi anteriormente alla cappa o all’apertura della cappa, necessaria a vincere le correnti d’aria contrastanti ed a catturare l’aria inquinata in quel punto convogliandola all’interno della cappa;

b) velocità attraverso la fessura (slot velocity): velocità dell’aria attraverso le aperture di una cappa a fessurazioni;

c) velocità frontale (face velocity): velocità dell’aria in corrispondenza all’apertura della cappa;

d) velocità nel condotto (duct velocity): velocità dell’aria nella sezione del condotto.

In relazione alle tipologie di macchine utensili utilizzate nelle falegnamerie e gli impianti d’aspirazione delle polveri presenti si esprimono le seguenti considerazioni:

a) La misurazione della velocità attraverso la fessura non appare significativa per determinare le caratteristiche degli impianti di aspirazione.

b) Misurazione della velocità di cattura

Quando si affronta il tema della cattura dell’inquinante alla sorgente è necessario valutare le condizioni di quiete o di perturbazione presenti nell’aria circostante la zona (sorgente) di emissione. Nella lavorazione del legno, la velocità di proiezione del “truciolo” asportato dall’utensile può raggiungere velocità anche di 60 m/s con direzionalità specifica, inoltre il moto dell’utensile influenza i campi di velocità determinati dalla depressione dovuta all’impianto di aspirazione.

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In base a queste motivazioni la misura della velocità di cattura è da ritenersi idonea solo nel caso degli impianti di carteggiatura, dove le modalità operative specifiche delle macchine rendono significativa la misurazione. E’ da rilevare come le “scartatrici (carteggiatrici) a nastro” non rispettino il criterio di segregazione della zona di non lavoro del nastro con idonea carteratura al fine di limitare l’emissione di polvere.

c) Misurazione della velocità frontale

Anche per questo tipo di misurazione, ritenuta non appropriata in una prima fase, devono essere fatte alcune considerazioni evidenziando come l’evoluzione tecnologica abbia consentito di immettere sul mercato macchine utensili a controllo numerico multifunzionali (con uso di diversi utensili quali foratrici verticali e orizzontali, frese, dischi, ect.) Dette macchine, chiamate “punto-punto” sono commercializzate sia con cabinatura completa aspirata che con aspirazioni localizzate “tradizionali”.

Nel caso di macchina cabinata la misurazione della velocità frontale può essere utilmente rilevata nella zona (“finestra”) di immissione, nel caso di macchina non cabinata la stessa misurazione ha poco significato in quanto risulta difficile definire una superficie di interfaccia tra le condotte di aspirazione e l’esterno.

d) Misurazione della velocità nel condotto

La velocità nel condotto si ritiene la metodologia di misura più appropriata, anche se tecnicamente più difficile da effettuare sia perché, attraverso un foro, deve essere introdotto lo strumento all’interno del condotto, sia perché, per avere una distribuzione omogenea dei filetti fluidi all’interno delle canalizzazioni, è necessario che le stesse abbiano tratti rettilinei lunghi almeno 10 diametri della tubazione.Quest’ultima condizione risulta difficilmente riscontrabile all’interno di falegnamerie di piccole dimensioni. I fori nelle canalizzazioni devono essere effettuati ad impianto di aspirazione spento, al fine di evitare il trasporto di eventuali scintille prodotte.

La strumentazione utilizzata per le misure di velocità dell’aria è costituita da:

anemometro con range di velocità 0.15 - 50 m/s; micromanometro differenziale (tubo di Pitot) con range di velocità 0.2 - 50 m/s.

Le verifiche di tipo qualitativo fanno riferimento all’uso dei fumi freddi, tecnica che può essere utilizzata per visualizzare i flussi dall’aria indotti dall’impianto di aspirazione.

I fumi freddi possono essere utilizzati con i seguenti scopi:

a) mettere in evidenza la dispersione degli inquinanti, il verso del flusso, il riflusso eventuale dal dispositivo di captazione;

b) definire la zona a partire dalla quale l’impianto ha perduto totalmente la sua efficacia;

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c) mettere in evidenza l’esistenza di correnti d’aria e visualizzare i fenomeni di turbolenza in prossimità di ostacoli;

d) cercare eventuali perdite dell’impianto.

Per facilitare la completezza e l’omogeneità delle modalità di rilevazione delle caratteristiche dell’impianto di aspirazione è utile l’uso della scheda, contenuta in Allegato B, relativa alle lavorazioni esaminate.

1.4. PULIZIA DEI LOCALI, DELLE MACCHINE E DELLE ATTREZZATURE

Frequente deve essere la pulizia degli ambienti di lavoro è fondamentale verificare la sua organizzazione (modalità, periodicità, momento di effettuazione). Si consiglia la pulizia giornaliera effettuata fuori dall’orario di lavoro ed eseguita con mezzi meccanici dotati di aspirazione, evitando l’uso di scope ed in particolare vietando l’uso di aria compressa.

Sono possibili le seguenti soluzioni:

Installazione a pavimento di bocche di aspirazione collegate alla rete di estrazione. I trucioli sono asportati per spazzatura. In questo caso il rilascio di polveri è più o meno importante, ma mai nullo.

Utilizzazione di aspiratori industriali o spazzatrici. Per non ricircolare nell’ambiente di lavoro le polveri più fini, gli aspiratori devono essere muniti in uscita di filtri assoluti (filtro HEPA con efficienza del 99.97%).

Utilizzazione di un condotto flessibile collegato alla rete di aspirazione. La portata risulta diminuita a causa della forte perdita di carico delle tubature corrugate; la depressione è insufficiente per questo uso.

Installazione di un sistema di pulizia centralizzato. Si tratta di un circuito separato simile a quello asservito agli utensili portatili. Le portate d’aria necessariamente sono piccole, le canalizzazioni sono di piccolo diametro. E’ possibile circondare l’insieme del laboratorio come per la fornitura dell’aria compressa. In prossimità di ciascun posto di lavoro, si dispone una presa chiudibile sulla quale si raccorda una tubatura flessibile simile a quella di un aspiratore. Questo circuito deve essere messo in forte depressione da un ventilatore opportunamente scelto, posto all’esterno del locale.

1.5. ALTRI RISCHI

L’installazione e la gestione degli impianti di ventilazione genera rischi propri:

Rischio rumore e vibrazioni Il datore di lavoro deve privilegiare, all’atto dell’acquisto, gli impianti che producono il più basso livello di rumore (art. 46 del D.Lgs. 277/91). Questo è valido anche per le vibrazioni generate dall’impianto, soprattutto per quanto riguarda la zona del gruppo motore-ventilatore (art. 24 del DPR 303/56).

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Un buon impianto di aspirazione dovrebbe generare un livello sonoro medio nelle postazioni di lavoro inferiore di almeno 10 dB(A) rispetto a quello prodotto dalle lavorazioni.

Rischio di caduta dall’alto Durante la manutenzione e il controllo degli impianti (tubazioni, depuratori a ciclone e a filtro, silos, camini, ecc.) si devono eseguire le operazioni in sicurezza; quindi è necessario che i posti di lavoro sopraelevati e le relative rampe e/o scale di accesso siano provviste di parapetti secondo quanto prescritto dagli artt. 26 e 27 del DPR 547/55. In particolare le scale fisse a pioli devono essere costruite secondo quanto prescritto dall’art. 17 del DPR 547/55.

Rischio di esplosione e incendio La polvere di legno è una polvere combustibile, la quale, in sospensione nell’aria, può formare una nube, che se ha una concentrazione superiore a 40 g per m3 di aria (limite inferiore di infiammabilità), in presenza di un innesco può esplodere. Un rischio di esplosione elevato si ha durante gli incendi di silos e stazioni filtranti, in caso di apertura di porte e/o valvole, con conseguente immissione di aria in prossimità del focolaio. Una condizione simile si realizza quando si interviene con getti d’acqua pressurizzata su cumuli o con spingitoi, che possono provocare nubi di polvere, per sollevamento o per caduta dalla massa più o meno impaccata, con concentrazioni superiori al limite inferiore di infiammabilità. In caso di incendio non bisogna arrestare il ventilatore e aprire la stazione filtrante per attaccare il fuoco direttamente: se si arresta il ventilatore la polvere non aderisce più alle maniche e la concentrazione in sospensione aumenta a valori ideali per l’esplosione. Bisogna anche evitare l’accumulo di cariche elettrostatiche, a seguito dell’attrito dell’aria all’interno delle tubazioni, realizzando una buona conduzione elettrica verso terra, senza soluzioni di continuità e per tutta l’estensione della rete.

Rischio elettrico L’impianto elettrico deve essere realizzato secondo le norme CEI 64-2. In particolare, i luoghi in cui è presente polvere infiammabile o che può dar luogo a polveri esplosive con l’aria sono luoghi di classe 2, indipendentemente dai quantitativi. L’impianto elettrico di sicurezza deve essere AD-FT. La protezione meccanica degli involucri deve essere almeno di grado IP 44.

Rischio di fulminazione I camini, i recipienti e gli apparecchi metallici, come depuratori d’aria e silos, di notevoli dimensioni, situati all’aperto, devono risultare collegati elettricamente a terra in modo da garantire la dispersione delle scariche atmosferiche (artt. 38 e 39 del DPR 547/55). Poiché il dettato di legge è generico, va valutata la necessità o meno di protezione sulla base delle Norme CEI 81-1 e CEI 81-4, inerenti la protezione di strutture contro i fulmini.

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1.6. IMPIANTI PER LAVORI DI LEVIGATURA

Nella levigatura si produce sempre polvere in grande quantità e di dimensioni particolarmente fini. Pertanto le macchine levigatrici devono essere dotate di aspirazione localizzata particolarmente efficace.

Esistono altre tre modalità lavorative che creano impolveramento:

Lavoro manuale con carta vetrata Questo lavoro genera delle polveri che rimangono per lo più a contatto del pezzo o della carta abrasiva (in assenza di altri movimenti). Esse si diffondono nell’atmosfera, allorché i pezzi vengono spostati o cambiati di posizione e quando si pulisce il pezzo alla fine dell’operazione. L’affaticamento dell’operatore implica una maggior ventilazione respiratoria e quindi una maggiore esposizione.

Lavoro con levigatrice portatile La velocità dell’utensile crea una dispersione delle polveri che devono essere captate, prima che esse raggiungano le vie respiratorie dell’operatore, mediante aspirazione localizzata. Nel caso di impiego di utensili pneumatici portatili (levigatrici orbitali per esempio) lo scarico dell’aria di funzionamento avviene molto vicino alla zona di produzione della polvere; questo scappamento d’aria può perturbare l’efficacia di captazione delle polveri, oltre che essere di per sé nocivo in quanto si tratta di aria contaminata da olio lubrificante.

Pulizia del pezzo Molto spesso, per comodità, viene eseguita per mezzo di soffi di aria compressa o anche con la bocca; inevitabilmente le polveri vengono pertanto disperse nell’atmosfera.

Soluzioni particolari per la levigatura

Tavolo aspirante Perché l’aspirazione sia efficace durante la levigatura, è necessario che:

le dimensioni del tavolo siano sufficienti in rapporto alle dimensioni del pezzo;

i pezzi non vengano ammassati sul piano, perché impediscono il passaggio dell’aria.

La tavola aspirante è utilizzabile solo per pezzi piani di piccole dimensioni. In tutti i casi, questo dispositivo impone una portata d’aria elevata.

Cabina ventilata Si può utilizzare una cabina aperta a ventilazione orizzontale o una cabina chiusa a ventilazione verticale, in particolare nel caso di pezzi di grandi dimensioni. Nondimeno, in tutti due i casi, la portata da mettere in gioco sarà elevata.

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Aspirazione integrata nell’utensile portatile I fabbricanti di levigatrici portatili prevedono un dispositivo di captazione integrato con l’utensile. Ciò permette di catturare le polveri alla sorgente con portate d’estrazione relativamente piccole (qualche centinaia di m3/h, al massimo, per utensile).

Alcune levigatrici portatili pneumatiche, sono equipaggiate di 3 tubi concentrici, il primo per alimentare la macchina con aria compressa, il secondo per ricevere quest’aria uscente dalla macchina, il terzo per evacuare le polveri captate alla sorgente. L’aria compressa attraverserà un filtro sintetico a micropori prima di essere scaricata, evitando di immettere nell’atmosfera tracce di olio nebulizzato. Questa attrezzatura è usabile sia con pezzi piccoli che con pezzi di grandi dimensioni.

Tabella 5: Soluzioni di bonifica per le operazioni di levigatura a mano o con utensile portatile

Dimensione pezzi Tipo di levigatura Bonifica Pulizia

A mano Tavolo aspirante Spazzola aspirante

Tavolo aspirante Pezzi piccoli e piani Con utensile

portatile Utensile con aspirazione

integrata

Spazzola aspirante

A mano

Cabina (di preferenza a

ventilazioneverticale)

Spazzola aspirante

Utensile con aspirazione

integrata Pezzi voluminosi

Con utensile portatile Cabina

(di preferenza a ventilazione

verticale)

Spazzola aspirante

2. DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE

Oltre all’azione cancerogena a carico delle prime vie respiratorie, le polveri di legno esercitano anche un’azione irritante della cute, delle mucose e della congiuntiva oculare.

Pertanto, nelle lavorazioni di carteggiatura, di levigatura, di manutenzione e di pulizia degli impianti e dei locali, dove non sono utilizzabili dispositivi di protezione collettiva e comunque, quando questi, per le particolari condizioni o modalità lavorative, non garantiscano una sufficiente protezione, devono essere messi a disposizione dei lavoratori e fatti utilizzare i seguenti DPI:

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copricapo;

tuta, possibilmente in cotone a trama fitta sia per la traspirazione che per una migliore protezione, con polsini dotati di elastici; gli indumenti devono consentire a chi li usa di sentirsi comodo e senza restrizioni, non devono impedire movimenti di piegamento e stiramento del corpo e devono essere di taglia adeguata;

occhiali da utilizzarsi in presenza di concentrazioni elevate di polveri ed in tutte le lavorazioni che causano proiezioni di frammenti o trucioli;

apparecchi di protezione delle vie respiratorie secondo quanto viene indicato nella tabella seguente (APVR) con Fattore di Protezione Operativo almeno pari all’ FFP2.

Tabella 6: Scelta del DPI delle vie respiratorie in funzione del tipo di lavorazione

Lavorazioni APVR FPO

Uso di macchine utensili che producono particelle di grosse dimensioni Lavori di montaggio ed installazione

FFP1 4

Carteggiatura Levigatura Pulizia delle macchine e dei locali Manutenzione sui sistemi di captazione/ filtrazione Svuotamento di contenitori e silos Lavori di cantieristica

FFP2 10

Legenda: APVR = Apparecchi di Protezione delle Vie Respiratorie

FPO = Fattore di Protezione Operativo

Così come stabilito dal Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 2 Maggio 2001 “Criteri per l’individuazione e l’uso dei dispositivi di protezione individuale”, dovrà essere attuato quanto segue:

- per tutti i DPI che necessitano di manutenzione dovrà essere istituito apposito registro, sul quale un responsabile nominato dal datore di lavoro dovrà annotare la consegna, le verifiche per l’accertamento di eventuali difetti, la pulizia e disinfezione, le riparazioni e le sostituzioni;

- il personale che utilizza apparati di protezione delle vie respiratorie, dovrà essere adeguatamente formato e addestrato.

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ALLEGATO B

CAMPIONAMENTO, ANALISI GRAVIMETRICA E VALUTAZIONE DI CONFORMITÀ AL VALORE LIMITE NELLA MISURAZIONE DELLA ESPOSIZIONE A POLVERI DI LEGNO

Il campionamento

Il Titolo VII del Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n.626 all’articolo 62 comma 3 stabilisce che l’esposizione dei lavoratori sia ridotta al più basso valore tecnicamente possibile e che comunque non debba superare il valore limite stabilito nell’allegato VIII-bis.

In allegato VIII-bis per le polveri di legno viene indicato il valore limite, su di un periodo di riferimento di 8 ore, di 5 mg/m3come frazione inalabile (F.I.).

La F.I: viene univocamente definita nella norma UNI-EN 481 Atmosfera negli ambienti di lavoro «DEFINIZIONE DELLE FRAZIONI GRANULOMETRICHE PER LA

MISURAZIONE DELLE PARTICELLE AERODISPERSE».

Nella norma viene prescritto che il campionatore della F.I. selezioni le particelle aerodisperse di diametro secondo la convenzione Ei = 50 [1+exp(-0,06D)] dove Ei èla percentuale di particelle di diametro aerodinamico D che devono essere raccolte dal sistema di campionamento (con D < 100 µm).

In merito ai campionatori in grado di assicurare buone “performance” rispetto alla F.I. sono state condotte numerose sperimentazioni in camere del vento ed esistono in letteratura varie curve di confronto dei campionatori testati e la curva di convenzione inalabile. Allo stato attuale degli studi condotti le indicazioni ottenute portano a considerare il campionatore IOM quello che, nelle varie condizioni di sperimentazione, è da considerare fra i più attendibili per la raccolta di F.I.. Sono comunque attualmente in corso studi che confrontano vari campionatori in condizioni di aria calma (<0,1 m/s), più reali per quanto riguarda gli ambienti di lavoro. Un ulteriore problematica aperta è relativa alle particelle con D > 100 µm, che si possono generare durante la lavorazione del legno, in relazione alla possibilità di captazione delle diverse teste di campionamento.

In Italia è in uso un sistema di campionamento basato sulla predisposizione di un “conetto” prima del filtro di prelievo, e alla cui sezione d’entrata viene realizzata una velocità di 1,25 m/s ± 10%.

Si ritiene che, allo stato attuale, e in attesa di valutazioni definitive delle “performance” di raccolta delle particelle, possa essere utilizzato preferibilmente un campionatore di F.I. quale lo IOM (o altri che obbediscano alle condizioni d’uso della convenzione inalabile) ma che possa ancora essere accettato l’uso del tradizionale “conetto” nelle condizioni di velocità del vento tipiche degli ambienti di lavoro (comunque inferiori a 0,5 m/s).

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È auspicabile, in attesa di indicazioni formali, che da parte dei Servizi di Prevenzione (ma non solo) vengano effettuati studi di confronto fra il dispositivo IOM e il campionatore italiano (“conetto”).

Il campionamento deve essere eseguito nella “zona respiratoria” del lavoratore e l’orifizio di entrata del campionatore deve essere mantenuto parallelo al corpo.

Le pompe di campionamento devono essere tarate al flusso desiderato tramite flussimetro a bolla con cronometro a lettura di 1/10 di secondo (o con sistemi analoghi a migliori prestazioni): sono assolutamente sconsigliate tarature di flusso con rotametri. Le pompe per il campionamento personale devono essere conformi alla norma UNI-EN 1232.

Il flusso deve essere misurato all’inizio e al termine del prelievo e non deve essere registrata una variazione superiore al 10% pena il rigetto del campionamento.

I filtri da impiegare devono avere caratteristiche idrofobe: sono consigliabili filtri in fibra di vetro per la loro maneggevolezza rispetto ai filtri in PVC.

Il tempo di campionamento relativo ad ogni singolo prelievo (ma non alla rappresentatività dell’esposizione) deve essere ottimizzato in funzione della quantità di polvere che si può depositare sulla membrana: ambienti poco polverosi richiedono tempi di campionamento adeguati per la raccolta di quantità minima di polvere (peso indicativamente maggiore di 200 ÷ 300 µg) ovvero ambienti molto polverosi richiedono tempi di campionamento relativamente brevi (in certe operazioni di carteggiatura possono essere sufficienti anche 30 minuti) per evitare depositi di polvere eccessivi sul filtro e all’interno del sistema di campionamento.

Particolare cura va prestata alla custodia del campione sia nelle fasi di eventuali interruzioni del campionamento in Azienda sia nel suo trasporto all’analisi. Il trasporto dei contenitori con le membrane impolverate dovrà essere effettuato evitando urti che favoriscano il distacco delle polveri dal filtro: è utile assegnare un verso (alto-basso) alla confezione (scatola) in cui vengono riposti i filtri e questa dovrà essere colmata con materiale di riempimento per evitare movimenti dei contenitori verso gli spazi liberi.

Analisi gravimetrica

Per la pesata dei filtri è indispensabile utilizzare una bilancia analitica con sensibilità di almeno 0,01 mg. Per il trasferimento dei filtri al piatto di pesata utilizzare pinzette con punta piatta, non zigrinata, per evitare abrasioni o danneggiamento del filtro.

È necessario eliminare le cariche elettrostatiche dalla membrana o dal sistema di raccolta attraverso pistola spara-carica, o dispositivi di messa a terra o sistemi equivalenti.

Il condizionamento dei filtri può essere effettuato, o mantenendoli in essiccatore per circa 12 ore prima di eseguire la pesata, o collocandoli all’interno di cabina (o stanza) con umidità e temperatura controllata per tempi adeguati (indicativamente 24 ore).

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Ogni gruppo di filtri pesati deve comprendere un filtro di controllo (bianco, nella quantità di uno ogni dieci filtri o frazioni di dieci); questo consente di avere una costante verifica di uniformità del sistema dei condizionamento–pesata. In caso di differenze significative controllare la sequenza delle operazioni e le apparecchiature.

N.B. si definisce bianco membrana di controllo una membrana filtrante estratta dal medesimo lotto di quelle utilizzate per il prelievo e che ha subito le medesime manipolazioni ad esclusione della fase di campionamento.

Il calcolo delle concentrazioni viene effettuato tramite la formula

C = P/V dove:

P = peso del filtro impolverato – peso filtro antecedente al campionamento [mg]

V = Volume aria campionata [m3]

Nell’espressione dei risultati deve essere utilizzata una sola cifra decimale. Occorre normalizzare il volume di prelievo alle condizioni normali di 20°C e 101,3 Kpa.

N.B. Nel caso di utilizzazione del campionatore IOM che prevede la pesata del sistema supporto più filtro, deve essere segnalato che:

i) occorre un’accurata pulizia del supporto, esternamente, prima della pesata;

ii) occorre pesare più volte fino alla stabilizzazione del peso del sistema supporto più filtro.

Valutazione di conformità al valore limite

A far data dal 01/01/2003 le Aziende che effettuano lavori comportanti l’esposizione a polveri di legno duro dovranno essere in grado di dimostrare che l’esposizione dei lavoratori è inferiore al valore limite di 5 mg/m3.

Prima di effettuare le misurazioni dell’esposizione a polveri di legno devono essere adottate tutte le misure di prevenzione e protezione finalizzate alla riduzione del rischio quali procedure di accurata pulizia degli ambienti, la separazione di ambienti di lavorazione del legno da altri, la manutenzione degli impianti e delle macchine e la sua programmazione nel tempo, l’adozione di aspirazione localizzata sulle macchine di lavorazione, qualora non ancora presenti, l’informazione e la formazione dei lavoratori.

Le misurazioni ambientali devono essere considerate la tappa finale di verifica di un processo di riduzione delle esposizioni e del mantenimento in essere delle condizioni (misurazioni periodiche) con il quale le Aziende possano documentare e tenere sotto controllo il livello di esposizione raggiunto e implicitamente il rispetto del valore limite.

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Deve essere ribadito che il mero rispetto del valore limite di 5 mg/m3 non significaaver adempiuto a quanto previsto dal Titolo VII del Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n.626 in termini di tutela del rischio cancerogeno ma esclusivamente di aver rispettato il livello minimo di tutela rappresentato dal valore limite e fermo restando che dovrà essere adottato ogni provvedimento per ridurre l’esposizione dei lavoratori al più basso livello tecnicamente possibile.

Se nell’ambito delle misurazioni effettuate si riscontrano superamenti del valore limite è necessario, da parte del datore di lavoro, prendere immediati provvedimenti atti ad impedire il protrarsi della situazione espositiva e a ricondurre l’esposizione almeno al di sotto del valore limite.

Nei casi in cui per la valutazione dei risultati delle misurazioni occorra avere l’ausilio dei procedimenti atti a prendere decisioni sulle esposizioni misurate nei confronti del valore limite è di ausilio l’applicazione di criteri statistici e decisionali.

L’applicazione di questi criteri basa la sua proficua utilizzazione nei casi di valutazione delle misure di esposizione contenute in fasce vicine al valore limite e/o con una relativa alta variabilità dei valori ovvero nei casi in cui si debbano prendere decisioni relative alla probabilità di superamento del valore limite.

In questo contesto, con l’emanazione del Decreto Legislativo 2 febbraio 2002, n.25 in materia di protezione da agenti chimici, l’indicazione ivi contenuta delle norme UNI-EN di riferimento, è da considerare quale norma per la valutazione dell’esposizione la norma UNI-EN 689:1997 [Atmosfera nell’ambiente di lavoro «GUIDA ALLA VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE PER INALAZIONE A COMPOSTI

CHIMICI DAI FINI DEL CONFRONTO CON I VALORI LIMITE E STRATEGIA DI

MISURAZIONE»].

Nel contesto della strategia di misurazione sono indicati tre capitoli:

1. di identificazione degli agenti presenti nei luoghi di lavoro,

2. di determinazione dei fattori relativi ai fini di: valutazione dei processi e delle procedure di lavoro esaminando mansioni, attività, procedure, fattori di emissione, impianti di aspirazione, tempi di esposizione e criteri di lavoro,

3. di valutazione delle esposizioni nei confronti del valore limite.

Senza entrare nello specifico della Norma UNI-EN 689:1997 preme evidenziare la necessità ivi prevista che i tempi di esposizione all’agente siano ben determinati e che i tempi di campionamento (siano essi su di un solo filtro o complessivamente in più frazioni) siano rappresentativi dell’esposizione.

La formula per il calcolo dell’esposizione giornaliera risulta:

Te Cexp,g = Ctc • -----

T0

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dove:

Ctc = Concentrazione di polvere sul tempo di campionamento complessivo Te = Tempi di esposizione del lavoratore alle polveri di legno T0 =8 ore = Tempo di riferimento Allegato VIII-bis - D.Lgs. 626/94 Cexp,g = Esposizione giornaliera riferita a 8 ore.

La norma UNI-EN 689:1997 presenta due procedure per la valutazione dell’esposizione degli addetti nei confronti di un valore limite:

1. in appendice C una procedura “formale” che si ritiene sia generalmente applicabile in tutte le tipologie di Aziende indipendentemente dalla loro dimensione e dal numero di esposti e che inoltre non richiede particolari valutazioni statistiche per la sua applicazione. Per l’applicazione della procedura formale occorre osservare le condizioni previste al punto C1 (Generalità) al punto C2 (Condizioni per l’utilizzo della procedura di valutazione).

In sintesi la procedura formale contiene i seguenti criteri di decisione:

- se il valore di esposizione, anche di una sola misura, è maggiore del valore limite si è in non conformità (provvedere a instaurare misure di prevenzione e protezione),

- se il valore di esposizione, su un turno di lavoro, è inferiore o uguale a 1/10 del valore limite, si è nella condizione in cui l’esposizione è sicuramente al di sotto del valore limite,

- se i valori di esposizione, su tre turni di lavoro, sono inferiori o uguali a un quarto del valore limite, si è nella condizione in cui l’esposizione è sicuramente al di sotto del valore limite,

- se i valori di esposizione, su tre turni di lavoro, senza alcun valore maggiore del valore limite, presentano una media geometrica delle misurazioni inferiore o uguale alla metà del valore limite, si è nella condizione in cui l’esposizione è minore del valore limite.

In tutti i casi, che non rientrano in quelli indicati, ci si trova nella condizione in cui la procedura non porta ad alcuna decisione e occorrono valutazioni più approfondite relativamente alla situazione espositiva e l’applicazione di criteri decisionali basati su test statistici.

L’appendice D della norma UNI-EN 689:1997 prevede un approccio probabilistico alle misure di esposizione, ed esige che il numero di misure di un gruppo omogeneo di esposti sia almeno maggiore di sei (preferibilmente maggiore o uguale a 10) e che la distribuzione dei dati sia di tipo log-normale (in appendice G propone un sistema grafico di verifica).

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Il criterio di decisione di conformità al valore limite, in questo caso, si basa sulla probabilità percentuale di superamento del valore limite; la a norma definisce tre situazioni di valutazione dell’esposizione professionale:

- situazione rossa: con probabilità di superamento di valore limite maggiore del 5%,

- situazione arancio: con probabilità di superamento del valore limite fra lo 0,1 e il 5%,

- situazione verde: con probabilità di superamento del valore limite inferiore allo 0,1%.

Un buon controllo dell’esposizione è ottenuto quando i valori rientrano nella situazione verde, mentre vanno effettuate misurazioni periodiche qualora si rientri nella situazione arancio, naturalmente la situazione rossa segnala la necessità di attuare immediatamente provvedimenti per la riduzione dell’esposizione.

Sono disponibili in letteratura e nella manualistica altri criteri decisionali utilizzabili quali: il criterio OTL (o test di Tuggle) che consentono di prendere decisioni relativamente alla probabilità di superamento di un valore limite.

Resoconto delle misurazioni

Al termine di ogni o valutazione dell’esposizione o misurazione periodica deve essere redatto un resoconto che preveda le motivazioni delle procedure che si sono adottate (Norma UNI-EN 689:1997 punto 7).

Il resoconto deve contenere, fra l’altro, indicazioni relative a: i) chi ha eseguito la valutazione e le misurazioni; ii) la descrizione dei fattori relativi al posto di lavoro e le condizioni trovate durante le misurazioni, iii) i tempi di campionamento con l’ora di inizio e fine, iv) la procedura di misurazione, v) gli eventi o fattori che possono influenzare i dati, vi) le concentrazioni di esposizione professionale, vii) il risultato del confronto con il valore limite.

Il resoconto delle misurazioni, così articolato, risulta di fondamentale importanza per una corretta documentazione dell’attività svolta, dei risultati ottenuti e della valutazione dell’esposizione: questi dovrebbe essere parte integrante del documento di valutazione dei rischi di cui all’articolo 4 comma 2. del D.Lgs. 626/94 ovvero dovrebbe essere allegato alla autocertificazione quando si verificano le condizioni previste dall’articolo 4 comma 11. del D.Lgs. 626/94 (Aziende con dipendenti uguali o inferiori a 10).

Per facilitare la redazione del resoconto di prova, relativamente alle fasi di campionamento e di analisi delle condizioni di lavoro, vengono allegate, come esempio, tre schede di rilevazione dati che permettono di registrare i parametri fondamentali da inserire successivamente nello stesso.

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SCHEDA DI IDENTIFICAZIONE DELLA DITTA

Ditta _______________________________________________________________

Sede dello Stabilimento ________________________________________________

Tipologia di azienda: � Industria � Artigianato

Tipo di produzione ____________________________________________________

fasi di lavoro n° addetti

Nominativo RSPP ____________________________________________________

Nominativo R.L.S. ____________________________________________________

ADDETTI M F Totale OPERAI APPRENDISTI CONTR. FORM. SOCI LAV. IMPIEGATI TOTALE

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Rapporto di campionamento N° ____

Data, __/__/____ Ditta: _____________________________________

Strumentazione utilizzata: ______________________________________________

Tipo di campionamento: � statico � personale

Tipo di campionatore : � IOM � Conetto � Altro ………………………..…..

Per la descrizione della zona di campionamento allegare un lay-out dell’azienda con indicato la posizione dei campionamenti

Dati relativi al campionamento:

Flusso di campionamento iniziale: _________ Finale: __________

Flusso medio: ___________

Ora iniziale: ____________ Ora Finale: __________

Tempo di campionamento: _______

Pressione: _______ Temperatura: ______ Umidità relativa: _______

Volume Aspirato: ______ Volume Normalizzato: ______________

Tipo di legno lavorato: _________________________________________________

Tipo di prodotto: _____________________________________________________

Indicare quali lavorazioni sono svolte con la macchina e la percentuale del tempo di utilizzo per ogni lavorazione (circa):

Lavorazione campionata durata della lavorazione rispetto al tempo di

campionamento

% del tempo di utilizzo della macchina

1

Altre lavorazioni svolte % del tempo di utilizzo della macchina 234

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LAVORAZIONI ESAMINATE

LAVORAZIONE CAMPIONATA N. _____ (in rif. a scheda campionamento N°)

DESCRIZIONE DELLA/E MACCHINA/E UTENSILE

(o della/e fase/i lavorativa/e) E DELLE MODALITA’ DI USO

(da riempire per ogni macchina e/o fase lavorativa)

A) IDENTIFICAZIONE DELLA MACCHINA

Macchina tipo: _______________________________________________________

Modello_________________________ Anno di produzione _________________

N° Matr. __________ Ditta Costruttrice __________________________________

Indirizzo costruttore ___________________________________________________

Marchio “CE”: � Si � No

Alla macchina è addetto uno specifico lavoratore? � Si � No

Modalità d’uso della macchina o di esecuzione della fase di lavoro durante il campionamento (nel caso di carteggiatura indicare il numero di “mesh” della carta abrasiva) ____________________________________________________________

Vengono usati DPI per le vie respiratorie? � Si � No

Tipo (indicare caratteristiche del filtro) ____________________________________

Sono presenti correnti d’aria che possono perturbare la diffusione delle polveri ?

� Si � No

Viene fatto uso di aria compressa per lo spolvero dei pezzi o superfici?

� Si � No

E’ presente un dispositivo per l’aspirazione delle polveri depositate?

� Si � No

E’ presente l’aspirazione delle polveri prodotte dalla lavorazione?

� Si � No

GIUDIZIO SULLE CONDIZIONI AMBIENTALI

Nella postazione di lavoro (durante il lavoro) è presente polvere depositata ?

� Si � No

Se SI, vi è presenza di polvere sulle superfici depositata da tempo e non eliminata ? (� poca - � abbastanza - � eccessiva )

Se SI, vi è formazione di polvere durante la lavorazione che non viene catturata dall’aspirazione presente ? (� poca - � abbastanza - � eccessiva )

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ALLEGATO C

SORVEGLIANZA SANITARIA

1. Introduzione

Il D.Lgs. 66/2000 modifica solo in minima parte e per aspetti prevalentemente formali il Capo III che disciplina le modalità di attuazione della sorveglianza sanitaria di cui al Titolo VII del D.Lgs. 626/94 (Protezione da Agenti Cancerogeni). Ne consegue che le Linee Guida prodotte dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome ed i recenti aggiornamenti riguardanti la “Protezione da agenti cancerogeni” devono intendersi oggi applicabili anche per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti a polveri di legno duro.

L’esposizione a polveri di legno (duro come anche tenero) è un fattore di rischio caratterizzato da molteplici e ben noti effetti su più apparati: la Tabella A riporta i principali effetti negativi sulla salute e i relativi, appropriati strumenti diagnostici a disposizione del medico competente.

E’ opportuno ricordare che il ricorso alla radiografia del torace e delle strutture del naso e dei seni paranasali non trova alcuna giustificazione come valutazione routinaria di screening, ma deve essere giustificata dalla presenza di segni e/o sintomi di patologia, meritevoli di approfondimento.

Anche se il dettato legislativo fa riferimento esclusivamente alle polveri di latifoglie (legni duri), non deve essere trascurata l’esposizione a polvere di conifere (legni teneri), non esenti da effetti cancerogeni (la monografia IARC n.62 parla di “polvere di legno” in genere) e che comunque rientrano nel campo di applicazione del Titolo VII bis del D.Lgs. 626/94.

Considerando che il potenziale effetto cancerogeno è quello di più recente identificazione e forse tra tutti gli altri quello meno documentato in termini epidemiologici e patogenetici, si ritiene opportuno evidenziare nelle presenti Linee Guida i principali punti critici che il medico competente e i Servizi di Prevenzione si troveranno a dover affrontare nell’ambito delle rispettive competenze.

Il cancro delle cavità nasali è una neoplasia rarissima nella “popolazione generale”. Nel complesso ci attendiamo 1 caso “spontaneo” di adenocarcinoma del naso e dei seni paranasali ogni 1.000.000 di persone, mentre fra i falegnami i casi sono nell'ordine di 5-9 ogni 10.000 lavoratori. Un esempio di come questo tumore sia raro nella popolazione generale ci viene dallo studio di una coorte di lavoratori di 3558 operai e impiegati maschi al lavoro dal 1960 per un totale di 92802 anni/persona: erano attesi 115 tumori polmonari [e ne sono stati riscontrati 24 in più, in relazione alla pregressa esposizione ad amianto avvenuta in azienda a carico degli operai dalla seconda metà degli anni '50 agli anni '70], erano attesi 2 casi di mesotelioma pleurico [e ne sono stati riscontrati 8 di più], era atteso meno di 1 caso di tumore del naso, precisamente 0,38 [e non ne è stato riscontrato nessuno].

Si riportano di seguito alcuni dati tratti da “Dati – INAIL; gennaio 2002” relativi alla dimensione delle malattie professionali riconosciute (Tabella 7).

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Tabella 7: Casi di malattia professionale manifestatesi nel periodo 1996-2000 e liquidate in rendita nelle industrie manifatturiere

Ipoacusia Osteoarticolari Cutanee Respiratorie

Tumori Altre

Legno 81.2% 2.1% 0.8% 9.0% 3.8% 3.1% Totale 64.0% 4.5% 2.9% 17.2% 5.1% 6.3%

Il principale punto critico nel graduare le misure di sorveglianza sanitaria riguarda l’opportunità o meno di definire una soglia minima d’esposizione al di sotto della quale considerare irrilevante il rischio per la salute: dato che non sussiste in questo caso, diversamente da altri cancerogeni, un’esposizione per la popolazione generale, non pare proponibile, allo stato delle attuali conoscenze, un livello d’attivazione minimo.

Nella valutazione del rischio assume rilevante importanza il contributo delle conoscenze di igiene industriale e di medicina del lavoro di cui sono portatori i consulenti del datore di lavoro: medico competente e RSPP sono quindi da considerare partecipi nelle attribuzioni del livello di esposizione e nelle conseguenti decisioni sull’adozione delle misure preventive e protettive nonché di sorveglianza sanitaria.

2. La sorveglianza sanitaria mirata al rischio di cancro delle cavità nasali

La scelta operata nel proporre dei protocolli di sorveglianza sanitaria è stata quella di graduare il livello di approfondimento diagnostico in rapporto ai più o meno elevati livelli di esposizione pregressa.

E’ necessario ricordare che lo scopo della sorveglianza sanitaria è molteplice:

rilevare patologie che potrebbero essere aggravate dall’esposizione a rischio e che potrebbero condizionare il giudizio di idoneità in fase di visita preventiva e di sorveglianza periodica;

evidenziare lesioni precoci attribuibili al rischio;

raccogliere dati di gruppo che consentano di indirizzare i provvedimenti di prevenzione primaria.

Il medico competente stabilisce autonomamente ed in scienza e coscienza i protocolli sanitari che vorrà adottare, effettuando anche esami clinici e biologici ed indagini diagnostiche specificamente mirati al rischio.

L’autonomia di giudizio e le competenze professionali del medico competente sono fondamentali sia nel raggiungimento degli obiettivi della sorveglianza sanitaria, sia nell’attribuzione dei lavoratori alle reali classi di rischio.

Nel delineare un protocollo-base di sorveglianza sanitaria per gli esposti a polveri di legno, si è tenuto conto di quanto sopra; il medico competente incaricato della sorveglianza sanitaria di un gruppo di lavoratori esposti, secondo il caso e le sue

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specifiche conoscenze dell’azienda, può in piena responsabilità e motivatamente discostarsi dalla Linea Guida di seguito esposta. La visita preventiva, prevede un diverso comportamento secondo l’esistenza o meno di pregressa esposizione:

1. lavoratori senza pregressa esposizione a rischio specifico, definiti come coloro che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro ovvero hanno già avuto esperienze lavorative, ma in settori e/o comparti e/o mansioni che non hanno comportato esposizione a polveri di legno e/o di cuoio e/o a cromo esavalente.

2. lavoratori con pregressa esposizione a rischio specifico, definiti come coloro che hanno lavorato in settori e/o comparti e/o mansioni che hanno comportato esposizione a polveri di legno e/o di cuoio e/o a cromo esavalente.

Queste due fattispecie sono servite per modulare gli accertamenti sanitari: in particolare, in assenza di pregresse esposizioni a rischio specifico, il medico competente indagherà circa una possibile sintomatologia rinologica e, qualora evidenzi positività per sintomi attribuibili a patologie croniche del naso, potrà decidere se ricorrere o meno allo specialista otorinolaringoiatra. In linea generale, nel caso di esposizione pregressa, i lavoratori saranno sottoposti ad esame obiettivo del rinofaringe da parte del medico competente anche utilizzando semplici esami strumentali come la rinoscopia anteriore e solo qualora la visita e/o il questionario sui disturbi nasali lo indichino, deciderà se ricorrere alla visita specialistica otorinolaringoiatrica (Tabella B).

E’ necessario ricordare che i lavoratori già esposti presso altre aziende debbono arrivare all’osservazione del medico competente, incaricato dal datore di lavoro attuale, con il corredo delle informazioni contenute nelle cartelle sanitarie e nel registro degli esposti.

Per quanto riguarda i contenuti più specifici della sorveglianza sanitaria che il medico competente potrà riproporre con periodicità compresa tra uno e due anni, fatti salvi i protocolli mirati agli altri rischi non neoplastici dovuti all’azione irritante, tossica ed allergica delle polveri di legno, si condivide l’affermazione contenuta nelle già citate linee guida interregionali in merito al fatto che “per nessun

tipo di tumore alla cui eziologia possono contribuire esposizioni professionali sono disponibili test adeguati per essere utilizzati in programmi di screening per la

diagnosi precoce, rivolti a soggetti asintomatici. Infatti, nella medicina del lavoro,

per nessuno di tali programmi è documentata o suggerita un’efficacia, intesa a modificare in meglio la storia naturale della malattia. In linea di principio, i medici

competenti vanno scoraggiati dal porre in opera qualsiasi intervento di screening

per la diagnosi precoce di tumori, rivolto a soggetti asintomatici. Possono invece essere incoraggiati (se si verificassero gli adeguati presupposti scientifici e

logistici) a partecipare a ricerche per la valutazione dell’efficacia di nuove proposte di screening”.

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40

Anche per i soggetti professionalmente esposti a polveri di legno non sono attualmente disponibili adeguati indicatori di effetti precoci e reversibili che non costituiscano già una diagnosi, per quanto precoce, di neoplasia. Diversi studi sperimentali hanno evidenziato significative riduzioni della clearance naso-ciliare quale effetto biologico anche nel caso di esposizioni inferiori ad 1 mg/m³.

Dal momento, comunque, che tale alterazione non è predittiva con certezza di alcuna patologia nasale, non si ritiene opportuno includere tale esame nel protocollo di accertamenti periodici, limitandolo eventualmente a singoli casi ben selezionati.

L’accertamento sanitario periodico, invece, dovrà essere considerato come un’opportuna occasione per rinnovare ai lavoratori l’informazione sul significato e sui limiti della sorveglianza sanitaria stessa e sui fattori di rischio extralavorativi dotati di potenziale sinergismo sugli effetti neoplastici in causa (Tabella C).

Il medico competente dovrà assumere sempre più quindi un ruolo di promotore della salute in senso lato, allargando il proprio campo d’intervento, oltre che agli aspetti più propriamente clinici e medico-legali, anche alla “sorveglianza ambientale”mediante una periodica verifica delle misure organizzative, procedurali ed igienistiche adottate: è’ pertanto indispensabile il suo coinvolgimento fin dalle prime fasi della valutazione del rischio e, successivamente, lungo tutto il percorso di messa a punto delle più idonee misure di prevenzione.

La periodicità dei controlli successivi è indicata in Tabella D, ove i lavoratori vengono distinti in due categorie:

1. lavoratori con esposizione “media” ed “alta” (tra 1 e 5 mg/m3)

2. lavoratori con esposizione “bassa” (inferiore ad 1 mg/m3).

Il valore di 1 mg/m3 è stato individuato sulla base della documentazione scientifica attualmente disponibile.

Per queste due categorie di lavoratori sono previste visite mediche con periodicità, rispettivamente annuale e biennale, con attento esame del rinofaringe anche associato a rinoscopia anteriore. L’art.17 comma 1. lettera i) D.Lgs. 626/94 prevede la possibilità, da parte dei lavoratori, di richiedere la visita presso il medico competente, qualora questa sia motivata da una sintomatologia sospetta.

I lavoratori con una elevata anzianità lavorativa nel settore pari almeno a 15-20 anni e tuttora esposti, indipendentemente dalla presenza di sintomi e dai pregressi livelli di esposizione dovrebbero essere sottoposti a visita specialistica ORL almeno una volta.

Il riferimento al limite di 1 mg/m3 deve essere interpretato come valore guida, non come un netto spartiacque fra elevata e bassa esposizione, date anche le difficoltà di misura che sussistono a questi livelli; sarà anche in questo caso dirimente il giudizio concordato dell’igienista industriale e del medico competente nell’assegnare i lavoratori alle categorie di rischio.

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41

Alla cessazione dell’attività lavorativa dovrà essere inoltre ribadito quanto detta il D.Lgs.626/94 al comma 6 dell’art. 69 in merito al proseguimento della sorveglianza sanitaria nel tempo (Tabella E). La Tabella E individua quali destinatari i lavoratori che siano stati esposti a livelli medi e alti di esposizione; non fa invece riferimento a quale struttura sanitaria debba rivolgersi il lavoratore. Allo stato attuale, pertanto, il lavoratore è semplicemente invitato ad effettuare volontariamente i controlli dopo la cessata attività attraverso le normali vie di accesso al Servizio Sanitario Nazionale.

E’ opportuno infine fare un accenno ad altre fattispecie nelle quali il medico competente è direttamente coinvolto, sia nella valutazione del rischio che nella formulazione dell’idoneità lavorativa: si tratta delle norme in materia di tutela dei minori e delle lavoratrici madri.

La recente revisione della normativa sui minori affida, come è noto, al medico competente aziendale anziché al servizio sanitario pubblico il compito di certificare l’idoneità lavorativa di adolescenti avviati a mansioni comportanti un rischio per la salute. Nell’allegato alla Legge 977/67, modificato dal D.Lgs. 345/99, sono indicate come vietate quelle che espongono alle “sostanze e preparati di cui al Titolo VII del D.Lgs. 626/94”; ne consegue che dovrà essere preclusa agli adolescenti l’occupazione in tutti quei posti di lavoro nei quali la valutazione del rischio abbia evidenziato la possibile esposizione a polveri di legno duro.

Per quanto riguarda la possibilità di deroga al divieto per assunzione di minori avviati all’apprendistato prevista all’art. 6 comma 2. della Legge 977/67, si ravvisa la non opportunità di consentire l’occupazione in mansioni che, anche se eseguite nel rispetto delle leggi, possono comportare un rischio residuo per la salute del minore.

Il parere che l’organo di vigilanza della ASL deve emettere in merito alla richiesta di deroga deve sia valutare la rispondenza alle norme di igiene e sicurezza, che verificare attraverso un accurata analisi documentale, prodotta dal datore di lavoro che l’esposizione a polveri di legno sia molto bassa e comunque chiaramente inferiore a 1 mg/m3.

Anche la normativa in materia di tutela della lavoratrice madre esclude la compatibilità di mansioni comportanti l’esposizione a polveri di legno con lo stato di gravidanza; ragion per cui, in caso di assenza di altre mansioni compatibili, sussisteranno le condizioni perché la Direzione Provinciale del Lavoro disponga l’interdizione al lavoro.

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TABELLA A

PRINCIPALI EFFETTI SULLA SALUTE PROVOCATI DALLA ESPOSIZIONE A POLVERI DI LEGNO E RASSEGNA DEI POSSIBILI

STRUMENTI DIAGNOSTICI

EFFETTI SULLA SALUTE STRUMENTI DIAGNOSTICI

Disturbi dermatologici legati ad

irritazione o sensibilizzazione delle

parti esposte, soprattutto le mani

Effetti irritativi a livello dell’apparato respiratorio (prime vie aeree e regioni profonde)

Asma bronchiale

Broncopneumopatia cronica ostruttiva

Bronchite cronica enfisematosa

Alveoliti allergiche estrinseche (da contaminazione di muffe del legname)

Carcinoma dell’etmoide e dei seni

paranasali

ODTS (sindrome tossica da polveri

organiche), dovuta probabilmente ad

inalazione di sostanze

farmacologicamente attive

Anamnesi familiare e patologica

mirate per allergopatie ed anamnesi

patologica remota e prossima per

disturbi respiratori e nasali

Anamnesi lavorativa

Questionario sulla bronchite cronica e sull’uso di tabacco

Questionario sui disturbi nasali

Esame obiettivo della cute (con

particolare cura delle parti esposte)

Esame obiettivo del torace

Prove di funzionalità respiratoria

Dosaggio delle Ig-E totali e specifiche

Visita dermatologica

Accertamenti radiologici

Accertamenti ORL

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43

TABELLA B

PROTOCOLLI DI SORVEGLIANZA SANITARIA MIRATI AL RISCHIO CANCEROGENO

CONTENUTI DELLA VISITA MEDICA

ACCERTAMENTI DI 2° LIVELLO

1A VISITA

senza pregressa

esposizione

Anamnesi lavorativa

Anamnesi familiare per

allergopatie

Anamnesi fisiologica, con

particolare riferimento alle

abitudini di vita e, soprattutto,

al fumo di tabacco

Anamnesi patologica remota e

prossima, con particolare

riferimento ai disturbi

respiratori, ai disturbi nasali ed

alle allergopatie

Eventuale questionario sulla

bronchite cronica

Esame obiettivo, con

particolare riferimento alla

cute, al torace ed al rinofaringe

Informazione sanitaria mirata

(anche sull’opportunità di

sottoporsi ad accertamenti

sanitari dopo la cessazione

dell’attività lavorativa)

Eventuali accertamenti

specialistici su giudizio del

M.C., qualora l’indagine

anamnestica e/o l’esame

obiettivo evidenzino disturbi

rinologici

segue

I lavoratori si definiscono “senza pregressa esposizione” se:

entrano per la prima volta nel mondo del lavoro;

hanno già avuto esperienze lavorative, ma in settori e/o in comparti e/o con

mansioni che non hanno comportato esposizione a polveri di legno e/o di cuoio e/o

a cromo esavalente.

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TABELLA B

PROTOCOLLI DI SORVEGLIANZA SANITARIA MIRATI AL RISCHIO CANCEROGENO

CONTENUTI DELLA VISITA MEDICA

ACCERTAMENTI DI 2° LIVELLO

1A VISITA

conpregressa

esposizione

Anamnesi lavorativa

Anamnesi familiare per

allergopatie

Anamnesi fisiologica, con

particolare riferimento alle

abitudini di vita e, soprattutto,

al fumo di tabacco

Anamnesi patologica remota e

prossima, con particolare

riferimento ai disturbi

respiratori, ai disturbi nasali ed

alle allergopatie

Questionario sui disturbi nasali

Eventuale questionario sulla

bronchite cronica

Esame obiettivo, con

particolare riferimento alla

cute, al torace ed al rinofaringe

anche associato a rinoscopia

anteriore

Informazione sanitaria mirata

(anche sull’opportunità di

sottoporsi ad accertamenti

sanitari dopo la cassazione

dell’attività lavorativa)

Eventuali accertamenti

specialistici su giudizio del

M.C. in caso di positività

anamnestica e/o clinico-

strumentale

Controllo specialistico ORL

per i lavoratori con

anzianità lavorativa di 15-

20 anni

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45

TABELLA C

ATTIVITÀ INFORMATIVA DEL MEDICO COMPETENTE

DESTINATARI OCCASIONE

DELL’INTERVENTO INFORMATIVO

CONTENUTI DELL’INTERVENTO

INFORMATIVO

Lavoratori neoassunti “futuri esposti”

Lavoratori “neoesposti”

Lavoratori esposti

all’atto della visita di assunzione o della 1a

visita medica

all’atto della visita

straordinaria per

spostamento a

mansioni a rischio

all’atto della visita periodica secondo il protocollo stabilito dal medico competente

significato del termine “cancerogeno”, con particolare riferimento alle polveri di legno sorgenti ed entità del rischio cancerogeno all’interno dell’aziendarischi per la salute provocati da

esposizione a polveri di legno

precauzioni collettive e

personali per evitare

l’esposizione

necessità di utilizzo degli

indumenti di lavoro e dei DPI

delle vie respiratorie

corretto utilizzo degli

indumenti di lavoro e dei DPI

delle vie respiratorie

significato e limiti della sorveglianza sanitaria per gli esposti a polveri di legno significato e modalità

d’esecuzione degli accertamenti

sanitari complementari previsti

dal protocollo

modifica di abitudini di vita e

di comportamenti che possono

influire in maniera sinergica

con le polveri di legno inalate

rischio derivante dal fumare

nei Luoghi esposti a polveri di

Legno

opportunità di sottoporsi ad

accertamenti specialistici mirati

anche dopo la cessazione

dell’attività a rischio

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46

TABELLA D

PERIODICITÀ DEI CONTROLLI SUCCESSIVI

DESTINATARI VISITA PER IDONEITA’

LAVORATIVA

ACCERTAMENTI ORL

Lavoratori con

media ed alta

esposizione

tra 1 e 5 mg/m3

Annuale

Questionario sui

disturbi nasali; esame

obiettivo mirato al

rinofaringe anche con

rinoscopia anteriore

Qualora il M.C. ne

ravvisi la necessità

per positività

riscontrate durante

la visita

Controllo

specialistico ORL per

i lavoratori con

anzianità lavorativa

di 15-20 anni,

almeno una volta

Lavoratori con

bassa esposizione

inferiore a 1 mg/m3

Biennale

Questionario sui

disturbi nasali; esame

obiettivo mirato al

rinofaringe anche con

rinoscopia anteriore

Qualora il M.C. ne

ravvisi la necessità

per positività

riscontrate durante

la visita

Controllo

specialistico ORL per

i lavoratori con

anzianità lavorativa

di 15-20 anni,

almeno una volta

Lavoratori che richiedano

formalmente la Visita

Medica

entro 7 giorni dalla

richiesta

Qualora il M.C. ne

ravvisi la necessità

per positività

riscontrate durante

la visita

TABELLA E

PERIODICITÀ CONSIGLIATA DELLE VISITE ORL DOPO CESSATA ATTIVITÀ LAVORATIVA

DESTINATARI

1a VISITA ORL DOPO CESSATA

ESPOSIZIONE LAVORATIVA

VISITE ORL SUCCESSIVE

Lavoratori con pregressa esposizione diretta o indiretta a polveri di legno

Quinquennale Quinquennali

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47

QUESTIONARIO PER LO STUDIO DEI DISTURBI NASALI

Da inserire all’interno della cartella clinica del lavoratore ove è riportata

l’anamnesi lavorativa, per mettere in evidenza i disturbi nasali che necessitano di approfondimenti specialistici

DittaCognome Nome

Età compiuta in anni

1Ha mai subito interventi chirurgici al naso ?

Se SI, in quale anno ?

� SI

______

� NO

2Ha mai subito traumi nasali con intervento medico ?

Se SI, in quale anno ?

� SI

______

� NO

3Utilizza farmaci per via nasale ?

Se SI, da quanto tempo ?

� SI

______

� NO

INVIO ALLO SPECIALISTA ORL IN CASO DI ALMENO

UNA RISPOSTA POSITIVA ALLE DOMANDE SOTTORIPORTATE

4Ha mai avuto perdite di sangue dal naso ?

Se SI, da quanto tempo ?

� SI � Monolaterale � Bilaterale ______________

� NO

5Le sembra di non respirare bene con il naso ? (ad esclusione che durante il comune raffreddore)

Se SI, da quanto tempo ?

� SI � Monolaterale � Bilaterale ______________

� NO

6Le capita di sentire meno gli odori ?

Se SI, da quanto tempo ?

� SI � Monolaterale � Bilaterale ______________

� NO

7

Le capita di sentire formicolii e sensazioni strane al volto ?

Se SI, da quanto tempo ?

� SI � Monolaterale � Bilaterale ______________

� NO

8Ha mai notato tumefazione della gengiva superiore ?

Se SI, da quanto tempo ?

� SI

______________

� NO

9Soffre di mal di testa, soprattutto frontale, per la quale non è stato possibile individuare la causa? Se SI, da quanto tempo ?

� SI _____________

� NO

Data _____ / _____ / _______ Il Rilevatore _____________________

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COORDINAMENTO TECNICO PER LA PREVENZIONE DEGLIASSESSORATI ALLA SANITÀ DELLE REGIONI E PROVINCE

AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO

Decreto Legislativo n° 626/94

D O C U M E N T O N. 10 LINEE GUIDA SU TITOLO II

Luoghi di lavoro

Versione definitiva approvata il 16/07/1996 dalle Regioni e Province autonome

di Trento e Bolzano e dagli Istituti centrali. Aggiornata al 15 Aprile 1998

___________________________________________Regione referente : Emilia-Romagna

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2

TITOLO II - LUOGHI DI LAVORO

Introduzione

La direttiva 89/654/Cee, dalla quale deriva l'intero Titolo II del D.Lgs 626/94, riguarda le "prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro"; ciò ha determinato l'indirizzo seguito nello specificare quali-quantitativamente le caratteristi-che che i luoghi di lavoro dovrebbero possedere ovvero la definizione dei requisitiminimi da rispettare nella costruzione o nell'adattamento di luoghi destinati al lavoro.

Lo studio è stato affrontato scomponendo il Titolo II° e commentando lo nelle sue parti; non sempre è stato possibile dare risposte precise ai quesiti posti dalla formula-zione di talune parti del D.Lgs. in quanto non è sembrato utile, in certi casi, semplifi-care una realtà estremamente complessa che viceversa necessita di una valutazione specifica.

Si é costantemente cercato di fare riferimento, nell'assegnare valori quali-quantitativi, a parametri compresi nel quadro legislativo italiano anche se riferiti a norme che poco hanno a che fare con la prevenzione in senso stretto. Al termine del documento sono riportati i riferimenti legislativi e tecnici citati nel testo.

Infine occorre sottolineare che alle manchevolezze di alcune parti del Decreto è possibile ovviare utilizzando proficuamente quanto a livello locale è stato prodotto con lo strumento dei Regolamenti comunali o regionali di igiene edilizia ai quali si é ripetutamente fatto riferimento.

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3

NOTE E COMMENTI

Testo del decreto Commento Rifer.normativi

ARTICOLO 30Definizioni

1. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al presente titolo si intendono per luoghi di lavoro: i luo-ghi destinati a contenere posti di lavoro, ubicati al-l'interno dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, non-ché ogni altro luogo nell'a-rea della medesima azienda ovvero unità produttiva comunque accessibile per il lavoro.

Per luoghi di lavoro devono intendersi tutti gli ambienti ubicati dentro o fuori dall'a-zienda comunque accessibili per ragioni di lavoro (anche saltuariamente) quali ad es. i locali tecnici nei quali si pos-sono eseguire interventi di ordinaria manutenzione, ecc.

Giurispruden-za della Cas-sazione penale

2. Le disposizioni del presente titolo non si applicano:

a) ai mezzi di trasporto; b) ai cantieri temporanei o

mobili; c) alle industrie estrattive; d) ai pescherecci; e) ai campi, boschi e altri

terreni facenti parte di una impresa agricola o forestale, ma situati fuori dell'area edificata dell'a-zienda.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

3. Ferme restando le disposi-zioni di legge vigenti, le prescrizioni di sicurezza e di salute per i luoghi di la-

Nell'allegato II sono rimaste, rispetto alla direttiva 89/654, solo le prescrizioni in materia di prevenzione incendi e di

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4

voro sono specificate nel-l'allegato II.

pronto soccorso; tutte le altre prescrizioni presenti nella direttiva CEE sono state rece-pite come modifica degli arti-coli dei DPR 547/55 e 303/56. Per quanto attiene in particola-re alla prevenzione incendi, i criteri per la sicurezza antin-cendio e per la gestione del-l'emergenza sono riportati nel DM 10/3/98

4. I luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, di even-tuali lavoratori portatori di handicap.

Il precetto deve intendersi vincolante solo nel caso in cui siano effettivamente presenti lavoratori con ridotta capacità motoria. Naturalmente, per gli edifici di nuova costruzione, dovranno essere rispettate le disposizioni concernenti l’abbattimento delle barriere architettoniche. I requisiti edilizi richiesti per favorire la mobilità dei lavora-tori con difficoltà motorie sono quelli riportati nella leg-ge sul superamento delle bar-riere architettoniche negli edifici privati; per gli edifici aperti al pubblico, in particola-re, deve essere garantito il requisito della "accessibilità".

Circ. n° 102 del 7/8/95

Legge 13/89

DPR 503/96

DM 236/89

5. L'obbligo di cui al comma 4, vige in particolare per le porte, le vie di circolazione, le scale, le docce, i gabinet-ti e i posti di lavoro utilizzati od occupati direttamente da lavoratori portatori di handicap.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

6. La disposizione di cui al Le aziende soggette, già in interpretazione

CISL USR Lombardia - Sito internet: www.lombardia.cisl.it > Speciali > Ambiente e sicurezza > Legislazione 439

5

comma 4 non si applica ai luoghi di lavoro già utiliz-zati prima del 1 gennaio 1993, ma debbono essere adottate misure idonee a consentire la mobilità e l'u-tilizzazione dei servizi sani-tari e di igiene personale.

attività all'1/1/93, dovranno porre in essere misure di mino-re entità; cioè si dovrà garanti-re la "visitabilità" cioè l'acces-sibilità ad un'area limitata dell'azienda all'interno della quale si svolge l'attività di portatori di handicap motorio.

Circ. 22/6/89n. 1669/UL

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ARTICOLO 31Requisiti di sicurezza e di salute

-1. Fermo restando le disposi-zioni legislative e regolamentari vigenti, e fatte salve le disposi-zioni di cui all’art. 8 comma 4, del decreto legislativo 30 di-cembre 1992, n. 502, come modificato dal decreto legislati-vo 7 dicembre 1993, n. 517, i luoghi di lavoro costruiti o uti-lizzati anteriormente all'entrata in vigore del presente decreto devono essere adeguati alle prescrizioni di sicurezza e salute di cui al presente titolo entro il 1° gennaio 1997.

Qualora gli adeguamenti inte-ressino il raggiungimento dei requisiti di sicurezza antincen-dio (vie di uscita) è necessario fare riferimento alle disposi-zioni transitorie e finali del DM 10/3/98.

Per quanto riguarda le attività sanitarie in essere, svolte da strutture pubbliche e private, l’adeguamento alle norme del Decreto è determinato dagli atti di indirizzo contenuti nel DPR 14/1/97.

DM 10/3/98

DPR 14/1/97

-2. Se gli adeguamenti di cui al comma 1 richiedono un provve-dimento concessorio o autoriz-zatorio il datore di lavoro deve immediatamente iniziare il pro-cedimento diretto al rilascio dell'atto ed ottemperare agli obblighi entro sei mesi dalla data del provvedimento stesso.

La stesura è sufficientemente esplicativa

-3. Sino a che i luoghi di lavoro non vengono adeguati, il datore di lavoro, previa consultazione del rappresentante per la sicu-rezza, adotta misure alternative che garantiscono un livello di

Detto comma, si può notare, fa esclusivo riferimento a requisi-ti di “sicurezza equivalente” e non di salute, per cui è possi-bile che il legislatore voglia riferirsi alle sole norme di cui

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7

sicurezza equivalente. all’art. 33 commi 1, 2, 3.

-4. Ove vincoli urbanistici o architettonici ostino agli ade-guamenti di cui al comma 1, il datore di lavoro, previa consul-tazione del rappresentante per la sicurezza, adotta le misure al-ternative di cui al comma 3. Le misure, nel caso di cui al presente comma, sono autoriz-zate dall'organo di vigilanza competente per territorio.

Non viene fatto alcun accenno a quale organo di vigilanza competente per territorio è necessario fare riferimento. In attesa di un chiaro pronun-ciamento del legislatore è lecito supporre che questi siano i dipartimenti di preven-zione delle aziende USL e i Vigili del fuoco (qualora l’attività rientri espressamente fra quelle soggette al certifica-to di prevenzione incendi, CPI).

DM 27/9/65

DM 16/2/82

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ARTICOLO 32Obblighi dei datoridi lavoro

-1. Il datore di lavoro provvede affinchè:

a) le vie di circolazione in-terne o all'aperto che conducono a uscite o uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consen-tirne l'utilizzazione in ogni eve-nienza;

b) i luoghi di lavoro, gli im-pianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manuten-zione tecnica e vengano elimi-nati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurez-za e la salute dei lavoratori;

c) i luoghi di lavoro, gli im-pianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igie-niche adeguate;

d) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla pre-venzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamen-to.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

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ARTICOLO 33Adeguamenti di norme Nella loro precedente formula-

zione, gli artt. 13 e 14 del DPR 547/55 disciplinavano rispetti-vamente la mobilità ordinaria interna allo stabilimento e quella verso l'esterno all'im-presa; oggi l'art. 13 è intera-mente dedicato alle "vie e uscite di emergenza" mentre è demandato all'art. 14 il compi-to di regolamentare la mobilità ordinaria dentro e verso l'e-sterno l'azienda.

C. Min. Lav. del 23/7/63n° 22

-1. L'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547 è sostituito dal seguente:

Articolo 13

(Vie e uscite di emergenza)

1. Ai fini del presente decreto si intende per:

a) via di emergenza: percorso senza ostacoli al de-flusso che consente alle persone che occupano un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro;

b) uscita di emergenza: passaggio che immette in un luogo sicuro;

c) luogo sicuro:luogo nel quale le persone sono da considerarsi al sicuro dagli effetti determinati dall'incendio o altre situazioni di emergenza.

c-bis) larghezza di una porta o luce netta di una porta:

Le uscite di emergenza sono passaggi che delimitano una zona frequentata da un luogo sicuro. Il luogo sicuro (relati-vamente alla prevenzione in-cendi) è definito come "spazio scoperto ovvero compartimen-to antincendio (separato da altri compartimenti mediante spazio scoperto o filtri a prova di fumo) avente caratteristiche idonee a ricevere e contenere un predeterminato numero di persone (luogo sicuro statico),

DM 30/11/83

DM 10/3/98

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larghezza di passaggio al netto dell'ingombro dell'anta mobile in posizione di massima apertu-ra se scorrevole, in posizione di apertura a 90 gradi se incernie-rata (larghezza utile di passag-gio)

ovvero a consentire il movi-mento ordinato (luogo sicuro dinamico)". La nuova stesura dell'art. 13 estende il concetto di luogo sicuro, oltre che al rischio d’incendio e quindi alle caratteristiche strutturali dei mezzi impiegati, anche alle altre situazioni di emergenza prevedibili in quell'azienda (es. rilasci tossici, et.)

vedi linee guida sui piani di emergenza

2. Le vie e le uscite di emergen-za devono rimanere sgombre e consentire di raggiungere il più rapidamente possibile un luogo sicuro.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

3. In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter essere evacuati rapidamente e in piena sicurezza da parte dei lavoratori.4. Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni dei luoghi di lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazio-ne d'uso, alle attrezzature in essi installate, nonché al numero massimo di persone che posso-no essere presenti in detti luo-ghi.

DM 10/3/98

5. Le vie e le uscite di emergen-za devono avere altezza minima di m 2,0 e larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio.

Larghezza minima di uscite e vie di emergenza pari a m 0,80.

DM 10/3/98

6. Qualora le uscite di emergen-za siano dotate di porte, queste

La stesura è sufficientemente esplicativa anche se perman-

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devono essere apribili nel verso dell'esodo e qualora siano chiu-se devono poter essere aperte facilmente e immediatamente da parte di qualsiasi persona che abbia bisogno di utilizzarle in caso di emergenza. L'apertura delle porte delle uscite di emer-genza nel verso dell'esodo non è richiesta quando possa determi-nare pericoli per passaggio di mezzi o per altre cause, fatta salva l'adozione di altri accor-gimenti adeguati specificamente autorizzati dal Comando pro-vinciale dei vigili del fuoco competente per territorio

gono perplessità sulla possibi-lità che “accorgimenti adegua-ti” possano essere specificata-mente autorizzati dai Vigili del fuoco per attività non soggette a CPI.

7. Le porte delle uscite di emer-genza non devono essere chiuse a chiave, se non in casi specifi-camente autorizzati dall'autorità competente.

L'autorizzazione può essere concessa per motivi antiintru-sione quando può derivarne un danno ai lavoratori (es. pre-venzione da eventi criminosi in banche), a protezione di utenti psichiatrici (all'interno delle strutture sanitarie) o quando la struttura non è pre-sidiata (es. durante la notte e giorni festivi).I dispositivi di chiusura auto-rizzati dovranno in ogni caso garantire l'evacuazione del personale in caso di emergenza ovvero dovranno essere:

a) azionabili facilmente; b) tali che tutta l’operazione

possa attuarsi in tempo utile a consentire l’esodo prima che le persone coinvolte possano subire danni.

DM 10/3/98

8. Nei locali di lavoro e in quel-li destinati a deposito è vietato adibire, quali porte delle uscite

La stesura è sufficientemente esplicativa. Relativamente alle porte scorrevoli si veda anche

DM 10/3/98

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di emergenza, le saracinesche a rullo, le porte scorrevoli verti-calmente e quelle girevoli su asse centrale.

il DM 10/3/98

9. Le vie e le uscite di emergen-za nonché le vie di circolazione e le porte che vi danno accesso non devono essere ostruite da oggetti in modo da poter essere utilizzate in ogni momento sen-za impedimenti.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

10. Le vie e le uscite di emer-genza devono essere evidenzia-te da apposita segnaletica, con-forme alle disposizioni vigenti, durevole e collocata in luoghi appropriati.

La collocazione della segnale-tica nei locali accessibili al pubblico deve sempre permet-tere la chiara individuazione della via di esodo.

D.Lgs. 493/96

11. Le vie e le uscite di emer-genza che richiedono un'illumi-nazione devono essere dotate di un'illuminazione di sicurezza di intensità sufficiente, che entri in funzione in caso di guasto del-l'impianto elettrico.

L’illuminazione delle vie e delle uscite di emergenza deve essere prevista ogni qualvolta gli ambienti sono presidiati o frequentati dopo il tramonto e quando le stesse sono prive di illuminazione naturale o que-sta è insufficiente. L’intensità luminosa sufficien-te a garantire una sicura per-correnza delle vie di esodo non potrà comunque essere inferio-re a 5 lux

CEI 64-8/7

12. Gli edifici che sono costruiti o adattati interamente per le lavorazioni che presentano peri-coli di esplosioni o specifici rischi di incendio alle quali sono adibiti più di cinque lavo-ratori devono avere almeno due scale distinte di facile accesso o

Le lavorazioni che presentano pericolo di esplosione sono quelle individuate dalle norme CEI 64-2 e CEI EN 60079-10; le lavorazioni con “specifico rischio di incendio” sono quel-le individuate dalla “specifica” normativa, vale a dire quella

CEI 64-2CEI EN 60079-10

DPR 689/59 DM 16/2/82 DM 10/3/98

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rispondere a quanto prescritto dalla specifica normativa antin-cendio. Per gli edifici già co-struiti si dovrà provvedere in conformità, quando non ne esista la impossibilità accertata dall'organo di vigilanza: in que-st'ultimo caso sono disposte le misure e cautele ritenute più efficienti. Le deroghe già con-cesse mantengono la loro validi-tà salvo diverso provvedimento dell'organo di vigilanza.

emanata dal Ministero degli Interni. In questo specifico caso l’organo di vigilanza sono i Vigili del fuoco.

13. Per i luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1 gennaio 1993 non si applica la disposi-zione contenuta nel comma 4, ma gli stessi debbono avere un numero sufficiente di vie e usci-te di emergenza.

La definizione del numero sufficiente può essere determi-nata, per quelle attività non regolamentate da norme speci-fiche, solo dopo un’attenta valutazione dei rischi.

lett. circolare Min. Interno del 29/08/95

-2. L'articolo 14 del Decreto del Presidente della Repubblica del 27 aprile 1955, n. 547 è sostitui-to dal seguente:

I commi dall'1 al 6 fanno co-stante riferimento alle porte dei singoli locali occupati e quindi disciplinano la mobilità interna all'edificio o azienda.

Art. 14

(Porte e portoni)

1. Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensio-ni, posizione e materiali di rea-lizzazione, consentire una rapi-da uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro.

La definizione del numero, delle relative dimensioni e della collocazione, nonché altri requisiti delle porte pos-sono essere determinati, per quelle attività non regolamen-tate da norme specifiche, solo dopo un’attenta valutazione dei rischi.

2. Quando in un locale le lavo- La determinazione delle lavo- CEI 64-2

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razioni e i materiali comportino pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso più di 5 lavoratori, almeno una porta ogni 5 lavora-tori deve essere apribile nel verso dell'esodo, e avere lar-ghezza minima di m 1,20.

razioni e dei materiali, che comportano rischi specifici di incendio e/o esplosione può essere effettuata facendo rife-rimento alle indicazioni fornite nelle norme CEI e nelle dispo-sizioni emanate dal Ministero degli Interni.

CEI EN 60079-10DPR 689/59 DM 16/2/82 DM 10/3/98

3. Quando in un locale si svol-gono lavorazioni diverse da quelle previste al comma 2), la larghezza minima delle porte è la seguente:

a) quando in uno stesso loca-le i lavoratori normalmente ivi occupati siano fino a 25, il loca-le deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 0,80;

b) quando in uno stesso lo-cale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra 26 e 50, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 che si apra nel verso dell'e-sodo;

c) quando in uno stesso loca-le i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero com-preso tra 51 e 100, il locale deve essere dotato di una porta aven-te larghezza minima di m 1,20 e di una porta avente larghezza minima di m 0,80, che si aprano entrambe nel verso dell'esodo;

d) quando in uno stesso lo-cale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero superiore a 100, in aggiunta alle porte previste alla lettera c) il locale deve essere dotato di almeno una porta che si apra nel

La stesura è sufficientemente esplicativa.

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verso dell'esodo avente larghez-za minima di m 1,20 per ogni 50 lavoratori normalmente ivi occupati o frazione compresa tra 10 e 50 calcolati limitata-mente all'eccedenza rispetto a 100.

4. Il numero complessivo delle porte di cui al comma 3 può anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva non risulti inferiore.

La stesura è sufficientemente esplicativa

5. Alle porte per le quali è pre-vista una larghezza minima di m. 1,20 è applicabile una tolle-ranza in meno del 5% (cinque per cento). Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima di m. 0,80 è applicabile una tolleranza in meno del 2% (due per cento).

La stesura è sufficientemente esplicativa, per larghezza mi-nima deve intendersi “luce netta” di cui al presente artico-lo, comma 1, sub 1 c-bis.

6. Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di cui all'articolo 13 comma 5 coinci-dono con le porte di cui al com-ma 1, si applicano le disposizio-ni di cui all'articolo 13 comma 5.

Ovvero altezza minima di m. 2 e larghezza minima m. 0,80.

7. Nei locali di lavoro e in quel-li adibiti a magazzino non sono ammesse le porte scorrevoli, le saracinesche a rullo, le porte girevoli su asse centrale, quan-do non esistano altre porte apri-bili verso l'esterno del locale.

Questo punto presenta possibi-li elementi di contraddizione con il precedente punto 3 lette-ra a, per cui appare opportuno un pronunciamento da parte del legislatore.

8. Immediatamente accanto ai portoni destinati essenzialmente

Un passaggio sicuro per i pe-doni si può realizzare con

D.Lgs 285/92 (art. 3)

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alla circolazione dei veicoli devono esistere, a meno che il passaggio dei pedoni sia sicuro, porte per la circolazione dei pedoni che devono essere se-gnalate in modo visibile ed essere sgombre in permanenza.

l'apposizione di barriere mate-riali ai singoli percorsi come ad es. marciapiedi, paletti, guard-rail ecc.

DPR 495/92 (art. 40 c. 4)

9. Le porte e i portoni apribili nei due versi devono essere trasparenti o essere muniti di pannelli trasparenti.

La stesura è sufficientemente esplicativa

10. Sulle porte trasparenti deve essere apposto un segno indica-tivo all'altezza degli occhi.

La stesura è sufficientemente esplicativa

11. Se le superfici trasparenti o traslucide delle porte e dei por-toni non sono costituite da ma-teriali di sicurezza e c'è il ri-schio che i lavoratori possano rimanere feriti in caso di rottura di dette superfici, queste devono essere protette contro lo sfon-damento.

Per materiali di sicurezza de-vono intendersi quelli che in caso di rottura o non danno luogo a frantumazione (es. alcuni materiali plastici), op-pure la frantumazione non dà luogo a dispersione di scheg-ge.Se il materiale impiegato è vetro occorre adottare oppor-tune misure di sicurezza.

UNI 7697

12. Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicu-rezza che impedisca loro di uscire dalle guide o di cadere.

La stesura è sufficientemente esplicativa

13. Le porte e i portoni che si aprono verso l'alto devono di-sporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere.

La stesura è sufficientemente esplicativa

14. Le porte e i portoni ad azio- È opportuno adottare, nel caso

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namento meccanico devono funzionare senza rischi di infor-tuni per i lavoratori. Essi devo-no essere muniti di dispositivi di arresto di emergenza facil-mente identificabili e accessibili e poter essere aperti anche ma-nualmente, salvo che la loro apertura possa avvenire automa-ticamente in caso di mancanza di energia elettrica.

di organi di sbloccaggio ad azionamento elettrico, mecca-nismi ad azione positiva cioè in grado di funzionare anche in caso di guasto del sistema.

15. Le porte situate sul percorso delle vie di emergenza devono essere contrassegnate in manie-ra appropriata con segnaletica durevole conformemente alla normativa vigente. Esse devono poter essere aperte, in ogni momento, dall'interno senza aiuto speciale.

La stesura è sufficientemente esplicativa

D.Lgs. 14/8/96 n. 493

16. Quando i luoghi di lavoro sono occupati le porte devono poter essere aperte.

La stesura è sufficientemente esplicativa

17. I luoghi di lavoro già utiliz-zati prima del 1 gennaio 1993 devono essere provvisti di porte di uscita che, per numero e ubicazione, consentono la rapi-da uscita delle persone e che sono agevolmente apribili dal-l'interno durante il lavoro. Co-munque, detti luoghi devono essere adeguati quanto meno alle disposizioni di cui ai prece-denti commi 9 e 10. Per i luoghi di lavoro costruiti o utilizzati prima del 27 novembre 1994 non si applicano le disposizioni dei commi 2, 3, 4, 5, 6 concer-nenti la larghezza delle porte. In

Riepilogando esclusivamente sulla dimensione delle porte di uscita:

quelle costruite prima del 27/11/94 devono essere conformi a quanto previsto dalla concessione edilizia o dalla licenza di abitabilità (usabilità)

quelle costruite dopo il 27/11/94 devono essere ade-guate entro il 1/1/97 alle di-mensioni previste dal presente decreto. se le dimensioni non sono quelle citate si dovrà richiedere il provvedimento

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ogni caso la larghezza delle porte di uscita di detti luoghi di lavoro deve essere conforme a quanto previsto dalla conces-sione edilizia ovvero dalla li-cenza di abitabilità.

richiedere il provvedimento concessorio di cui all’art. 31 comma 2.

-3. L'articolo 8 del Decreto del Presidente della Repubblica del 27 aprile 1955, n. 547 è sostitui-to dal seguente:

Art. 8

(Vie di circolazione, zone di

pericolo, pavimenti e passaggi)

1. Le vie di circolazione, com-prese scale, scale fisse o ban-chine e rampe di carico, devono essere situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i vei-coli possono utilizzarle facil-mente in piena sicurezza e con-formemente alla loro destina-zione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio.

Con l'eccezione delle attività regolamentate da leggi specifi-che (es. scuole ed edifici pub-blici) è opportuno che:

la larghezza delle vie di circolazione ordinaria per soli pedoni non sia inferiore a m 1.

la larghezza delle scale comuni (ovvero che connetto-no più unità immobiliari) non sia inferiore a m 1,2. Per scale non comuni (ovvero interne all'unità immobiliare) la lar-ghezza non deve essere infe-riore a m 0,8.

siano previsti gradini con pedata minima (per scale comuni) non inferiore a cm 30 e somma fra due volte l'alzata e la pedata compresa fra cm 62 e 64. La pedata minima per scale non comuni non deve essere inferiore a cm 25 e la somma fra due volte l'alzata e la pedata compresa fra cm 62 e 64.

le rampe siano realizzate

DM 236/89 (art. 3 p.to 3.3.c, art. 4 p.to 4.5)

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in materiale antisdrucciolevole

2. Il calcolo delle dimensioni delle vie di circolazione per persone ovvero merci dovrà basarsi sul numero potenziale degli utenti e sul tipo di impre-sa.

La stesura è sufficientemente esplicativa

3. Qualora sulle vie di circola-zione siano utilizzati mezzi di trasporto, dovrà essere prevista per i pedoni una distanza di sicurezza sufficiente.

Almeno m 1 oltre l'ingombro massimo dei mezzi di trasporto compreso il carico.

DM 236/89

4. Le vie di circolazione desti-nate ai veicoli devono passare a una distanza sufficiente da por-te, portoni, passaggi per pedoni, corridoi e scale.

La definizione di sufficienza può essere determinata dopo un’attenta valutazione dei rischi.

5. Nella misura in cui l'uso e l'attrezzatura dei locali lo esiga-no per garantire la protezione dei lavoratori, il tracciato delle vie di circolazione deve essere evidenziato.

La stesura è sufficientemente esplicativa

6. Se i luoghi di lavoro compor-tano zone di pericolo, in fun-zione della natura del lavoro e presentano rischi di cadute dei lavoratori o rischi di cadute d'oggetti, tali luoghi dovranno essere dotati di dispositivi per impedire che i lavoratori non autorizzati possano accedere a dette zone.

La stesura è sufficientemente esplicativa; una precisa valuta-zione dei rischi può permettere di individuare le soluzioni più appropriate.

7. Devono essere prese misure La stesura è sufficientemente

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appropriate per proteggere i lavoratori autorizzati ad accede-re alle zone di pericolo.

esplicativa; una precisa valuta-zione dei rischi può permettere di individuare le soluzioni più appropriate.

8. Le zone di pericolo devono essere segnalate in modo chia-ramente visibile.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

9. I pavimenti degli ambienti di lavoro e dei luoghi destinati al passaggio non devono presenta-re buche o sporgenze pericolose e devono essere in condizioni tali da rendere sicuro il movi-mento e il transito delle persone e dei mezzi di trasporto.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

10. I pavimenti e i passaggi non devono essere ingombrati da materiali che ostacolino la nor-male circolazione.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

11. Quando per evidenti ragioni tecniche non si possono com-pletamente eliminare dalle zone di transito ostacoli fissi o mobili che costituiscono un pericolo per i lavoratori o i veicoli che tali zone devono percorrere, gli ostacoli devono essere adegua-tamente segnalati.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

-4. L'intestazione del Titolo II del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956 n. 303 è sostituita dal seguente:

Titolo II

(Disposizioni particolari.)

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-5. L'articolo 6 del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303 è sostituito dal seguente:

Art. 6

(Altezza, cubatura

e superficie)

1. I limiti minimi per altezza, cubatura e superficie dei locali chiusi destinati o da destinarsi al lavoro nelle aziende indu-striali che occupano più di 5 lavoratori, ed in ogni caso in quelle che eseguono lavorazioni indicate nell'articolo 33, sono i seguenti:

a) altezza netta non inferiore a m 3;

b) cubatura non inferiore a mc 10 per lavoratore;

c) ogni lavoratore occupato in ciascun ambiente deve di-sporre di una superficie di al-meno mq 2.

Il ripristino del termine “indu-striali” conferma la volontà del legislatore di riferire i valori numerici di cui al presente comma 1 unicamente alle a-ziende industriali. Per le altre attività è opportuno fare riferimento ai regolamenti locali di igiene edilizia.

2. I valori relativi alla cubatura e alla superficie si intendono lordi, cioè senza deduzione dei mobili, macchine ed impianti fissi.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

3. L'altezza netta dei locali è misurata dal pavimento all'al-tezza media della copertura dei soffitti o delle volte.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

4. Quando necessità tecniche aziendali lo richiedono, l'organo

La stesura è sufficientemente esplicativa.

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di vigilanza competente per territorio può consentire altezze minime inferiori a quelle sopra indicate e prescrivere che siano adottati adeguati mezzi di venti-lazione dell'ambiente. L'osser-vanza dei limiti stabiliti dal presente articolo circa l'altezza, la cubatura e la superficie dei locali chiusi di lavoro è estesa anche alle aziende industriali che occupano meno di cinque lavoratori quando le lavorazioni che in esse si svolgono siano ritenute a giudizio dell'organo di vigilanza, pregiudizievoli alla salute dei lavoratori occupati.

5. Per i locali destinati o da destinarsi ad uffici, indipente-mente dal tipo di azienda, e per quelli delle aziende commercia-li, i limiti di altezza sono quelli individuati dalla normativa urbanistica vigente.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

-6. L'articolo 9 del Decreto del Presidente della Repubblica del 19 marzo 1956, n. 303 è sosti-tuito dal seguente:

Art. 9

(Aerazione dei luoghi di

lavoro chiusi)

1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi di-spongano di aria salubre in quantità sufficiente anche otte-nuta con impianti di areazione.

La ventilazione naturale dei locali di lavoro deve essere realizzata mediante superfici apribili con le modalità previ-ste dai Regolamenti comunali o regionali di igiene edilizia. L'impiego di sistemi meccanici deve garantire livelli presta- UNI 10339

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zionali minimi previsti dai Regolamenti comunali o re-gionali di igiene edilizia e/o rispondere ai requisiti delle norme di buona tecnica. L’espressione “anche ottenuta con impianti di areazione” non va infatti intesa, a nostro avvi-so, come l’avvallo di sistemi di areazione meccanica in sosti-tuzione della areazione natura-le (che verrebbe così ad essere non necessaria!), bensì come possibilità di integrazione dell’areazione naturale, qualo-ra non sufficiente, con quella meccanica per raggiungere il requisito della sufficienza. Tale interpretazione è suppor-tata anche dal fatto che i Rego-lamenti di igiene edilizia impongono, in modo omogeneo su territorio nazionale, il requisito dell’areazione naturale.

2. Se viene utilizzato un impian-to di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò sia necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell'aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d'aria fastidiose.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

4. Qualsiasi sedimento o sporci-zia che potrebbe comportare un

La stesura è sufficientemente esplicativa.

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pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all'inqui-namento dell'aria respirata deve essere eliminato rapidamente.

-7. L'articolo 11 del Decreto del Presidente della Repubblica del 19 marzo 1956, n. 303 è sosti-tuito dal seguente:

Articolo 11

(Temperatura dei locali)

1. La temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all'organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori.

2. Nel giudizio sulla temperatu-ra adeguata per i lavoratori si deve tenere conto della influen-za che possono esercitare sopra di essa il grado di umidità e il movimento dell'aria concomi-tanti.

3. La temperatura dei locali di riposo, dei locali per il persona-le di sorveglianza, dei servizi igienici, delle mense e dei locali di pronto soccorso deve essere conforme alla destinazione specifica di questi locali.

È necessario distinguere fra lavorazioni che obbligatoria-mente devono essere svolte a temperature alte o basse (es. fonderie, lavorazione e con-servazione alimenti ecc.), per le quali non è tecnicamente possibile adottare misure tali da rendere confortevole l'am-biente e le restanti lavorazioni. Nel primo caso le azioni da intraprendere a salvaguardia dei lavoratori saranno deter-minate dalle risultanti l'appli-cazione, al lavoro svolto, degli indici di stress termico (es. WBGT, HSI etc). Nei restanti casi è raccomandato l'utilizzo degli indici di comfort termico (es. TEC, PPD etc.) Naturalmente occorre fare sempre riferimento, per le temperature massime nel pe-riodo invernale, ai limiti impo-sti dalle vigenti norme in ma-teria di contenimento dei con-sumi energetici.

DM 23/11/82 L. 10/91 DPR 412/93

4. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono essere tali

La stesura è sufficientemente esplicativa.

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da evitare un soleggiamento eccessivo dei luoghi di lavoro, tenendo conto del tipo di attività e della natura del luogo di lavo-ro.

5. Quando non sia conveniente modificare la temperatura di tutto l'ambiente, si deve prov-vedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi personali di protezione.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

-8. L'articolo 10 del Decreto del Presidente della Repubblica del 19 marzo 1956, n. 303 è sosti-tuito dal seguente:

Articolo 10

(Illuminazione naturale ed

artificiale dei luoghi di lavoro)

1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono di-sporre di sufficiente luce natura-le. In ogni caso tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un'illuminazione artificiale adeguata per salva-guardare la sicurezza, la salute e il benessere dei lavoratori.

Si fa presente che il testo di legge non parla di “lune natu-rale diretta”, ma semplicemen-te di “luce naturale”, per cui pare ammissibile anche il ri-corso alla luce naturale indiret-ta. Comunque, l'illuminazione naturale deve essere assicurata con i parametri dei Regola-menti comunali di igiene edili-zia che hanno valore cogente. Circa i requisiti del livello di illuminazione artificiale neces-saria nei luoghi di lavoro oc-corre fare riferimento alla norme di buona tecnica. Per correlare i livelli di illumina-mento, realizzati con luce artificiale, e la temperatura di colore delle sorgenti impiegate

UNI 10380

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si rimanda (oltre alle indica-zioni riportate dalla norma citata) al diagramma di Krui-thof.

2. Gli impianti di illuminazione dei locali di lavoro e delle vie di circolazione devono essere installati in modo che il tipo d'illuminazione previsto non rappresenti un rischio di infor-tunio per i lavoratori.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

3. I luoghi di lavoro nei quali i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell'illuminazione artificiale, devono disporre di un'illumina-zione di sicurezza di sufficiente intensità.

L'identificazione dei luoghi di lavoro qui richiamati deve essere effettuata caso per caso tenendo conto del rischio in-fortunistico presente durante la normale attività lavorativa e di quello aggiuntivo che si ver-rebbe a creare dalla mancanza di illuminazione (es. circola-zione di veicoli, lavori in zone con pericolo di caduta ecc.). Il livello di illuminamento di sicurezza da garantire in tali contingenze sarà determinato dalle risultanze dell'analisi di cui sopra ed in ogni caso non dovrà essere mai inferiore a 20 lux che è il doppio della soglia media della visione fotopica (e che quindi garantisce comun-que la normale percezione dei colori) ed inoltre è considerato il livello di illuminamento minimo per identificare una persona e può quindi essere ritenuto il limite oltre il quale viene persa la percezione cor-retta dell'ambiente immedia-tamente circostante con conse-guente pericolo per il lavorato-re.

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4. Le superfici vetrate illumi-nanti e i mezzi di illuminazione artificiale devono essere tenuti costantemente in buone condi-zioni di pulizia e di efficienza.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

-9. L'articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica del 19 marzo 1956, n. 303, è sosti-tuito dal seguente:

Articolo 7

(Pavimenti, muri, soffitti, fine-

stre e lucernari dei locali scale

e marciapiedi mobili, banchina

e rampe di carico)

1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità della lavorazione, è vietato adibire a lavori continuativi i locali chiusi che non rispondano alle seguenti condizioni:

a) essere ben difesi contro gli agenti atmosferici, e provvi-sti di un isolamento termico sufficiente, tenuto conto del tipo di impresa e dell'attività fisica dei lavoratori;

b) avere aperture sufficienti per un rapido ricambio d'aria;

c) essere ben asciutti e ben difesi contro l'umidità;

d) avere le superfici dei pa-vimenti, delle pareti, dei soffitti tali da poter essere pulite e de-terse per ottenere condizioni adeguate di igiene.

Il richiamo al tipo di impresa è in riferimento alla tipologia dell'attività svolta dalla stessa e riguarda esclusivamente il tipo di isolamento termico.

2. I pavimenti dei locali devono essere esenti da protuberanze,

La stesura è sufficientemente esplicativa.

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cavità o piani inclinati pericolo-si, devono essere fissi, stabili e antisdrucciolevoli.

3. Nelle parti dei locali dove abitualmente si versano sul pavimento sostanze putrescibili o liquidi, il pavimento deve avere superficie unita e imper-meabile e pendenza sufficiente per avviare rapidamente i liqui-di verso i punti di raccolta e scarico.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

4. Quando il pavimento dei posti di lavoro e di quelli di passaggio si mantenga bagnato, esso deve essere munito in per-manenza di palchetti o di grati-colato, se i lavoratori non sono forniti di idonee calzature im-permeabili.

È opportuno che i palchetti o i graticolati siano realizzati in materiale facilmente lavabile, non putriscibile e antisdruccio-levole

5. Qualora non ostino particola-ri condizioni tecniche, le pareti dei locali di lavoro devono esse-re a tinta chiara.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

6. Le pareti trasparenti o traslu-cide, in particolare le pareti completamente vetrate, nei locali o nelle vicinanze dei posti di lavoro e delle vie di circola-zione, devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino all'altezza di 1 metro dal pavimento, ovvero essere separate dai posti di lavoro e dalle vie di circola-zione succitati in modo tale che i lavoratori non possono entrare

Circa i materiali di sicurezza delle pareti trasparenti vale quanto già detto in precedenza all'art. 33, comma 2, punto 11.

UNI 7697

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manere feriti qualora esse vada-no in frantumi. Nel caso in cui vengono utilizzati materiali di sicurezza fino all'altezza di 1 metro dal pavimento, tale altez-za è elevata quando ciò è neces-sario in relazione al rischio che i lavoratori rimangano feriti qua-lora esse vadano in frantumi.

7. Le finestre, i lucernari e i dispositivi di ventilazione de-vono poter essere aperti, chiusi, regolati e fissati dai lavoratori in tutta sicurezza. Quando sono aperti essi devono essere posi-zionati in modo da non costitui-re un pericolo per i lavoratori.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

8. Le finestre e i lucernari de-vono essere concepiti congiun-tamente con l'attrezzatura o dotati di dispositivi che consen-tano la loro pulitura senza rischi per i lavoratori che effettuano tale lavoro nonché per i lavora-tori presenti nell'edificio e in-torno a esso.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

9. L'accesso ai tetti costituiti da materiali non sufficientemente resistenti può essere autorizzato soltanto se sono fornite attrezza-ture che permettano di eseguire il lavoro in tutta sicurezza.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

10. Le scale e i marciapiedi mobili devono funzionare in piena sicurezza, devono essere muniti dei necessari dispositivi di sicurezza e devono possedere dispositivi di arresto di emer-

I dispositivi di sicurezza delle scale mobili devono essere conformi alla norma UNI.

UNI EN 115

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genza facilmente identificabili e accessibili.

11. Le banchine e rampe di carico devono essere adeguate alle dimensioni dei carichi tra-sportati.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

12. Le banchine di carico devo-no disporre di almeno un'uscita. Ove sia tecnicamente possibile, le banchine di carico che supe-rano m 25,0 di lunghezza devo-no disporre di un'uscita a cia-scuna estremità.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

13. Le rampe di carico devono offrire una sicurezza tale da evitare che i lavoratori possano cadere.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

13-bis. Le disposizioni di cui ai commi 10, 11, 12, 13 sono altre-sì applicabili alle vie di circola-zione principali sul terreno del-l'impresa, alle vie di circolazio-ne che portano a posti di lavoro fissi, alle vie di circolazione utilizzate per la regolare manu-tenzione e sorveglianza degli impianti dell'impresa, nonché alle banchine di carico

La stesura è sufficientemente esplicativa e vale il commento espresso per l’art. 30, comma 1.

-10. L'articolo 14 del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303 è sosti-tuito dal seguente:

Articolo 14

(Locali di riposo)

1. Quando la sicurezza e la La presenza di locali di riposo

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salute dei lavoratori, segnata-mente a causa del tipo di attivi-tà, lo richiedono, i lavoratori devono poter disporre di un locale di riposo facilmente ac-cessibile.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica quando il personale lavora in uffici o in analoghi locali di lavoro che offrano equivalenti possibilità di riposo durante la pausa.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

3. I locali di riposo devono avere dimensioni sufficienti ed essere dotati di un numero di tavoli e sedili con schienale in funzione del numero dei lavora-tori.

Il dimensionamento dei locali di riposo può essere effettuato sulla base del massimo affol-lamento ipotizzabile asse-gnando almeno 2 mq per lavo-ratore al lordo degli arredi.

4. Nei locali di riposo si devono adottare misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo.

La protezione dei “non fuma-tori” può essere realizzata con:

locali separati locale di riposo provvi-

sto di sistema di ventilazione meccanica che assicuri un apporto di aria esterna (trattata termicamente nel periodo in-vernale) non inferiore a 50 mc/h per persona

UNI 10339

5. Quando il tempo di lavoro è interrotto regolarmente e fre-quentemente e non esistono locali di riposo, devono essere messi a disposizione del perso-nale altri locali affinchè questi possa soggiornarvi durante l'interruzione del lavoro nel caso in cui la sicurezza o la

Una precisa valutazione dei rischi può permettere di indi-viduare le soluzioni più appro-priate.

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salute dei lavoratori lo esiga. In detti locali è opportuno preve-dere misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo.

6. L'organo di vigilanza può prescrivere che, anche nei lavori continuativi, il datore di lavoro dia modo ai dipendenti di lavo-rare stando a sedere ogni qual-volta ciò non pregiudichi la normale esecuzione del lavoro.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

7. Le donne incinte e le madri che allattano devono avere la possibilità di riposarsi in posi-zione distesa e in condizioni appropriate.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

-11. L'articolo 40 del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303 è sosti-tuito dal seguente:

Articolo 40

(Spogliatoi e armadi

per il vestiario)

1. Locali appositamente destina-ti a spogliatoi devono essere messi a disposizione dei lavora-tori quando questi devono in-dossare indumenti di lavoro specifici e quando per ragioni di salute o di decenza non si possa loro chiedere di cambiarsi in altri locali.

L'obbligo dello spogliatoio sussiste quando i lavoratori, dovendo indossare specifici indumenti di lavoro, non pos-sono (per le ragioni elencate) cambiarsi in altri locali.

2. Gli spogliatoi devono essere La stesura è sufficientemente

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distinti fra i due sessi e conve-nientemente arredati. Nelle aziende che occupano fino a cinque dipendenti lo spogliatoio può essere unico per entrambi i sessi; in tal caso i locali a ciò adibiti sono utilizzati dal perso-nale dei due sessi, secondo opportuni turni prestabiliti e concordati nell'ambito dell'ora-rio di lavoro.

esplicativa.

3. I locali destinati a spogliatoio devono avere una capacità suf-ficiente, essere possibilmente vicini ai locali di lavoro aerati, illuminati, ben difesi dalle in-temperie, riscaldati durante la stagione fredda e muniti di sedi-li.

È opportuno fare riferimento ai Regolamenti regionali e co-munali di igiene edilizia.

4. Gli spogliatoi devono essere dotati di attrezzature che con-sentano a ciascun lavoratore di chiudere a chiave i propri in-dumenti durante il tempo di lavoro.

5. Qualora i lavoratori svolgano attività insudicianti, polverose, con sviluppo di fumi o vapori contenenti in sospensione so-stanze untuose o incrostanti, nonché in quelle dove si usano sostanze venefiche, corrosive o infettanti o comunque pericolo-se, gli armadi per gli indumenti da lavoro devono essere separati da quelli per gli indumenti pri-vati.

La separazione fra gli indu-menti può essere realizzata anche con armadietti a doppio scomparto purché sia garantita l'effettiva separazione fra le diverse tipologie di indumenti.

6. Qualora non si applichi il La stesura è sufficientemente

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comma 1 ciascun lavoratore deve poter disporre delle attrez-zature di cui al comma 4 per poter riporre i propri indumenti. Nelle aziende che occupano fino a cinque dipendenti lo spo-gliatoio può essere unico per entrambi i sessi; in tal caso i locali a ciò adibiti sono utilizza-ti dal personale dei due sessi, secondo opportuni turni presta-biliti e concordati nell'ambito dell'orario di lavoro.

esplicativa.

-12. L’articolo 37 del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303 è sosti-tuito dal seguente:

Art. 37

(Docce)

1. Docce sufficienti ed appro-priate devono essere messe a disposizione dei lavoratori quando il tipo di attività o la salubrità lo esigono.

Il numero di docce viene de-terminato in base ai Regola-menti comunali o regionali di igiene edilizia.

2. Devono essere previsti locali per docce separati per uomini e donne o un'utilizzazione separa-ta degli stessi. Le docce e gli spogliatoi devono comunque facilmente comunicare fra loro.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

3. I locali delle docce devono avere dimensioni sufficienti per permettere a ciascun lavoratore di rivestirsi senza impacci e in condizioni appropriate di igie-ne.

È raccomandato il locale doc-cia, con vano antidoccia sepa-rato, dotato di appendiabiti e sgabello

4. Le docce devono essere dota- La stesura è sufficientemente

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te di acqua corrente calda e fredda e di mezzi detergenti e per asciugarsi.

esplicativa.

L'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303 è abrogato.

Questo articolo disciplinava le docce ora trattate nell’art. 37.

L’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303 è sostituito dal seguente:

Art. 39

(Gabinetti e lavabi)

1. I lavoratori devono disporre, in prossimità dei loro posti di lavoro, dei locali di riposo, degli spogliatoi e delle docce, di gabinetti e di lavabi con acqua corrente calda, se necessario, e dotati di mezzi detergenti e per asciugarsi.

Il numero di gabinetti e lavabi viene determinato sulla base dei Regolamenti comunali o regionali di igiene edilizia.

2. Per uomini e donne devono essere previsti gabinetti separa-ti; quando ciò sia impossibile a causa di vincoli urbanistici o architettonici e nelle aziende che occupano lavoratori di sesso diverso in numero non superiore a 10, è ammessa un'utilizzazio-ne separata degli stessi.

-13. L'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547 è sostitui-to dal seguente:

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Articolo 11

(Posti di lavoro e di passaggio e

luoghi di lavoro esterni)

1. I posti di lavoro e di passag-gio devono essere idoneamente difesi contro la caduta o l'inve-stimento di materiali in dipen-denza dell'attività lavorativa.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

2. Ove non sia possibile la dife-sa con mezzi tecnici, devono essere adottate altre misure o cautele adeguate.

Una precisa valutazione dei rischi può permettere di indi-viduare le soluzioni più appro-priate.

3. I posti di lavoro, le vie di circolazione e altri luoghi o impianti all'aperto utilizzati o occupati dai lavoratori durante le loro attività devono essere concepiti in modo tale che la circolazione dei pedoni e dei veicoli possa avvenire in modo sicuro.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

4. Le disposizioni di cui all'arti-colo 8, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, sono altresì applicabili alle vie di circolazione principali sul terreno dell'impresa, alle vie di circolazione che portano a posti di lavoro fissi, alle vie di circo-lazione utilizzate per la regolare manutenzione e sorveglianza degli impianti dell'impresa, nonché alle banchine di carico.

La stesura è sufficientemente esplicativa e vale il commento espresso per l’art. 30 comma 1.

5. Le disposizioni sulle vie di circolazione e zone di pericolo di cui all'articolo 8, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, si applicano per analogia ai luoghi di lavoro

La stesura è sufficientemente esplicativa.

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esterni.

6. I luoghi di lavoro all'aperto devono essere opportunamente illuminati con luce artificiale quando la luce del giorno non è sufficiente.

Per i posti di lavoro all'aperto devono essere soddisfatti, durante le ore di oscurità, gli stessi requisiti validi per gli ambienti interni corrispondenti ai medesimi compiti visivi

UNI 10380

7. Quando i lavoratori occupano posti di lavoro all'aperto, questi devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che i lavoratori:

a) siano protetti contro gli agenti atmosferici e, se necessa-rio, contro la caduta di oggetti;

b) non siano esposti a livelli sonori nocivi o ad agenti esterni nocivi, quali gas, vapori, polve-ri;

c) possano abbandonare ra-pidamente il posto di lavoro in caso di pericolo o possano esse-re soccorsi rapidamente;

d) non possano scivolare o cadere.

La stesura è sufficientemente esplicativa.

-14. Le disposizioni di cui al presente articolo entrano in vigore tre mesi dopo la pubbli-cazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

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RIFERIMENTI LEGISLATIVI

RD 9/1/1927 n. 147 Regolamento speciale per l'impiego di gas tossici

DPR 27/4/55 N. 547 Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro

DPR 19/3/1956 n. 303 Norme generali per l'igiene del lavoro

DPR 26/5/1959 n. 689 Determinazione delle aziende e delle lavora-zioni soggette ai fini della prevenzione degli incendi al controllo del Comando dei Vigili del Fuoco

Circ. Min. Lav. 23/7/63 n.22 Prevenzione infortuni. Art. 13 e 14 del DPR 27/4/1955, n. 547. Uscite dai locali di lavoro. Quesiti

DM 16/2/1982 Modificazioni del decreto ministeriale 27/9/1965 concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzio-ne incendi

DM 23/11/1982 Direttive per il contenimento del consumo di energia relativo alla termoventilazione ed alla climatizzazione di edifici industriali ed arti-gianali

DM 30/11/1983 Termini, definizioni generali e simboli grafici di prevenzione incendi

Legge 9/1/1989 n. 13 Disposizione a favorire il superamento e l'e-liminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati

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DM 14/6/1989 n. 236 Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche

Circ. 22/6/1989 n. 1669/UL Circolare esplicativa della legge 13/89

Legge 9/1/1991 n. 10 Norme per l'attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'e-nergia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia

D.Lgs 30/4/1992 n. 285 Nuovo codice della strada

DPR 16/12/1992 n. 495 Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada

D.Lgs 11/8/1993 n. 374 Attuazione dell'art. 3 comma 1 lettera f) della legge 421/92, recante benefici per le attività usuranti

DPR 26/8/1993 n. 412 Regolamento recante norme per la progetta-zione, l'installazione, l'esercizio e la manuten-zione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della legge n. 10/91

Circ. Min. Lav. 7/8/1995 n. 102

D.Lgs 626/94 prime direttive per l'applicazio-ne

Circ. Min. Int. 29/8/1995 n. P1564/4146

D.Lgs 626/94 adempimenti di prevenzione e protezione incendi. Chiarimenti

DPR 24/07/1996 n.503 Regolamento recante norme per l'elimina-zione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici

D.Lgs 14/8/1996 n° 493 Attuazione della direttiva 92/58/CEE concer-nente le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sul luogo di lavoro

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DPR 14/1/1997 Approvazione dell’atto di indirizzo e coordi-namento alle Regioni ed alle Province auto-nome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizza-tivi minimi per l’esercizio delle attività sanita-rie da parte delle strutture pubbliche e private

D.M. 10/3/1998 Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavo-ro

Norma CEI 64-2 Impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione

Norma CEI 64-8 Impianti elettrici utilizzatori a tensione nomi-nale non superiore a 1000 V in corrente alter-nata e a 1500 V in corrente continua

Norma CEI EN 60079-10 (CEI 31-30) Costruzioni elettriche per atmsfe-re esplosive per la presenza di gas - Parte 10: Classificazione dei luoghi pericolosi

Norma UNI 7697 Vetri piani: vetrazioni in edilizia: criteri di sicurezza

Norma UNI 10339 Impianti aeraulici al fine di benessere. Gene-ralità, classificazione e requisiti. Regole per la richiesta d'offerta, l'offerta, l'ordine e la forni-tura.

Norma UNI 10380 Illuminotecnica. Illuminazione di interni con luce artificiale

Norma UNI EN 115 Regole di sicurezza per la costruzione e l'in-stallazione di scale mobili e marciapiedi mo-bili

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RIFERIMENTI AD ALTRE MONOGRAFIE

L'argomento oggetto della presente monografia è ripreso anche in altre, dove ne sono sviluppati aspetti particolari, e precisamente:

• nel documento n. 4 sono contenuti alcuni riferimenti al problema delle uscite e dei percorsi di sicurezza;

• nel documento n. 13 sono contenuti riferimenti ai requisiti dei luoghi di lavoro in cui sono collocati posti di lavoro con uso di attrezzature munite di videoterminali;

• nei documenti n. 15 e n. 16 si ritrovano alcuni riferimenti alle caratteristiche previ-ste per i luoghi di lavoro in cui esiste un'esposizione ad agenti cancerogeni e, ri-spettivamente, biologici.

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COORDINAMENTO TECNICO PER LA PREVENZIONE DEGLIASSESSORATI ALLA SANITA’ DELLE REGIONI E PROVINCE

AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO

Decreto Legislativo n° 626/94

D O C U M E N T O N°4 LINEE GUIDA SU TITOLO I

Prevenzione incendi,evacuazione dei lavoratori,

pronto soccorso

Versione definitiva approvata il 16/07/1996dalle Regioni e Province autonome

di Trento e Bolzano e dagli Istituti centrali. Aggiornata al 15 aprile 1998

___________________________________________Regione referente: Emilia-Romagna

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REQUISITI DEL "PIANO DI EMERGENZA" (art. 12)”

D.Lgs 626/94 - Capo III

Prevenzione incendi, evacuazione dei lavoratori, pronto soccorso

1. INTRODUZIONE

Il D.Lgs 626/94, sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, affronta fra i suoi argomenti il tema dell'emergenza. In particolare nel Titolo I capo 3° si formulano indicazioni a carico dei datori di lavoro relative alle misure da attuare in caso di prevenzione degli incendi, evacuazione dei lavoratori e pronto soccorso, che possono concretizzarsi in una vera e propria gestione dell'emergenza. Le prime indicazioni legislative in merito ad una possibile gestione e organizzazione dell'emergenza si riscontrano nel DM 31/07/34 sull'impiego e sulla manipolazione degli oli minerali. Successivamente, nell'art. 48 del DPR 185/64 sull'uso pacifico dell'energia nucleare, l'argomento si andava configurando in termini più netti e dettagliati nell'obbligo della pianificazione delle "situazioni eccezionali". In seguito, nel DPR 175/88 all'art. 5, si dispone l'obbligo di predisposizione dei "piani di emergenza" così denominati dal legislatore e la cui responsabilità è attribuita ai gestori di impianti o attività a rischio di incidente rilevante. Questo breve quadro storico-normativo dimostra che il concetto di piano di emergenza ha subito una evoluzione, allargandone il campo di applicazione, non più limitato ad attività specifiche (oli minerali, energia nucleare, aziende a rischio di incidente rilevante), e precisando i compiti del datore di lavoro. Tale evoluzione comporta una più concreta definizione laddove vengono individuati e delineati gli elementi strutturali di un piano di emergenza: pronto intervento, organizzazione del salvataggio, organizzazione del pronto soccorso, informazioni sui comportamenti da adottare in caso di pericolo, rapporti con le autorità competenti. In particolare l'andamento e l'evoluzione di una situazione di emergenza sono fatti dipendere dal livello organizzativo interno dell'azienda (risorse umane predisposte e disponibili, sistemi impiantistici idonei, etc.) e dalla capacità di contenere i danni (formazione professionale dei lavoratori). Il D.Lgs 626/94 richiede, in sostanza, al sistema aziendale che l'organizzazione interna per affrontare l'eventuale stato di emergenza sia uno strumento operativo facente parte a tutti gli effetti dell'insieme dei provvedimenti di sicurezza da attuare.

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2. IL PIANO DI EMERGENZA (PE) LEGATO AI RISCHI PROPRI DELL'ATTIVITA’

Le situazioni critiche, che possono dar luogo a situazioni di emergenza, possono essere grossolanamente suddivise in:

eventi legati ai rischi propri dell'attività (incendi e esplosioni, rilasci tossici e/o radioattivi, etc.) eventi legati a cause esterne (allagamenti, terremoti, condizioni meteorologiche estreme, etc.).

Una particolareggiata e approfondita valutazione dei rischi1 di una attività lavorativa permette di rilevare l'eventuale possibilitàà di avere incidenti anche particolarmente gravi e a bassa probabilità di accadimento, non evitabili con interventi di prevenzione e per i quali è necessario predisporre misure straordinarie da attuare in caso di reale accadimento. L'insieme delle misure straordinarie, o procedure e azioni, da attuare al fine di fronteggiare e ridurre i danni derivanti da eventi pericolosi per la salute dei lavoratori (e della eventuale popolazione circostante) viene definito piano di emergenza. Obiettivi principali e prioritari, di un piano di emergenza aziendale, sono pertanto quello di:

ridurre i pericoli alle persone; prestare soccorso alle persone colpite; circoscrivere e contenere l'evento (in modo da non coinvolgere impianti e/o strutture che a loro volta potrebbero, se interessati, diventare ulteriore fonte di pericolo) per limitare i danni e permettere la ripresa dell'attività produttiva al più presto.

Il piano di emergenza deve essere sicuramente predisposto per quelle attività, che comportando il rischio specifico di incendio2, esplosione, rilascio tossico e/o radioattivo, sono soggette ad una o più normative tecniche o legislative specifiche illustrate in tabella 1.

1 - Le indicazioni per i criteri da seguire nella valutazione globale dei rischi sono riportate nel Documento n°1; invece per i criteri relativi ad una valutazione specifica di incendio si rinvia all’allegato I al DM 10/03/98.

2 - Vedi ‘Pianificazione delle procedure da attuare in caso di incendio’ nell’allegato VIII al DM 10/03/98.

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In tutte le restanti attività, salvo diversa determinazione, come prevista dal D.L.gs 626/94, non si ritiene necessaria la stesura di un vero e proprio piano di emergenza, bensì può essere sufficiente la predisposizione di procedure formalizzate che prevedano:

una adeguata informazione e formazione dei lavoratori per quanto riguarda l'utilizzo degli equipaggiamenti di emergenza (estintori, autorespiratori, etc.) determinati ed introdotti in base alla valutazione dei rischi; una corretta gestione dei luoghi di lavoro (non ostruzione delle vie di esodo, rimozione, occultamento o manomissione degli equipaggiamenti di emergenza, etc.)una corretta e tempestiva manutenzione degli impianti.

Tabella 1 - Elenco non esaustivo delle norme legislative e tecniche che permettono di individuare le attività soggette alla predisposizione di piani di emergenza.

RD 147/27 Approvazione del regolamento speciale per l'impiego dei gas tossici. DM 31/07/34(e relative modifiche)

Approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l'immagazzinamento, l'impiego e la vendita di olii minerali e per il trasporto degli stessi.

DPR 185/64 Norme per l'uso pacifico dell'energia nucleare. DPR 577/82(artt. 15 e 22)

Regolamento per l'espletamento dei servizi di prevenzione e di vigilanza antincendi.

DPR 175/88 Attuazione della direttiva CEE n. 82/501, relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali, ai sensi della legge 16 aprile 1987, n. 16.

D.Lgs 626/94 (art. 64 lettera f, art. 78 comma 5 lett. e)

Attuazione delle direttive 89/391/Cee, 89/654/Cee, 89/655/Cee, 89/656/Cee, 90/269/Cee, 90/270/Cee, 90/394/Cee e 90/679/Cee riguardanti il miglioramento della sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro

Norme CEI 64-2 Impianti elettrici nei luoghi con pericolo di esplosione. Norme CEI 64-8/7 Impianti elettrici utilizzatori a tensione nominale non superiore a 1000

V in corrente alternata e a 1500 V in corrente continua (sezione relativa agli ambienti a maggior rischio in caso di incendio).

DM 10/03/98 Criteri generali per la sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro.

2.1 Criteri generali per la predisposizione di un piano di emergenza

La predisposizione di un PE consiste inizialmente nello studio analitico del maggior numero possibile di deviazioni incidentali, valutando l'andamento delle reali conseguenze (quali ad esempio: propagazioni di fronti concentrati o distribuiti di energia, emissione di sostanze pericolose, etc.). Successivamente, è possibile procedere alla progettazione dei PE tenendo conto che ogni procedura e/o fase di intervento individuata deve rispettare i seguenti criteri generali.

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Precisione: la progettazione non può essere assolutamente generica ma deve definire in modo dettagliato i compiti, i ruoli, le responsabilità e la sequenza delle azioni.

Chiarezza e concisione: la procedura deve essere comprensibile a tutte le persone chiamate alla sua gestione, e concisa nelle informazioni che fornisce.

Flessibilità: cioè adattabile, in caso di incidente, ad eventuali discostamenti dalle situazioni previste. E' bene ricordare che è ampia la possibilità di avere discostamenti rispetto alle situazioni previste; questi, oltre a non essere facilmente o sempre individuabili, possono essere anche legati a fattori esterni (come ad esempio le condizioni meteorologiche o di viabilità).

Revisione e aggiornamento: una procedura correttamente messa a punto non si presenta mai come uno strumento statico, deve invece offrire la possibilità di essere facilmente adattata alle modifiche che accompagnano la vita di una attività. Ovviamente, in caso di modifiche sostanziali o totali, ad esempio, di un impianto, la procedura specifica va riprogettata e resa compatibile con il piano di emergenza globale preesistente.

Concreta definizione degli strumenti per la gestione dell'emergenza: le procedure devono fare riferimento in modo puntuale alle effettive potenzialità di intervento (ad esempio è inutile parlare di allertamento della squadra di emergenza o della pubblica Autorità, quando non si dispone di mezzi di comunicazione sicuramente fruibili come spesso succede in una attività con linee telefoniche sempre impegnate).

2.2 Check list per la predisposizione di un piano di emergenza (PE)

Di seguito si illustra una serie di argomenti, che non hanno la pretesa di essere esaustivi, che devono essere presi in esame per mettere a punto le procedure e gli strumenti destinati alla risoluzione dell'emergenza:

Documentazione: un PE comporta, in fase preliminare, l'acquisizione di informazioni necessarie alla sua predisposizione ed alla sua successiva gestione. In particolare la documentazione deve contenere:

informazioni sul sito e sull'ambiente, intesi come vicinanza di insediamenti civili e industriali, corsi fluviali e grandi vie di comunicazione, orografia della zona, etc.; indicazioni su tutte le vie di accesso interne ed esterne all'azienda con dettaglio sulla viabilità, larghezza, etc.;

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Tabella 2 - Classificazione degli incidenti secondo la gravità

Incidenti minori Possono essere facilmente controllati dal solo personale operativo o di sicurezza dell'unità (o impianto). (non richiede la mobilitazione di forze esterne)

Incidenti di categoria 1

Come per la categoria precedente, ma con massiccio impiego delle risorse interne dell'azienda (è consigliabile mettere in preallarme le forze esterne per il caso di escalation dell'incidente).

Incidenti di categoria 2

Possono essere controllati con l'ausilio di forze esterne limitate.

Incidenti di categoria 3

Se controllabili, possono esserlo solo attraverso l'impiego di massicce risorse (è necessaria la mobilitazione di tutte le forze disponibili, anche su vasta scala territoriale).

indicazioni sui cicli produttivi (materie prime e ausiliarie, prodotti intermedi, prodotti finiti, etc.); indicazioni sul lay-out dell'attività con la segnalazione delle zone o aree nelle quali è stata individuata la possibilità di eventi incidentali (incendi, esplosioni, rilasci, etc.);indicazioni sui sistemi di protezione attiva (mezzi di estinzione incendi, sistemi di abbattimento e/o inertizzazione, etc.) o passiva (compartimentazione, sistemi di rilevazione, percorsi di esodo protetti, etc.); informazioni su eventi analoghi avvenuti in precedenza e relativi interventi di contenimento attuati (case history); organigrammi generali e particolari di reparto. La conoscenza dettagliata della composizione dei reparti e delle competenze professionali presenti in azienda permette di individuare le diverse figure che dovranno gestire il piano di emergenza sia in fase preventiva (addestramento e formazione, verifica della funzionalità dei sistemi di protezione) sia in fase di intervento.

Studio e classificazione delle emergenze: lo studio e la valutazione delle possibili conseguenze degli eventi incidentali ed una loro classificazione sono necessari a dimensionare adeguatamente gli interventi da attuare. La classificazione può essere organizzata, ad esempio:

per scala di gravità (Tabella 2), considerando che uno stesso evento incidentale può interessare una singola unità o impianto, più unità e, nei casi più gravi, anche zone o aree esterne allo stabilimento, per tipologia di evoluzione (Tabella 3), per tipologia di evento.

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Tabella 3 - Classificazione degli incidenti secondo la tipologia di evoluzione

Incidenti di entità limitata o

a lenta evoluzione

Possono richiedere al più l'evacuazione del personale interno e della popolazione nelle immediate adiacenze dell'azienda (esempi tipici: incendio o limitato rilascio di tossici).

Incidenti ad escalation potenziale

Pongono in pericolo l'integrità di serbatoi o apparecchiature maggiori contenenti materiali pericolosi, ma lasciano a disposizione un periodo di tempo ragionevole per l'evacuazione (esempi tipici: incendio o danno meccanico)

Incidenti a rapido

sviluppo

Non è assolutamente consigliabile l'evacuazione, ma occorre affidarsi ai comportamenti mitiganti individuali, in particolare il rifugio indoor, e quindi alla preventiva corretta istruzione della popolazione (esempi tipici: incipiente BLEVE con fireball oppure rilascio tossico con formazione di nube non eccessivamente estesa).

Incidenticatastroficiimprovvisi

Le possibili azioni pianificate sono necessariamente limitate alle sole operazioni di soccorso e di bonifica (esempi tipici: grosse esplosioni o rilasci massicci e persistenti di tossici)

Responsabilità: un PE deve sempre prevedere la responsabilità, della sua gestione globale, affidata ad un unico soggetto (inteso come persona fisica presente in azienda: pertanto ne devono essere prevista più di una se la lavorazione si svolge su turni e nei casi di assenza). Questo permette di evitare la sovrapposizione di compiti nel corso dei processi decisionali. Inoltre devono essere sempre individuati (in maniera precisa) i responsabili locali, per ogni turno di lavoro (in modo tale da assicurarne l'immediata disponibilità) e la gerarchia dei livelli decisionali non necessariamente coincidente con l'organigramma aziendale. Queste persone, destinate a intervenire in caso di emergenza, devono essere qualificate (per esperienza o formazione professionale mirata) e idonee a condurre le necessarie azioni richieste. La loro designazione deve avvenire previo mandato scritto e controfirmato per accettazione.

Aree operative e centro di controllo: all'interno di un PE devono sempre essere individuati in modo puntuale i luoghi, aree operative e centro di controllo, da cui dirigere e sovraintendere le operazioni di emergenza. Alle aree operative, collocate in luoghi sicuri e in prossimità delle zone in cui potrebbero verificarsi gli incidenti, afferiscono generalmente le squadre di intervento, i responsabili locali e il responsabile di PE per l'effettuazione del primo intervento e di una prima e immediata stima sull'evoluzione dell'accaduto. Il centro di controllo viene invece utilizzato e attivato quando l'incidente assume proporzioni tali da richiedere più squadre ed una loro gestione coordinata: esso rappresenta, nella gestione dell'emergenza, sicuramente l'elemento più delicato e vulnerabile in quanto è il luogo univoco di riferimento dal quale e con il quale deve essere sempre possibile comunicare, sia dall'esterno che dall'interno, in modo da disporre in tempo reale di tutte quelle informazioni e direttive utili alla conduzione dell'emergenza stessa. Al centro di controllo afferisce il responsabile di PE che

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coordina tutte le successive operazioni predisponendo, se necessario, la richiesta di soccorso esterno, l'evacuazione del personale e l'attivazione del pronto soccorso. Ovviamente a seconda delle dimensioni e delle tipologie aziendali o delle tipologie di eventi ipotizzati le aree operative possono coincidere con il centro di controllo. All'interno del centro di controllo deve essere sempre disponibile (e aggiornata) la documentazione inerente la gestione dell'emergenza (planimetrie, schede di sicurezza dei prodotti, collocazione degli equipaggiamenti e delle attrezzature supplementari, etc.).

Squadre di intervento: sono costituite da personale interno, espressamente individuato per effettuare anche questo tipo di lavoro, immediatamente disponibile all'occorrenza. La pronta disponibilità va intesa come presenza fisica sempre assicurata sia dal punto di vista della composizione prevista per la squadra, che per qualificazione professionale dei componenti, anche in caso di lavoro a turni o assenze; il numero delle squadre e la loro composizione vanno stabiliti in funzione dei rischi e della dimensione dell'attività. Particolare attenzione va posta alla qualificazione professionale degli operatori che compongono la squadra, in quanto deve essere direttamente correlata al compito da svolgere3. Questo non si esaurisce nel solo intervento tecnico (salvataggio, lotta antincendio, attivazione dispositivi di sicurezza, bonifica, etc.) ma deve prevedere, nei casi in cui si possono generare situazioni di panico, la capacità di supporto psicologico-rassicurativo nei confronti delle persone coinvolte.Infine, mediante esercitazioni e simulazioni, che favoriscono la coesione e l'unitarietà della squadra, vanno periodicamente controllate la capacità e la tempestività di intervento.

Equipaggiamento di emergenza: sulla base della classificazione delle emergenze devono essere individuati e predisposti i relativi equipaggiamenti. Questi sono generalmente costituiti dai mezzi personali di protezione, dai mezzi di salvataggio, dalle attrezzature necessarie per fronteggiare l'emergenza e dalla specifica segnaletica (ad esempio per la restrizione degli accessi e per l'ulteriore segnalazione delle vie di fuga) e dei quali devono essere dotate le squadre di intervento.Gli equipaggiamenti devono essere collocati in luoghi prefissati (aree operative); in particolare è opportuno che la specifica dotazione delle squadre sia posta in luoghi protetti e in prossimità delle zone in cui potrebbero verificarsi gli eventi ipotizzati. Una scorta di equipaggiamenti, valutata sulla base di possibili esigenze legate all'evoluzione dell'incidente, deve essere sempre collocata in luogo protetto (cioè situato a distanza di sicurezza interna rispetto alle possibili zone pericolose) e facilmente accessibile. E' opportuno sottolineare che, in alcune situazioni (es. rilasci tossici), è necessario mettere a disposizione dei lavoratori, non impegnati nelle squadre

3 - Nel caso di operatori specificatamente addetti alla lotta antincendio e alla gestione delle emergenze incendio, la qualificazione professionale deve essere ottenuta conformemente a quanto indicato nell’allegato IX del DM 10/03/98.

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di intervento, i mezzi di protezione personale per potersi allontanare dal luogo pericoloso. Tutte le informazioni sulla collocazione degli equipaggiamenti devono essere riportate su planimetrie opportunamente dislocate all'interno dei locali. L'equipaggiamento di emergenza deve essere periodicamente verificato per accertarne lo stato di conservazione e l'efficienza: le verifiche devono essere annotate su un apposito registro, con data e firma della persona incaricata del compito. In occasione delle esercitazioni o prove di simulazione, le squadre di intervento e le altre persone coinvolte devono fare uso di quanto predisposto (DPI, attrezzature, etc.) Pronto soccorso: un'azione di pronto soccorso può essere fine a se stessa (sostanzialmente quando l'infortunio è l'unica conseguenza di un evento accidentale o di un'errata procedura) o costituire una delle azioni da attivare nell'ambito di un piano di emergenza. In ogni caso la predisposizione di un servizio di pronto soccorso, o di un nucleo di soccorritori, presenta alcuni elementi di complessità per cui se ne ritiene opportuna una trattazione separata, a cui si rimanda. Il nucleo di soccorritori, pur dipendendo in modo funzionale dal proprio responsabile locale, deve disporre di una propria autonomia operativa in modo da assicurare sempre un primo intervento immediato alle persone colpite. I soccorritori, una volta effettuata una prima valutazione della situazione sanitaria, devono prestare i primi soccorsi alle persone colpite e attivare il servizio di pronto soccorso interno, se esistente, o direttamente le strutture esterne.

Segnalazioni e comunicazioni: un problema da non sottovalutare nella predisposizione di strumenti, presidi o sistemi per la gestione delle emergenze è la funzione che hanno le segnalazioni e le comunicazioni e la loro reale fruibilità. Non è improbabile, infatti, che parte della disorganizzazione o dei ritardi nella gestione dell'emergenza sia dovuta alla confusione che si genera nei normali canali di trasmissione interni ed esterni. E' necessario quindi prevedere con estrema precisione i possibili sistemi di allarme,4

distinti dai normali segnali ottici e/o acustici, e le procedure da seguire per la loro attivazione, nonchè i possibili sistemi di comunicazione fra le singole aree operative ed il centro di controllo (es. ricetrasmittenti portatili). Può essere inoltre opportuno prevedere la possibilità di intervento nelle comunicazioni attivando o linee riservate destinate esclusivamente a questo scopo, o deviando le linee di emergenza su canali di trasmissione privilegiati.

Evacuazione: fermo restando la predisposizione di vie ed uscite di emergenza di cui all'art. 33 comma 1 D.Lgs 626/94, il PE deve individuare tutti i percorsi, preferenziali

4 - Per gli allarmi destinati alla segnalazione di incendio si rinvia a quanto previsto nell’allegato IV del DM 10/03/98.

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ed alternativi, che da ciascun posto di lavoro devono essere seguiti per raggiungere i luoghi sicuri5

In situazioni con elevato affollamento di persone, ed in particolare in presenza di pubblico, può essere necessario predisporre nuclei di operatori esclusivamente addetti all'evacuazione, cioè capaci di indirizzare e convogliare verso le vie di fuga, prestabilite dal PE, i flussi di persone; loro compito specifico è anche quello di verificare che l'evacuazione sia completa e avvenga in modo ordinato verso luoghi sicuri o centri di raccolta.I centri di raccolta sono zone in cui devono confluire inizialmente le persone per poi essere allontanate definitivamente ed in modo ordinato per evitare intralcio agli eventuali mezzi di soccorso. Nei luoghi di lavoro non aperti al pubblico il centro di raccolta deve essere utilizzato anche per censire le persone evacuate. Qualora l'evacuazione sia predisposta esclusivamente verso i centri di raccolta sarà necessario prevedere un appropriato numero di sistemi o mezzi di trasporto per effettuare l'ulteriore allontanamento delle persone. Dai centri di raccolta deve essere possibile comunicare con il centro di controllo dell'emergenza. I luoghi sicuri e le vie di emergenza devono essere riportati sulle planimetrie citate per gli equipaggiamenti; in situazioni particolarmente complesse può essere necessario predisporre planimetrie separate.

Attivazione della pubblica Autorità. Il coinvolgimento della pubblica Autorità (Prefettura, Vigili del fuoco, etc.) è una decisione che va ponderata accuratamente e deve essere presa quando non si è in grado di valutare l'entità dell'evento oppure ci si rende conto che è impossibile arrestare l'emergenza con le procedure previste o questa può travalicare i confini dello stabilimento. Pertanto ogni qualvolta un evento pericoloso assume proporzioni non limitabili e comunque non immediatamente circoscrivibili con i mezzi disponibili all'interno dell'azienda vanno attivate, per gradi, le risorse esterne predisposte dalla pubblica Autorità. Nel richiedere l'aiuto esterno vanno fornite, anche in tempi successivi, il maggior numero di informazioni possibili e utili a migliorare l'intervento stesso quali ad esempio:

stato dell'emergenza (allarme, preallarme) ubicazione dell'evento, dimensioni dell'evento, tipo e quantità delle sostanze coinvolte, equipaggiamenti di emergenza presenti in azienda, condizioni climatiche (ad esempio in caso di rilascio di sostanze pericolose) previsioni sulle possibili conseguenze esterne dati identificativi di chi trasmette.

5 - Per la definizione di "luogo sicuro" vedi DM 31/07/83 oppure l'art. 33 comma 1 del D.Lgs. 626/94.

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E' anche necessario che vengano individuate una o più persone che sul posto siano in grado di fornire informazioni più dettagliate sull'evento ai responsabili della pubblica Autorità intervenuti sul luogo. Le procedure di richiesta di intervento della pubblica Autorità, all'interno di un PE, devono includere in modo preciso i diversi enti da coinvolgere (a seconda del tipo di incidente), le modalità di richiesta, i soggetti incaricati di effettuare la richiesta, ed infine i vari livelli di attivazione (Vigili del fuoco, AUSL, Sindaco, Prefettura, Regione, etc.)

Verifica: un PE, prima di essere definitivamente adottato, deve essere sottoposto ad una sorta di "analisi di congruità" che ne accerti l'effettiva capacità di applicazione in tutte le situazioni esaminate. In particolare occorre valutare e verificare:

la risposta dei PE in merito all'eliminazione o minimizzazione delle conseguenze; la capacità/tempestività decisionale ed applicativa delle procedure espressa dai responsabili di PE; l'efficienza e l'affidabilità degli equipaggiamenti predisposti; l'adeguatezza delle vie di esodo e delle eventuali aree di sicurezza (o centri di raccolta);l'affiatamento, la capacità tecnica e la tempestività delle squadre di intervento; il grado di conoscenza delle procedure da parte di tutti i lavoratori presenti in azienda.

Queste verifiche, devono essere effettuate con simulazioni ed esercitazioni; è opportuno che siano coerenti con gli eventi ipotizzati e con la dimensione dell'attività, non devono cioè essere limitate solo ai singoli impianti, ma prevedere anche situazioni più ampie, come il coinvolgimento dell'intero stabilimento o della pubblica Autorità; devono ovviamente essere affrontate in tutte le condizioni possibili (dì, notte, giorni festivi, condizioni di maltempo, etc.) ove richiesto dalla tipologia e dalle caratteristiche dell'attività. I risultati delle simulazioni, esercitazioni o prove possono fornire, infine, utili indicazioni sia in merito a modifiche, integrazioni, predisposizioni di procedure alternative sia alla reale risposta dei sistemi o presidi di emergenza predisposti. Tutti gli argomenti finora illustrati vanno infine a costituire un unico elaborato che rappresenta il piano di emergenza. Il piano di emergenza non deve essere considerato un documento riservato alla sola direzione aziendale ma deve essere reso noto ai lavoratori, almeno per le parti in cui gli stessi possono essere direttamente coinvolti. In particolare è opportuno che copie del piano siano sempre a disposizione di tutti i lavoratori chiamati a svolgere un ruolo attivo all'interno della gestione dell'emergenza; una sua adeguata e capillare diffusione, ed eventuale discussione all'interno di una azienda, permette tra l'altro di sviluppare un ruolo altamente collaborativo da parte di tutto il personale nonchè di avere informazioni supplementari sulla sua reale applicabilità.

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3. GRADO DI COMPLESSITÀ DEI PE

A seconda delle caratteristiche della attività (intese come dimensione, numero di addetti o persone presenti, tipo di impianti, collocazione urbanistica) possono essere individuati diversi livelli di PE (Figura 1) ciascuno dei quali, pur rispettando i criteri e le procedure generali, ha un diverso grado di approfondimento e di complessità in una possibile scala di gravità; questi possono essere sintetizzati in:

piano di emergenza di unità o di impianto; piano di emergenza di stabilimento; piano di emergenza esterno o generale.

3.1 Piano di emergenza di unità o di impianto

Il piano di emergenza di unità (o di impianto) è quella parte di PE complessivo che riguarda espressamente la singola unità o impianto. Prende in considerazione tutti gli eventi incidentali che possono verificarsi nell'unità o nell'impianto e deve individuare chiaramente:

responsabili locali per ciascun turno area/e operativa/e dove devono recarsi il responsabile di PE di stabilimento, il responsabile locale, le squadre di intervento, i soccorritori ed il nucleo degli addetti all'evacuazione. In caso di incidente il responsabile di PE di stabilimento, effettuata una immediata valutazione dell'entità e dei possibili sviluppi quali-quantitativi dell'evento, deciderà se attivare o meno i piani di emergenza di altre unità o dell'intera attività (piano di emergenza di stabilimento) o che interessano anche l'esterno (piano di emergenza esterno); composizione delle squadre di intervento, composizione del nucleo di soccorritori, composizione dell'eventuale nucleo di evacuatori, collocazione dell'equipaggiamento di emergenza e specificazione dei mezzi da utilizzare in base al tipo di evento incidentale, collocazione dell'equipaggiamento di emergenza di scorta, ubicazione dei DPI a disposizione del personale da evacuare, sistemi di allarme per allertare le squadre di intervento, i soccorritori e gli addetti all'evacuazione, nonchè le procedure per la loro attivazione, sistemi di comunicazione tra aree operative, centri di raccolta e centro di controllo, vie di esodo, centri di raccolta ed eventuali mezzi per l'ulteriore allontanamento delle persone, nonchè le zone ad accesso limitato o interdetto.

Il piano di emergenza di unità viene predisposto esclusivamente per l'unità che presenta potenzialmente il rischio di eventi incidentali; si identifica con il piano di stabilimento quando quest'ultimo coincide con l'unità stessa.

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Nel caso di incidenti minori o emergenze facilmente circoscrivibili può risultare sufficiente e risolutivo.

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3.2 Piano di emergenza di stabilimento

Il piano di emergenza di stabilimento viene predisposto quando l'azienda presenta più unità a rischio di eventi incidentali, o quando unità di per sè non a rischio possono essere interessate da incidenti verificatisi in altre unità. Esso è costituito dai PE delle varie unità (o impianti) e dalle necessarie correlazioni tra gli stessi; deve inoltre individuare con precisione:

responsabile di PE di stabilimento e i suoi sostituti, collocazione del centro di controllo, modalità di comunicazione tra centro di controllo, centri di raccolta e aree operative,modalità di comunicazione tra centro di controllo e l'esterno dello stabilimento, modalità di attivazione della pubblica Autorità, sia da parte dei responsabili locali che da parte del responsabile di PE di stabilimento

3.3 Piano di emergenza esterno

Il piano di emergenza esterno è quel piano che viene messo a punto dalla pubblica Autorità per tutelare l'incolumità della popolazione e la salvaguardia dell'ambiente. La sua applicazione (in caso di eventi legati ai rischi propri dell'attività) viene richiesta, dal responsabile di PE di stabilimento o dalla pubblica Autorità (VVF, AUSL, etc.) intervenuta in fase di emergenza, quando l'evento evolve o può evolvere verso situazioni gravi che interessano aree esterne allo stabilimento. Il piano di emergenza esterno può essere preparato espressamente per ogni stabilimento che sia potenziale sorgente di pericolo, oppure avere carattere più generale e onnivalente per tutte le necessità comuni alle varie emergenze (es: gestione dell'ordine pubblico, regolamentazione del traffico, utilizzo degli ospedali, etc.).

A conclusione di quanto detto, nella Figura 2, si illustra il quadro complessivo e riassuntivo dei diversi piani di emergenza (unità, stabilimento, esterno) mettendone in evidenza, per quanto possibile, le connessioni fra loro ed i relativi soggetti coinvolti; come si può notare vi è una stretta interdipendenza logica, fra i vari tipi di piano, derivante dalla possibilità di espandere il piano di emergenza oltre i confini della singola unità, fino a coinvolgere l'intero stabilimento o, se è il caso, fino all'esterno.

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Figura 1 - Schema per la scelta del tipo di piano di emergenza necessario

si N° unità pericolose

>1

no

l’evento pericoloso si può interessare altre unità dello stabilimento?

no

PE stabilimento = PE unità PE stabilimento PE unità

l’evento pericoloso si può interessare aree esterne allo stabilimento?

no

NON occorre PE esterno OCCORRE PE esterno

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Figura 2 - Schema riepilogativo sull’organizzazione dei piani di emergenza

piano di emergenza esterno

PUBBLICA AUTORITA’ (con mezzi e forze esterne)

piano di emergenza di stabilimento

CC RPES CS

PS MT EES NE CR

AO SI RLU EE CS

ALTRE UNITA’

SU NEU CRU SIU

piano di emergenza di unità

Legenda AO = area operativa RLU = responsabile di unità CC = centro di controllo RPES = responsabile di PE di stabilimento CR = centro di raccolta SI = squadre di intervento CRU = centro di raccolta di unità SIU = squadra di intervento unità CS = comunicazioni e segnalazioni SU = soccorritori unità EE = equipaggiamento di emergenza = dipendenza diretta EES = equipaggiamento di emergenza di scorta = dipendenza indiretta MT = mezzi di trasporto = luoghi NE = nucleo evacuatori = soggetti NEU = nucleo evacuatori di unità = luoghi e soggetti PS = pronto soccorso

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4. BIBLIOGRAFIA

• Macchi Giorgio, Morici Alessandro. Problematiche e metodologie nell'analisi di rischio degli impianti industriali. Roma: Università degli studi di Roma "La Sapienza" - Scuola di specializzazione in sicurezza e protezione industriale, 1988

• Ragusa Salvatore. Introduzione all'analisi di rischio nell'industria. Milano: Safety improvement, 1986

• Macchi Giorgio, Morici Alessandro, Rubino Francesco. La pianificazione dell'emergenza nelle attività arischio di incidente rilevante. (in) "Antincendio", maggio 1989, pagg. 29-37

• Poggiali Dino. La gestione dell'emergenza in azienda. Milano: Istituto superiore di formazione della prevenzione, 1994

• Lees Frank P. Loss Prevention in the Processes Industries. Londra: Butterworths, 1989

• National Safety Council. Accident Prention Manual for Industrial Operations: administration and programs. USA, 1990

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REQUISITI DEL "PRONTO SOCCORSO" (art. 15)

1. INTRODUZIONE

Nel trattare i vari aspetti che attengono al miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori, il D.Lgs 626/94 riserva un intero articolo (il n. 15) alla adozione, da parte del datore di lavoro, di provvedimenti "in materia di pronto soccorso e di assistenza medica di emergenza" sui luoghi di lavoro. Il principio informatore che, ad un'attenta lettura della legge, percorre l'intero capitolo destinato a questo argomento, è la opportunità di modulare la natura ed il grado dell'assistenza medica di emergenza in rapporto alle caratteristiche dell'azienda, in ordine a numero di lavoratori occupati, natura dell'attività, fattori di rischio presenti. Appare quindi più corretto un orientamento applicativo che non preveda rigidamente l'istituzione, dovunque e comunque, di un servizio di pronto soccorso interno, ma che guardi all'assistenza sanitaria di emergenza come ad una "funzione" che l'azienda deve garantire ai lavoratori, nei modi e nei tempi di volta in volta più idonei, dalla formazione dei lavoratori, all'utilizzo dei presidi sanitari contenuti nella cassetta di pronto soccorso, all'apprendimento di rapidi ed efficaci sistemi di comunicazione con la struttura pubblica, fino all'organizzazione di una struttura interna di soccorso. In tale direzione pertanto si ritiene debbano essere orientate le decisioni in merito ai punti nodali dell'assistenza medica d'emergenza, quali l'individuazione e la formazione dei soccorritori, le attrezzature di pronto soccorso ed i rapporti con le strutture pubbliche di emergenza.

2. INDIVIDUAZIONE E FORMAZIONE DEI SOCCORRITORI

Questo argomento è già stato trattato nel documento, dal gruppo di lavoro sulla "formazione", a cui si rimanda. Vale solo la pena, in questa sede, sottolineare alcuni aspetti relativi al caso in cui si proceda all'istituzione di un servizio di pronto soccorso interno:

a) il numero dei soccorritori presenti nell'unità produttiva non può essere rigidamente stabilito, ma dovrà comunque essere rapportato al numero di lavoratori contemporaneamente presenti in azienda (ad esempio 1 soccorritore ogni 30 persone in un azienda che non sia a rischio per incidente rilevante) ed alla tipologia di rischio infortunistico presente nello stabilimento produttivo; b) in ogni caso dovrà essere previsto un sostituto, con pari competenze, per ognuno dei soccorritori individuati, per rimpiazzare l'eventuale assenza; c) il sostituto dovrà poter rilevare il collega senza incorrere in situazioni fisicamente gravose (ad esempio dopo aver terminato il turno di notte); d) il numero dei soccorritori contemporaneamente presenti in azienda sarà almeno pari a due, per "coprire" l'eventualità in cui l'infortunato sia uno dei soccorritori stessi.

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3. ATTREZZATURE DI PRONTO SOCCORSO

La disponibilità in azienda di attrezzature di pronto soccorso è già normata, nel nostro Paese, dal DPR 303/56 che, a seconda delle caratteristiche (numerosità degli occupati, ubicazione, natura dei rischi presenti) delle aziende, impone ad esse l'obbligo di disporre del pacchetto di medicazione, della cassetta di pronto soccorso o della camera di medicazione, il cui contenuto viene stabilito dal DM 02/07/58. L'art. 6 dello stesso DM prevede tuttavia la possibilità di integrazioni e modificazioni di tale contenuto ad opera degli organi di vigilanza, e a questo proposito i Servizi di prevenzione e vigilanza delle Aziende Usl della Provincia di Bologna hanno recentemente proposto un elenco aggiornato dei presidi sanitari da inserire nel pacchetto di medicazione e nella cassetta di pronto soccorso, che di seguito si richiama:

3.1 Contenuto del pacchetto di medicazione

Guanti monouso in vinile o in lattice confezione di acqua ossigenata F.U. 10 volumi confezione di clorossidante elettrolitico al 5% compresse di garza sterile 10x10 in buste singole compresse di garza sterile 18x40 in buste singole pinzette sterili monouso confezione di cerotti pronti all'uso (di varie misure) rotolo di benda orlata alta cm 10 rotolo di cerotto alto cm 2,5 paio di forbici lacci emostatici confezione di ghiaccio "pronto uso" sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari termometro

3.2 Contenuto della cassetta di pronto soccorso

Guanti monouso in vinile o in lattice visiera paraschizzi confezione di acqua ossigenata F.U. 10 volumi confezione di clorossidante elettrolitico al 5% compresse di garza sterile 10x10 in buste singole compresse di garza sterile 18x40 in buste singole pinzette sterili monouso

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confezione di rete elastica n. 5 confezione di cotone idrofilo confezioni di cerotti pronti all'uso (di varie misure) rotoli di benda orlata alta cm 10 rotolo di cerotto alto cm 2,5 paio di forbici lacci emostatici confezione di ghiaccio "pronto uso" coperta isotermica monouso sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari termometro

Se è vero che questi presidi, peraltro obbligatori per legge, possono costituire la base minimale dello strumentario di pronto soccorso all'interno dell'unità produttiva, è altrettanto vero che occorrerà valutarne l'integrazione con altri maggiormente specifici allorquando la tipologia infortunistica presente in azienda, cosÏ come emerge dalla "valutazione dei rischi", ne evidenzi la necessità. Appare chiaro in questa fase il ruolo primario del medico competente. I presidi che eventualmente saranno aggiunti a quelli di base in caso di rischi reali di particolare gravità (ad esempio cannula di Guedel, pallone di Ambu, apribocca elicoidale, pompa per aspirazione di secrezioni, barelle "speciali"), non potranno che essere utilizzati da personale particolarmente addestrato e sempre presente in azienda. In definitiva, la gradualizzazione, più sopra discussa, della "funzione" di pronto soccorso in azienda, dovrà realizzarsi in tutti i suoi aspetti: uomini, attrezzature, formazione. Un cenno particolare merita il caso in cui all'interno di un'azienda o di un reparto (fisicamente separato dagli altri) operi occasionalmente o stabilmente un solo lavoratore, per il quale un infortunio potrebbe portare, se ed in quanto non rilevato immediatamente dai colleghi, a conseguenze di maggiore entità di quelle già prodotte dall'evento in sè (si pensi ad esempio alle emorragie). In questi casi, il datore di lavoro dovrà adottare sistemi grazie ai quali l'infortunio di un lavoratore possa essere rilevato dai colleghi (ad esempio attraverso un allarme attivato automaticamente dall'evento traumatico o azionato attraverso un congegno indossato dal lavoratore) o, nel caso di lavoratore solo in azienda, dalle strutture esterne di pronto soccorso. Purtroppo, mentre nel primo caso vi sono già soluzioni sperimentate, per quanto attiene alla possibilità di allarme all'esterno, l'unico mezzo efficace oggi disponibile è il "telesoccorso", gravato però da costi rilevanti e non ancora validato in questo ambito.

4. RAPPORTI CON LE STRUTTURE PUBBLICHE DI PRONTO SOCCORSO

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Il problema della disponibilità di una unità di soccorso che risponda ad una chiamata in ogni momento del giorno e della notte, è stato largamente risolto con l'istituzione del "118". Com'è noto, questo numero fa capo a strutture (ospedali) che, per quanto attiene a questa funzione, coprono territori spesso provinciali; pertanto, è quanto mai necessario che la persona che chiama i soccorsi sia in grado di fornire rapidamente ai soccorritori precisi riferimenti per raggiungere il luogo dell'infortunio. Il lavoratore incaricato di tenere i rapporti con le strutture di soccorso esterne è opportuno che non sia lo stesso che è tenuto a soccorrere l'infortunato, onde non creare vuoti operativi. E' poi opportuno che uno dei soccorritori si rechi sempre all'ospedale insieme all'infortunato, al fine di fornire informazioni sulla dinamica dell'infortunio o sull'agente nocivo responsabile della lesione o dell'intossicazione (eventualmente producendo, se disponibile, anche la scheda di sicurezza della/e sostanza/e). Non si ritiene indispensabile che le aziende dispongano di un automezzo proprio per il trasporto degli infortunati, ma semmai, se l'azienda o il posto di lavoro sono ubicati in zona geografica particolare, di un veicolo che consenta di trasportare i soccorritori dal luogo di arrivo dei mezzi di soccorso (ad esempio elicottero, ambulanze) al luogo dell'evento; in caso di estrema necessità tale veicolo potrà anche servire per trasportare l'infortunato. E' ovvio che il mezzo di cui l'azienda eventualmente si dota, sia idoneo alle caratteristiche geografiche del luogo (es. veicoli a trazione integrale per luoghi di montagna).

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RIFERIMENTI AD ALTRE MONOGRAFIE

L'argomento oggetto della presente monografia è ripreso anche in altre, dove ne sono sviluppati aspetti particolari, e precisamente:

• anzitutto, le correlazioni più strette sono con i documenti n. 1, n. 2 e n. 3, in quanto è dalla valutazione dei rischi che discendono tutte le misure da adottare e le procedure da definire, che saranno oggetto di specifiche attività di formazione e informazione;

• nel documento n. 8 viene ripreso il problema dei rapporti tra il Servizio di prevenzione e protezione aziendale e la gestione delle emergenze;

• nel documento n. 10 viene esaminato con particolare attenzione il problema delle unità di emergenza, dei percorsi di sicurezza, etc.;

• nel documento n. 12, il problema dell'uso dei DPI viene visto non solo alla luce delle condizioni di lavoro standard, ma anche di eventuali condizioni di emergenza;

• infine nei documenti n. 15 e n. 16 si ritrovano dei riferimenti al problema delle eventuali situazioni di emergenza relative all'esposizione ad agenti cancerogeni e biologici.

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COORDINAMENTO TECNICO PER LA PREVENZIONE DEGLIASSESSORATI ALLA SANITA’ DELLE REGIONI E PROVINCE

AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO

Decreto Legislativo n° 626/94

D O C U M E N T O N°5 LINEE GUIDA SU TITOLO I

Rispetto dei principi ergonomici

Versione definitiva approvata il 16/07/1996 dalle Regioni e Province autonome

di Trento e Bolzano e dagli Istituti centrali. Aggiornata al 15 aprile 1998

___________________________________________Regione referente: Emilia-Romagna

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RISPETTO DEI PRINCIPI ERGONOMICI(Art. 3, comma 1, lett. F D.LGS 626/94)

INTRODUZIONE

L’articolo 3, comma 1, lettera f) del D.Lgs 626/94 introduce l’obbligo del “rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo”. Si tratta di una delle maggiori innovazioni introdotte dal D.Lgs 626/94 poiché in precedenza, fermo restando l’obbligo di non causare danni ai lavoratori, non vi erano vincoli legislativi specifici relativi a principi di carattere ergonomico. Non è questo comunque il solo passaggio all’interno del D.Lgs 626/94 in cui è esplicitamente richiamato il rispetto dei principi ergonomici: questo riferimento è infatti presente in quasi tutti gli altri titoli ed in particolare nel III (attrezzature di lavoro), IV (dispositivi di protezione individuale), V (movimentazione manuale dei carichi) e VI (videoterminali). Diventa quindi essenziale, al fine del concreto rispetto degli obblighi previsti in materia di ergonomia, il riferimento a standard nazionali ed internazionali capaci di fungere da un lato da guida applicativa per il datore di lavoro, e dall’altro da criterio di riferimento univoco e non soggettivo per le valutazioni degli organi di vigilanza.

Ai fini di queste linee guida “ergonomia” viene intesa come “l’applicazione delle

informazioni scientifiche che riguardano l’essere umano al disegno di oggetti, sistemi

ed ambienti destinati all’uso da parte di persone” (PHEASANT, Ergonomics, Work

and Health, Aspen Publishers, Gaithersburg, 1991).

1. CONTENUTO DELLA NORMA

L’articolo citato del D.Lgs 626/94 richiama come misura generale di tutela, che il datore di lavoro è tenuto all’obbligo del “rispetto dei principi ergonomici... anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo.” E’ quindi evidente il richiamo della legge ad un duplice scopo: da un lato assicurare che il rispetto dei principi ergonomici conduca alla prevenzione dei disturbi fisici collegati ad un cattivo disegno del sistema organizzato del lavoro, dall’altro che vengano messe in opera specifiche misure collegate alla “attenuazione” dei compiti contraddistinti da maggiore monotonia e ripetitività. Da cosa nasce il nuovo obbligo di organizzare il lavoro secondo principi ergonomici? Essenzialmente dalla constatazione che in tutto il mondo industrializzato sono in declino le malattie da lavoro un tempo più frequenti (silicosi, intossicazioni), mentre sono in costante aumento (fino a rappresentare oltre il 50% del totale) le

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malattie occupazionali che colpiscono il sistema neuro-muscolare e scheletrico (sindrome del tunnel carpale, tendiniti, cervico-brachialgie, mal di schiena) e che sono legate, in modo generale, alla presenza di fattori di rischio specifici (sovraccarico muscolare statico o dinamico, posizioni anatomiche sfavorevoli, compressioni localizzate) che sono annidati nelle modalità stesse di progettazione e realizzazione del ciclo lavorativo, e che potrebbero essere ridotti con l’applicazione di principi ergonomici. Orientamenti teorici ed operativi utili per la valutazione di queste problematiche e per la prevenzione sono proposti nella monografia di "La Medicina del lavoro" di Novembre - Dicembre 1996 "Le affezioni muscolo-scheletriche occupazionali da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori: metodi di analisi, studi ed esperienze, orientamenti di prevenzione.

Simile discorso può essere fatto per quanto riguarda il lavoro “monotono e quello ripetitivo” che possono contribuire a determinare sull’individuo un sovraccarico di stress che può risultare nocivo. In concreto, quindi, la norma richiama il rispetto generale dei principi ergonomici e ne definisce specificamente i campi di applicazione a:

concezione (progettazione) dei posti di lavoro scelta delle attrezzature definizione dei metodi di lavoro e produzione.

Va notato che nel D.Lgs 626/94 non sono collegate specifiche sanzioni all’inosservanza (da parte del datore di lavoro) del comma 1 dell’articolo 4, che prescrive il rispetto, da parte dello stesso, delle misure generali di tutela (articolo 3).

Se non fosse stato così si sarebbe di fatto introdotto per il datore di lavoro l’obbligo di mettere in atto tutte (e contemporaneamente) le misure previste dall’articolo 3; nella situazione attuale invece, il datore di lavoro ha la possibilità di scegliere, tra le misure generali di tutela, quelle che più gli sembrano indicate a ridurre i rischi da lavoro, senza temere di essere sanzionato per il solo fatto di non aver adottato una specifica misura.

Quindi, dato l’esplicito richiamo della legge al rispetto dei principi ergonomici negli ambienti di lavoro, nell’attività di vigilanza i Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro valuteranno specificamente il rispetto da parte del datore di lavoro di questi principi, impartendo, nei casi necessari, specifiche disposizioni quando si evidenzi che il mancato rispetto degli stessi principi è collegato ad una situazione di rischio.Si rammentano inoltre i precisi obblighi previsti al riguardo e per i diversi soggetti coinvolti dal recipimento delle "Direttive macchine": D.P.R: 24 Luglio 1996 n: 459 pubblicato sulla gazzetta Ufficiale del 6 Settembre 1996: In particolare, l'acquirente od utilizzatore di una macchina, oltre a verificare l'osservanza formale dei requisiti di legge e l'eventuale presenza di palesi carenze, deve installare ed utilizzare la macchina secondo le istruzioni del costruttore e valutare i rischi della stessa macchina inserita nel

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contesto lavorativo specifico. Delucidazioni ulteriori ed orientamenti operativi sono riportati nelle "Linee guida e modalità operative per l'applicazione del D.Lgs. 626/94 in relazione alla emanazione del D.P.R. 459/96 (Regolamento di attuazione della direttiva "macchine"), documento approvato in data 09/10/1997 dai Presidenti delle Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano. Si ricorda che l'art. 2, comma 1, del D.P.R. 459/96 rinvia all'allegato 1 per i requisiti essenziali di sicurezza e di salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine e dei componenti di sicurezza, e che nello stesso Allegato i principi di ergonomia sono specificatamente richiamati in diversi punti: - in generale riferimento alle macchine (1.1.1.2. d.): "Nelle condizioni d'uso previste devono essere ridotti al minimo possibile il disagio, la fatica e le tensioni psichiche (stress) dell'operatore, tenuto conto dei principi dell'ergonomia"; inoltre, il punto 1.7.0. riporta: "Le informazioni necessarie alla guida di una macchina debbono essere chiare e facilmente comprensibili. Non devono essere in quantità tale da accavallarsi nella mente dell'operatore"; - in riferimento alla progettazione e costruzione di sistemi di comando (1.2), in modo che non si producano situazioni pericolose in caso di errori di logica nelle manovre; indicazioni nello stesso senso sono riportate in altre parti dell'allegato, come la seguente sui dispositivi di comando (1.2.1.) e quella concernente i dispositivi di segnalazione (1.7.0) o di allarme (1.7.1) - in richiamo alla progettazione di software "di facile impiego" per il dialogo tra operatore e sistema di comando o di controllo di una macchina (1.2.8.); - in relazione alle macchine mobili, con particolare riferimento a posto di guida (3.2.1. e 3.3.1.) e sedili (3.2.2.)

2. PROBLEMI APPLICATIVI

La legge identifica con precisione nei tre punti prima citati i campi cui va applicato in modo specifico l’obbligo del rispetto dei principi ergonomici: il primo ed il terzo punto, tuttavia, necessitano di una precisazione in quanto il termine “concezione dei posti di lavoro” e “definizione dei metodi di lavoro e produzione” sono sufficientemente generici da dar luogo a diverse interpretazioni. E’ quindi necessario delimitare i significati di questi termini, prima di esaminare le regole da applicare: per entrambi questi fini è utile fare riferimento allo standard internazionale più accreditato in questo campo, la norma ISO 6385 del 1981, ovvero UNI ENV 26385 del 1991 “Principi ergonomici nella progettazione dei sistemi di lavoro”. A questo fine riportiamo la definizione che lo standard ISO dà di alcuni termini rilevanti per l’applicazione di questa parte del D.Lgs 626/94.

Sistema di lavoro: il sistema di lavoro si compone della combinazione di persone e attrezzature di lavoro, che agiscono insieme nel processo di lavoro, per eseguire il compito lavorativo, nello spazio di lavoro all’interno dell’ambiente di lavoro, sotto le condizioni imposte dal compito lavorativo.

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Compito lavorativo: il prodotto del sistema di lavoro. Attrezzature di lavoro: attrezzi, macchine, veicoli, dispositivi, arredi, installazioni ed altri componenti usati nel sistema di lavoro. Processo di lavoro: la sequenza spaziale e temporale dell’interazione di persone, attrezzature lavoro, materiali, energia e informazioni all’interno di un sistema di lavoro.Spazio di lavoro: un volume allocato a una o più persone nel sistema di lavoro per l’esecuzione del compito lavorativo. Ambiente di lavoro: fattori fisici, chimici, biologici, sociali e culturali che circondano una persona nel suo spazio di lavoro (i fattori sociali e culturali non sono considerati dalla norma UNI ENV 26385).

3. LINEE GUIDA APPLICATIVE

I principi guida della norma UNI ENV 26385 si applicano al progetto di condizioni di lavoro ottimali in relazione al benessere, alla sicurezza e alla salute delle persone tenendo in considerazione l’efficienza tecnologica ed economica. I principi guida generali della norma UNI ENV 26385 si applicano specificamente al progetto di:

spazio e attrezzature di lavoro ambiente di lavoro processo di lavoro.

Il progetto di spazi ed attrezzature dovrà essere opportunamente adattato alle dimensioni corporee dell’operatore sia per quanto riguarda lo spazio destinato ai movimenti che al disegno dei dispositivi da manovrare. Quanto alle caratteristiche ergonomiche dei macchinari si rinvia alla nutrita serie di norme europee già approvate o in corso di definizione (innanzitutto prEN 614-1: Sicurezza delle macchine - Principi di disegno ergonomico - Parte 1: Terminologia e principi generali; conseguentemente tutte le norme (o progetti di norma) da questa citate). Per le relazioni geometriche tra persona e spazio di lavoro si veda in particolare la Norma UNI 10120 (Definizione e metodologia di rilevazione delle variabili antropometriche essenziali per la progettazione ergonomica) che definisce come rilevare una serie di misure del corpo umano: per l’applicazione concreta delle stesse al progetto di macchine sono in via di definizione appropriate Norme Europee (prEN 547-1, 547-2, 547-3). Per quanto riguarda il disegno dell’ambiente di lavoro lo standard ISO 6385 richiede l’esame delle dimensioni dei locali di lavoro, del ricambio d’aria, delle condizioni termiche, dell’illuminazione dell’uso dei colori, dell’ambiente acustico, delle vibrazioni, dell’esposizione a materiali pericolosi o a radiazioni, della protezione dagli agenti climatici esterni.

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Per ciascuno di questi elementi, come per le macchine prima citate, esistono standard UNI (italiani), EN (europei) o ISO (internazionali) a cui fare riferimento per ulteriori specifiche indicazioni. Si noti che tutti gli standard UNI, EN o ISO sono approvati da organismi

essenzialmente tecnici, che ovviamente utilizzano come criterio fondamentale quello

della “fattibilità tecnologica” e che a tutti gli effetti le norme citate vanno considerate

come norme di “buona tecnica”; quindi la dimostrata conformità a questi standard

può essere fatta valere come assicurazione del rispetto dei principi ergonomici

richiesta dal Decreto Legislativo 626/94.

Riportiamo di seguito un estratto aggiornato al 1994 delle norme UNI e ISO che fanno parte dell’area “Ergonomia”.

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NORME UNI

Norma Data di emissione

Oggetto

UNI 7367 02.87 Mobili per ufficio. Posti di lavoro: scrivania e sedia, tavolo per video terminale e sedia. Generalità.

UNI 7368 04.87 Mobili per ufficio. Scrivanie e tavoli di uso generale e per dattilografia. Dimensioni.

UNI 7498 04.87 Mobili per ufficio. Sedie e appoggiapiedi. Dimensioni e caratteristiche costruttive.

UNI 8459 01.83 Ergonomia dei sistemi di lavoro. Terminologia di base e principi generali.[ ISO 6385-81]

UNI 9095 04.87 Mobili per ufficio. Tavole per video terminali. Dimensioni

UNI 9716 04.90 Mobili per ufficio. Posto di lavoro scrivania-sedia. Criteri ergonomici per l’archiviazione di documenti formato A4 in cartelle sospese.

UNI 10120 07.92 Definizione e metodologia di rilevazione delle variabili antropometriche essenziali per la progettazione ergonomica.

UNI ISO 3958

02.83 Veicoli stradali. Autovetture. Raggiungibilità dei comandi manuali da parte del conducente.

UNI EN 294 07.93 Sicurezza del macchinario. Distanze di sicurezza per impedire il raggiungimento di zone pericolose con gli arti superiori.

UNI EN 23411

07.89 Macchine movimento terra. Misure fisiche degli operatori e spazio minimo di ingombro dell’operatore. [= ISO 3411]

UNI EN 25353

04.90 Macchine movimento terra, trattrici, macchine agricole e forestali. Punto di riferimento del sedile. [= ISO 5353]

UNI ENV 26385

05.91 Principi ergonomici nella progettazione dei sistemi di lavoro. [= ISO 6385]

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Vi sono poi una serie di norme europee ed italiane che si riferiscono in particolare all’ergonomia applicata alle macchine:

Norma Oggetto

EN 457 Sicurezza di un macchinario: segnali auditivi di pericolo (UNI EN 457).

EN 614-1 Principi di progettazione ergonomica

EN 1005 1/2/3 Prestazioni fisiche umane.

ENV 26385 Principi ergonomici di progettazione dei sistemi di lavoro (UNI ENV 26385).

EN 2927/2 Specifiche e principi tecnici: Parte II, punto 3.7 "riduzione del rischio tramite progettazione dei sistemi di comando.

EN 60204-1 punti 10.2.2, 10.3, 10.4, 18.3;

EN 61310 Parte I^ Principi di indicazione: segnali visivi, uditivi e tattili.

Ulteriori informazioni riguardo a norme di buona tecnica emanate o in progetto di emanazione potranno essere ottenute consultando il sito internet WWW.UNICEI.IT.

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NORME ISO

Norma Oggetto

ISO 2631 2631-1 Esposizione dell’intero corpo a vibrazioni - limiti 2631-2 Esposizione dell’intero corpo a vibrazioni - edifici

ISO 5970 Sedie e tavoli per scuole

ISO 6385 Principi ergonomici

ISO 7250 Lista di base delle misure antropometriche

ISO 7730 Comfort termico

ISO 8995 Illuminazione interna

ISO 9241 -1, -2, -3, -4, -5, -8, -10, -14 Videoterminali

ISO 9355 Segnali

ISO 10075 Carico di lavoro mentale (estensione 6385)

ISO/DIS 10075-2 Disegno dei carichi di lavoro mentale

ISO/CD 11226 Ergonomia - Valutazione delle posture di lavoro

ISO/CD 11228 Ergonomia - Movimentazione manuale dei carichi - Sollevamento e trasporto

ISO 11399 Applicazione degli standard internazionali sul comfort termico

ISO 11690-1 e -2 Disegno di ambienti a bassa rumorosità

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RIFERIMENTI AD ALTRE MONOGRAFIE

L'argomento oggetto della presente monografia è ripreso anche in altre, dove ne sono sviluppati aspetti particolari, e precisamente:

• a parte il generico collegamento con il documenti n. 1 sulla valutazione dei rischi, nonché con i documenti n. 2 e n. 3, alcuni riferimenti possono essere rinvenuti nei documenti n. 11 e n. 12, che afferiscono in qualche misura al rispetto ai principi ergonomici; • i principali collegamenti sono però con i due documenti che in modo più specifico attengono a problematiche squisitamente ergonomiche, e cioé con il documento n. 13 e con il n. 14.

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AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO

Decreto Legislativo n° 626/94

D O C U M E N T O N°8 LINEE GUIDA SU TITOLO I

SERVIZIO DIPREVENZIONE E PROTEZIONE

Versione definitiva approvata il 16/07/1996 dalle Regioni e Province autonome

di Trento e Bolzano e dagli Istituti centrali. Aggiornata al 15 Aprile 1998

___________________________________________Regione referente: Emilia-Romagna

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1. CAMPO DI APPLICAZIONE

Il D.Lgs 626/94 prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutte le aziende, indipendentemente dal settore di attività, siano esse pubbliche o private (art. 1 comma 1). Dalla definizione di lavoratore "persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro ... con rapporto di lavoro subordinato anche speciale" (art. 2 comma 1 lett. a), si evince che le aziende individuali non hanno l'obbligo di applicare tali misure precauzionali e pertanto non hanno l'obbligo di istituire il Servizio di prevenzione e protezione (SPP), mentre invece tale obbligo sussiste per le aziende familiari. Il Servizio di prevenzione e protezione deve, obbligatoriamente, essere organizzato all'interno dell'azienda nei casi previsti dall'art. 8 comma 51:

aziende industriali soggette al DPR 175/88 (rischio di incidente rilevante) centrali termoelettriche impianti e laboratori nucleari aziende per la fabbricazione di esplosivi aziende industriali con oltre 200 dipendentiaziende estrattive con oltre 50 dipendenti strutture di ricovero e cura sia pubbliche che private2.

Si intende per:

Azienda industriale: un'impresa che svolge la propria attività economica in una o più unità produttive, finalizzata alla produzione e/o trasformazione di materie prime, semilavorati, prodotti finiti, con l'ausilio di macchine e/o impianti, destinati alla commercializzazione.

Del resto, la circolare n. 89 del 27/6/96 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ribadisce lo stesso concetto, ribadendo come, per individuare quali tipi di aziende vadano ricondotte all'interno di tale categoria, si debba fare riferimento alla natura produttiva, piuttosto che a indici o classificazioni formali in cui l'azienda sia eventualmente inserita a fini statistici, assicurativi, previdenziali, ecc. Sono quindi escluse le aziende agricole, ma vanno considerate come "industriali" tutte le aziende

1 In base al decreto del Ministero di Grazia e Giustizia del 27/8/97 n. 338, art.6, anche le strutture penitenziarie devono istituire all'interno il proprio servizio di Prevenzione e Protezione, con proprio personale dipendente.

2 Le case di riposo per anziani, nell'ipotesi in cui prevedano il ricovero solo di anziani autosufficienti - anche se hanno in loco un servizio sanitario diretto a prestazioni di emergenza e di carattere previdenziale - non sono ricomprese tra le strutture di ricovero e cura, e non sono quindi tenute ad istituire il servizio di prevenzione e protezione interno (Circolare n. 172 del 20/12/96 del Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale). E' quindi chiaro che se, al contrario, tali case di riposo prevedono il ricovero di anziani non autosufficienti e sono quindi dotate di un servizio sanitario diretto a prestazioni terapeutiche costanti, rientrano tra le strutture di ricovero e cura e devono avere il servizio di prevenzione e protezione interni.

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che svolgono attività diretta alla produzione di beni materiali. Sono parimenti escluse le aziende produttrici di servizi.

Unità produttiva: stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico-funzionale”(punto i, comma 1, art. 2).

Per le aziende industriali con più "unità produttive" territorialmente distribuite, è naturalmente ammissibile un Servizio di prevenzione e protezione unico, anche se le unità produttive hanno più di 200 dipendenti. L'azienda può comunque optare per la soluzione con più SPP, uno per unità produttiva. Il nome ed il curriculum del responsabile del SPP unico, andranno comunicati alla Usl e all'Ispettorato del Lavoro competenti sul territorio dell'unità produttiva per ciascuna di queste (in questo caso può essere opportuno allegare anche un organigramma dell'assetto organizzativo del SPP). Tale segnalazione va fatta anche nel caso di SPP esterno all'azienda. Per ragioni organizzative interne alla singola unità produttiva è opportuno comunque in essa individuare una figura di riferimento il cui nominativo non va necessariamente segnalato agli organi di vigilanza locali. Escludendo le aziende in cui il datore di lavoro decide di svolgere direttamente i compiti propri del Servizio di prevenzione e protezione (per ora nei soli casi indicati nell'Allegato I del D.Lgs 626/94) ed in quelle in cui, obbligatoriamente, il Servizio di prevenzione e protezione deve essere interno alla azienda (casi indicati nell'art. 8 c. 5 del D.Lgs 626/94), in tutti gli altri casi il datore di lavoro può rivolgersi a strutture e consulenti esterni a cui affidare la responsabilità del SPP. In tal caso appare comunque opportuno designare un collaboratore, preferibilmente prossimo al datore di lavoro nella scala gerarchica, tenuto conto delle implicazioni penali che comunque rimangono in capo al datore di lavoro, a cui affidare la responsabilità del Servizio o, nel caso che la responsabilità sia affidata all'esterno, cui affidare l'organizzazione dei rapporti col SPP esterno e le ricadute interne dell'attività dello stesso, a meno che il datore di lavoro non si faccia carico direttamente di tali oneri. La scelta di istituire un SPP interno o di assumere in proprio le funzioni del SPP da parte del datore di lavoro, non esclude ovviamente la possibilità di avvalersi di consulenze esterne per particolari problemi.

2. SCOPI ED OBIETTIVI DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Il Servizio di prevenzione e protezione rappresenta un'assoluta novità in quanto istituito per la prima volta con il D.Lgs 626/94 che, all'art. 2 lettera c), definisce tale struttura come "l'insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all'azienda finalizzati all'attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell'azienda, ovvero unità produttiva". Se il Servizio di prevenzione e protezione dei rischi è interno all'azienda, esso costituisce uno strumento a disposizione dell'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.

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Se invece è esterno all'azienda costituisce propriamente una collaborazione convenzionata di professionisti esperti di sicurezza, che usano proprie strutture. Lo scopo primario comunque di tale struttura è quello di promuovere, nel posto di lavoro, condizioni che garantiscano il più alto grado di qualità nella vita lavorativa, proteggendo la salute dei lavoratori, migliorando il loro benessere fisico, psichico, sociale e prevenendo malattie ed infortuni, fungendo da consulente specializzato del datore di lavoro su ciò che attiene a tutte le incombenze (valutazione dei rischi, individuazione delle misure preventive, definizione delle procedure, informazione) relative alla promozione e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Per raggiungere questo scopo sono richieste competenze multidisciplinari integrate in un'apposita organizzazione ed afferenti sostanzialmente a due tipologie di professionalità: di igiene industriale e di sicurezza con competenze anche in campo di tecniche di comunicazione e di organizzazione del lavoro. L'ultima competenza necessaria per la più ampia attuazione delle attività di prevenzione, quella medico sanitaria, è situata nella figura del medico competente, che il D.Lgs prevede concettualmente al di fuori del SPP, anche se dovrà, per molte funzioni, cooperare strettamente con lo stesso, come del resto è previsto in diversi passaggi della legge stessa. La competenza in campo ergonomico, si colloca in un area di "border-line" tra la competenza di organizzazione del lavoro e quella medico sanitaria. Il Servizio di prevenzione e protezione per realizzare tali finalità deve porsi alcuni obiettivi fondamentali che sono:

individuazione e caratterizzazione delle fonti potenziali di pericolo, delle situazioni pericolose e dei rischi individuazione e caratterizzazione dei soggetti esposti elaborazione della valutazione dei rischi individuazione ed attuazione (secondo un programma con ben identificate priorità) di misure di prevenzione e protezione, che comprendono misure tecniche, impiantistiche, comportamentali, organizzative, informative e formative.

Quanto sopra può essere riproposto in un modello semplificato distinguendo obiettivi funzionali e di esito (Figura 1).

Servizio di Prevenzione e Protezione

Obiettivo

del

programma

Obiettivo

finale

Obiettivo

funzionale

1

Obiettivo

funzionale

2

Modificazionidelle

condizioni di

lavoro, deimetodi e dei

comportamenti

Valutazionedei rischi.

Identificazionedei pericoli per

la salute e la

sicurezza dei

lavor atori e

degli esposti

delle situazioni

pericolose, dei

r ischi.

Eliminazione e/oriduzione dei

rischi eprevenzione dellapatologia correlata

col lavoro epromozione dell a

salute deilavor atori

Obiettivo

funzionale

3

Informazione eformazione sui

rischi e

indicazioni dimisure

preventive nelle

loro varie

articolazioni

Figura 1 - Obiettivi del Servizio prevenzione e protezione

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5

Il D.Lgs 626/94 peraltro, individua all'art. 9 i compiti del servizio in questione che coincidono con gli obiettivi funzionali e di esito riportati nella Figura 2.

- IN D IVID U A E VA L U TA I RI SC H I

- E L A B O R A M ISU R E P RO TE TTI VE E PR E VE N TI VE

- I ND IV ID U A AT TR E ZZ AT UR E D I P R O TE ZIO NE

- EL A B O R A PR O C E DU R E D I S IC U RE ZZ A

- PR O P O N E PR O G R A M M I D I IN FO RM AZ IO N E E F O R M A ZIO N E

- PA R TE C IPA A L L A R IU N IO N E PE R IO D IC A

- FO R N IS C E A I L A V O R AT O R I IN F O R M AZ IO N I D I C U I A L L ' A R T. 2 1

S E R V IZ IO D I P R E V E N ZI O N E E P R O T E Z IO N E

O B I E TT IV I / C O M P IT I

Figura 2 - Compiti del Servizio prevenzione e protezione

Vanno sottolineati a questo punto due ulteriori aspetti di fondamentale importanza:

il Servizio di prevenzione e protezione è una struttura che il datore di lavoro utilizza per il raggiungimento degli obiettivi indicati; i componenti del Servizio sono tenuti al segreto professionale relativamente al processo produttivo, fatte salve naturalmente le informazioni che devono essere socializzate per conseguire gli obiettivi di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Per mettere il SPP in grado di disporre correttamente ed efficacemente delle necessarie conoscenze, il datore di lavoro deve fornire allo stesso tutte le informazioni necessarie al raggiungimento ed al mantenimento degli obiettivi, ed in tal senso egli crea un flusso permanente di informazioni verso tale struttura che contenga quanto indicato dal comma 2 dell'art. 9 (Figura 3).

sulla natur a dei r ischi

sull'organizzazione del lavoro,programmazione e attuazione

delle misure di sicurezza

sulla descrizione degli

impianti e processi produttivi

sui dati del registro

infortuni e malattie professionali

sulle pr escrizioni degli

organi di vigilanza

I l datore di lavoro forn isce al SPP

INFORMAZIONI

Figura 3 - Informazioni necessarie al Servizio prevenzione e protezione

Tutte le informazioni devono essere documentate affinché il Servizio di prevenzione e protezione sia veramente messo in grado di operare. Appare però evidente la necessità che tale attività documentale non si traduca in un danno per il datore di lavoro che potrebbe vedere svelati segreti e conoscenze sui processi lavorativi. In tal senso la documentazione potrà essere opportunamente classificata con procedure che consentono al datore di lavoro la massima garanzia e tutela della riservatezza.

3. FUNZIONI ED ATTIVITA’

Per realizzare lo scopo e gli obiettivi prima definiti, devono essere precisate, in modo operativo, le funzioni e le attività del Servizio di prevenzione e protezione. Le funzioni, dal punto di vista operativo, sono:

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1. analisi della situazione e definizione dei problemi

2. progettazione degli interventi e contestuale formulazione al datore di lavoro delle esigenze di intervento preventivo in tutte le sue articolazioni

3. controllo nella realizzazione degli interventi programmati

4. attività di informazione nei confronti dei lavoratori

5. valutazione di efficacia e di efficienza

1. L'analisi della situazione e la definizione dei problemi comprende l'identificazione e la valutazione dei bisogni dell'azienda/unità produttiva dal punto di vista della sicurezza e della salute dei lavoratori, nonché dell'ambiente, il riconoscimento e la classificazione dei problemi secondo un ordine di priorità, l'analisi delle loro conseguenze sulla sicurezza e la salute e sull'azienda in generale; tale analisi va condotta in modo partecipato, non solo garantendo il ruolo del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e la partecipazione del medico competente, ove presente, ma anche la partecipazione col più ampio coinvolgimento di tutti i lavoratori, in quanto portatori di esperienze e conoscenze di insostituibile importanza.

2. La seconda funzione comprende la progettazione di programmi di prevenzione e controllo dei rischi e dei problemi identificati nella fase precedente. Tale funzione si realizza attraverso attività rivolte a diversi obiettivi che sono selezionati a seconda della natura del posto di lavoro. In questo modo potranno essere compresenti, prevalenti o addirittura esclusive attività di sicurezza, di igiene industriale, sanitarie, ergonomiche, psicologiche, organizzative, etc. Questa funzione prevede anche la presentazione al datore di lavoro del programma stesso, comprese indicazioni operative ed opzioni che tengano conto anche del rapporto costi benefici. Spetta poi al datore di lavoro la decisione di mettere in atto quanto sopra, in modo integrale o parzialmente, con piena assunzione di ogni responsabilità nel merito.

3. La terza funzione è il momento effettivamente operativo in cui il Servizio di prevenzione e protezione controlla la realizzazione di tutto quanto è stato definito in precedenza, realizzazione che, per altro, come appena detto, non è a suo carico, ma diretta dal datore di lavoro o eventualmente dirigente o preposto. Per supportare tale funzione è fondamentale conoscere ed adottare metodi, strumenti e procedure finalizzati alla sorveglianza degli ambienti di lavoro.

4. La quarta funzione consiste nell'attuazione e gestione dei necessari flussi informativi verso i lavoratori anzitutto, ma anche verso dirigenti, quadri intermedi etc. per la miglior gestione dei processi preventivi.

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5. La quinta funzione viene realizzata per verificare se le azioni adottate a scopo preventivo per il controllo dei rischi e per lo sviluppo delle condizioni di lavoro ottimali dal punto di vista della sicurezza e della salute sono state efficaci e hanno avuto successo. A questo scopo occorre adottare nell'ambito di una strategia di valutazione metodi ed indicatori concretamente applicabili.

Le attività individuabili nell'ambito delle cinque funzioni sopra indicate possono essere sintetizzate come di seguito: 1. esame della documentazione e fonti informative preliminari 2. sopralluogo e orientamento preliminare all'interno dell'azienda 3. sopralluoghi ulteriori approfonditi in merito a problemi emersi nella fase 2 4. stima dei problemi di salute e sicurezza e dei rischi 5. recupero delle esperienze e considerazioni dei lavoratori interessati 6. eventuale esecuzione di rilievi e campionamenti ambientali 7. individuazione delle misure preventive (in tutti i sensi) da attuare 8. definizione delle procedure di sicurezza 9. stesura del programma attuativo con indicazione delle opzioni tecniche e del

rapporto costi benefici e sua presentazione al datore di lavoro 10. progettazione delle attività di tipo informativo, calibrate per i diversi

interlocutori e destinatari 11. effettuazione delle attività di tipo informativo 12. collaborazione alla progettazione delle attività di tipo formativo 13. sorveglianza e controllo della sistematica applicazione di quanto indicato ai

punti precedenti

Queste attività sono di fatto quelle che il SPP dovrà gestire sistematicamente, anche se sono di particolare rilevanza in sede di prima applicazione del processo di valutazione dei rischi. Poi le stesse attività continueranno se pure con intensità e frequenza diversa da quella iniziale. Nel prosieguo dell'attività del SPP, diventerà particolarmente strategica anche l'attività di consulenza nella pianificazione e progettazione dei luoghi di lavoro, nell'acquisto e gestione delle attrezzature, dei dispositivi di protezione individuale, nonché l'attività di supporto nella gestione dei rapporti, a livello tecnico, con gli organi preposti alla vigilanza e controllo.

Esiste infine un ultimo insieme di attività strettamente legate al sistema informativo, e alla ricerca ed informazione. Si tratta di:

raccolta e registrazione di dati sulla situazione di salute generale, sulle patologie professionali e sugli infortuni nella azienda; ricerca su problemi di salute e sicurezza del lavoro dell’azienda; valutazione a lunga scadenza delle attività del Servizio di prevenzione e protezione dell’azienda e della loro efficacia

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Tutte le attività di pertinenza del SPP vanno gestite in stretta collaborazione con altri partner interni o esterni all'azienda, infatti, la grande varietà di metodologie impiegate richiede implicitamente una collaborazione multidisciplinare di esperti con competenze diverse, quali medici del lavoro, igienisti del lavoro, psicologi, ergonomi, tecnici della sicurezza, etc. E' inoltre importante sottolineare la necessità di verificare sistematicamente la qualità e di standardizzare i metodi usati nella realizzazione di ognuna delle attività del Servizio di prevenzione e protezione.

4. RISORSE UMANE: COMPETENZE E CAPACITÀ NECESSARIE

Le funzioni, le attività ed i compiti del Servizio di prevenzione e protezione definite dal D.Lgs 626/94 richiedono l'individuazione di un metodo generale per l'attuazione di quanto previsto dal legislatore. Il prerequisito per attuare quanto sopra è quello di disporre di adeguate risorse e competenze che però devono essere integrate da un forte approccio metodologico. Tale metodologia è estremamente importante poiché il Servizio di prevenzione e protezione influisce sui pericoli attraverso gli esiti delle proprie attività. Le competenze e le capacità di cui verranno tracciati sommari profili sono ovviamente reperibili, a seconda delle disponibilità ed opportunità, all'interno dell’organizzazione aziendale ovvero all'esterno a seconda delle valutazioni del datore di lavoro.

A. Il Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione è caratterizzato da due aree di competenza: una gestionale ed una tecnico-specifica, fra loro integrate. La prima area attiene a capacità organizzative, relazionali ed amministrative cioè alla capacità di programmare, pianificare, comunicare (con vari soggetti) gli obiettivi, di reperire, sviluppare, gestire e motivare le risorse umane. Nell'area tecnico-specifica invece possono essere rappresentate varie competenze culturali che concorrono a definire più in generale la prevenzione.In particolare si può trattare di conoscenze ricavate dall'igiene industriale o dalla sicurezza sul lavoro, dall'ergonomia e dalle tecniche di analisi dell'organizzazione del lavoro nonché da altre discipline correlate per aziende e/o unità produttive che si caratterizzano per particolari pericoli e/o rischi e naturalmente dalla profonda conoscenza delle norme di legge e delle norme di buona tecnica. Va ricordato che, il Responsabile del SPP non è definito nel D.Lgs 626/94 né

dirigente nè preposto3, nè tantomeno assoggettato a responsabilità penale in

quanto non menzionato nel titolo IX del D.Lgs, relativo alle sanzioni conseguenti alle violazioni delle norme.

3 Naturalmente non esiste nessuna formale incompatibilità tra l’essere dirigente o preposto ad una specifica

funzione “x” e l’assumere anche la funzione di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione. In questocaso, la persona mantiene ovviamente lo status (e le responsabilità) di dirigente o preposto per la specifica funzione “x”, ma non viene a configurarsi tale status (e responsabilità) per la funzione di “responsabile del servizio di prevenzione e protezione”.

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Il problema della sua eventuale responsabilità in caso di infortunio sul lavoro, sarà valutato dalla magistratura sulla base della sua collocazione interna o esterna all'azienda e di un'attenta analisi del processo che ha portato al verificarsi dell'infortunio. Se il Responsabile aveva mancato di individuare un pericolo, e di conseguenza individuare le necessarie misure preventive, non fornendo al datore di lavoro l'informazione necessaria per attuare le stesse, potrebbe essere chiamato a rispondere, ovviamente in concorso con il datore di lavoro, dell'evento; ove invece il Responsabile aveva correttamente individuato il problema e indicate le soluzioni, ma il datore di lavoro o il dirigente o il preposto non ha dato seguito alle sue indicazioni, egli dovrebbe essere sollevato da qualsiasi responsabilità nel merito dell'evento. Sarà naturalmente l’autorità giudiziaria a pronunciarsi su questioni di questo tipo.

B. Gli altri componenti del SPP saranno caratterizzati in base alle loro competenze tecniche specifiche, che possono essere tra loro differenti (igienista industriale, tecnico della sicurezza, etc.); sicuramente terreni di conoscenza/competenza comuni a tutte le figure sono quelli della legislazione, delle norme di buona tecnica e delle tecniche di comunicazione.

C. Altre figure di supporto possono essere di volta in volta individuate a seconda della complessità e specificità dei problemi di prevenzione emersi dalla valutazione del rischio e dal programma di prevenzione e protezione scaturito da questo nonché dal piano di informazione e formazione necessario per sostenerlo. Tali figure possono naturalmente (ed in genere lo saranno) essere anche esterne al SPP o addirittura all'azienda stessa (anche nel caso di un SPP aziendale).

5. STRUTTURA E DIMENSIONE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Appare molto difficile fornire indicazioni univoche e ben motivate per la struttura e dimensione dei SPP, in quanto troppe sono le variabili che influenzano questi due parametri. Infatti come è difficile, per non dire impossibile, suggerire in linea generale una dimensione quantitativa, che potrebbe essere puntualmente però motivata almeno in riferimento alla tipologia produttiva (settori o comparti) e alle dimensioni aziendali, ugualmente è quanto mai difficile fornire indicazioni "strutturali" sul SPP valide in via generale, scollegate dalla scelta del contesto organizzativo della/e azienda/e da dover servire, senza una scelta a monte relativa alla "filosofia" che lega l'iniziativa di prevenzione alla promozione della qualità del processo produttivo (di beni e servizi). Se le competenze e le capacità necessarie sono tuttavia quelle indicate al punto 4) la definizione caso per caso (cioè azienda per azienda) del numero di persone e del modo di organizzarle, dipende da molti fattori quali:

1. il comparto/settore produttivo, quale generico indicatore delle numerosità e complessità dei problemi da affrontare;

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2. il numero di lavoratori addetti, le dimensioni aziendali, l’eventuale articolazione su più sedi distinte, quali valori quantitativi su cui plasmare il SPP;

3. il divario da colmare tra ciò che è già stato fatto (strutture, cultura, organizzazione) per la prevenzione e ciò che è previsto dalla complessiva normativa vigente; un grande divario comporta la necessità di consistenti investimenti e tra questi anche in personale tecnico specializzato per finalità di prevenzione;

4. le caratteristiche di gravità ed estensione del profilo di rischio dell'azienda che supera la generica attribuzione dei rischi per comparto, per entrare invece nella dimensione dei problemi individuali di quella impresa;

5. l’esistenza e consistenza di esperti interni monotematici qualificati che caratterizza l'organico produttivo; questi specialisti possono infatti integrare conoscenze e competenze su singoli fattori di rischio (esempio peculiare è il settore di fisica sanitaria in un'azienda ospedaliera) da essere di fatto, anche se part-time, potenziali costituenti del Servizio di prevenzione e protezione, la cui opera di coordinamento può sostituire competenze interne e a tempo pieno del SPP;

6. Lo stato di avanzamento applicativo del modello di "Qualità Totale"; la dimensione di dotazione organica e di competenze professionali da prevedere nel SPP non può infatti essere considerata in modo neutrale rispetto alla "concezione" strategica d'impresa esistente (o che si intende promuovere) nel rapporto tra produzione e prevenzione; è infatti noto come approcci di "qualità totale" integrano nella promozione della qualità del processo produttivo sia la prevenzione che le esigenze di qualità del prodotto.

Omogeneamente caratterizzata da tale "filosofia", la dotazione organica del SPP potrebbe essere un po' più limitata, caratterizzata soprattutto da personale laureato, potendo contare su una rete diffusa ed integrata di "esperti" caratterizzati da una qualità di "mestiere" spendibile sia nel miglioramento della produzione, sia nel miglioramento della qualità del lavoro e della qualità dei comportamenti e del saper fare con finalità di prevenzione; ciò presuppone ovviamente una parziale riconversione-completamento professionale che non può che derivare da chiare ed inequivocabili scelte strategiche aziendali.

Come emerge in particolare da quest'ultimo punto il problema non è solo di dimensione quantitativa del SPP ma anche di dimensione qualitativa (quali figure professionali?).

Un'ultima considerazione riguarda la collocazione del SPP nell'architettura dell'organigramma e funzionigramma aziendale: date le sue funzioni e caratteristiche, la collocazione che appare più opportuna è in posizione di staff rispetto al datore di

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lavoro o comunque alle più alte gerarchie aziendali, in modo da dare a questa struttura, - che per i suoi compiti essenzialmente "consulenziali", per il suo ruolo di "staff" e non di "line" (quindi di scarso peso gerarchico), per le sue caratteristiche di problematicità (è verosimile che possa entrare in conflitto con le esigenze produttive, e quindi con le figure che tali esigenze presidiano), appare debole in termini di "peso specifico" all'interno dell'azienda, e forte solo dell'autorevolezza tecnico-scientifica del suo responsabile (o dei suoi collaboratori), - una "forza" riflessa che le deriva dall'essere in staff (e quindi in forma di rapporto priviliegiato, almeno in termini di relazioni e comunicazioni) con le più alte gerarchie aziendali. Quindi il SPP dovrebbe contare sulla sua intrinseca autorevolezza e sull'autorità che gli deriva dalla contiguità con gli alti vertici aziendali o con la stessa proprietà. In allegato (All. 2) si riporta un esempio metodologico che può fornire sia i criteri per il dimensionamento di un SPP sia gli indicatori per la valutazione complessiva dello stesso.

6. MODELLI DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Non potendo quindi fornire indicazioni sulla dimensione e la struttura attuabili in linea generale (e ritenendo che nessuno possa proporle, almeno con serietà e rigore), possiamo però, alla luce della nuova normativa, indicare diversi possibili modelli del Servizio di prevenzione e protezione. A tal fine occorre attentamente valutare la loro applicabilità in diverse situazioni e la loro capacità di rispondere alla necessità di fornire il miglior servizio possibile, nel modo più efficace, sia per i lavoratori che per le aziende. I seguenti modelli, la loro realizzabilità, vantaggi e svantaggi sono stati così analizzati:

Servizio "autarchico" di Prevenzione e Protezione interno all'azienda Questo modello che opera dall'interno dell'azienda è soprattutto applicabile nelle

aziende di media e grande dimensione, sicuramente in quelle che impiegano più di 1000 lavoratori nello stesso luogo, ma probabilmente anche in quelle con almeno 500 addetti, e sono in grado di avere una equipe a tempo pieno con una composizione multidisciplinare.

La forza di questo modello di servizio interno consiste, al di là del fatto di poter contare su un'équipe a tempo pieno: negli stretti legami tra il servizio e gli altri settori dell'azienda, come la direzione, le unità produttive, i rappresentanti per la sicurezza eletti dai lavoratori; e nell'accesso all'informazione sull'attività dell'azienda, con i piani per la modifica o per la realizzazione di nuovi posti lavoro, dell'organizzazione del lavoro, dei cicli produttivi e delle attrezzature, etc.

Un limite di questo modello è che esso richiede un alto numero di lavoratori impiegati nella stessa azienda.

Servizio di prevenzione e protezione interno all'azienda con supporti esterni

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Riteniamo questa la soluzione migliore per le aziende industriali con più di 200 addetti (per legge tenute ad avere il SPP interno) ma con meno di 1000 addetti (o 500, vedi punto precedente). In questo caso il SPP non avrà al suo interno tutte le competenze necessarie, ma sarà più snello e agile, e sarà supportato da un'adeguata rete di competenze esterne.

Servizio di prevenzione e protezione per gruppi di aziende Organizzato congiuntamente da diverse aziende di piccola e media dimensione

generalmente localizzate nella stessa area geografica. L'amministrazione ed il finanziamento del servizio può essere garantito

congiuntamente dalle aziende del gruppo interessato. Il vantaggio di questo modello è la vicinanza con il posto di lavoro e la diretta

proprietà da parte delle aziende, che sono i clienti del servizio, e la sua flessibilità nel rispondere ai diversi bisogni delle piccole e medie aziende.

Ammesso che la popolazione di lavoratori di cui occuparsi sia sufficientemente ampia, un'équipe a tempo pieno, ben equipaggiata e multidisciplinare, può essere organizzata in modo assai simile a quella dei servizi delle grandi aziende.

I problemi evidenziati in questo tipo di modello sono invece legati al fatto che: l'attività viene condotta dall'esterno delle aziende, e ciò potrebbe causare problemi particolarmente se le aziende sono disperse in una vasta area geografica; si possono incontrare anche ostacoli nel tentativo di rispondere a bisogni molto diversificati dato il grande numero di clienti.

Servizi di Prevenzione e Protezione orientati per settore (o comparto produttivo) E' questo un modello di servizio specificatamente organizzato per un particolare

settore dell'attività economica, come potrebbe essere quello delle costruzioni, quello alimentare, quello agricolo, etc.

La copertura geografica di tale servizio può variare, a seconda del comparto in questione, da un'area geografica circoscritta, fino ad una dimensione regionale o interregionale.

La forza di questo modello consiste nella possibilità di organizzare servizi grandi, ben equipaggiati e con buon personale, dotati, se necessario, di mezzi mobili, con la possibilità di concentrarsi su specifici problemi del singolo comparto, e con la possibilità di portare avanti programmi di prevenzione o azioni di promozione attraverso l'intero comparto.

I problemi possono derivare dal carattere esterno del servizio e, in alcuni casi, dalla localizzazione remota rispetto all'azienda.

Non vi è tuttavia dubbio sul fatto che in questo modello come nel primo, è fortemente aumentata la possibilità di integrare l'attività di prevenzione con il processo produttivo, seguendo in questa integrazione logiche organizzative di "Total Quality".

Per raggiungere la massima copertura di lavoratori e di aziende da parte del Servizio di prevenzione e protezione, nessuno dei modelli citati precedentemente da

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solo è forse sufficiente, ma può essere necessaria la combinazione di due, o più, differenti opzioni per offrire un servizio completo. La scelta del modello dovrebbe essere basata sulla realistica capacità di dare soddisfazione ai bisogni delle aziende e dei lavoratori in questione e di assicurare la più ampia copertura, senza, tuttavia, compromettere professionalità e qualità.

7. SUPPORTI AL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Oltre alla consulenza tecnico-scientifica i Servizi di prevenzione e protezione dipendono in modo vitale dalla possibilità di accedere ad informazioni tecnico-scientifiche su problemi di prevenzione nei luoghi di lavoro e a dati sulle condizioni di rischio e di salute a livello nazionale e di singole aziende. I sistemi informativi locali, regionali e nazionali dovrebbero fornire informazioni sulla forza lavoro e sui lavoratori occupati, sui pericoli e rischi, anche rilevanti, presenti a livello di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, prodotti e anche nell'ambito di attività individuate per comparto produttivo, sulla situazione attuale e sulle tendenze degli infortuni sul lavoro, sulle patologie professionali e su quelle correlate col lavoro e, dove è possibile, sui dati di monitoraggio ambientale e biologico nonché sulle soluzioni di bonifica sperimentate con efficacia e del loro impatto organizzativo. Questi dati sono importanti come riferimenti per stimare la situazione dei rischi nella azienda in cui il Servizio è interessato. Il Servizio ha bisogno, inoltre, di dati a livello di azienda, sui cicli produttivi, sui piani di ristrutturazione, sulle condizioni di salute dei lavoratori e sui livelli di assenteismo per motivi di salute, sugli infortuni e sulle malattie professionali. L'accesso a tali dati dovrebbe essere organizzato in forma sistematica e su base permanente che assicuri un flusso tempestivo verso il Servizio su tutti gli aspetti più rilevanti per le finalità dallo stesso perseguite. Poiché inoltre, solo i Servizi di prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro più grandi sono autosufficienti per tutti i tipi di attività delineati, la maggior parte di questi, per realizzare propriamente tutti i compiti, hanno bisogno del supporto di esperti esterni. Questi ultimi potrebbero essere utilizzati come supporto di tipo informativo, di ricerca e di formazione ma anche essere integrati per completare l'arco delle competenze del personale del Servizio. Le aree di competenza che più frequentemente sono necessarie sono diverse e ricoprono il campo dell'igiene della tossicologia, dell'analisi di sicurezza, della tecnologia di controllo, dell'ergonomia, etc. Fondamentale quindi è la scelta di tali supporti secondo criteri che certificano l’adeguatezza delle capacità nonché l'efficienza e l'efficacia dei risultati.

Riportiamo di seguito alcuni dei possibili criteri cui attenersi per una sceltaragionata dei supporti e consulenze esterne cui rivolgersi, facendo presente che tali criteri possono essere utilizzati anche per la scelta di una struttura esterna cui affidare la funzione di SPP:

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quante persone la compongono e con quali qualifiche professionali da quanto tempo è attiva sul mercato, che esperienza ha, per chi ha lavorato se ha mai operato nel settore produttivo in questione e per quanto tempo il gruppo o i singoli componenti sono associati o iscritti a società scientifiche o professionalipartecipa abitualmente a corsi di formazione/aggiornamento dispone delle attrezzature e/o supporti necessari svolge o ha svolto attività didattica, formativa, pubblicistica, etc. è accreditata o certificata presso/da enti o strutture pubbliche o private è disponibile la documentazione già prodotta dalla struttura relativa al problema (es. valutazione di rischi) su cui viene attivata la collaborazione è in grado di esplicitare gli standard ed i criteri di riferimento per le sue attività

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RIFERIMENTI AD ALTRE MONOGRAFIE

L'argomento oggetto della presente monografia è ripreso anche in altre, dove ne sono sviluppati aspetti particolari, e precisamente:

• anzitutto c'è un forte collegamento con il documento n. 1, essendo la valutazione dei rischi uno dei compiti principali del Servizio di prevenzione e protezione aziendale, e col n. 2, viste le implicazioni, in campo di informazione, consultazione e partecipazione, dell'attività del Servizio di prevenzione e protezione aziendale;

• nel documento n. 3 si pone particolare attenzione al problema della formazione del Responsabile e degli addetti del Servizio di prevenzione e protezione aziendale;

• nel documento n. 4 è affrontato il problema della redazione dei piani di emergenza, che attiene ovviamente ai compiti del Servizio di prevenzione e protezione aziendale;

• nel documento n. 7 sono affrontate le specificità del Servizio di prevenzione e protezione aziendale nell'ambito della Pubblica Amministrazione;

• nel documento n. 9 sono contenuti dei riferimenti al rapporto tra Servizio di prevenzione e protezione aziendale e medico competente.

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Allegati

Allegato 1 Ipotesi di modulistica per gli adempimenti procedurali previsti dal D.Lgs 626/94 in ordine al SPP.

1.1 Comunicazione alla Usl e all'Ispettorato del Lavoro del nominativo e curriculum del responsabile del SPP.

1.2 Comunicazione all'Usl del datore di lavoro di assumere direttamente il compito di responsabile del SPP

1.3 Schema del verbale di riunione periodica di prevenzione.

Allegato 2 Indicatori, criteri e standard per la valutazione dei servizi di prevenzione protezione aziendali. (Fonte modificata: Rapporto della riunione di esperti dell'OMS uff. europeo tenutasi a Turku, Finlandia, 13/09/85)

Allegato 3 Le procedure di sicurezza: definizioni e facsimile di strumento informativo per la loro gestione.

Allegato 4 Ipotesi di soluzioni organizzative per l'applicazione del D.Lgs 626/94 nelle Aziende USL e Ospedaliere.

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Allegato 1.1

all’Azienda Usl di____________________

all'Ispettorato del Lavoro di _______________

Oggetto: Designazione del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione aziendale ai sensi degli art. 4 comma 4 e art. 8 commi 2,3 del D.Lgs 626/94.

Il Sig. _____________________________titolare / rappresentante legale

della ditta: _______________________________________________

esercente: ________________________________________________

COMUNICA

che: a far data dal _____/_____/________

il Sig._____________________________________________

Dipendente di questa ditta: Consulente esterno:

ricopre la funzione di

RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

In tale funzione egli: · esercita i poteri di direzione e vigilanza degli addetti al Servizio; · garantisce il corretto ed effettivo espletamento dei compiti a cui il Servizio deve

adempiere (art. 9 D.Lgs 626/94) · partecipa alla riunione periodica di prevenzione dei rischi;

DICHIARA

che il Sig. ______________________________

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è in possesso del/i seguente/i titolo/i di studio:

_________________________________

_________________________________

_________________________________

_________________________________

Si occupa di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro dal ___/___/_____ è in possesso di attitudini e capacità adeguate a svolgere la funzione di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione in quanto, oltre alla esperienza acquisita direttamente, ha frequentato corsi formativi specifici quali:

a) _______________________________________________________ (argomento - durata - ente organizzatore)

b) _______________________________________________________

c) _______________________________________________________

Allega inoltre il curriculum professionale

Data _____/____/______ Il Titolare/Rappresentante legale della ditta

___________________________

Il Rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza Sig. _______________

______________________________ è stato consultato in data: ___/___/_____ ha espresso il seguente parere: ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Per conferma dell’avvenuta informazione Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza

__________________________

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Allegato 1.2

all’Azienda Usl di ____________________

Oggetto: svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione protezione dai rischi ai sensi dell'art. 10 del D.Lgs 626/94.

Il sottoscritto ___________________________________

datore di lavoro della Ditta ___________________________________

esercente _________________________________________________

rientrando nei casi previsti nell'allegato I° del D.Lgs 626/94

COMUNICA

di svolgere direttamente i compiti propri del Servizio di prevenzione e protezione dei

rischi richiamati nell'art 9 del D.Lgs 626/94.

1. Dichiara di possedere le capacità per svolgere correttamente tali compiti in quanto ha conoscenza:

• dei rischi per le materie prime utilizzate, prodotti intermedi della lavorazione, prodotti finali;

• dei rischi connessi con le lavorazioni effettuate nelle varie fasi del ciclo produttivo; • dei rischi derivanti dall'uso delle macchine e degli impianti utilizzati per la

produzione;• dei rischi e delle lavorazioni per le quali vige l'obbligo di sorveglianza sanitaria; • delle misure preventive e protettive per la sicurezza e la salubrità degli ambienti,

nel rispetto della normativa vigente; • delle attività e processi che richiedono l'elaborazione di procedure di sicurezza; • dei programmi di informazione e formazione dei lavoratori in riferimento alle

attività svolte.

Dichiara altresì di avvalersi, per lo svolgimento di tali compiti, della collaborazione/consulenza di:

______________________________

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2. Dichiara di aver proceduto agli adempimenti di cui all’art. 4,

commi 1, 2 e 3

ovvero

commi 1 e 11

(barrare la voce che interessa)

3. Comunica che il fenomeno infortunistico negli ultimi tre anni è così sintetizzabile:

Anno Lavora-tori anno (1)

Ore lavorate (2)

Numero infortuni (3)

Durata totale (4)

Indice di incidenza(5)

Indice di frequenza (6)

Indice di gravità (7)

199... 199... 199...

Legenda(1) Media aritmetica tra il numero dei lavoratori in forza al 1° gennaio e quello dei

lavoratori in forza al 31 dicembre dell’anno. (2) Totale delle ore lavorate nell’anno. (3) Solo quelli che hanno comportato un’assenza dal lavoro superiore a 1 giorno

(compreso quello dell’infortunio stesso) e che, ai sensi dell’art.4, comma 5, lettera o), del D.Lgs 626/94 devono essere annotati nell’apposito registro.

(4) Totale delle giornate complessive di assenza dal lavoro per gli infortuni di cui al punto (3).

(5) Calcolata secondo la formula: n. infortuni x 1000/n. lavoratori anno. (6) Calcolato secondo la formula: n. infortuni x 1.000.000/n. ore lavorate. (7) Calcolato secondo la formula: n. gg. di durata totale x 1.000/n. ore lavorate. Le cause più frequenti di infortunio sono state le seguenti:

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

4. Comunica che le denunce di malattia professionale nel corso degli ultimi tre anni sono state complessivamente (N.)_________ come conseguenza di: ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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5. Allega attestato di frequenza al corso di formazione in materia di igiene e sicurezza sul lavoro (obbligatorio dal 1/1/97)

Data ___/___/______ Il Titolare / Rappresentante legale della ditta

__________________________

Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza Sig. _______________

_______________________________

è stato informato in data: ___/___/_____

Per conferma dell’avvenuta informazione Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza

__________________________

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Allegato 1.3

VERBALE DI RIUNIONE PERIODICAPER LA PREVENZIONE E PROTEZIONE DAI RISCHI (ART. 11 COMMA 5 D.LGS 626/94)

L'anno ______ il giorno _________ del mese di: _______________

presso _________________________________________________

in applicazione all'art 11 comma 1 del D.Lgs. 626/94, convocati nelle forme di legge, sono intervenuti:

Datore di lavoro/suo rappresentante Sig. ____________________

Responsabile del SPP Sig. ____________________

Medico competente (se previsto) Sig. ____________________

Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza Sig. _____________________

Consulente esterno (qualora esistente) Sig. ____________________

Sig. ____________________

Sig. ____________________

Sig. ____________________

Argomenti trattati:

_____________________________________________________________________

_____________________________________________________________________

_____________________________________________________________________

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Problemi emersi:

_____________________________________________________________________

_____________________________________________________________________

_____________________________________________________________________

Soluzioni possibili:

_____________________________________________________________________

_____________________________________________________________________

_____________________________________________________________________

Incarichi affidati e scadenze previste: _____________________________________________________________________

_____________________________________________________________________

_____________________________________________________________________

I partecipanti:

Sig. ______________________________

Sig. ______________________________

Sig. ______________________________

Sig. ______________________________

Sig. ______________________________

Sig. ______________________________

Il Verbalizzante ____________________

Inserto a verbale: Sui punti sotto elencati il Sig. ___________________ ,

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nella sua qualità di _____________________________,

esprime le seguenti osservazioni o pareri difformi:

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

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Allegato 2

INDICATORI, CRITERI E STANDARD PER LA COSTITUZIONE E VALUTAZIONE DEI SERVIZI DI PREVENZIONE E PROTEZIONE AZIENDALI

(Fonte modificata: Rapporto della riunione di esperti dell'OMS uff. europeo tenutasi a Turku, Finlandia , 13/09/85)

Nella Tabella 1 e nella Figura 1 che seguono, sono rispettivamente elencati e messi in relazione gli indicatori, i criteri, i pericoli degli ambienti di lavoro e gli elementi che concorrono alla costituzione del Servizio.

L'utilità di tale modello sta nella possibilità che non solo a priori, ma costantemente, sussista una modalità di valutazione per analizzare, comprendere , nonché stimare la capacità tecnica di intervento nel ridurre i rischi della struttura del SPP.

Tabella 1 - Alcuni indicatori e criteri per la valutazione di servizi di prevenzione e protezione

INDICATORE CRITERIO

1. Efficienza: ProduttivitàControllabilitàFunzionalità

Rapporto fra risorse (input) e prodotti (output)

2. Efficacia Conseguimento delle modificazioni previste

3. Accessibilità Possibilità per l'utente di usare il servizio, tempi, localizzazione, costi

4. Adeguatezza Rapporto fra bisogni esistenti e programmi attuati

5. Qualità tecnico/scientifiche Disponibilità di attrezzature e competenze di tipo tecnico organizzativo

6. Continuità Possibilità di un rapporto stabile con gli stessi operatori

7. Accettabilità Atteggiamento positivo degli utenti, dei committenti, delle autorità e del personale tecnico

8. Impatto Effetto globale sulla salute e sulla sicurezza determinato dall'attività in esame

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Nello specifico le risorse del Servizio di prevenzione e protezione sono costituite da elementi fondamentali quali i finanziamenti, il personale, le strutture e le attrezzature nonché le tecnologie utilizzabili. Le risorse sono trasformate in output, cioè in prodotti, attraverso i processi del Servizio. I prodotti sono a loro volta analizzabili in offerta e domanda: da un lato, quindi ci si riferisce alla quantità, al tipo ed alla qualità dei servizi e dall'altro alla domanda che effettivamente proviene dalle aziende, dai posti di lavoro e dai lavoratori. I rapporti tra gli elementi di un Servizio di prevenzione e protezione sono essenziali nell'analisi e nella valutazione per la definizione di "parametri" adeguati che sono rappresentati nella Figura 1: pericoli in ambienti di lavoro, elementi dei servizi di prevenzione e protezione oggetto di valutazione e loro interrelazioni. Quelli elencati nella fascia destra della figura si riferiscono agli aspetti tecnici del Servizio. Il rapporto tra risorse e processo riflette le caratteristiche del modello organizzativo (controllabilità), mentre il rapporto fra processo e prodotti riflette la funzionalità del Servizio. Per quanto riguarda la domanda, è fondamentale la relazione con l'offerta, che si valuta in termini di accessibilità. Il rapporto tra risorse e prodotti è chiamato produttività. I risultati sono correlati con i prodotti attraverso l'efficacia e quest'ultima è correlata con le risorse attraverso l'efficienza, che è spesso il parametro tecnico più importante. I parametri elencati nella fascia sinistra della Figura 1 mostrano il rapporto tra i vari elementi del servizio con il suo obiettivo essenziale e, in particolare, con la prevenzione dei pericoli negli ambienti di lavoro. L'offerta è correlata con i pericoli negli ambienti di lavoro attraverso la sufficienza e l’appropriatezza a seconda se viene esaminata la quantità dell'offerta o il tipo e la qualità. La domanda è correlata con i pericoli negli ambienti di lavoro attraverso la copertura. Infine, il più importante parametro è il rapporto tra gli esiti del Servizio e i pericoli negli ambienti di lavoro, cioè la loro minimizzazione (diminuzione del rischio), poiché questo rapporto riflette gli esiti di un Servizio di prevenzione e protezione nei termini del suo principale obiettivo di programma. Se questo schema concettuale e sui suoi principi vengono accettati, la criticità principale diviene quella di scegliere gli indicatori, cioè le definizioni operative di questi parametri per la costituzione del Servizio. La flessibilità di questo modello consente diverse modalità di utilizzo: se l'obiettivo è valutare la rilevanza della politica di prevenzione, allora vanno valutate l'efficienza e l'efficacia del Servizio di prevenzione e protezione e le sue capacità di ridurre i rischi; se l'obiettivo, invece, è valutare la necessità di dotazioni organiche e strumentali del Servizio per raggiungere gli obiettivi già definiti dalla politica di prevenzione, la valutazione dovrà essere rivolta verso gli altri parametri mostrati nella Figura 1.

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Figura 1 - Pericoli in ambienti di lavoro, elementi dei servizi di prevenzione e protezione oggetto di valutazione e loro interrelazioni

Salute dei lavoratori

Pericoli negli ambienti di lavoro

Efficienza

Risorse: - finanziamenti Produttività - organico - locali - tecnologia Controllabilità

Processo Funzionalità

Prodotti

Sufficienza Offerta:

quantità Efficacia

Appropriatezza tipo

qualità Accessibilità

Copertura Domanda: aziendelavoratori

Diminuzione del rischio Esiti

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Allegato 3

LE PROCEDURE DI SICUREZZA: DEFINIZIONI E FACSIMILE DI STRUMENTO INFORMATIVO PER LA LORO GESTIONE

Definizione: procedura è l'insieme delle istruzioni operative documentate che definiscono le modalità di esecuzione di attività inerenti la pianificazione, la gestione ed il controllo di funzioni, attività, processi che incidono, o possono incidere, sulla sicurezza dei lavoratori e l'igiene dell'ambiente di lavoro. Deve essere redatta in modo semplice, chiaro e comprensivo.

Quando occorre: nelle situazioni in cui la mancanza di istruzioni dettagliate e precise potrebbe determinare condizioni di rischio per la sicurezza dei lavoratori e l'igiene dell'ambiente di lavoro.

Chi la deve elaborare: il Servizio di prevenzione e protezione in collaborazione con chi ha esperienza e conoscenza dei rischi connessi con l'attività o il processo che incide o può incidere sulla sicurezza dei lavoratori e l'igiene dell'ambiente di lavoro.

Chi la deve applicare: gli addetti dell'impresa e le terze persone che agiscono per suo conto, nell'esecuzione delle attività che incidono o possono incidere sulla sicurezza dei lavoratori e l'igiene dell'ambiente di lavoro.

Modifiche: queste devono essere riesaminate e approvate dagli stessi organismi e funzioni che hanno redatto la prima emissione e formalizzato la prima approvazione. Gli organismi designati devono avere accesso alle informazioni di base su cui fondare il controllo e l'approvazione. Deve essere istituito un elenco generale dei documenti o un sistema equivalente di controllo, per identificare l'ultima edizione onde evitare l'utilizzazione di documenti superati. Dopo un certo numero di modifiche la procedura deve essere nuovamente riemessa.

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(FACSIMILE DI PROCEDURA)

AZIENDA _____________________________________________________

Stabilimento di: _____________________________________________________

PROCEDURA N°______________________________________

Relativa alle norme da seguire per:

____________________________________________________________________(funzione - attività - processo)

EMESSA DA: ___________________________________________________

PREPARATA DA: __________________________________________________

DESTINATARI: ___________________________________________________

Data di prima emissione: _________________________________

Data successivi aggiornamenti: ____________________________

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1. PREMESSA

(es. la presente procedura regolamenta le operazioni da eseguire per stabilire l'effettivo stato di conservazione degli oggetti costituenti l'impianto e la idoneità al loro ulteriore impiego in condizioni di sicurezza

2. OGGETTO DELLE ISPEZIONI: (es. sono soggette a ispezioni le seguenti attrezzature) a) ____________________________________________________________ b) ____________________________________________________________ c) ____________________________________________________________

EMESSA DA: Serv.__________________________________________ (firma)

APPROVATA DA: Serv.__________________________________________ (firma)

ULTIMA REVISIONE: data:___________________________________

Pag _____________________________

di _______________________________

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3. COMPETENZE E AZIONI la gestione dell'"oggetto" viene attuata dal ____________________ (es. responsabile di reparto, responsabile di manutenzione, etc.)

___

La sequenza delle azioni da compiere è la seguente: ___

4. ALLEGATI

• scheda riportante gli estremi di identificazione dell'"oggetto" • informazioni sulla ispezionabilità e sul tipo di intervento preferenziale • periodicità prevista per gli interventi di ispezione.

5. ARCHIVIAZIONE DEI RISULTATI

Per ogni provvedimento effettuato, l'esecutore provveda ad emettere un verbale del lavoro svolto riportante:

• situazione riscontrata • problemi emersi in difformità alla procedura • osservazioni/suggerimenti.

EMESSA DA: Serv.__________________________________________ (firma)

APPROVATA DA: Serv.__________________________________________ (firma)

ULTIMA REVISIONE: data:___________________________________

Pag _____________________________

di _______________________________

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Allegato 4

IPOTESI DI SOLUZIONI ORGANIZZATIVE PER L'APPLICAZIONE DEL D.Lgs 626/94 NELLE AZIENDE USL E OSPEDALIERE

Considerato il panorama di impegno cui un'azienda ospedaliera o un’Azienda Usl ed il suo direttore generale devono far fronte, si pone con forza il problema di individuare delle risposte organizzative adeguate. Il punto di partenza é l'istituzione-attivazione del Servizio di prevenzione e protezione aziendale, cioè dell'indispensabile supporto tecnico per gestire tutte le attività previste e contestualmente la scelta dei medici competenti. Ciò fatto il complesso dei processi previsti dal D.Lgs 626/94 potrà avviarsi. Le possibili scelte organizzative sono molteplici, ma quelle più sensate e praticabili si riducono a tre:

1. attivare un proprio servizio interno, aziendale, capace di affrontare tutto l'insieme delle problematiche di igiene e sicurezza del lavoro, ed individuare dei propri medici competenti all'interno dell'azienda (soluzione totalmente interna);2. affidarsi completamente ad un servizio di consulenza esterna che fornisca anche il Responsabile del servizio (soluzione totalmente esterna);3. attivare un proprio servizio interno, ma molto limitato ed essenziale da integrare con la consulenza-collaborazione di un servizio esterno (soluzione mista).

La soluzione totalmente esterna pare di difficile praticabilità perché un servizio esterno "chiavi in mano" anche di ottima qualità, dovendo misurarsi con una realtà così complessa ed articolata come quella ospedaliera non potrà essere efficace e "coprire" pienamente il suo mandato se non sarà fortemente integrato e supportato da risorse interne; allora, tanto vale attivare e strutturare comunque risorse interne, se del caso arricchite ed implementate da supporti e consulenze esterne. D'altro canto, la collaborazione "istituzionale" del SPP aziendale, nell'architettura organizzativa e funzionale dell'Azienda USL o Ospedaliera dovrebbe essere, per le sue funzioni e specificità, in una posizione di staff:

• o direttamente al direttore generale (e ciò sarebbe molto coerente col fatto che le responsabilità finali dell'attività di questo servizio ricadono proprio sul direttore generale);• o al direttore sanitario o al direttore amministrativo o ad altro funzionario, dirigente di elevato livello e potere decisionale, cui sia stata data dal direttore generale delega a seguire il complesso delle funzioni relative alla prevenzione, sorveglianza sanitaria, etc.

A maggior ragione, quindi, un servizio collocato in una posizione di staff di questo tipo non può essere completamente affidato a consulenti esterni, ma deve essere

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incardinato su alcune figure di riferimento (in particolare il suo responsabile) interne all'azienda. Nella soluzione totalmente interna il personale potrebbe essere reperito ricercandolo all'interno del servizio attività tecniche, della direzione sanitaria del presidio ospedaliero, dei servizi afferenti al dipartimento di prevenzione, del servizio di fisica sanitaria, eventualmente anche di altri servizi o settori (es. personale dei laboratori, delle radiologie, etc.) ove fossero presenti tecnici preparati e motivati disponibili ad una riconversione. Naturalmente, in linea generale ma soprattutto per i servizi del dipartimento di prevenzione, occorrerebbe un'attenta valutazione della conseguenza del trasferimento di alcune unità di personale al costituendo SPP aziendale, in modo da non indebolirli almeno quantitativamente. Qualitativamente infatti sarà, in un primo momento inevitabile se si vuol selezionare gente già preparata; tale personale, dovrà comunque essere reintegrato nei servizi di provenienza, con l'acquisizione di nuovi assunti. Il personale da collocare nel SPP deve avere competenze e conoscenze (di base o da costruire) in termini di:

• sicurezza del lavoro • igiene del lavoro • ergonomia e organizzazione • tecniche di comunicazione • normativa

Per un ospedale delle dimensioni di 1000 posti letto, la dotazione organica consigliabile potrebbe essere indicativamente così individuata:

• 1 ingegnere • 1 chimico laureato o un laureato esperto in igiene industriale • 2 periti per l'igiene industriale • 2 periti per la sicurezza • 2 ASV • 1 unità amministrativa

Qualora, come sembrerebbe logico, venissero collocate nel SPP anche le funzioni e le attività relative alla radioprotezione dovrebbero confluire nel servizio stesso anche gli operatori che attualmente compongono il servizio di fisica sanitaria (o completamente integrati nel SPP o come un settore relativamente autonomo ma inserito nel SPP). Per quel che concerne lo svolgimento delle funzioni del medico competente, dovrebbero essere sufficienti due medici competenti, di cui almeno uno in possesso della qualifica di medico autorizzato, oppure un medico competente più il medico autorizzato per la radioprotezione, con il supporto di due ASV e una unità amministrativa. Nel complesso, quindi, il pool dell'unità operativa che dovrà farsi carico delle funzioni tecniche di prevenzione e sicurezza e di medicina del lavoro in un ospedale di 1000 posti letto dovrebbe avere questa composizione:

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• personale laureato: 1 ingegnere, 1 chimico, 2 medici • personale diplomato: 4 periti, 4 ASV • personale amministrativo: 2 unità • più, auspicabilmente, il personale dell'attuale servizio di fisica sanitaria.

Naturalmente questo gruppo di persone dovrà poter contare sulla collaborazione di altri operatori presenti all'interno della struttura. Il Responsabile del SPP, le cui funzioni sono chiaramente specificate dal D.Lgs 626/94, dovrà essere scelto tra il personale laureato tecnico, in quanto le funzioni e competenze di medicina del lavoro sono chiaramente attribuite al medico competente dalla norma stessa. Per la soluzione mista basta sottrarre al modello sopra proposto alcune attribuzioni e funzioni (e quindi le relative risorse in termini di attrezzature e personale) e collocarle nell'ambito della sfera del supporto e della consulenza esterna, mantenendo però il governo del processo preventivo e di tutte le delicate relazioni e rapporti che sottende all'interno dell'Azienda Usl o Ospedaliera: all'esterno quindi vengono appaltate solo una certa quantità, minore o maggiore, di prestazioni consulenziali specialistiche.

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