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Liceo Musicale V anno Teoria Analisi e Composizione Indice: - L’Impressionismo e il Novecento - Il Sistema Tonale - L’Evoluzione del Concetto di Armonia Musicale - Tonalità - Intervallo - Ritmo - La Musica Elettronica - La Semiografia Musicale - Strumenti o Timbro - Dinamica o Ampiezza

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Liceo Musicale

V anno

Teoria Analisi e Composizione

Indice:

- L’Impressionismo e il Novecento

- Il Sistema Tonale

- L’Evoluzione del Concetto di Armonia Musicale

- Tonalità

- Intervallo

- Ritmo

- La Musica Elettronica

- La Semiografia Musicale

- Strumenti o Timbro

- Dinamica o Ampiezza

L’IMPRESSIONISMO E IL NOVECENTO

L’Impressionismo fu un movimento artistico sorto in Francia nella seconda metà

dell’800 finalizzato a ostacolare il Romanticismo. Il termine impressionismo fu tratto

dal titolo di un quadro di Claude Monet esposto a Parigi nel 1874 ad una mostra di

pittori rifiutati dal Salon ufficiale: “Impressione, sorgere del sole”, e per coloro che

per primi lo proposero esso ebbe significato ironico e spregiativo. Divenne in seguito

il vocabolo adatto ad identificare un movimento nel quale, al di là delle caratteristiche

individuali e soggettive, si riconobbero, con Monet, altri pittori tra cui Camille

Pissarro, Edouard Manet, Edouard Degas e Auguste Renoir. Li accomunava la

preferenza per una pittura che ritraesse il vero, paesaggi “en plein air”, soggetti non

eroici né magniloquenti, ma tratti di vita comune: squarci di esistenze borghesi,

picnic, scene di caffè, ballerine, ecc.. Questa pittura era basata sull’impressione

individuale dell’artista di fronte al soggetto da ritrarre, qualunque fosse; l’occhio

coglie l’impressione visiva di un insieme di colori, non più fusi, graduati e sfumati

ma avvicinati e giustapposti sulla tela con pennellate rapide, senza contorni precisi e

senza dettagli.

Tale impressione si modificava con il mutare della condizione della luce. Anche i

musicisti, fra i quali soprattutto Claude Debussy, risentirono di questo cambiamento

di mentalità e diedero vita ad uno stile musicale completamente nuovo, considerato il

ponte tra la musica del passato (romantica) e quella del futuro (dodecafonica). Sono

questi i problemi e le angosce che faranno vivere momenti di grande crisi per cui, nel

tentativo di esprimere questa realtà, gli artisti andranno alla ricerca di nuovi e più

adeguati linguaggi, utilizzati per sfuggire ad un mondo troppo materiale e concreto e

per abbandonarsi a sensazioni vaghe e indefinite. Infatti, come i pittori impressionisti

si preoccupavano di cogliere, al di là delle forme solide, soprattutto la luce e il colore

dei soggetti trattati, così l’impressionismo musicale cercò di evitare il tangibile ed il

concreto suggerendo, attraverso la sensibilità, pensieri ed emozioni, ma senza mai

definirle completamente. La musica era chiamata a creare atmosfere rarefatte ed

evanescenti in cui si avvicendavano immagini e sensazioni fugaci. Nelle sue

composizioni Debussy utilizza forme assolutamente libere, all’interno delle quali le

melodie sono frammentate, le armonie sono fluttuanti e dissonanti, il ritmo è vario da

apparire quasi inesistente e i timbri strumentali sono utilizzati con grande delicatezza

e trasparenza. La sua musica è composta da temi indefiniti che non risolvono alla

tonica e raramente le varie sonorità raggiungono il fortissimo. L’armonia è

grandemente innovata con accordi dissonanti “strani” che si susseguono come

macchie sonore e sono utilizzati in modo nuovo, vale a dire non più concatenati l’uno

con l’altro secondo le regole tradizionali. Debussy si è servito spesso di scale di

origine orientale a cinque suoni (pentafoniche) e a sei suoni (esatonali) che mettevano

inevitabilmente in crisi il sistema tonale che aveva dominato la musica occidentale

per più di tre secoli. Tutti questi elementi creano un insieme di atmosfere sospese,

vaghe e indefinite, dai toni sfumati e rarefatti, che non intendono imitare o descrivere

qualcosa, né comunicare sentimenti, ma suggerire stati d’animo, suscitare impressioni

interiori.

IL PRIMO NOVECENTO

Il XX secolo si apre con una generale crisi dei valori ottocenteschi. L’idea di nazione

si è degradata a nazionalismo, la libera iniziativa economica è degenerata

nell’imperialismo (cioè la tendenza degli Stati europei a imporre la propria egemonia

su altri stati). L’industria ha fatto passi da gigante, ma le masse operaie reclamano

maggiore giustizia. Si genera così una tensione violenta fra proletariato e borghesia

capitalista. In tale clima era facile abbandonarsi all’angoscia e all’inquietudine. La

tradizione culturale del vecchio continente entra in crisi, coinvolgendo ogni forma

d’arte: musica, letteratura, pittura. All’inizio del Novecento, i musicisti ricercano

nuove forme espressive, svincolate dalla tradizione ottocentesca e più adatte a

interpretare la crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo. Questa ricerca è

all’origine di diverse esperienze, tutte accomunate dalla sperimentazione di nuovi

linguaggi che si allontanano dal sistema tonale, cioè fondato sul concetto di tonalità,

in base al quale si è sviluppata tutta la musica occidentale dal Cinquecento in poi. Nel

campo della musica, a partire dagli anni immediatamente precedenti alla prima guerra

mondiale, si delineano due correnti principali, decisamente antitetiche: la prima, che

chiameremo “espressionista”, è rappresentata dal viennese Arnold Schönberg; la

seconda, che chiameremo “neoclassica”, dal russo Igor Stravinskij.

L’Espressionismo

L’Espressionismo nasce nel Novecento come corrente pittorica che,

contrapponendosi all’Impressionismo, si propone di rappresentare le inquietudini

interiori. L’espressionismo musicale si individua principalmente nella cosiddetta

“Scuola viennese” formata da Schönberg, Berg e Webern. Con Schönberg, che fu il

capostipite di questa scuola, si assiste ad una trasformazione radicale e sistematica

della tecnica musicale. Il percorso musicale di Arnold Schönberg (1874-1951) è

quello più radicale e rivoluzionario della prima metà del Novecento. L’evoluzione del

suo sperimentalismo è divisibile in tre fasi. Nella prima fase le sue composizioni

risentono dell’influenza stilistica di Wagner e Mahler e sono caratterizzate

dall'esasperazione del concetto tradizionale di tonalità maggiore e minore, che viene

portato ai limiti della sua distruzione. Le opere scritte tra gli inizi del Novecento e la

Prima guerra mondiale appartengono invece alla seconda fase, quella della musica

atonale, in cui non vengono più rispettate le regole del sistema tonale tradizionale,

dove una nota (la tonica) è il punto di riferimento fondamentale per le altre. Nella

musica atonale, invece, tutte le note sono ugualmente importanti e non ci sono più

regole: l’effetto è estremamente dissonante, sgradevole all’orecchio e di difficile

comprensione. In questo modo Schönberg esprime la profonda disarmonia, l'angoscia

e lo smarrimento che sente incombere su se stesso e sull’Europa alla vigilia della

Prima guerra mondiale. Dopo il primo conflitto mondiale si apre la terza fase, nella

quale Schönberg fa un passo successivo: si rende conto che non può esistere una

musica senza regole, ma che le regole del passato sono inadeguate e non più

utilizzabili. Nasce così la dodecafonia: un nuovo sistema musicale è basato sul

concetto di serie, cioè la successione dei dodici suoni in cui è divisa l’ottava (i sette

tasti bianchi e i cinque neri sul pianoforte) ordinati e combinati tra loro secondo

regole precise. Alla base di ogni composizione dodecafonica è il principio di assoluta

equivalenza (dal punto di vista armonico) dei dodici semitoni che compongono la

scala cromatica. In questo insieme di suoni, detto serie, non esistono note con

funzioni tonali attorno alle quali gravitino altri suoni della scala: non esiste nessuna

distinzione tra suono con carattere di movimento e suono con carattere di riposo

(tonica). Così come tra accordo dissonante e accordo consonante.

La serie, o melodia dodecafonica, si basa su tre norme precise:

1) si debbono utilizzare tutti i dodici suoni della scala cromatica in qualunque

successione si preferisca disporli (con essi si possono ottenere fino a 479.003.600

serie diverse);

2) Si deve evitare la ripetizione di un suono precedentemente usato fino a che l'intera

serie dei dodici suoni non sia stata esaurita, al fine di impedire che uno di essi

acquisti, con la ripetizione, un maggior peso, ovvero un maggior valore tonale e una

preminenza sugli altri;

3) una volta fissata la serie, i suoni si possono utilizzare sia orizzontalmente (per la

melodia) sia verticalmente (per l'armonia). Ogni serie si può sviluppare solo in

quattro forme: dall'originale si generano infatti la retrograda (i suoni dell’originale

vengono esposti al contrario, dall’ultima nota alla prima), l’inversa (gli intervalli

dell’originale vengono trasformati da ascendenti in discendenti e viceversa) e

retrograda dell’inversa.

Il Neoclassicismo

II neoclassicismo musicale si afferma pienamente nel primo ventennio del Novecento,

in contrapposizione allo sperimentalismo dei musicisti d'avanguardia come

Schönberg. I musicisti neoclassici si rivolgono alle tecniche compositive delle epoche

precedenti, in particolare a quelle del periodo barocco e classico, reinterpretandone

forme e strutture in chiave moderna. Il maggiore rappresentante della corrente

neoclassica è Igor Stravinskij. Il percorso musicale di Stravinskij può essere

suddiviso in tre tappe, accomunate dalla costante ricerca di comporre una sintesi tra

la volontà di scrivere musica che il pubblico possa ascoltare con piacere, le esigenze

creative del compositore e il recupero della tradizione. La prima tappa è caratterizzata

dall'utilizzo nella sue composizioni di argomenti e temi popolari russi e da uno

sperimentalismo orientato verso la sovrapposizione simultanea di tonalità diverse

(politonalità) e ritmi diversi (poliritmia).

L’effetto per l’ascoltatore è sconcertante e infatti alcune delle opere di questo

periodo – tra cui i balletti “Petruška”, “L’uccello di fuoco” e “La sagra della

primavera”- suscitano proteste e scandalo. Nella seconda tappa, dopo la Prima guerra

mondiale, Stravinskij si ispira alla tradizione classica dell'Europa occidentale,

soprattutto settecentesca. Ma non si tratta di imitazione: in un clima musicale in cui le

regole tradizionali sono stravolte dalle correnti d'avanguardia, egli cerca un nuovo

sistema di regole e lo trova nel linguaggio e nei generi musicali dei classici, che

permettono di rendere comprensibile la musica moderna agli ascoltatori. Dagli anni

Cinquanta il poi ha inizio la terza tappa artistica, con la scoperta della musica

dodecafonica e seriale, avvenuta attraverso l’attento ascolto delle opere di Anton

Webern.

Il futurismo

La corrente del Futurismo coinvolge non solo la musica, ma anche la letteratura,

l’arte e il modo di vivere. Essa non propone solo un cambiamento di stile e di

linguaggio, ma anche un cambiamento di valori. Alla cultura tradizionale, infatti, il

Futurismo contrappone l’esaltazione della tecnologia. Il manifesto letterario del

Futurismo è pubblicato a Parigi da Filippo Tommaso Marinetti il 20 febbraio 1909,

quello musicale è pubblicato da Francesco Balilla Pratella nel 1911. I futuristi italiani

fanno del rumore il protagonista di una nuova musica, che nei loro intenti deve

rispecchiare il dinamismo e il progresso tecnologico dell'epoca. A tal fine Luigi

Russolo (1885-1947) costruisce una serie di strumenti, gli "intonarumori", in grado di

produrre sibili, rombi, scoppi ecc., che presenta con concerti in tutta Europa.

Nonostante il fallimento di questi rudimentali tentativi, le sperimentazioni futuriste

aprono nuovi orizzonti alla ricerca musicale.

IL SECONDO NOVECENTO

Nel secondo dopoguerra la musica è influenzata sia dagli avvenimenti storici, sia dai

nuovi sviluppi della tecnica. La sua caratteristica principale è data dalla ricerca non

solo di un nuovo linguaggio, ma anche di una nuova timbrica strumentale. I

compositori non si limitano ad utilizzare i suoni degli strumenti o delle voci, ma

utilizzano ogni sorta di oggetto, musicale e non musicale, per realizzare opere

originali e anticonformiste. Anche il rumore, a volte, diventa musica.

La Nuova Avanguardia rappresentò una rottura con il passato ed una preparazione al

successivo sviluppo della musica elettronica e concreta in Europa ed in America. Il

compositore franco-americano Edgar Varèse (1883-1965) è tra i primi a inserire in

modo sistematico il rumore nelle sue composizioni, per farne un fondamentale mezzo

espressivo e per allargare in tal modo la tavolozza timbrica a disposizione del

musicista.

La musica concreta

Verso gli anni Cinquanta negli studi del compositore Pierre Schaeffer si definisce

infatti la musica concreta. I registratori a nastro sono divenuti per i musicisti un vero

e proprio strumento nuovo ed estremamente duttile. Suoni e rumori possono essere

registrati e manipolati in vari modi: per esempio, dopo essere registrati ad una certa

velocità, il loro andamento può essere accelerato; si possono eseguire le musiche al

contrario ed è possibile fare un "collage" di suoni tagliando ed incollando in vari

modi le parti del nastro.

La musica elettronica e la Scuola di Darmstadt

L’elettronica, a partire dagli anni Cinquanta, ha consentito la costruzione di

generatori di suoni di grande flessibilità, che permettono la creazione di timbri del

tutto diversi da quelli degli strumenti "acustici" tradizionali. Il registratore e il

sintetizzatore sono infatti strumenti che consentono di ottenere sonorità mai udite

prima, di controllarle e di trasformarle a proprio piacimento. A Darmstadt, in

Germania, si forma una scuola che si propone di sviluppare i principi costruttivi della

serie dodecafonica, applicandoli non solo all'altezza (come aveva fatto Schönberg),

ma anche alla durata, all’intensità, al timbro. Le composizioni di Kariheinz

Stockhausen, Pierre Boulez, Bruno Maderna, Luigi Nono, Luciano Berio, nate

all’interno di tale scuola, sono tutte caratterizzate da un’attenzione estrema per la

costruzione del brano, cioè per la sua struttura.

La musica aleatoria

Alle complesse strutture sonore che caratterizzano la produzione degli anni

Cinquanta, alcuni compositori statunitensi, come John Cage (1912-1992), reagiscono

con composizioni affidate al “caso” (dal latino alea = dado, sorte) nelle quali la

musica nasce e si modella sulla base di elementi fortuiti: improvvisazioni, intrusioni

esterne ambientali, sorteggi, libera interpretazione. Alla base delle sue composizioni

c’è l’idea che tutti gli eventi sonori (rumori, suoni, silenzi) siano importanti e possano

quindi essere considerati musica.

Il minimalismo

Negli anni Sessanta, come reazione ai movimenti che privilegiavano elementi

irrazionali come l’improvvisazione e il caso, nasce il minimalismo. Questa corrente si

pone come obiettivo quello di recuperare la funzione comunicativa dell’arte

utilizzando un linguaggio semplice, minimale, capace di rappresentare tutte le

esperienze visive e sonore con elementi essenziali, minimi, ma che disposti in serie e

ripetuti possono espandersi indefinitamente. In musica le melodie vengono costruite

su poche note e pochi ritmi che si ripetono continuamente con variazioni lente e quasi

impercettibili. L’effetto che si ottiene è una composizione monotona, quasi statica,

ipnotica.

IL SISTEMA TONALE

Nella musica popolare (popular music) e “di consumo”, e in quella che usiamo

chiamare musica classica (includendovi una fetta sostanziale della musica barocca e

romantica), ogni brano è composto in base al sistema tonale, cioè a partire da un

sistema di regole compositive centrate sulla relazione gerarchica fra le altezze delle

note di una scala musicale diatonica rispetto alla tonica della scala stessa, che funge

da nota fondamentale e centro di convergenza di quel particolare brano. In questo

senso, in realtà, dovremmo dire che è “tonale” non solo la musica propriamente

tonale, ma ogni composizione che ruota intorno ad un suono principale di

riferimento, da cui si origina una scala o un sistema organizzato di suoni, quali i modi

ecclesiastici e medievali, i raga indiani o i maqam arabi (Modalità). D’altro canto,

nella tradizione musicale occidentale, l’aggettivo “tonale” è spesso utilizzato in

contrapposizione con “modale” e “atonale” stabilendo così una netta (e fin troppo

schematica) divisione storica tra la musica pre-tonale (fino al 1600), tonale (dal 1600

al 1900) e post-tonale. Tale distinzione concepisce il sistema tonale come un tronco

principale nell’evoluzione del linguaggio musicale e gli attribuisce un valore

normativo rispetto a quanto lo precede e gli succede.

Il sistema tonale è basato su due modi (o generi di scale), maggiore e minore che, con

le rispettive caratteristiche musicali ed espressive e la valorizzazione dei

molteplici rapporti armonici tra le note della scala, mettono in atto una complessa rete

di relazioni lineari e polifoniche in cui la melodia sfrutta il potenziale di tensione o di

appagamento offerto da ogni singola nota, ma in contemporanea interagisce con il

potenziale di tensione o di appagamento offerto dal contesto armonico, ossia dalla

successione di accordi che la sottende. Lo sviluppo storico dell’armonia tonale nel

suo rapporto con l’evoluzione della prassi compositiva è sinteticamente inquadrato

alla voce armonia, mentre qui sono delineati il concetto di tonalità nelle sue basilari

strutture (l’accordo, la distinzione fra tonalità di modo maggiore e minore, la

costruzione delle tonalità) e le tecniche fondamentali per la conduzione dell’armonia

tonale (relazione funzionale fra gli accordi, cadenza e modulazione).

Accordi o Triadi

L’accordo è un insieme di almeno tre note suonate contemporaneamente. L’accordo

di tre note, o triade, è il primo fondamento della musica tonale poiché assume un

significato specifico e individuale all’interno della scala diatonica di riferimento.

Come ricordato alla voce intervallo, l’intervallo di quinta giusta è un intervallo

’perfetto’ e naturale. Se i due suoni che lo formano sono eseguiti in contemporanea,

però, la sonorità risultante risulta ‘vuota’ per la nostra sensibilità musicale, come

potremmo facilmente sperimentare suonando al pianoforte una successione di quinte

parallele, così estranea al gusto tonale che è tassativamente vietata dalle regole

dell’armonia (naturalmente ciò vale come principio, la cui validità è garantita dalla

possibilità dell’eccezione). La diade (due suoni simultanei) di quinta manca infatti di

un costituente essenziale della musica tonale: l’intervallo di terza. L’introduzione di

una nota intermedia collocata ad intervallo di terza da entrambi i suoni della diade,

rende completa armonicamente la sonorità risultante: nel caso dell’esempio seguente

la triade do-mi-sol è formata da una terza maggiore (do-mi) ed una terza minore (mi-

sol); mentre gli estremi della triade (do-sol) sono ad intervallo di quinta giusta, come

specificato alla voce intervallo. L’accordo fondamentale in un contesto musicale

tonale è la triade che si costruisce sulla nota generatrice della scala. Per semplicità ci

riferiamo alla scala di do maggiore, per cui la triade maggiore costruita sulla

fondamentale è l’esempio canonico dell’accordo perfetto maggiore. Nella tonalità

minore la triade di tonica è invece una triade minore, cioè formata da una terza

minore più una terza maggiore; nella tonalità di do minore, ad esempio, la triade

minore di tonica è do-mib-sol, che è un accordo perfetto minore:

Le due triadi sono composte dalla tonica della scala (do), dalla modale della scala (mi

per la scala maggiore, mib per la scala minore) e dalla nota detta dominante (sol).

L’accordo si legge partendo dalla nota più bassa alla più alta: do-mi-sol. Procedendo

di grado in grado lungo la scala diatonica, è possibile costruire una successione di

triadi: tale successione definisce sette diversi accordi, uno per ciascun grado della

scala (nell’immagine che segue si è aggiunto l’accordo di tonica all’ottava superiore),

che, impiegati secondo le regole dell’armonia, costituiscono la dimensione ‘verticale’

della musica tonale. Comporre un brano nella tonalità di do maggiore significa

impiegare le note della scala di do maggiore e gli accordi costruibili su di esse in

modo coerente.

triadi di:

--tonica--sopratonica--modale--sottodominante--dominante--sopradominante--

sensibile--tonica—

La successione di triadi che definisce la tonalità di do maggiore può essere trasportata

su qualsiasi altro grado della scala cromatica, cioè della gamma dei suoni. Ad

esempio, le triadi rappresentate nella figura seguente riproducono la stessa

successione di triadi della scala di do maggiore, partendo però dalla nota sol, ma

affinché ciò avvenga è stato necessario alterare, in questo caso diesizzare, il fa. La

successione è relativa alla tonalità di sol maggiore:

Tonalità di Modo Maggiore e Minore

Dal punto di vista dell’armonia musicale tonale si distinguono due modalità, cioè due

tipologie di scale diatoniche: maggiore e minore. Ogni scala maggiore ha una relativa

minore collocata ad un intervallo di terza minore discendente dalla tonica; cioè: gli

stessi suoni usati per la scala maggiore costruiscono anche una scala minore che

inizia 2 toni + 1 semitono sotto la tonica (v. intervallo). La scala maggiore si

differenzia dalla minore solo per la posizione di tre gradi, il terzo, il sesto e il settimo,

rispetto alla tonica della scala, come specificato alla voce scala. La relativa minore

della tonalità di do maggiore è dunque la tonalità di la minore(la nota la è a distanza

di una terza minore nella successione discendente do-si-la), anch’essa, come la

tonalità di do maggiore, non prevede alterazioni (diesis o bemolli). Il seguente

schema indica la successione di triadi nella tonalità di la minore:

Poiché i suoni del sistema temperato sono 12, altrettante sono le scale maggiori e

altrettante le minori. Conseguentemente, il panorama delle tonalità risulta essere di

24: 12 maggiori e 12 minori, la cui determinazione è data da un numero crescente di

note alterate (cioè diesizzate o bemollizzate) da introdurre per generare la scala,

secondo una successione chiamata circolo delle quinte, come specificato più avanti).

Le alterazioni corrispondono ovviamente alle note diesis o bemolle della scala

musicale impiegata, e poiché gli stessi suoni entrano a far parte tanto di una scala

maggiore che della relativa minore, solo l’andamento del brano permetterà di capire

quale delle due tonalità è impiegata. In relazione all’impiego delle tonalità minori,

occorre specificare che per creare l’effetto di risoluzione nella cadenza dominante-

tonica (come più avanti specificato) è necessario alterare di un semitono la sensibile

della scala. Infatti, nella scala minore naturale (v. scala) la distanza sensibile-tonica è

di un tono intero, cosa che annulla l’effetto di tensione nell’impiego dell’accordo di

dominante.

La Definizione delle 24 Tonalità

Come è stato sopra specificato, le scale musicali diatoniche sono all’origine del

sistema di accordi che definisce il contesto tonale, in quanto su ogni grado della scala

è costruita una triade che si pone in specifica relazione con le altri triadi della scala, e

la sequenza risultante di accordi è trasportabile su qualsiasi grado della gamma dei

suoni: scegliendo infatti una nuova scala diatonica, è possibile costruire la stessa

sequenza di triadi a partire dalla tonica della nuova scala. Le triadi così organizzate

assumeranno nella nuova scala le stesse denominazioni; in tal modo, ad esempio,

l’accordo sol-si-re che nella tonalità di do maggiore è triade di dominante (V grado),

nella tonalità di sol maggiore è triade di tonica (I grado), mentre nella tonalità di re

maggiore è triade di sottodominante (IV grado), come possiamo vedere nell’esempio

(si tenga presente lo stesso accordo nelle scale di do maggiore e sol maggiore sopra

schematizzate):

Il principio per cui tonalità diverse condividono alcuni accordi è alla base del

meccanismo della modulazione, come specificato più avanti. Gli esempi sopra

proposti di successioni di triadi in tonalità di do, di sol e di re possono essere utili per

evidenziare come le tre tonalità di differiscano per l’impiego di alcuni suoni della

gamma. Ad esempio, la tonalità di do presenta tutti i suoni allo stato naturale, senza

alterazioni, mentre la tonalità di sol maggiore, basata sulla scala di sol maggiore,

necessita della presenza del fa# come grado sensibile e come suono di ogni accordo

che contiene tale grado. La tonalità di re maggiore, a sua volta, differisce dalla

tonalità di sol maggiore per l’aggiunta di un’ulteriore nota alterata nella scala (il do#).

Poiché fra do (tonica della tonalità di do maggiore) e sol (tonica della tonalità di sol

maggiore), e tra sol e re (tonica della tonalità di re maggiore) c’è la distanza di un

intervallo di quinta giusta ascendente (v. intervallo), il passaggio fra le tonalità

costruite su intervalli di quinta ascendente si caratterizza per l’aggiunta progressiva di

un’alterazione nella scala. Questo meccanismo si chiama CIRCOLO DELLE

QUINTE, ed è così schematizzabile:

Come possiamo notare, la progressione per quinte ascendenti (partendo da do: sol, re,

la, mi, si, fa#, do#, re#, la#, mi#, si#=do) determina la successione di 12 tonalità

differenti: do, sol, re, la, mi, si, fa#, ... ciascuna posta una quinta sopra la precedente e

caratterizzate dall’aggiunta progressiva di un #, fino a si#, che è tonalità omologa di

do (cioè composta dagli stessi suoni, ma chiamati in modo differente). Guardando il

circolo delle quinte, si noterà inoltre che la concatenazione di 12 tonalità si realizza

anche attraverso l’inserimento progressivo di bemolli. In questo caso, però, si

procede da do per quinte discendenti (partendo da do: fa, sib, mib, lab, reb, solb, dob,

fab, sibb, mibb, labb, rebb=do). L’aggiunta di b nella progressione di tonalità si

arresta ugualmente a 12, e tutte le tonalità costruite sono omologhe rispetto a quelle

costruite aggiungendo diesis. L’insieme delle tonalità così delineate costituisce le 12

tonalità di modo maggiore del sistema tonale. Allo stesso modo è possibile costruire

attraverso il circolo delle quinte la successione delle 12 tonalità di modo minore,

ricordando che ogni tonalità maggiore ha una relativa minore che ha per tonica la

nota posta una terza minore sotto la tonica della tonalità maggiore.

Nella scrittura musicale la tonalità è indicata graficamente in partitura dal numero di

alterazioni (diesis o bemolli) segnalate all’inizio del pentagramma, dopo la chiave

musicale. La prassi prevede che si impieghino le tonalità che hanno un massimo di

sette diesis e sette bemolle, questo per facilità di scrittura musicale (cioè per evitare le

doppie alterazioni). Le tonalità minori hanno la stessa gamma di suoni in comune con

le tonalità maggiori, dunque sono indicate in armatura di chiave con le stesse

alterazioni. Ad esempio, come nessuna alterazione in armatura di chiave segnala

tanto la tonalità di do maggiore che di la minore, così un fa diesis in armatura di

chiave segnala tanto la tonalità di sol maggiore che di mi minore, e così via, secondo

il seguente schema:

Gerarchia di Funzioni delle Triadi

All’interno di ciascuna tonalità si individuano quattro tipologie di triadi:

triade maggiore: una terza maggiore e una terza minore

triade minore: una terza minore e una terza maggiore

triade diminuita: due terze minore

triade eccedente: due terze maggiori

La tipologia di triade su ogni grado della scala presenta gradi di maggiore o minore

affinità con le altre triadi. Nella scala maggiore, in particolare, sono dette principali le

triadi maggiori di: tonica (I grado) dominante (V grado) e sottodominante (IV grado),

mentre sono secondarie le triadi minori di sopratonica (II grado), di mediante (III

grado) e di sopradominante (VI grado). Infine è diminuita la triade

sulla sensibile della scala (VII grado). I rapporti fra le triadi si configurano come

rapporti di tensione-distensione armonica, che si inquadrano nel meccanismo della

cadenza e della sua preparazione, come specificato più avanti. Nelle tonalità minori,

però, c’è maggiore difficoltà ad assegnare alle triadi un’univoca funzione tonale. Ciò

dipende dalla mancanza nella scala minore naturale della funzione di sensibile sul VII

grado e dunque dalla mancata attribuzione di tensione cadenzale. Per ovviare a

questo inconveniente, sono introdotte alterazioni sul VII grado (scala minore

armonica) o sul VI e VII grado ascendente (scala minore melodica), come specificato

alla voce scala.

La Cadenza

La cadenza è una successione armonica che dà un senso di ‘risoluzione’ alla frase

musicale. Nella sua forma detta ‘perfetta’ consiste nel passaggio dall’accordo di

dominante, l’accordo costruito sul V grado della scala, all’accordo di tonica.

L’accordo di dominante è indispensabile per la determinazione della tonalità di una

composizione, perché la sua sonorità prefigura appunto un ritorno sull’accordo di

tonica, cioè ‘tende’ alla tonica. Ciò accade in quanto l’accordo di dominante contiene

due suoni essenziali all’identificazione della struttura tonale: la dominante e la

sensibile della scala. Nel caso della tonalità di do maggiore l’accordo sul V grado è la

triade sol-si-re. La nota dominante (il sol, quinto grado della scala di do), essendo ad

intervallo di quinta dalla tonica è sommamente consonante con essa, dunque si

‘armonizza’ con la tonica, mentre la sensibile (il si, settimo grado della scala di do),

essendo ad intervallo di semitono dalla tonica tende fortemente a ‘risolvere’ sulla

tonica. La triade costruita sul quinto grado della scala risolve, si ‘chiarisce’, al

momento in cui ad essa segue l’accordo di tonica. Tale risoluzione è la cadenza

perfetta (V-I):

Questo basilare passaggio accordale (tonica-dominante-tonica) costituisce il percorso

essenziale e minimo dell’armonia tonale, che garantisce acusticamente una

successione di riposo-tensione-riposo.

Attorno a questo nucleo ruotano altri accordi e altre note, che arricchiscono il

potenziale espressivo della musica. In particolare, il quarto grado della scala (il fa,

nella scala di do) costruisce l’accordo di sottodominante (fa-la-do). Questo accordo

spesso precede l’accordo di dominante, e dunque la cadenza. Anch’esso è formato da

note estremamente significative: contiene la tonica della scala (do), la sottodominante

(fa) e la sopra-dominante (la) che, come la nota modale (terzo grado), individua il

modo della scala. Altre tipologie di cadenze oltre quella perfetta sono comunemente

impiegate nella musica tonale. La cadenza plagale è il passaggio

accordale sottodominante-tonica (IV-I), molto impiegato nella musica liturgica,

specialmente nel modo minore.

La cadenza evitata è il passaggio dominante-sopradominante (V-VI), che, come ben

avvertibile all’udito, non ‘risolve’, ma lascia il discorso armonico sospeso:

il massimo effetto di sospensione e brusca interruzione si ha tuttavia con la cadenza

interrotta, cioè con un arresto armonico sull’accordo di dominante.

Accordi di più Suoni, Accordi Alterati e Dissonanze

Mentre la triade è data dalla sovrapposizione di due terze, gli accordi con quattro note

(tetriadi) sono dati dalla sovrapposizione di tre terze, e prendono il nome di accordo

di settima, perché la quarta nota è ad intervallo di settima dalla fondamentale;

analogamente, gli accordi di cinque note (pentiadi) sono accordi di nona , poiché il

rapporto intervallare fra fondamentale e quinta nota dell’accordo è di nona. La

particolarità di tali accordi sta nell’implicare una dissonanza fra la nota fondamentale

dell’accordo e la quarta o quinta nota. Fra questi accordi il più frequentemente

impiegato è l’accordo di settima di dominante. Nella tonalità di do maggiore: sol-si-

re-fa.

Altre tipologie di accordo prevedono l’alterazione cromatica di suoni, che,

provocando una dissonanza, deve essere risolta sull’accordo successivo innalzando o

abbassando di mezzo tono (risoluzione per grado congiunto). Fra queste tipologie di

accordo, che nella musica tonale hanno per lo più funzione coloristica e dinamica,

risulta assai usata la sesta napoletana (v. glossario), che si forma sulla sottodominante

(IV grado) del modo minore usando la sesta minore invece che la quinta come terza

nota dell’accordo. La sesta napoletana ‘risolve’ sulla dominante della tonalità (e

dunque spesso prepara la cadenza perfetta).

La Modulazione

L’accorgimento tecnico più interessante della musica tonale che garantisce varietà al

discorso musicale è la modulazione, cioè il passaggio all’interno di uno stesso brano

da una tonalità all’altra. Questo espediente consente infatti al compositore di

muoversi nella gamma dei suoni con estrema libertà, arricchendo la sua ‘tavolozza’

armonica e melodica di infinite sfumature, e tuttavia rimanendo ancorato al principio

unitario del ‘ritorno’ alla tonalità di riferimento. Il principio della modulazione si

basa sull’affinità fra due tonalità, quella di partenza e quella di arrivo, affinità

determinata dal numero di accordi che esse hanno in comune. Ad esempio, la tonalità

di do maggiore ha numerosi accordi in comune con la tonalità di sol maggiore, come

sopra specificato. Le due tonalità si chiamano vicine e, sfruttando uno di questi

accordi come ‘ponte’, è possibile modulare dall’una all’altra, e l’avvenuta

modulazione sarà affermata da una cadenza nella nuova tonalità. Questo

procedimento si dice modulazione diatonica.

Un esempio di modulazione a tonalità vicine si può facilmente individuare nelle

concatenazioni armoniche degli accordi arpeggiati (in cui le note sono suonate in

successione) che attraversano tutto il Primo Preludio, in do maggiore, del primo

volume del Clavicembalo ben temperato di Bach. Qui ogni accordo è ripetuto due

volte all’interno di ciascuna battuta; alla successione di 15 battute corrisponde quindi

una successione di 15 diversi accordi arpeggiati i quali delineano tre modulazioni: da

do a sol, da sol a re (in realtà un passaggio modulante) e infine da re a do (tonalità

che resta affermata fino alla battuta 19). Nello schema qui proposto è segnalato il

numero della battuta e il grado dell’accordo nella rispettiva tonalità, senza tenere

conto dei rivolti (cioè della disposizione delle note) nei quali gli accordi si

presentano. La prima modulazione avviene alla battuta 5, (nella quale l’accordo la-

do-mi, sesto grado di do maggiore, è considerato anche II grado di sol maggiore), la

seconda alla batt. 11 (dove l’accordo sol-si-re, primo grado di sol è considerato IV

grado di re minore) e la terza alla batt. 13 (dove l’accordo re-fa-la, I grado di re

minore è considerato II grado di do maggiore).

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

do I II V I VI do II VII I

sol II V I IV II V I

re IV VII I

Come si può osservare dalla partitura, l’avvenuta modulazione è confermata dalla

presenza delle note alterate specifiche delle tonalità di approdo: alla battuta 6 il fa#

(sensibile di sol maggiore), alla battuta 12 il do#, sensibile di re minore. L’accordo

della batt. 12, formato dalle note do#-mi-sol-sib, è una settima

diminuita(v. intervallo) che tiene alta la tensione modulante: il passaggio repentino al

do maggiore, dove è subito posto un altro accordo di settima diminuita (batt. 14),

placa la tensione solo dopo che sarà avvenuta una cadenza perfetta, poche battute più

avanti (qui non riprodotte).

Altri tipi di modulazione prevedono salti improvvisi da un accordo in una tonalità ad

un altro in una nuova tonalità (tali modulazioni implicano che almeno una nota

dell’accordo modulante sia comune alle due tonalità, e sono spesso accompagnate da

una alterazione cromatica); un’altra tipologia di modulazione sfrutta le note

enarmoniche (che hanno nome diverso ma identica altezza, come fa diesis e sol

bemolle) per introdurre la nuova tonalità. Un ulteriore metodo per passare a tonalità

lontane è l’impiego della progressione modulante, cioè un passaggio costruito come

successione di cadenze in tonalità diverse, fino a raggiungere la tonalità desiderata.

Il Basso Continuo o Numerato

Un metodo di notazione sviluppato in età barocca per indicare l’armonia base di una

linea melodica è il basso continuo, o numerato. Questo sistema è abbastanza simile a

quello oggi impiegato per indicare il ‘giro’ di accordi nelle partiture della musica

leggera che riportano la sola linea del canto. Si tratta dell’indicazione di un numero

posto sopra la nota segnalata in chiave (generalmente in chiave di basso) che indica

l’intervallo formato dalla nota stessa con quella da inserire nell’accordo (3=terza;

4=quarta; 7=settima), evitando di cifrare le note complementari dell’accordo stesso.

Questo sistema consente all’accompagnatore di improvvisare negli abbellimenti e

nelle ornamentazioni, pur mantenendosi ligio all’ossatura armonica indicata dal basso

e dalla cifratura.

ARMONIA MUSICALE

Molti dimenticano che la tecnologia musicale offre strumenti per manipolare le

informazioni musicali costituenti uno dei linguaggi più complessi che l’uomo è

riuscito a formulare. Come ogni linguaggio anche quello musicale si basa sulla

correlazione tra semantica (significato) e sintassi (regole). Approfitto della richiesta

di alcuni lettori del blog per iniziare da oggi la scrittura di alcuni articoli dedicati ad

argomenti musicali di carattere teorico. Sicuramente esistono trattati più esaurienti in

materia, ben conosciuti a chi studia musica e pertanto consiglio a chi volesse

approfondire lo studio di dare un’occhiata all’elenco di libri che collocherò a

conclusione di questo iter. Buona lettura e ben vengano suggerimenti e critiche.

La Musica è un’arte che deriva dalla successione ritmica dei suoni, della melodia e

della loro combinazione simultanea. Sia che questi suoni giungano al nostro orecchio

successivamente o simultaneamente, vengono a trovarsi tra loro in determinati

rapporti. Gli elementi costitutivi della musica pertanto sono la melodia, il ritmo,

l’armonia.

Per melodia si intende la successione di più suoni di differente altezza e durata.

Il ritmo è determinato dal rapporto di tempo intercorrente tra i vari suoni percepiti

successivamente dal nostro orecchio.

L’Armonia è la scienza e l’arte che studia la genesi e la concatenazione degli

accordi.

La melodia e l’armonia hanno un’origine comune, le stesse tendenze e la stessa

importanza. Unendo simultaneamente i suoni di cui è formata una melodia si possono

formare successioni armoniche e dalla disposizione successiva e simmetrica dei suoni

che compongono gli accordi si può ricavare una melodia.

L’armonia viene ripartita in 3 generi: diatonica, cromatica, enarmonica.

L’armonia diatonica si basa sui modi maggiore e minore e studia

gli accordi consonanti e tutti quelli dissonanti di 3, 4, 5, 6, 7 suoni.

L’armonia cromatica si occupa delle alterazioni di uno o più suoni negli

accordi diatonici.

L’armonia enarmonica si occupa del vario aspetto sotto il quale può essere

considerato uno stesso suono o uno stesso accordo. In altri termini è la sostituzione di

un accordo mediante un altro omofono ma non omologo, cioè avente gli stessi suoni

ma non lo stesso nome. Tale sostituzione cambiando l’essenza dell’accordo produce

risoluzioni impreviste che portano in tonalità lontane da quella di partenza.

L’elemento base dell’armonia è l’intervallo che rappresenta la distanza tra due suoni.

Nel nostro sistema temperato l’ottava giusta è divisa in 12 parti uguali

chiamati semitoni che possono essere di due specie:

§ semitono cromatico, quello che passa tra due suoni aventi lo stesso nome

§ semitono diatonico, quello che passa tra due suoni aventi nome differente

L’unione di due semitoni di diversa specie (uno cromatico e l’altro diatonico o

viceversa) forma il tono.

Gli intervalli possono essere di due specie:

1. intervallo melodico: i due suoni vengono emessi in successione

2. intervallo armonico: i due suoni vengono emessi contemporaneamente

L’intervallo è costituito da suoni tratti dalla scala.

La scala è una successione di suoni procedenti per grado congiunto i quali si trovano

in determinati rapporti di distanza con un suono base che serve come punto di

partenza e che viene denominato tonica. I suoni costituenti la scala vengono

chiamati gradi della scala. La scala può essere di due specie:

§ scala diatonica: si ha quando la scala procede per toni e semitoni che si alternano

secondo un ordine prestabilito. La scala diatonica può essere maggiore o minore.

§ Scala cromatica: si ha quando la scala procede per soli semitoni, sia diatonici che

cromatici e può svolgersi sia in senso ascendente che discendente.

La scala cromatica può salire o scendere sia per diesis che per bemolli

indifferentemente.

I sette suoni della scala diatonica sono chiamati gradi della scala e generalmente

vengono indicati con i numeri romani. Essi sono: tonica, sopratonica, mediante (o

nota caratteristica), sottodominante, dominante, sopradominante, sensibile.

Si parla di sensibile quando la distanza tra il settimo grado e la tonica è pari ad un

semitono. Quando tale distanza è un tono il VII grado viene chiamato VII grado

minore. A seconda del differente criterio con il quale vengono considerati, gli

intervalli possono distinguersi in diatonici, cromatici, consonanti, dissonanti,

enarmonici.

Gli intervalli diatonici sono quelli formati da due suoni appartenenti a una scala

diatonica la cui tonica è rappresentata dal più basso dei due suoni che formano

l’intervallo.

Gli intervalli cromatici sono quelli formati da due suoni di cui quello inferiore viene

considerato come tonica di una scala diatonica e quello superiore, non rientrando fra i

suoni di quella scala perché alterato, viene considerato come se facesse parte di una

scala cromatica.

Il nome di un intervallo è diviso in due parti: terza maggiore. La prima parte si trova

contando il numero di note costituenti l’intervallo (do-mi è una terza per via delle

note do-re-mi) mentre la seconda parte è determinata mediante un confronto con la

scala maggiore formata a partire dalla nota più grave costituente l’intervallo.

A seconda della distanza calcolata soltanto in gradi, l’intervallo viene denominato

di seconda, terza, quarta, quinta, sesta, settima, ottava.

Se l’ampiezza di un intervallo non supera l’ottava l’intervallo viene

definito semplicemente in caso contrario composto.

Gli intervalli consonanti sono quelli che danno l’idea di riposo producendo

un’impressione di suoni che stanno bene insieme e che riescono gradevoli

all’orecchio. Gli intervalli consonanti sono:

§ unisono

§ terza maggiore

§ terza minore

§ quarta giusta

§ quinta giusta

§ sesta maggiore

§ sesta minore

§ ottava

Gli intervalli dissonanti sono quelli che danno l’idea di movimento. Sono tutti quelli

non compresi tra i consonanti:

§ seconda

§ settima (di qualsiasi specie)

§ intervalli aumentati

§ intervalli diminuiti

La cosiddetta risoluzione di un intervallo dissonante consiste nel passare da un

intervallo dissonante ad un altro intervallo consonante.

Gli Intervalli enarmonici sono quelli che pur differendo tra loro per il diverso nome

con il quale vengono chiamati i suoni che li compongono costituiscono in realtà gli

stessi suoni.

Il rivolto di un intervallo consiste nell’invertire l’ordine dei suoni che lo

compongono. Indicando gli intervalli compresi nell’ottava con una serie di numeri

(da 1 a 8) e il rispettivo rivolto con un’altra serie di numeri inversa (da 8 a 1),

sovrapponendo le due serie avremo che la somma dell’intervallo e del rispettivo

rivolto darà sempre il numero 9.

Nell’intervallo rivoltato oltre che cambiare il numero dei gradi intermedi cambia

anche il numero dei toni e dei semitoni e quindi anche il nome.

Gli intervalli maggiori rivoltati diventano minori e viceversa.

Gli intervalli eccedenti rivoltati diventano diminuiti e viceversa.

Gli intervalli giusti rivoltati rimangono tali.

Per effetto del sistema temperato avviene spesso che suonando al pianoforte due

intervalli diversi sulla carta essi risultano uguali: per esempio la seconda eccedente e

la terza minore. In questi casi si dice che un intervallo è l’equivalente

armonico dell’altro. Anche le singole note possono essere equivalenti enarmonici

(Fa# e Solb) come anche le tonalità (RebM e Do#M). L’accordo è la combinazione di

due o più intervalli armonici. Ognuno dei suoni di cui è formato prende il nome di

parte. Il nome più basso prende il nome di nota fondamentale o basso fondamentale.

Nel caso dei rivolti, quando la nota fondamentale si trova in una delle parti superiori

piuttosto che in quella più grave, la nota che è nel basso è chiamata nota del basso.

Se l’accordo è allo stato fondamentale la nota del basso e la

fondamentale dell’accordo sono costituite dalla stessa nota. Gli accordi si distinguono

in varie categorie a seconda del criterio con il quale vengono considerati ovvero

relativamente al numero di suoni che li compongono oppure alla specie degli

intervalli di cui sono formati. A seconda del numero di suoni di cui sono composti si

possono avere accordi di 3, 4, 5, 6, 7 suoni. Nell’armonia tonale e modale l’accordo è

generato dalla sovrapposizione di terze successive su una nota base; le terze possono

essere al massimo sei.

A seconda della specie degli intervalli di cui sono composti gli accordi si distinguono

in diatonici, cromatici, consonanti, dissonanti.

Gli accordi diatonici sono quelli formati di tutti intervalli diatonici.

Gli accordi cromatici sono quelli formati di uno o più intervalli cromatici.

Gli accordi consonanti sono quelli formati di tutti gli intervalli consonanti.

Gli accordi dissonanti sono quelli formati di uno o più intervalli dissonanti.

INTERVALLO

Il primo e fondamentale elemento musicale determinato dalle qualità relative

all’altezza dei suoni è l’intervallo. Gli intervalli sono i costituenti elementari e la

materia prima di ogni composizione musicale, in quanto definiscono la reciproca

relazione fra due note della scala o del modo impiegato in quella composizione.

Intervallo

I suoni si differenziano l’un l’altro in altezza, cioè sulla base della differenza di

acutezza o gravità, come specificato alla voce suono. La differenza in altezza fra due

suoni si chiama intervallo, e l’intervallo determina quindi il percorso, ascendente

oppure discendente, da compiere per passare dall’uno all’altro suono. Nella musica

occidentale, fin dall’età medievale, ogni modo, scala e accordo (v. tonalità) sono

definiti dagli intervalli che intercorrono fra i loro suoni consecutivi. La definizione

dell’intervallo come distanza fra due note ha un significato assoluto: sul pianoforte,

per esempio, la distanza do-mi è sempre una terza maggiore, in qualunque punto

della tastiera si scelga di suonarla. Gli intervalli fondamentali, punto di riferimento

del moderno linguaggio musicale sono due: l’unisono e l’ottava.

Unisono

Come dice il nome, unisono è l’uguaglianza in altezza fra due suoni: propriamente

parlando, esso non è un intervallo, poiché le frequenze dei due suoni sono identiche.

Supponiamo che due voci femminili intonino una nota della medesima altezza, ad

esempio il suono la3 a 440Hz di frequenza. Le due voci intonano in unisono, cioè

emettono lo stesso suono:

Ottava

Anche l’intervallo di ottava è relativo alla distanza fra due suoni uguali, di cui però

uno è più grave e l’altro più acuto, cioè prodotto da vibrazioni di frequenza doppia.

Supponiamo che un uomo cerchi di intonare la stessa nota prima intonata dalle due

voci femminili: probabilmente non ci riuscirà, risultando il suono troppo acuto per

una voce maschile, mentre la stessa nota gli risulterà agevole all’ottava inferiore. Egli

intonerà dunque il la2, pari ad una frequenza di 220hz. Ogni suono ha quindi una

frequenza doppia rispetto al medesimo suono all’ottava inferiore (la3=440hz;

la2=220hz) mentre la sua frequenza sarà la metà della frequenza dello stesso suono

all’ottava superiore (la4=880hz).

La2 a 220 Hz.....

La3 a 440 Hz.....

La4 a 880 Hz.....

Nella cultura musicale occidentale l’intervallo fra due suoni di cui uno ha frequenza

doppia dell’altro si chiama intervallo di ottava. Questo stesso intervallo nell’antichità

veniva chiamato diapason (naturalmente da non confondere con l’omonimo

strumento per l’accordatura. Diapason significa infatti in greco ‘per mezzo di tutte le

corde’ (dia-pason, sottinteso chordon), e vuol dire che gli estremi dell’intervallo, il

suono base e quello ‘doppio’, racchiudono tutti gli altri suoni di altezza intermedia.

Potenzialmente vi sono numerosi suoni di altezza intermedia fra un suono e il suo

’doppio’, ma la teoria musicale occidentale e l’evoluzione della prassi compositiva

hanno colmato la distanza con una successione di sette suoni per cui il ’doppio’

rispetto a quello di partenza è l’ottavo suono della successione. Questa successione di

sette suoni è la scala musicale diatonica, che nella disposizione più conosciuta

corrisponde alla sequenza delle note do, re, mi, fa, sol, la, si, do (i tasti bianchi della

tastiera che intercorrono fra un do e il do successivo).

Gli Intervalli nella Scala Diatonica

Questa panoramica degli intervalli musicali impiegati nel sistema musicale

occidentale si basa sulla individuazione di ciascuna tipologia di intervallo all’interno

di un’ottava di riferimento (do3 - do4). Come è messo a fuoco alla voce scala, la

successione di sette suoni che copre l’intervallo di ottava (do3 - do4, nel nostro

esempio) compone la scala diatonica corrispondente ai tasti bianchi della tastiera

sotto raffigurata. Le note che individuano i sette suoni sono: do - re - mi - fa- sol - la -

si - (do4).

Il Semitono e il Tono

Prima di definire le varie tipologie di intervallo è opportuno introdurre l’intervallo di

semitono e di tono, a partire dai quali sono computati gli altri intervalli musicali. La

barra colorata nella figura precedente, riprodotta anche nella figura che segue, indica

gli intervalli di semitono compresi all’interno di una ottava, e corrispondenti ai tasti

che intercorrono fra gli estremi della stessa ottava do3-do4 (ma lo stesso vale per

qualsiasi altra ottava). La distanza di ottava è coperta sempre da 12 semitoni (12

tasti), e il semitono è l’intervallo più piccolo che distanzia un suono dal successivo e

dal precedente. La distanza di un semitono è la differenza più piccola in altezza

chiaramente avvertibile al nostro udito. Molte altre culture musicali e repertori di

canto popolare impiegano intervalli inferiori al semitono, che però il sistema

temperato (usato per l’accordatura degli strumenti di tradizione occidentale) non

contempla. Questa è la successione di semitoni, con relativa nomenclatura, nella scala

diatonica do-re-mi-fa-sol-la-si-do, ricordando che il simbolo # (diesis) innalza la nota

di 1 semitono, mentre il simbolo b (bemolle) la abbassa di 1 semitono, così che do#

equivale in altezza a reb, re# a mib e così via:

Osservando la barra dei semitoni, notiamo che l’intervallo che separa le note contigue

della scala diatonica non è sempre identico. Fra do e re c’è infatti la distanza di 2

semitoni, cioè di un tono (nella tastiera le due note sono infatti separate dal tasto

nero, che corrisponde alla nota do#/reb), mentre fra mi e fa c’è la distanza di 1

semitono (non essendoci un tasto nero fra i due). La successione di intervalli nella

scala diatonica è dunque: tono, tono, semitono, tono, tono, tono, semitono = 12

semitoni.

Occorre specificare che gli intervalli sono ascendenti se la prima nota è più bassa

della seconda, discendenti se la prima nota è più alta; e che due intervalli

sono complementari se sommati insieme equivalgono all’intervallo di ottava. Inoltre,

per dare il nome agli intervalli si immagina di percorrere la distanza che, all’interno

della scala, ne separa gli estremi, e si contano le note che vi sono contenute più gli

estremi stessi. Ad esempio do-sol è intervallo di quinta (infatti contiene le note do-re-

mi-fa-sol) ascendente, mentre do-sol discendente è una quarta (do-si-la-sol); questi

due intervalli sono complementari:

Il prospetto complessivo degli intervalli costruiti sulla scala diatonica nell’ambito di

una ottava è rappresentato nel seguente schema. Gli intervalli sono di seconda, terza,

quarta, quinta, sesta e settima che si dividono in cinque tipologie: giusti, maggiori,

minori, aumentati e diminuiti. Gli intervalli superiori all’ottava si identificano

continuando a contare in progressione. Per esempio, poiché: do3 - re3 è una seconda

maggiore, do3 - re4 è una ottava più una seconda maggiore, cioè una nona maggiore.

Analogamente, do3 - mi4 è una decima maggiore, e così via.

Intervalli Minori

Ottava

La distanza di ottava giusta, come sopra specificato, copre tutta la gamma dei suoni:

due suoni che distano in altezza 12 semitoni l’uno dall’altro sono quindi fra loro in

intervallo di ottava. Questa stessa distanza, riferita alla scala diatonica, è di 5 toni + 2

semitoni. L’intervallo di ottava è un mero raddoppio della voce, come specificato

sopra, in quanto i due suoni sono identici, anche se collocati ad un diverso registro.

Nella musica occidentale l’intervallo di ottava è stato insieme alla quinta e alla quarta

giuste il primo intervallo impiegato in successioni parallele per le prime forme di

canto polifonico. Ottave, quinte e quarte sono considerati intervalli perfetti o, nel

linguaggio musicale corrente, giusti in virtù della loro determinazione matematica,

come specificato più avanti. L’intervallo di ottava è universalmente impiegato nella

musica, non solo nel raddoppio del suono degli strumenti e della voce, ma anche per

la sua efficacia espressiva. Nel Trovatore di Verdi, ad esempio, Leonora e Manrico,

innamorati, cantano in ottava intonando testi diversi nel terzetto “Un istante

almen/Del superbo” contrapponendo la loro voce ‘unisona’ alla voce del Conte di

Luna, loro antagonista.

Quarta

L’intervallo di quarta giusta si compone di 2 toni + 1 semitono. Quarta e quinta sono

intervalli complementari, in quanto, sommati, danno l’ottava. La quarta giusta è tra

gli intervalli più popolari della musica. Tante famose melodie iniziano con un

intervallo di quarta ascendente nel contesto della musica tonale, perché evoca in

maniera esplicita la cadenza dominante-tonica, dunque è uno slancio che approda al

suo naturale punto di riposo. Molti inni nazionali e canti di lotta iniziano con

l’incitamento di una quarta. Ma la quarta può anche invitare a procedere col grave

passo di una marcia, come ad esempio nella Marcia funebre della Terza Sinfonia

(Eroica) di Beethoven. La quarta ascendente più famosa della letteratura musicale è

quella che dà l’attacco alla Marcia Trionfale dell’Aida di Verdi.

Quinta

L’intervallo di quinta giusta si compone di 3 toni + 1 semitono. L’intervallo di quinta

costituisce la distanza fra i due estremi degli accordi maggiori e minori. Suonata

simultaneamente crea un senso di vuoto e incertezza tonale, come ad esempio

nell’ultimo, desolato Lied Der Leiermann (Il suonatore di organetto) della raccolta

Winterreise (Viaggio d’inverno) di Schubert: la quinta alla mano sinistra del

pianoforte – le note la e mi suonate in simultanea – fanno da sfondo a tutto il brano e

ricordano l’uso popolare delle quinte di bordone.

Intervalli Maggiori e Minori

Terza

L’intervallo di terza maggiore si compone di 2 toni, mentre quello di terza minore è

dato da 1 tono + 1 semitono. La terza maggiore o minore definisce il modo della

tonalità. La terza è infatti l’intervallo fondamentale nella costruzione degli accordi: la

terza maggiore e la terza minore, messe una sopra l’altra in modo da realizzare una

quinta giusta, formano l’accordo perfetto maggiore, mentre la terza minore più la

terza maggiore formano l’accordo perfetto minore. L’intervallo di terza è il più

piccolo salto melodico, ed è un approdo naturale della voce; la sua forza espressiva

può essere colta, ad esempio, ascoltando il secondo tema del secondo movimento

della Sinfonia Incompiuta di Schubert: una stupenda melodia del clarinetto, esempio

eloquente, anche per il corredo armonico che Schubert le fornisce, della dolcezza

posseduta dalle terze (quattro in successione, di cui la prima, minore, dà il modo). I

due più famosi intervalli discendenti di terza, la prima maggiore la seconda minore,

sono quelli che aprono la Quinta Sinfonia di Beethoven.

Sesta

L’intervallo di sesta maggiore si compone di 4 toni + 1 semitono, mentre quello

di sesta minore è dato da 4 toni. Terze e seste sono intervalli complementari, perché

una terza più una sesta portano all’intervallo di ottava. L’intervallo di sesta è

l’intervallo più ampio che sia privo di un carattere di tensione. Per la sua cantabilità

espansiva la sesta maggiore ascendente si ritrova in molti passi operistici, anche di

impronta espressiva completamente diversa. E’, fra i tanti esempi possibili,

l’intervallo di apertura del celebre coro “Libiam nei lieti calici”, della Traviata di

Verdi, mentre Mozart, nelle Nozze di Figaro, lo impiega abilmente nell’aria

“Contessa perdono” per sottolineare la riconciliazione che riunisce i i personaggi nel

finale. Un’apertura melodica con intervallo di sesta minore è invece nel celeberrimo

“Lacrimosa” del Requiem di Mozart.

Seconda

L’intervallo di seconda maggiore è di 1 tono, mentre quello di seconda minore ha

l’ampiezza di 1 semitono. L’intervallo di seconda è il minimo movimento melodico

possibile in quanto lega due note vicine nella scala, e per questo è l’intervallo più

frequente nella maggioranza delle melodie. Il celeberrimo Inno alla gioia della Nona

Sinfonia di Beethoven è uno degli esempi più efficaci di impiego di intervalli di

seconda. Di tutt’altro tenore, invece, è lo stillicidio della seconda, minore e maggiore,

che in molti esempi del repertorio musicale barocco offre l’immagine del sospiro e

del singhiozzo, come superbamente espresso nell’Aria “Blute nur” (Sanguina mio

cuore) dalla Passione secondo Matteo di Bach.

Settima

L’intervallo di settima maggiore è di 5 toni + 1 semitono, mentre quello di settima

minore ha l’ampiezza di 5 toni. Settime e seconde sono intervalli complementari.

L’intervallo di settima, il più ampio degli intervalli contenuti entro l’ottava, è carico

di tensione: dissonante e difficile da intonare, nella musica tonale appare raramente al

principio di una melodia; è infatti una dissonanza che deve essere risolta, facendola

seguire da una consonanza. Una settima maggiore ascendente, ad esempio, apre l’aria

“O terra addio” con cui si chiude l’Aida. Nel caso della settima maggiore ascendente,

poiché le manca solo un semitono per raggiungere l’ottava, la sua tensione si placa

salendo di un semitono. La settima minore ascendente, invece, ha soltanto un

semitono in più della sesta maggiore, e la sua tensione si risolve più spontaneamente

scendendo di un semitono. In molta musica del Novecento la settima, come gli altri

intervalli più dissonanti (seconda minore e tritono) si emancipa, affrancandosi

dall’obbligo della risoluzione.

Intervalli Aumentati e Diminuiti

Se agli intervalli giusti – quarta quinta e ottava – e a quelli maggiori o minori si

aggiunge (o si toglie) un semitono diventano eccedenti (o diminuiti). Fra questi

intervalli, due risultano particolarmente significativi nel contesto della musica

occidentale:

Quarta eccedente o tritono.

Questo intervallo copre 3 toni esatti: per questo è anche chiamato tritono, e nei trattati

musicali “diabolus in musica”. Ha infatti una sonorità aspra e di difficile intonazione.

La sua fama di ’intervallo maledetto’ lo ha reso adatto a suggerire contesti demonici,

soprattutto nella musica dell’Ottocento. Nella musica del Novecento l’intervallo di

quarta eccedente ha perso questa connotazione infernale e ne sono state esaltate

alcune sue specifiche proprietà, fra cui quella di dividere l’ottava in due parti

esattamente uguali (è l’unico intervallo che coincide con la propria inversione).

Trattandosi di un intervallo in cui compare un numero intero di toni, il tritono è

comune nella scala esatonale: ad esempio nella sequenza do–re–mi–fa#–sol#–la#–do

tutte le quarte sono quarte eccedenti. Nella musica di Debussy il tritono compare con

frequenza straordinaria, fra i tritoni più famosi, quello del celebre attacco del Prélude

à l’Après-midi d’un Faune, riempito dall’arabesco del flauto.

Settima diminuita

Un caso particolare di settima è la settima diminuita, intervallo che contiene 4 toni +1

semitono, come la sesta maggiore, ma, impiegato nel contesto della musica tonale

soprattutto come intervallo discendente, risulta un fondamentale ingrediente

espressivo per segnalare eventi improvvisi, personaggi sinistri, situazioni di pathos,

sorpresa, ansia, terrore. La settima diminuita si costruisce per sovrapposizione di tre

terze minori: considerando la gamma dei 12 suoni, è possibile costruire solo 3 accordi

differenti di settima diminuita. Ciascuno è comune a 4 tonalità (naturalmente tenendo

presente i rivolti e i suoni omologhi). L’accordo di quattro suoni che ne scaturisce è

dunque estremamente versatile, ed è ampiamente utilizzato nella modulazione verso

tonalità lontane.

Rapporti Matematici degli Intervalli

Come è stato sopra sottolineato, l’intervallo di ottava implica un rapporto di

frequenza doppio fra i due suoni che compongono l’intervallo. Lo stesso rapporto si

verifica facendo vibrare una corda, e poi facendone vibrare la metà esatta. Se il suono

della corda che vibra liberamente ha, per ipotesi, 100 vibrazioni al secondo (100 hz),

il suono dell’ottava superiore sarà di 200 vibrazioni al secondo (200 hz), e

corrisponderà al suono della medesima corda trattenuta alla metà. Questo principio

matematico basilare per la determinazione dell’ottava è presente in tutte le culture

musicali, ma la prima indagine sistematica sulle proprietà matematiche dei suoni di

cui abbiamo testimonianza si deve a Pitagora di Samo (VI-V secolo a.C.), al quale è

attribuita l’invenzione del monocordo, uno strumento ad una sola corda con un

ponticello regolabile in modo da dividere la corda in parti proporzionali, così da poter

studiare più agevolmente i rapporti matematici intercorrenti fra suoni di altezza

diversa.

Nella figura qui riprodotta il principio del monocordo (divisione della corda in parti

proporzionali) è applicato al grado di tensione di più corde di identica lunghezza, tese

su una cassa di risonanza. Secondo i pitagorici, infatti, gli stessi rapporti matematici

che si individuano nella determinazione delle altezze tramite divisione proporzionale

della corda si dovrebbero ritrovare anche se corde uguali vengono tese con pesi

differenti che rispettano le stesse proporzioni. Questi ‘esperimenti’ di matematica

musicale furono ripresi e discussi in numerose trattati antichi e e medievali.

L’illustrazione che segue è tratta dal frontespizio del trattato Theorica musice di

Franchino Gaffurio (1480). I numeri che rappresentano i vari pesi definiscono i

rapporti matematici semplici che intercorrono fra alcuni intervalli:

Se i pesi delle corde sono: 4 -- 6 -- 8 -- 9 -- 12 -- 16, avremo (dopo aver ridotto ai

minimi termini le proporzioni) la seguente determinazione matematica degli intervalli

ascendenti di:

ottava (diapason) = 1:2 (= 4:8, 6:12, 8:16)

quinta (diapente) = 2:3 (= 4:6, 8:12)

quarta (diatessaron) = 3:4 (= 6:8)

tono (epogdoos) = 8:9 (che è anche la differenza fra 2:3 e 3:4; infatti: (2:3) : (3:4) =

8:9)

I pitagorici determinarono col sistema proporzionale anche il rapporto matematico di

altri intervalli musicali oltre l’ottava (che chiamavano diapason): sono gli intervalli

giusti, o perfetti, sopra esaminati, di quarta e di quinta e la loro differenza,

il tono (ricordiamo che il sistema temperato moderno altera l’intonazione naturale di

tutti gli intervalli, ad eccezione di quello di ottava, che resta nel rapporto doppio).

Oggi sappiamo che il suono della quinta coincide col terzo armonico: è dunque

anch’esso, come l’ottava, un intervallo naturale. Anche gli intervalli di terza e sesta

maggiore e minore furono determinati attraverso proporzioni matematiche, ma non

essendo in rapporto sesquialtero (cioè tali che il numeratore e il denominatore si

differenzino per una unità) non erano computabili fra le consonanze. Ottava, quinta,

quarta, tono sono intervalli che si ritrovano in moltissime culture musicali. Si

potrebbe dire che sono naturali punti di riferimento per la voce umana e per la

costruzione e accordatura degli strumenti musicali. Averne determinato i valori

matematici costituì dunque una scoperta fondamentale per la nascita della scienza

acustica, che da allora fino alla rivoluzione scientifica galileiana, nel 1600, fu

considerata una scienza matematica (mentre oggi l’acustica è una branca della fisica).

Una particolarità da segnalare rispetto all’esperimento dei pesi: Vincenzo Galilei,

padre di Galileo, musicista e teorico musicale, lo discusse nel suo Discorso sopra la

musica antica et la moderna (1581), dimostrando che i rapporti fra i pesi dovrebbero

essere quadrati rispetto ai rapporti delle lunghezze delle corde; affinché due corde

uguali producano l’ottava è dunque necessario quadruplicare, e non raddoppiare, il

peso di tensione dell’una rispetto all’altra.

Consonanze e Dissonanze

I termini consonanza e dissonanza rimandano alle qualità acustiche suscitate

dall’incontro di due suoni di diversa altezza, siano essi in successione, come negli

intervalli, siano essi in simultanea, come negli accordi. Le sensazioni di gradevolezza

e consonanza o sgradevolezza cioè dissonanza fra suoni in realtà non dipendono

dall’altezza in sé dei suoni, ma anche dai timbri, dalle dinamiche e soprattutto dalla

natura della composizione, cioè dal sistema musicale di riferimento, dall’epoca e

dalla circostanza nelle quali si colloca ogni creazione musicale. Insomma,

consonanza e dissonanza sono parametri di giudizio storicamente determinatisi e

profondamente diversi nelle varie epoche, culture e generi musicali.

Come è stato sopra richiamato, la tradizione teorica pitagorica reputava consonanti

solo gli intervalli giusti, in forza della loro determinazione matematico-

proporzionale. Questo ha fatto sì che nella cultura occidentale la prassi nell’impiego

delle combinazioni di suoni fosse subordinata (almeno nella musica colta, trasmessa

per iscritto) ad un apparato teorico di riferimento. In età medievale, con lo sviluppo

della polifonia, anche gli intervalli di terza e sesta cominciarono ad essere ritenuti

consonanti, benché in modo ’imperfetto’. Fu solo alla metà del Cinquecento che

l’imperfezione si emancipò, grazie alle teorie armoniche di Gioseffo Zarlino, il quale

elaborò il principio del senario: tutti gli intervalli consonanti sono espressi attraverso

proporzioni matematiche semplici, determinate dai primi sei numeri naturali: 1, 2, 3,

4, 5, 6. Fu dunque possibile annoverare fra le consonanze anche la terza

maggiore (4/5), la terza minore (5/6), la sesta maggiore (3/5) e la sesta minore (5/8, il

numero 8 sarebbe ’potenzialmente’ contenuto nel senario, secondo Zarlino). Il

senario zarliniano è alla base della costruzione della scala naturale, impiegata nella

teoria musicale fino all’affermarsi del sistema del temperamento equabile, ed il suo

principio di sovrapposizione delle note per terze, fondamento delle aggregazioni

accordali, fu il principio cardine dell’elaborazione teorica dell’armonia tonale.

Nell’Ottocento lo studio degli armonici ad opera del fisico Helmholtz portò al

superamento della matematica delle consonanze e alla determinazione fisica della

consonanza come fenomeno dovuto al numero di battimenti (le interferenze di onde

sonore fra suoni di frequenza diversa) fra i suoni di un intervallo ed i rispettivi

armonici. Questa fu una teoria ampiamente discussa, soprattutto per la sua incapacità

di giustificare la consonanza all’interno del sistema temperato, dove tutti gli intervalli

ad eccezione delle ottave sono alterati rispetto all’intonazione naturale, ma non per

questo risultano sgradevoli. Nel linguaggio dell’armonia tonale sono consonanti gli

intervalli giusti, le terze e le seste, mentre restano dissonanti le seconde e le settime e

tutti gli intervalli alterati e diminuiti (e, di conseguenza, tutti gli accordi che

contengono tali intervalli). Naturalmente, questo principio non è valido nella

musica atonale e nella musica seriale nelle quali il concetto di consonanza, così come

l’aggregazione per terze degli accordi, non ha significato strutturale.

LA NASCITA DELLA NOTAZIONE RITMICA

Il ritmo musicale iniziò ad essere misurato in base a definiti valori temporali a partire

dalla metà del secolo XII, e per un genere particolare di musica, nato dallo sviluppo

del canto gregoriano: la musica polifonica liturgica. Gli enormi spazi delle cattedrali

gotiche, costruite proprio a partire da quel secolo nell’Europa occidentale, furono il

ricettacolo di una musica che si ampliava in tutte le dimensioni, tra le quali, specie

nelle occasioni solenni, anche la ’dimensione verticale’. La dimensione verticale

della musica è ciò che oggi definiamo polifonia, e consiste nella possibilità di

intrecciare linee melodiche diverse secondo una logica armonica, cioè in modo tale

che il risultato non sia un caos di voci, ma un insieme significativo musicalmente. La

necessità di organizzare due o più linee melodiche in contemporanea implicò la

necessità di elaborare un sistema che regolasse i ritmi di ciascuna in modo che

potessero essere misurati secondo un parametro comune di riferimento, per

permettere il loro reciproco ed esatto intreccio. Il ritmo, dunque, si svincolò dal suo

stretto legame con la parola cantata per divenire elemento di coesione e

organizzazione della costruzione polifonica.

Il nostro attuale sistema di notazione ritmica nacque e si sviluppò a partire da questa

necessità, e, sviluppandosi, arricchì enormemente le possibilità creative della musica.

Il primo compositore occidentale di cui abbiamo notizia fu proprio un maestro della

Cattedrale di Notre Dame di Parigi, il Maestro Leonino, ricordato per la sua perizia

nel comporre organa, i primi canti polifonici in notazione, che impiegavano un

sistema particolare di notazione ritmica, chiamata modale e basata sulla

combinazione fra le principali tipologie di metri classici e i valori musicali allora in

uso (la longa e la brevis). Si aprì dunque, in sviluppi successivi e consolidandosi agli

inizi del secolo XIV, la vastissima stagione della musica mensurata, la musica basata

su un ritmo costruito a partire da valori multipli e sottomultipli di una data unità di

tempo. Tali valori erano rappresentati dalla forma delle note, dalla presenza di aste e

di code sulle aste. La misura di tempo era invece stabilita all’inizio del pentagramma

attraverso una serie di simboli come il punto, il cerchio, il semicerchio: in sostanza, è

il sistema attuale di rappresentazione ritmico/temporale della musica.

Valori di durata e nomi delle note e delle pause

Il sistema moderno di notazione ritmica prevede l’impiego di valori la cui durata

relativa è fissata in modo univoco secondo sottomultipli di 2 (ma non è stato sempre

così: nell’età medievale i valori perfetti di durata erano ternari, su base 3, in ragione

della perfezione trinitaria). I valori sono organizzati in maniera fissa, che si avvale di

simboli chiamati note (discendenti dagli antichi neumi) alle quali è abbinato un nome

ed una durata relativa secondo lo schema seguente:

Questa è l’ossatura che fissa in maniera inequivocabile il rapporto tempo/ritmo.

Stabilito infatti un valore assoluto di durata per una nota, ad esempio una semibreve

(4/4) dura quattro secondi, tutte le altre note, in forza del loro valore relativo,

dovranno durare: due secondi la minima (in quanto vale 2/4, la metà del valore della

semibreve), un secondo la semiminima (poiché vale 1/4 del valore della semibreve),

mezzo secondo la croma (che vale 1/8 del valore della semibreve) e così via. Lo

stesso principio vale anche per i valori di durata delle pause. La pausa è infatti il

silenzio della musica, il momento in cui il suono si arresta nel fluire del tempo

musicale ed esprimendo così un respiro, un’esitazione, la dinamica ritmica o la

naturale conclusione di un brano. Dunque, anche la pausa deve essere misurata

secondo lo stesso principio di misurazione di durata delle note.

Oltre questi valori di durata di base, altri segni sono usati per rappresentare valori

diversi. il punto di valore è un simbolo che, collocato a seguito della nota o della

pausa, la aumenta di metà del suo valore, mentre la legatura di valore è una linea

arcuata che lega due o più note della stessa altezza, in modo che l’unico suono

risultante abbia il valore della loro somma. Ulteriore simbolo di valore è la corona,

che permette all’esecutore di aumentare a piacere il suono cui si riferisce la corona.

Questo simbolo in genere si trova alla fine del brano.

Indicazioni di tempo

Come è stato segnalato alla voce tempo, il metro misura lo scorrere del tempo

secondo una precisa periodicità. Quindi per avere un metro è necessario che, a

intervalli regolari, una delle pulsazioni possegga un accento che la distingua dalle

altre. Nel caso di un metro binario, si ha un accento ogni due pulsazioni. Nel caso di

un metro ternario, un accento ogni tre pulsazioni. La battuta è l’unità metrica

compresa fra due battiti accentati, e nei due casi conterrà rispettivamente due e tre

pulsazioni, la prima delle quali accentata. La battuta è segnalata utilizzando

stanghette verticali. Il brano finisce con una doppia stanghetta.

Nello schema seguente la misura di 4/4, indicata dopo il segno di chiave, determina la

somma di valori da inserire in ciascuna battuta. In questo caso, ogni battuta è riempita

con note dello stesso valore, alle quali corrisponde la rispettiva pausa. La frazione 4/4

indica quattro pulsazioni della durata di 1/4 ciascuna, ma tale valore complessivo si

ottiene in musica utilizzando qualsivoglia fra i valori di durata delle note e delle

pause:

Abbiamo osservato al paragrafo precedente che la nota musicale è il luogo che

rappresenta graficamente il ritmo, mentre il pentagramma è il luogo che rappresenta

non solo l’altezza della nota, ma anche il tempo musicale. La frazione posta all’inizio

del pentagramma, subito dopo il segno di chiave, indica infatti i due fondamentali

elementi temporali. Il numeratore indica se il battito, chiamato anche tactus, si

presenta in gruppi ternari o binari (2, 3 o multipli dei due numeri). Il principio è che il

primo battito è sempre accentato, ha un accento forte, mentre gli altri battiti hanno

accenti più deboli. Il denominatore della frazione indica invece l’unità di misura, il

valore / nota di un battito. Ad esempio: il tempo di 2/4, binario, è il tempo in cui in

ogni battuta vengono scanditi due battiti di un quarto ciascuno, il primo battito con

accento forte, il secondo battito con accento debole; il tempo di 3/4, ternario, è quello

in cui la battuta racchiude tre battiti da un quarto ciascuno, con accenti forte, debole,

debole, il tempo di 4/4 (indicato con il simbolo C), binario, prevede quattro battiti

con accenti forte, debole, mezzo forte, debole:

Lo stesso principio si applica a tutti gli altri tempi, con denominatore in mezzi, ottavi,

sedicesimi, etc. Occorre inoltre considerare che nelle misure ternarie l’unità di misura

è suddivisa in gruppi di tre battiti di uguale valore. Gli esempi fin qui fatti si

riferiscono a misure semplici, nelle quali l’unità di base (nell’esempio precedente il

quarto) è suddivisa in modo binario. Nella musica sono però impiegate anche misure

complesse, sia binarie che ternarie. Tali misure implicano che le note siano

raggruppate per suddivisioni ternarie. Ad esempio, prendendo l’ottava come unità di

misura, il tempo 3/8 è misura ternaria semplice, mentre 6/8 è una misura binaria

composta, perché ogni battito racchiude tre ottavi. Per ottenere una divisione ternaria

è utilizzato il punto, che, come ricordato, aumenta la nota di metà del suo valore. In

sintesi, le misure binarie semplici hanno al numeratore 2 o 4, le ternarie semplici 3, le

binarie composte 6 o 12, le ternarie composte 9. Nello schema seguente, partendo

dalla ternaria semplice 3/8, sono indicate la binaria composta 6/8, la ternaria

composta 9/8 e la binaria composta 12/8:

La scelta di un tempo binario o ternario, semplice o composto, indirizza la dinamica e

la ritmica di un brano, ma vi sono numerose altre possibilità di variazione offerte

dalla notazione musicale per creare effetti ternari in ritmo binario e viceversa. Le più

frequentemente impiegate prevedono l’impiego di raggruppamenti di note, come ad

esempio le terzine o le sestine, che rendono ternaria una divisione binaria di tempo:

Altri espedienti che sono comunemente usati nella musica per alimentare il dialogo

fra ritmo e tempo consistono nella sincope che dà rilievo a battiti non accentati

privando di accento quelli forti, e nel contrattempo, prodotto dall’esecuzione di note

accentate in tempo debole, mentre il battere è contraddistinto da pause.

La ricerca espressiva messa in atto nella musica, ed in particolare nella musica colta

del Novecento, ha condotto, come ricordato alla voce tempo, all’elaborazione di

costruzioni ritmiche e metriche enormemente complesse, giocate sulla irregolarità

degli accenti e la sovrapposizione o giustapposizione di metri diversi. Queste

particolari elaborazioni sono chiamate poliritmia. Un esempio magistrale in tal senso

è il balletto la Sagra della Primavera, capolavoro del compositore russo Igor

Stravinsky, nel quale il ritmo è elaborato con audacia e con varietà di tecniche inedite

su tutti i piani del discorso musicale. L’assetto ritmico della Sagra è determinante non

soltanto come motore, pulsione interna e scansione esterna del tempo, ma anche

come veicolo di elaborazione tematica attraverso ingegnosi stratagemmi di

ripetizione e variazione, sincronizzazione e sfasamenti, regolarità e irregolarità della

battuta, spostamento di accenti ecc., nonché come elemento caratterizzante delle

singole scene e delle loro distinte atmosfere.

Indicazioni di velocità

Fra le indicazioni che rientrano nella dinamica dei tempi e delle misure vi sono anche

una serie di elementi segnalati all’inizio del brano. Anzitutto l’indicazione di

metronomo. Il metronomo è uno strumento meccanico che fu brevettato a Parigi nel

1816 dal costruttore tedesco J. N. Mälzel. Esso permette di scandire il battito

impostando un valore temporale assoluto per l’unità di misura del tempo: ovvero, se

la frazione indica 4/4, l’indicazione di metronomo fornirà la durata temporale della

nota da 1/4 (ad esempio 60 o 100 o 40 note del valore di un quarto al minuto). Non

tutti i compositori, però, si servirono e si servono dell’indicazione di metronomo:

spesso troviamo in apertura di brano una didascalia, di solito in italiano, che

suggerisce la velocità e insieme il carattere del brano, elemento che l’indicazione

metronomica non può rivelare. E’ molto comune, inoltre, trovare didascalie in

partitura anche nel corso della composizione, ogni volta che il compositore (o in

taluni casi l’editore o revisore della partitura) vuole indicare con maggiore efficacia e

puntualità un cambiamento di tempo, di espressione, di carattere, di ritmo. Questi

segni, interpretati dalla personale sensibilità dell’esecutore, sono costituenti di ciò che

generalmente si chiama agogica musicale.

LA MUSICA ELETTRONICA

E' il 1877 quanto l'inventore statunitense Thomas Alva Edison, dopo aver progettato

il suo fonografo, effettua la prima registrazione della storia. Si avvera così l'antico

sogno di "catturare" il suono e poterlo riascoltare un numero infinito di volte

prescindendo dagli esecutori. Il fonografo di Edison è un oggetto piuttosto

rudimentale, dalla qualità sonora assai scarsa se paragonata agli standard attuali. Il

suono viene registrato su cilindri di cera incisi mediante una puntina metallica. La

capacità di registrazione consisteva in quattro minuti circa. Dieci anni più tardi, nel

1887, Emile Berliner trasforma il cilindro di Edison in un disco e chiama

grammofono la macchina utilizzata per leggerlo. Si tratta del primo antenato del

disco in vinile che dominerà il consumo musicale per gran parte del ventunesimo

secolo.

In quegli stessi anni si sviluppa una grande ricerca in ambito musicale nel tentativo di

dare vita a nuovi strumenti musicali, nuove musiche e nuove modalità di fruizione

musicale.

Nel 1897 l'inventore statunitense Thaddeus Cahill costruisce il Telharmonium, primo

strumento che usa l'elettricità per produrre i suoni. Lo strumento è composto da una

doppia testiera e da una fitta rete di cavi e ingranaggi.

L'intuizione di utilizzare la tensione elettrica per produrre suono genera nuove idee.

E' il 1919 quanto Léon Theremin costruisce il Thereminvox. Lo strumento si presenta

dotato di due antenne capaci di captare la distanza delle mani dell'esecutore: una

controlla l'altezza del suono, l'altra controlla l'intensità. Il Thereminvox è uno

strumento che ha avuto un buon successo soprattutto nella realizzazione di colonne

sonore di film di fantascienza. Negli anni successivi vedranno la luce le Onde

Martenot (1928), il Trautonium (1930) e l'organo Hammond (1935). Proprio

quest'ultimo strumento avrà una grande diffusione tra i musicisti jazz e rock.In Italia,

intorno al 1910, Luigi Russolo inventa l'Intonarumori, strumento realizzato

nell'intento di riuscire a manipolare ronzii, gorgoglii, rumori ecc.

Contemporaneamente a quel che accade a livello tecnologico, anche i compositori

iniziano a sviluppare nuovi linguaggi musicali che, con il progredire delle macchine a

disposizione, si allontanano sempre di più dai linguaggi tradizionali.

In Europa le nuove tendenze musicali trovano corpo in Francia e in Germania. Nel

primo caso, nascono gli Office de Radiodiffusion Télévision Française dove verso la

fine degli anni Quaranta inizia a lavorare Pierre Schaeffer dando vita alla Musica

Concreta (ascolta Solfeggio dell'oggetto sonoro di Schaeffer).

Quasi contemporaneamente in Germania nascono gli studi Westdeutscher Rundfunk

dove si lavora alla ricerca di nuovi suoni attraverso generatori elettrici: questo

approccio prenderà il nome di Musica Elettronica. Tra gli esponenti più importanti

della corrente è Karlheinz Stockhausen (dell'autore ascolta Kontakte). In Italia

lavorano presso gli studi di fonologia della RAI compositori come Bruno Maderna,

Luigi Nono e Luciano Berio. Negli anni Sessanta nascono nuove macchine capaci di

produrre nuovi suoni e controllarli comodamente dal vivo: sono i sintetizzatori.

Il primo sintetizzatore è realizzato nel 1964 da Robert Moog.

Grazie alla novità dei suoni generati, alla comodità della tastiera, ai comandi posti sul

pannello frontale e alla facile mobilità dello strumento, il sintetizzatore avrà un

enorme successo presso i musicisti di ogni stile. Infatti, i sintetizzatori vengono

inseriti nei concerti jazz, rock, d'avanguardia ecc.

Nel 1957 nasce un programma per compositori e ricercatori che segna una svolta

epocale: con MUSIC I inizia l'era della musica digitale.

Anche a livello istituzionale si registra un grande interesse per le nuove tecnologie in

ambito musicale, nascono quindi centri come l'IRCAM a Parigi, il Centro di

Sonologia Computazionale di Padova, il centro Tempo Reale a Firenze ecc.

Nella seconda metà degli anni Ottanta si assiste all'espansione dei software per la

programmazione musicale: nel 1983 nasce il protocollo MIDI e sempre negli stessi

anni si diffonde il compact disc.

Il CD sfrutta la tecnologia digitale per la registrazione e questo, oltre a offrire una

qualità audio molto elevata, consente di riprodurre un numero infinito di volte le

tracce audio. Negli anni Novanta si assiste a una nuova, radicale rivoluzione

tecnologica: la nascita di Internet.

Con l'estensione della rete internet e la conseguente diffusione dei computer si è

progressivamente abbandonato l'utilizzo dei supporti fisici (disco, CD) a vantaggio di

formati audio facilmente trasferibili per posta elettronica, bluetooth e sistemi di

messaggeria: si tratta dell'MP3. La diffusione dell'informatica provoca due effetti: la

possibilità per ogni musicista di autoprodurre i risultati della propria creatività

contenendo i costi, e la successiva entrata in crisi dei centri di ricerca e dell'industria

discografica.

A partire dai primi anni Duemila si è assistito alla diffusione di tablet e smartphone in

grado di riprodurre interfacce di strumenti elettronici e analogici. L'avvento di questi

apparecchi ha accelerato ulteriormente il processo di allontanamento da una fruizione

musicale basata sul supporto fisico incoraggiando la dematerializzazione del prodotto

discografico.

Le app stanno rapidamente sostituendo i software per ragioni di prezzo e praticità di

utilizzo.

Alcune pop star sono state in grado di interpretare in modo vantaggioso il

cambiamento dei tempi e volgere a loro favore l'avvento delle novità tecnologiche.

E' il caso dell'artista svedese Bjork, che con l'aiuto del giovane programmatore Max

Weisel, nel 2011 ha presentato il primo album acquistabile in due formati: CD e app.

Si tratta di Biophilia, primo app-album che nella versione app offre un'esperienza

sensoriale giocata sui piani uditivo e visivo.

Oggi si può assistere con sempre maggiore frequenza a concerti in cui l'interfaccia

digitale dialoga con strumenti acustici, o concerti in cui l'interfaccia funziona da

controllo remoto per altre macchine (live electronics).

LA SEMIOGRAFIA MUSICALE

Per definizione il termine semiografia (dal greco sìmêion = segno e graphía =

scrittura) viene usato per indicare un tipo di scrittura costituita da segni abbreviati e

convenzionali, intendendo la parola segno nella sua accezione semiologica così come

viene definita da Ferdinand de Saussure, ovvero: “Segno = rapporto tra significante

(immagine acustica del suono che viene riprodotto) e significato (il concetto che si

esprime)”.

In musica, per semiografia si intende quella parte della teoria musicale che si occupa

dei segni e dei simboli utilizzati per mettere su carta ciò che viene suonato. Si occupa

dunque di trasformare suoni e ritmiche in note e pause che trovano collocazione nel

cosiddetto spartito o partitura.

Il sistema dei segni convenzionali utilizzati nell’ambito della notazione classica viene

così diviso in sezioni:

· Notazione delle altezze tramite il pentagramma, i tagli addizionali, le chiavi, le

alterazioni;

· Notazione delle durate mediante le forme delle stesse note, i segni di

prolungamento quali le legature di valore, il punto di valore, il punto coronato, i

gruppi irregolari, i segni di legato, staccato etc.;

· Notazioni di tempo, di movimento, di intensità, di timbro, abbreviazioni e

abbellimenti indicati con segni numerici o alfabetici all’inizio e durante la

composizione.

Tutto ciò assume un senso logico, preordinato e assoluto fino agli inizi del Novecento,

momento a partire dal quale lo sviluppo ulteriore della composizione, l’avvento delle

macchine per fare musica e la loro conseguente evoluzione, portano i compositori

alla necessità di nuove forme grafiche per esprimere quanto accade nelle proprie

opere.

È in questo momento che la semiografia musicale perde il proprio carattere

istituzionale per assurgere a forma creativa essa stessa. Ogni autore decide, sceglie

accuratamente e utilizza un proprio sistema di segni, che può variare di volta in volta

in base a quanto si desidera comunicare visivamente rispetto a ciò che si è creato.

Questo nuovo modo di scrivere musica diviene inoltre espressione di una

trasmissione di informazioni molto più personale e intima, in quanto diretta

estrinsecazione di ciò che l’artista desidera rendere noto e comprensibile rispetto alla

propria idea compositiva, anche ai fini di un’esecuzione dei propri lavori da parte di

strumentisti; tutto risulta così unico e vario, anche se a volte di difficile

interpretazione, e dà una piena dimensione dell’assoluta indipendenza di ogni singolo

atto creativo appartenente al corpus delle opere di un artista, ma anche rispetto a

composizioni di altri musicisti. Ed è proprio da queste nuove necessità

grafico/espressive, che si rivelano importanti al fine di rendere visibile e

comprensibile l’idea artistica, che prende vita un nuovo modo di intendere la

scrittura musicale, che diviene ora non soltanto semplice annotazione di quanto in un

brano avviene, ma anche elemento fondamentale per un ascolto corretto di quanto

composto.

Nasce in questa ottica la cosiddetta partitura d’ascolto, che potremmo definire come

una vera e propria guida su carta a sostegno di quanto realizzato acusticamente, utile

soprattutto nella misura in cui facilita la comprensione del procedere temporale e

delle dinamiche di flussi di suoni realizzati con l’ausilio dell’elettronica, ai quali è

difficile dare collocazione entro un tradizionale foglio di carta pentagrammata. La

partitura d’ascolto diviene così ulteriore strumento comunicativo, rappresentativo di

quanto viene eseguito, di quanto si vuole far percepire, di quanto non si può

esprimere con i soli mezzi tradizionali, di quanto necessiti di qualcosa di più di un

mero sistema di segni e codici prestabiliti che rendano visibili note, pause, dinamiche

e indicazioni temporali, e in tal senso essa rappresenta un elemento estremamente

importante nell’evoluzione artistica contemporanea.

Tuttavia il concetto di nuova semiografia, sebbene innovativo e personale, arricchito

di elementi unici e forme rappresentative sempre diverse, non si distacca però dalla

semiografia musicale classica in un aspetto grafico sostanziale, ovvero il suo carattere

bidimensionale. Per bidimensionalità si intende l’attinenza di un qualsiasi oggetto,

segno o immagine al campo di due dimensioni spaziali: la larghezza e la lunghezza

(in matematica x e y). Solitamente viene specificata con l’abbreviazione 2D, con il

significato di due dimensioni. Caratteristica di un elemento bidimensionale è

l’assenza, nella sua rappresentazione, della terza dimensione, ovvero la profondità. Di

conseguenza un oggetto bidimensionale si sviluppa e viene rappresentato unicamente

su superfici piane.

Esempi di rappresentazioni 2D sono le fotografie, le stampe, i quadri classici in cui

manca il senso prospettico e così via. A questo modo rappresentativo, al giorno

d’oggi, grazie all’ausilio di macchinari sempre più sofisticati, si contrappone la

tridimensionalità, che indica un oggetto, segno o immagine che si sviluppa

nell’ambito di tre dimensioni spaziali: larghezza, lunghezza e profondità (in

matematica x, y e z). Il suo acronimo è 3D e sta a significare letteralmente tre

dimensioni. Questa abbreviazione viene spesso utilizzata come specifica qualitativa

(vedi ad esempio i termini computer grafica 3D, video 3D, cinema 3D, occhiali 3D,

suono 3D etc.). Ciò che comunemente si ottiene grazie alla rappresentazione 3D, è la

riproduzione prospettica, ovvero dotata di profondità, di immagini, suoni e in

generale di ogni esperienza sensibile, il cui fine è tendenzialmente quello di creare

sensazioni di realtà o quantomeno realisticità nell’approccio nei confronti di quanto

viene riprodotto. Questo percorso delle arti grafiche verso una nuova dimensione

descrittiva porta alla conseguente necessità di evoluzione della rappresentazione del

segno stesso, che richiede l’adeguamento alle nuove tecnologie e ai nuovi linguaggi

artistici, tra i quali emergono in particolare la Computer Grafica e la Computer

Animation, che oggi prendono il posto, o sarebbe meglio dire affiancano, pur non

rinnegandole, tutte quelle tecniche di scrittura e di immagine che consentivano alla

carta stampata o manoscritta l’assoluto primato sulla comunicatività.

STRUMENTI O TIMBRO

Il timbro è quella particolare qualità del suono che permette di distinguere due suoni

con uguale ampiezza e altezza. Il timbro rappresenta quell'attributo della sensazione

uditiva che consente all'ascoltatore di identificare la fonte sonora, rendendola

distinguibile da ogni altra.

Ambito musicale

Come abbiamo detto, qualsiasi suono è generato da un oggetto (strumento) posto

all'interno di un corpo elastico (aria) che viene messo in qualche modo in vibrazione.

Semplice. Ma le relazioni che intercorrono tra l'oggetto che genera un suono, le

caratteristiche fisiche dell'onda sonora generata (altezza, intensità e timbro) e la

percezione multisensoriale di entrambe sono estremamente complesse e abbracciano

diversi ambiti di studio (psicoacustica, antropologia culturale, neuroscienze, etc.). Per

questo motivo una trattazione esaustiva dell'argomento in questa pagina sarebbe

impossibile e fuori luogo, soffermiamoci dunque solo su semplici spunti di riflessione

legati al pensiero musicale e alle sue possibili implicazioni nella pratica compositiva.

Cominciamo con un esempio: osserviamo un percussionista con un tamburo e una

bacchetta. Nel momento in cui la bacchetta colpisce la pelle dello strumento viene

prodotto un suono. Il nostro cervello dopo aver osservato (percezione visiva) una o

più volte il gesto che genera quel determinato suono e aver ascoltato (percezione

auditiva ) il suono prodotto da quel determinato gesto crea una connessione tra i due

sensi, includendo nella nostra memoria esperienziale queste nuove informazioni. Con

il passare degli anni ed il moltiplicarsi delle esperienze visivo/auditive, nel nostro

cervello si crea un immenso database di suoni correlati a oggetti e a gesti che ci

permette di immaginare quel determinato tamburo ogni qualvolta ne sentiamo il

suono corrispondente, anche attraverso una registrazione, in assenza di uno stimolo

visivo.

E' presto detto che ciò vale anche nel caso inverso, ovvero nel momento in cui

osserviamo quel tamburo possiamo richiamare alla memoria e "pensare" il suono (o i

suoni) che può produrre, così come hanno fatto (quasi) tutti i compositori che non

avevano a disposizione campionatori o registratori nell'atto di comporre un brano per

uno o più strumenti, e ancor più nell' orchestrare amalgama di timbri più o meno

omogenei.

J.Brahms - Sinfonia n°4 Op.98

Nel corso della stratificazione culturale propria della tradizione occidentale il

processo appena descritto (assieme ad altre importanti concause) ha favorito

l'astrazione del pensiero musicale quando organizzato in un linguaggio. In questo

caso, un suono rappresenta se stesso anche simbolicamente e non l'oggetto che lo ha

prodotto, svincolandolo dall'esistere solo ad un livello esperienziale/percettivo.

Osserviamo due esempi di suono organizzato che potrebbero sembrare agli antipodi:

- la musica per tastiera di J.S.Bach. Secondo la consuetudine del tempo, l'autore

adotta l'indicazione generica "fur Klavier" (per tastiera) nello specificare in partitura

la destinazione strumentale di alcune composizioni come le Sei Suites Inglesi BWV

807 o la Fantasia cromatica in Re minore BWV 903

J.S.Bach - Fantasia cromatica in Re minore BWV 903

relegando in questo modo il parametro timbrico e la correlazione suono-strumento ad

un ruolo secondario se non del tutto ininfluente rispetto al messaggio trasmesso che è

dato unicamente dall'organizzazione nel tempo di altezze e intensità secondo la

sintassi di un linguaggio astratto condiviso (musica modale/tonale, mensuralismo

ritmico).

- la musica acusmatica che è un tipo di musica elettroacustica dove suoni registrati,

elaborati o generati da computer sono fissati su un supporto e diffusi in concerto da

uno o più altoparlanti. La caratteristica fondante l'estetica che sta alla base di questa

forma d'arte risiede proprio nel principio di non riconoscibilità della sorgente sonora.

Bernard Parmegiani - Espèces d'espaces

"...rumore acusmatico si dice di un suono che si ascolta senza scoprirne le cause.

Ebbene, questa è la definizione stessa dell'oggetto sonoro, questo elemento di base

della musica concreta, musica la più generale che sia, di cui la testa sarebbe vicino al

cielo e i cui piedi toccherebbero il regno dei morti..." (Jérome Peignot)

Partendo da questa idea i suoni impiegati in queste composizioni vengono

generalmente organizzati nel tempo attraverso un linguaggio (spesso soggettivo, poco

condiviso o creato solo per il brano specifico) i cui elementi sintattici principali sono

i parametri morfologici del suono stesso e dove non c'è un oggetto/strumento che

produce suono ma un oggetto sonoro che è suono.

La percezione di questa particolarità è rafforzata dal fatto che i brani sono

generalmente diffusi in concerto da orchestre di altoparlanti (acusmonium) che,

sebbene possano essere pensati come enormi strumenti musicali con proprie

caratteristiche timbriche, nei confronti dei suoni diffusi assumono una valenza neutra

(imprimono le loro caratteristiche su qualsiasi tipo di suono diffuso) e anche

l'eventuale presenza di un esecutore alla consolle per l'interpretazione della diffusione

multicanale è visivamente minimizzata collocandolo in mezzo al pubblico, non sul

palcoscenico.

Nelle tendenze più recenti della musica d'arte inoltre si è sviluppata una corrente

musicale che segue il percorso poetico iniziato tra gli altri da Helmut Lachenmann e

che persegue la creazione di una musica acusmatica strumentale dove il timbro

storicizzato di strumenti acustici appartenenti alla tradizione musicale occidentale

viene snaturato in oggetto sonoro destoricizzato non attraverso l'impiego di mezzi

elettroacustici (sia per quanto riguarda l'elaborazione del suono, sia la sua diffusione)

ma di tecniche strumentali aumentate. In questi casi l'oggetto/strumento diventa

anche idealmente un oggetto musicale.

H.Lachenmann – Pression

Infine possiamo incontrare ulteriori implicazioni musicali e possibili interessanti

sviluppi di quanto appena esposto nei brani di musica mista ovvero che prevede

l'impiego sia di strumenti acustici che elettroacustici, dove il suono generato dai

primi sul palcoscenico viene trasformato in tempo reale dalla strumentazione

elettroacustica, mixato con suoni preregistrati su supporto, oppure fatto percepire

come proveniente da un altro punto nello spazio attraverso sistemi di diffusione

multicanale.

Affronteremo nel dettaglio la specificità di queste problematiche nella terza sezione

di questo sito (Dinamiche Umane) proprio perché strettamente correlate

all'interazione uomo macchina.

Oltre alle tipologie riguardanti il rapporto timbro/suono/sorgente sonora appena

esposte tutte strettamente legate al mondo musicale inteso nell'accezione più

tradizionale di concerto/performance si apre ai nostri giorni una vastissima casistica

di applicazioni del suono in luoghi specifici sotto forma di paesaggio sonoro. In ogni

luogo, in ogni spazio è infatti possibile individuare una precisa sonorità urbana che lo

contraddistingue. Ogni luogo è caratterizzato da un campo sonoro scomponibile in

diverse categorie e componenti: gli sfondi che comprendono condizioni sonore stabili

e caratterizzano spazi passanti o di grande dimensione; le sequenze di fenomeni

compositi associati ad attività reiterate come mercati, scuole o al tipo di circolazione

(mono o multimodale); gli avvenimenti-segnale che comprendono le fonti sonore

puntuali ed emergenti (campane, sirene). Il campo sonoro urbano si può considerare

inoltre suddiviso in tre componenti che creano fenomeni composti: le fonti sonore,

variabili in relazione ai caratteri morfologici e funzionali dello spazio costruito; gli

spazi di diffusione, intesi come luoghi di propagazione del suono; la percezione del

luogo, che riguarda l’assegnazione di significati allo spazio costruito. Questo

trinomio definisce il concetto di forma sonora urbana. Le forme sonore urbane sono il

risultato di componenti involontarie, di azioni e di interventi, di forme e di materiali.

Modificando e rendendo in qualche modo volontarie queste componenti sonore

possiamo cambiare la percezione di un luogo e degli oggetti o attività umane in esso

contenute. Diviene chiaro ora come la relazione tra oggetto (strumento), gesto

(azione) e correlazione timbrica diventi fondamentale in un'operazione di sound art.

Bill Fontana - Silent Echoes Sunny Evening

Ambito fisico acustico

Il timbro dei suoni naturali è influenzato da moltissimi parametri variabili come ad

esempio le caratteristiche fisiche dei materiali con cui è costruito uno strumento o

dell'oggetto che ha prodotto un determinato suono e dal modo in cui è messo in

vibrazione. Tutti questi parametri concorrono a formare una rappresentazione fisica

del timbro di quel suono ovvero la sua forma d'onda, che descrive come varia nel

tempo la pressione atmosferica (o il voltaggio di un segnale) nel produrre quel

determinato suono. Nella figura sottostante sono illustrate tre diverse forme d'onda, la

prima rappresenta un suono puro, la seconda un suono complesso periodico mentre la

terza suono complesso aperiodico.

Suono puro

Suono complesso periodico

Suono complesso aperiodico

Gli elementi principali che contribuiscono alla caratterizzazione delle forme d'onda

sono due:

- nel dominio della frequenza le componenti spettrali

- nel dominio del tempo l'inviluppo spettrale

Osserviamoli nel dettaglio:

Componenti spettrali o spettri sonori. I suoni presenti in natura non producono mai

suoni puri (onde sinusoidali perfette) come quelli illustrati nelle figure osservate fino

a questo punto ma sono caratterizzati da forme d'onda molto differenti tra loro e

dunque da suoni complessi. Un suono complesso è il risultato della sovrapposizione

(somma) di più suoni puri con frequenza, ampiezza e fase differenti.

Per chiarire ulteriormente possiamo pensare uno spettro sonoro come un accordo

musicale le cui singole note sono eseguite da suoni sinusoidali (un singolo suono

puro per ogni nota) che l'orecchio umano non percepisce come un accordo formato da

più note ma come un singolo suono con un determinato timbro:

Ogni suono puro che concorre a formare uno spettro complesso può essere chiamato

suono armonico o parziale. La differenza terminologica tra queste due definizioni è

sottile e implica la conoscenza del tipo di spettro a cui si riferisce. Fondamentalmente

gli spettri sonori possono essere suddivisi in due grandi famiglie la cui

differenziazione è data dai rapporti frequenziali intercorrenti tra le componenti pure

che li formano:

- Spettri armonici. Le frequenze dei parziali seguono rapporti formati da numeri

interi: 1:1 1:2 1:3 1:5 ...

In questo caso i parziali possono essere chiamati anche armonici dove il suono

(usualmente) più grave che corrisponde al rapporto 1:1 è chiamato fondamentale ed è

quello che generalmente caratterizza l'altezza percepita di quel suono complesso,

mentre i parziali successivi sono chiamati primo armonico, secondo armonico, e via

dicendo fino idealmente a infinito.

In questo caso, stabilita la frequenza fondamentale in Hertz per ricavare le frequenze

degli armonici basterà moltiplicarla per i numeri interi ottenendo una serie armonica:

La forma d'onda di questi suoni può essere solamente periodica, ricordando infine

che il timbro è caratterizzato anche dalla presenza o meno di alcuni armonici e dalle

loro differenti ampiezze e fasi.

- Spettri inarmonici

Le frequenze dei parziali non seguono alcun rapporto particolare, o meglio non sono

in rapporto con un suono fondamentale che in questo caso spesso è assente:

4:2 12:8 1:3.6 5.2:1.3 ...

La forma d'onda di questi suoni può essere sia periodica che aperiodica.

A questo punto possiamo affermare che tutti i suoni possibili sono composti da spettri

compresi in un range che idealmente va dal suono più puro (la singola sinusoide) al

suono più complesso (il rumore bianco) le cui caratteristiche oscillano tra suoni

inarmonici, suoni quasi armonici e suoni armonici.

Tutto quello che abbiamo appena osservato si basa su un teorema enunciato dal fisico

francese J.Fourier nei primi anni dell'800 che recita:

Qualunque segnale periodico può essere scomposto nella somma di un eventuale

termine costante e di segni sinusoidali, dei quali il primo, avente lo stesso periodo e

quindi la stessa frequenza del segnale considerato, si chiama prima armonica o

fondamentale, e gli altri, aventi periodi sottomultipli e quindi frequenze multiple, si

chiamano armoniche superiori.

- Inviluppo spettrale o transitori

Le tipologie di spettri sonori che abbiamo appena descritto si riferiscono a fotografie

istantanee di un suono. Il fatto è che il suono è un’entità "vivente" che comincia dal

silenzio, segue una parabola ben delineata e scandita in diverse fasi temporali e infine

torna al silenzio. Possiamo schematizzare il susseguirsi di queste fasi nel modo

seguente:

- un attacco (Attack) che corrisponde a come il suono viene generato dal silenzio.

- una fase di sostegno (Sustain) nella quale generalmente il contenuto spettrale si

stabilizza.

- una fase di decadimento (Release) che corrisponde al modo in cui il suono torna al

silenzio.

Queste tre fasi principali costituiscono quello che viene definito l'inviluppo

d'ampiezza di un suono. Nella figura sottostante sono illustrati gli inviluppi di

ampiezza caratteristici di alcuni strumenti musicali:

Durante queste fasi il contenuto spettrale del suono emesso non è costante ma varia

nel tempo e dunque il timbro di uno strumento è determinato dall'evoluzione del

contenuto spettrale del suono nel tempo. Ogni singolo parziale segue un proprio

inviluppo d'ampiezza, che sovrapposto agli inviluppi degli altri parziali forma

l'inviluppo spettrale di un suono. Ad esempio lo spettro del suono di un pianoforte è

molto più vicino al rumore bianco al suo attacco (nei primi millisecondi) quando il

martelletto colpisce le corde, si stabilizza in uno spettro armonico ricco dato dalle

caratteristiche fisiche del corpo dello strumento nella fase di sostegno per poi

rarefarsi vero pochi suoni puri di risonanza quasi-armonici nella fase di rilascio.

DINAMICA O AMPIEZZA

L’intensità di un suono descrive l’ampiezza delle variazioni dell’onda sonora e

fornisce una misura dell’energia da essa trasportata. In termini musicali è data dal

rapporto tra i suoni più deboli e quelli più forti che caratterizzano la dinamica di un

brano.

Misure e simboli musicali

• dinamica, espressa in simboli musicali. In questo caso i valori sono quasi sempre

relativi al contesto musicale, ovvero un "forte" in una Sonata per violino barocca non

ha la stessa intensità di un "forte" dato agli ottoni in un Poema Sinfonico di R.Strauss.

E' questo un concetto che si avvicina alla misurazione fisica "relativa" in decibels che

osserveremo tra poco, ma che ha in se anche una valenza soggettiva e un aspetto

intuitivo/interpretativo che va ben oltre alla semplice misura dell'intensità di una

forma d'onda.

• key velocity, espressa in valori numerici tra 0 e 127. Anche se questa unità di misura

assume un aspetto di codifica "musicale" è, a differenza della precedente espressa in

valori assoluti. Un suono con una key velociy di 127 sarà sempre "il più forte

possibile e avrà sempre la stessa intensità indipendentemente dal contesto musicale.

Misure e simboli fisici

La dinamica di un suono in fisica si definisce con il termine ampiezza. Questo

termine può infatti essere usato sia riferito a un'onda sonora (ambito delle variazioni

di pressione), sia ad un segnale audio analogico (ambito del voltaggio) sia ad un

segnale audio digitale (valori dei campioni). Se prendiamo in considerazione l'aspetto

fisico acustico e non la percezione umana questo parametro è indipendente dalla

frequenza come possiamo osservare nella figura seguente che illustra la

rappresentazione di tre suoni aventi la stessa frequenza ma ampiezze differenti:

Per convenzione l'ampiezza di un segnale audio è compresa tra +/- 1.0.

Il termine ampiezza è però troppo generico e per evitare confusione dobbiamo

aggiungere un aggettivo per distinguere tra due differenti modalità di misurazione:

• ampiezza istantanea.

Questo tipo di ampiezza è semplicemente la misura del valore di energia in un

preciso istante del tempo, ovvero nella rappresentazione dei segnali su un piano

cartesiano, il valore misurato sull'asse delle ordinate (y) in un preciso punto sull'asse

delle ascisse (x). Come esempio possiamo pensare a un segnale audio digitale che è

descritto da una successione di numeri corrispondenti alle ampiezze istantanee dei

singoli campioni (entreremo nel dettaglio più avanti).

...1.0 0.75 0.5 0.25 0.0 -0.25 -0.5 -0.75 -1.0 -0.75 ...

Oppure per quanto riguarda segnali non discreti (come le variazioni di pressione

atmosferica o i segnali audio analogici) corrisponde alla misurazione di un singolo

valore in un preciso istante di tempo (nella figura seguente il valore di un singolo

puntino rosso).

Ampiezza assoluta

Questo tipo di ampiezza invece non prende in considerazione il singolo valore in un

determinato istante, ma l'insieme dei valori di un segnale in un tempo finito e la

misurazione può essere effettuata in due modi:

o ampiezza di picco ovvero il valore assoluto di energia più alto tra quelli compresi in

un tempo finito o in termini musicali il suono più forte di un brano o di una parte di

esso. Se osserviamo l'immagine sottostante il punto che più si discosta dallo 0 sia in

positivo che in negativo (in questo caso il valore a onset 0.1 è l'ampiezza di picco di

questo segnale e corrisponde a 1.5).

RMS (Root Mean Square o valore efficace) ovvero una particolare media dei valori

di energia tra quelli compresi in un tempo finito. Vediamo come calcolarlo

prendendo come esempio i valori delle ampiezze istantanee del segnale rappresentato

nell'ultima figura:

0.0 1.5 1.0 0.4 0.6 0.0 -0.4 -0.2 -1.0 -1.5 0.0

Per prima cosa calcoliamo il quadrato (Square) di ogni singolo valore:

0.0 2.25 1.0 0.16 0.36 0.0 0.16 0.04 1.0 2.25 0.0

Poi calcoliamo ora la media matematica (Mean) di questa sequenza numerica

(osserviamo che il quadrato dei numeri negativi li ha trasformati in positivi):

0.65636363636364

Infine calcoliamo la radice quadrata (square Root) del valore ottenuto per "annullare"

l'elevazione al quadrato effettuata nel primo passo:

RMS = 0.81016272215132

In Super Collider:

[0.0,1.5,1.0,0.4,0.6,0.0,-0.4,-0.2,-1.0,-1.5,0.0]. squared.mean.sqrt;

• La principale differenza tra ampiezza di picco e RMS sta nel fatto che la prima è un

valore univoco indipendente dall'andamento del segnale mentre la seconda è

strettamente legata alle caratteristiche morfologiche del segnale come illustrato

nell'immagine seguente:

Dopo aver osservato le differenze tra ampiezza assoluta e ampiezza relativa possiamo

ora soffermarci sulle unità di misura impiegate per misurare le variazioni d'ampiezza

o meglio i rapporti che intercorrono tra suoni con intensità differenti. Questo

parametro è anche comunemente chiamato volume o fattore di amplificazione. Per

meglio comprendere possiamo pensare che nell'ambito elettroacustico tutti i

generatori (o trasformatori) di segnali audio producono come output segnali con

ampiezza di picco uguale a 1.0, i cui valori di ampiezza istantanea oscillano dunque

tra +/- 1.0.

Segnale analogico

Segnale digitale

Se prendiamo ad esempio tutti i valori delle ampiezze istantanee di un segnale

digitale e li moltiplichiamo per 1.0 otterremo lo stesso segnale, ma se li

moltiplichiamo per 0.5 otterremo un segnale con la stessa frequenza ma con

l'ampiezza dimezzata, mentre se li moltiplichiamo per 0.0 otterremo un segnale

corrispondente al silenzio. Le figure seguenti illustrano dei fattori di moltiplicazione

che variano nel tempo e che generano dunque crescenti e/o diminuendi.

Per quanto riguarda questi fattori di moltiplicazione che regolano i rapporti in un

ambito (range) dinamico ci sono principalmente tre diverse unità di misura:

• ampiezza lineare.

Unità di misura assoluta espressa in valori numerici compresi tra 0.0 e 1.0, dove 0.0

corrisponde al silenzio, 1.0 al suono più forte e 0.5 alla esatta metà del segnale.

Questa unità di misura è la più semplice ma anche la più lontana dalla percezione

umana riguardo i cambiamenti di intensità dei suoni. Infatti quando uno strumentista

esegue un crescendo o un diminuendo con uno strumento acustico, istintivamente li

organizza seguendo una curva logaritmica o esponenziale per rafforzarne l'efficacia

musicale. Lo stesso dicasi per acceleranti e ritardanti.

• ampiezza quartica.

Unità di misura assoluta espressa in valori numerici compresi tra 0.0 e 1.0, dove 0.0

corrisponde al silenzio, 1.0 al suono più forte ma 0.5 non è la metà esatta del segnale

in quanto segue una curva esponenziale così come possiamo osservare nella figura

precedente. E' l'unità di misura più vicina alla percezione umana. Per ottenere i valori

corretti dei fattori di moltiplicazione basta elevare l'ampiezza lineare alla quarta

potenza. Essendo compresi tra 0.0 e 1.0 l'ambito (range) rimane lo stesso.

valore^4

Dove "valore" significa il valore dell'ampiezza lineare (sempre tra 0.0 e 1.0) da

convertire.

In Super Collider la sintassi è semplice:

0.5.pow(4);

• decibels (dB).

Unità di misura relativa espressa in valori numerici compresi tra 0.0 e -infinito (o

+infinito a seconda del tipo di misurazione), dove 0.0 corrisponde al segnale

inalterato, -infinito al silenzio e -6.02 ca. alla metà del segnale. Questa è l'unità di

misura più utilizzata nell'ambito elettroacustico perché meglio si adatta alle

caratteristiche implicite di una catena elettroacustica, dove il suono, sotto forma di

corrente elettrica (variazioni di tensione alternata), entra ed esce da diversi dispositivi

(devices) collegati tra loro attraverso cavi.

In questa situazione abbiamo bisogno di misurare ed eventualmente modificare

l'ampiezza del segnale sia all' ingresso di un dispositivo, sia all'uscita dello stesso.

Ecco che si rende necessaria un'unità di misura relativa a questo rapporto e non in

termini assoluti. Se diciamo "questo suono misura 0 dB" non stiamo dando alcuna

informazione riguardo alla sua effettiva intensità, in quanto 0 dB significa che

l'ampiezza di un segnale (suono) che entra in un dispositivo è uguale a quella che

esce. Questo vuole dire mettere in relazione due valori, non misurarne uno in termini

assoluti. Facciamo un esempio musicale. Posso dire correttamente: "tra il suono più

piano di una chitarra acustica non amplificata e quello più forte ci sono 24 dB" ma

anche: "tra il suono più piano e il suono più forte di un trombone tenor-basso ci sono

24 dB". In questo caso i livelli di pressione sonora dei due strumenti sono molto

diversi ma il rapporto che intercorre all' interno del loro range dinamico è lo stesso.

Vediamo infine come convertire i fattori di moltiplicazione espressi in ampiezza

lineare (tra 0.0 e 1.0) in dB. La formula, semplificando è la seguente:

20*log[10](valore)

Dove "valore" significa il valore dell'ampiezza lineare (sempre tra 0.0 e 1.0) da

convertire. In Super Collider la sintassi è semplice:

20*log10(0.5); 0.5.ampdb; -6.02.dbamp;

Così come la misurazione quartica dell'ampiezza, anche i dB seguono una curva non

lineare per avvicinarsi il più possibile alla sensazione uditiva umana relativa ai

cambiamenti di ampiezza.

Phon o livello di sensazione sonora

Fino ad ora abbiamo affermato che frequenza e ampiezza in ambito fisico/acustico

sono due parametri indipendenti e abbiamo visto come possiamo misurarli anche in

ambito elettroacustico. Ma nel momento in cui il suono giunge all'orecchio le cose si

complicano, infatti il sistema uditivo umano non è formato soltanto dall'orecchio: il

modo in cui le informazioni trasmesse dal nervo acustico vengono elaborate dal

cervello è, in una certa misura, addirittura più importante delle informazioni stesse.

Chi non ha sperimentato l'esperienza di non sentire un suono che in quel momento

non interessava?

Basterebbe questo semplice fatto a provare come le informazioni acustiche vengano

filtrate, selezionate, modificate dal cervello. E la percezione dell'intensità dei suoni

cambia in relazione alla frequenza legando di fatto i due parametri. Nella figura

sottostante è illustrato il diagramma di Fletcher e Munson, che rappresenta la

sensibilità dell'orecchio alle diverse frequenze e per diverse pressioni sonore.

Sull'asse verticale sono presenti le pressioni sonore in dB mentre sull'asse orizzontale

le frequenze in scala logaritmica. Le curve, chiamate curve di uguale livello sonoro o

isofone, dicono quale pressione sonora è necessaria, alle diverse frequenze, per dare

la medesima impressione di intensità. L'unità di misura è il phon che rappresenta

dunque l'udibilità soggettiva dell'orecchio umano, che in determinati casi, non

coincide con la differenza oggettiva che due suoni hanno tra loro.