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1 LA CRISTALLIZZAZIONE LEZIONI DI CONTROLLO E SICUREZZA DEI PROCESSI PRODUTTIVI IN AMBITO FARMACEUTICO PROF. SANDRA VITOLO [email protected]

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LA CRISTALLIZZAZIONE

LEZIONI DI CONTROLLO E SICUREZZA DEI PROCESSI PRODUTTIVI IN AMBITO

FARMACEUTICO

PROF. SANDRA VITOLO [email protected]

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Nella produzione di ingredienti farmaceutici attivi (API: Active Pharmaceutical Ingredients) la

cristallizzazione rappresenta uno stadio di processo fondamentale.

Nel processo di cristallizzazione un composto chimico disciolto in soluzione si separa formando

una fase solida cristallina.

OBIETTIVI E VINCOLI DELLA CRISTALLIZZAZIONE

La cristallizzazione è estensivamente impiegata per

1. Separare e purificare i composti organici (intermedi e finali) all’interno di un procedimento

di sintesi.

2. Conferire ai composti le proprietà fisiche ottimali sia per le fasi del procedimento di sintesi

che per le operazioni di fabbricazione della forma farmaceutica finale in cui l’ingrediente

attivo sarà impiegato.

La progettazione ed il controllo delle condizioni ed apparecchiature di processo sono condizionati

da aspetti economici e produttivi (rese, capacità produttiva, impatto ambientale, scalabilità dalle

condizioni di laboratorio).

Obiettivi

Separazione e Purificazione

La sintesi di API comporta generalmente numerose trasformazioni chimiche alternate a stadi di

purificazione finalizzati ad ottenere l’ingrediente desiderato ad elevata purezza (tipicamente >99%).

La scelta e la collocazione degli stadi di purificazione e separazione all’interno di un procedimento

di sintesi comportano una intensa attività di ricerca e sviluppo su scala di laboratorio. Ad esempio,

tra uno stadio di sintesi ed il successivo occorre stabilire se sussista la necessità di effettuare

separazioni per:

Abbattere le impurezze (siano esse già presenti nei reagenti o prodotte dalla reazione)

Aumentare la purezza degli intermedi e del prodotto

Stabilizzare gli intermedi mediante solidificazione (per evitare, ad esempio, racemizzazioni

se stoccati in soluzione)

Controllare la purezza chirale.

Le separazioni vengono realizzate prevalentemente promuovendo la formazione di una fase solida

per cristallizzazione e procedendo quindi a separare fisicamente il solido dal mezzo liquido in cui

vengono realizzate le sintesi.

Prestazione del prodotto

Il secondo obiettivo della cristallizzazione è principalmente focalizzato sull’ottenimento di

specifiche proprietà fisiche dell’API che ne garantiscano la processabilità a valle (essiccamento,

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macinazione, formulazione) nonché le desiderate prestazioni del formulato in vivo/vitro, tra le quali

le più rilevanti risultano:

Forma cristallina

Distribuzione granulometrica

Morfologia e proprietà di flusso delle polveri

Forma cristallina

Lo stesso attivo può assumere allo stato solido forme cristalline diverse. I solidi polimorfi sono

caratterizzati dalla stessa composizione

chimica ma diversa struttura reticolare

cristallina. Nei solvati e idrati

(pseudopolimorfi) molecole di solvente o

acqua sono incorporate nel reticolo

cristallino; se reversibili, possono perdere

tali molecole mantenendo inalterato il

reticolo oppure, se irreversibili, possono

divenire polimorfi o solvati con reticolo

diverso o perdere la cristallinità (amorfi).

I cocristalli sono simili ai solvati con la

differenza che le molecole di solvente o

acqua sono sostituite da sostanze non volatili

(ad esempio nicotinammide, acido benzoico)

che formano complessi con l’API.

La forma cristallina dell’API è fondamentale in quanto ne influenza alcune proprietà:

solubilità

punto di fusione

velocità di dissoluzione e biodisponibilità della forma farmaceutica solida

stabilità chimico-fisica

abito e associate proprietà delle polveri (flusso, densità di bulk, comprimibilità)

Pertanto, nella progettazione del processo di cristallizzazione, la forma cristallina desiderata viene

stabilita preliminarmente. Nel caso degli intermedi, la forma viene selezionata in modo da favorire

le condizioni di cristallizzazione, la filtrabilità, la stabilità chimico-fisica. Per l’API la forma è

scelta per ottimizzare le prestazioni del formulato finale (biodisponibilità, velocità di dissoluzione,

stabilità chimico-fisica).

Morfologia e proprietà di flusso delle polveri

La morfologia delle particelle, spesso indicata come abito (habitus) cristallino, è di fondamentale

importanza in quanto influenza il comportamento delle polveri all’atto del loro trasporto e

stoccaggio (trasportabilità) e della loro lavorazione (comprimibilità).

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Le proprietà di flusso di una polvere possono essere dedotte dai valori di densità.

La densità apparente (o di bulk) di una polvere è la densità misurata sulla polvere tal quale (massa

della polvere sul volume occupato).

Mediante scuotimento meccanico della polvere si ricava un secondo valore di densità (tap density)

che fa seguito ad un impaccamento (in condizioni controllate) della polvere stessa.

Si definisce numero di Hausner il rapporto tra tap e bulk

density. Questo rapporto è un indice della comprimibilità

della polvere e al tempo stesso della sua trasportabilità.

Polveri caratterizzate da un numero di Hausner < 1,2

mostrano in genere buone proprietà di flusso, mentre per

numero di Hausner > 1,4 si ha una elevata propensione

alla comprimibilità che può portare a fenomeni di

impaccamento (bridging) e flusso non massivo (ad

esempio il cosiddetto rat-holing) nelle apparecchiature di

trasporto e stoccaggio.

Gli abiti cristallini che conferiscono

alle polveri le migliori proprietà in

termini di separazione, essiccamento e

trasporto sono quelli maggiormente

regolari (equant/block e bipiramidali)

in quanto, non presentando una

dimensione preferenziale di

accrescimento, rendono le particelle

assimilabili a una sfera con un rapporto

superficie/volume minore. Questi abiti

sono in genere caratterizzati da numeri

di Hausner < 1,2 e densità di bulk > 0,3

g/cm3.

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Gli abiti caratterizzati da un accrescimento del cristallo in una direzione preferenziale (acicular cioè

aghiformi, blade cioè laminari) pongono notevoli difficoltà di processo e fabbricazione (tempi

maggiori di separazione, problemi di agglomerazione, difficoltà di flusso). Essi sono caratterizzati

da numeri di Hausner > 1,3 e densità di bulk < 0,2 g/cm3.

D’altro canto, un abito cristallino caratterizzato da un elevato rapporto superficie/volume può

conferire al prodotto migliori prestazioni in vivo. Occorre pertanto trovare un giusto compromesso

tra le diverse proprietà.

L’abito cristallino assunto dal prodotto all’atto della cristallizzazione dipende da molteplici fattori

tra cui principalmente:

stato di idratazione/solvatazione della molecola

solvente impiegato nella cristallizzazione

impurezze presenti all’atto della cristallizzazione

Distribuzione granulometrica

Il controllo della distribuzione granulometrica nel processo di cristallizzazione è fondamentale in

quanto essa può influenzare:

livelli di esposizione ai pazienti e specifiche derivanti dai test in vitro (ad es. dissoluzione

del prodotto): le particelle cristalline di maggiore dimensione possono dissolversi più

lentamente di quelle di dimensioni minori per il loro minore rapporto area

superficiale/volume

la produzione della forma farmaceutica finale: a parità di abito cristallino le proprietà di

trasporto e di miscelamento delle polveri cristalline dipendono dalla loro granulometria e

queste proprietà sono di fondamentale importanza nella granulazione (operazione in cui

l’API è miscelato con eccipienti, lubrificanti, disintegranti prima della fabbricazione della

forma finale)

l’uniformità del dosaggio dell’API nella forma farmaceutica finale.

Tipicamente, le distribuzioni

granulometriche sono determinata

su base volumetrica (mediante

analizzatori laser) o massiva

(mediante setacciatura), indicando

le percentuali in massa o in

volume di prodotto associate a dati

intervalli dimensionali delle

particelle. Il fattore di conversione

tra distribuzione granulometrica in

volume e quella in massa è la

densità di bulk delle particelle.

Esempio di distribuzione granulometrica in volume: d10, d50 e d90 indicano la

dimensione delle particelle al di sotto della quale ricade, rispettivamente, il 10,

50 e 90% del volume totale del prodotto (ad esempio questa distribuzione

indica che almeno il 50% del volume del prodotto presenta una dimensione

inferiore o uguale a 60,624 µm).

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Oltre all’abito cristallino, la distribuzione granulometrica ha un effetto significativo sulla densità di

bulk e sulla tap density della polvere:

all’aumentare della dimensione delle particelle diminuisce la bulk density

in presenza di distribuzioni bi o pluri modali (due o più dimensioni caratteristiche delle

particelle) aumenta la tap density (le particelle di dimensioni inferiori tendono ad occupare

gli interstizi tra le particelle di dimensioni maggiori creando fenomeni di impaccamento)

Vincoli

Solubilità

La solubilità rappresenta un vincolo di carattere termodinamico ed è determinata dalla temperatura

e dalla natura e composizione del mezzo solvente. L’attività sperimentale finalizzata all’ottenimento

dei dati di solubilità di un attivo in funzione della temperatura in solventi di diversa natura e

composizione è pertanto fondamentale. Attraverso tali dati è possibile procedere alla selezione del

solvente più idoneo che possa coniugare elevate rese di separazione con un ridotto impatto

ambientale che è legato a:

tossicità del solvente

quantità di solvente impiegato (preferibilmente <10 L/kg soluto)

facilità di recupero del solvente (preferenzialmente uso di solvente singolo e non miscele)

punto di ebollizione del solvente (preferenzialmente 55-100°C)

Poiché la purezza del prodotto finale riveste importanza fondamentale, la selezione del mezzo

solvente procede anche attraverso la conoscenza dei dati di solubilità delle impurezze.

Dai dati di solubilità si calcola la resa di cristallizzazione:

𝑌 =𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜1𝑚𝑠𝑜𝑙𝑣𝑒𝑛𝑡𝑒1 − 𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜2𝑚𝑠𝑜𝑙𝑣𝑒𝑛𝑡𝑒2

𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜1𝑚𝑠𝑜𝑙𝑣𝑒𝑛𝑡𝑒1∙ 100

con

Ssoluto1 e Ssoluto2 la solubilità del soluto alla temperatura e composizione di dissoluzione e alla

temperatura e composizione di separazione, rispettivamente

msolvente 1 e msolvente2 la massa del solvente alla temperatura e composizione di dissoluzione e alla

temperatura e composizione di separazione, rispettivamente.

Cinetica di cristallizzazione

La cinetica di cristallizzazione indica la velocità con cui il soluto si trasferisce dalla soluzione alla

fase solida. Se la solubilità è il fattore determinante per il controllo degli obiettivi di separazione e

purificazione, i meccanismi cinetici rappresentano la chiave per il controllo degli obiettivi legati alle

proprietà del prodotto che ne determinano le prestazioni.

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La forza motrice dei meccanismi cinetici è la sovrasaturazione, espressa come:

𝑆𝑜𝑣𝑟𝑎𝑠𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 𝐶𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 − 𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜

𝑅𝑎𝑝𝑝𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑣𝑟𝑎𝑠𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 =𝐶𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜

𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜

𝑆𝑜𝑣𝑟𝑎𝑠𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑟𝑒𝑙𝑎𝑡𝑖𝑣𝑎 =𝐶𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 − 𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜

𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜

dove Csoluto è l’effettiva concentrazione del soluto e Ssoluto è la solubilità di equilibrio alla stessa

temperatura.

Una soluzione sovrasatura è termodinamicamente instabile ma non cristallizza necessariamente

poiché la formazione di aggregati solidi nella massa della soluzione comporta il superamento di una

soglia di energia (analoga all’energia di attivazione nelle reazioni chimiche) per la creazione di una

separazione (superficie) tra la fase fluida e la fase solida.

La formazione dei cristalli avviene secondo due meccanismi fondamentali: nucleazione e

accrescimento.

Nucleazione

Consiste nella formazione di nuovi cristalli nella massa della soluzione: Si distingue tra

nucleazione primaria ovvero formazione di nuovi cristalli dalla soluzione priva di cristalli;

essa può essere omogenea (insorge nella massa della soluzione) o eterogenea (insorge al

contatto con le superfici del cristallizzatore.

nucleazione secondaria ovvero formazione di nuovi cristalli da cristalli pre-esistenti nella

soluzione.

Le soluzioni sovrasature in cui non avviene cristallizzazione vengono definite metastabili. Nella

produzione di intermedi e API si opera comunemente con soluzioni metastabili con rapporti di

sovrasaturazione compresi tra 1 e 1,20.

La maggior parte delle soluzioni metastabili evolve con nucleazione spontanea ma, spesso, in tempi

non compatibili con le esigenze industriali (da settimane ad anni). Pertanto, in ambito industriale si

definisce limite di metastabilità la concentrazione di un soluto corrispondente al valore massimo di

sovrasaturazione per il quale non si ha nucleazione spontanea nei tempi industriali (da minuti ad

ore).

La determinazione, attraverso specifiche metodiche sperimentali, del limite di metastabilità di

soluzioni sovrasature rappresenta, come già detto per i dati di solubilità, una attività fondamentale

per la progettazione e il controllo del processo di cristallizzazione.

La nucleazione secondaria può avvenire secondo meccanismi diversi tra i quali il più ricorrente è la

nucleazione per contatto. In questo meccanismo frammenti micro cristallini (<10µm) si distaccano

da cristalli pre-esistenti a seguito di micro attriti tra cristalli, cristalli/superfici cristallizzatore. La

nucleazione secondaria può avvenire sia entro che al di fuori del limite di metastabilità.

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La velocità di nucleazione totale (primaria e secondaria) è correlata alla sovrasaturazione secondo la

relazione:

𝐵 = 𝑘𝑁𝑀𝑗𝑁𝑘(𝐶𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 − 𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜)𝑏

con

B velocità di nucleazione (numero di nuclei primari e secondari per unità di tempo)

kN costante di nucleazione

M densità della soluzione

N grado di agitazione

b ordine di nucleazione primaria

j,k ordini di nucleazione secondaria

La nucleazione genera cristalli di piccole dimensioni.

Accrescimento

Consiste nella deposizione di soluto su cristalli esistenti del soluto stesso. Viene promosso per

accrescere i cristalli generati dalla nucleazione per portare le loro dimensioni ai valori desiderati.

Analogamente alla nucleazione, l’accrescimento è governato dalla sovrasaturazione:

𝑑𝑚

𝑑𝑡= 𝑘𝐺𝑀𝐴𝑐(𝐶𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 − 𝑆𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜)𝑔

con

m massa del soluto solido

kGM costante di accrescimento

Ac area superficiale dei cristalli

g ordine di accrescimento

L’accrescimento può innescarsi sia sui

cristalli generatesi per nucleazione che su

materiale appositamente aggiunto alla

soluzione (“inseminazione”) che funge da

nucleo (germe).

Nelle cristallizzazioni in ambito

farmaceutico si procede molto spesso

all’inseminazione per controllare forma e

abito cristallino e dimensioni delle particelle.

In figura sono riportati i campi caratteristici

dei meccanismi di cristallizzazione.

I parametri caratteristici delle cinetiche di

nucleazione e accrescimento vengono

ricavati sperimentalmente.

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PROCESSI DI CRISTALLIZZAZIONE IN AMBITO FARMACEUTICO

In ambito farmaceutico le modalità di cristallizzazione più impiegate sono le seguenti:

per raffreddamento della soluzione

per aggiunta di un antisolvente

per aggiunta di un reattivo

per evaporazione del solvente

In ogni caso la perturbazione cui è sottoposta la soluzione provoca una significativa diminuzione

della solubilità del componente da cristallizzare il quale viene a trovarsi in condizioni di

sovrasaturazione.

Le variabili di processo da controllare, diverse a seconda della modalità scelta, possono pertanto

essere concentrazione iniziale del composto da cristallizzare, temperatura, concentrazione e

composizione del solvente.

Al fine di controllare i meccanismi di nucleazione e accrescimento dei cristalli, oltre alla

regolazione del grado di sovrasaturazione attraverso le modalità suddette, si fa ricorso

frequentemente all’inseminazione della soluzione.

In ambito farmaceutico, nella maggior parte delle cristallizzazioni si privilegia il meccanismo di

accrescimento. Esso risulta più semplice da controllare e riprodurre su scala industriale e garantisce

un miglior controllo della granulometria, forma e abito, proprietà spesso fondamentali per gli attivi

farmaceutici. In questo caso è necessario procedere all’inseminazione di germi cristallini. Al fine di

favorire l’accrescimento e minimizzare la nucleazione occorre partire da una soluzione sovrasatura

che si trovi ad una concentrazione intermedia tra la curva di solubilità e il limite di metastabilità e

controllare durante la cristallizzazione le variabili di processo in modo da mantenere la

concentrazione del soluto poco al di sopra della curva di solubilità.

Se invece il controllo delle dimensioni, forma e abito dei cristalli non riveste specifico interesse, si

privilegiare la nucleazione iniziando la cristallizzazione al di sopra del limite di metastabilità e si

prosegue l’accrescimento poco al di sotto del limite di metastabilità.

Di seguito si illustrano le modalità più comunemente adottate in ambito industriale farmaceutico.

Per raffreddamento della soluzione

La formazione dei cristalli di soluto è promossa da una variazione di solubilità a seguito di

diminuzione della temperatura della soluzione (in genere infatti la solubilità diminuisce al diminuire

della temperatura).

Questa modalità è impiegata per soluti la cui solubilità, elevata ad elevate temperature (comunque

al di sotto della temperatura di ebollizione del sovente) subisce un forte decremento a temperature

più basse.

Questa modalità non consente in genere di conseguire rese di cristallizzazione superiori al 90%

adottando diluizioni accettabili su scala industriale (<20L solvente/kg di soluto).

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Di seguito si riportano graficamente i cammini tipici di cristallizzazione per raffreddamento nel

caso a) nucleazione seguita da accrescimento e b) inseminazione e accrescimento.

Punto 1: soluzione insatura

Punto 2: inizio formazione cristalli

Punti 3, 4: avanzamento della cristallizzazione

Il parametro più importante per il controllo del processo è la velocità di raffreddamento. Risulta

quindi fondamentale regolare la potenza termica asportata nel tempo così da avere una velocità di

raffreddamento che sia compatibile con la cinetica di accrescimento dei cristalli e quindi un

cammino di cristallizzazione all’interno della zona di metastabilità e al di sopra della curva di

solubilità (se, ad esempio, si raffredda troppo velocemente rispetto alla velocità di accrescimento

dei cristalli, la soluzione si porta sopra il limite di metastabilità e si rischia di innescare una

indesiderata nucleazione a scapito dell’accrescimento).

Per aggiunta di un antisolvente

La formazione dei cristalli di soluto è promossa dall’aggiunta di un antisolvente al solvente in cui il

composto è solubile (la solubilità residua nel solvente dipende dalla composizione della miscela dei

solventi).

Poiché l’aggiunta di un antisolvente provoca una forte diminuzione della solubilità del componente

da cristallizzare (l’aggiunta di un volume di antisolvente pari a quello del solvente porta ad una

riduzione della solubilità di più del 50%), questa modalità può essere impiegata quando sono

richieste elevate rese di cristallizzazione (>90%).

Di seguito si riportano graficamente i cammini tipici di cristallizzazione per raffreddamento nel

caso c) nucleazione seguita da accrescimento e d) inseminazione e accrescimento.

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Punto 1: soluzione insatura

Punto 2: inizio formazione cristalli

Punti 3, 4, …: avanzamento della cristallizzazione

Il parametro più importante per il controllo del processo è la velocità di aggiunta dell’antisolvente.

Risulta quindi fondamentale regolare la portata dell’antisolvente aggiunto nel tempo così da avere

una composizione della miscela solvente-antisolvente che sia compatibile con la cinetica di

accrescimento dei cristalli e quindi un cammino di cristallizzazione all’interno della zona di

metastabilità e al di sopra della curva di solubilità (se, ad esempio, si aggiunge antisolvente troppo

velocemente rispetto alla velocità di accrescimento dei cristalli, la soluzione si porta sopra il limite

di metastabilità e si rischia di innescare una indesiderata nucleazione a scapito dell’accrescimento).

Per aggiunta di un reattivo

La formazione dei cristalli è promossa dall’aggiunta di un reagente solubile che modifica il soluto e

lo rende insolubile. Un caso tipico è rappresentato dall’aggiunta di un reagente di natura ionica che

forma un sale insolubile della molecola farmaceutica.

La velocità di reazione deve essere più elevata della velocità di accrescimento dei cristalli in modo

da regolare, attraverso il controllo della portata del reattivo, l’accrescimento dei cristalli e quindi il

grado di sovrasaturazione.

Il parametro più importante per il controllo del processo è pertanto la velocità di aggiunta del

reattivo per realizzare un cammino di cristallizzazione all’interno della zona di metastabilità e al di

sopra della curva di solubilità (se, ad esempio, si aggiunge reattivo troppo velocemente rispetto alla

velocità di accrescimento dei cristalli, la soluzione si porta sopra il limite di metastabilità e si rischia

di innescare una indesiderata nucleazione a scapito dell’accrescimento).

Per evaporazione del solvente

La formazione dei cristalli di soluto è promossa dall’evaporazione del solvente in modo da

innalzare la concentrazione del soluto al di sopra del limite di solubilità.

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Il parametro più importante per il controllo del processo è pertanto la velocità di evaporazione del

solvente. Risulta quindi fondamentale regolare la potenza termica ceduta nel tempo così da avere

una velocità di evaporazione che sia compatibile con la cinetica di accrescimento dei cristalli e

quindi un cammino di cristallizzazione all’interno della zona di metastabilità e al di sopra della

curva di solubilità (se, ad esempio, si evapora troppo velocemente rispetto alla velocità di

accrescimento dei cristalli, la soluzione si porta sopra il limite di metastabilità e si rischia di

innescare una indesiderata nucleazione a scapito dell’accrescimento).

Questa modalità è spesso accoppiata con quella di raffreddamento della soluzione. Mediante

cristallizzazione per raffreddamento, ad esempio, si porta la resa ad un valore prossimo al 90% e si

procede successivamente ad evaporazione del solvente per promuovere la cristallizzazione di una

ulteriore massa di soluto.

Di seguito si riportano graficamente i cammini tipici di cristallizzazione per aggiunta di un reattivo

ed evaporazione del solvente nel caso e) nucleazione seguita da accrescimento e f) inseminazione e

accrescimento.

Punto 1: soluzione insatura

Punto 2: inizio formazione cristalli

Punti 3, 4: avanzamento della cristallizzazione

APPARECCHIATURE PER LA CRISTALLIZZAZIONE

In ambito farmaceutico le cristallizzazioni sono effettuate in batch in reattori agitati multi-purpose a

fondo piatto o conico dotati di sistemi per il trasferimento di potenza termica (camicie, serpentini,

scambiatori esterni).

L’agitazione della soluzione durante la cristallizzazione riveste una importanza fondamentale:

la velocità della sospensione all’interno del serbatoio condiziona i meccanismi cinetici di

nucleazione e accrescimento (l’attrito tra cristalli e parete del serbatoio e tra cristalli e

girante può ad esempio indurre nucleazione secondaria)

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una insufficiente agitazione può comportare la sedimentazione dei cristalli sul fondo del

serbatoio con effetti sulla distribuzione granulometrica e difficoltà di scarico della

sospensione a fine ciclo

una inadeguata agitazione può generare disomogeneità di composizione e/o di temperatura

all’interno del serbatoio con nucleazioni/accrescimenti differenziati dei cristalli e

conseguente mancato controllo della granulometeria, forma e abito.

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La scelta della tipologia di girante e della velocità di rotazione viene effettuata con criteri di scale-

up sulla base delle condizioni ottimali di cristallizzazione individuate su scala kilo o pilota.

Si riportano di seguito alcune considerazioni da tenere presenti in fase di scale-up per le diverse

modalità di cristallizzazione.

Per raffreddamento

in caso di camicia per lo scambio termico, la superficie di scambio disponibile risulta

inversamente proporzionale al raggio del serbatoio. Pertanto, nel passaggio da scala

kilo/pilota a scala industriale, occorre considerare che per raffreddare sarà necessario un

salto termico maggiore (forza motrice) tra parete interno camicia e parete interno serbatoio. I

sistemi di controllo dovranno evitare un eccessivo raffreddamento della parete interna del

serbatoio per evitare che localmente si abbiano eccessive sovrasaturazioni che portino a

incontrollate nucleazioni.

Per aggiunta di antisolvente

il sistema di agitazione deve garantire omogeneità di concentrazione di antisolvente nel

serbatoio. Su scala industriale possono rendersi necessario ridurre la velocità di aggiunta

dell’antisolvente e quindi tempi di addizione più lunghi rispetto alla scala kilo e pilota.

Particolare attenzione deve essere dedicata al punto di gocciolamento dell’antisolvente dove

si ha un picco di concentrazione e elevata tendenza alla nucleazione.

Per aggiunta di un reattivo

il sistema di agitazione deve garantire omogeneità di concentrazione di antisolvente nel

serbatoio. Su scala industriale possono rendersi necessario ridurre la velocità di aggiunta

dell’antisolvente e quindi tempi di addizione più lunghi rispetto alla scala kilo e pilota.

Particolare attenzione deve essere dedicata al punto di gocciolamento dell’antisolvente dove

si ha un picco di concentrazione e elevata tendenza alla nucleazione.

occorre prevedere una adeguata rimozione del calore di reazione.

Per evaporazione del solvente

in caso di camicia per lo scambio termico, la superficie di scambio disponibile risulta

inversamente proporzionale al raggio del serbatoio. Pertanto, nel passaggio da scala

kilo/pilota a scala industriale, occorre considerare che per fornire il calore di evaporazione

sarà necessario un salto termico maggiore (forza motrice) tra parete interno camicia e parete

interno serbatoio. Poiché la temperatura interna è costante (siamo all’evaporazione del

solvente) si dovrà aumentare la temperatura del fluido caldo in camicia.

per evitare temperature eccessive in camicia si può operare sotto vuoto.