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DISTRETTI INDUSTRIALI, ECONOMIE DI AGGLOMERAZIONE E INVESTIMENTI ESTERI IN ITALIA Raffaello Bronzini * 1. Introduzione La teoria economica ha riconosciuto da tempo che le economie di agglomerazione sono in grado di migliorare la produttività delle imprese e favorire processi di concentrazione territoriale dell’attività produttiva (Marshall, 1890). Nel decennio passato queste idee hanno rappresentato il punto di partenza per numerosi studi a carattere teorico (Krugman, 1991; Fujita et al., 1999). In accordo con la teoria, molti lavori empirici hanno analizzato l’effetto delle economie di agglomerazione sulle scelte localizzative degli investitori esteri verificando se le aree più agglomerate attraevano investimenti dall’estero. Tuttavia, nonostante la numerosità dei contributi, alcuni aspetti della relazione tra agglomerazione e investimenti non sono stati ancora affrontati. In particolare, non ci sono stati tentativi sistematici tesi a verificare se le economie di agglomerazione sono sector specific oppure se anche la concentrazione territoriale di imprese appartenenti a settori diversi, innescando economie di diversificazione, attrae investimenti esteri, né a verificare il legame tra i distretti industriali e gli investimenti provenienti dall’estero. In questo lavoro si esamina la relazione tra agglomerazione e investimenti diretti esteri (IDE), nelle regioni e province italiane, distinguendo tra le economie di agglomerazione sector specific e le esternalità derivanti dalla diversificazione settoriale e verificando se gli investitori esteri sono attratti dalle aree distrettuali. Ulteriore obiettivo dell’analisi è quello di indagare sul ruolo che svolge la dimensione delle imprese sulla capacità delle aree geografiche di attrarre gli IDE. Un aspetto __________ * Banca d’Italia, Servizio Studi. Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni dell’autore senza coinvolgere l’Istituto di appartenenza. Desidero ringraziare per i loro preziosi commenti: Matteo Bugamelli, Giovanni Ferri, Giovanni Iuzzolino, L. Federico Signorini e, in particolare, Massimo Omiccioli.

DISTRETTI INDUSTRIALI, ECONOMIE DI AGGLOMERAZIONE … · come l’insediamento di imprese estere o di stabilimenti di proprietà estera sul territorio italiano (investimenti

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DISTRETTI INDUSTRIALI, ECONOMIE DI AGGLOMERAZIONEE INVESTIMENTI ESTERI IN ITALIA

Raffaello Bronzini*

1. Introduzione

La teoria economica ha riconosciuto da tempo che le economie diagglomerazione sono in grado di migliorare la produttività delle imprese efavorire processi di concentrazione territoriale dell’attività produttiva(Marshall, 1890). Nel decennio passato queste idee hanno rappresentato ilpunto di partenza per numerosi studi a carattere teorico (Krugman, 1991;Fujita et al., 1999).

In accordo con la teoria, molti lavori empirici hanno analizzatol’effetto delle economie di agglomerazione sulle scelte localizzative degliinvestitori esteri verificando se le aree più agglomerate attraevanoinvestimenti dall’estero. Tuttavia, nonostante la numerosità dei contributi,alcuni aspetti della relazione tra agglomerazione e investimenti non sonostati ancora affrontati. In particolare, non ci sono stati tentativi sistematicitesi a verificare se le economie di agglomerazione sono sector specificoppure se anche la concentrazione territoriale di imprese appartenenti asettori diversi, innescando economie di diversificazione, attrae investimentiesteri, né a verificare il legame tra i distretti industriali e gli investimentiprovenienti dall’estero.

In questo lavoro si esamina la relazione tra agglomerazione einvestimenti diretti esteri (IDE), nelle regioni e province italiane,distinguendo tra le economie di agglomerazione sector specific e leesternalità derivanti dalla diversificazione settoriale e verificando se gliinvestitori esteri sono attratti dalle aree distrettuali. Ulteriore obiettivodell’analisi è quello di indagare sul ruolo che svolge la dimensione delleimprese sulla capacità delle aree geografiche di attrarre gli IDE. Un aspetto__________* Banca d’Italia, Servizio Studi. Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni dell’autore senza

coinvolgere l’Istituto di appartenenza. Desidero ringraziare per i loro preziosi commenti: MatteoBugamelli, Giovanni Ferri, Giovanni Iuzzolino, L. Federico Signorini e, in particolare, MassimoOmiccioli.

atbarbar
Note
attraction of foreign investment by districts

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trascurato dalla verifiche empiriche, ma che assume un rilievo particolarenella realtà italiana per il peso che hanno le piccole e medie impresesoprattutto in aree economicamente svantaggiate come il Mezzogiorno.

Il lavoro è basato su un nuovo data set sugli investimenti direttiesteri nelle regioni e province italiane reso disponibile dall’Ufficio ItalianoCambi. Un vantaggio del data set è la struttura panel dei dati regionali -disponibili per regione e settore - che nell’analisi econometrica consente ditenere conto di eventuali variabili omesse o non osservabili a livelloregionale e settoriale tramite gli effetti fissi. Peraltro la disponibilità di datiterritoriali a differente livello di aggregazione geografica permette diarricchire l’analisi econometrica e irrobustirne i risultati.

Il presente lavoro si distingue dai precedenti studi sugli IDEterritoriali in Italia per una serie di aspetti1. Innanzitutto si verifica se ladiversificazione settoriale e la dimensione delle imprese influenzano lescelte degli investitori esteri, oltre a esaminare l’effetto delle economie diagglomerazione sector specific. In secondo luogo si verifica l’ipotesi che leregioni e le province a maggiore grado di distrettualità attraggonoinvestimenti dall’estero. Infine il lavoro utilizza un nuovo data set chepermette di condurre un’analisi econometrica di tipo panel.

Il lavoro è strutturato come segue. Nel secondo paragrafo è condottaun’analisi descrittiva della distribuzione territoriale degli IDE in entrata.Nel terzo paragrafo si discute la letteratura teorica ed empirica sulleeconomie di agglomerazione e gli investimenti esteri. Nel paragrafosuccessivo si descrive il modello econometrico, mentre nel paragrafo 5sono mostrati i risultati delle stime. Il paragrafo 6 conclude.

2. Concentrazione territoriale e autocorrelazione spaziale degliIDE

2.1 I dati regionali e provinciali sugli IDE

I dati sugli investimenti diretti esteri (IDE) nelle regioni e provinceitaliane, esaminati in questo lavoro, si riferiscono al periodo compreso tra il1994 e il I semestre 2000 e sono di fonte UIC. Secondo la metodologiastandard si definiscono diretti gli investimenti che stabiliscono un interesse

__________1 cfr. Basile (2001) e Mariotti e Piscitello (1994).

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 3

durevole tra un’impresa residente all’estero e un’impresa residente in Italia.Ricadono quindi nella categoria degli investimenti diretti le acquisizioni diimprese italiane da parte di imprese estere - anche parziali purché aldisopra di una quota minima – e le fusioni (Merger and Acquisition), cosìcome l’insediamento di imprese estere o di stabilimenti di proprietà esterasul territorio italiano (investimenti greenfield). I dati qui impiegati, raccoltidall’UIC sulla base delle dichiarazioni bancarie ai fini della compilazionedella bilancia dei pagamenti, non permettono di distinguere tra investimentigreenfield e le M&A, hanno però il vantaggio di indicare la provincia e laregione in cui è localizzata l’unità produttiva cui si riferiscel’investimento2.

In Italia l’incidenza degli investimenti esteri sul PIL è stata nel 1999meno della metà della media dei paesi Ocse; 1 per cento a fronte del 2,5 deipaesi Ocse (OCSE, 2000). Tra le quattro ripartizioni geografiche ilrapporto tra gli IDE e il PIL risulta massimo nel Nord-Ovest, con circal’1,5 per cento nel 2000 e pari a circa lo 0,5 nel Nord Est e Centro; nelMezzogiorno il rapporto scende ulteriormente (allo 0,03 per cento; fig. 1).

Inserire qui la fig. 1

Nel Nord-Ovest lo stock accumulato tra il 1994 e il primo semestredel 2000 supera i 51.000 miliardi di lire, pari a oltre il 70 per cento deltotale nazionale e superiore di cinque volte il valore degli investimentilocalizzati rispettivamente nelle regioni del Nord-Est e del Centro (tav. 1).Nel Mezzogiorno i valori registrati appaiono particolarmente contenuti,pari a 872 miliardi.

Per le quattro macroaree, i principali paesi di provenienza sonoquelli europei, in particolare quelli esterni all’Unione Monetaria, guidatidal Regno Unito, e quelli del continente americano3. Rispetto alla medianazionale, i paesi europei al di fuori dell’Unione Monetaria sonorelativamente più importanti per il Nord-Est, i paesi dell’Unione Monetariaper le regioni centrali, mentre i paesi geograficamente più distanti,localizzati in America e Asia, hanno un peso relativo maggiore per leregioni meridionali.__________2 In questo lavoro si farà riferimento sempre agli investimenti in entrata al lordo dei disinvestimenti;

dove non altrimenti specificato si tratta di stock calcolati cumulando i flussi di investimenti lordi.3 Il maggior peso del Regno Unito potrebbe dipendere dal fatto che le principali filiali delle imprese

multinazionali extra-europee hanno la loro sede in Europa nel Regno Unito, e che quest’ultimo èregistrato come paese di provenienza dell’investimento.

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Da un punto di vista settoriale, gli investimenti seguono un profilorelativamente omogeneo tra le macroaree (tav. 2). Il complesso dell’attivitàmanifatturiera e i servizi finanziari e assicurativi assorbono circa il 70 percento degli investimenti effettuati sull’intero territorio nazionale e nelleregioni del Nord, e circa il 60 nel Centro-Sud. Nel Centro, quote superiorialla media nazionale sono registrati nei settori finanziario e assicurativo,pubblico ed edile.

2.2 Concentrazione territoriale e autocorrelazione spaziale degli IDE

La concentrazione territoriale degli IDE appare molto elevata alivello regionale e ancor più a livello provinciale. Le prime tre regioni(Lombardia, Piemonte e Lazio) assorbono oltre il 60 per cento del totaledello stock accumulato nel periodo (tav. 3); le province di Milano, Roma eTorino detengono oltre la metà del totale degli investimenti esteri (tav. 4).A parte alcune eccezioni, costituite dalle province di Treviso, Ravenna eAosta, gli investimenti provinciali appaiono relativamente bassi in rapportoal PIL.

L’esame della concentrazione degli IDE in rapporto al valoreaggiunto, per provincia e per regione, tramite le curve di concentrazione diLorenz e gli indici di Gini, permette di arricchire l’analisi descrittiva (fig.2). Innanzitutto gli investimenti totali in rapporto al PIL appaiono piùconcentrati se esaminati da un punto di vista provinciale che regionale. Insecondo luogo, la concentrazione territoriale registrata nel settore deiservizi risulta superiore a quella del comparto manifatturiero. Infine, laconcentrazione a livello territoriale tende ad aumentare tra il 1994 e il1998. L’elevata concentrazione registrata a livello provinciale e nei servizisuggerirebbe che le grandi aree urbane esercitano un forte potere diattrazione sugli investimenti provenenti dall’estero, soprattutto nelcomparto dei servizi.

Inserire qui la fig. 2

La relazione tra gli investimenti e il territorio non si esaurisce conl’analisi della concentrazione territoriale. A parità di concentrazione,infatti, gli investimenti di aree territoriali vicine potrebbero seguirecomportamenti omogenei, mostrando insieme alti o bassi investimenti. Inquesto caso il fenomeno indicherebbe una distribuzione territoriale

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 5

complessivamente più agglomerata rispetto al caso in cui tale omogeneitànon ci fosse. Per dare conto di questo fenomeno, che l’indice diconcentrazione non è in grado di misurare, è necessario ricorrere all’analisidell’autocorrelazione spaziale con la quale si verifica se una determinatavariabile segue nello spazio un comportamento omogeneo. Ad esempio,un’autocorrelazione spaziale positiva degli IDE indica che provincegeograficamente vicine presentano insieme alti o bassi valori diinvestimenti; al contrario un’autocorrelazione negativa suggerisce unasorta di concorrenza tra le province geograficamente vicine che presentanovalori dissimili di IDE.

Per verificare l’autocorrelazione spaziale è necessario dapprimadefinire la spatial weight matrix , in cui ciascun elemento wi,j della matricemisura la vicinanza della provincia i alla provincia j. Ad esempio: nellamatrice di contiguità wi,j=1 se le province i e j confinano e wi,j=0altrimenti; invece nella matrice delle distanze wi,j è pari all’inverso delladistanza chilometrica tra ogni coppia di province. Queste due tipologie dimatrici saranno quelle che utilizzeremo per la verificadell’autocorrelazione spaziale tramite il test Moran I4. La verifica saràcondotta sul rapporto tra gli IDE e il valore aggiunto provinciale calcolaticome valori medi sul periodo.

Per il totale delle province il test di Moran I indica l’esistenza di unadipendenza spaziale del fenomeno (tav. 5). Sia con la matrice di contiguitàsia con quella delle distanze emerge un’autocorrelazione spaziale positivadegli IDE; nelle province geograficamente prossime gli investimentitendono quindi ad assumere andamenti simili. Tuttavia, come si può notaredalla tavola, questo fenomeno interessa le province meridionali, ma nonquelle del Centro-Nord, per le quali la statistica non appare significativa. Inaltre parole sembrerebbe che nel Centro-Nord gli investimenti tendano adistribuirsi sul territorio in modo più uniforme rispetto agli investimenti nelmeridione.

L’analisi degli IDE territoriali condotta in questo paragrafo ha messoil luce come gli IDE siano molto concentrati sul territorio nazionale,soprattutto nel settore dei servizi; un effetto che risentirebbe dell'attrazionedelle grandi aree urbane. In secondo luogo, sembrerebbe che i fattorigeografici, come la distanza tra le unità territoriali, siano significativi nello__________4 Moran (1948). Per una discussione dell’autocorrelazione spaziale e del test di Moran I cfr. tra gli

altri Anselin (1988) e il numero speciale dell’International Regional Science Review, vol. 20, n. 1-2 (1997). Il test di Moran I è condotto sotto l'ipotesi di normalità della statistica Z (cfr. oltre).

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spiegare la distribuzione degli investimenti esteri tra le unità territoriali:province vicine hanno simili livelli di investimenti esteri in rapporto al PIL.Con l’analisi econometrica approfondiremo questi aspetti.

3. La letteratura di riferimento

3.1 Distretti industriali ed economie di agglomerazione: i riferimentiteorici

Tradizionalmente le economie di agglomerazione esaminate dallateoria derivano dalla vicinanza geografica di imprese che appartengono allastessa industria. Tra i principali meccanismi che producono questo tipo diesternalità, denominate anche MAR externalities dai lavori di MarshallArrow e Romer (cfr. Gleaser et al., 1992), la teoria individua gli spillovertecnologici e la disponibilità di una forza lavoro specializzata. Il primomeccanismo si basa sull’idea che la prossimità geografica e i contattiinformali facilitano la trasmissione di conoscenza tra le imprese e tra ilavoratori. La rapida diffusione della conoscenza tra imprese concentratenello spazio, grazie anche all’effetto della mobilità della forza lavoro,favorirebbe i processi innovativi, costituendo un traino alla crescita dellaproduttività. Il secondo meccanismo si basa sui vantaggi legati allacreazione di un mercato locale di lavoratori specializzati. Sia le impreseche i lavoratori sarebbero attirati da queste aree; i primi per la disponibilitàdi un’abbondante offerta di lavoro specializzata, i secondi perché lanumerosità delle imprese riduce il rischio di rimanere senza occupazione.Ceteris paribus questo processo riduce il premio per il rischio incluso nelsalario, aumenta l’offerta di lavoro e avvantaggia le imprese che pagano unsalario minore ai lavoratori.

Un secondo tipo di vantaggio derivante dall’agglomerazione diimprese appartenenti allo stesso settore è rappresentato dalle esternalitàpositive che si generano all’interno dei distretti industriali. Rispetto alleMAR externalities le economie di tipo distrettuale presentano, tuttavia,alcune peculiarità che sono legate alle caratteristiche specifiche delle areedistrettuali. Innanzitutto i distretti sono costituiti da sistemi produttivispecializzati in cui assume rilievo la filiera produttiva e non solo il settoremerceologico. Nel distretto le imprese sono specializzate in differenti fasidella produzione e sono collegate tra loro da intensi rapporti di subfornitura: questa profonda divisione del lavoro è uno degli aspetti peculiaridei distretti che favoriscono l’efficienza dell’intero sistema di produzione

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 7

locale. Un ulteriore elemento distintivo delle aree distrettuali èrappresentato dallo stretto legame tra il tessuto produttivo e il tessutosociale. All’interno delle aree distrettuali gli agenti condividono gli stessivalori sociali; questa condivisione favorisce i rapporti di collaborazione trale imprese e tra i lavoratori e in ultimo potenzia l’efficienza del sistemaproduttivo. Nei distretti infine sono favoriti i processi di innovazione el’adozione di nuove tecnologie grazie alla rapida circolazione delleinformazioni e alla forte concorrenza, ma anche di collaborazione, tra leimprese (Pyke et al., 1990; Signorini, 2000).

I fattori elencati potrebbero indurre le imprese estere a investire inmisura relativamente maggiore nelle aree distrettuali. L’insediamento diun’impresa estera in un distretto, come l’acquisizione di impresedistrettuali da parte di imprese estere, permetterebbe infatti a queste ultimedi assorbire lo stock di conoscenza accumulato nelle imprese distrettuali, dibeneficiare dei canali di trasmissione di conoscenza attivi all’interno deldistretto, che in esso risultano particolarmente rapidi ed efficaci, e infine didisporre di una fitta rete di sub fornitori e di manodopera qualificata.

Oltre alle economie di agglomerazione collegate a un settoreproduttivo o a una filiera, la letteratura ha messo in evidenza come ulterioriesternalità positive possano nascere dalla concentrazione territoriale diimprese appartenenti a settori differenti. Questo tipo di economie didiversificazione, chiamate esternalità à la Jacobs (1969), sono basatesull’idea che la diversità e la varietà di imprese vicine nello spazio sono ingrado di promuovere i trasferimenti di conoscenza e la crescita dellaproduttività. La teoria suggerisce quindi che le aree geografiche piùdiversificate settorialmente otterranno performance migliori grazie allatrasmissione delle innovazioni e della conoscenza tra le impreseappartenenti a settori diversi.

Infine, alcuni autori sottolineano come la dimensione delle impreselocalizzate in un’area territoriale possa avere effetti sulla produttivitàcomplessiva dell’area. Porter (1990), ad esempio, sostiene che laconcorrenza locale traina la crescita perché spinge le imprese a innovare oadottare più rapidamente le nuove tecnologie. Ne consegue che nei mercaticoncorrenziali basati sulle piccole imprese i flussi di conoscenza e lacrescita della produttività saranno più rapidi5. Questi ulteriori fattori__________5 Per i lavori empirici sulle economie di diversificazione, le esternalità à la Porter e la crescita della

produttività cfr.: Gleaser et al (1992), Henderson et al. (1995), Dekle (2002), Cingano e Schivardi(2003).

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potrebbero spingere gli imprenditori esteri a investire nelle aree piùdiversificate o in quelle dove prevalgono le imprese di piccole dimensioni.

3.2 Economie di agglomerazione e IDE nella letteratura empirica

In base alla teoria economica gli investimenti esteri sono indirizzativerso i paesi o le regioni che permettono di massimizzare i profitti attesidegli investitori. Pertanto nella letteratura empirica i flussi di IDE in entratasono posti in funzione di una serie di caratteristiche del paese o regionericevente che si suppongono in grado di espandere i profitti riducendo icosti di produzione o aumentando i ricavi. In generale, i modelli empiriciassumono la forma yi=ß'Xi, dove yi indica gli IDE localizzati nel paese oregione i e Xi è un vettore di appropriate variabili esplicative riferiteall'area che riceve gli investimenti6.

Le variabili esplicative utilizzate nella letteratura comprendono, trale altre, alcune proxy della dimensione del mercato (PIL o PIL pro-capite),la dotazione di infrastrutture, i costi del lavoro, il livello di tassazione e gliincentivi pubblici.

Poiché le economie di agglomerazione sono ritenute capaci diridurre i costi di produzione e quindi di espandere i profitti, molti lavorieconometrici utilizzano misure dell’agglomerazione come variabiliesplicative 7. Nel complesso, i risultati delle verifiche empiriche tendono aconfermare la capacità dell’agglomerazione di attrarre gli IDE nelle areegeografiche esaminate, che possono variare da aree relativamente estese,come le nazioni o gli stati USA, fino alle 27 province della Cina o alle 11regioni del Regno Unito.

Le analisi empiriche che verificano l’effetto dell’agglomerazione sitrovano ad affrontare due questioni di carattere metodologico. La primariguarda la scelta di una misura appropriata dell’agglomerazionegeografica. Su questo punto la letteratura menzionata non segue unapproccio unitario, ma al contrario utilizza un ampio ed eterogeneo insiemedi indicatori. Ad esempio, da un lato alcuni lavori misuranol’agglomerazione con variabili che non sono sector specific : Coughlin et al.(1991) e Wei et al. (1999) usano proxy della densità, misurata dal rapporto__________6 Coughlin (1998) presenta un'ampia rassegna della letteratura sugli IDE negli USA.7 Coughlin et al. (1991), Wheeler e Mody (1992), Woodward (1992), Head et al. (1994, 1995),

Braunerhjelm e Svensson (1996), Billington (1999), Wei et al. (1999), Basile (2001), Belderbosand Caree (2001).

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tra l’occupazione manifatturiera o la popolazione e la superficie dell’area;altri considerano il peso del settore manifatturiero misurato con il numerototale di stabilimenti (Woodward, 1992 e Basile, 2001), o con il peso delsettore manifatturiero sul PIL (Wheeler e Mody, 1992 e Billington, 1999);altri ancora includono la dotazione di infrastrutture o gli IDE accumulati inprecedenza (Wheeler and Mody, 1992). D’altra parte, alcuni studi tendonoa considerare le esternalità che derivano dalla concentrazione nello spaziodi imprese appartenenti allo stesso settore produttivo, in accordo con laletteratura sulle MAR externalities, impiegando variabili che misuranol’agglomerazione sector specific. In Braunerhjelm e Svensson (1996) siutilizza un indice di specializzazione settoriale, mentre in Head et al.(1994, 1995) il numero di stabilimenti di imprese estere dello stesso settoregià presenti sul territorio. Nonostante il numero di studi che esaminano larelazione tra IDE e agglomerazione scarsa attenzione è stata dedicata allaverifica del ruolo svolto dalle esternalità à la Jacobs o à la Porter, collegatealle caratteristiche della struttura produttiva dell’area in termini didiversificazione settoriale delle aree di riferimento e di dimensione mediadelle imprese.

La seconda questione metodologica riguarda la capacità del modelloempirico di distinguere l’effetto della dotazione regionale di fattoriproduttivi da quello delle economie di agglomerazione. Infatti, come hannomesso in luce Head et al. (1995) sia le imprese estere che quelle nazionalipotrebbero essere attratte dalle regioni che presentano una dotazione difattori produttivi più favorevole. Quindi la significativitàdell’agglomerazione nelle stime potrebbe cogliere la correlazione tra lalocalizzazione di imprese nazionali e imprese estere indotta dalladisponibilità di fattori produttivi, invece di dimostrare l’effetto delleesternalità derivanti dall’agglomerazione. Per superare questo problemaHead et al. (1995), studiando gli IDE negli USA effettuati da impresegiapponesi, inseriscono come variabile di controllo della dotazione difattori produttivi la distribuzione geografica degli stabilimenti nazionali (ilnumero di stabilimenti di imprese USA per settore e stato), argomentandoche la distribuzione geografica degli stabilimenti nazionali di un settoreincorpora tutte le informazioni rilevanti sulla distribuzione degli input usatiintensamente da quel settore. Inoltre suggeriscono di introdurre nelle stimeeffetti fissi geografici e settoriali per tenere conto di tutte le caratteristichenon incluse nel modello. Nonostante l’importanza di questo aspetto, nellamaggiore parte dei lavori empirici citati non si controlla esplicitamente perl’effetto della dotazione fattoriale sugli IDE. Nella nostra analisi

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cercheremo di tenerne conto tramite la normalizzazione della variabiledipendente.

4. Il modello econometrico

4.1 Il modello regionale e l’effetto distretto

La variabile dipendente del modello econometrico sono gliinvestimenti diretti esteri, in ciascuna regione e settore, in rapporto alvalore aggiunto della corrispondente regione e settore.

La normalizzazione della variabile dipendente soddisfa l’esigenza ditenere distinto l’effetto dell’agglomerazione da quello della dotazioneregionale di fattori produttivi. Le imprese tendono a distribuirsi nellospazio sulla base della disponibilità di fattori produttivi; le regioni conmaggiori dotazioni fattoriali saranno anche quelle dove maggiore saràl’agglomerazione sia di imprese nazionali che di imprese estere, e quindidove maggiori saranno gli investimenti dall’estero. Nell’analisieconometrica è fondamentale poter distinguere l’effetto della dotazione deifattori da quello dell’agglomerazione produttiva. Head e Ries (1995)suggeriscono di inserire una variabile di controllo per la dotazione deifattori che permetta di isolare l’effetto dell’agglomerazione 8. Nel nostromodello il valore aggiunto settoriale è la variabile che controlla per ladotazione fattoriale della regione: il valore aggiunto settoriale di ciascunaregione approssima la distribuzione dei fattori produttivi nello spaziopoiché le imprese tenderanno a localizzarsi nelle regioni più dotate di inputda impiegare nel processo di produzione e in queste regioni l’offerta saràmaggiore. Il valore aggiunto tuttavia non è stato inserito come variabileesplicativa nel modello perché risultava correlato con alcuni regressori. Siè scelto quindi di scalare gli IDE per il valore aggiunto, per ciascun settoree regione, e utilizzare questo rapporto come variabile dipendente9.

La normalizzazione per il valore aggiunto ha un ulteriore scopo:quello di controllare per le acquisizioni. Per effetto delle acquisizioni di__________8 Nel loro modello la variabile di controllo è il numero di stabilimenti di imprese nazionali9 In una regressione log-lineare degli investimenti esteri sul valore aggiunto, la normalizzazione

equivale a vincolare il coefficiente del valore aggiunto all’unità. Se il “vero” coefficiente fossemaggiore di uno il modello risulterebbe mispecificato. In varie stime effettuate il coefficiente delvalore aggiunto non è mai risultato significativamente diverso dall’unità. Il modello non sembraperciò soffrire di mispecificazione per questo aspetto.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 11

imprese nazionali da parte di imprese estere, il numero di imprese presentiin una regione risulta correlato con il livello di investimenti esteri in entratanella stessa regione. La normalizzazione degli IDE per il valore aggiuntoregionale permette di controllare anche per la correlazione indotta dalleacquisizioni e isolare l’influenza delle economie di agglomerazione sugliIDE10.

La variabile dipendente è calcolata sullo stock di investimenti direttiesteri in entrata, al lordo dei disinvestimenti, accumulati dal 1994 al Isemestre del 2000, per ciascuna regione e settore. Il modello stimato suidati regionali assume la seguente forma:

(IDEVAG)i,j = α1(Specializzazione)i,j + α2(Diversità )i,j +

α3(Small)i,j + α4(Big) i,j + α5(Distretti Sforzi) i,j +

α6(Distretti Iuzzol) i,j + α7(Distretti Iuzzol2) i,j +

α8(Infrastrutture) i,j + αi,j(Effetti fissi regionali e

settoriali) + ε i,j

(1)

dove i e j indicano rispettivamente le 20 regioni e i 10 settori industriali.

La prima ipotesi sottoposta a test è che le esternalità positivederivanti dall’agglomerazione geografica di imprese appartenenti allostesso settore, le così dette MAR externalities, attraggano gli investimentidall’estero. Una misura di questo tipo di economie esterne è rappresentatoda un indice standardizzato di specializzazione settoriale (Gleaser et al.1992):

Specializzazione = (IS-1)/(IS+1);

dove IS=(Ni,j/∑jNi,j)/(NItalia,j/∑jNItalia,j), Ni,j è l’occupazione nella regione i esettore j. La variabile che misura la specializzazione settoriale è unavariabile standardizzata che varia tra –1 e 1 (cfr. Paci e Usai, 2000).

La seconda ipotesi è che la diversità settoriale di un’area geograficaproduca esternalità positive, ad esempio perché induce spilloversintersettoriali di conoscenza (esternalità à la Jacobs). Peraltro gli spillovers

__________10 Nel modello di Mariotti e Piscitello (1994) si propone una normalizzazione simile per gli stessi

motivi.

12 Raffaello Bronzini

tecnologici non sono le uniche esternalità che possono derivare dalladiversificazione: gli IDE potrebbero essere attratti perché la concentrazionegeografica di imprese che producono beni e servizi differenziati è in gradodi ridurre i costi di transazione e quindi espandere i profitti delle impreselocalizzate in quelle stesse aree. Il nostro modello non consente didistinguere tra le due fonti di economie esterne che qui consideriamorientrare all’interno di una ampia categoria di economie di agglomerazionenon-sector specific . Come proxy di questo tipo di esternalità utilizziamol’indice di Herfindahl relativo (cfr. Henderson, 1995):

Diversitài,j = (Herfindahli,j/HerfindahlItalia,j);

dove Herfindahli,j= ;*

2*,∑

≠ jjjis s2

i,j*=(Ni,j*)/∑j*≠j(N i,j*).

Per la regione i e settore j, l’indice è misurato su tutti i settori esclusoj (j*≠j). Elevati valori dell’indice indicano regioni meno differenziatepertanto la teoria economica predice un segno negativo del relativocoefficiente11.

Il terzo aspetto preso in esame è se, e in che misura, la dimensionemedia delle imprese presenti nelle aree geografiche sia in grado di attrarreinvestimenti dall’estero. Da un lato Porter (1990) sostiene che mercaticoncorrenziali favoriscono l’innovazione e la diffusione delleinformazioni; quindi nelle regioni in cui prevalgono le piccole imprese glispillover tecnologici sarebbero maggiori e più elevati potrebbero essere gliinvestimenti esteri. D’altro lato, le grandi imprese potrebbero influenzare iflussi di capitali dall’estero poiché, in un contesto di informazioneimperfetta, la quota di grandi imprese localizzate in un’area potrebbesegnalare l’efficienza di un’area ed elevare la sua reputazione 12. Tramitequesto effetto dimostrativo, insieme a potenziali backward o forwardlinkages, le grandi imprese potrebbero incoraggiare gli investimentidall’estero. Per verificare queste ipotesi abbiamo introdotto due variabiliesplicative:

Small = (Quota di occupati nelle imprese con meno di 200dipendenti)i,j/(Quota di occupati nelle imprese con meno di 200 dipendenti)Italia,j.__________11 La diversità è stata calcolata includendo anche i servizi.12 Mariotti e Piscitello (1994) sottolineano l’importanza di questo effetto dimostrativo sugli IDE in

contesti di informazione imperfetta.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 13

Big = (Quota di occupati nelle imprese con più di 1000dipendenti)i,j/(Quota di occupati nelle imprese con più di 1000 dipendenti)Italia,j.

In vari studi i distretti industriali sono emersi come sistemi localiefficienti, a più alta propensione all’export e maggiore produttività 13. Leeconomie di tipo distrettuale, capaci di migliorare la perfomance delleimprese nei distretti, potrebbero indurre gli imprenditori esteri a investirenelle aree distrettuali. La verifica di quest’ipotesi non è tuttavia esente daostacoli, indotti dalla complessità del fenomeno “distretto” e dallaconseguente difficoltà di qualificare in modo univoco un’area comedistrettuale 14.

Una prima definizione di distretto, che permette di distinguere traaree distrettuali e non distrettuali, è quella proposta da Sforzi che si basasulle caratteristiche dei sistemi locali del lavoro; in particolare laspecializzazione settoriale e la prevalenza di piccole e medie imprese15.Facendo riferimento alla definizione di Sforzi (1990), impiegheremo comemisura del grado di distrettualità di una regione la quota di addettidistrettuali sul totale degli addetti regionali:

Distretti Sforzii = (∑j Addetti distretti ij)/( ∑j Addetti ij)

dove per ciascuna regione i, gli addetti nei distretti sono gli occupati neisettori di specializzazione j di ciascun comune, appartenente a i, qualificatocome distretto dall’algoritmo Sforzi-Istat (considerando solo i settoridell’industria in senso stretto).

La definizione Sforzi-Istat tuttavia, soprattutto per l’oggetto diquesto lavoro, appare troppo restrittiva. Infatti per essere definitodistrettuale dall’algoritmo Sforzi-Istat un sistema locale del lavoro (SLL)deve essere specializzato nel settore manifatturiero; l’algoritmo quindiesclude i sistemi locali centrati sulle grandi aree urbane in cui è rilevante lapresenza del settore terziario, ma dove le economie di agglomerazionepossono esercitare un forte potere di attrazione per gli investitori, inparticolare per quelli esteri16. Inoltre, l’algoritmo Sorzi-Istat esclude dai

__________13 Vedi i contributi di Bagella (1998), Bronzini (2000), Fabiani et al. (2000).14 Per un analisi di questa problematica si veda tra gli altri Cannari e Signorini (2000).15 Cfr. Sforzi (1990).16 Ad esempio, l’algoritmo Sforzi-Istat non individua come distretto il sistema locale specializzato nei

mezzi di trasporto centrato su Torino.

14 Raffaello Bronzini

distretti quei SLL in cui prevalgono le grandi imprese, ma dove non si puòescludere la presenza di economie di agglomerazione.

Una definizione alternativa a quella di Sforzi che non soffre deilimiti elencati è quella proposta da Iuzzolino (2002) in cui un distretto èdefinito come: un insieme continuo di aree territoriali specializzate in unmacro settore produttivo, corrispondente a una filiera, e che presenta unelevato grado di agglomerazione. Per approfondimenti sull’algoritmo diIuzzolino si rimanda al lavoro citato, qui preme sottolineare che questometodo non impedisce di qualificare come distretti né le aree urbane néquelle in cui prevale la grande impresa, come invece succede con il metodoSforzi17. Come ulteriore indicatore del grado di distrettualità utilizzeremoquindi la quota di addetti distrettuali sul totale regionale calcolata conl’algoritmo proposto da Iuzzolino:

Distretti Iuzzoli= (∑j Addetti distretti ij)/( ∑j Addetti ij)

dove i=regione, j=settore; si considerano solo gli occupati nei macro settoridi specializzazione di ciascun comune dell’industria in senso strettoqualificato come distretto dall’algoritmo Iuzzolino18.

Il terzo e ultimo indicatore impiegato si differenzia dal precedenteper il fatto di essere calcolato per ciascuna regione e anche per ciascunsettore:

Distretti Iuzzol2 ij = (Addetti distretti ij)/(Addetti Totali ij)

dove i=regione, j=settore; anche in questo caso si considerano solo glioccupati nei macro settori di specializzazione di ciascun distrettodell’industria in senso stretto.

Una delle determinanti localizzative degli investimenti esterilargamente utilizzata nelle analisi empiriche è rappresentata dalleinfrastrutture che, essendo capaci di ridurre i costi di produzione e ditrasporto, rappresentano un potenziale fattore di attrazione dei flussi diinvestimento. Nel complesso l’evidenza empirica tende a confortare questaipotesi mostrando una significatività dell’impatto (Coughlin, 1991;Wheleer et al., 1992; Wei et al., 1999; Basile, 2001). In accordo con la

__________17 Un’ulteriore caratteristica è che l’agglomerazione è misurata sulle filiere produttive e non sui

singoli settori merceologici.18 Per approfondimenti vedi l’appendice.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 15

letteratura citata, le infrastrutture sono quindi inserite nel modello comeulteriore variabile esplicativa.

4.2 Il modello provinciale

Il modello stimato sui dati provinciali è simile a quello regionale conalcune differenze indotte dalle caratteristiche dei dati. Innanzitutto, nonessendo disponibili i dati settoriali a questo livello di disaggregazioneterritoriale, il modello è stimato sulla cross-section di 95 province per iltotale dell’economia (industria e servizi). In secondo luogo, per tenereconto dell’autocorrelazione spaziale emersa nell’analisi descrittiva, ilmodello è stato stimato introducendo la variabile dipendente ritardata nellospazio. L’equazione stimata è la seguente:

(IDEVAG)i = α1(IDEVAG_Spatial lagged)i + α2(Diversità)i +

α3(Small)i + α4(Big)i + α5(Distretti Sforzi) i +

α6(Distretti Iuzzol)i + α7(Distretti Iuzzol2 )i

α8(Infrastrutture)i + αg(Effetti fissi geografici) +

εi,j

(2)

5. La strategia di stima e i risultati

Il modello regionale è stato stimato nei logaritmi. L’assenza diinvestimenti esteri in alcune regioni e settori ha indotto a stimare unmodello Tobit con il metodo della massima verosimiglianza sotto l’ipotesidi normalità degli errori. Il controllo per gli effetti fissi è stato effettuatocon dummy additive 19.

__________19 La stima di massima verosimiglianza di un modello Tobit con effetti fissi non produce stime

consistenti dei parametri per T fisso e N→∞ (cfr. ad esempio Baltagi, 1995; Arellano e Honoré,2001). Il problema econometrico è quello dei modelli con variabile dipendente discreta (logit,probit) ed effetti fissi in cui il numero di parametri aumenta con il numero di osservazioni e nonesiste la possibilità di "eliminare" gli effetti fissi trasformando il modello come nel caso lineare.Honoré (1992) propone uno stimatore semi parametrico di modelli Tobit con effetti fissiconsistente e asintoticamente normale. Tuttavia, allo stesso tempo dimostra, con un esperimentoMonte Carlo, che la distribuzione asintotica dello stimatore è una buona approssimazione di quella

(continues)

16 Raffaello Bronzini

Il modello provinciale è stato stimato nei logaritmi sulla cross-section delle 95 province esistenti nel 1991. A causa dell’endogeneità dellavariabile dipendente ritardata nello spazio, le stime che la includono sonoeffettuate con variabili strumentali (Anselin, 1988) utilizzando comestrumento le infrastrutture ritardate nello spazio tramite la matrice dellacontiguità 20.

I dati sugli IDE sono disponibili dal 1994; per evitare eventualiproblemi di endogeneità dei regressori le variabili esplicative, con la solaeccezione delle infrastrutture, si riferiscono al 1991. Alcune statistichedescrittive del campione regionale sono mostrate nella tavola 6.

I risultati del modello regionale sono riportati nella tav. 7. Le trevariabili distrettuali essendo correlate tra loro sono state inserite nelle stimeuna alla volta. Poiché il grado di distrettualità è una caratteristica cheall’interno della stessa regione ha una bassa varianza intersettoriale nonsono stati inseriti in questa prima fase gli effetti fissi regionali, ma soloquelli settoriali.

Nelle prime tre colonne della tavola il modello è stato stimato solocon le variabili che misurano il grado di distrettualità, gli effetti fissisettoriali e le dummies area: le variabili distrettuali appaiono significativecon segno positivo. Tuttavia, nel modello allargato (colonne 4-6) solo lavariabile Distretti Iuzzol risulta significativa, insieme alla specializzazionesettoriale e al peso delle imprese di grandi dimensioni. La presenza diimprese di piccole dimensioni e la diversificazione settoriale nonsembrerebbero avere effetti sugli investimenti.

Nella letteratura le infrastrutture sono considerate un fattoreimportante capace di attrarre gli investimenti dall’estero. Nelle colonne (7)-(9) il modello include questa ulteriore variabile che risulta altamente

____________________________________________________________effettiva solo se N≥200, mentre per N piccolo la distribuzione asintotica non approssimaadeguatamente quella effettiva. D'altra parte i risultati di Heckman (1981) inducono a nonsopravvalutare la distorsione indotta da stime di MV condotta con dummy additive in queste classidi modelli. Egli dimostra infatti, con esperimenti Monte Carlo, che le stime di MV di un modelloprobit statico con effetti fissi presenta una distorsione trascurabile se N non è troppo grande inrapporto a T (negli esperimenti N=100 e T=8). Sulla base di questi risultati Arellano (2000)suggerisce di stimare con il metodo della massima verosimiglianza i modelli non lineari con effettifissi se il rapporto N/T è finito e non troppo elevato. Poichè nel nostro caso la struttura del panelrientra in quest'ultima categoria (i=20 e j=10), seguendo Braunerhjelm P., Svensson R. (1996) si èdeciso di stimare il modello con il metodo della massima verosimiglianza e con dummy additive.

20 Gli investimenti e le infrastrutture ritardati nello spazio sono apparse variabili molto correlate tra diloro, con un coefficiente di correlazione pari a circa 0,78.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 17

significativa e con segno positivo. La specializzazione settoriale rimanemolto significativa, mentre le variabili distrettuali perdono disignificatività.

Dal complesso dei risultati ottenuti non sembra emergere unarobusta relazione tra i flussi di investimenti in entrata e i distrettiindustriali, mentre la specializzazione risulta significativamente correlataagli IDE. Può essere interessare verificare se la specializzazione settorialein regioni considerate come altamente distrettuali ha un effettodifferenziale significativo: in altre parole se le aree specializzate e anchedistrettuali attraggono più investimenti dall’estero rispetto alle regioni chesono solo specializzate. Nelle prime tre colonne della tav. 8 sono presentatii risultati del modello stimato con le variabili interazione tra laspecializzazione e dummy distretto che assumono valore pari a uno nelleregioni altamente distrettuali21. Non sembra che le aree specializzate edistrettuali presentino una maggiore capacità di attrazione degli IDErispetto alle aree solo specializzate: le sole variabili significative cheemergono dalle stime rimangono la specializzazione e le infrastrutture.

Nelle colonne 4-7 si mostrano i risultati delle stime con gli effettifissi regionali e con i regressori che variano tra settori. I risultati sullevariabili distrettuali rimangono immutati: sia le variabili interazioni che ilgrado di distrettualità (Distretti Iuzzol2 ) non sono significative. Laspecializzazione rimane molto significativa, mentre cambiano i risultati cheriguardano la diversificazione settoriale che ora è significativa e con ilsegno negativo atteso: ad una maggiore diversificazione, misurata da unminor valore dell’indice di Herfindhal, corrispondono maggioriinvestimenti dall’estero.

Risultati qualitativamente simili si ottengono se si modificano lesoglie delle variabili che misurano la dimensione delle imprese (da 200 a50 addetti per Small e da 1000 a 500 per Big), se si escludono le regioni incui la concentrazione degli investimenti è più elevata (in particolareLombardia, Lazio e Piemonte) e infine modificando le soglie critiche per ladefinizioni delle dummy distretto nei modelli di tavola 8.

I risultati delle stime del modello provinciale sono riportati nellatavola 9. Nelle prime due colonne il modello comprende, insieme alle

__________21 La variabile è calcolata come interazione tra la specializzazione e una dummy distretto che assume

valore pari a 1 se la corrispondente variabile continua che misura il grado di distrettualità supera ilterzo quartile. L’utilizzo di soglie differenti per la dummy distretto non ha modificato i risultati.

18 Raffaello Bronzini

dummies regionali, le infrastrutture, che risultano significative con segnopositivo, e le variabili che misurano il grado di distrettualità che nonappaiono significative. Nelle successive colonne (3-6) sono riportati irisultati del modello completo stimato prima con la variabile che misura ilpeso delle grandi imprese e poi con quella che quantifica il peso dellepiccole imprese; essendo molto correlate tra loro le due variabili sono stateinserite separatamente nelle stime. Nei modelli 3 e 4 emerge solo l’effettodelle infrastrutture, mentre dai modelli 5-6 risulta che gli IDE sonoscoraggiati se nella province prevalgono le piccole imprese. La perdita disignificatività del coefficiente delle infrastrutture potrebbe dipendere dallapresenza di multicollinerità; le infrastrutture e la quota di piccole impreserisultano infatti correlati negativamente 22.

Nella tavola 10 il modello include la variabile dipendente ritardatanello spazio che, essendo endogena, rende necessaria la stima con variabilistrumentali. Seguendo le indicazioni di Anselin (1988), abbiamo sceltocome strumento una variabile esplicativa ritardata nello spazio: leinfrastrutture ci è sembrata la variabile appropriata data la sua elevatacorrelazione con la dipendente ritardata (pari a 0,78) 23. In questi modelli ledummy regionali sono state sostituite con quattro dummy area a causadella loro correlazione con la dipendente ritardata nello spazio.

I risultati della stima con variabili strumentali appaionorelativamente simili a quelli ottenuti fino ad ora. Le proxy del grado didistrettualità non sono significative, mentre l’unica variabilestatisticamente significativa risultano le infrastrutture nel modello ridotto(colonne 1-2).

Nel complesso la verifica econometrica porta ad escludere lapresenza di significative relazioni tra le aree distrettuali e gli investimentiesteri: il grado di distrettualità basato sull’algoritmo di Sforzi non risultamai significativo, probabilmente anche per il fatto di escludere dai distrettile aree urbane e quelle in cui sono presenti le grandi imprese. Alcuneevidenze emergono dal grado di distrettualità misurato con l’algoritmo diIuzzolino (2002); tuttavia tali risultati non sembrano robusti all’inclusionenel modello di ulteriori variabili esplicative, come ad esempio leinfrastrutture.

__________22 Con un coefficiente di correlazione pari a -0.55.23 Per ritardare le variabili nello spazio si è utilizzata la matrice delle contiguità.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 19

Le infrastrutture appaiono nel complesso significativamentecorrelate con gli IDE, un risultato coerente con quelli emersi in numerosilavori empirici. Inoltre gli IDE sembrerebbero attratti dallaspecializzazione settoriale delle regioni: più un’area è specializzata in unsettore e più tende ad attrarre investimenti esteri in quel settore.Un’evidenza che supporta l’ipotesi della presenza di MAR externalitiesemersa anche in altri studi (Braunerhjelm e Svensson, 1996). Questorisultato, in apparente contrasto con la non significatività dell’effettodistretto, è da mettere in relazione con il fatto che i distretti sonoconsiderati aree specializzate in intere filiere produttive e non solo insingoli settori. Sembrerebbe perciò che per gli investitori esteri siano piùrilevanti i vantaggi derivanti dalla concentrazione territoriale di impreseappartenenti allo stesso settore, grazie agli spillover tecnologici o alladisponibilità di manodopera specializzata, e meno importanti i vantaggiderivanti dalla concentrazione di imprese collegate tra loro da rapporti difiliera, i così detti forward and backward linkages.

Nel modello regionale, inoltre, la diversificazione settoriale apparein grado di attrarre investimenti dall’estero: nelle regioni che presentanoun’offerta di beni e di servizi differenziata gli investimenti esteri risultanomaggiori. Gli IDE in un’area non sembrano invece dipendere dalladimensione delle imprese: nella gran parte dei modelli stimati le quoterelative di imprese di grandi e di piccole dimensioni non hanno unarelazione statisticamente significativa con gli IDE.

6. Conclusioni

In questo lavoro si sono esaminati gli investimenti esteri in entratanelle regioni e province italiane nel periodo 1994-2000. L’analisidescrittiva ha messo in luce come gli investimenti esteri siano fortementeconcentrati sul territorio, con una quota marginale assorbita dalle regionimeridionali. La concentrazione territoriale appare inoltre più elevata neiservizi ed esaminando le aree più piccole come le province: un indice delforte potere di attrazione esercitato dalle grandi aree urbane sugliinvestitori esteri.

L’analisi econometrica ha permesso di verificare l’effetto di alcunecaratteristiche della struttura produttiva locale sugli investimenti estericome la specializzazione, il grado di distrettualità, la dotazione diinfrastrutture, la diversificazione settoriale e la dimensione delle imprese.

20 Raffaello Bronzini

La specializzazione produttiva è un fattore che emerge fortementecorrelato con gli investimenti in entrata: le aree più specializzateattraggono più investimenti dall’estero; un risultato a sostegno delle teoriesulle MAR externalities che si ritrova nelle precedenti analisi empiriche.

I risultati porterebbero invece ad escludere la presenza di un “effettodistretto” sugli investimenti esteri: nella maggior parte delle regressioni ilgrado di distrettualità non risulta significativo, anche se misurato conmetodi alternativi. Se da un lato i distretti si presentano come areeterritoriali efficienti, con imprese mediamente più produttive e con unamaggiore propensione all’export, dai risultati ottenuti essi non sembranoattrarre gli investimenti dall’estero. Una delle possibili spiegazionipotrebbe risiedere nel fatto che i distretti rappresentano aree socio-economiche autocontenute relativamente chiuse all’esterno. Il forte legametra il tessuto produttivo e quello sociale potrebbe favorire l’imprenditorialocale, ma rappresentare un ostacolo per soggetti imprenditoriali esterni aldistretto come quelli esteri. Se l’investitore estero fosse considerato unestraneo dalla comunità locale, i vantaggi informativi derivanti dall’esserelocalizzato in un distretto, così come i vantaggi derivanti dalla disponibilitàdi una abbondante manodopera locale, verrebbero a cadere. Gliimprenditori esteri non beneficerebbero quindi di quei vantaggilocalizzativi che secondo la teoria favoriscono le imprese distrettuali24. Unulteriore indicazione che emerge è che gli stretti legami tra le imprese dellastessa filiera produttiva, tipici dei distretti industriali, non sembranorilevanti per gli investitori esteri, mentre sembrano contare i vantaggiderivanti dalla concentrazione territoriale di imprese dello stesso settoreproduttivo.

In accordo con un’ampia evidenza empirica, le infrastruttureappaiono un fattore importante per attrarre gli investimenti dall’estero. Learee più dotate di infrastrutture sono anche quelle con la maggiore presenzadi imprese estere. Inoltre, la diversificazione settoriale risultasignificativamente correlata con gli IDE: le aree in cui si riscontra unamaggiore varietà di offerta di beni e servizi attraggono più investimentidall’estero.

__________24 Alcune evidenze empiriche sulla “chiusura” delle aree distrettuali rispetto agli investitori esteri si

ritrovano in Mariotti e Mutinelli (2001), “La formazione di gruppi multinazionali nei distretti”, inBrioschi e Cainelli, Diffusione e caratteristiche dei gruppi di piccole e medie imprese nelle areedistrettuali, Milano: Giuffré Editore, 2001.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 21

Infine non c’è una robusta evidenza sul ruolo svolto dalladimensione media delle imprese: né le aree in cui prevalgono le piccoleimprese né quelle in cui prevale la grande impresa sembrano attrarre, maneanche scoraggiare, gli investimenti dall’estero.

22 Raffaello Bronzini

APPENDICE: DATI E DEFINIZIONI DELLE VARIABILI

A.1 Modello regionale

Con i si indicano le 20 regioni, con j indichiamo i 10 settoridell’industria in senso stretto: Prodotti energetici, Minerali ferrosi, Mineralinon metalliferi, Prodotti chimici, Prodotti in metallo e macchine, Mezzi ditrasporto, Alimentari bevande e tabacco, Tessile abbigliamento cuoio ecalzature, Carta stampa ed editoria, Legno mobili e altri prodottimanifatturieri.

Variabile dipendente: (Stock di IDE cumulato 1994-2000/Valoreaggiunto 1994)i,j . (Fonte: UIC per gli IDE e Istat, Contabilità regionale peril valore aggiunto).

Specializzazioneij=(IS-1)/(IS+1);dove IS indica l’indice di specializzazione settoriale della regioneIS=(Addettiij)/AddettiTotali,i)/(Addettij/AddettiTotali,Italia). La variabile chemisura la specializzazione settoriale è una variabile standardizzata chevaria tra –1 e 1. (Fonte: Istat, Censimento 1991).

Diversitàij=Herfindahli,j/HerfindahlItalia,j;

dove Herfindahli,j= ;*

2*,∑

≠ jjjis s2

i,j*=(Addettii,j*)/∑j*≠j(Addettii,j*). La

diversità è calcolata includendo anche i servizi. (Fonte: Istat, Censimento1991).

Smallij= (Quota di occupati nelle imprese con meno di 200dipendenti)i,j/(Quota di occupati nelle imprese con meno di 200 dipendenti)Italia,j. (Fonte: Istat, Censimento 1991).

Bigij= (Quota di occupati nelle imprese con più di 1000dipendenti)i,j/(Quota di occupati nelle imprese con più di 1000 dipendenti)Italia,j. (Fonte: Istat, Censimento 1991).

Infrastrutturei = Indice totale delle infrastrutture regionali al 1998.Per la variabile provinciale, dalle 103 province del 1998 si è passati alle 95province esistenti nel 1991 con le medie dei rispettivi indici provincialiponderate per il PIL (Fonte: Istituto Tagliacarne).

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 23

Distretti Sforzii = (∑j Addetti distrettiij)/(∑j Addettiij), i=regione,j=settore. Grado di distrettualità secondo i distretti Sforzi-Istat per ciascunaregione i. Gli addetti nei distretti sono gli occupati nei settori dispecializzazione di ciascun distretto. Si considerano solo i settoridell’industria in senso stretto. (Fonte: Istat, Censimento 1991).

Distretti Iuzzoli= (∑j Addetti distrettiij)/(∑j Addettiij). Grado didistrettualità per ciascuna regione secondo i distretti individuati conl’algoritmo proposto da Iuzzolino. Gli addetti nei distretti sono gli occupatinei settori di specializzazione di ciascun distretto. Si considerano solo isettori dell’industria in senso stretto. (Fonte: Istat, Censimento 1991).

Distretti Iuzzol2 ij= (Addetti distretti ij )/( Addetti Totali ij ). Grado didistrettualità secondo l’algoritmo Iuzzolino per ciascuna regione e settore.Gli addetti nei distretti sono gli occupati nei settori di specializzazione diciascun distretto. Si considerano solo i settori dell’industria in sensostretto25. (Fonte: Istat, Censimento 1991).

A. 2 Modello provinciale

Con i si indicano le 95 province. I dati riguardano il totale deisettori: industria e servizi.

Variabile dipendente: (Stock di Ide cumulato 1994-2000/Valoreaggiunto 1994)i. (Fonte:UIC e Istituto Tagliacarne per il valore aggiuntoprovinciale).

Le variabili Distretti Sforzi e Distretti Iuzzol sono calcolate, comenel modello regionale, solo sull’industria in senso stretto. Tutte le altrevariabili sono calcolate come nel modello regionale, ma per tutti i settori

__________25 Indichiamo con c il comune, con s il settore ateco a 3 cifre, con m il macro settore (o filiera) in cui

vengono raggruppati i settori industriali dall’algoritmo e con j il macro settore Nace (laclassificazione degli IDE). Il numero di addetti distrettuali nel comune c e settore s sarà:NDIST(c,s)=Addetti nei distretti(c,s) se il comune c appartiene a un distretto del macro settore m ese s∈m; NDIST(c,s)=0 altrimenti. Se indichiamo con N(c,j) gli addetti nel comune c e nel settorenace j, il grado di distrettualità nella regione r e settore nace j sarà: DistrettiIuzzol(r,j)=∑c∑sNDIST(c,s) / ∑c∑sN(c,s) con c∈r e Distretti Iuzzol2(r,j)=∑c∑sNDIST(c,s) /∑c∑sN(c,s) con c∈r e s∈j.

24 Raffaello Bronzini

inclusi i servizi e su dati provinciali. La variabile dipendente ritardata nellospazio è misurata con la seguente formula:

(Idevag_Spatial Lagged)i=∑k(wikIDEVAk);dove wik=(Confik/∑k≠iConfik) e Confik=1 se le province i e k confinano e 0altrimenti.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 25

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30 Raffaello Bronzini

Tav. 1

IDE per macroarea e paese di provenienza(miliardi lire e in parentesi quote percentuali; valori cumulati 1994-I

semestre 2000)Paese Nord-Ovest Nord-Est Centro Mezzogiorno Italia

Extra UME 28,677(55,3)

7,112(72,9)

4,367(49,8)

333(38,2)

51,241(54,0)

UME 12,223(23,6)

1,914(19,6)

3,543(40,4)

282(32,3)

29,026(30,6)

America 9,924(19,1)

479(4,9)

746(8,5)

204(23,4)

12,849(13,5)

Asia 891(1,7)

131(1,3)

103(1,2)

50(5,8)

1,210(1,3)

Africa 157(0,3)

90(0,9)

8(0,1)

3(0,3)

310(0,3)

Australia 11(0,0)

8(0,1)

1,0(0,0)

1(0,1)

51(0,1)

Nonspecificato

10(0,0)

27(0,3)

7(0,1)

0(0,0)

147(0,2)

Totale (72,8) (13,7) (12,3) (1,2) (100)

Totalenazionale (1)

51,893(100)

9,761(100)

8,775(100)

872(100)

94,832(100)

Fonte: UIC. (1) Il totale nazionale comprende gli importi non ripartiti tra le regioni.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 31

Tav. 2

IDE per macroarea e settore(miliardi lire e in parentesi quote percentuali; valori cumulati 1994-I

semestre 2000)Settore Nord-Ovest Nord-Est Centro Mezzogiorno Italia

Manifatturiero 23,535(45,4)

4,341(44,5)

1,424(16,2)

392(45,0)

37,835(39,9)

Finanza eassicurazioni

13,425(25,9)

2,782(28,5)

3,684(42,0)

118(13,5)

30,768(32,4)

Altri servizi 10,300(19,8)

1,628(16,7)

2,031(23,1)

182(20,9)

17,654(18,6)

Famiglie 1,241(2,4)

507(5,2)

293(3,3)

43(4,9)

2,180(2,3)

Prodotti energetici 411(0,8)

43(0,4)

85(1,0)

16(1,8)

1,443(1,5)

Edilizia 624(1,2

158(1,6)

444(5,1)

14(1,6)

1,273(1,3)

Amministrazionipubbliche

77(0,1)

-(0,0)

220(2,5)

-(0,0)

323(0,3)

Agricoltura 120(0,2)

35(0,4)

53(0,6)

9(1,0)

262(0,3)

Non specificato 2,160(4,2)

267(2,7)

543(6,2)

99(11,4)

3,093(3,3)

Totale (1) 51,893(100)

9,761(100)

8,775(100)

872(100)

94,832(100)

Fonte: UIC. (1) Il totale nazionale comprende gli importi non ripartiti tra le regioni.

32 Raffaello Bronzini

Tav. 3

IDE per regione(miliardi di lire e valori percentuali)

Regioni IDE cumulati(1994-I

semestre2000)

Quota sultotale

nazionale

IDE inpercentuale

del PIL(medie sulperiodo)

Indicerelativo degli

IDE inpercentuale

del PIL:Italia=100

Variazionipercentualidegli IDE:

medie1994-99

Lombardia 42.329 44,6 1,5 216,5 19,0

Piemonte 7.838 8,3 0,7 94,8 15,7

Lazio 7.339 7,7 0,5 77,4 33,9

Veneto 4.818 5,1 0,4 55,6 38,5

Emilia-Romagna 3.807 4,0 0,3 45,7 5,0

Liguria 1.247 1,3 0,3 43,3 16,6

Toscana 1.138 1,2 0,1 17,9 -10,4

Friuli-Venezia Giulia 653 0,7 0,2 29,0 21,7

Trentino-Alto Adige 482 0,5 0,2 23,7 -0,8

Valle d’Aosta 479 0,5 1,2 175,8 66,1

Campania 375 0,4 0,0 6,2 22,8

Marche 230 0,2 0,1 9,5 -7,7

Abruzzo 207 0,2 0,1 11,5 -32,1

Sicilia 109 0,1 0,0 2,0 27,3

Sardegna 70 0,1 0,0 3,4 23,7

Umbria 67 0,1 0,0 5,1 13,7

Puglia 48 0,1 0,0 1,1 18,3

Molise 35 0,0 0,1 8,2 -39,7

Calabria 17 0,0 0,0 0,8 97,5

Basilicata 11 0,0 0,0 1,6 7,9

Non classificati 23.531 24,8 .. .. ..

Italia (1) 94.832 100 0,7 100 20,0

Fonte: UIC. (1) Il totale nazionale comprende gli importi non ripartiti tra le regioni.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 33

Tav. 4

IDE per provincia(IDE delle prime 50 province cumulati sul periodo 1994-2000; miliardi di

lire e valori percentuali)

N ProvinceValori cumulati

1994-2000Quote

percentuali

IDE inpercentuale del

PIL(medie sulperiodo)

Indice degli IDEin percentuale

del PIL(Italia=100)

1 Milano 38.012 40,1 3,1 392,32 Roma 7.086 7,5 0,7 93,23 Torino 6.904 7,3 1,2 155,44 Treviso 2.456 2,6 1,3 157,45 Bergamo 1.261 1,3 0,6 73,26 Bologna 1.220 1,3 0,4 52,47 Genova 1.172 1,2 0,5 62,28 Brescia 1.111 1,2 0,4 55,59 Ravenna 869 0,9 1,0 129,210 Como 857 0,9 0,7 88,211 Modena 771 0,8 0,4 55,612 Vicenza 681 0,7 0,3 43,313 Varese 677 0,7 0,4 45,514 Venezia 599 0,6 0,3 38,915 Firenze 517 0,5 0,2 25,616 Aosta 479 0,5 1,5 190,917 Padova 451 0,5 0,2 26,518 Verona 446 0,5 0,2 27,019 Reggio Emilia 432 0,5 0,4 48,620 Trieste 307 0,3 0,4 50,721 Vercelli 284 0,3 0,7 86,022 Cuneo 276 0,3 0,2 28,423 Bolzano 253 0,3 0,2 26,224 Udine 231 0,2 0,2 22,825 Trento 229 0,2 0,2 25,226 Parma 219 0,2 0,2 26,027 Lucca 197 0,2 0,3 31,628 Alessandria 192 0,2 0,2 25,229 Napoli 189 0,2 0,0 5,630 Latina 162 0,2 0,2 23,331 Ancona 151 0,2 0,1 17,732 Belluno 150 0,2 0,3 40,733 Lecco 141 0,1 0,2 23,734 Forlý 123 0,1 0,1 18,735 Teramo 118 0,1 0,2 29,036 Pavia 116 0,1 0,1 15,737 Caserta 108 0,1 0,1 13,938 Pordenone 108 0,1 0,2 21,139 Livorno 105 0,1 0,2 20,340 Novara 100 0,1 0,1 15,8

34 Raffaello Bronzini

Tav. 4 segue

N ProvinceValori cumulati

1994-2000Quote

percentuali

IDE inpercentuale del

PIL(medie sulperiodo)

Indice degli IDEin percentuale

del PIL(Italia=100)

41 Pisa 87 0,1 0,1 13,142 Piacenza 81 0,1 0,1 15,943 Siena 72 0,1 0,1 17,044 Perugia 63 0,1 0,1 6,345 Biella 62 0,1 0,1 15,946 Palermo 61 0,1 0,0 4,347 Prato 57 0,1 0,1 12,548 Sondrio 54 0,1 0,2 21,249 Rimini 52 0,1 0,1 11,350 Frosinone 51 0,1 0,1 7,3

Non classificati 23.531 24,8 .. ..Italia 94.832 100,0 0,8 100

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 35

Tav. 5

Autocorrelazione spaziale degli IDE provinciali in rapporto al valoreaggiunto

Area N. diprov.

Moran I(wi,j=contiguità)

Test – Moran Z(wij=contiguità)

Moran I(wij=distanza)

Test – Moran Z(wij= distanza)

Province del CentroNord 67 0,04 0,78 -0,01 0,51

Province del Sud 36 0,27 2,59*** 0,14 3,70***

Totale 103 0,16 2,72*** 0,06 4,37***

Paese

USA 103 0,06 1,12 0,02 2,04**

Giappone 103 0,03 0,61 0,02 2,01**

UME 103 0,16 2,65*** 0,06 4,61***

Extra UME 103 0,15 2,48*** 0,05 3,83***

Totale 103 0,16 2,72*** 0,06 4,37***

Moran I=(n/So)∑i∑j wij (xi-µ)(xj-µ)/ ∑i (xi-µ)2.Dove n=numero di osservazioni; So=(∑i∑j wij) è la somma dei pesi; x= (IDE/Valore aggiunto); i,j=province; µ=media di x; wij =elemento della matrice spaziale.Moran Test Z=[I-E(I)]/SD(I). Sotto l’ipotesi di normalità di Z, la media teorica è pari a E(I)= (-1/(n-1)); con SD(I) si indica la deviazione standard teorica; la distribuzione di riferimento è la normalestandardizzata.**, *** indicano rispettivamente una significatività del 5 e 1 per cento

Tav. 6

Statistiche descrittive del campione regionale

Variabili N.Oss. Media Deviazione

Standard CV Minimo Massimo

Log(1+IDE/VALORE AGGIUNTO) 200 2.22 1.82 0.82 0.00 6.99

Log(1+SPECIALIZZAZIONE) 200 -0.17 0.36 2.18 -1.76 0.50

Log(DIVERSITA’) 200 0.14 0.17 1.23 -0.15 0.55

Log(1+SMALL) 200 0.71 0.17 0.24 0.03 1.35

Log(1+BIG) 200 0.37 0.57 1.54 0.00 2.95

Log(1+DISTRETTI SFORZI) 200 0.07 0.08 1.11 0.00 0.25

Log(1+DISTRETTI IUZZOL) 200 0.14 0.13 0.91 0.00 0.37

Log(1+DISTRETTI IUZZOL2) 200 0.10 0.16 1.61 0.00 0.66

Log(INFRASTRUTTURE) 200 4.45 0.22 0.05 4.09 4.86

36 Raffaello Bronzini

Tav. 7

Stima del modello regionale per i settori dell’industria in senso strettoVariabile dipendente : Log(1+IDE/Valore aggiunto)Modello Tobit– Stime di Massima verosimiglianza

Variabili esplicative (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9)

Log(1+SPECIALIZZAZIONE) 0.87**(0.43)

0.73*(0.42)

0.60(0.47)

0.84**(0.39)

0.90**(0.39)

0.96**(0.44)

Log(DIVERSITA’) -1.76(0.97)

0.16(1.05)

-1.61(0.84)

-0.35(0.90)

-0.56(0.99)

-0.79(0.77)

Log(1+SMALL) 1.01(0.92)

0.85(0.89)

0.82(0.92)

0.79(0.84)

0.87(0.84)

0.92(0.85)

Log(1+BIG) 0.61**(0.25)

0.49**(0.24)

0.57**(0.24)

0.21(0.23)

0.18(0.23)

0.19(0.23)

Log(1+DISTRETTI SFORZI) 3.26*(1.91)

0.10(2.27)

1.75(2.07)

Log(1+DISTRETTI IUZZOL) 4.92***(1.03)

4.01***(1.40)

0.45(1.43)

Log(1+DISTRETTI IUZZOL2) 2.69***(0.81)

1.19(0.93)

-0.22(0.87)

Log(INFRASTRUTTURE) 5.04***(0.75)

4.86***(0.82)

5.02***(0.77)

NORD-OVEST 2.61***(0.34)

2.12***(0.34)

2.54***(0.33)

2.31***(0.34)

2.13***(0.34)

2.28***(0.34)

0.43(0.41)

0.48(0.41)

0.45(0.41)

NORD-EST 2.17***(0.37)

1.88***(0.33)

2.33***(0.33)

2.06***(0.36)

1.91***(0.34)

2.08***(0.34)

0.76**(0.37)

0.86**(0.36)

0.83**(0.36)

CENTRO 1.21***(0.39)

0.77**(0.35)

1.33***(0.33)

1.04***(0.38)

0.76**(0.35)

1.01***(0.34)

-0.06(0.38

0.07(0.34)

0.07(0.34)

EFFETTI FISSI SETTORE SI SI SI SI SI SI SI SI SI

Log Likelihood -342.18 -332.64 -338.19 -332.47 -328.46 -331.67 -311.29 -311.60 -311.62

Left censored observations 42 42 42 42 42 42 42 42 42

Number of observations 200 200 200 200 200 200 200 200 200

Standard error in parentesi. *, **, *** indicano un coefficiente significativo al 10, 5 e 1 per cento,rispettivamente. Nord Ovest, Nord Est, Centro sono dummies per le ripartizioni geografiche (per la presenzadell’intercetta la dummy Sud non è stata inserita nel modello).

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 37

Tav. 8

Stima del modello regionale per i settori dell’industria in senso stretto:interazione specializzazione e distretti

Variabile dipendente : Log(1+IDE/Valore aggiunto)Modello Tobit– Stime di Massima verosimiglianza

Variabili esplicative (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7)

Log(1+SPECIALIZZAZIONE) 1.11***(0.42)

0.96**(0.41)

1.04**(0.46)

2.64**(0.80)

2.49***(0.79)

2.62***(0.80)

2.46***(0.79)

Log(DIVERSITA’) -0.56(0.81)

-0.37(0.88)

-0.81(0.78)

-23.48**(9.54)

-23.65**(9.69)

-24.21**(9.53)

-24.77**(9.64)

Log(1+SMALL) 0.81(0.84)

0.86(0.83)

0.88(0.85)

1.06(0.83)

1.09(0.83)

1.04(0.83)

1.06(0.83)

Log(1+BIG) 0.18(0.23)

0.19(0.23)

0.20(0.23)

0.21(0.23)

0.23(0.23)

0.25(0.23)

0.23(0.23)

DUMMY SFORZI 0.00(0.31)

DUMMY IUZZOL 0.24(0.34)

DUMMY IUZZOL2 -0.06(0.32)

DUMMY SFORZI*Log(1+SPECIALIZZAZIONE)

-1.42(1.06)

-1.15(1.03)

DUMMY IUZZOL*Log(1+SPECIALIZZAZIONE)

-0.81(1.20)

-0.31(1.16)

DUMMY IUZZOL2*Log(1+SPECIALIZZAZIONE)

-0.64(0.99)

-0.84(0.93)

Log(1+DISTRETTI IUZZOL2) 0.35(0.91)

Log(INFRASTRUTTURE) 5.07**(0.76)

4.90***(0.75)

4.91***(0.78)

NORD-OVEST 0.46(0.41)

0.43(0.41)

0.51(0.42)

NORD-EST 0.81**(0.36)

0.78**(0.36)

0.86**(0.36)

CENTRO 0.00(0.35)

0.08(0.34)

0.08(0.34)

EFFETTI FISSI REGIONE NO NO NO SI SI SI SI

EFFETTI FISSI SETTORE SI SI SI SI SI SI SI

Log Likelihood -310.72 -311.11 -311.44 -294.93 -295.52 -295.14 -295.48

Left censored observations 42 42 42 42 42 42 42

Number of observations 200 200 200 200 200 200 200

Standard error in parentesi. *, **, *** indicano un coefficiente significativo al 10, 5 e 1 per cento,rispettivamente. Nord Ovest, Nord Est, Centro sono dummies per le ripartizioni geografiche (per lapresenza dell’intercetta la dummy Sud non è stata inserita nel modello).

38 Raffaello Bronzini

Tav. 9

Stima del modello provinciale: totale economiaVariabile dipendente : Log(IDE/Valore aggiunto)

Stime OLS

Variabili esplicative (1) (2) (3) (4) (5) (6)

Log(INFRASTRUTTURE) 1.43**(0.54)

1.29**(0.53)

1.17*(0.64)

1.14*(0.63)

0.45(0.64)

0.52(0.65)

Log(DIVERSITA’) -0.53(1.16)

-0.39(1.15)

0.31(1.11)

0.16(1.11)

Log(1+BIG) 0.19(0.40)

0.10(0.39)

Log(1+SMALL) -13.61**(5.38)

-10.10*(5.11)

Log(1+DISTRETTI SFORZI) 0.95(1.38)

1.02(1.44)

2.10(1.43)

Log(1+DISTRETTI IUZZOL) 1.39(0.87)

1.30(0.90)

1.09(0.88)

DUMMY REGIONALI SI SI SI SI SI SI

DUMMY AREA

R2 – Corretto 0.63 0.64 0.63 0.64 0.65 0.65

St. error della regressione 1.09 1.08 1.10 1.09 1.06 1.06

Numero di osservazioni 95 95 95 95 95 95

Standar error in parentesi; *, **, *** indicano una significatività del 10, 5 e 1 per cento, rispettivamente.

Distretti industriali, economie di agglomerazione e investimenti esteri in Italia 39

Tav. 10

Risultati del modello provinciale: totale economiaVariabile dipendente : Log(IDE/Valore aggiunto)

Stime con variabili strumentali (1)

Variabili esplicative (1) (2) (3) (4) (5) (6)

Log(IDEVAG_SPATIAL LAGGED) 0.07(0.56)

0.06(0.56)

-0.13(0.64)

-0.15(0.66)

-0.01(0.64)

-0.01(0.66)

Log(INFRASTRUTTURE) 1.42**(0.56)

1.22**(0.58)

1.06(0.70)

1.02(0.71)

0.59(0.68)

0.62(0.69)

Log(DIVERSITA’) -2.08(1.25)

-2.16(1.31)

-1.25(1.33)

-1.70(1.36)

Log(1+BIG) -0.03(0.40)

-0.11(0.37)

Log(1+SMALL) -8.19(5.66)

-4.83(5.36)

Log(1+DISTRETTI SFORZI) 1.76(1.53)

0.99(1.60)

1.89(1.54)

Log(1+DISTRETTI IUZZOL) 1.22(0.98)

0.61(0.96)

0.57(0.94)

DUMMY REGIONALI

DUMMY AREA SI SI SI SI SI SI

R2 – Corretto 0.53 0.53 0.51 0.51 0.54 0.53

St. error della regressione 1.24 1.24 1.27 1.27 1.22 1.24

Numero di osservazioni 95 95 95 95 95 95

Standard error in parentesi; *, **, *** indicano una significatività del 10, 5 e 1 per cento,rispettivamente. (1) Nella stima con variabili strumentali, la variabile dipendente ritardata nello spazio èstata strumentata con le infrastrutture ritardate nello spazio.

Fig. 1

IDE IN PERCENTUALE DEL PIL

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1995 1996 1997 1998 1999 2000 (1)

- NORD-OVEST

- NORD-EST

- CENTRO

MEZZOGIORNO

Fig. 2

CONCENTRAZIONE REGIONALE E PROVINCIALE DEGLI IDE: CURVE DILORENZ

(calcolate sulle quote di valore aggiunto)

Province - Industria e servizi ------- 1994 (Gini=0,63)______1998 (Gini=0,68)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0

Regioni - Industria e servizi------- 1994 (Gini=0,51)______1998 (Gini=0,57)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0

Regioni - Settore manifatturiero------- 1994 (Gini=0,40)

______1998 (Gini=0,45)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0

Regioni - Servizi------- 1994 (Gini=0,56)______1998 (Gini=0,59)

0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0