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Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

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DOMENICO CONSOLI GIORGIO PETROCCHI

La letteratura italiana Tomo 111

Arcadia, Illuminismo, Romanticismo

SANSONI - ACCADEMIA

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Parte prima

Arcadia e Illumii~ismo di

DOMENTCO CONSOLI dell'università di Macerata

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Capitolo primo

Tra Sei e Settecento

LA CRISI DEL BAROCCO

La distinzione fra Seicento barocco e Settecento razionali- stico, per convenzionale e approssimativa che possa apparire, ha una sua validità sul piano storico, a patto che da un lato si ammetta un lento ma sicuro evolversi del pensiero italiano verso forme concrete di filosofia civile, di letteratura seria, di attività scientifica già nel seno stesso del Seicento (che non fu tutto barocco, lo si sa bene), con moto tanto piii accelerato quanto piu ci si accosti alla fine del secolo, e dall'altro si eviti di cristallizzare la nozione di razionalismo in uno schema troppo rigido, che nulla preveda al di là della semplice divisione nelle classi contigue di Arcadia e illuminismo.

I1 Settecento è stagione ricca, varia, complessa, e lo stesso ricorso alla ragione, se ne costituisce il continuo punto di rife- rimento, prepara (e implica) movimenti autonomi, talora pro- clivi, specie nella seconda metà del secolo, a esplorare e met- tere in luce zone inquiete della storia, della psiche, del costu- me, dove alla chiarezza dell'intelligenza si opponevano frequen- temente ombre sconosciute, densi intrichi passionali, presagi di una nuova epoca non piii iscrivibile nella limpida sfera delle verità di ragione.

Inoltre nel Settecento, cosi nei limiti che il fatto comporta, come nelle sollecitazioni che esprime, le testimonianze artisti- che ricevono in misura crescente il condizionamento delle di- verse situazioni sociali ed economiche, che resistono al livella- mento tentato da fenomeni ad ampia diffusione quali l'Arcadia, con la sua politica accentratrice, e l'illuminismo, impegnato a porre la repubblica letteraria all'ombra della comune bandiera razionale. Sicché anche da questo versante la critica non può esimersi da un preciso impegno di storicizzazione volto a co-

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gliere, entro la trama delle costanti, il tratto di volta i'n volta specifico d'un ambiente, d'un tipo di cultura e di poesia.

È stato piu volte affermato che la grande scossa delle guer- re di successione all'assetto politico della penisola (caduta del predominio spagnuolo, ingresso dell'Italia nella sfera dell'in- fluenza austriaca al Nord e borbonica al Sud, con minori as- sestamenti nei ducati centro-settentrionali, rafforzamento dei Savoia nel Piemonte, decadenza di Venezia e Genova) non ebbe conseguenze ragguardevoli sull'ordinamento sociale e sui rapporti fra le classi popolari e il potere. In verità le strutture della società rimasero ~ressoché inalterate r i s~e t to al Seicento. come non mutò in fondo né in Italia né in Europa, il giuoco delle grosse forze economiche. Ma la stasi e il conservatorismo " politico-economico, il prestigio dell'aristocrazia legata alle corti, l'autorità dei Gesuiti. che tra l'altro esDressero dal loro or- dine alcuni tra gli uomini di cultura piu intraprendenti del secolo, non vogliono dire, già nei decenni a cavallo fra i due secoli, ristagno della vita spirituale e mancanza di spinte rifor- matrici. Richiami alla natura e al suo potere di respingere dalle lettere quanto a lei non si addice suonano già nel Bartoli e in altri scrittori del ~ i e n o Seicento. La crisi del barocco. evi- dente negli anni che seguono il Cannocchiale aristotelico del Tesauro, coincide con la polemica, prima moderata, poi piu decisa, contro l'aristotelismo e i gruppi intellettuali che a quel- lo si appoggiavano, e col sorgere di un piu sottile e indipen- dente spirito critico, operoso soprattutto in sede religiosa e scientifica, non tuttavia ciecamente insensibile alla tradizione, anzi disposto a contemperare la fiducia nella moderna scienza con quanto usciva salvo da una verifica intelligente del passato.

Nel campo propriamente poetico il trasferimento dei modi barocchi ai primi temi e toni di una nuova lirica si attua sia attraverso conversioni letterarie e recuperi. umanistici e petrar- cheschi (è il caso di Ciro di Pers, il cui fondamentale morali- smo trova adeguata espressione, dopo vivaci esperienze mari- nistiche, in un ampio e riposato fraseggio d'ispirazione classi- cheggiante, come anche di Pirro Schettini, approdato dal ma- rinismo al culto del Petrarca, o di Carlo Buragna) sia attraverso I'irrobustimento della tendenza classicistica, mai del tutto ina- riditasi, nemmeno durante i piu clamorosi trionfi del barocco: si veda l'intervento tipico di Giovanni Cicinelli con la Censura del poetar moderno (1677), rigorosamente orientata verso un ritorno ai classici.

In questo restauro del classicismo in direzione che potrem-

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galileiana e cruscheggiante, come Carlo Maria Maggi (Milano 1630-1699), che nelle rime in dialetto e in lingua affronta una tematica svariante dai problemi spirituali agli affetti pri- vati, agl'interessi civili, o come Francesco De Lemene (Lodi 1634 - Milano 1704), tanto gradito alla generazione arcadica, soprattutto per l'accordo tra melodia e parola, autore di componimenti seri (il poemetto Dio, I l rosario di Maria Ver- gine), e di piu libere Cantate a voce sola e Ariette, o come infine Alessandro Guidi (Pavia 1650 - Frascati 1712), lodatis- simo dal Gravina, dal Muratori, dal Martello, dal Crescimbeni, ma in verità poeta mediocre: nel passaggio da un secolo al- l'altro egli però rispondeva da un lato all'aspettativa di una poesia ideologicamente impegnata (di qui la scelta emblema- tica del Gravina che forse vide nell1Endimione un testo della filosofia della luce, da lui conosciuta e seguita, specie durante il soggiorno napoletano), dall'altro al bisogno di forme nuove, insieme elette e limpide, complesse e variate.

LA NUOVA CULTURA: TEORICI, CRITICI, TRATTATISTI

In concomitanza con gli atteggiamenti antibarocchi di al- cuni poeti di fine Seicento e primo Settecento nuovi fermenti speculativi penetrano anche nel campo degli studi di poetica e di critica letteraria. Qui il razionalismo fece buone prove nel decantare e filtrare l'anarchia barocca in forme « COmDO- site D, salvando alcuni esiti del secolo lascivo » che sembra- vano ineliminabili da una corretta concezione dell'arte. tanto pi6 che la contemporanea polemica contro le critiche mosse dal francese Bouhours e dai suoi accoliti a tutta la ~oes ia ita- liana (una polemica in cui si trovarono implicati, fra gli altri, l'orsi. il Montani. il Manfredi. il Baruffaldi). mentre Dortava . , a meglio definire la rispondenza tra pensiero e parola anche nel settore delle cose ~oetiche. svelava ~ o i l'assurdità dell'eaua- zione poesia-filosofia e riscopriva la tradizione ( i classici greco- latini, il Petrarca, i Cinquecentisti, il Tasso - il poeta pi6 tar- tassato dai Francesi - fino ai verseggiatori moderato-barocchi) in una chiave non Di6 soltanto esortatoria e retorica (l'« auto- rizzazione » del modello antico), ma sanamente correttiva ri- spetto alle pretese dei teorici transalpini. Cosi Gian Giuseppe Felice Orsi (Bologna 1652 - Modena 1733) nelle Considerazioni (1703) sul libro del Bouhours, mentre riconosce nel Maggi il principale ristoratore della poetica regolarità e loda il De Le-

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gl'Investiganti, i progressi degli studi giuridici (D'Andrea, Au- lisio, Biscardi), l'apostolato culturale di Giuseppe Valletta, personaggi e motivi del fervoroso clima intellettuale proprio del secondo Seicento narjoletano.

È prcgrio in questo ambiente che il ragionevole », inteso come criterio direttivo dell'agire umano, s'innalza al di sopra delle regole, le quali sono tali solo perché conformi a ragione e soggiacciono quindi alle correzioni e agl'interventi, anche drastici, che la ragione stessa vorrà proporre. Gli autori clas- sici vengono ancora, è vero, accettati a modello, ma per- ché sentiti in armonia con le esigenze di. questa forza domi- nante. I1 razionalismo si traduce cosi, pifi decisamente che altrove, in antiprecettismo, a cominciare, per esempio, da Gre- gorio Caloprese (1650-1714), il maestro del Gravina e del Metastasio, instauratore nella natia Scalea di un metodo pe- dagogico singolare e in certo modo avanzato rispetto ai tempi, basato sugli esercizi fisici, sulla lettura dei testi biblici, di Ni- cole. Bossuet. Baronio. Cartesio. Aristotile. dei classici latini. di Dante, ~e t ra rca , ~ i i o s t o e Tasso, lontano, come si vede: da suggestioni barocche, ma anche indipendente dagli auto- ri >>, perché l'incarico di guidare l'ispirazione poetica vi viene commesso proprio al giudizio e alla fantasia, facoltà, questa, che in campo letterario meglio distingue a l'ultime differenze del buono e del reo D. Fra i meriti del critico (Lettura sopra la concione di Marfisa a Carlo Magno, 1691; Sposizioni sopra le Rime del Casa. 1694) ascriviamo l'accurata ricerca di corri- spondenze tra categorie affettive e categorie retoriche, anche se la visione delle passioni umane vi risulta troppo meccanici- sticamente concepita.

Strettamente legato a soluzioni etico-didascaliche del pro- blema artistico è l'insegnamento di Gian Vincenzo Gravina (Roggiano Calabro 1664 - Roma 1718), fecondato dall'apporto cartesiano (per il tramite del Caloprese) e dal mai smesso commercio sia con i classici latini e greci sia con i testi fonda- mentali del diritto romano, in pifi irrobustito dal contatto con le discussioni filosofiche e religiose frequenti, come s'è visto, nella Napoli fine di secolo (nella città partenopea egli sog- giornò dal 1680 al 1689), nelia prospettiva di un radicale rin- novamento antilassistico e antigesuitico e nel clima di una non dissimulata simpatia per il rigorismo giansenistico e per la già ricordata dottrina d'una illuminazione speciale concessa da Dio al sapiente perché ne usi presso il popolo.

Premesse di cultura dalle quali il Gravina è condotto alla

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Arcadia e 12luminismo 13

lotta contro il malgusto secentesco con un programma origi- nale che, nato in armonia con l'ArcCdia, anzi a fondamento di essa, in realtà tende a superare l'area arcadica, e manifesta il maggior punto di forza nel concepire la poesia comey una favola intrisa di profonda verità e sapienza, atta a sollevare alla contemplazione del divino. -11 classicismo del Gravina, col connesso principio dell'autorizzazione dei modelli antichi, ha infatti natura prevalentemente etica e civile, e postula il rap- porto cultura-poesia, rifuggendo dalla semplicità ornata, dalla leggiadria elegante di tanta produzione coeva. A differenza di quanto dirà poi il Vico, la poesia autentica contiene sempre, secondo il Gravina, una sapienza riposta. La validità della poesia non va pertanto cercata col criterio delle partizioni re- toriche o dei generi letterari, ma con quello della sua utilità ed efficacia. E però la facoltà d'inventare concessa al poeta non importa indifferenza o ripudio della realtà: la sapienza e la verità sarebbero irraggiungibili se la fantasia non cercasse di cogliere, pur con il libero concorso delle forme, l'impronta deiia divina idea segnata nelle cose tutte dell'universo.

Già nell'Hydra mystica (1691), a parte i temi pi,C spicca- tamente religiosi e morali (1'Hydra che l'opera-combatte è la a probabilitas n, cioè la dottrina, sostenuta dai Gesuiti, secon- do la quale per non peccare, nei casi in cui v'è incertezza di principi morali, basta attenersi a una opinione probabile »: ripiego capzioso che il Gravina trovava imparentato con le a verborum ambages del peggior barocco), ai marinisti ven- gono contrapposti i Greci, i soli e primi cultori del naturale, e, dopo i Greci, i Romani: quell'antica poesia era voce d'una sovrana sapienza, ordinatrice della vita sociale. La scissione tra poesia e mistero sapienziale, causa del decadimento filo- sofico e artistico dell'antichità, si è rilptuta dopo l'opera di Dante, Petrarca e Boccaccio. La salvezza potrà venire da una restaurazione del classicismo e del razionalismo, per la quale il secondo avalli la validità esemplare e atemporale del primo e lo liberi dalla secolare funzione costrittiva e intimidatoria, inaugurando la corrispondenza arte-classicità.

I1 rapporto fra razionalismo e classicismo è il tema pro- fondo anche del Discorso sopra l'« Endimione )> di Alessandro Guidi (1692), forse la scrittura pifi agile, scintillante, acuta del Gravina. Conformemente al potere, insito in ogni artista, di cavare da sé la luce del sapere, la poesia viene qui elevata a rappresentazione di tutte le forme, i gradi, i costumi degli uomini <( figurati al vero esempio di natura D, alla maniera di

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14 La letteratura italiana

Omero, Dante, Ariosto. Si preannuncia già l'« idea eterna di natura » che è alla base della Ragion poetica (1708): idea eterna, ma che pure sopporta di attuarsi in modi storici di- versi nel tempo, onde le regole che governano le opere mo- derne non debbono di necessità ricalcare le altre regole che ~ermisero la ~roduzione antica. conserta ad antichi costumi.

Nella mi;esi graviniana la fantasia è la facoltà che guida l'invenzione a superare il dato sperimentale in direzione del- l'idea e carica gli oggetti e gli eventi di valori metaforici e magiche potenze. L'arte è per la Ragion poetica severa mi- tologia, parabola teologica: perciò il trattato punta partico- larmente sulla tragedia, dove l'« exemplum umano raggiun- ge il piti 51to limite di suggestione e di solenne didascalismo; il che non toglie che il Gravina sappia delineare una storia attendibile anche degli altri generi letterari e disegnare inci- sivi profili di scrittori latini e italiani fino ai suoi tempi. Le sue tesi fondamentali sul teatro egli conferma nel trattato Sulla tragedia ( 1715) e cerca di esemplificare in cinque lavori tea- trali (il Palamede, l'Andromaca, 1'Appio Claudio, il Caraculla, il Seruio Tullio) affatto privi di poesia, ma notevoli per vigo- ria morale e tensione ideologica.

Fra le altre figure di teorici e critici appartenenti all'età di cui trattiamo un cenno particolare merita Giovan -Mario Crescimbeni (Macerata 1663 - Roma 1728), il quale rappre- senta nel periodo prearcadico e protoarcadico l'interprete pi$ sensibile delle richieste del gusto corrente: non a caso il suo programma, tanto meno impegnato di quello graviniano, fi- nirà col prevalere e accoglierà per circa mezzo secolo nel suo esile impianto i prodotti piti noti dellJAccademia. Fu storico della letteratura, specialmente attento alle forme metriche (Istoria della uolgar poesia, 1698; Commentari, 1702-Il), rac- coglitore delle Vite degli Arcadi illustri (1708-27), editore (Rime degli Arcadi, 1716-22; Prose degli Arcadi, 1718), naf- ratore (L'Arcadia, 1708), poeta; ma l'opera sua piu significa- tiva resta il trattato su La bellezza della volgar poesia (1700; Dostuma un'edizione accresciuta: 1730). che si sofferma a cal- , ,

aeggiare una libertà d'invenzione artistica non cosi sregolata come quella dei marinisti, ma tale da non dover rispettare necessariamente la natura, anzi autorizzata a fingere cose af- fatto nuove, ad a alterare e falseggiare i dati dell'esperienza, accordando la meraviglia col verosimile e mirando a un e im- possibile credibile », al gradevole, all'aggraziato, all'antimitico, .all'antieroico.

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Nello stesso torno di tempo, e in un'zrea concettuale che in modi piu complessi e profondi ha qualche rispondenza con le posizioni crescimbeniane, si sviluppa il pensiero del vignole- se Ludovico Antonio Muratori (per la biografia, vedi piu avanti il paragrafo a lui dedicato): il trattato Della perfetta poesia italiana, stampato nel 1706, circolava manoscritto già dal 1703; la prima parte delle Riflessioni sopra il buon gusto nelle scienze e nelle arti venne alla luce nel 1708, la seconda nel 1715; le Osservazioni sulle rime dei Petrarca, edite nel 1711, erano già composte almeno nel 1707.

Domina nelle ricerche storiche, giuridiche e filosofiche del sacerdote vignolese un indirizzo critico di chiaro stampo ra- zionalistico. Questo impegno scientifico, che conduce al riget- to dell'autoritarismo, quando si sposta sul terreno della crea- zione letteraria e agisce contro le accuse del Bouhours, recu- pera motivi di fantasia non sempre riconducibili a rigorose esigenze razionali. L'artc, pur nell'obbedienza a fondamentali canoni morali ed educativi, è rappresentazione di meraviglie e novità per opera d'artifizio, conferimento di virtu mirabili e peregrine alle cose che tali prerogative non posseggono. Gra- vina idoleggiava un'arte in cui il vero » fosse costituito dal- la carica teologica e ideologica; per il Muratori il vero dell'arte sono soprattutto gli affetti, che si autorizzano da sé stessi quan- do risultino fervidi, a tal punto che la poetica muratoriana non disdegna di far proprio qualcuno dei processi inventivi taccia- bili di barocchismo, per quanto dal barocco sia in fondo im- mune.

Interessanti come progetto di un'attività letteraria esente dai difetti arcadici sono i Primi disegni della repubblica let- teraria d'Italia (1703) e la Lettera esortatoria, stesa prima del 1705, e poi rifluita nelle Riflessioni del 1708, dove tra l'altro lo scrittore si pronuncia contro i a giudizi anticipati e i di- spotismi letterari e adotta il metodo di Cartesio nel dissolvere gli errori ricevuti dai secoli barbari, con la conseguente riqua- lificazione delle virtu moderne, abitualmente screditate al con- fronto con le antiche.

Come critico, il Muratori fa equilibrato uso (tra finezze in- tellettualistiche e residui di « verosimile » e « credibile ») di buon gusto e intuitivo senso della fantasia poetica, mostran- dosi particolarmente sensibile alle felici soluzioni stilistiche dei concepimenti artistici. Superando remore e limitazioni legate ai tempi, le sue opere affermano un nuovo concetto di critica attenta alla valutazione intrinseca della poesia piuttosto che agli

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16 La letterufura italiana

ammaestramenti morali o alle abilità retoriche. Ciò è ben rile- vabile nelle Osservazioni sulle rime del Petrarca che, Con la successiva polemica tra Biagio Schiavo, petrarchista e in parte graviniano e maffeiano, autore del Filalete (1738), e Teobaldo Ceva, muratoriano, rappresentano un momento essenziale della cultura settecentesca, e documentano ad alto livello le vive forze ideologiche urgenti all'interno dell'Arcadia.

Nelle controversie letterarie del suo temDo s'inserisce. ma in una posizione piuttosto eccentrica, il veronese Scipione Maf- fei (per alcuni cenni biografici vedi piii avanti il paragrafo a lui dedicato), che partito dalle giovanili Osservazioni sopra la

Rodoguna », tragedia di Corneille (1700), dice le sue cose piii persuasive a proposito delle Rime del Maggi. All'erario arcadico il Maffei apporta, nei limiti di un sincretismo non bene amalgamato ( i Greci, Dante, Chiabrera), un fresco senso dello stile, comunque insufficiente a fondare un vero e proprio discorso critico.

Restando nel campo delle discussioni di poetica e di metodo critico, occorrerà fare il nome del padovano Antonio Conti (1677-1749), rivelatosi proprio con una lettera al Maffei (1714) piena di propositi e di spunti rinnovatori rispetto alla lezione graviniana. I1 problema che il Conti si trascina dietro per piii anni con vari tentativi di soluzione è fondamentalmente quello (comune a tanti pensatori del suo tempo) deii'accordo tra realtà e fantasia, naturalezza e ideale. L'arte non è scienza. Eppure alla fantasia non si concede di obliare la realtà. Indizi di tale dilemma teorico, sollecitato dalla cultura europea del Conti, dai suoi contatti col teatro francese, col Du Bos, con Shakespeare, ma ancor piii con Newton, e con le opere del duca di Buckingham, di Dryden, Temple, Pope, Addison, Mil- ton, sono evidenti nella Lettre à Mme la Présidente Ferrant ( 171 9 1, nella prefazione alla tragedia Cesare ( 1724), ncl- la Dissertazione sull'tlthalie (composta tra il 1720 e il 1725), nella lettera al Martello (posteriore al 1725), sino alla Disser- tazione sopra la Ragion poetica del Gravina, che, cominciata in Francia forse tra il '13 e il '14, sotto lo stimolo del Mar- tello e nel fervore della <( querelle >>, fu condotta a termine dopo il '30. I n quest'ultimo lavoro il Conti precisa il suo pen- siero in contrasto con la definizione del Gravina per la quale la poesia è N scienza delle umane e divine cose, convertita in immagine fantastica e armoniosa ». Definizione ambigua dal punto di vista contiano, e tale da non distinguere efficacemente l'artista dallo scienziato, l'uno e l'altro ugualmente obbligati

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Arcadia e Illuminismo 17

a servirsi d'immagini. Fine esclusivo del poeta è invece Quello di concentrare con la fantasia tutti gli affetti su di un solo particolare, su di un solo aspetto della realtà, dotandolo di una ricchezza che non si riscontra nell'ordine della natura. Cosi operando il poeta coglie non già una <( perspettiva >> da camera ottica, un realismo anonimo perché globale e indiffe- renziato, ma un universale ascoso, il <( sommo e perfetto bel- lo », un che di molto affine all'universale fantastico del Vico, un momento della storia eterna D espressamente ricordata dal Conti.

Sulla medesima direzione, ma per la spinta di uno spirito piti sottile e arguto, porremo Pier Jacopo Martello (Bologna 1665-1727), la cui ragionata e caustica satira sulle cose d'Ita- lia, letterarie e no, non è soltanto il rovescio negativo di una acritica francofilia o lo scioglimento antiitaliano della lunga

querelle >> ( I l vero parigino italiano apparso tra le Prose de- gli Arcadi nel 1718), ma, al contrario, i1 risultato di un lucido raffronto tra una civiltà ormai in decadenza e un ~ensiero vivo. in piena espansione, e per la sua forza e per la sua <( funzio- nalità D sociale giustamente destinato a fecondare larghe pro- vincie europee. Di qui l'inesauribile parodia degli schemi clas- sicistici nei Sermoni della Poetica (1709) e specialmente l'as- salto al Gravina e alla sua scuola nell'lmpostore, dialogo sopra la tragedia antica e moderna (1714), nel Segretario Cliternate al Baron di Corvara (1717) e nel Femia sentenziato (1724), dove il bersaglio principale è ,però il Maffei: e di qui anche l'intelligente trasferimento (messo in atto specie nel Commen- tario del 1710) di quanto era ancor vivo nel Marino entro le forme arcadiche. Resta comunque validissima nel Martello la preferenza per modi d'arte non implicati in problemi ideolo- gici, inclini al grazioso e al piacevole, abili ad alleggerire in <( agevol canto D i pensieri piti gravi su Dio e la natura, con l'ausilio non già delle norme di scuola ma dei sensi.

Al sensibile s'appella anche Pietro Calepio (Bergamo 1693- 1762), particolarmente nelle Lettere a I. I . Bodmer (dal 1728 al 1763) che, col Paragone della poesia tragica d'Italia con quella di Francia, fatto pubblicare dallo stesso Bodmer a Zu- rigo nel 1732, costituiscono il meglio della sua attività. I1 Ca- lepio non è fuori del razionalismo arcadico, come non ne sono fuori né il Conti né il Martello, ma ben comprende, in pole- mica col suo corrispondente, che fra gli strumenti della reto- rica artistica la ragione è tolta dalla logica, e solo il diletto è natio della poesia: diletto che vuol dire reazione piacevole di

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18 La letteratura itaìiana

potenze puramente sensuali, e si confonde quasi con le cor- poree affezioni. Non è tutto qui il pensiero di Calepio, ma tanto basti a confermare, se non altro, l'arricchimento ideolo- gico (il sensismo bussa ormai alle porte e con esso una proble- matica artistica posta su basi nuove), l'intreccio europeo degl'in- teressi letterari, la feconda collaborazione con le migliori in- telligenze transalpine, pregi non secondari della matura età arcadica.

I1 Settecento è anche il secolo che vede i primi tentativi di storiografia letteraria. Non nella organicità della struttura né nella saldezza dei criteri, ma proprio nell'ampliato concetto di letteratura come espressione di cultura sta il carattere avan- zato della Idea della storia dell'ltalia letterata del barese Gia- cinto Gimma (1668-1735). L'opera, uscita a Napoli nel 1723, si distingue sotto questo profilo dai tentativi di storicizza- zione compiuti dal Gravina, dal Crescimbeni, dal Muratori, anche se gl'incerti canoni informativi non le consentono di re- perire altro fondamento teorico che quello di un candido na- zionalismo letterario mirante a restituire all'Italia il pregio contrastatole dagli stranieri e, all'interno, dai troppo imme- mori e sconsiderati lodatori di prodotti inconciliabili con la nostra tradizione. Proposito ancora piu scoperto nel repertorio erudito di Giusto Fontanini (San Daniele del Friuli 1666 - Roma 1736) Biblioteca dell'eloquenza italiana (1726), risolto quasi esclusivamente in un'apologia della lingua italiana e dei suoi padri, Dante, Petrarca e Boccaccio, ingiustamente dimen- ticati o trascurati per altri modelli, lontanissimi dalla loro perfezione.

Tenta una razionale sistemazione per generi, modi e metri dei componimenti poetici i1 gesuita Francesco Saverio Quadrio (Ponte in Valtellina 1695 - Milano 1756) nel trattato Della storia e della ragione d'ogni poesia, pubblicato fra Bologna e Milano negli anni che vanno dal 1739 al 1752, dove è rielabo- tato un primo abbozzo Della poesia italiana apparso a Venezia nel 1734 sotto lo pseudonimo di Giuseppe Maria Andrucci. I1 Quadrio mette a fronte comparativamente poeti greci, latini e italiani; ma il suo panorama, che si estende anche alle lette- rature europee, non manifesta alcuna forza critica, alcuna ca- pacità di penetrazione o di comprensione in prospettive di scienza poetica. Alla diligenza nel compilare cataloghi ed elen- chi e nel fornire notizie minute non fa riscontro nel libro nem- meno quel calore apologetico che connotava l'Idea del Gimma.

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Capitolo secondo

L'epoca arcadica

La vitalità culturale che segna di sé le varie regioni italiane intorno alla fine del Seicento e all'inizio del Settecento sembra investire con minore energia l'ambiente romano, ancora scar- samente impegnato nella discussione e nella risoluzione dei problemi introdotti dal cartesianesimo e dalle altre correnti di pensiero affermatesi specialmente nel Sud. La mancanza di una sincera inquietudine speculativa, di forti interessi etici, reli- giosi, filosofici, fa si che della grande crisi postbarocca gl'intel- lettuali romani isolino il motivo piu vistoso al livello del gusto poetico, il motivo cioè della corruzione letteraria, convenendo sulla necessità d'eliminarla.

Già dal 1674 (in sede' privata però, come Accademia di Camera, dal 1655) l'Accademia Reale di Maria Cristina, ex re- gina di Svezia stabilitasi a Roma e divenuta munifica protet- trice di letterati, artisti e uomini di scienza, accoglieva scrittori di diverso orientamento e di diverse regioni italiane (il Men- zini, il Filicaia, il De Lemene, il Maggi); a Roma veniva invi- tato da Maria Cristina Alessandro Guidi, tipico rappresentante del prearcadismo, poi arcade convinto. In questi incontri, tra incertezze teoriche e oscillazioni programmatiche, sotto il vigile sguardo della Chiesa, già si annunciavano timide e confuse vel- leità di rinnovamento, promosse da un generico amore per l'antichità classica.

La Ragunanza degli Arcadi si costitui il 5 ottobre 1690, poco dopo la morte di Maria Cristina, a chiarimento e conti- nuazione delle dispute tenute nella sua corte. La prima riunione ebbe luogo nel giardino dei Padri Riformati a San Pietro in Montorio, con la partecipazione di Giovan Mario Crescimbe- ni, Vincenzo Leonio, Gian Vincenzo Gravina, Silvio Stampi-

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glia, Giambattista Zappi, Paolo Coardi, Carlo Tommaso Mail- lard, Pompeo Figari, Paolo Antonio Del Negro, Melchiorre Maggi, Agostino Maria Taja, Iacopo Vicinelli, Paolo Antonio Viti, Giuseppe Paolucci. Via via si aggiunsero ai quattordici soci fondatori i!. Menzini, il Salvini, il Redi, il Filicaia, il Gui- di, il De Lemene, il Magalotti, lo Zeno, il Maffei, il Muratori, ciascuno portando con sé e immettendo nel circolo comune le proprie idee, le proprie esperienze, le proprie proposte. Fin dalla cerchia originaria tutta l'Italia era rappresentata: un sin- tomo molto eloquente dello spirito sovrarregionale e antimuni- cipalistico assunto subito dall'Accademia, i cui soci, come tutti sanno, si spogliarono dei loro veri nomi per prenderne altri di tipo pastorale e si divisero simbolicamente le terre d'Arcadia, e poi quelle della Beozia e della Tessaglia.

L'Arcadia, son cose risapute, elesse a sua insegna la siringa coronata di lauro e pino e considerò suo protettore, come Gran Pastore dei Pastori, Gesu Bambino, nato tra i pastori e che dai pastori aveva ricevuto i primi doni. I1 definitivo luogo delle adunanze, fissato in un terreno sul Gianicolo, venne detto Bosco Parrasio, e Serbatoio si chiamò l'archivio dove si con- servavano gli elenchi degli accademici e altre suppellettili ne- cessarie alla vita della comunità. Piu tardi, nel 1696, avvenne l'approvazione delle leggi statutarie dettate dal Gravina nel latino delle XII tavole. Per esse l'Accademia si configurava a repubblica letteraria, con un Presidente elettivo, il Custode generale, e due Vicecustodi, e s'impegnava a un preciso uffi- cio culturale, alla osservanza d'altrettanto precise norme di co- stume e di cerimoniale. Per il crescente numero degli aderenti e il successo dell'iniziativa si rese necessario dedurre colonie in diverse parti d'Italia, ad Arezzo, Macerata, Bologna, Venezia, finché non ci fu città, si può dire, ignorata da questo moto di propagazione.

Il Crescimbeni, primo Custode generale, confermò il ca- rattere restauratore dell'Accademia, destinata a

esterminare il cattivo gusto, e procurare che piu non avesse a risor- gere, perseguitandolo continuamente ovunque si annidasse o nascon- desse e infino nelle castella o nelle ville piu ignote e impensate.

Sulle vie da seguire per attuare questo programma co- mune mancò però la concordia. La voce polemica piu alta pro- venne dal Gravina, troppo diverso per educazione filosofica, per profondità di sapere, per impegno ideologico, dai confra- telli arcadi. Cosi all'interno dell'Accademia si divaricarono

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Arcadia e Illuminismo 2 1

due linee. Da un lato i piu degli affiliati, sotto il governo del Crescimbeni, individuarono il vero genio D , lo stile interno dell'Arcadia ufficiale. nell'elernento ~astorale. anche se ad essi non sfuggiva il carattere imitativo e simbolico del <( mos pa- storicius D, contrapposto al fasto rnarinistico come esempio di naturalezza e semplicità. I pastori arcadi erano consapevoli di portare. in quel mondo primitivo la cultura dei circoli cit- tadini, la disciplina intellettuale e morale dell'eletta società; l'adunanza. nata <( tra l'auree braccia dell'Innocenza » (sono parole del' Crescimbeni nel romanzo L'Arcadia) e « allevata dalla piu schietta semplicità », inseguiva non già la rozzezza dei villani modi o delle rustiche usanze (per i quali poteva avere solo aualche moto di s im~at ia . ma sul ~ i a n o umano e

L ,

mai su quello artistico), ma la grazia, la castità, i teneri sensi, la bellezza gentile, gli aspetti dolci e piacevoli della vita, con un sincero intento di rigenerazione spirituale e religiosa. L'« in- civil rustica plebe » restava per l'Accademia il puro <( nega- tivo » da evitare. E del pari essa evitava, nella concretezza delle opere se non nei programmi (che ambiziosamente si estendevano ad ogni tema), l'epico e l'eroico, intonando per lo piu il proprio canto a un petrarchismo platoneggiante.

Ciò era lontano dagli interessi del Gravina: l'eccessiva indulgenza della maggioranza arcade verso la materia amoro- sa, il rifiuto dell'esemplarità classica, di una poesia ispirata ai grandi miti eroici e religiosi, sul modello di Omero, Eschi- lo, Sofocle, Euripide, Ennio, Accio, Pacuvio, Terenzio, Vir- gilio, maestri dell'umana vita a , divennero per lui e i suoi seguaci i motivi di un dissenso profondo che ebbe il suo sbocco nella bi~artizione dell'Arcadia 11711). Dal filone ~ r i n - cipale, rimasto fedele allo spirito crescimbeniano, si distaccò un gruppo di dissidenti, capeggiati dal Gravina, t-he dettero poi vita all'effimera Accademia Quirinà.

Lo scisma (un fatto, tutto sommato, minore e di scarsa incidenza sul divenire dell'Arcadia) isolò comunque la mino- ranza discorde e lasciò all'Accademia una fisionomia piu ni- tida, segnando la vittoria di quel programma <( leggero D al quale la produzione arcadica si adeguerà senza altre scosse. Che il gusto anacreontico-petrarchesco, la proposta di un clas- sicismo moderato e formalmente corretto ma assai lontano. nel suo accento e nei suoi temi, dai modelli antichi, il pia- cevole, il grazioso abbiano avuto successo perché meglio sin- tonizzati col tipo di società dominante nell'Italia del primo Settecento, è cosa ovvia. Ma proprio per questo occorre libe-

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22 La letteratura italiana

rarsi dalla tentazione di giudicare il fenomeno arcadico fuori di quel mondo e di quella società, secondo vedute, per esem- pio, illuministiche o romantiche, responsabili del luogo co- mune che fa dell'drcadia l'equivalente di una perpetua fan- ciullaggine e scioperataggine letteraria. Certo il fervore, quasi il tumulto di idee, che aveva caratterizzato l'ultimo scorcio del secolo XVII, si placa nei decenni iniziali del XVIII, ma per un assestamento di motivi che porta a una situazione culturale piu matura e consapevole. L'Arcadia non intendeva per istituto provocare rivoluzioni nelle abitudini degl'Italiani, non si proponeva di modificare dalle fondamenta il vivere sociale. Sotto questo profilo l'osservazione da qualcuno avan- zata che la società arcadica è in fondo la stessa società che aveva applaudito al barocco si rivela esatta: ma sebbene il rag- gio d'azione del13Accademia non abbia superato di solito i con- fini della letteratura, pure è innegabile che si possa parlare di un costume arcadico, di una mentalità arcadica, di un'« ani- ma in Arcadia D, ben diversa dall'anima in barocco. Segno che sotto le mascherate bucoliche e i paludamenti rituali non tutto era superficialità o giuoco, e che la letteratura e la vita s'incontravano nello spazio vitale del sodalizio al piu alto livello storicamente concepibile. In questa sapienza re- golativa dei rapporti arte-vita è anzi da riconoscere forse il piti notevole risultato del lungo esercizio razionalistico com- piuto dalla cultura italiana tardobarocca e prearcadica.

Ciò che ~ontraddis t in~ue fin dall'inizio l'Arcadia è il suo strutturarsi in comunità. il fatto che i suoi membri si ritro- , -

vino e affratellino nell'ideale della chiarezza, della semplicità, dell'armonia, del garbato e brioso vivere alla luce di eleganze raffinate e dentro la misura pacifica del ragionevole, dove il classicismo e il culto della tradizione (della oetrarchesca ~ i u d'ogni altra) compensano le spinte estremistiche e il piacere delle asore contese. Alla barbarie ostentata e clamorosa del barocco essa oppone piccole cose e tenui affetti finemente lavorati nel verso. immessi in una fluida vena melica. Si ri- produce, in misura minore, una nuova forma di umanesimo, dalla quale non nacque alcun griinde poeta perché i poeti non dipendono dai movimenti, ma pure derivò una civiltà spirituale decorosa, aristocratica negli statuti sebbene non aliena da si- gnificative aperture democratiche.

È ben vero che il leziosismo, la stilizzazione manieristica, la vacuità d'una ininterrotta situazione d'idillio, le mille con- venienze e astrattezze soggiacenti al manifesto del Crescim-

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Arcadia e Illurninisrno 23

beni, un certo scetticismo e una certa apatia insidiano da ogni parte il nucleo del sentire arcadico, ma quel nucleo è vivo, e vivo si mantiene per tutto il secolo, sino a penetrare nel dominio cosi diverso dell'età illuministica.

A S P E T T I E MOTIVI DELLA LIRICA ARCADICA

La storia dell'Arcadia non è né rettilinea né uniforme. L'accento originario dato al sodalizio dal gruppo romano ri- ceve inflessioni diverse per l'azione di forze regionali o locali a mano a mano che il movimento si espande, si ramifica in colonie, procede dai primi decenni del secolo ai decenni di mezzo, a quelli estremi. Del resto la suddivisione dell'Arca- dia in filoni non sempre paralleli o convergenti non dipende- soltanto dall'ampliarsi dell'Accademia nello spazio geografico italiano e dal suo estendersi nel temDo fino alle soglie del- l'Ottocento e oltre. Le premesse erano negli uominy: basti pensare alla presenza dei letterati << nuovi » accanto agli eredi convertiti del gusto barocco, di scienziati, artisti, filosofi, uo- mini di Chiesa talvolta attestati su posizioni non affini, al di- battito tra crescimbeniani e anticrescimbeniani anche dopo la scissione del 1711, tra metastasiani e antimetastasiani, ecce- tera. Ma è incontestabile che l'avanzata dei « lumi » portò aria nuova nel seno dell'Accademia allargandone la tematica a interessi scientifico-filosofici, come è incontestabile che altre influenze vennero all'Arcadia dal sensismo, dal rococò, dal neoclassicismo, dai moduli del Gray, di Ossian (la cosiddetta Arcadia lugubre), del Gessner.

Al principio la battaglia delllArcadia contro il cattivo gu- sto si combatte prevalentemente nel campo della lirica e sotto le insegne del Petrarca, il poeta italiano piu « classico D, spesso raggiunto attraverso i suoi imitatori cinquecenteschi.

I1 petrarchismo arcadico ha nel bolognese Eustachio Man- fredi (1674-1739), matematico, scienziato, astronomo e po- lemista vigoroso, il suo miglior rappresentante. In verità non solo Petrarca, ma anche Cavalcanti, Dante, gli stilnovisti, i lirici del Cinquecento, rifluiscono nella poesia manfrediana; ma non c'è dubbio che 1'Aretino ne costituisca l'altow prin- cipale modello. Si tratta d'un petrarchismo contenuto, per una sorta di scioltezza imitativa che permette al Manfredi di non far maldestramente notare, fra i propri, i modi altrui, di amalgamare la frase poetica in un andamento sicura e

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personale. Varia nei motivi, la poesia del Manfredi riesce pi6 felice quando esprime stati d'animo sommessi, intime meditazioni; tipico il tema della monacazione pi6 volte can- tato con delicatezza di tono.

All'ambiente bolognese della colonia arcadica Renia, tutto pi6 o meno legato al Petrarca, appartengono i fratelli Fran- cesco Maria Zanotti ( 1692-1777), scienziato, diffusore delle teorie newtoniane, avverso in morale all'edonismo del Mau- pertuis, letterato e poeta, autore del trattato Dell'arte poetica ( 1764), e Giampietro Zanotti ( 1674-1765), pittore, verseg- giatore lirico, interessato anche al teatro comico e tragico; inoltre Ferdinando Antonio Ghedini 1 1684-1767 ) . ~rofes - . sore di storia naturale e di eloquenzii, e il già ricordato Pier Iacopo Martello, scrittore eclettico e acuto di cose letterarie, notevole per un Canzoniere (1710) in cui spiccano le tenere poesie dedicate al morto figlioletto Osmino e che è preceduto da un Commentario intorno alla disputa fra marinismo e petrarchismo, dove, non senza qualche concessione al Mari- no, si riconferma Petrarca principe di tutti i poeti lirici d'ogni lingua.

A somiglianza del Martello, il marchigiano Domenico Laz- zarini (1668-1734), che soggiornò alcuni anni a Bologna e poi si stabili a Padova, fu in contatto con l'Arcadia romana, ma di questa avvicinò soprattutto il ramo graviniano, pur dimostrandosi nelle Rime aperto e ammirato seguace del Petrarca e suggerendo molto probabilmente a Biagio Schiavo (1675-1750) materiali e spunti per il Filalete (1738), il prin- cipale testo teorico del petrarchismo arcadico.

Modi petrarcheschi, ma privi in genere degl'ingentili- menti comuni alla rimeria arcadica, insegue Petronilla Paolini Massimi (Tagliacozzo 1663 - Roma 1726), tra le prime affi- liate all'Accademia romand. La sua lirica prevalentemente autobiografica muove da una forte tempra morale, da un cuore intrepido innanzi alle sventure ma non chiuso alla pieth e alla speranza, e si modula in un tono insieme virile e dolente. In piu di un caso, però, affiora tra le linee severe del suo canzoniere qualche intermezzo « ornato », qualche nota patetica, qualche tratto melodrammatico, motivi propri del contesto arcadico.

L'imolese Gi'ambattista Felice Zappi ( 1667-17 19 ). forma- tosi a Bologna alla scuola dell'Ettorri, socio fondatore del- l'Arcadia e fervido protagonista della vita culturale romana, porta invece nel sodalizio una diversa misura poetica. Come

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a tutti è noto, il Baretti ebbe a individuare in questo rimatore, con acre giudizio, l'esponente piu snervato dell'arcadismo. E indubbiamente alcuni suoi componimenti cadono in sve- nevolezze e compiaciuti languori. Ma lo Zappi possiede una vena naturale di grazia poetica e conosce tenui ma sincere emozioni, espresse nei momenti migliori da figure suggestive e ritmi gentili e carezzanti: la sua musa sta nell'abbandono elegiaco, nella squisitezza miniaturistica della tappresentazio- ne: si pensi al garbatissimo sonetto U n cestellin di paglie un di tessea o alla malizia non artefatta dell'altro sonetto In quell'età ch'io misurar solea, oppure si considerino certe im- magini come quella degli amori che volano, simili a nuvol d'api, in volto a Clori,

Era tra questi un Amorino, a cui, mancò la gota e '1 labbro, e cadde in seno. Disse agli altri: Chi sta meglio di nui?,

o qiiella della lucciola che porta tra le ombre una favilla dell'estinto giorno ».

In questi tratti di gentilezza a sfondo teneramente sen- suale, nell'ambito della blanda leggiadria e della musicalità anacreontica, cercheremo le cose piu riuscite dell'Imolese, non nei residui secenteschi o nei componimenti storici, moraleg- gianti, inclini al grandioso, talora invece ormeggianti mosse petrarchesche o ovidiane.

Un piglio altrimenti franco e spedito, un tono risoluto dove si riflette l'eco di una vita insidiata da sventure e pe- ricoli qualifica la poesia di Faustina Maratti Zappi (1680- 1745), romana:

Vo contra la sorte con alta fronte e con asciutto ciglio. E s'armi pur fortuna, invidia e morte, ché mi vedran su l'ultimo periglio morir bensi, ma generosa e forte.

I1 nodo generoso &]la sua ispirazione si stringe attorno a una tematica aspra ed eroica, che lascia indovinare il fondo d'amarezza e l'impeto di protesta non infrequenti nelle co- scienze piu dignitose di quell'età luccicante e pacifica. Ma anche nella Maratti prevale infine il gusto patetico, in accordo con sentimenti teneri e semplici moti d'anima.

Risente dell'educazione classica e dell'insegnamento gra- viniano Paolo Rolli (1687-1765), anch'egli romano, passato

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dall'Arcadia all'Accademia Quirina e vissuto poi lungamente in Inghilterra, precettore dei figli di Giorgio 11, dove esplicò una intensa attività di editore, saggista, scrittore di drammi (forni piu d'un libretto a Haendel), traduttore.

I1 Rolli, che dopo il suo ritorno in Italia continuò a far versi, specie durante il ventennale soggiorno a Todi, canta soprattutto la bellezza femminile, sebbene nessuno dei temi arcadici gli sia sconosciuto. Tratti tipici della sua poesia sono la finezza anacreontica, la nitidezza della rappresentazione, il gusto figurativo e pittorico:

Poi s'imbandiscono tutte fumanti di scelti cibi le ricche tavole e i vini brillano dolcepiccanti, che dentro a' limpidi tersi bicchieri spiritosetti lieve zampillano, al gusto amabili, sani e leggieri.

Ma non mancano note elegantemente sensuali:

Gentile, morbida, leggiadra mano, cui fer le proprie mani d'Amore, pi6 dell'avorio candida e tersa, sparsa di varie pozzette molli, le cui flessibili, lunghette dita dolce assottigliano in unghie vaghe, arcate, lucide, rubicondette;

o scenette agilissime, in cui si rigenerano memorie classiche:

Dal colmo petto in vèr le labbra affretta la ninfa il breve fiato, indi '1 ritiene fra l'una e l'altra guancia morbidetta, ed ei che con soave impeto viene pe '1 bianco collo, alla vermiglia* bocca stretta e raccolta il corso suo trattiene, indi con legge sottilmente scocca, e della canna che sul mento siede, presto e leggier, picciol forame tocca.

Si direbbe che la lirica rolliana si liberi in tenerezza di to- ni, anche quando per suggestione degli antichi modelli il poeta accarezza motivi culturalmente piu gravi. Se a una prolungata lettura il rilievo delle immagini sembra svanire, ciò dipende dal fatto che ogni appiglio realistico viene infine assorbito in quella sottile musicalità che è la vera costante della poesia rol-

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liana: la musica è l'anima delle Elegie, degli Endecasillabi, delle Odi, delle Canzonette; modulazioni musicali non dimenti- che del De Lemene e della tradizione mrlica secentesca, ma piu sensualmente e intimamente rivissute, sono soprattutto i componimenti Lieto in umile ricetto, Una breve lontananza, L.a neve è alla montagna e lo stesso celebratissimo Solitario bosco ombroso. Né si dovrh tacere l'abilità con cui il Rolli sa adoperare i metri e i ritmi della poesia, spesso pervenendo a effetti personalissimi e seducenti.

Esperimenti metrici e studi di varia letteratura piacquero anche a Tommaso Crudeli (Poppi 1703-1745), una sorta d i arcade. eslege, schivo e disinteressato, che amava affidare le sue composizioni alla memoria o dettarle a un amico. Non ha il Crudeli peculiari doti poetiche, ma l'indipendenza dai temi piu comuni in Arcadia, la spregiudicatezza della forma, la vivace curiosità per certi aspetti della realtà, la simpatia per La Fontaine, Dryden, Pope, la vicinanza spirituale agli ambienti preilluministici della Toscana, ne fanno un caso let- terario tutt'altro che trascurabile.

IL MELODRAMMA E IL METASTASIO

La tematica eastorale largamente diffusa nei comeonimen- " ti arcadici, l'appoggio dei versi su schemi essenzialmente mu- sicali, l'intonazione bucolico-idillica di gran parte di quella lirica,. la tendenza all'aggraziato, al semplice, allo stilizzato, una certa mollezza e languidezza sentimentale, talora piu ab- bandonata, talora piu sorridente e maliziosa, connaturata alle canzonette, e la forza di una tradizione melica non mai venuta meno pur durante le dispute accademiche, erano motivi propizi ad assicurare in Arcadia la fortuna del dramma per musica.

Tuttavia, almeno al principio, la posizione degli Arcadi riguardo al melodramma non fu scevra di riserve e di so- spetto, soprattutto per l'involuzione che tra la fine del Sei- cento e l'inizio del Settecento si era venuta determinando nel giovane genere letterario a discapito sia del testo poetico, fattosi macchinoso, contorto, pesante, e quindi estraneo alla semplicità cui mirava la poetica arcadica, sia del rapporto musica-poesia, data la tendenza della prima ad imporsi alla seconda sino a sommergerla e ridurla quasi a un pretesto strutturale o a un diagramma conduttore dell'azione musicale.

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Tentò di dare avvio a una riforma del melodramma il veneziano Apostolo Zeno (1668-1750). Entrato presto in Ar- cadia, iniziò intorno al 1695 l'attività di librettista, nella quale portò il nuovo gusto classicheggiante e razionalistico. In par- ticolare volle ridar valore al testo poetico, liberandolo dal- l'eccesso delle ariette, dagl'innaturali sbalzi tematici, dalle in- ~erosimi~lianze, dalle scurrilità, dalle approssimazioni espres- sive, riconducendo il discorso drammatico a rigore e linea- rità di stile. Ma nello Zeno, divenuto al culmine della sua vita artistica direttore del teatro di corte di Vienna, non era vera forza d'arte. Il suo maggior merito resta forse quello d'aver dimostrato, come dirà poi il Metastasio, che il ... melodram- ma e la ragione non sono enti incompatibili ». E in effetti l'Andromaca, 1' Artaserse, il Temistocle, la Merope, l'Ifigenia, l'Eumene, il Lucio Vero, la Semiramide e i suoi molti altri melodrammi, alcuni composti in collaborazione col reggino Pie- tro Pariati, sopravvivono soltanto come documento di una cer- ta direzione contenutistica a impegno morale e di una aspira- zione alla regola e all'ordinr, sul solco della grande produzione greco-latina e di quella francese: Racine, Crébillon, La Motte, Quinault, La Grange. Da ricordare le sue erudite postille alla Biblioteca dell'eloquenza italiana di Giusto Fontanini.

Con lo Zeno anche il Martello (Della tragedia antica e moderna, 1715) si batté per un testo agevole, chiaro, sem- plice, ben verseggiato e ben strutturato in recitativi, ariette, canzonette.

Soltanto in Pietro Metastasio tuttavia il melodramma arca- dico trovò il suo rinnovatore e il suo poeta. I1 futuro autore dell'Olimpiade nacque a Roma il 3 gennaio 1698 e passò l'in- fanzia sotto la protezione del cardinale Pietro Ottoboni. Ebbe poi le cure del Gravina, che l'adottò come figlio, ne mutò l'originario cognome di Trapassi in Metastasio e lo condusse con sé a Napoli (1712) e quindi a Scalea, in Calabria, dove lo affidò al filosofo cartesiano Gregorio Caloprese.

L'intervento del Gravina e del Caloprese (pifi del primo che del secondo) promosse nel giovane discepolo un abito riflessivo e razionale, una rigorosa disciplina spirituale di cui rimarrà traccia nella tessitura e nella conduzione dei melo- drammi.

Per sollecitazione del Gravina, il Metastasio compose a soli quattordici anni la sua prima tragedia, il Giustino, sullo stile del Trissino, poi rifiutata. La morte del maestro (1718) lo colpi dolorosamente, ma gli dette anche il senso di una

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liberazione. Scriverà a Ranieri Calzabigi il 9 marzo 1754 che al tempo del Giustino l'autorità dell'illustre precettore non gli permetteva <( il dilungarsi un paiso dalla religiosa imita zione de' Greci », proprio mentre il suo troppo inabile discer- nimento non riusciva ancora a distinguere l'oro dal piombo nelle miniere stesse della tradizione. A quest'opera di verifica storico-critica si dedicò negli anni successivi trascorsi a Na- poli, dove affinò l'orecchio sui testi del Guarini e del Tasso, del Marino anche, ma fuori di complicità secentesche, s'im- mérse nella vita mondana, pur avendo preso dal 1714 i primi ordini sacri, svelti la sua cultura abituandola a una personale disamina di problemi letterari filosofici e religiosi, condotta talora con uno spirito divertito e sornione, che non si piegava ai miti imperanti, nemmeno al nume cartesiano, lasciando salvo su ogni altro il pensiero aristotelico, pur esso però cri- ticamente vagliato e visto nei suoi limiti storici.

Intanto, dopo il Convito degli Dei, idillio epico in ottava rima, il Ratto d'Europa, idillio mitologico in endecasillabi sdruccioli, l'Origine delle leggi, la Morte di Catone, la Strada della gloria, capitoli in terza rima, opere pubblicate in Poesie di P Metastasio (Napoli 1717) e appartenenti a1 periodo gra- viniano, venivano alla luce le azioni sceniche Endimionr ( 1720), Orti Esperidi ( 1721), Angelica ( 1 722), Galatea ( 1722). Didone abbandonata (1724), con le quali l'arte metastasiana offriva la prima vera misura di sé stessa. In questo periodo la cantante Marianna Bulgarelli, protagonista degli Orti Espe- ridi, concesse al giovane autore la propria protezione e lo fece istruire nella musica da Niccolò Porpora. Per lei il Me- tastasio scrisse la Didone abbandonata e successivamente il Siroe (1726), il Catone in Utica (1728), 1'Ezio (1728), la Se- miramide ( 1729), l'Alessandro nelle Indie ( 1729), 1'Artaserse (1730). Nel 1729 Apostolo Zeno lo indicò al sovrano austria- co come il piu degno a succedergli nella carica di poeta ce- sareo alla corte viennese. Metastasio lasciò cosi, se pur con rammarico e nostalgia, la Bulgarelli, ma a Vienna trovò una nuova e affettuosa protettrice nella contessa D'Althann

I1 decennio 1730-40 racchiude la piu intensa e feconda produzione teatrale del Metastasio. Scegliendo tra le compo- sizioni migliori, ricorderemo la festa teatrale Enea agli Elisi ( 1731), i melodrammi Demetrio ( 1731), Issipile ( l 732), il dramma sacro Giuseppe riconosciuto (1733), mcora i melo- drammi Olimpiade ( 1733), Demofoonte ( 1733), La clemenza di Tito (1734), l'azione sacra Gioas re di Giuda (1735), gli

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altri melodrammi Achille in Sciro (1736) e Attilio Regolo (1740).

La vena metastasiana si afievoli sotto il regno di Maria Teresa, durante il quale il poeta portò a termine, tra l'altro, la festa teatrale L'Amor prigioniero (1741), i melodrammi Ipermestra (1743), Antigono (1744), le feste teatrali L'isola disabitata (1752), Le Cineri (1753), Alcide al bivio (1760), e infine il Ruggiero (1771), che fu l'ultimo suo lavoro. Nel 1780 si spense Maria Teresa. Metastasio mori due anni dopo, il 12 aprile 1782.

L'ideale a cui piu di frequente il nostro poeta mirò fu quello di una calma felice delle passioni, d'una regolata com- postezza interiore che trovava premesse necessarie e comple- tamento in una civiltà pubblica ben guidata dalle leggi e li- bera dall'arbitrio dei potenti. Nel Metastasio sopravvisse sem- pre l'antico discepolo del Gravina, fedele ai principi del ra- zionalismo. Per questo l'autore della Didone non ebbe grandi slanci e fervori nella sua vita religiosa. Avversò in politica e nelle costumanze i cambiamenti, le novità, i disordini. Av- verti con apprensione lo

strano universale fermento nel quale al presente si trovano e le sacre e le profane cose in tutta la terra conosciuta [...l l'enorme confusione d'un caos [ . . . l tenebroso,

sintomi di una crisi imminente e deprecata. I n conseguenza non comprese, anzi osteggiò il messaggio illuministico, e ri- mase estraneo alla sensibilità preromantica, due minacce al- l'equilibrio del sistema. La corte gli offriva un rifugio dove sembrava che il suo spirito potesse riposare come entro una fortezza, al sicuro da sorprese. Ma nemmeno all'etichetta cor- tigianesca, alla superficialità ventosa di quella esistenza egli seppe adattarsi, pur sopportandola, e si mantenne in sostanza spettatore attento, volenteroso, non entusiasta, d i . quella so- cietà aristocratica. Di qui un fondo di cruccio, di perpetuo scontento mal dissimulato sotto l'abito di cerimonia, talvolta affiorante in forme di apatia e d'indolenza, talaltra per con- trasto offerto alla scossa dell'azione. Scriveva al fratello Leo- poldo il 14 giugno 1738 :

Moto di mente e di corpo vuol essere per non affogarsi in questo pantano. Non si va a galla senza menar le braccia e le gambe. Questa è la miserabile condizione degli uomini: non possono liberarsi dalla fatica né pure rinunciando a tutte le felicità che promette l'avarizia

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e l'ambizione; e quando nulla si desideri, conviene ad ogni modo agitarsi per non imputridire come un'acqua stagnante [...l. Dunque che dobbiamo fare? Occuparci, scuoterci, e non crederci piu infelici degli altri.

La poetica metastasiana è contenuta in alcune lettere e. con maggiore organicità, nell'Estratto dell'arte poetica d'Ari- stotile e considerazioni su la medesima, compiuto nel 1773 (fu però lungamente pensato e lentamente elaborato). Vi do- mina ancora il principio dell'imitazione: ma imitare non è per il trattatista riprodurre il vero con tale approssimazione da ingannare lo spettatore, e nemmeno cogliere la verità pro- fonda delle cose al di là delle apparenze, bensi riuscire a tra- durre gli oggetti della realtà in altra materia (marmo, creta, legno eccetera) con la maggiore verosimiglianza possibile: soltanto da questa artificiosità della rappresentazione nasce il diletto artistico. Nell'Estratto il Metastasio accetta con cau- tela la norma aristotelica delle tre unità, ma si mostra diffi- dente nei confronti degli eccessi tragici, delle scene d'orrore, preferendo connettere la catarsi a misure passionali piu mo- derate, a sentimenti virtuosi o comunque lodevoli. al lieto fine cosi caro al popolo.

Una cura tutta particolare il nostro autore dedicò alla trama poetica del melodramma, riservando alla melodia vo- cale e strumentale funzione di complemento, che in nulla au- mentava la dignità della parte narrativa. I1 melodramma me- tastasiano nasceva con la precisa consapevolezza di riuscire cosa di per sé valida e integra, anche se disposta ad accogliere il connubio con la musica, di essere, cioè, dramma, prima che dramma per musica.

È stato detto che la drammaticità del Metastasio è sem- pre di maniera e che la tensione eroica dei suoi personaggi ha del dilettantesco. Ma la tesi che concede ai drammi sen- timentali (Didone, Issipile, Demetrio, Olimpiade, Demofoon- te) il primato poetico rispetto a quelli eroici (Catone, La cle- menza di Tito, Temistocle) o eroico-sentimentali (Adriano in Siria, Achille in Sciro), contrasta con la sostanziale omoge- neità e mancanza di sviluppo de1170pera metastasiana. L'arte del Metastasio, se si prescinde dalla naturale evoluzione de- gli aspetti formali, dal raffinamento stilistico, e forse da un certo approfondimento dell'indagine psicologica, appare quasi senza storia. Dalla Didone al Ruggiero s'inseguono gli stessi motivi e si ripete lo stesso congegno, la stessa struttura com-

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positiva: un'alternanza di momenti severi e gravi e di so- spensioni sentimentali e aperture effusive, non esclusi tratti scherzosi, anche prossimi al comico, con un epilogo lieto. La materia si mantiene ugualmente lontana dai tormenti. troppo accentuati e dalle sfrenate esultanze. stilizzata com'è in un quadro di decoro dalle ascendenze cla~siche~gianti.

Alla scarsa varietà dei temi corrisoonde l'uniformità dei personaggi, i quali non difettano certo di accenti umani e screziature affettive: il Metastasio è anzi abilissimo nel co- struire le scene su sottili gradazioni, su lievissimi scarti sen- timentali. E tuttavia codesti moti del pensiero e del cuore sembrano sconoscere l'incalcolabile ricchezza e I'imprevedi- bile intreccio dei rapporti che son propri della vita sul piano della realtà. Di qui quel che di astratto si scopre nelle pa- gine dell'abate romano, e la notata neutralità dei protagoni- sti, i quali potrebbero quasi scambiarsi le vesti, le battute, le parti. Ma non si vada oltre il segno: entro quei limiti, che erano poi i limiti dell'età, diciamo pure dell'Arcadia, il mon- do del Metastasio ha una sua innegabile validità e anche, in complesso, un suo originale profilo, da molti imitato. da nes- suno riprodotto. Naturalmente ci riferiamo alle cose migliori, alla Didone, felice prova d'apertura, al Demetrio, all'OZim- piade, al Demojoonte, all'Attilio Regolo.

La Didone s'ispira ovviamente al IV libro dell'Eneide, oltre che alla settima delle Heroides ovidiane. H a però dietro di sé la trasfigurazione del mito operata dalla pittura rinasci- mentale e postrinascimentale. Nonostante il travestimento settecentesco, Didone ed Enea sono i primi personaggi vivi del teatro metastasiano, specialmente Didone, per la sua pre- potente forza di volontà, per il suo imperioso bisogno d'amo- re, di felicità, di libertà, poi di motte e annullamento. Enea appartiene invece al novero dei personaggi dubbiosi e in- decisi:

Se resto sul lido, se sciolgo le vele, infido, crudele mi sento chiamar. E intanto, confuso nel dubbio funesto, non parto, non resto, ma provo il martire, che avrei nel partire, che avrei nel restar.

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La classicità è qui solo un lontano ricordo: nell'eroe non piii antico langue e serpeggia qualcosa di mellifluo, di troppo delicato, una fragilità estenuata di carattere, resa piii evidente dal paragone col rude Jarba. Tale sua natura lascia trasparire in filigrana una dimensione tipica dell'uomo settecentesco, un uomo, occorre aggiungere, che non è lecito reputare pregiudi- zialmente inca~ace di sofferenza (non si soffre solo alla maniera dei personaggi classici) e negato alla trasfigurazione poetica.

Innegabili gl'influssi del corneillano Don Sanche d'Aragon sul Demetrio, originalmente imperniato, come bene è stato detto, sul celato personaggio del destino. Cleonice, la fanciul- la innamorata di Demetrio e costretta a nozze non gradite, es~r ime in forma esem~lare il dolente sentimento metasta- siano della vita, quella sottile angoscia che ritroveremo al fondo di tanti altri personaggi e che è connotato occulto del- lo scrittore:

Misera me! Si vada dunque a sceglier lo sposo. Oh Dio! Barsene, manca il coraggio. Io sento che alla ragion contrasta dubbio il cor, pigro il piè. Chi mai si vide pifi d i t t a , pifi confusa, pifi agitata di me!

I suoi accenti piii toccanti nascono da un accorato senso di abbandono alla sorte:

Io vado dove vuole il destin, dove la dura necessità mi porta, cosl senza consiglio e senza scorta.

Fra tanti pensieri di regno e d'amore, lo stanco mio core se tema, se speri non giunge a veder. Le cure del soglio, gli affetti rammento: risolvo, mi pento, e quel, che non voglio, ritorno a voler.

All'altro margine dello spazio tragico sta Olinto, grande del regno, torbido, audace, violento, inquieto n, come lo descrive il padre Fenicio, in verità calcolatork, ambizioso,

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subdolo; sulla sua bocca, con intonazione ironica, suona la nota arietta:

È la fede degli amanti come l'araba fenice: che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa. Se tu sai dov'ha ricetto, dove muore e torna in vita, me l'addita, e ti prometto di serbar la fedeltà.

Eroe tutto positivo e << medio » Demetrio, l'amante di Cleonice, che ha sangue reale ma si crede figlio di pastore, e nei suoi trasporti passionali ritrova accenti di fierezza e nobiltà.

L'arte del Metastasio, abbandonando le residue inclinazioni agl'intrecci complicati e ai grandi effetti scenici, raggiunge nel Demetrio uno dei suoi traguardi piu alti, sia per raffinatezza provveduta e attenta di moduli e timbri, sia per agilità di tec- nica e felice conduzione tematica.

Solo con l'olimpiade siamo però al vertice della parabola metastasiana. Variamente connesso con 1'Aminta del Tasso, col Pastor fido del Guarini, con i canti finali dell'Orlando furioso, il melodramma svolge il tema classico e poi cortese dell'amore che si sacrifica alla virtu: Megacle, per debito di riconoscenza, gareggia e vince in Olimpia sotto il nome dell'amico Licida, al quale conquista la bella Aristea di cui è egli stesso innamo- rato, quindi cerca la fuga e la morte:

Se cerca, se dice: « L'amico dov'è? ».

L'amico infelice, » rispondi mori. » Ah no! si gran duolo non darle per me: rispondi ma solo: <( Piangendo parti ». Che abisso di pene lasciare il suo bene, lasciarlo per sempre, lasciarlo cosi!

L'intero intreccio è concepito con suprema perizia, con sviluppi, incastri e raccordi sempre impeccabili, lungo un filone inventivo che nel suo ondeggiare mai s'aggroviglia o ristagna

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o allenta la tensione drammatica. La coerenza fantastico-senti- mentale è pienamente ottenuta: si legga come documento esemplare per efficacia di mezzi e concentrazione stilistica il recitativo di Areene (Atto I. Scena IV). dove in una trentina " ,,

di versi nervosi, rapidissimi, scanditi da un'interna dialettica, è esaurita la storia di un amore deluso. Anche la Darte del- l'agnizione finale, cosi scontata e banale in altri melodrammi, supera nell'olimpiade l'inciampo dell'artificio e si colora di poesia, confermando la validità del modulo creativo a cui l'ope- ia si rifà, un modulo equilibrato fra motivi tragici e patetici, f r a pena e dolcezza, agitazione del cuore e saggezza malinco- nica.

Un'aura piu fosca sembra gravare sul Demofoonte, forse derivato dall'rnès de Castro (1723) di Antoine Houdar de la Motte. L'amore di Timante per Dircea vi matura in un'atmo- sfera di tragici sospetti, di allucinanti minacce, di sinistri in- cantesimi, sull'orlo dell'incesto incolpevole. I1 melodramma, tra i pih mossi del Metastasio, presenta ai nostri occhi un insieme insolitamente complesso di tipi e caratteri, e dispone le scene in situazioni fortemente chiaroscurate, con esiti di travolgente violenza e di orrore, ricorrendo a un linguaggio incline a impasti densi e scuri, a toni d'uno scorato abbandono, che esemplificheremo con una battuta di Timante:

Perché bramar la vita? E quale in lei piacer si trova? Ogni fortuna è pena; è miseria ogni età. Tremiam fanciulli d'un guardo al minacciar: siam giuoco adulti di fortuna e d'amor: gemiam canuti sotto il peso degli anni. Or ne tormenta la brama d'ottenere; or ne trafigge di perdere il timor. Eterna guerra hanno i rei con se stessi; i giusti l'hanno con l'invidia e la frode. Ombre, deliri, sogni, follie son nostre cure; e quando il vergognoso errore a scoprir s'incornincia, allor si muore.

Versi che, posti al centro della vicenda, dischiudono al let- tore una regione non del tutto esplorata dell'animo metasta- siano.

Nell'Attilio Regolo si concentra l'impegno di un dramma tutto eroico. I sentimenti amorosi di Attilio e Barce sono so- verchiati dal motivo etico-politico, imperniato sul mito del- l'onore, della virth, del sangue intemerato e invitto. Ma l'opera

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manca di autentico spirito epico proprio per l'eccessivo risalto dato a quel mito, per l'ostinato monologo (anche. quando in apparenza c'è dialogo) di Attilio, insensibile a ogni altra voce che non sia quella del suo orgoglio e della sua fierezza di cit- tadino romano, sempre atteggiato in pose statuarie, renitente,. come del resto il figlio Publio, all'amore, alla pietà, ai dubbi del pensiero. Vero è che il ferreo patriottismo di Regolo, la forza perentoria delle sue battute, la sua massiccia (non infre- quentemente ingenua) sostanza sentimentale hanno qua e là un'interna maestà non rapportabile o riducibile a lusinga cor- tigianesca o a mediocre ricerca di effetti teatiali.

Non ultimo merito dei melodrammi metastasiani è I'ac- cordo perfetto tra il recitativo e l'aria. L'aria, si sa, era il cen- tro dell'interesse melodrammatico, i1 punto di forza del canto e dei cantanti. I1 Metastasio, con intelligente progresso rispetto allo Zeno, vi appunta e sostiene l'azione nei suoi nodi piii in- tensi. Non demanda all'aria funzione dinamica: l'incarica di rac- cogliere e illimpidire, per una specie di presa di coscienza o di' confessione a mezza voce, i sentimenti profondi del personag- gio, di commentare con fluidità canora uno stato d'animo, quasi sempre trasponendolo sul piano d'una conchiusa sag- gezza, d'una esperienza troppo tardi fruita e perciò risolta in sospiro ed elegia. Nella vicenda teatrale l'aria apriva una pa- rentesi di concentrata solitudine rifluente con naturalezza ver- so l'espressione musicale (non immemore del Marino piii sot- tile e schiarito), dove i moti del cuore si effondevano senza perdere intimità e riservatezza. L'aria, insomma, concedeva al gusto e leggero >> del secolo quel tanto che era necessario, ma ben difendeva un nucleo di verità poetica e di lirico ri- scatto. Quando si afferma che al centro delle ariette è solo morbidezza sentimentale, dolcezza sommessa, capriccio, tene- rezza o civetteria canora, mentre si riconosce,a questa forma d'arte la virtii di esprimere come meglio non era possibile un momento dello spirito arcadico, non se ne vede il lato piii serio, la venatura patetica e dolente; e comunque, a dispetto d'un pregiudizio diffuso, è bene ricordare che l'arte del Meta- stasio non si esaurisce nel giro di quelle strofette.

I1 discorso sarà diverso per le azioni teatrali dalle quali si estrania ogni motivo << grande W (L'Asilo d'Amore, L'isola disabitata) e per le canzonette, che veramente volevano con- cludersi in una breve trama vocale, esile e aggraziata. Tra di esse la conosciutissima e apprezzatissima Libertà, che varia con suprema eleganza il tema della riconquistata serenità del

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cuore, seguita a molti anni di distanza dalla schenosa Pali- nodia. Ma un ricordo meritano anche La primavera e La par- tenza, del pari segnate da straordinaria fluidità ritmica e fre- sca galanteria di mosse.

LA TRAGEDIA E LA COMMEDIA

Parallelo al cammino del melodramma corre quello della tragedia, sollecitato in parte da una esigenza di adeguamento alle strutture e ai temi del teatro classico e in parte dal con- fronto col teatro francese, di cui si avvertiva la grandezza e insieme si condannavano certi limiti di contenuto e forma (cosl come in genere era avversato sia il teatro dello Shake- speare sia quello del Seicento italiano). I1 Martello, il Calepio, il Gravina, il Maffei sono i rappresentanti principali di questa posizione.

Del primo sono da mettere in evidenza gli studi sopra la tra- gedia antica e moderna, l'antiaristotelismo e l'intelligente aper- tura ai modelli transalpini: ma le buone intenzioni non assol- vono i suoi drammi (Perselide, Procolo, Ifigenia in Tauris, Ra- chele, Alceste e molti altri) dalla mediocrità, tanto che il ri- cordo di lui, in quanto autore di tragedie, si lega oggi soltanto all'adozione del verso martelliano, composto di settenari doppi, a imitazione dell'alessandrino francese.

I1 Calepio, nel Paragone già citato tra la poesia tragica d'Italia e quella di Francia, è buon interprete della generale in- clinazione arcadica al teatro, e si contrappone all'ossequio trop- po rigoroso dei Francesi alle regole, temperando il classicismo e il razionalismo imperanti con una acuta penetrazione deua psiche umana e il pecsonale gusto del sensibile.

Del Gravina e delle sue tragedie s'è detto. Un discorso piu particolareggiato meriterebbe il Maffei, che dalle dispute teori- che e dal sincero amore per il teatro (pubblicò il Teatro ztaliano ossia scelta di dodici tragedie per uso della scena, premessa una storia del teatro e difesa di esso, 1723) trasse spunto alla compo- sizione della Merope (1713), la piu fortunata delle tragedie set- tecentesche anteriori all'Alfieri. I1 mito, già trattato dal Torelli nel 1589 e dallo Zeno nel 1712 (e che aveva influenzato 1'An- dromaque di Racine), viene ripreso dal Maffei con piu esperta tecnica e maggior senso teatrale, e immesso in un'azione serrata e veloce, snodantesi sul ritmo dell'endecasillabo sciolto, non alternato con settenari. I1 linguaggio è di buona levatura lette-

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raria, in genere aulicizzante e puro da infiltrazioni straniere: ma i personaggi non escono dal convenzionale.

Allo stesso modo il Conti sostenne il serrato dibattito sul teatro con alcune tragedie (Giunio Bruto, Marco Bruto, Giulio Cesare, Druso) ispirate sull'esempio di Shakespeare a figure storiche, ma quasi del tutto prive di vigore fantastico, anche se notevoli per certi slanci oratori e per una non sempre manie- rata protesta contro la tirannia.

Agl'inizi del Settecento la commedia dell'arte era ormai in via d'esaurimento: sotto auel nome Dassavano sulle scene scon- ce e ridicole improvvisazioni del tutto prive di estro inventivo. Pur non avvertendola a sé congeniale, l'età arcadica tentò un riordinamento anche della commedia. Seguaci dell'autorizza- zione classica e della maniera francese si trovarono d'accordo nel condannare l'inverosimiglianza dei casi, come la stravaganza stilistica e strutturale del teatro comico piu diffuso. Del pari comune fu il proposito di ricondurre la vicenda alla naturalezza, la lingua a una piu sciolta purità, e tutta la rappresentazione al

buon senso n, anche in sede di valori morali e sano didattismo. Ma nel concreto, da un lato si sperimentò un ritorno anacroni- stico alla commedia del Cinquecento - espediente troppo cul- turale per trovar credito presso il grosso pubblico - dall'al- tro si guardò, ma senza adeguato empito fantastico, al teatro francese.

Una via originale intese intraprendere il Martello, dedican- dosi a commedie per « letterati n, agganciate al suo tempo e animate da un'agilissima « verve D caricaturale e parodistica, che richiamava alla lontana la commedia dell'arte ( I l piato dell'H, La rima vendicata, L'Euripide lacerato, 11 Femia sen- tenziato, Che bei pazzi, Lo starnuto d'Ercole).

La tematica letteraria si ripete nelle commedie del Maffei ( L e cerimonie, Il Raguet) e in quelle del gesuita veronese Giu- lio Cesare Becelli (1686-1750), critico e sostenitore della lette- ratura italiana moderna contro la classica nel trattato Della no- vella poesia (1712).

Sul filo delle diatribe accademiche, ma rinvigorita da acri umori ed estrosità libellistiche, si svolge l'opera del senese Giro- lamo Gigli (1660-1722). I1 Gigli volle dimostrare la superio- rità del suo dialetto natio sul fiorentino, pubblicando gli scritti di Celso Cittadini e di santa Caterina, componendo un Voca- bolario cateriniano, percorso da inesauribili venature polemiche e pamphlettistiche, un Diario senese, infine un Gazzettino del bel mondo, beffardo ritratto della società arcade e del gesuiti-

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smo, ricco di trovate spiritose, caricature efficaci, felici squarci inventivi, ma non privo di volgarità. Questa capacità di co- gliere il lato ridicolo delle cose, meglio che neila copiosa pro- duzione seria (oratori. drammi e cantate Der musica). doveva esprimersi nelle comiedie e specialmentesnelle due $iu note, il Don Pilone ( 171 1 ) e La sorellina di Don Pilone (1712), sa- tire della falsa devozione, dell'ipocrisia religiosa, dell'avarizia femminile.

I1 fiorentino Giovan Battista Fagiuoli (1660-1742), mentre nella sua ampia produzione letteraria (cicalate, rime, scherzi, odi, drammi per musica) descrisse gli atteggiamenti a uficiali » della società primosettecentesca, nell'esperienza teatrale oscillò daila giovanile simpatia per la commedia dell'arte al gusto di azioni sceniche di tipo campagnuolo, con personaggi semplici e villerecci (Un vero amore non cura interesse, L'avaro punito, La nobiltà vuol ricchezza, I l marito alla moda), all'interesse per la satira, divertita e spuntata, degli ambienti cittadini (Il cici- sbeo sconsolato, Amanti senza vedersi, Il Cavalier parigino). Gli si attribuisce la paternità di alcuni personaggi sconosciuti ancora sulla scena italiana: il cicisbeo vanesio. il nobile s ~ i a n - , -- - - - L

tato e borioso, la fanciulla ipocrita, la monachina testarda, tipi di villani arguti e petulanti. La sua lingua piacque al Giusti e il Goldoni lo ricorda con parole lusinghiere. E pure i1 Fagiuoli rimane nel com~lesso in un ambito di a maniera D. aua e là , &~ ~

vivacizzato da una certa briosità stilistica. Aperto invece alle richieste di rinnovamento fu il senese

Iacopo Nelli (1673-1767), che volle improntare l'opera sua a precisi ideali di naturalezza e verosimiglianza, sfruttando alcuni elementi della commedia dell'arte. E in effetti riusci spesso a calarsi nelle circostanziate dimensioni di un ambiente e a trat- teggiare al vivo situazioni e caratteri (La serva padrona, Le ser- ve al forno, La suocera e la nuora, La dottoressa preziosa, La moglie in calzoni, Il geloso disinvolto), spesso attingendo al Molière e al La Fontaine.

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Capitolo terzo

Dall'Arcadia all' Tllurninismo: filosofia, storiografia, erudizione

VICO

La figura del Vico domina dall'alto il panorama dell'età ar- cadica e per la sua stessa grandezza appare solitaria, come pro- iettata oltre il secolo cui appartiene, in altra e piu matura sta- gione. Se però l'autore della Scienza Nuova, elaborando la pro- pria concezione della natura, dell'uomo, della storia, della poesia, preannuncia e anticipa motivi della spiritualità roman- tica, da un rigoroso punto di vista culturale (è superfluo osser- varlo) rimane ben saldo entro i limiti del suo tempo. Il suo pensiero si origina e si sviluppa in stretta connessione con una precisa realtà storica, e mal sarebbe comprensibile se staccato dai problemi speculativi, giuridici, letterari del tardo Seicento e del primo Settecento, scrutati sia all'interno dell'ambiente napoletano che lungo il vasto fronte della civiltà europea.

Giambattista Vico nacque a Napoli il 23 giugno 1668 da un contadino maddalonese divenuto, senza fortuna, libraio. Di temperamento vivacissimo e irrequieto, segui un corso di studi irregolare. Sostanzialmente, meno qualche sporadico ap- proccio alle classi di grammatica e umanità presso i Gesuiti, fu un autodidatta, fanciullo maestro di se medesimo », come dirà nell'tlutobiografia. Alla filosofia si accostò attraverso le Summulae di Paolo Veneto (un trattato di logica che gli riusci oscurissimo e lo rese per qualche tempo disertore degli stu- di ») e la Metafisica di Francesco Suarez. Si dette quindi per un certo periodo alla giurisprudenza e alla pratica forense, ma anche in questo campo alle lezioni dei maestri e ai consigli de- gli esperti preferi la libera e personale ricerca, coltivando il diritto romano e canonico, mentre, per esortazione del gesuita Giacomo Lubrano, tentava la poesia. Nel 1687, per l'aggravarsi delle condizioni economiche e di salute (soffriva di tisi), accet-

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tò con sollievo l'incarico di aio nella nobile famiglia Rocca, che usava trascorrere alcuni mesi dell'anno nel marchesato di Va- tolla, salubre e serena terra del Cilento. I n casa Rocca, specie nella solitudine di Vatolla, il Vico approfondi per circa nove anni le sue meditazioni filosofiche, gettando le basi dell'intero suo sistema.

Durante la dimora vatolliana il Vico tenne vivi i contatti con i circoli culturali di Napoli, e a Napoli si recò piii volte, guardando con interesse alle spinte innovatrici che agitavano la città partenopea. Alludiamo al moto di rinascita promosso sul declinare del secolo dal Cornelio, dal Di Capua, dal D'An- drea, dal Borelli, dal Caravita e da altri coraggiosi intellettuali e in cui confluivano (come in parte s'è detto) apporti dispa- rati e complementari: l'atomismo democriteo ed epicureo (rin- vigorito dal gassendismo), il razionalismo di Cartesio, lo spe- rimentalismo di Bacone e Galilei, vari recuperi di motivi rina- scimentali (Telesio, Bruno, Campanella) e neoplatonici, il tutto fuso in un clima di eclettismo scetticheggiante che aveva pro- vocato contro i propugnatori del rinnovamento un processo d'ateismo da Darte della Chiesa.

Contemporaneamente il Vico s'interessava di studi classi- ci e retorici, sottraendosi, forse per influsso del << capuismo », alle seduzioni barocche mediante la lettura attenta e ripetuta di Boccaccio, Dante, Petrarca, visti in parallelo rispettiva- mente con Cicerone, Virgilio, Orazio. Inoltre si rendeva fami- liari Lucrezio, Tacito, Sallustio e altri autori latini.

Rientrato definitivamente a Napoli nel 1695, mise a pro- fitto le sue conoscenze letterarie per campare alla meglio, impartendo lezioni private. Solo nel 1699 riusci ad ottenere, in seguito a concorso, la cattedra di eloquenza all'università di Napoli, fra le piii modestamente retribuite, ma che tutta- via gli dette la possibilità di mantenere la famiglia (sposò nel dicembre di quello stesso anno l'analfabeta Teresa Caterina Destito, dalla quale ebbe otto figli).

Per la cattedra di eloquenza scrisse dal 1699 al 1706 sei Orazioni inaugurali, rimaste inedite, primo importante docu- mento del suo pensiero, ancora oscillante tra neoplatonismo cristiano e cartesianesimo, ma teso alla conciliazione dell'uno con l'altro. Una settima orazione intitolata De nostri temporis studiorum ratione (1708), pubblicata nel 1709, intendeva illu- strare, nell'ambito della diffusa <( querelle fi sulla superiorità degli antichi o dei moderni, i vantaggi e gli svantaggi della maniera moderna di studiare messa a confronto con l'antica:

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il Vico vi disegna i tratti fondamentali della cultura italiana ed europea servendosi di Bacone (dopo Platone, che dipinge l'uomo come dev'essere, e Tacito, che lo dipinge com'è, il terzo autore per lui capitale; il quarto sarà Grozio), per pro- pugnare un metodo sperimentale-sintetico idoneo a fondare una scienza di nuovo genere con l'ausilio, piu che della specula- zione razionale, del <( senso comune », sapienza volgare e ripo- sta in ciascun popolo e nazione, applicata a regolare la vita secondo principi sentiti comunemente da tutti i componenti di quel popolo o nazione, punto d'incontro di memorie, tra- dizioni, fantasie, sentimenti non riconducibili, e per lo piu estranei, al circolo di pure verità, alimento non tanto della fi- losofia quanto dell'eloquenza e della poesia.

Si palesa cosi e si precisa la polemica anticartesiana: Car- tesio mirava a epurare la mente da ogni nozione che non fosse razionale e imponeva alla ricerca filosofica il criterio della chiarezza e della distinzione, Vico esalta l'importanza di tutto ciò che è storico, concreto, pratico, quand'anche appartenga a un piano diverso da quello della ragione e del vero, al piano cioè del <( verosimile P. Pur non oltrepassando l'impianto tra- dizionale del sermone accademico, il De nostri temporis con- tiene, come si vede, motivi assai fecondi di sviluppo, anzi an- nunzia <( in nuce D la filosofia vichiana, già sciolta da vincoli cartesiani, baconiani, platonici, e, per la distinzione tra scienze fisico-naturali e morali, avviata a individuare il proprio stabile orientamento.

Un ulteriore progresso sulla via della Scienza Nuova si ha col De antiquissima italorum sapientiu ex linguae latinae origi- nibus eruenda ( 17 IO), dove sono utilizzati spunti del baconiano De sapientia veterum e del Cratilo di Platone. L'opera doveva constare di un Liber metaohisicus (che abbiamo). di un Liber phisicus (andat.0 disperso) 'e forse di un Liber moralis che non fu mai scritto. Rimangono inoltre due Risooste del Vico a un " ignoto recensore che nel Giornale de' letterati aveva garbata- mente censurato il Liber metaphisicus. Fulcro del De antiquis- sima è l'affermata esistenza nell'Etruria preromana di una setta filosofica originaria dell'Egitto, la cui sapienza il Vico cerca di documentare attraverso lo studio etimologico di alcuni ter- mini latini, allargando cosi il gusto dell'indagine storica, al tra- scurato campo della linguistica. Poco importa se le tesi del De antiquissima non reggano alla critica (come presto il Vico stesso riconobbe, capovolgendo il concetto baconiano di una pri- mitiva sapienza riposta anche nei miti classici) e se le etimologie

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risultino piu volte forzate e'piegate ai voleri dell'autore. Quel che conta è il principio elaborato dal Vico in seguito a questa esplorazione tra le voci latine, la scoperta cioè della conver- sione del <( verum nel << factum D, vocaboli in latino recipro- camente commutabili. I1 <( vero consiste nel << fatto D, il co- noscere o coincide col <( fare », è un sapere per cause: solo chi opera consapevolmente ha conoscenza di ciò che produce. Ne consegue che la conoscenza perfetta dl tutto ciò che esiste, è esistito o esisterà, è prerogativa di Dio:

egli solo è la vera Intelligenza, perché egli solo conosce tutto; [...l la Divina Sapienza è il perfettissimo verbo, perché rappresenta tutto, contenendo dentro di sé gli elementi delle cose tutte; e contenendo- gli, ne dispone le guise o sieno forme dall'infinito; e disponendole, le conosce, ed in questa sua ccgnizione le fa

(dalla Prima risposta, donde trarremo anche le citazioni suc- cessive).

Dio è ragione; l'uomo partecipa >> della ragione, e per- tanto non possiede conoscenza, ma <( cogitazione >> del tutto, non comprende l'infinito, ma bene il può andare raccoglien- do D. L'identità di soggetto operante e soggetto conoscente preclude all'uomo la scienza dell'universo, della natura, ren- dendo nullo il <( cogito o cartesiano, valido tutt'al piu a dimo- strare l'esistenza, e non l'essenza del pensante, e quindi della realtà, in quanto .reazione immediatrr della coscienza (cosi già in Plauto: Sed quom cogito equidem certo idem sum qui semper fui o, Amphitruo, v. 447) che accerta il suo esserci » ma non può lecitamente costruire una. metafisica razionalistica:

... dico che quel << cogito è segno indubitato del mio essere; ma, non essendo cagion del mio essere, non mi induce scienza dell'essere.

All'evidenza di Cartesio il Vico sostituisce il criterio della operabilità e ordina le cosiddette scienze umane secondo tale criterio. Al vertice si situano le matematiche, che sono tra tutte

le vere scienze operatrici, e pruovano dalle cause, perché, di tutte le scienze umane, esse unicamente procedono a simiglianza della scienza divina.

Ma se è vero che le matematiche dipendono in tutto dal- l'uomo (punto, linea, forme non esistono in natura e sono convenzioni della mente), è anche vero che gli elementi di cui constano non hanno carattere di realtà e sono a&dati all'arbi- trio di chi li ordina e dispone in un modo o nell'altro: le ve-

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rità eterne delle matematiche appartengono a una finta eter- nità:

l'uomo, contenendo dentro di sé un immaginato mondo di linee e di numeri, opera talmente in quello con l'astrazione, come Iddio dell'universo con la realtà.

In sostanza le matematiche subiscono una svalutazione si- mile a quella delle altre inferiori scienze e arti umane, la mec- canica, la fisica, la morale: altro punto di contrasto con Carte- sio (nonché con Galilei), che aveva conferito il primato al me- todo matematico e ai valori matematici aveva riconosciuto realtà assoluta.

Ciò che caratterizza la gnoseologia vichiana è per ora la limitazione dell'intelle~to umano. circoscritto entro le frontie- re degli astratti segni matematici. In seguito il Vico invertirà la scala delle scienze. si renderà conto che la ~ i u o~erativa di esse è proprio la scienza morale e storica, per ora relegata al di sotto della fisica.

Nel 1710 il Vico è accolto in Arcadia col nome di Lanfilo Terio. Tra i1 1714 e il 1716, per incarico del discepolo Adria- no Carafa duca di Traetto, scrive la vita del maresciallo An- tonio Carafa, De rebus gestis Antonii Caraphei, opera secon- daria, ma che sposta la sua attenzione sul territorio vero e proprio dei fatti storici e lo conduce a una visione dell'uma- nità primitiva non piu idillica ma hobbesianamente violenta e ferina, in contrasto con gl'insegnamenti del suo maestro Lio- nardo Di Capua e con i motivi arcadici, anche se egli sottrae quell'inizio della storia alla consapevolezza del male. Si faceva già sentire su di lui l'influsso del Grozio, e proprio meditando sul Grozio, quarto suo autore dopo Platone, Tacito e Bacone, e spinto dal desiderio di piegare questo e quelli in uso della cattolica religione, il Vico, come si legge nell'Autobiografia,

finalmente [...l intese non esservi nel mondo delle lettere un siste- ma, in cui accordasse la miglior filosofia, qual è la platonica subordi- nata alla cristiana religione, con una filologia che portasse neces- sità di scienza in entrambe le sue parti, che sono le due storie, una delle lingue, l'altra delle cose.

D'altra parte l'iniziale ferinità del genere umano, connessa con la caduta nel peccato, proponeva il problema di come fosse avvenuto il trapasso dall'antichissima barbarie alla ragio- ne spiegata delle epoche mature, ed esigeva una ricognizione ~torica che interpretasse i fatti dall'interno, invece che regi-

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strarli obbiettivamente. ricostruendone gli stadi successivi se- ., condo un'intrinseca legge di svolgimento.

È il momento in cui Vico intravede la possibilità di dise- gnare, in accordo con le proprie maturate convinzioni e con i principi del cristianesimo, una parabola << ideale )> di eventi, che partendo da Dio a Dio si risollevi, attraverso un complesso ma non casuale itinerario storico. Una formulazione generica di tale disegno si trovava in un'orazione del 1719 andata perduta; pifi distesamente il tentativo è svolto poi nel De uni- versi iuris principio et fine uno (1720) , nel De constantiu iurisorudentis (1721) e in una serie di Notae: scritti che ven- gono comunemente denominati Diritto universale -

Fallitogli il concorso a una cattedra di diritto romano al- l'università di Napoli, cattedra che avrebbe sestuplicato il suo stipendio, dopo un breve periodo di profondo smarrimento. il Vico tornò con maggiore slancio agli studi. Rifece da capo il Diritto universale, in due libri, quindi nel 1725 pubblicò a sue spese i Principi di una scienza nuova intorno alla natrdru delle nazioni, universalmente conosciuti come Scienza Nuova prima. Lo stesso anno compose l'Autobiografia (il titolo esatto è Vita di Giambattista Vico scritta da st. medesimo), corredata nel 1731, per istanza del Muratori, di un'Aggiunta Al periodo tra il '25 e il '28 appartengono alcune lettere importanti, tra cui quella a Gherardo degli Angioli contenente importanti giudizi su Dante, orazioni funebri e un opuscolo contumelioso e furibondo (Vindiciae) contro Giovanni Burcardo Mencken che negli Acta eruditorum di Lipsia aveva ricordato la poco calorosa accoglienza tributata dagli Italiani dla Scienza Nuova prima. La quale opera, andato a vuoto il tentativo di stam- parne una nuova edizione, egli ricompose da cima a fondo, dando alla luce, ancora a sue spese, nel 1730, la Scienza Nuova seconda, che nel 1734 rielaborò e redasse una terza volta (que- sta Scienza Nuova terza usci Dostuina nel 1744). mentre rice- veva dal nuovp re Carlo di ~ o r b o n e la carica 'di storiografo regio e altri benefici finanziari. Nel 1742 si ritirò dall'insegna- mento, sostituito dal figlio Gennaro. Mori la notte fra il 22 e il 23 gennaio 1744.

I1 punto di partenza della Scienza Nuova è ancora la con- versione del vero nel fatto, ma integrata dalla scoperta che

questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana.

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Il mondo naturale resta inconoscibile per l'uomo, in quanto fattura divina; ma il mondo delle nazioni, opera dell'uomo, si apre ora alla conoscenza umana, aggiungendosi, sotto questo ri- guardo, ma con una concretezza di gran lunga maggiore, alle matematiche.

Allargato il dominio della gnoseologia al corso delle vi- cende storiche, il Vico si propone di individuare i principi uni- versali ed eterni per i quali tutte !e nazioni sorsero e si con- servano, i modi secondo cui << dovettero, debbono e dovranno andare le cose », di ricostruire, insomma, la

storia idea1 eterna, sopra la quale corron in tempo le storie di tutte le nazioni ne' loro sorgimenti, progressi, stati, decadenza e fini.

Storia ideale, si badi, dalla quale le singole vicende po- tranno piii o meno discostarsi (cosi Vico evita il determini- smo), ma che in ogni caso rappresenta la linea evolutiva na- turale, vorremmo dire << organica D, dell'umanità.

Con una terminologia già collaudata il Vico torna a di- stinguere un regno del certo e un regno del vero. I1 certo, dal punto di vista del soggetto operante, è il risultato delle forze istintive, come il senso e la fantasia; il vero è il prodotto della ragione spiegata. Dal punto di vista di chi interpreta la storia, il certo è l'oggetto della filologia, che << osserva l'autorità del- l'umano arbitrio », il vero è l'oggetto della speculazione ra- zionale, che oltrepassa ogni arbitrio e s'aflisa sui principi uni- versali. I1 certo tuttavia contiene, per una imperscrutabile be- nevolenza divina, alcuni semi del vero e quasi un'interna ten- sione a risolversi in esso, cosi come la filologia è elemento es- senziale e preparatorio della filosofia, sicché errano del pari quei filosofi che non accertano le loro ragioni con l'autorità dei filologi e quei filologi che non curano di avverare la loro autorità con la ragione dei filosofi.

Quando dunque Vico, invertendo le posizioni del De unti- quissima, dipinge il mondo dei bestioni primitivi, imbarbariti dopo il diluvio universale sino a stordire in sé ogni senso di umanità, vede già questa preistoria come potenzialmente pro- tesa verso la storia e considera implicito nello stadio ferino un qualche nucleo di razionalità. I l bestione non è un non- uomo, ma un uomo degradato in seguito al peccato d'Adamo. Pertanto se è vero che il popolo antichissimo dei giganti fe- roci e orribili, ottusi da robusta ignoranza e agitati da immani passioni, abbandonandosi alla propria fantasia grossolana, sen-

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suosa, corpulentissima, intrisa di stupore e timore, intuisce una confusa idea della divinità e genera le prime forme di poesia,

Per la quale discoverta de' principi della poesia si è dileguata l'op- penione della sapienza inarrivabile degli antichi,

è anche vero che le fantasie favolose di quei bestioni tratten- gono come imprigionato nel loro seno il germe della verità, il momento genetico della conoscenza speculativa: i1 Vico stes- so chiama a sapienza poetica », cioè fantastica, quella delle età primitive, <( poeti teologi » i cantori antichissimi, e alla sapien- za poetica vede connessa una <( rozza metafisica P. Non pos- siamo qui dire di piii su un punto cosi delicato e importante del sistema vichiano. Certo, può restare il sospetto che il Vico abbia concepito un tipo di originaria poesia in cui i rapporti tra il carattere particolare del senso e della fantasia e quello universale della sapienza non siano ben comprensibili (una poesia come metafisica non ragionata ed astratta, ma sentita e immaginata) - e del resto egli per primo avvertiva la diG- coltà di ricostruire con la nostra mente cosi diversa e adulta, abituata allo schematismo logico, l'effettivo modo di essere dei nostri oscuri e favolosi progenitori -, tuttavia, fuori d'ogni dubbio, l'accento fondamentale della Scienza Nuova batte sul contrasto fantasia-ragione, poesia-filosofia: la poesia è frutto di un'attività alogica, nasce da un'esigenza naturale e primigenia dell'uomo, è collegata al senso e alle forti passioni, si manife- sta per immagini fantastiche ma tratte dal mondo sensibile, spesso per metafora; anche il linguaggio poetico è figlio della sensibilità, creazione dell'animo turbato e commosso, diverso da luogo a luogo per la diversità dei climi onde son derivate tanto varie nature e dissimili costumi. Un grado superiore. n quello dell'invenzione fantastica occupa il mito, dove riposa un concetto, dove una verità è nascosta sotto il velo della fa- vola, sebbene i1 Vico molto spesso finisca col confondere, a livello verbale, ma talora a livelli piii profondi, mito e poesia. Omero, per citare il caso di maggiore risonanza, non è poeta teologo, ma poeta del mito, appartenendo ai tempi eroici suc- ceduti all'età ferina L'Omero discoverto dal Vico non è un filosofo, un saggio, e nemmeno una voce istintiva della na- tura, bensi lo specchio d'una civiltà violenta e generosa, gagliar- da e feroce come quella nella quale il poeta visse, almeno a quanto si ricava dall'llzade L'Odzssea sembra appartenere ad

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altra epoca piii raffinata e molle. Anzi, ma qui il pensiero del Vico è oltremodo intricato e oscuro, si dovrebbe parlare di due Omeri, o di un unico Omero << sperduto dentro la folla de' greci popoli », ipostatizzante la coscienza eroica della na- zione greca, momento mitico o carattere poetico piii che indivi- duo reale.

Allo stesso modo Dante, il Dante dell'« Inferno >> in modo particolare, poeta della ritornata barbarie medievale, appariva al Vico grande non per saggezza (pur essendo dotto di altis- sima scienza riposta » ) ma per la forza della fantasia, il colle- rico ingegno, le ire implacabili, i sensi commossi: posizione assai notevole e coraggiosa in un'epoca come l'arcadica, in- cline a cosi diversi modi di poesia. Si legge nella nota lettera a Gherardo degli Angioli:

Ella è venuta a tempi troppo assottigliati da' metodi analitici, troppo irrigiditi dalla severità de' criteri, e si di una filosofia che professa ammortire tutte le facoltà dell'animo che li proveggono dal corpo, e sopra tutte quella d'immaginare che oggi si detesta come madre di tutti gli errori umani; ed, in una parola, Ella è venuta a' tempi d'una sapienza che assidera tutto il generoso della miglior poesia, la quale non sa spiegarsi che per trasporti, fa sua regola il giudizio de' sensi .ed imita e pigne al vivo le cose, e i costumi, gli affetti con fortemente immaginarli e quindi vivamente sentirli.

I l passaggio dalla barbarie dei tempi primitivi alla civiltà avvenne per il progressivo sviluppo di quel seme divino che giaceva sepolto nella coscienza umana anche all'epoca dei be- stioni preistorici. La religione, identificata col mito di Giove, i matrimoni solenni, la sepoltura dei morti, spogliarono i vi- venti dell'abito inumano, infusero in loro il sentimento del pudore, della prudenza, della giustizia, li tradussero dall'era degli dei a quella degli eroi e poi a quella propriamente umana.

Approfondendo la sua indagine, per il postulato secondo il quale i mutamenti nella storia delle nazioni corrispondono ai mutamenti della mente, il Vico traccia nella Scienza Nuova una lunga serie di triadi. Gli uomini, come si sa dalla celebre Degnità LIII, prima sentono senz'avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura. Cosi le nazioni passano per tre specie di nature (ferina, eroica, umana), determinando sulla terra il succedersi di tre specie di costumi (religiosi, collerici, officiosi), di stati civili (teocrazia, aristocrazia, democrazia mista a monarchia), di di-

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ritti (divino, eroico o della forza, umano o della ragione), di lingue (muta o per gesti, poetica, prosastica) e cosi via. È que- sto l'aspetto piu debole della dottrina vichiana e non occorre insistervi.

Importa invece avvertire che nella seconda Scienza Nuova, e poi nella terza, all'età della ragione, per il dissolversi della ragione stessa nella mollezza e nella corruzione. nella barba- " rie della riflessione W , cioè in una colpevole astuzia e malignità e capziosa sottigliezza contraria al a vero )>, succede un'altra barbarie, donde ricomincia, per cosi dire, il corso della storia, non come ripetiziòne di eventi, ma come regolato ritorno (o ricorso) dei momenti fondamentali dello sviluppo umano (sen- so, fantasia, ragione), come ciclico rinnovarsi, nell'evoluzione, di necessarie tappe ideali. La storia dunque avanza sempre, ma avanza senza che gli uomini che ne sono i protagonisti, i produttori, possano programmarla o indirizzarla per le vie da essi desiderate, spesso contrastando anzi con i fini particolari degli individui, delle classi, dei popoli.

Siamo cosi di fronte ad uno degli aspetti pih controversi del pensiero vichiano, quello che riguarda la provvidenza: provvidenza trascendente e cattolicilmente ortodossa, o d'altro tipo? La sincera fede religiosa del Vico non è revocabile in dubbio. Tra l'altro, il fermo proposito di conciliare il sistema della Scienza Nuova con la rivelazione indusse lo scrittore a riservare agli Ebrei una storia eccezionale, esente dai passaggi obbligati cui dovettero assoggettarsi gli altri popoli, essa, si, beneficiaria di aiuti estraordinari >> del vero Dio.. Ma in rela- zione all'argomento che c'interessa, il Vico sembra orientarsi verso una soluzione che, se da un lato nega alla provvidenza

ordinaria >> il carattere trascendente d'un intervento sopran- naturale valido a raddrizzare il cammino dell'umanità, dall'al- tro le riconosce una trascendenza a formale )> sulla materia dei fatti storici: la provvidenza è la superiorità, in valore as- soluto, della storia ideale eterna rispetto alle singole storie degli uomini e delle nazioni; non fato, non caso, ma raziona- lità, logica degli avvenimenti; è presenza di un ordine nel fluire delle cose, ma non immanenza pura del primo nel se- condo, ché altrimenti la storia reale dovrebbe ripetere in tutto e per tutto il ritmo della storia ideale eterna. .

Ad ogni modo la concezione vichiana si oppone alle ve- dute giusnaturalistiche e contrattuali intorno all'origine dello stato e a quelle pragmatistiche che individuavano in ogni ac- cadimento e in ogni situazione il risultato di un intenzionale

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sforzo produttivo dell'uomo: l'autore della Scienza Nuova af- ferma il primato della religione (consapevolezza del rapporto storia-trascendenza) sulle altre forme del pensiero: il mondo storico è inconcepibile senza religione, come è inconcepibile senza poesia, che dello stupore religioso fu la prima espressione.

11 limite del Vico (se di limiti è il caso di parlare) è forse nella mancanza di un adeguato interesse per i valori indivi- duali in ordine al divenire storico, per il caratteristico, per ciò che distingue un fatto da ogni altro, pur senza isolarlo mai completamente dal tessuto intero della realtà. Questo po- trebbe spiegare come non i1 contenuto speculativo della Scienza, ma la passione morale, il senso religioso della vita, i miti gran- diosi, il culto della poesia e della fantasia, le generose illusioni, abbiano trovato maggior seguito nelle coscienze dei posteri e perché il vichismo del Cuoco sia di tanto inferiore al vichismo del Foscolo.

I1 Vico ha lasciato di sé un ritratto indimenticabile nell'Au- tobiografia, alto documento di fierezza e dignità morale. Essa ha in certi momenti l'andamento di un'epopea, l'epopea d'un pensiero geniale e gagliardo che si forma tra difficoltà d'ogni genere, si matura nella lotta contro l'indifferenza dei dotti, ri- sorge piu ostinato dai colpi della fortuna, s'afferma vittorioso sulle angustie della vita familiare e sulla fragilità della salute.

Una parola infine su Vico scrittore. S'è parlato a lungo dell'oscurità vichiana. Eppure in quella forma dalla scorza ta- lora ruvida e dalle movenze pesanti, in quei periodi involuti e faticosi, il pensiero del Vico trova la sua piu congeniale espressione. l1 metafisico Vico non sa filosofare che per elo- quenza poetica: come rifugge dalle minuzie del pensiero cosi evita l'esposizione analitica e sistematica. Il tema speculativo, non appena affiora nella sua mente, viene di solito investito dalla fantasia, si traduce in immagini, trova un'evidenza pla- stica, si consegna a potenti metafore. Fra tutte le forme Vico predilige il mito, il parlar fabuloso delle età eroiche. Ma non si dimentichi che il Vico si giovava anche di una ben assimi- lata cultura classica, la quale agisce alla base delle sue strut- ture linguistiche volgari, spesso scandite in un ritmo solenne e quasi metrico e innalzate a un tono severo d'epigrafe.

Se nei momenti di maggiore accensione intellettuale il Vico ricorre a un linguaggio corposo, tutto sostanza e figurazioni concrete, concentrato su impressioni vive e folgoranti, all'im- peto delle prime mosse sa poi imporre un freno di cultura, or- ganizzando la sintassi e la successione delle immagini con la

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cura dell'artista esperto, come si deduce dalle correzioni ap- portate alla 'seconda e terza redazione della Scienza Nuova, dall'accorta distribuzione degli elementi lessicali e grammati- cali, dal perfetto bilanciamento fra le varie parti del periodo. Dovunque s'avverte il dominio d'una vigorosa volontà espres- siva sull'urgere delle passioni e sullo sforzo del pensiero teso alle sue conquiste. I1 particolare impegno stilistico del Vico ha reso celebri alcune pagine: il divagamento ferino dei be- stioni nella gran selva della terra, la. rapsodia dei giganti, il quadro sterminato del mondo originario, delle prime civiltà eroiche. Ma sotto tutte le altre pagine, anche le pi6 distese, brucia un fuoco nascosto, un ardore intellettuale che è stigma persistente dello scrittore.

GIANNONE

L'ambiente in cui matura il pensiero del Giannone coinci- de press'a poco con quello che offri nutrimento e stimolo alla speculazione vichiana. Ma Pietro Giannone (Ischitella 1676 - Torino 1748) non tanto mira a fissare l'intelaiatura ideale che sorregge e guida il dispiegarsi dei casi umani, quanto ad ab- battere, sul sostegno d'una sicura fede nell'evoluzione della storia, gli schemi del passato anacronisticamente sopravviventi nella moderna compagine giuridico-statale, e a instaurare rap- porti piu concreti ed equi tra le varie forze politiche e sociali, in una visione della vita-"smitizzata, ma non irreligiosa o del tutto laica (come a molti'è sembrato).

Alla ricèrca storica siecongiunge ih lui un ampio program- ma giuridico e civile, prima eletta testimonianza di quell'illu- minismo meridionale che si affermerà tra breve con Galiani, Genovesi, Delfico. Già l'lstoria civile del Regno di Napoli (1723) muove dal proposito di far cosa <( tutta nuova », di esplorare cioè sotto gli aspetti piu vari la vita napoletana dal- l'epoca romana ai tempi dell'autore, prendendo in considera- zione leggi, costumi, accademie, tribunali, magistrati, giurecon- sulti, signorie, uffici:

in brieve, tutto ciò che alla forma del suo governo, cosi politico e temporale, come ecclesiastico e spiritual s'appartiene.

In tal modo, tra l'altro, si sarebbero potuti individuare sul piano storico le premesse, le condizioni, i modi che ave- vano permesso ai pontefici di estendere indebitamente la pro-

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pria autorità sul reame napoletano. I1 Giannone è infatti tutto proteso a combattere gli abusi della feudalità ecclesiastica, i privilegi pratici, e indirettamente politici, di cui la Chiesa si era giovata nei secoli passati e parzialmente ancora si giovava, come la pretesa istituzione divina del Papato, l'inquisizione, l'« exequatur D, il <{ placet D, la censura, il foro ecclesiastico, le esenzioni fiscali, le ricchezze del clero, la potenza e il fasto degli ordini monastici, cause di squilibrio fra i ceti dominanti e quelli popolari e minacce alla compattezza del corpo sociale. Sopra ogni cosa lo scrittore proclama l'autonomia del Regno da ogni influenza della Chiesa, alla quale è riconosciuto sol- tanto un potere spirituale. Perciò l'1storia prende spesso il tono di una requisitoria giuridica, condotta peraltro con forte senso della giustizia e della legalità. L'impeto stesso a cui si affida ne costituisce ~ e r ò anche il limite: è stato notato che il Giannone non si cura di vagliare bene le sue fonti, si appro- pria talvolta di pagine altrui, dà poca importanza alla lingua e allo stile. Comunque 1'1storia resta il frutto pih maturo del tradizionale impegno progressistico e anticuriale degl'intellet- tuali napoletani, e come tale si attirò la condanna degli am- bienti ecclesiastici. I1 Giannone, scomunicato, riparò prima in Austria e quindi in Isvizzera, ma non volle abiurare il cattoli- cesimo, difendendosi dalle accuse con 1'Apologia dell'1storia civile (com~rendente tre trattati e ~ubblicata Dostuma nel . L

1755) e contemporaneamente s tend~ndo il Triregno (anch'esso edito postumo nel 1895). Qui il suo anticurialismo si organizza in sistema, largamente attingendo alla dottrina di alcuni filo- sofi (Cartesio, Gassendi, Spinoza, Malebranche, i deisti in- glesi), nonché ad esegeti biblici, giuristi, medici, scienziati.

Nel Triregno la storia dell'umanità appare idealmente (e in parte cronologicamente) suddivisa in tre momenti: un re- gno terreno, vagheggiato dagli Ebrei, e consistente nel domi- nio del popolo eletto sugli altri popoli, dominio inteso come DOSSeSSO di beni mondani e eoverno ~ol i t i co (esulando dall'An- " tic0 Testamento ogni principio metafisico, ogni promessa di sopravvivenza eterna dell'anima, la quale anzi vi si scopre sostanza pensante di origine materiale? corporea,'e quindi pe- ribile); un regno celeste, quello annunziato da Gesh in premio a una vita di fede semplice (poi gradatamente complicatasi per mille riti e per l'intervento della gerarchia), totalmente godibile dopo la resurrezione del corpo associato col suo se- me spirituale; un regno papale, sollecitato dai pontefici, du- rante il quale la Chiesa è decaduta a istituzione terrena ed ha

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ragione già investita di compiti critici e già orientata verso una revisione totale dei valori tradizionali può con pieno diritto essere inquadrato nel momento ideale del pensiero illuminato. Né a tale programma è d'ostacolo il credo religioso ferma- mente professato dal Muratori, il suo cattolicesimo mai incri- nato da dubbi o incertezze. 11 Muratori, accettando il dogma, esige che la fede non contrasti con la ragione, con la natura, con l'esperienza, e riconoscendo il primato della teologia sulle scienze umane, coltiva la filosofia dei costumi che insegna a conoscere e governare gli uomini, a migliorarne le condizioni, promuoverne il progresso, correggerne gli errori. Contro il fa- natismo dei dogmatici ad oltranza il Muratori afferma il po- tere dell'intelligenza umana, quand'anche essa debba critica- mente operare all'interno di certe tradizioni cristiane. Scrive nel trattato Delle forze dell'intendimento umano:

Se taluno oggidi si accinge ad espuigar la storia ecclesiastica, le vite dei santi, i breviari e certi usi, sentenze ed opinioni, non appoggiate alle Divine Scritture né d'antica legittima tradizione, ma procedenti dalla sola barbarie, bisogna prepararsi ad udire schiamazzi, doglianze ed accuse da chi per troppa sua bontà non sa figurarsi tanta malizia o semplicità ne' mortali de' secoli addie- tro, che sapessero inventar favole e crederle, e giugnessero ad in- trodurre usanze non convenevoli alla sanità della disciplina cattolica.

A parte gli studi consueti ai giovani del suo tempo e al- cune letture divaganti (Seneca, Epitteto. Arriano, Carlo .Maria Maggi, Francesco De Lemene), il Muratori prese presto a spa- ziare con estrema versatilità, sotto la guida del padre benedet- tino Benedetto Bacchini, della congregazione dei Maurini, in campi assai diversi, dallo stoicismo all'epigrafia, dalla humi- smatica all'erudizione sacra. A Milano, dove si recò nel 1695 con la carica di Dottore della Biblioteca Ambrosiana, ebbe modo di allargare le sue conoscenze archivistiche e di con- durre severe ricerche filologiche, coronate dalla pubblicazione degli Anecdota latina (comprendenti quattro componimenti inediti di Paolino da Nola e altri testi antichi) e de La vita e le rimr Ji Carlo Maria Maggi (1700).

Richiamato a Modena dal duca Rinaldo I dlEste. che gli commise il compito di riordinare gli archivi estensi, portò a termine scritti di argomento prevalentemente letterario: i Pri- mi disegni della repubblica letteraria d'Italia ( 1703 ), dove, ri- volgendosi col nome arcadico di Lamindo Pritanio ai a generosi letterati O , propone di sostituire le tante inutili accademie con

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alcuni luoghi comuni, come quello della barbarie germanica e longobardica, e rifluisce in una rivalutazione del medioevo.

Un decennio di varie esperienze pastorali (la prepositura di Santa Maria della Pomposa in Mdena) , spirituali e asce- tiche (v. il trattato sulla Carità cristiana), sotto l'iniziale in- fluenza del gesuita Paolo Segneri junior, conduce il Muratori alla raccolta dei Rerum italicarum scriptores, in ventisette tomi (1723-38, un ventottesimo venne pubblicato nel 1751) e alla composizione delle Antiquitates italicae medii aevi, in sei vo- lumi (1738-42), tradotte e compendiate nelle Dissertazioni so- pra le antichità italiane.

Sono queste le opere fondamentali del Muratori. I Rerum, cui collaborarono eruditi d'ogni parte d'Italia, sotto la direzione del Muratori stesso, costituiscono la prima scientifica silloge di fonti storiche, letterarie, giuridiche, epigrafiche dal 500 al 1500 dell'era volgare, criticamente vagliate ed edite, un vero monu- mento di sapienza filologica, corredato da commenti archivistici, indici cronologici e per materia. Le Antiquitates si affermano come grandioso affresco di un'età poco nota e compresa, pre- sentata negli aspetti pi6 vivi e veri - istituzioni giuridiche, tribunali, condizioni economiche dei vari ceti sociali, stato del- le campagne e dell'agricoltura, usi e costumi (dall'abbigliamento alle monete, agli spettacoli), linguaggio, letteratura, vita reli- giosa, ordinamenti e imprese militari - con infallibile sicurezza di dati e singolare lucidità d'esposizione, virtu che si ritrovano nel Novus thesaurus veterum inscriptionum (1739-43), in quat- tro volumi.

Ma altre opere scaturiscono dalla penna dell'infaticabile scrittore. Ricordiamo le principali: la Filosofia morale esposta e proposta ai giovani (1735), che propugna l'accordo fra gl'inse- gnamenti cristiani e una illuminata conoscenza della psiche umana, non senza il ricorso al <( buon uso della ragione »; il trattato Della regolata divozione de' cristiani (1742-43), contro gli abusi e gli eccessi in materia di culto religioso; il trattato Dei difetti della giurisprudenza (1742-43), che denuncia il con- fuso funzionamento dei tribunali e auspica una rinnovata co- dificazione delle leggi; il trattato Della forza della fantasia umana (1745), rivolto contro il superstizioso affidamento ai Sogni, alle magie, agl'idoli della fantasia e altre simili imposture.

Sul finire della vita il Muratori volle consegnare la << sum- ma D del suo pensiero civile al trattato Della pubblica felicità (1749), vasto panorama di filosofia politica con intenti però pratici. Per il Muratori il bene pubblico altro non è

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se non quella pace e tranquillità. che un saggio e amorevole prin- cipe, o ministero, si studia di far godere, per quanto può, al po- polo suo.

I n seguito ai taciti accordi del patto sociale, che è all'ori- gine della vita civile, il principe è obbligato a soddisfare i giusti desideri del popolo:

E quali sono i giusti desideri de' popoli? Che il principe abbia tutta l'autorità sopra loro; ma che le leggi della natura, delle genti, e massimamente del Vangelo, ~bbiano autorità sopra di lui. Che abbia una potenza assoluta per far del bene, e le mani legate quando voglia far del male. Che sempre si ricordi d'essere pa- drone, ma anche padre del popolo suo.

Mentre lo zelo dei magistrati, i consigli dei sapienti e dei filosofi, gl'insegnamenti religiosi, l'onesto impegno di letterati e artisti, gli apporti di storici, grammatici, filologi, purché im- muni d'ogni « minutaglia di secca e sterile erudizione », incre- mentano la cultura e la vita dello s~ i r i t o . l'accurata colti- vazione dei campi, lo sviluppo del commercio (in senso fisio- cratico), la vigilanza sull'economia, le finanze, l'annona (in sen- so mercantilistico), la lotta contro il lusso, l'ubriachezza e altri simili disordini, la retta applicazione dei tributi, la cura dell'igiene, assicurano il benessere all'intero c o v o sociale e provvedono a ,migliorare il mondo, finale intendimento, que- sto, del programma muratoriano, già proteso a superare il vec- chio paternalismo assolutistico verso posizioni illuministiche.

Gli Annali d'Italia, apparsi nel 1744, poi aumentati e ri- stampati nel 1749, rispondevano a1 disegno di abbracciare in un'unica opera le vicende d'Italia dal principio dell'era vol- gare ai tempi piii recenti. Ma il Muratori si riprometteva an- che di ristabilire la verità dei fatti là dove la visione provvi- denzialistica e curialistica del Baronio (Annales ecclesiastici, 1588-1607) l'aveva travisata. Coraggioso proposito, non sem- pre tuttavia attuato, specie per quanto riguarda gli avveni- menti piii antichi, coevi al sorgere e all'affermarsi del cristia- nesimo. Ad ogni modo Der lo ~ i i i l'occhio del Muratori è lim- ., pido e il racconto procede obbiettivamentr, con stile calmo e pacato, pur nella sminuzzata e poco organica strutturazione annalistica; obbiettivamente, ma non impersonalmente, ché sempre lo scrittore si rifà alle tesi esposte nelle Antichità estensi, nei Rerum, nelle Antiquitates, riconfermando il giudizio positivo sui Goti e sui Longobardi, la condanna della ragion

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di stato, del militarismo e della violenza, la simpatia per le iniziative filantropiche, l'appoggio ai diritti dei popoli, l'incli- nazione a una monarchia temperata e alla distinzione tra Chie- sa e Stato, con punte di spregiudicatezza e anticurialismo e una certa fiducia negli avanzamenti dell'umanità e nella supe- riorità dei moderni sugli antichi.

Non si può fare a meno infine di accennare all'epistolario, ricchissimo di testimonianze sulla vita, sugli studi, sulla forma- zione intellettuale dell'autore (si veda l'importantissima lettera autobiografica al conte Porcia, datata 10 novembre 1721), e sulle sue relazioni con gli uomini piu insigiii del tempo.

MAFFEI

Scipione Maffei, già ricordato a proposito della trattati- stica letteraria e come autore di teatro, ha un posto ragguar- devole anche tra gli storici ed eruditi per una serie assai folta di studi e ricerche concernenti gli aspetti piu disparati della classicità, dalla paleografia alla numismatica alla critica storica propriamente detta. Nato a Verona nel 1675, dopo aver stu- diato presso i Gesuiti a Parma, partecipò come volontario alla guerra di successione spagnuola. Quindi si occupò di problemi culturali, cercando soprattutto di diffondere la conoscenza del teatro italiano e di illustrare la storia della sua città. Il suo capolavoro è appunto la Verona illustrata, concepita nel 1716 e portata a termine nel 1732, opera complessa, dedicata ai mcnumenti, alle vicende, agli scrittori veronesi, che nelle for- me del repertorio erudito e della guida archeologica accoglie i fermenti di uno spirito inquieto, innamorato della libertà e della verità, sensibile ai richiami progressistici della cultura europea. È possibile ritrovare nella Verona illustrata spunti che ricordano posizioni del Giannone o del Muratori, per quanto il Maffei si mantenga normalmente su di un piano au- tonomo e sappia rivendicare anche attraverso interventi pole- mici l'originalità delle proprie vedute. Anzi ciò per cui l'opera si distingue dalla contemporanea produzione antiquaria è ap- punto l'insofferenza dell'autore per le autorità e l'implicita tensione a un rinnovamento di metodi e principi storiografici.

A dibattiti religiosi si connette l'lstoria teologica delle dot- trine e delle opinioni corse nei primi cinque secoli della Chiesa in proposito della divina grazia, del libero arbitrio e della pre- destinazione (forse iniziata nel 1734, ma venuta alla luce nel

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Arcadia e Illuminìsnto 59

1752)' diretta a confutare alcune tesi giansenistiche, mentre il Consiglio politico (pubblicato postumo nel 1797) si pone in posizione critica di fronte al dispotismo illuminato e alla ragion di stato, additando come rimedio alla decadenza pubblica di Venezia un governo rappresentativo di tutte le forze economi.. che e civili, comprese quelle del retroterra cittadino e agricolo.

Dopo il trattato Dell'impiego del denaro (1744), in cui di- fendeva il prestito del denaro a giusto interesse, cosa ben di- versa dall'usura (gliene seguirono noie e accuse da parte delle autorità veneziane e dell'Inquisizione di stato), il Maffei tornò ancora alla sua diletta archeologia con il Museum Veronense (1749). Mori nel 1755.

Occorre infine annoverare tra le sue meritorie iniziative l'aver dato vita, assieme allo Zeno e ad Antonio Vallisnieri, al Giornale de' letterati d'Italia (1710), di cui scrisse l'impor- tante introduzione programmatica, e, con iniziativa personale, alle Osservazioni letterarie (1737), tra i primi e piu coraggiosi esempi di pubblicistica spregiudicata e moderna, aperta con uguale interesse a tutti i problemi della cultura.

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Capitolo quarto

L'epoca illuministica

GENESI, CARATTERE, MOTIVI DEL PENSIERO ILLUMINISTICO

La tendenza dello spirito umano a emanciparsi da ogni auto- rità esterna (specie di natura politico-religiosa) e dalla forza della tradizione comincia a manifestarsi già nel Seicento. La stessa metafora della luce, cui la parola illuminismo P si richiama. nasce forse in campo religioso ad opera dei deisti inglesi del XVII secolo, che, impegnati nella lotta contro il fanatismo dei puritani si proposero di razionalizzare i dogmi e secolarizzare il cristianesimo, trasferendo alla ragione quel potere illumi- nante che prima apparteneva alla rivelazione: per lontani in- flussi del Catechismo racoviano (1605), compilato dai fratelli Socini, essi si dichiararono contrari agli elementi sovrannaturali e misteriosi della dottrina rivelata, e considerarono religione e morale fatti meramente naturali, spiegabili senza il ricorso al Dio dei Vangeli. Di qui l'affermarsi di movimenti antiecclesia- stici, come quello dei libertini in Francia, e la predilezione di alcuni circoli culturali per un cristianesimo senza misteri, vi- cino a forme panteistiche e materialistiche.

Altre radici del moio illuministico sono da ricercare nel campo della scienza. I1 metodo di Galilej, basato sull'esperien- za, sull'analisi e la critica razionale, l'opera di Keplero e New. ton, le scoperte e gli studi di Fahrenheit, Réaumur, Celsius, Franklin, Buffon, Linneo, Spallanzani, Maupertuis, Lavoisier, mentre aumentavano il credito negli strumenti di ricerca po- sitiva, che nulla presupponevano all'osservazione diretta deila natura, incoraggiavano il trasferimento alla filosofia di principi rivelatisi tanto efficaci nella fisica, nella chimica, nell'astrono- mia, nella medicina.

Cosi al razionalismo di Cartesio e Leibniz, che non si di- partiva da un impianto metafisico e considerava la ragione co-

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Arcadia e Illuminismo 61

me il supremo organo deduttivo del sapere da idee innate e assolute impresse nella coscienza umana e indipendenti da ogni tipo di controllo, alla fiducia cioè di poter raggiungere me- diante la ragione l'essenza immutabile ed eterna delle cose, si sostituisce, nel corso del Settecento, un diverso modo di con- cepire l'attività filosofica e intendere il valore della ragione stes- sa, l'ufficio e il campo operativo ad essa riservati. La ragione viene ancora considerata il pih alto e perfetto mezzo di cono- scenza concesso all'uomo. ma le si riconosce validità solo nel- l'ambito del sensibile, di1 fenomenico: restano fuori del suo raggio d'azione il soprassensibile, la sostanza delle cose, la « cosa in sé ». Rifiutate le idee innate la ragione si dedica esclu- sivamente ai fatti D, ai dati >> sperimentabili e li sottopone a verifica continua e rigorosa. La ragione degl'illuministi si qualifica dunque come facoltà critica ( e critica prima di tutto nei confronti dei suoi poteri), che guida e.ordina l'esperienza, costruendo un sapere limitato, specie se lo si confronta con le sterminate misure della metafisica, e tuttavia tutto concreto e reale, l'unico in grado di liberare una volta per tutte l'uomo dai pregiudizi, dai miti, dalle false opinioni succedutesi e molti- plicatesi di secolo in secolo e di promuovere un rinnovamento radicale della società.

Su tale concezione, pih che il naturalismo rinascimentale (intensamente Dercorso da istanze metafisiche). influisce in mo- , ,

do determinanie l'empirismo antidogmatico di Locke e Hume, oltre che il materialismo e « matematismo D logico di Hobbes.

La fiducia nei « lumi della ragione, diffusasi in ogni parte d'Europa, attecchi in modo particolare in Francia, tanto che agli occhi di molti l'illuminismo si presenta come una corrente di pensiero 4rancece e fa quasi tutt'uno con la grande lezione divulgata dall'Encyclopédie ( 175 1-77) di Diderot , d'Holbach, Voltaire, d'Alembert, Turgot, Rousseau. Non è qui il caso di stabilire le affinità e le differenze fra l'illuminismo inglese e quello francese (rimasto pih legato allo « spirito del sistema » cartesiano) né d i passare in rassegna le principali tesi di que- st'ultimo. Ricorderemo appena, in campo religioso, l'ateismo ra- gionato di Pierre Bayle: il deismo di Voltaire e DideroL; in campo scientifico-filosofico, l'ironia sulla pretesa centralità del- l'uomo nell'universo (già sensibile in Fontenelle), direttamente collegata con gli esiti antidogmatici della rivoluzione coperni- cana, il disinteresse per il rapporto Dio-natura, per I'ontologia, per le cause finali, il processo critico alla magia, il materiali- smo deterministico di Lamettrie (L'homme machine, 1748),

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Helvétius (De l'esprit, 1758), d'Holbach (Système de la nature, 1770 ), e in direzione divergente, l'esitazione antiradicalis tic^ (ogni radicalizzazione pretendendo ancorature metafisiche) di Condillac, d'Alembert, Voltaire, Montesquieu, Rousseau, cosi spesso finitima al <( non sappiamo P; per quanto riguarda l'in- terpretazione dell'uomo, il progetto di ricondurre la vita psi- cologica, come quella fisiologica, a leggi di comportamento scrutate e fissate con metodo matematico, il conseguente con- flitto fra una diffusa esigenza di libertà e lo scacco fatalistico (donde gli umori bizzarri e ironici che irrorano il dialogo di Giacomo e del suo Padrone in Jacques le fataliste di Diderot), conflitto nobilmente composto dal Montesquieu in una supe- riore visione di legalità civile armonizzata con la legalità della natura; in ambito politico, il superamento della teoria hobbe- siana dello stato assoluto attraverso la dottrina della divisione dei poteri, intuita da Locke e sviluppata da Montesquieu, che adduce al ~ r i n c i ~ i o rousseauiano del Datto sociale. assentimento collettivo hegl'iLdividui a una voloAà generale che difende e protegge con la forza di tutti la persona e i beni di ogni asso- ciato, obbedendo alla quale volontà ognuno obbedisce tutta- via soltanto a sé stesso e rimane libero ( è il concetto del po- polo sovrano che precede il pactum subiectionis all'autorità, sempre revocabile).

Interessano di piu il nostro discorso i nuovi orientamenti dell'estetica, in parte dipendenti dall'empirismo lockiano e dal sensismo condillachiano (con suggestioni parallele del sen- sismo inglese di Shaftesbury e Burke), nonché dal progresso della scienza~~gnoseologica e linguistica (linguaggio come orga- nizzazione delle sensazioni in segni significanti e quindi come fondazione del sapere stesso), in parte autonomamente deter- minatisi in seguito al lievitare ditipici motivi secenteschi - quali il genio, il gusto, l'immaginazione, la fantasia, l'imme- diatezza espressiva - tornati in discussione, tra l'altro, per ef- fetto della polemica condotta dagli svizzeri Johann Jakob Bod- mer ( 1698-1783) e Johann Jakob Breitinger ( 1701-17761, aperti al richiamo del sentimento soggettivo, contro il tedesco Tohann Christo~h Gottsched (1700-1766). tenace sostenitore del razionalismi, delle regole, del verosimile, dell'ordine, sulle orme di Boileau. In questa sfera d'interesse per le cose del- l'arte non è senza significato che a metà del secolo si collochi la sistemazione teorica di Alexander Gottlieb Baumgarten. ( 17 14-1762) che, modificando alcune intuizioni di Leibniz, e in modi affini a quelli di Vico, pose l'arte entro la sfera dell'atti-

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vità conoscitiva, ma al grado aurorale (<< perfectio cognitionis sensitivae qua talis D), aprendo la via a note forme di filosofia del bello.

Moto complesso, dunque, l'illuminismo, destinato a rinno- vare profondamente l'Europa, ma anche a suscitare polemi- che e contrasti, a livello teorico, sulla sua essenza e sul suo significato, specie per ciò che concerne gli effetti a lunga scadenza.

Tra le questioni piu discusse (occorre, è chiaro, operare una scelta) si distingue quella del cosiddetto antistoricismo illumi- nistico. In verità i pensatori illuminati non usarono questo termine e non condannarono il passato in quanto tale: si di- chiararono antitradizionalisti, cioè respinsero, magari corroden- do il principio della provvidenzialità della storia, la consuetudine di accettare e perpetuare indiscriminatamente, per pigrizia men- tale e scarsa ca~acità critica. le formule e gli usi di ieri. Con maggiore esattezza si dovrebbe riconoscere agl'illuministi il merito d'aver ammodernato la storioerafia. informandola a un " criterio di ricerca aperto e vigile sulla realtà degli eventi, privo di prevenzioni e schematismi (si veda l'antitesi tra il Discours sur l'histoire universelle di Bossuet [l6811 e 1'Essai sur les moeurs des nations di Voltaire [1756-751).

L'antistoricità dell'illuminismo è stata anche interpretata come negazione dell'idea di progresso. Una ragione astratta, e sempre uguale a sé stessa, che considera la natura sotto l'aspet- to d'un meccanismo ripetitorio, senza sviluppo, e ignora sia le cause che i fini dell'universo e dell'uomo. è amarsa a una

. L

parte della critica come poco abilitata a intendere il divenire delle cose in una chiave veramente << storica D. Rilievo inesatto. almeno sul piano degli effettivi programmi e delle concrete proposte: l'inquietudine degli illuministi, fomentata dal disac- cordo tra i risultati ottenuti e le mete da raggiungere, sta a testimoniare la tensione storica del loro impegno. D'altra parte i nuovi pensatori non esitarono a proiettare indietro, fino alle epoche remote, la lotta della ragione contro le forze oscure dello spirito., I1 concetto di uno sviluppo dell'umanità dalle tenebre alla luce, in questo senso, è alla base dell'illuminismo, Semmai si potrà discutere se tale sviluppo, dal punto di vista illuministico, debba vedersi come proteso << ad infinitum D op- pure come destinato a fermarsi all'avvento pieno del regno della ragione.

Piu di recente. alla visione d'un illuminismo affrancatore degli uomini e scuola di libertà è stato contrapposto il quadro

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64 La letteratura italiana

d'un illuminismo fanatico (di un fanatismo laico aveva già par- lato il Croce), strumento ideologico repressivo della classe borghese, usato allo scopo di creare una società di massa, in- differente ai diritti dell'individuo, politicamente opaca, <( razio- nalizzata » e progredita », ma ad esclusivo beneficio di pic- coli gruppi capitalistici e industriali. Questa prospettiva ri- sponde però piu all'intento di giudicare l'età contemporanea che non a quello.di definire il proprio del pensiero illumini- stico nel suo contesto culturale, cronologico e geografico, e pertanto ottiene qui solo un cenno.

Comunque si voglia valutare l'illuminismo, è bene tuttavia non dimenticare che nella sua traiettoria storica esso mise in mostra tale variabilità d i momenti da compensare gli estremi- smi e da mantenere nel complesso una posizione assai meno esasperata, assai meno sbilanciata in eccessi di quanto non so- stenessero i romantici e non sostengano ancora oggi certi mo- derni critici.

La civiltà illuministica volle avere, come è noto, carattere cosmopolitico e soprannazionale. Ma lo scnipolo con cui intese evitare ogni astrattezza ne conformò poi i principi alle varie situazioni locali. Ecco perché è lecito parlare di un illuminismo italiano, rilevato sul comune programma di fondo per proprie tesi e modalità di esplicazione, e dotato d i particolare fisiono- mia riformistica. Del resto, anche da un punto di vista storico, l'illuminismo poteva trovare nel nostro paese piu di un pre- cedente. Certo, il centro vivo del movimento era altrove, ma il Settecento italiano seppe fruttuosamente inserirsi nell'Eu- ropa dei lumi, sotto la spinta, o ancor meglio, per il proce- dere d'una evoluzione culturale in atto da parecchi decenni: si pensi all'intreccio di temi arditi e antitradizionalistici per- correnti il pensiero meridionale sin dall'ultimo scorcio del se- colo XVII, all'opera anticurialistica del Giannone e del Radi- cati, ai coraggiosi disegni dello stesso Muratori, alle attese sempre piu ansiose di un novus ordo » diffuse anche a livelli medi. Va da sé che le mutate condizioni dell'Euro~a e i con- tatti con la società letteraria transalpina cooperarono ad acce- lerare il moto del pensiero, ad arricchirlo di nuovi motivi e per cosi dire a a specializzarlo » in una precisa angolatura ideologica.

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Uno dei problemi storiografici che maggiormente trava- gliaiio il concetto stesso dell'illuminismo italiano riguarda ap- punto il rapporto della nuova età con la precedente. S'è appe- na detto che non è possibile negare un generico collegamento del pensiero illuminato con la maturazione culturale iniziatasi negli ultimi decenni del Seicento e proseguita, per quanto tal- volta in forme dissimulate e sotterranee, durante il periodo arcadico. Sotto questo profilo sembrerebbe lecito accordare con- senso alla tesi della continuità Arcadia-illuminismo, che vanta autorevoli sostenitori. Ma, se non altro, la connotazione empi- ristico-sensistica del razionalismo tardoarcadico, o, se si prefe- risce, tardosettecentesco, crea un indubbio stacco tra le due età, segna una diversione di rotta nei metodi e nei fini del pro- gramma innovatore, al quale si aggiunge, e dev'essere messa in evidenza, una piu complessa componente politico-sociale già intuita dal De Sanctis e ben scandagliata dai moderni studiosi.

I1 fatto che specificamente caratterizza la letteratura del Settecento illuministico è proprio il suo deciso attracco ai pro- blemi e alla realtà della vita. I1 letterato nuovo, dimesse le vesti del cortigiano », esce dalle accademie (o ne fonda altre anticonformistiche e imbevute d i << filosofia »), si avvicina alla società, ne scruta il volto, ne ascolta la voce, ne previene ne accompagna ne aiuta le rivendicazioni, ne interpreta le richie- ste, si batte per una ragionevole distribuzione dei beni e dei poteri, guarda all'utile trasportandolo dal vago moralismo 'clas- sicheggiante al terreno delle concrete proposte giuridiche, eco- nomiche, sociali, cerca un pubblico diverso da quello delle ri- strette cerchie intellettuali, inventa veicoli piu diretti e spic- cioli di comunicazione e diffusione culturale, tende a un'aper- tura europea del proprio spirito, allarga il numero degli

auctores D, acquista una mentalità da << philosophe », s'inse- risce con impeto nei dibattiti e nelle polemiche, sente di pos- sedere un strumento vivo di educazione e di progresso - la parola scritta - e s'ingegna d'usarlo con efficacia, disimpac- ciandolo dalle zavorre della retorica e dalle leccature accade- miche.

Naturalmente questo letterato, tanto al Nord quanto al Sud, è un borghese, come vedremo meglio tra poco; un bor- ghese che si rivolge ad altri borghesi.

Gli storici fanno notare come le parole << democrazia » e << democratico siano rare nel Settecento. Nei novatori non c'è in effetti la volontà di mutare la struttura del corpo sociale, di sovvertire l'ordinamento delle classi. Quando essi dicono

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C popolo n, intendono generalmente una fascia dilatata, ma non l'intero corpo della società. Tuttavia l'esclusione di alcune frange marginali dai destinatari del messaggio illuministico av- viene per ragioni piu etiche che strettamente classistiche: « Qui » dice Pietro Verri nel Caffè <C non si parla né ai sublimi, né ai stupidi e zotici uomini, ma a .quella parte del genere umano che, trovandosi fra questi estremi, oscilla perpetua- mente o verso l'uno o verso l'altro D . E a questo proposito bisogna riconoscere che l'apertura al bene pubblico dei nostri . letterati fu senza dubbio sincera e senza secondi fini, forse ancora piu disinteressata e generosa che nella stessa Francia dell'Encyclopédie.

Se l'impegno etico-politico, l'interesse per l'utile sociale, la destinazione dei prodotti letterari a piu larghi ceti, segnano - energicamente la fisionomia del periodo illuministico, distin- guendola da quella arcadica, altri elementi entrano ad arric- chire e complicare la cultura del secondo Settecento italiano, generando difficili e mobili rapporti tra forze non sempre omo- genee all'interno di quel moto di pensiero.

In primo luogo il classicismo, che si mescola alle voci nuove dei riformatori e sembra rispondere formalmente alla lucidità razionale, rigenerandosi al paragone di analoghi mo- tivi arcadici e irrobustendosi di nuova forza ideologica, ma sotto certi aspetti continuando e canonizzando ancor piii rigi- damente le convenzioni retoriche, in opposizione alla raziona- lità dell'illuminismo, che sapeva accettare l'idea di natura e di entusiasmo e in tal chiave interpretare i grandi testi greco- latini; poi il neoclassicismo, influenzato dalle scoperte archeo- logiche ercolanensi e pompeiane e dalle conseguenti esperien- ze artistiche, e facente capo a un gusto particolare, con vena- ture di nostalgia ed esotismo e tendenza alla figuratività lette- raria, a un senso eroico e saggio della vita, alla religione della bellezza armoniosa dei greci, gusto comunque non immune da infiltrazioni sentimentali e idilliche, residui di estetismo o ro- cocò e motivi di grazia morbida; e ancora il già toccato sensi- smo col suo forte riflesso letterario e la sua ricerca di specifici effetti espressivo-linguistici; infine il preromanticismo di ascen- denza younghiana, sepolcrale, notturna, sommosso da una spi- ritualità già centrifuga rispetto alle forme piu estese di intel- lettualismo settecentesco e attratto dal pittoresco, dai paesaggi orridi o disseminati di rovine, solitari e cupi, da stati d'animo sognanti e malinconici, da atmosfere misteriose e suggestive.

In questo intreccio di direttive pratiche, spinte sentimen-

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tali, tracciati ideologici, inclinazioni di gusto, e sullo sfondo delle grandi trasformazioni che si andavano attuando nella politica e nella vita sociale, va posta la nostra letteratura del- l'illuminismo, anch'essa, per la sua parte, densa di problemi nella coscienza critica degli studiosi e in cerca di una definitiva sistemazione.

Illuminismo lombardo

In Italia, dopo la pace di Aquisgrana, le forze politiche dominanti, cioè gli Asburgo in Lombardia e indirettamente a Firenze (in seguito a Modena), i Borboni a Parma, Piacenza e Napoli, si rifecero in genere alle idee illuministiche e in parte le promossero sotto la sigla del dispotismo illuminato.

La nota saliente dell'illuminismo lombardo riguarda appun- to la sua funzionalità politica. In Lomb~rdia il pensiero illu- minato », almeno per un certo periodo, si presenta buon alleato del riformismo di Maria Teresa (1740-80) e Giuseppe I1 (1780- 1790), ad esso prestando i propri schemi e le proprie giusti- ficazioni ideologiche. L'elemento catalizzatore della situazione politica e culturale lombarda fu la forte classe alto-borghese venutasi a formare in seguito alla trasformazione di vecchi fondi nobiliari in aziende agrarie di tipo capitalistico. Ciò da un lato permise ai proprietari ,di recuperare una certa scorta di beni mobili e dall'altro favori l'agricoltura con nuove ini- ziative e nuovi investimenti, mentre a sua volta la campagna forniva materie prime alla produzione industriale. Questa nuo- va borghesia di origine feudale, ina di esito imprenditoriale agricolo (dalla quale uscirono i piu noti illuministi lombardi), trapiantatasi in genere in città, trovò conveniente lo svecchia- mento delle strutture economiche e il miglioramento dei si- stemi di mercato nell'ambito di un solido assestamento di tutta la vita pubblica e civile, e venne ad essere naturalmente coin- teressata ai programmi innovatori della sovrana austriaca, dal censimento generale, alla riduzione delle regalie, alla limita- zione dei fedecommessi e dei privilegi ecclesiastici (manomorta, diritto d'asilo, censura, tribunali non laici, inquisizione), alla perequazione dei tributi. Una confluenza di motivi che mette sotto giusta luce la satira nobiliare del Parini e spiega il suc- cesso del Giorno negli ambienti di un'aristocrazia che si sentiva soltanto marginalmente toccata dalla coraggiosa denuncia del- l'abate brianzolo e ne sposava anzi alcune delle tesi piu ardite.

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68 La letteratura italiana

Solo verso la fine del tumultuoso e autoritario regno di Giu- seppe I1 la collaborazione fra illuministi e corte di Vienna si ridusse sensibilmente, sino a cessare del tutto alle soglie del nuovo secolo. Era certo l'effetto di un sostanziale disaccordo (sul piano dei principi e delle motivazioni pi6 profonde, sul piano, meglio, di una coerenza culturale che si divaricava dalle convenienze economiche e politiche) fra il messaggio dei

philosophes u milanesi e la volontà dei dominatori. Comun- que per quasi tre decenni, non bisogna dimenticarlo, a Milano ebbe luogo un incontro felice e fruttuoso tra le proposte dei riformatori (spesso alti funzionari dello stato) e la burocrazia amministrativa al potere, incontro che non tolse mai alla a l - tura lombarda la sua autonomia. Non sembra casuale quindi che proprio tale cultura sia stata storicamente destinata a rap- presentare il punto di giunzione fra l'età dei lumi e I'imminen- te civiltà preromantica e romantica, in una continuità di equili- brio e saggezza che ha in Parini e Manzoni le stazioni ideali di partenza e d'arrivo.

I1 rappresentante pi6 vivace dell'illuminismo lombardo è senza dubbio Pietro Verri. Figlio del giurista Gabriele, espo- nente dell'alta burocrazia governativa, Pietro (Milano 1728- 1797) studiò presso gli Scolopi del romano Collegio Nazareno e poi presso i Gesuiti a Parma. Cominciò a interessarsi di lette- ratura frequentando l'Accademia dei Trasformati, nata nel 1753 con un programma moderato, ma culturalmente valido e mo- derno, per iniziativa d'un gruppo d'intellettuali fra cui spiccava la figura di Giuseppe Maria Imbonati. Spirito irrequieto e amante dell'azione, segui il Kaunitz a Vienna durante la guerra dei Sette Anni come ufficiale dello Stato Maggiore, e vi com- pose gli Elementi del Conmercto (1760), dove sosteneva I'op- portunità di favorire la bilancia commerciale scambiando le manifatture locali con i prodotti d'importazione. Tornato a Mi- lano, dopo un periodo di studi febbrili dette vita, col Beccaria e altri amici, all'hccademia dei Pugni (1761-66), un'accademia per cosi dire antiaccademica, senza statuti e programmi precisi, centro di libere discussioni e coraggiose iniziative, anche essa di carattere intellettualmente aristocratico e pure ferma nel- l'impegno antipatriziesco, nella lotta contro l'immobilismo, le arretratezze sociali, il faticoso ozio dei grandi. Attingendo alle idee del Genovesi e di Pompeo Neri aveva intanto scritto le Considerazioni sul commercio dello Stato di Milano (176L63), che superavano le posizioni degli Elementi verso una maggiore liberalizzazione del commercio e della vita economica; quindi si

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era dedicato alle Meditazioni sulla felicità (1763), d'impianto chiaramente illuministico, ma con qualche accento di pessimi- smo, e in virtti della nomina a membro di una giunta incaricata di rinnovare l'istituto delle Ferme, società cui il governo aedava l'appalto per la riscossione delle imposte indirette, aveva reso di pubblico dominio il bilancio economico della Lombardia re- lativo all'anno 1762, mettendo in evidenza la situazione defi- citaria delle finanze pubbliche e sollecitando l'attuazione di urgenti riforme.

Dal 1764 al 1766 il Verri fu totalmente impegnato nella redazione del Caffè, la rivista da lui fondata e diretta, con la collaborazione del fratello Alessandro, del Beccaria, del Biffi, del Franci, del Longo, del Secchi e di r i ~ r i soci dei Pugni. I1 Caffè volle soprattutto sostenere e diffondere lo spirito di ri- forma, affrontando i problemi piii disparati (di morale, diritto, filosofia, letteratura eccetera) in un campo di riferimenti euro- pei, al di là d i ogni gretlo municipalismo. Dalle sue pagine non si sollevava una voce di protesta rivoluzionaria, ma l'in- vito alle buone leggi, alla sana amministrazione della vita pubblica, al progresso, all'incremento del benessere popolare mediante una piii equa distribuzione dei beni, all'attivazione dell'agricoltura col soccorso dei moderni ritrovati scientifici, al commercio (dichiarato non incompatibile con la nobiltà), a un'arte utile e indipendente da autorità non riconosciute dalla ragione, che avesse carattere antipedantesco e fosse dotata di presa sul pubblico.

I1 Caffè fu il capolavoro di Pietro Verri; ma la sua attività non si arrestò alle pagine della rivista. Mentre progrediva nel- la carriera amministrativa, sino a divenire Consigliere intimo di stato, andava componendo le Memorie storiche sulla Econo- mia pubblica dello Stato di Milano (1768), il trattato Delle leggi vincolanti principalmente il commercio dei grani '(1769), le Osservazioni sulla tortura (1769), le Meditazioni sull'eco- nornia politica (1771), il Discorso sull'indole del piacere e del dolore (1773), sulla linea di un'adesione sempre piu profonda ai postul~ti illuministici di libertà economica e politica, nono- stante qualche perplessità di fronte ai sistemi democratici; scri- veva nelle Meditazioni sull'economia politica:

Quando si tratta di decidere i casi particolari a norma delle leggi già pubblicate, la diversità delle opinioni umane rende appunto difficile l'ingiustizia, perché l'una contempera l'altra; ma quando si tratta d'agire, e di un'azione pronta, spedita, e sempre uniforme

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70 La letteratura italiana

ad un fine, io non credo potersi ciò far dipendere dalla pluralità dei voti.

Sparito dalla scena politica Giuseppe 11, il Verri ebbe co- me il presentimento di non lontani rivolgimenti politici. Quan- do si annunciò la rivoluzione francese, ad essa concesse il pro- prio appoggio ideologico, localizzandovi il tramite storico dalla tirannia alla libertà. I1 suo credo nell'azione, nella scossa grande indispensabile per guarire i mali del mondo, vide in quell'awenimento l'occasione concreta perché l'idea si tradu- cesse nella realtà. I1 vecchio combattente per il progresso e il rinnovamento della sua Lombardia trovò naturale entrare a far parte della Municipalità repubblicana e contemporaneamente, nella Storia dell'invasione dei francesi e repubblicani nel Mila- nese nel 1796, scritta quasi sull'orlo della morte, ~ibadire an- cora una volta i canoni del suo generoso machiavellismo.

Delle sue idee linguistiche ed estetiche e degli aspetti let- terari del Caffè diremo piu avanti; ma qui occorrerà far men- zione dell'epistolario, strumento prezioso d'informazione, non solo per quanto riguarda il pensiero verriano, ché tutta la sto- ria lombarda (milanese in particolare) ed europea di fine secolo ne viene illuminata.

Diversa la parabola artistica di Alessandro Verri (Milano 1741 - Roma 1816), che si evolve verso forme di sensibilità sempre piu chiaramente preromantiche, anche se assorbite in un linguaggio a tinte classicheggianti.

I1 fratello di Pietro esordisce sulle pagine del Caffè , discu- tendo con brio e spregiudicatezza tutta illuministica di diritto, morale, economia, filosofia, letteratura. Ma fin da allora non riesce a celare qualche diffidenza verso i poteri della ragione, diffidenza cui corrisponde, in direzione opposta, una non dis- simulata simpatia per gli entusiasmi e le accensioni sentimen- tali.

Il viaggio a Parigi, compiuto col Brccaria, la visita a Lon- dra, il successivo lungo soggiorno nella Roma ricca di monu- menti antichi, segnano l'accentuarsi del suo atteggiamento conservatore, insieme al consolidarsi di sottili spiriti sensistici.

Alle traduzioni dell'tlmleto e dell'Otello shakespeariani (che non restarono senza influenza sul suo gusto di scrittore) è alia composizione di due tragedie, la ~ a n t & e la Congiura d j Milano (1777), Alessandro fa seguire con le Avventure di Saffo poetessa d i Mitilene (1782) il primo notevole documento d'una maniera nuova, confermata da Le notti romane al sepolcro de-

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72 La letteratura italiand

sbrogliarne l'intrico in funzione di concrete proposte e decisi programmi; pju evidente è in lui la cura dello stile.

Ai due Verri è obbligatorio accostare Cesare Beccaria (Mi- lano 1738-1794), l'amico scontroso e pigro che per gli stimoli di Pietro si decise a comporre la prima sua opera Del disor- dine e de' rimedi delle monete nello Stato di Milano nel 1762 e poi anche il trattato Dei delitti e delle pene (1764), desti- nato a divenire celebre in tutto il mondo. Quando vi pose mang il Beccaria aveva all'attivo un complesso già notevole di letture su testi illuministici francesi e inglesi, condotte tut- tavia con mente disinteressata, senza un preciso piano o im- pegno di lavoro. Nonostante questa matrice culturale, nel trat- tato domina ilno spirito affatto originale, che non va tanto cercato nel rigore delle argomentazioni quanto nell'ardore che accende e regola dal di dentro la dottrina, in quello che chia- mererno il <( senso dell'uomo », dell'uomo in quanto valore morale, in quanto persona autonoma, intangibile, anche nel momento della colpa, dalla guerra o violenza vendicativa della società. Naturalmente lo scrittore si mupve entro il circolo delle idee illuministiche, ma nutre le vedute le gl'interessi della

filosofia », con una partecipazione e un calore (riflessi sul piano stilistico) ben piu vivi che non quelli piuttosto astratti del filantropismo di moda.

I1 pensiero del Beccaria, quale si manifesta nell'opera mag- giore, muove dalla tripartizione del potere in organi legisla- tivi, giudiziari ed esecutivi. Al giudice spetta di applicare la legge alla lettera, non di discuterla o interpretarla:

Non v'è cosa piu pericolosa di quell'assioma comune che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al tor- rente delle opinioni [...l Un disordine che nasce dalla rigorosa os- servanza della lettera di una legge penale non è da mettersi in con- fronto coi disordini che nascono dalla interpretazione.

La legge sia giusta - limitata alla necessità di conservare il deposito della salute pubblica, in un contesto strettamente contrattualistico -, chiara, per evitare ambiguità ed essere comprensibile a tutti, non affidata alla tradizione e dunque scritta, e portata alla conoscenza del popolo. L'accusato non venga dichiarato reo finché l'accusa non sia provata in modo inequivocabile e per pubbliche testimonianze. Non si dia se- guito a denunzie anonime e segrete. L'interrogatorio dell'im- putato si svolga senza tranelli e senza violenze, soprattutto senza l'ausilio dellii tortura, barbarie contrastante con ogni

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Arcadia e Illuminismo 7 3

principio del diritto, scarsamente utile all'acquisizione della verità. atta semmai a favorire ~ i i i il reo (che ha tutto da eua- ., dagnare se tace) che l'innocente (indotto spesso a confessare c o l ~ e che non ha. Der debolezza). La Dena di morte. non ne- , L

cessaria e quindi ingiusta, ripugnante alla coscieriza giuridica e comune, sia sostituita con i lavori forzati a vita, i quali, con la lunga prospettiva di cattività, frenano gl'impulsi del mal- vagio e permettono al colpevole di ricompensare con le sue fatiche la società da lui offesa. Poiché chi si trova nel bisogno, chi soffre delle sperequazioni sociali, chi è oppresso dalla mise- ria, illuso dal miraggio di recuperare un felice stato di natura può pure lasciarsi andare a un atto disperato e feroce, nono- stante la minaccia della forca o della ruota. mentre ~robabil- mente si spaventerebbe e abbandonerebbe i suoi propositi per- correndo e ingigantendo nella propria immaginazione il lungo soffrire d'una vita intera priva di libertà.

Ancora il rispetto per gli elementari diritti dell'uomo sug- gerisce altri punti importanti del libro, come quello che la pena venga commisurata al delitto ( e non all'intenzione delit- tuosa), che sia pronta e vicina ad esso, che sia applicata senza eccezioni o riguardi d i sorta, nella supposizione di un'assoluta eguaglianza di tutti di fronte alla legge.

I1 traguardo finale del Beccaria non vuole però essere la punizione del reato bensi la sua prevenzione, col soccorso dei nuovi lumi:

Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la li- bertà. I mali che nascono dalla cognizione sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta.

Nel torno di tempo in cui attendeva all'opera principale il Beccaria pubblicò sette articoli sul Caffè, tra i quali il Fram- mento sulla natura dello stile, anticipazione delle piu tarde Ricerche intorno alla natura dello stile. Un viaggio a Parigi in compagnia di Alessandro Verri gli consenti di conoscere e frequentare i maggiori « philosophes » viventi, d'Alembert, Condorcet, Diderot, d'Holbach, Morellet, ma alimentando il suo orgoglio affrettò la rottura con Alessandro stesso e poi con Pietro. Tornato a Milano, compose le Ricerche, di cui tratte- remo a parte, e ottenne dalla corte viennese la cattedra di scienze camerali, ossia di economia politica, appositamente creata per lui presso le Scuole Palatine. Frutto dell'insegna- mento furono gli Elementi di economia pubblica (editi postu- mi nel 1804). Membro del Supremo Consiglio di economia

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74 La letteratura italiana

( 177 1 ), Consigliere del Magistrato camerale ( 1778), Consi- gliere provinciale per la Zecca, Presidente del terzo diparti- mento del Consiglio governativo (1785), membro della Giunta per la correzione del sistema giudiziario (1790), per lunghi anni il Beccaria pose la sua illuminata cultura al servizio della. comunità; ma la routine » del burocrate e l'attenuarsi di quel- l'audacia di idee che lo aveva assistito nella stesura del geniale libretto sui delitti e sulle pene ne frenarono lo slancio produt- tivo, anche se non ne limitarono in modo rimarchevole il ca- parbio ritmo di lavoro.

Pochissimo spazio potremo qui dedicare agli altri illumi- nisti lombardi o che operarono in Lombardia, da Gian Rinaldo Carli (Capodistria 1720 - Cusano 1795), cultore di scienze astro- nomiche e nautiche, Presidente del supremo Consiglio di eco- nomia dello Stato di Milano (1765), riordinatore del sistema monetario e fiscale, autore di moltissimi scritti, tra i quali il trattato Delle monete e delle zecche d'Italia (1751-60), L'uomo libero (1776-78), le Antichità italiche (1788-90) e, particolar- mente, quell'articolo del Caffè , Della patria degli Italiani, che investiva criticamente un certo genio mistico » della gente italica, cosi frequentemente disposta a municipalismi e invidie di parte propizianti divisioni e incomprensioni recipro- che; ad Alfonso Longo (Pescate 1738 - Milano 1804), giurista ed economista d'indirizzo fisiocratico, successore del Beccaria nella cattedra delle Scuole Palatine, funzionario della Censura austriaca prima, e poi esponente della Repubblica cisalpina, autore delle Osservazioni su i fedecommessi (apparse sul Caf fè ) e delle Istituzioni economico-politiche (1773); a Paolo Frisi (Melegnano 1728 - Milano 1784), matematico e fisico, insegnan- te alle Scuole Palatine, spirito cosmopolitico e fau.tore del rifor- mismo (Ragionamento sopra la podestà temporale de' principi e l'autorità spirituale della Chiesa, composto nel 1768, ine- dito; Elogio del Galileo, 1775; Elogio del cavaliere Isacco Newton, 1778; Elogio del signor d'Alembert, pubblicato po- stumo nel 1786); a Giambattista Biffi (Cremona 1736-1807), Giuseppe Gorani (Milano 1740 - Ginevra 18 19), Carlantonio Pilati (Tassullo 1733 - Trento 1802).

Illuminismo piemontc,se, z~eneziano, toscano

I n Piemonte il moto riformatore, molto piu lento, riguar- dò quasi esclusivamente, dopo qualche audace mossa di Vit- torio Amedeo I1 (1684-1730), il rafforzamento dell'apparato

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!S .aluor.ua!d 11 aJe!3sel allahop a 'zuo?znlon?~ app ossa33ns 11 odop elnua11o '~~!snah!und~~e an8u!l a aue!le~! ezuanb -ala !p a~palla3 allap ol!nl!lsap n3 'olladsos a osyhu! $3 'au!u -aa l! '01~1s ollap !uyuos !ap ponj poq pdo~d a.ra3yqqnd 1aj ahalod asaluowa!d ol!ppns unssau !n3 opuo3as ou~aho8 làp auo!z!sods!p aun a opuauahha1~u03 '((081 lau 010s au!r.u -la1 a a1a1lod nj adu~als al aw ~LLL~) auosrad ~ll~p 08a?du?,l -laa OIE~IEJ~ l! oupualog alonpa un s olapgja laha la6

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7c La letteratura italiana

rico I1 e dove scrisse altre opere (Lettere brandeburghesi, 1785-86; Essai sur la uie et le règne de Frédéric 11, 1788; Consrdérations d'un Italien sur llltalie, 1794), che poco ag- giungono al suo ritratto d'i storico e letterato.

Una forte vena illuministica percorre il pensiero di Giam- battista Vasco (Torino 1733 - Milano 1796), sia che egli so- stenga l'opportunità di concedere ai contadini la proprietà del- la terra su cui lavorano (La felicità pubblica considerata nei coltiuatori di terre proprie, 1769), sia che tratti problemi piu specificamente economici (Della moneta - Saggio politico, 1772) o si batta contro la piaga della mendicità <( par goiìt >> (Mé- moire sur les causes de la mendicité et sur les moyens de la supprimer, 1790). Del resto il fratello maggiore di Giambatti- sta, Dalmazzo Francesco Vasco (Pinerolo 1732 - Ivrea 1794), aveva già dato l'esempio d'una coraggiosa adesione ai lumi - culminata nell'appoggio al movimento indipendentistico di Pa- squale Paoli - che gli era costata anni di persecuzioni, esilio, carcere.

Nonostante l'immodificata struttura oligarchica del governo, Venezia non rimase del tutto impermeabile al fermento inno- vatore. Provvedimenti utili vennero presi, specie in campo eco- nomico, e all'economia si rivolgono gli studi di Giammaria Ortes (Venezia 1713-1790), fra i quali segnaliamo le Lettere sull'economia nazionale (in parte inedite) e le postume RifEes- sioni sulla popolazione delle nazioni per rapporto all'economia nazionale (1790); alle tecniche agricole e all'incremento delle arti e mestieri si dedica invece Francesco Griselini (Venezia 1717 -Milano 1787) con abile penna di giornalista curioso e infaticabile. Ma altri tentativi di riforma (Angelo Querini, Gior- gio Pisani) furono repressi.

Le idee illuministiche ebbero notevole diffusione anche in Toscana, soprattutto per opera del granduca Pietro Leopoldo (1765-1790), riformatore dell'amministrazione pubblica e del- l'economia (instaurazione della libertà di commercio con par- ticolare ' riferimento ai prodotti agricoli, abolizione delle cor- porazioni, perequazione fiscale, unificazione dei tributi, riordi- namento della proprietà terriera, limitazione dei beni immo- bili manducali ed ecclesiastici. bonifiche. lotta ai fedecommessi e al& manomorta). primeggia fra i collaboratori di Leopoldo in questo impegno di ammodernamento e progresso civile l'eco- nomista Pompeo Neri (Firenze 1706-1776.), che già per inca- rico di Maria Teresa si era occupato del catasto in Lom- bardia (tra le sue opere la Memoria sopra la materia frumen-

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Arcadia e Illuminismo 77

taria, 1766). Accanto a lui sono da porre Francesco Maria Gianni (Firenze 1728 -Genova 1801). a cui si devono le Me- morie sulla costituzione di governo immaginata dal granduca Pietro Leopoldo (1805; ma pubblicate nel 1825) e la Medita- zione sul dispotismo (1804, in parte inedita), e Giovanni Fab- broni (Firenze 1752-1822), ancor piu del Gianni proiettato verso il secolo nuovo, ma che anche ai problemi settecente- schi dette largo spazio nelle sue opere, come nelle Réfiexions sur I'état actuel de l'agricolture (1780) e nel Discorso intorno ai mezzi d'incoraggiamento del matrimonio ( 1788).

Illuminismo napoletano

A dispetto dei fervori ideologici e culturali ancora parzial- mente vivi, il regno di Napoli a metà del Settecento e nei decenni successivi dimorava in una situazione economica e sociale notevolmente piu arretrata rispetto a quella delle re- gioni settentrionali. Le deficienze tradizionali (agricoltura in genere di tipo estensivo e poco curata, spopolamento delle campagne e superpopolamento della capitale con conseguente creazione d'una burocrazia parassitaria e di una classe cittadi- na in gran parte poverissima e costretta a vivere di espedienti, sopravvivenza di una feudalità alleata col dominatore sebbene sprovvista di effettivo potere politico, improduttività dei vasti beni ecclesiastici, mancanza di industrie e scarsezza di traf- fici) non vennero eliminate dall'azione riformatrice dei sovrani, anche perché la borghesia napoletana non possedette la carica mediatrice e operativa che aveva contraddistinto quella lom- barda. I1 riformismo meridionale coincise in genere con l'anti- curialismo, sia sotto il regno di Carlo di Borbone ( 1734-1759) sia sotto auello di Ferdinando IV. almeno fino al 1792. e tro- vò il suo abilissimo esecutore nel ministro Tanucci. Tuttavia le iniziative Drese contro l'immunità dei beni ecclesiastici. il diritto d'asili, la manomorta, i diritti feudali dei baroni, L le misure finanziarie volte a risollevare l'erario pubblico modifi- carono scarsamente le condizioni del regno, e nemmeno la col- laborazione con gl'illuministi, attuata solo per breve tempo, specie grazie al Tanucci, a Maria Carolina e a lord Acton, poté frenare la parabola politica discendente degli ultimi anni del secolo, che si risolse nei tristi fatti del 1799.

E pure, al livello speculativo e delle iniziative iridividuali, l'illuminismo napoletano non ebbe minor forza vitale e minor impeto polemico di quello lombardo o toscano.

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78 La letteratura italiana

Ne sia testimonianza, prima d'ogni altra, l'opera di Anto- nio Genovesi (1713-1769). Nato a Castiglione presso Salerno da uno <( scarparo e presto avviato agli studi di letteratura, retorica e filosofia, ordinato quindi prete (1737) e dopo qual- che anno chiamato alla cattedra di metafisica nell'univesità di Napoli (1741) e a quella di etica (1745), il giovane studioso nella prima parte della sua attività attese a ricerche sulla me- tafisica e sulla logica, pur non trascurando questioni di fisica e di scienze naturali, sulla direzione indicata da Locke e Newton.

Tracce di deismo e anticonformistiche (non però eretiche) rintracciabili sporadicamente nella sua produ- zione e segnatamente in un'opera scritta nel 1745 e conosciuta subito negli ambienti ecclesiastici e accademici, ma pubblica- ta postuma nel 1771, gli Universae christianae theologiae ele- menta dogmatica, historica, critica, gli negarono l'accesso alla cattedra di teologia.

I'ntanto il Genovesi approfondiva l'inchiesta filosofica e per influenza di Bartolomeo Intieri, un toscano immigrato a Napoli e sostenitore accanito dell'integrazione fra scienza e mondo del lavoro, prendeva interesse all'economia, come è dato già rilevare nel Discorso sopra il vero fine delle lettere e Jelle scienze ( 1753 ). I1 Discorso e l'appassionato studio degli economisti spagnuoli e francesi gli fecero ottenere nel 1754 la cattedra di << commercio e meccanica n , appositamente istituita per lui all'università di Napoli.

La posizione del Genovesi, quale risulta dalle sue lezioni tenute in lingua italiana anziché latina (era un'altra clamorosa novità), è in fondo mercantilistica, con qualche significativa de- roga a vantaggio della e pubblica felicità (mentre il mercan- tilismo in senso stretto subordinava la vita economica all'incre- mento della potenza bellica del principe). Ai suoi fini il Geno- vesi intende pervenire per l'iniziativa primaria delle forze politiche, ma in concreto accetta la collaborazione delle forze private, purché rispondenti al principio supremo di ogni cor- retta economia, cosi formulato nelle Lezioni di commercio:

Lasciate uscire con la massima possibile facilità, speditezza e li- bertà ogni derrata e ogni manifattura interna che soprabbonda; impedite quanto piu si può le forestiere, che avviliscono quelle che fra noi nascono o si fanno.

Di qui l'incoraggiamento all'agricoltura e alle industrie locali, al commercio, alle arti metallurgiche e fabbrili D; l2

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Arcadia e Illuminicmo 79

richiesta di buone leggi e buone scuole che insegnino cogni- zioni reali e sode, non fantastiche, e si occupino delle scienze morali ed economiche; l'opposizione all'accumulo del denaro e la moderata difesa del lusso (quando sia rivolto a prodotti non esteri); la recisa condanna dell'inerzia, del fatalismo, del- la rassegnazione cui spesso s'abbandona l'indole meridionale.

Negli ultimi anni il Genovesi si dedicò a scritti di carat- tere educativo, quali la Logica per gli giovinetti (1766) e la Diceosina (1766, la prima parte; iistampata postuma con ag- giunte nel 1771).

Riservando appena una citazione ai molisani Giuseppe Ma- ria Galanti (1743-1806) e Francesco Longano (1729-1796) e ai calabresi Domenico (1735-1805) e Francescantonio Grimaldi (1741-1784)) legati chi piu chi meno all'insegnamento del Genovesi, ci soffermeremo brevemente su Ferdinando Galiani (Chieti 1728 - Napoli 17871, spirito vivacissimo e arguto, cu- rioso esploratore della realtà dei suoi tempi, illuministsl, ma insofferente di un eccessivo imperi0 della razionqlità e talora eslege, conversatore e scrittore brioso, a tendenza piincipal- mente scettica e materialistica. I1 Galiani esordi appena venti- treenne col trattato Della moneta (1751 1, dove già evitava una inquadratura troppo rigida dei problemi finanziari, sostenendo la variabilità del valore monetario che dipende dai non sem- pre prevedibili fattori dell'utilità e della rarità delle merci, e dalla legge della domanda e dell'offerta. A Parigi, dove soggior- nò per quasi un decennio in qualità di segretario dell'amba- sciata napoletana, lo scrittore chietino compose l'opera princi- pale, i Dialogues sur le commerce des bleds (1768; ma pubbli- cati nel 1770). In essa riconferma l'impossibilità di governare i fenomeni economici con leggi assolute e, pur accettando con riserva il postulato della libera commerciabilità del grano, ob- bietta ai fisiocrati che quando circostanze legate alla natura dei luoghi, alla diversa situazione dei paesi (ora « manifatturieri » ora agricoli) e ad altri fatti contingenti lo richiedano, è am- missibile un intervento normativo sul corso dei commerci. A suo giudizio bisogna dar piu importanza alla continuità e omo- genità della produzione artigiana e piccolo-industriale che al- l'agricoltura, condizionata da carestie, siccità, sfavorevole an- damento delle stagioni, incerta applicazione della mano d'opera.

I1 Galiani è autore anche della commedia Il Socrate immci- ginario (1777, in collaborazione con Giambattista Lorenzi) e del saggio Del dialetto napoletano (1779).

Fondamentale per l'illuminismo meridionale è i l trattato

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80 La letteratura it~lliana

di Gaetano Filangieri (Napoli 1753 - Vico Equense 1788) sulla .Ycienza della legislazione (apparso tra il 1780 e il 1791, quan- do fu pubblicato postumo l'ottavo e ultimo volume). I1 Filan- gieri vi intende elaborare un sistema compiuto e ragionato di legislazione. Si era preparato all'impresa in pih anni di studio e di meditazione sotto l'incoraggiamento del suo dottissimo precettore Luca Nicola De Luca e dello zio Serafino Filangieri, arcivescovo di Palermo, nonché di alcuni scrittori di idee ri- formistiche che a Palermo, dove egli si recò a visitare lo zio nel 1773, collaboravano al periodico Notizie de' letterati.

Nella Scienza affluiscono idee di d'Alembert, Montesquieu, Mably, Hélvetius, Hume, Robertson, Locke, Vico, Genovesi, Pietro Verri: da ogni parte d'Europa giungeva al Filangieri la conferma di un cambiamento in corso nella struttura della società e nel costume dei popoli, cambiamento che rendeva indilazionabile l'adozione di leggi moderne e ben coordinate tra loro, pena il tracollo delle pih importanti conquiste del perio- do illuminato.

Difficilissimo condensare in poche righe il senso delle pro- poste filangieriane. Esse si ispirano al principio che la con- dotta dei cittadini muove di necessità da ragioni personali coin- cidenti per lo pih con l'amore per il potere. I l contesto legisla- tivo dello stato deve tener conto di ciò, permettendo all'azione interessata dei singoli di svilupparsi in modo da non contra- stare con gl'interessi della collettività; l'ottima legislazione è appunto quella che sa convenientemente accordare il bene de- gl'individui e i! bene dell'intero corpo sociale.

In tale spirito il Filangieri combatte il feudalesimo, di- scute i rapporti fra potere legislativo e potere esecutivo, tra Stato e Chiesa (mantenendosi vicino al Giannone), auspica una pih corretta distribuzione delle ricchezze e della proprietà ter- riera, suggerisce una nuova procedura penale che garantisca la imparzialità del giudizio e la giustezza della condanna, limita l'abuso della pena di morte secondo il consiglio della ragione e del senso umanitario, propugna un'educazione dei giovani prevalentemente sfidata alle cure dello stato, riconosce i.1 va- lore della scienza economica e si batte per l'incremento del- l'agricoltura e per la libertà del commercio con vigorosi spunti fisiocratici, sente l'utilità d'una sana politica demografica.

I1 pensiero complesso e talora contraddittorio del giurista ed economista Mario Pagano (Brienza 1748 - Napoli 1799), pro- fessore di filosofia, poi di diritto penale all'università di Na- poli, martire della repressione monarchica, autore di Saggi poli-

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Arcadia e Illuminismo 8 1

tici ( 1783-85; in seconda edizione 179 1-92), si raccoglie attor- no alla tesi centrale, in parte dedotta dal Vico, di un ciclico ritorno di momenti simili nella storia dell'umanità, oltre l'ap- parente cambiamento dei costumi e delle fogge estrinseche. Sullo sfondo di questo quadro naturalistico egli esamina, in modi non sempre ordinati, la creazione e la dissoluzione delle nazioni, criticando l'idea rousseauiana di un primitivo e consa- Devole Datto sociale. inter~retando miti e favole antiche in chiave di sapienza riposta, dando rilievo, come elementi con- dizionatori della vita civile. alle catastrofi fisiche. difendendo il libero esercizio dei diritti voluti dalla natura, e prevedendo la trasmutazione del dispotismo in una seconda barbarie, ana- loga all'originaria, donde la storia ricomincerà da capo il suo eiro. Q-- -

Carattere economico-giuridico ha il Ragionamento sulla li- bertà del commercio del pesce in Napoli (1789), animato da commossa solidarietà Der i esca tori meridionali. schiacciati dal bisogno e dalla fatica. La stessa innata simpatia verso l'uomo aveva dettato al Pagano, fra l'altrc, le Considerazioni sul processo criminale (1787) e il corso universitario Della ragion criminale (1787, pubblicato postumo), informato al piu scrupoloso rispetto per la libertà individuale e per i valori della persona.

I n una per quanto sommaria delineazione del panorama illuministico napoletano dovranno infine trovar posto i nomi del pugliese Giuseppe Pa1,mieri (Martignano 1721 -Napoli 1793), che al programma sinceramente riformistico e antino- biliare accoppiò la fiducia nelle iniziative autonome dei pro- prietari terrieri, e dell'abruzzese Melchiorre Delfico (Leognano 1774 - Teramo 1835), sensista e studioso di Locke, Condillac, Cabanis, autore di proposte miranti a sgravare i pastori e i contadini della sua regione dall'oppressione feudale e a libe- rare il commercio del regno dall'esosità delle dogane e da al- tre limitazioni irrazionali, incompatibili con i tempi.

LA NUOVA LETTERATURA, LA RIFLESSIONE SULLA POESIA, LA CRITICA

I1 campo piu propriamente critico-letterario dell'illumini- smo recepisce e avvalora come nessun altro il criterio del- l'utile. In contrasto con l'intellettualismo arcadico, accusato di astrattezza e sterilità,, i nuovi letterati richiedono al prodotto artistico solide strutture ideologiclie e stretti contatti eon i

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82 La letteratura italiana

problemi e i bisogni piu attuali della società. Nella nozione di <( utile comprendono il rifiuto delle forme troppo auliche e lucidate di linguaggio, a favore di espressioni vive, naturali, affrancate dai vincoli della tradizione e dall'autorizzazione dei modelli canonici. Un orientamento, questo, che ben pos- siamo chiamare « realistico »: l'impegno fondamentale degli scrittori illuministici, come si sa, fu proprio quello di legare la « parola » alla <( cosa v . Del resto già in epoca arcadica s'era rilevato il formarsi d'un gusto piu intenso per la realtà, e ancor prima s'era assistito a tentativi di letteratura dottrinale dove erano anticipati quei caratteri filosofici » che poi lo scrit- tore normalmente attribuirà alle sue oDere. Travalicando con- fini secolari la letteratura si~affaccia su temi insoliti, di scienza naturale, di fisica, di astronomia eccetera, con un ardore di conoscenza e diffusione culturale non paragonabile al didasca- lismo tutto letterario degli scrittori classici o classicheggianti. La letteratura vuole ora veramente guidare gli uomini alla ve- rità, al benessere, alla giustizia, e contribuire a renderli mi- gliori.

I segni di un indirizzo nuovo dato alle lettere si riscon- trano nel veneziano Francesco Algarotti ( 171 2-1764), venuto dall'insegnamento di Eustachio Manfredi e Francesco Maria Zanotti, che per quanto non ancora in piena area illuministica, nei suoi studi, nei suoi viaggi, nei suoi incontri con i perso- naggi piu rappresentativi del tempo portò il fervore d'una in- telligenza acuta e curiosa, pronta ad appuntarsi sulle conqui- ste dei << lumi » e sugli sviluppi della scienza. La sua opera piu nota, i'l Newtonianismo per le dame (1737; piu tardi rifatto col titolo Dialoghi sopra l'ottica neutoniana) nacque certo dal- l'ammirazione per Newton, ma anche dal proposito di dar vita a una letteratura divulgativa che sapesse offrirsi a un vasto pubblico. Non c'è dubbio che la galanteria arcadica faccia la sua comparsa nel Newtonianismo (in fondo dedicato al <( mi- lieu » aristocratico dell'Accademia): la stessa forma, nono- stante i propositi di chiarezza e scioltezza, pecca spesso d'una eccessiva ricerca del decoro e dell'eleganza; ma il tema scien- tifico, la polemica ideologica contro la filosofia « fantastica » di Cartesio in nome della filosofia « sensata » di Newton (e Galilei), l'attenzione alla cultura europea(sentita come diversa e piu profonda al paragone con quella italiana), lo spirito an- ti'Dedantesco e antiaccademico. soverchiano infine eli altri mo- " tivi e fanno del Newtonianismo una cosa singolare da iscri- vere a buon diritto nella temperie preilluministica.

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Arcadia e Illuminisrno 8 3

Le opere posteriori al Newtonianismo rimasero in una po- sizione mediana fra Arcadia filosofica e coscienza illuministica, soprattutto i moltissimi saggi, composti per la maggior parte tra il 1755 e il 1763, su argomenti di vario interesse (il com- mercio; se influisca piu sulle qualità dei popoli il clima o la virtu della legislazione; perché i grandi ingegni sorgano e fioriscano insieme; eccetera), dove piu che la profondità dei concetti e l'originalità delle soluzioni (pure non trascurabili) vale il puntiglio con cui lo scrittore si pone a diffondere in Italia la cultura europea, convinto di coopefare cosf al pro- gresso e al raffinamento degli spiriti.

Oltre ai Viaggi in Russia (1739)) in forma di lettere a lord Hervey, al romanzo I l congresso di Citera (1745), d'ispira- zione antipetrarchesca, e alle Epistole in versi, note per il con- tributo alla scelta del Cornaro, I'Algarotti scrisse le L e t t ~ u c intorno alla traduzione dell'Eneide del Caro (1744) e alcuni saggi letterari (Sopra la lingua francese. 1750; Sopra la rima, 1752; Sopra la necessità d i scrivere nella propria lingua, 1752; Sopra l'architettura, 1756; ed altri), nei quali conferma il suo eclettismo ideologico e stilistico, attratto da moduli classici anche quando pi6 forti si fanno i fermenti innovatori e le tensioni illuministiche, queste ultime sollecitate dal principio (il meno arcadico dell'Algarotti) che le lettere nascono dalle lezioni dell'esperienza e servono al miglioramento della società.

La storiografia letteraria non ha ancora grande sviluppo né si sostiene su rigorosi principi di metodo, ma l'evoluzione verso forme di pensiero e d'indagine meglio rispondenti ai tempi si rende visibile nel cQnfronto fra l'opera del bresciano Giammaria Mazzuchelli (1707-1765) e quella del bergamasco Girolamo Tiraboschi ( 173 1- 1794)) autore il primo degli Scrit- tori d'Italia (1753-63), repertorio biobibliografico in sei volu- mi (arrestatosi alla lettera B) di carattere erudito, il secondo della Storia della letteratura italiana (pubblicata originaria- mente dal 1772 al 1782; in seconda edizione, con aggiunte, ritocchi e note, dal 1787 al 1794)) dove gli eventi sono dispo- sti entro un <( filosofico quadro » che ha funzione esplicativa e regolativa della copiosa dottrina raccolta nel libro.

L'influsso delle nuove idee è però pi6 tangibile e deciso, pi6 denso di risultati, nella sfera in cui operano la critica let- teraria e gli studi di poetica, la prima impegnata a combattere i residui d'Arcadia sul metro d'una assoluta indipendenza di giudizio e di un senso vivissimo del17impegno artistico, i secondi volti ad assorbire i principi del sensismo.

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Da un punto di vista ideologico, assai complessa è la po- sizione' di Saverio Bettinelli (Mantova 1718-1808), divenuto noto negli ambienti letterari per la vivacità dell'azione pole- mica e la spregiudicatezza critica. Entrato giovanissimo nell'or- dine dei Gesuiti e dedicatosi' all'insegnamento, compose in un primo tempo poemetti (11 Parnaso viniziano, Le raccolte) e tragedie (Serse, Demetrio Poliorcete, Gionata) che non hanno note particolari, se si eccettua l'acuminata satira già diretta ne Le raccolte contro la poesia convenzionale di tanto Settecento.

I1 nome del Bettinelli è legato principalmente alla pubbli- cazione delle Lettere uirgiliane, premesse a una silloge di Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori, venuta alla luce per iniziativa del nobile veneziano Andrea Cornaro alla fine del 1757 (con la data del 1758). I tre eccellenti autori scelti a di- vulgare il verso libero erano il Bettinelli stesso, il Frugoni e I'Algarotti, e le Lettere virgiliane (Dieci lettere di Publio Virgi- lio Marone scritte dagli Elisi all'tlrcadia di Roma sopra gli abusi introdotti nella poesia italiana) avevano l'originaria funzione di <( invitare il pubblico all'acquisto del libro », come il nostro autore ricorda nella Dissertazione accademica sopra Dante. Riu- scirono invece a imporsi come cosa autonoma. In sostanza sono un ripensamento di tutta la nostra letteratura operato secondo i canoni del razionalismo illuministico e i personali umori del Bettinelli. Non solo Dante. come è a tutti noto. vi viene censurato per l'oscurità, la rozzezza, la stravaganza del suo poema (salvi alcuni episodi, come quello del conte Ugo- lino), ma anche, sebbene in minor misura. Petrarca, ricco d'im- magini, raffinato, musicale, e tuttavia monotono, senza contra- sti, d i tendenza metafisica, qualche volta enigmatico, e pres- soché la totalità dei petrarchisti. Né si salvano Tasso e Ariosto (il giudizio sul primmo è comunque piii pesante) o l'Arcadia.

Alla scolorita letteratura italiana il Bettinelli oppone l'esem- plare letteratura latina, esemplare, ma non però tirannica alla fantasia e al gusto:

Non cessavan gli antichi di maravigliare lo strano genio d'Italia verso l'imitazione

(il suo pensiero ammirato si rivolge anche alla letteratura francese del Sei e Settecento).

L'imitazione è appunto per il gesuita mantovano la piaga piii profonda del nostro costume letterario. Alla radice del de- cadimento italiano egli vede un <( inganno D, la maldestra ten- denza a far propria una <( poesia di parole D, e il vezzo di co-

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gliere le parti pifi appariscenti e superficiali del modello. Ecco perché gli egregi maestri )> greci e ,latini sentenziano che per far rinascere la poesia italiana debba '

in prima scemarsi la vasta e inutile multiplicith de' poeti e del- l'opera loro; l'ottimo eleggersi, e di quel farsi quasi un sacro de- posito, ad esempio della gioventu che nacque alla poesia.

Sicché la rivolta bettinelliana, che da un lato si rivolge con furore iconoclastico contro la tradizione, resta infine im- brigliata dall'adesione al bello classico, all'« ottimo in ogni genere di componimenti, sia esso di tipo già neoclassico, sia invece, come sembra pifi probabile, di tipo soltanto classicistico.

I1 desiderio di novità, la polemica antipedantesca, la stra- ordinaria agilità e freschezza dello stile, la finezza di certi suoi giudizi, resero il Bettinelli ben vistc al gruppo del Caffè. Appunto per questo giornale il critico preparò le Lettere so- pra vari argomenti di letteratura scritte da un Inglese a un Veneziano (1766). Nelle Lettere inglesi, che il Caffè non poté ospitare per la sua corta vita, l'angolo di osservazione è mu- tato. I1 mondo italiano vi viene esaminato al paragone non pifi dell'antichità classica ma dell'rnghilterra, regno della libertà, della ragione, della filosofia. La prospettiva pifi esplicitamente illuministica non fa tuttavia registrare un progresso delle In- glesi sulle Virgiliane, le quali raccolgonc la parte pifi interes- sante della critica bettinelliana e si giovano di una scrittura pifi incisiva g caustica, direi pifi divertita e sicura. Del resto buona parte delle Inglesi consiste in riprese e discussioni di principi già enunciati nelle Virgiiiane o in messe a punto di questioni personali (come il dissidio con 1'Algarotti).

Sia dalle prime che dalle seconde Lettere, tra le maglie dell'impianto razionalistico, si affaccia talora una certa propen- sione per l'estro, il naturale, il talento, sfociante in aperta dif- fidenza nei confronti delle poetiche, delle arti retoriche, delle regole (la cosa non sorprende, dato il continuo intreccio, in area illuministica, del motivo naturale >> col motivo razio- nale »). È la via che conduce al saggio Dell'entusiasmo delle belle arti (1769), tentativo di conciliare gl'impulsi della sensi- bilità con l'ordine della ragione in un concepimento artistico che parta da premesse metafisiche ma abbia conduzione fanta- stica, consti di meditazioni e sogni,

sogni osservati dalla ragione, che sta sopra loro qual giudice, ed al suo tribuna1 gli assoggetta.

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Non erano proposte nuove, ma gli spunti del Ceva, del Muratori e di altri pensatori del primo Settecento sono qui in- tegrati da una forte componente sensistica, poiché l'entusia- smo, meglio che da un sommovimento irrazionale, dipende in Bettinelli da un insieme di impressioni, anche fisiche, che il poe- ta accoglie in sé attraverso l'acutezza dei sensi e deve poi saper tradurre in forza d'immagini e di stile.

Tra fluttuazioni di metodo e riprese di motivi critici altre volte toccati, il Bettlnelli verrà poi dimostrando una certa fedeltà al nucleo concettuale dell'Entusiasmo. Se infatti col tempo ripiegherà su posizioni pih guardinghe che non quelle delle Inglesi e non si guarderà dal por mano a una certa lette- ratura mondana e galante, nella tarda Dissertazione accademica sopra Dante (1800) eviterà di fissare il buon gusto in termini esclusivi di ordine, regolarità, proporzione, ragione, armonia, e nel confermare le sue antiche critiche a Dante non respin- , gerà del tutto quel modo di poesia:

Qual'altro pregio agguaglia quello dell'elevatezza d'un'anima ge- nerosa, e nemica di ceppi, all'ardir d'una immaginazione indi- pendente, d'un entusiasmo creatore! E non è questo partecipar dell'onnipotenza creatrice d'un mondo?

Del Bettinelli è anche da ricordare il Risorgimento d'ltulid negli studi nelle arti e ne' costunti dopo il Mille, pubblicato nel 1775 e fondato sulla convinzione che il vero risorgimento si attuò in Italia subito dopo il Mille, in epoca dunque ancora medievale, per culminare nel Cinquecento: ebbe quindi inizio una fase di decadenza. Anche se ordinato lungo una linea ideologica discutibile, il libro ha pagine acute su questo o quel fenomeno storico e fornisce notevoli integrazioni e approfon- dimenti al discorso critico bettinelliano già compiuto in altre occasioni intorno alle arti e alle scienze.

Chiaramente derivato da matrici sensistiche è il pensiero teorico del Beccaria intorno al problema dello stile. Già nel Frammento sullo stile, scritto per il Caffè, viene impostato il principio della corrispondenza fra l'ordine delle parole e l'or- dine delle idee. Lo stile vi vien messo in relazione con la di- versa Dresenza in uno scritto delle idee accessorie: sono aue- ste ch i percuotono l'anima con impressioni forti P, agendo su vari sensi contemporaneamente. Occorre di conseguenza rinnovare di continuo il linguaggio della poesia sotto questo profilo, per fargli recuperare la potenza emotiva che anche le piu ardite metafore col tempo smarriscono: operazione che è

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Arcadia e Illuminismo 87

piu facile da compire là dove si verifichi una rivoluzione nel modo di pensare, spesso conseguente a eventi politici:

le lingue si raddolciscono col dispotismo, e colla libertà e colle guerre ritornano vigorose ed aspre.

Numerose influenze di d'Alembert, Locke, Condillac, Mon- tesquieu, Helvétius, Diderot, Voltaire si riscontrano sulle po- steriori Ricerche intorno alla natura dello stile (1770), che non vogliono suggerire canoni immutabili, ma verificare

a qual combinazione di idee, d'immagini, di sentimenti e di sensa- zioni egli [il cuore] si scuota e si irriti, ed a quali resti inerte e stupidamente indifferente.

La perfezione dello stile è ancora vista nell'associazione strettissima fra la parola e le idee sensibili.

Anche il Discorso sull'indole del piacere e del dolore ( 1773 ) di Pietro Verri accoglie echi molteplici (Platone, Cardano, Montaigne, Locke, Magalotti, Maupertuis), inserendosi in quel filone di saggistica a sfondo sensistico-psicologico che mirava ad accertare il comDortamento dell'uomo. le ,sue reazioni na- , - turali agli stimoli Ldell'esperienza. La vita interiore, per il Verri. fa tutt'uno con la sensibilità. e tutte le sensazioni. fisi- che e morali, possono restringersi alle classi fondamentali del ~ iacere e del dolore. in di~endenza o di uno stimolo imme- diato sugli organi sensori, oppure della speranza o del timore. I1 dolore è il polo positivo e attivo dell'esistenza, << principio motore di tutto l'urnan genere p>; il piacere a sua volta si con- figura come cessazione del dolore. Lo stesso diletto dell'arte

L.

si collega al placamento dei dolori N innominati n, dolori vaghi, non localizzabili. L'utile. che l'illuminista Verri non dimen- , -

tica, deve quindi unirsi, secondo una vecchia formula, col piacevole, ad opera di una nuova retorica che insegni a distri- buire negli scritti piccole e brevi ,sensazioni dolorose atte a creare ed alimentare nel lettore o nello spettatore la speranza non vana di altre imminenti e compensatrici sensazioni gra- devoli.

Né si può passare sotto silenzio, a proposito della poetica sensistica, il nome di Francesco Mario Pagano (Discorso sul- l'origine e natura della poesia, 1783; Del gusto e delle belle arti, 1785); veramente nel Pagano la base ideologica è di na- tura vichiana; tuttavia egli non dubita che il gusto del bello sia in stretto rapporto col piacere sensibile, che è distruttore della noia e promotore del sentimento dell'esistenza. L'edoni-

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smo sensistico si stacca dunque dal generico edonismo arca- dico, perde ogni connotato di svagamento dilettoso e formali- stico per agire alla radice stessa della vita:

I1 piacere è il sentimento della propria esistenza. L'atto stesso di essere, il possedimento e la contenenza di se stesso all'essere il piacere produce.

Non tanto in sede di teoria sul bello poetico, quanto di critica e di polemica letteraria e di costume, spicca tra le altre, nel nostro secondo Settecento, la figura del torinese Giuseppe Baretti. Nato nel 1719, il Baretti studiò nella città natale, a Milano e a Venezia, dove ebbe contatti con l'ambiente dei Trasformati e dei Granelleschi. Si recò quindi a Londra, sog- giornandovi dal 1751 al 1760 e stringendovi amicizia con let- terati e intellettuali, soprattutto col critico Samuel Johnson. Nel '60 rientrò in Italia attraverso il Portogallo, la Spagna e la Francia. A Venezia, nel 1763, iniziò la pubblicazione della Frusta letteraria, ma le polemiche suscitate dalla sua attività lo indussero presto a lasciare definitivamente l'Italia e a tor- nare a Londra (1766), dove trascorse (salvo brevi viaggi in Spagna e in Italia) gli ultimi anni della sua vita e dove si spense nel 1789.

Lo spirito aggressivo e caustico del Baretti si fa già valere nelle dispute contro il petrarchista Biagio Schiavo e l'erudito Giuseppe Bartoli, oltre che nelle Piacevoli poesie (1750), spes- so vicine ai moduli berneschi.

I1 vero strumento di battaglia rimase però per il Biyetti la prosa, una prosa singolarissima (modellata in certo modo su quella agile dei Francesi e degl'Inglesi), in cui confluivano me- morie letterarie ed estri personali, conformemente alla distin- zione barettiana fra lingua) oggetto di studio, che postula il continuo ricorso agli scrittori dei buoni secoli, e stile, facdtà individuale, inimitabile, una cosa sola con la fantasia, l'incli- nazione affettiva, gli umori deli'individuo. Questa prosa tutta particolare comincia a prender corpo all'epoca del primo sog- giorno barettiano in Inghilterra e si palesa nelle Lettere fami- liari a' suoi tre fratelli (pubblicate parzialmente tra il 1762 e il 1763 e poi integralmente, ma in inglese, nel 1770), resoconto del viaggio di ritorno in Italia. L'interesse delle Lettere sta principalmente nella loro funzione di testimonianza ideologica e letteraria, a mezzo fra attrazioni culturali e bernesche da un lato e spinte rinnovatrici dall'altro. Qui si vede quanto ancora influiscano sul Baretti, pur nell'innegabile scioltezza della scrit-

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tura e nell'acutezza dell'gsservazione, certi vecchi moduli lette- rari, i contatti con i Trasformati, un moralismo guardingo, un tipo insomma di cultura non del tutto illuminata.

Al cammino verso la Frusta danno, in definitiva, maggiore impulso le opere del periodo londinese (Remarks on the Italian language and writers, 1753; A dissertation upon Italian poetry, 1753; A history of the Italian tongue, 1757), almeno nel senso che in esse s'affina e si matura il temperamento critico del- l'autore.

La Frusta letteraria usci a Venezia dal 1" ottobre 1763 al 15 gennaio 1765, con frequenza quindicinale; gli ultimi otto numeri (19 aprile-15 luglio 1765), dedicati alla polemica con il padre Appiano Buonafede, furono invece stampati ad An- cona, perché il governo veneziano aveva vietato la pubblica- zione del giornale. La Frusta. auasi interamente com~ilata dal Baretti, era soprattutto un billettino d'informazione biblio- grafica, una collana di schede, recensioni, ragguagli sui libri che andavano venendo alla luce in quel torno di tempo o che da poco si erano presentati ai lettori. I1 suo assunto, quale si ma- nifesta nell'lntroduzione a' leggitori, non era di annunciare esaltanti novità teoriche, nuovi manifesti o programmi d'arte, ma di ripristinare con energia quasi brutale la sanità del co- stume letterario, muovendo una guerra disperata e senza quar- tiere ai Goti e ai Vandali della Denna che vitu~eravano e im- barbarivano il nostro suolo. Un assunto morale, calato in atti- vità letteraria, donde la sanguigna, iraconda, impetuosa e sel- vatica figura di Aristarco Scannabue, dietro cui l'autore si cela e nella quale lo spirito animatore del foglio trova le sue ideali misure. Aristarco è la coscienza critica del Baretti impegnata a flagellare le svenevolezze, le vuotaggini, le << pastorellerie » dell'Arcadia, per dar luogo finalmente a una letteratura virile, tutta sugo e sostanza, sensibile ai problemi del mondo mo- derno e utile alla società. ma fuori dell'astrattezza <( filosofica » di tanta produzione illuministica. Sotto un certo profilo 1'Ar- cadia, che pure è individuata storicamente, diventa per il Ba- retti il luogo negativo della letteratura, ciò che la letteratura non deve essere, sicché il sarcasmo antiarcadico s'accende e serpeggia or qua or là in tutti gli articoli, anche quando l'ar- gomento esplicito non abbia a che fare con l'Accademia vera e propria. Antiarcadico è, lo s'intende bene, oltre il rifiuto del- l'imitazione e di ogni convenzionalismo, il continuo richiamo alle <( cose D: e se, accanto al realismo tematico, sempre vigile è l'attenzione allo stile, lo stile stesso è ora, con piii convinta

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determinazione che nelle Lettere, subordinato alla naturalezza e scioltezza narrativa.

Il Baretti della Frusta ha certo i suoi limiti, e tra questi metteremo un ideale troppo generico di buon senso, un con- cetto troppo semplicistico di naturalezza, un criterio troppo istintivo di valutazione, un moralismo troppo invadente in fat- to di poesia, una diffidenza talora troppo netta per la cultura e la tecnica Doetica. Cosi la rivolta di Aristarco contro la letteratura oziosa e pedantesca, contro l'insincerità della ma- teria e della forma, può impigliarsi in contraddizioni e cadere in errori, quali - accanto al giusto apprezzamento per Ario- sto, Cellini, Genovesi (a partr lo stile), Metastasio (l'unico poe- ta che non ha potuto avere imitatori], i Gozzi, Parini, Shake- speare - l'incomprensione (dovuta a ragioni morali e lingui- stiche) Der il Goldoni. l'ostilità Der il Beccaria. il Verri e il , . Caffè, la condanna del verso sciolto. Ma questi limiti non pon- gono in ombra l'altissimo valore della Frusta come strumento " di rigenerazione nella coscienza civile e letteraria d'Italia.

Quanto il Baretti però, all'occorrenza, sapesse giovarsi di una cultura, se non profonda, certo vasta e orientata in senso europeo, lo si vede bene (senza trascurare molte pagine della Frusta, assai significative e, nonostante il piglio irruente, ac- cortamente meditate) nel Discours sur Shakespeare et sur mon- sieur de Voltaire ( l i i i ) , che è tutto un'abilissima e scoppiet- tante requisitoria contro gli errori della critica razionalistica e di Voltaire in is~ecie. non si sa se ~ i u ammirevole Der i fitti . r

e calzanti rimandi al teatro classico, inglese e francese, o per lo scaltrito eusto lineuistico. A noi interessa notare come il " " drammaturgo inglese assuma agli occhi del critico il volto del poeta per eccellenza, << selvaggio », spontaneo, libero creatore del suo mondo, insofferente di regole e modelli, ma nello stes- so tempo profondo conoscitore del cuore umano: spunti e in- tuizioni che naturalmente proiettano il Baretti verso posizioni ottocentesche (tutti ricordano il culto dei romantici per l'au- tore dell'Amleto).

I DUE GOZZI

Per quanto si svolga in un angolo piuttosto appartato della cultura italiana l'opera dei fratelli Gozzi dà un contributo no- tevole e vivace, per alcuni aspetti originale, al nostro Sette- cento. Non che essa si collochi decisamente nello spazio << illu-

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minato D del secolo; anzi in genere è ispirata a ideali conser- vatori e, sotto il profilo letterario, classicistici. Ma da un lato per l'arguto spirito giornalistico e il garbato esercizio lingui- stico (Gasparo), dall'altro per l'implicazione con le polemiche sul teatro, per certi umori tra bizzarri e nostalgici (Carlo), in ogni caso per l'assiduo impegno stilistico, essa offre allo studioso materia di meditazione e al auadro della nostra letteratura tratti di notevole interesse.

Gasparo nacque a Venezia nel 1713, fu censore alle stam- pe e sovrintendente all'arte dei librai, nonché autore d'un pro- getto per la riforma degli studi. Mori nel 1786. Come lette- rato si formò alla scuola dei trecentisti e cinquecentisti, com- ponendo in principio raccolte di Lettere diverse e Rime pia- cevoli. Ma il suo nome e il suo ingegno si affermarono con la Difesa di Dante (1758), scritta contro le Lettere virgiliane del Bettinelli. Alla lettura frammentaria e tendenziosa del gesuita mantovano il Gozzi oppone nella Difesa una serie di giudizi nati da una conoscenza globale dell'opera dantesca e fondati sul concetto dell'unità che a auel mondo ~oe t ico conferisce il profondo sentimento morale dell'autore, &onde la Commedia può dirsi piuttosto una Danteide, il poema d'uno spirito ecce- zionale impegnato a circuire la totalità delle cose terrene e ultraterrene. Buone osservazioni vengono anche dedicate al linguaggio della Commedia, e all'attenzione dantesca per la realtà. Ma se pure la Difesa intuisce qua e là la grandezza di Dante, resta nel complesso cosa modesta, e non regge al para- gone col vivacissimo impeto critico delle Lettere virgiliane -

La vena piu fresca-e naturale di Gasparo si rivela nelle prose giornalistiche apparse nella Gazzetta veneta (6 febbraio 1760-31 gennaio 1761), nel contemporaneo Mondo morale, e nell'Osservatore veneto ( 4 febbraio 1761-fine dell'agosto 1762), prose conformate a modelli vicini e meno vicini (dall'Addison al La Bruyère a Teofrasto) e soccorse da una limpida cultura classica, rivolta spesso a fini ironici, di distacco dalla materia, come è stato detto. Gasparo si affaccia sulle mille scene della sua Venezia con animo di sDettatore Daeo di offrire materia

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varia alla sua penna, e anche quando divaga in campo morale non va oltre il limite del earbo. delle buone maniere. dell'ac-

-.J , cortezza, della misura. 11 suo realismo è fatto d'un assaggio di- screto nel piccolo mondo delle calli veneziane o delle famiglie borghesi, negl'intrighi non tragici della vita comune, nelle de- bolezze umane d'una società sostanzialmente uniforme. Perciò Gasparo piu che nella narrazione ariosa e distesa si ritrova a

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suo agio nelle brevi linee d'un apologo, d'una favola, d'un bozzetto, d'uno schizzo rapido dove le intenzioni figurative prevalgano su quelle meditative.

Non diverso è il carattere dei Sermoni in endecasillabi sciol- ti, sul tipo della satira oraziana; ma in alcuni di essi il rnora- lismo del Gozzi, vivificato da umori autobiografici, si fa ab- bandonato e aderente a un commosso clima d'animo.

Accanto alle pagine migliori dei giornali occorre infine por- re l'epistolario, al quale lo scrittore affida con stile libero da scorie letterarie la propria sorridente bonomia e disincantata saggezza, i propri affetti e ricordi.

Di altro stampo è la figura di Carlo Gozzi, divenuta popo- lare per le Fiabe, ma in sostanza meno importante di quella di Gasparo. Carlo nacque a Venezia nel 1720. Passò la fanciul- lezza in mezzo a studi forsennati e a traversie familiari dovute soprattutto al dissesto dell'economia domestica. Datosi alla car- riera delle armi, parti per la Dalmazia al seguito del Provve- ditore generale Girolamo Quirini. Tornato a Venezia, entrò a far parte dell'Accademia dei Granelleschi e iniziò la battaglia per la difesa delle buone lettere, un aspetto della quale è co- stituito dalla polemica col Goldoni. Si occupò quindi di teatro legandosi alla compagnia comica di Giovanni Antonio Sacchi. La caduta della repubblica di San Marco fu per lui il crollo del suo stesso mondo. Mori nel 1806.

Le vicissitudini familiari e le angustie economiche tra le quali maturò la sua vocazione alle lettere non tolsero a Carlo <( il naturale risibile D, la letizia dell'animo, l'inclinazione a un disinteressato e cordiale rapporto con i suoi simili, qualità che, come lo scrittore ebbe a dire, lo distinguevano dai 4 politici D. Questo abito interiore non significava indifferenza o scarsa par- tecipazione agli eventi storbi. In qual maniera egli intendesse contribuire alla restaurazione del vivere pubblico e civile lo si intende considerando la sua attività in seno all'Accademia dei Granelleschi, faceta e allegra accademia, fondata nel 1740, com- pagnia di buontemponi motteggiatori, ma a amantissima della cultura, della semplicità e del vero », in una temperie di one- sto conservatorismo. Non a caso i1 capitolo delle Memorie do- ve è narrata la burlesca origine dell'Accademia passa da un to- no ilare a un'alta serietà d'accento quando, superata l'iniziale parte aneddotica, entra nel terreno dei principi e delle ideo- logie. Prendendo a esaminare il programma illuministico il Gozzi svela il fondo austero della sua coscienza e riesce persino a farsi perdonare una certa angustia di vedute, una certa inca-

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pacità d'afferrare il senso delle nuove proposte, per il fervore con cui denuncia la sopravvenuta corruzione della famiglia, del- la società, degl'istituti reIigiosi, l'attentato al pudore, alla ca- stità, alla buona fede, all'equità delle leggi, il disfrenamento delle passioni, <( gli universali turpi mercimoni della libidine, gli adulteri, i nodi maritali esarcerbati e disgiunti N, tutte con- seguenze, egli pensa, delle nuove idee.

Questa corruzione e decadenza della vita pubblica e pri- vata si ripercoteva nel mondo delle lettere, sia per il sov- vertimento dei valori tradizionali, sia per la rivolta contro gli antichi e venerabili maestri capeggiata dal Bettinelli, sia per l'impoverimento e l'imbarbarimento della lingua, che a quei due primi mali si collegava come effetto a causa. Di qui la po- lemica gozziana contro il Goldoni, sostenuta in una lunga se- rie di scritti (la Tartana degli influssi per l'anno bisestile 1756, La scrittura contestativa al taglio della <( Tartana », I l teatro comico all'osteria del Pellegrino tra le mani degli Accademici Granelleschi, le Memorie): era una polemica che metteva sotto accusa le commedie goldoniane soprattutto per la meschinità degl'intrecci, il ricalco troppo immediato della realtà, le licen- ze morali, l'innaturalezza dei caratteri, la scorrettezza e gof- fagine dell'idioma, la simpatia infine per le classi popolari, eric colo sa e <( contraria all'ordine indis~ensabile della subordi- nazione ». In contrapposizione a tutto ciò il Gozzi vagheggia- va un teatro capace di divertire il pubblico mantenendosi nello stesso tempo moralmente sano e immune da arbitri e novità linguistiche.

A questi intenti ispirò appunto le Fiabe: l'Amore delle tre melarance e il Corvo (1761), tratte dal Pentamerone del Basile e verseggiate solo in parte, il Re Cervo, la Turandot, la Donna serpente, la Zobeide, i Pitocchi fortunati, il Mostro turchino, 1'Augellino belverde, infine lo Zeim re de' Geni che chiuse la serie nel 1765. Ricorrendo al mondo degl'incanti e dei pro- digi il Gozzi intendeva tra l'altro difendere i diritti della fan- tasia, della libera creatività artistica. Riusci tuttavia autore tea- trale mediocre e opaco, per mancanza d'un autentico senso del fiabesco: anche gli spunti esotici e i motivi favolosi che gli arrivavano dalla tradizione risultano nell'opera sua trattati ce- rebralmente e resi strumenti di dimostrazione, elementi di una struttura teatrale composita, dalla quale il sentimento è per lo ~ i i i escluso. Le Fiabe trovano aualche accento ~oe t ico uni- camente quando trascrivono in maliziosa ironia certe mosse di polemica senza acredi,ne, come avviene per l'antilluminismo

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94 letteratura italiana

dell'Augellino belverde, calato nell'ingenuità fanciullesca e osti- nata di Renzo e Barbarina, e negli stupori sdegnati di Sme- raldina. - - .

Assai piu gravi sono i limiti delle altre opere teatrali con- segnate via via al capocomico Sacchi, siano esse tragicommedie come Il Cavaliere amico e la Doride, siano i cosiddetti dram- mi spagnuoli ispirati a Calderon de la Barca, Tirso de Molina, Agostino Moreto, o azioni sceniche di vario tipo.

I1 genio satirico del Gozzi si afferma con qualche successo nel poema eroicomico la Marfisa bizzarra (1761-68), alla radice del quale sta la nostalgia d'una antica e perduta innocenza, il mito lontano d'un mondo grande ed eroico; ma questo tema viene presentato in controluce e dissimulato dietro la decaden- za grottesca (a tratti dolente) delle figure e degl'ideali cavalle- reschi al sopravvenire dei nuovi tempi: i lumi infrangono i sogni di gloria e il disinteresse dei paladini, immiserendo l'ani- mo di quegli esseri favolosi e spesso trasformandoli in borghe- si indaffarati a trar l'acqua al proprio mulino, secondo prin- cipi utilitaristici, e con espedienti non sempre leciti: cosi Carlo Magno si dà a metter gabelle e a curar la persona, Rinaldo esercita il contrabbando. Namo l'usura. Astolfo fa l'inventore di mode, Gano il baro, Bradamante la ,massaia, occupata a liti- gare coi fattori, Marfisa infine, isterica e capricciosa, seguace convinta della dottrina <( illuminata P, legge romanzi moderni, spende patrimoni in vestiti, scarpe, merletti, acconciature, fre- quenta le case da giuoco, s'indebita, frascheggia coi corteggia- tori. Ancora piu triste il destino del gigantesco Morgante, che vediamo oggetto della curiosità del pubblico in un baraccone da fiera. A parte sta Dodone della Mazza, detto il << santo », un sornione contemplatore della scena, controfigura dell'au- tore.

Le Memorie inutili (~ubblicate fra il 1797 e il 1798) ri- .L

sentono della nascita occasionale, ma accanto a parti prolisse e analitiche, in genere impegnate in polemiche personali, hanno pagine ariose nelle quali Carlo rievoca i suoi casi, i suoi umori, i suoi costumi con un distacco che è parso fiabesco ma che piu propriamente risponde a un libero esercizio della fantasia.

LA CRISI LINGUISTICA DEL SETTECENTO

Ci è accaduto diverse volte di accennare all'interesse dei letterati settecenteschi per i problemi della lingua. In verità,

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Arcadia e Illuminismo 95

sin dalla battaglia antibarocca, l'importanza dei fatti linguistici è fortemente sentita, e in funzione antimarinistica vengono ben presto accolti influssi e suggerimenti provenienti dalla vicina Francia, dove il modo di scrivere s'ispirava ai principi di luci- dità, chiarezza e ordine propri del razionalismo. Le discussioni e le sperimentazioni s'infittiscono nella seconda metà del secolo, quando l'estendersi in Italia della cultura francese, di solito at- traverso testi scritti in francese, rendeva particolarmente stimo- lante l'esempio di quel linguaggio lineare e semplice, agile e pre- ciso, graduato nei passaggi logici, intento a percorrere la via piii naturale per esprimere i postulati del pensiero razionalistico, evitando ogni superfluo ornamento o vezzo stilistico, ormai dischiuso a un lessico spregiudicatamente moderno, che finiva col rinnovare anche il patrimonio letterario.

Da una chiara esigenza di aggiornamento è mossa la prosa anticonvenzionale del Caffè, che ha come manifesto la famosa Rinunzia al vocabolario della Crusca (1764), sottoscritta da A. Verri a nome degli altri autori del foglio: essa s'appella al diritto della libertà linguistica, e subordina, come richiede la ragione, le parole alle idee: ogni termine, anche tratto da una lingua straniera, potrà essere utilizzato, se il << giudizio D lo riterrà necessario. Questo << giudizio », invocato dal Verri per evitare capricciosi e ingiustificati mutamenti nel tessuto nor- male della lingua, opera generalmente presso tutti gli scrittori italiani. Ma se il toscanesimo tre-cinquecentesco non cessa di esercitare la sua attrazione e offre ausili soprattutto lessicali (si ricordi la distinzione barettiana tra lingua e stile), non v'è dubbio che la prosa del secondo Settecento, anche per opera del sensismo che introduceva una forte carica emotiva nel- l'apparato neutro del discorso << filosofico » (di piii influirà sulla poesia), presenta uno spostamento molto notevole rispetto alle '

precedenti abitudini linguistiche, e si articola essa stessa in diversi livelli secondo il peso che le nuove idee esercitavano sulla coscienza dei vari scrittori.

I1 dibattito linguistico, che interessò un po' tutti i princi- pali letterati dell'epoca illuministica, da Algarotti a Bettinelli, da Baretti ai Verri a Beccaria, diventa centrale in Melchiorre Cesarotti. Nato a Padova nel 1730, il Cesarotti fu professore di greco ed ebraico nell'università della sua città, ma s'intese anche di filosofia antica e moderna. Mori nel 1808. Con il Dro- blema della lingua ebbe per la prima volta a che fare quando intraprese la traduzione in italiano dei poemi ossianici (1762- 1772). Nel Discorso introduttivo alla seconda edizione notava:

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96 letteratura itoliano

Io non avea per istrumento della mia fatica che una lingua felice a dir vero, armoniosa, pieghevole forse piu di qualunque altra, ma assai lontana [...l dall'aver ricevuto tutta la fecondità e tutte le attitudini di cui è capace, e per colpa de' suoi adoratori eccessi- vamente pusillanime.

I n armonia con i toni grandiosi e malinconici dei canti di Ossian (che il Cesarotti, con qualche esitazione, riteneva au- tentici), con quelle pittoresche fantasie gravide di arcane pre- senze - leggiamo ancora nel Discorso preliminare:

Ossian è i1 genio della natura selvaggia: i suoi poemi somigliano ai boschi sacri degli antichi suoi Celti: spirano orrore, ma vi si sente ad ogni passo la Divinità che vi abita

- il traduttore foggia un linguaggio orig!'nalissimo, trova un timbro musicale e lirico di singolare potenza evocativa, soste- nuto anche dall'abilissima utilizzazione del metro sciolto e degli altri metri liberamente adattati al giuoco vario dei sentimenti. Cosi la traduzione delle poqsie ossianiche schiude l'area lette- raria settecentesca a una sensibilità che non parrà irragionevole definire --come del resto anche altre produzioni di questo periodo.- anticipatrice del romanticismo.

Le oDere successive non smentiscono auesta s ~ i n t a . auasi , * ansiosa d'altra temperie spirituale, ma mostrano un Cesarotti ~ i u attento a conciliare antico e nuovo. A ~ r o ~ o s i t o della sua

L L

fatica maggiore, il Saggio sulla filosofia delle lingue applicato alla lingua italiana (1785; due edizioni successive del 1788 e del 1800 non recano modifiche o aggiunte ~ostanziali al testo), egli scriverà a Galeani Napione:

Io m'era prefisso di toglier la lingua al despotismo deli'autorità e ai capricci della moda e dell'uso, per metterla sotto il governo legittimo della ragione e del gusto.

Governo legittimo, cioè secondo natura, ugualmente lonta- no dalla superstizione e dalla licenza, disposto a concedere, in fatto di lingua, una temperata e giudiziosa libertà >>. Ed è davvero notevole l'impegno del Cesarotti nel tenersi fedele a questo criterio di ragionevole libertà », nell'accettare gl'in- segnamenti dei grandi modelli senza porsi in contrasto col ri- sveglio culturale implicante l'ammoderiiamento dei mezzi di comunicazione linguistica.

Concetto fondamentale dell'opera è che le lingue non co- noscono « nobiltà in cuna n o privilegi di nascita, essendo fatti

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Arcadia e Illuminismo 97

storici, espressioni dell'individuo che parla, e atteggiandosi quindi secondo la vita di quell'individuo. Tutte le lingue. e in particolare quelle scritte, compimento delle parlate a un grado di superiore fecondità e schiettezza, si rivelano suscet- .tibili di miglioramento ma anche esposte a corruzione, e si sviluppano seguendo il consenso della maggioranza e il diveni- re dello spirito umano. Nulla quindi si oppone all'uso di vo- caboli importati da un'altra lingua, se corrispondenti a idee necessarie che in Italia non hanno nome. Del resto le scoperte scientifiche, le comunicazioni piu rapide, la stampa, la diffu- sione dei lumi, la caduta dei pregiudizi nazionalistici hanno

' abbattuto le barriere tra popolo e popo l~ :

l'Europa tutta nella sua parte intellettuale è ormai divenuta una gran famiglia.

Se non fosse la resistenza del « genio grammaticale P, gli Europei parlerebbero già un unico comune linguaggio. Idee avanzate e ardite; ma il Cesarotti al quale le nostre lettere devono di pi6 è il traduttore di Ossian, non il teorico della lingua (poco dicono i poemi la Pronea e la Morte di Ettore); quei versi contenevano uri ricchissimo corredo di suggerimenti espressivi e di moduli ritmici al qual:: si rifecero minori e grandi, della generazione contemporanea ,D successiva, sino al Leopardi.

Dissente dalla posizione del Cesarotti, accusata di eccessivo « tollerantismo P, Gian Francesco Galesni Napione, storico e critico torinese (1748-1830), che nella sua opera piu nota, il trattato Dell'uso e dei pregi della lingua italiana (1791), di- fen~dendo la lingua italiana contro gli usi dialettali ed esaltando la sua ca~acità di servire anche alla divulnazione scientifica. si " lascia poi trasportare dallo spirito nazionalistico e respinge le invadenze di t i ~ o francesizzante in nome di un rimato non tanto metafisico, quanto naturale (effetti del clima, dell'indole, del carattere morale) e storico (raggiunta maturità) concesso al nostro linguaggio. Occorre però aggiungere che il Galeani Na- pione non si mantiene in atteggiamenti troppo rigidi, e ricono- sce il positivo apporto dei dialettalismi alla lingua comune:

i dialetti a guisa delle piante e degli animali lasciati in balia della natura, hanno sempre una certa maschia energia e vigorosa mossa, di cui mancano alcune volte le lingue troppo limate e troppo culte dall'arte. Ora, ciò posto, cotesti vocaboli e modi di dire, quando intesi sieno da tutta Italia, quando sieno espressivi, armo-

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98 IJ letteratura i~aliana

niosi e calzanti, e perché non saranno ammessi nel comune erario della lingua italiana?,

cosi come si oppone alla funzione egemonica del toscano

LETTERATURA MINORE: TEATRO, SCRITTI AUTOBIOGRAFICI E

SCIENTIFICI, RACCONTI DI VIAGGI

I1 teatro del secondo Settecento si identifica essenzialmente con Goldoni e Alfieri. Gli altri autori appartengono a una di- mensione artistica di gran hnga minore. Abbiamo già parlato di Carlo Gozzi e del Galiani. Un certo rilievo dovremo dare, non foss'altro che per ragioni culturali, a Pietro Chiari (Bre- scia 1711-1785), che compose, in concorrenza col Goldoni e poi col Gozzi, alcuni lavori (Marianna o sia l'orfana; L'orfano perseguitato, ramingo, riconosciuto; La schiava cinese; Le so- relle cinesi; La vendetta amorosa; eccetera), nei quali rivela, piii che virtii artistiche, doti di sperimentatore pronto ad asse- condare il gusto del pubblico. Fiacco anche il tentativo di Ap- piano Buonafede (Comacchio 17 16 - Roma 1793) rivolto a ri- formare il teatro in senso ideologico con le Commedie filosofi- che, mentre nel campo del melodramma piii felicemente opera il livornese Ranieri de' Calzabigi (1714-1795), librettista del Gluck (Orfeo e Euridice, Alceste, Parida ed Elena), sosteni- tore d'intrecci semplici risolti in purezza di disegno neoclas- sico, con qualche sfrangiatura lirico-patetica. Va pure ricordato Lorenzo Da Ponte (Ceneda 1749 - New York 1838), che forni alcuni testi (Nozze di Figuro, Don Giovanni, Cosi fan tutte) al genio musicale di Mozart.

Nel farraginoso accumulo di scritti narrativi che il secondo Settecento offre al volenteroso lettore due forme si distinguo- no per piii specifiche connotazioni artistiche: la memorialistica e il racconto di viaggi.

La letteratura autobiografica, dopo gli esempi del Vico e del Giannone (tacendo naturalmente di Goldoni e Alfieri), pur non trovando eccezionali interpreti, risponde a un gusto assai diffuso di ricognizione curiosa entro vicende personali e am- bienti sociali, cui forse non è estraneo il richiamo illuministico a esplorare gli aspetti veritieri e primitivi della natura umana. Cosi, accanto alle prove ormai ottocentesche e assai meno indi- cative del già citato G. Gorani (Mémoires pour servir à l'histoi- re de ma vie, 1806-07), di Filippo Mazzei (Memorie, compo- ste tra il 1810 e i1 1813, pubblicate postume nel 1845-46) e

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Arcadia e Illuminisrno 99

Lorenzo Da Ponte (Memorie, edite per le prime quattro parti fra il 1823 e il 1827, e integrate da una quinta parte nel 1829- 1830), e accanto alle Memorie inutili del Gozzi, si pongono con una particolarissima fisionomia i Mémoires del veneziano Gia- como Casanova (1725-1798), l'unica cosa che sopravvive di una produzione ingente fra opuscoli, saggi, epistole, aneddoti, libelli, prose romanzesche e rime diverse. Ciò che ancora in- teressa dei Mémoires è la penetrazione con cui il libro sa rap- presentare una precisa realtà sociale nei suoi cangianti riflessi: quella dell'alta borghesia europea orm3i prossima al declino.

Le relazioni di viaggio offrono un quadro forse ancor piu articolato, per alcune infiltrazioni preromantiche che allargano a campi nuovi le esperienze illuministiche e vi infondono una irrequieta vitalità.

È il caso di Vincenzo Martinelli (Montecatini 1702 - Firen- ze 1785), che nelle Lettere familiari e critiche (1758) e nella lstoria del Governo d'lnghilterra e delle sue colonie in India e nellJAmerica settentrionale ( 1776) misura e giudica il mondo contemporaneo a specchio della tradizioile galileiana continuata dall'empirismo inglese, tenendosi nel medesimo tempo su po- sizioni linguistiche di puro toscanesimo, non senza garbo e finezza di osservazioni; di Giovanni Ludovico Bianconi (Bo- logna 17 I7 - Perugia 1781 ), amico e ammiratore di Scipione Maffei, autore delle Lettere sopra alcune pcrticolaritd della Ba- viera ed altri paesi della Germania ( 1763), dove l'uomo di stu- dio e di viaggi, innamorato delle cose d'oltralpe e ammiratore i~n ispecie dei tranquilli costumi tedeschi, infusi di spirito pro- testante, pure non dimentica la patria, con un attaccamento ben lontano da ogni pregiudizio nazionalistico; di Lazzaro Spallanzani (Scandiano 1729 - Pavia 1799). insigne scienziato, fisiologo, naturalista, i cui Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dellJAppennino e gli Opuscoli sopra diversi animali che servono di appendice ai Viaggi alle Due Sicilie (1792-97) de- scrivono con amorosa partecipazione gli a ~ p e t t i tipici del terri- torio italiano in una prosa allo stesso tempo fervida e pacata, d'impostazione scientifica, ma letterariamente sostenuta; di Alberto Fortis (Padova 1741 - Bologna 1803), ben equilibrato nel Viaggio in Dalmatia (1774) tra l'esigenza d'una informa- zione precisa ed esauriente e la sensibilità alle tradizioni, alle an- tiche consuetudini ancora vive nel popolo; di Carlo Castone del- la Torre di Rezzonico (Corno 1742 - Napoli 1796),'poeta-scien- ziato ( I l sistema dei cieli, 1775; Origine delle idee, 1778; Mne- mosine, 1785), filosofo (Ragionamento sulla filosofia del secolo

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X V I I I , 1778), teorico di problemi letterari ed estetici (Discor- si accademici relativi alle belle arti, 1772; Ragionamento sulla volgar poesia dalla fine del passato secolo ai giorni nostri, 1779), ma qui ricordato per il Giornale del viaggio d'Inghilterra negli anni 1787-1788 e per il Viaggio del!a Sicilia e del Regno di Napoli (1793-94), opere vicine, specie la prima, ai modi pittoreschi del neoclassicismo.

Ancora l'Inghilterra e il nord dell'Europa muovono la pen- na di Luigi Angiolini (Seravezza 1750 - San Cristofano 1821) nelle Lettere sopra l'Inghilterra, la Scozia e l'Olanda (1790, ma prive dell'ultima parte relativa all'Olrinda, ~ubblicata po- stuma), dove l'interesse s'incentra su motivi politici e sociali ma si fanno notare anche pagine descrittive di carattere talora << gotico ».

Tutto rivolto invece verso un passato irrecuperabile è il Viaggio in Grecia fatto nell'anno 1794-1 79.5 di Saverio Scro- fani (Modica 1756 - Palermo 1835): le niemorie dell'antica glo- ria si sovrappongono alla visione del presente, del resto nitida e perfino movimentata, in una ritornante suggestione di mito che sa innestarsi, forse per una implicita ansia d'eroico, su una intelligenza ricca e fiduciosa nel progresso.

Non esce infine dai limiti di un resoconto lucido ma scar- samente animato la Relazione di un viaggio a Costan/inopoli (1802; ma il viaggio era avvenuto nel 1788-89) di Giambatti- sta Casti (Acquapendente 1724 - Parigi 1803).

LA LIRICA E ALTRE FORME DI POESIA nEI. SECONDO SETTECENTO

La lirica, dalla metà del secolo in poi, dà l'impressione di una continuità arcadica non ancora interrotta o minacciata da infiltrazioni illuministiche: il nuovo pensiero e il nuovo gusto penetrano con una certa fatica nel regno tradizionale dellJAr- cadia, combinandosi infine con richiami classicistici e sugge- stioni neoclassiche, oltre che con istanze sensistiche, rococò, preromantiche. Questa varia tramatura di motivi, di interessi, di linee stilistiche, rappresenta l'aspetto pifi avvincente della poesia del secondo Settecento, e ne movimenta il panorama e la storia.

Raccoglitore e ripetitore di tutte le esperienze arcadiche è considerato Carlo Innocenzo Frugoni (Genova 1692 - Parma 1768), il quale, nonostante il tardo proposito di conversione

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102 La letteratura itdliand

a ~ ~ r o s s i m a t i v e che ne costituiscono il limite artistico. anche A '

se un'eccezione sembra doversi fare a proposito del Viaggio sul Reno e ne' suoi contorni (1795), dove forme, colori, gusto pittorico, sentimento della natura si fondono in una narra- zione in eenere ben eauilibrata.

Ben dentro al secglo nuovo s'inoltra Iacopo Andrea Vit- torelli (Bassano 1749 - Venezia 1835), l'ultimo degli arcadi, come è stato detto. I n effetti la fedeltà all'Arcadia, innega- bile se si miarda ai temi. è condizionata da una continua frui- " zione di modi neoclassici e da un certo intimo ripiegamento dell'animo su richiami di memoria. Qiiel che di lui ancora piace è la grazia delle anacreontiche a Irene (nelle Rime del 1784) e a Dori, racchiudenti nella breve misura di quattro strofette settenarie un episodio perfettamente compiuto, una mossa di galanteria leggerissima e luminosa, un mesto sospiro:

Non t'accostare a l'urna che il cener mio rinserra: questa pietosa terra è sacra al mio dolor;

una fantasticheria trasognata:

Guarda che bianca luna! guarda che notte azzurra! Un'aura non sussurra, non tremola uno stel;

un'emozione fugace, assottigliata, anche per l'elementarità del- la sintassi e la semplicità della lingua, in pura trama melodica.

Ludovico Savioli Fontana (Bologna 1729-1804) verseggia invece fuori delle finzioni arcadiche, ormai attratto dal traspa- rente disegno e dall'eleganza aristocratica del neoclassicismo. Negli Amori (1758, col titolo di Rime; una seconda edizione accresciuta e parzialmente . ritoccata apparve ne! 1765) egli evoca fedelmente, ma senza acrimonia, anzi con adesione im- mediata e cordiale, quella zona della società settecentesca che sarà poi oggetto della satira pariniana, travestendola (con ap- pena qualche ingentilimento in forme allusive e metaforiche degli aspetti piti realistici) in figure e moduli attinti in larga misura dalla lirica erotica latina. All'agilità e alla freschezza ritmica delle sue poesie contribuisce fortemente il metro (quar- tine di settenari con lo sdrucciolo in sede dispari) che riecheg- gia il distico elegiaco latino e richiede una sintassi scandita su rapporti semplici e rapidi di membri.

Ma sul Savioli, cosi incline al quadretto, al tratto miniatu-

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Arcadia e Illuminismo 103

ristico dove il sentimento si libera da ogni frangia patetica e vive in eburnea levità, ha soprattutto influito la pubblicazione delle Antichità di Ercolano (i1 primo degIi otto volumi usci nel 1757), che riproducevano in nitide incisioni esempi d'un classicismo piu grazioso che austero e so!enne; cosi come non è rimasto inattivo nei suoi confronti il gusto rococò per la squisitezza minuta, per la gemma, per il cammeo: tutta una serie di spinte e suggestioni a contenere i moti dell'animo in profili puri, in segni tenui, in immagini brevi e perfette ( A V e - nere, Il passeggio, Il mattino, All'amica che lascia la città, La notte, All'amica gelosa, e anche !a canzone Amore e Psiche scritta nel 1759, ma inclusa negli Amori assai piu tardi, nel 1782).

È questo, come s'è detto, il periodo in cui nasce e si dif- fonde il neoclassicismo, concezione estetics ispirata a ideali di armoniosa bellezza, suprema calma interiore, felice equiIibrio tra le passioni, gli stessi ideali che sembrzvano aver prodotto le perfette opere degli artefici greci, secondo le teorie del Win- ckelmann (Storia dell'arte antica, 1763 in tedesco; traduzione italiana nel 1779). Era quindi naturale che il neoclassicismo insegnasse a guardare le cose attraverso i moduli e le risolu- zioni formali delle arti figurative e privilegiasse la << visibilità » e i valori plastici rispetto all'impegno drammatico della nar- razione, come risulta evidente nel Savioli, nel Bertola, nel Vit- torelli. Non sempre però questo incontro di elementi figura- tivi col gusto umanistico e le tendenze sentimentali dei tardo- arcadi si manifesta in forme, se non poeti,-amente alte (ciò av- verrà in Parini), almeno vive ed eleganti. Verseggiatori come Clementino Vannetti, Luigi Cerretti, Agostino Paradisi, mo- strano per esempio qualche segno d'irrigidimento nella formula neoclassica. Angelo Mazza (Parma 1741-1817) tempera in parte il suo neoclassicismo di fondo con gli . epporti tema.tici. dei numerosi autori inglesi da lui tradotti (Akenside, Thomson, Parnell, Gray, Pope), orientandosi verso soggetti musicali in genere intonati allo spirito d'armonia che investe e vivifica il creato. In Carlo Castone della Torre di Rezzonico, già ricor- dato per le memorie di viaggi, il gusto neoclassico nutre invece il proposito di restaurare un'alta didascalica, una severa poesia dottrinale ( I l sistema dei cieli, 1775), poco propensa perciò a modi descrittivi e divulgativi.

Un innesto in certo modo felice di sencibilità settecentesca (talora preromantica) nelle immagini della poesia classica si ha con i Versi (1802) di Francesco Cassoli (Reggio Emilia

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1749-18 12), notevoli per animazione ritmica e fervore di ideali: i motivi piu comuni dell'eredità arcadica e della moderna civiltà illuministica, fusi con gli echi delle odi oraziane, danno voce alla generosa coscienza del poeta e ne rivelano l'intimo calore, il bisogno di fraternità, il senso d'una solitudine medi- tabonda, la commozione per l'infinità e hellezza del creato.

Altro oraziano è Giovanni Fantoni (Fivizzano 1755-1807), ma il suo disegno di gareggiare in termini moderni col mo- dello antico non approda a risultati apprezzabili proprio perché nessun punto di contatto si verifica tra l'imitatore e l'imitato, sicché il lavorio del Fantoni rimane troppo spesso al livello di una pura riproduzione.

Pifi vigorose linfe illuministiche penetrano nella tradizio- nale struttura del poemetto gnomico-didascalico, dopo una fase ancora sostanzialmente umanistica e arcadica rappresen- tata da. alcuni componimenti minori, come Il canapaio ( 174 1 ) di Girolamo Baruff aldi (Ferrara 1675 - Cento 1755), Le fra- gole (1752) e Le perle (1756) di Giambatiista Roberti (Bassa- no 1719-1786), I1 baco da seta (1756) di Zaccaria Betti (Ve- rona 1732-1788), La coltivazione del riso (1758) di Giambat- tista Spolverini (Verona 1695-1762), Della coltivazione de' monti ( 1778) di Bartolomeo Lorenzi (Verona 1732- 1822).

L'intento scientifico-divulgativo e il giisto dell'eleganza let- teraria s'incontrano e fondono, ma con rTsultati spesso rnedio- cri, nelle opere di . Giuseppe Colpani (Biescia 1739-1822), i1 poeta del Caffè, a,mico dei Verri e del Eeccaria, ammiratore di Voltaire e Fontenelle: La jilosofia, Le comete, 1'Emilia o l'edu- cazione delle donne, La toletta, II commercio (quest'ultima d'intonazione antipariniana). Col Cicerone (1755-74) di Gian Carlo Passeroni (Condamine di Lantosca 17 13 - Milano 1803) s'afferma invece una misura di pacato, quasi casalingo buon senso, diluita però in un testo prolisso e disordinato, dove la biografia dell'antico latino serve di pretesto a una folla di di- gressioni e riferimenti episodici ai costumi contemporanei.

I1 prodotto piu noto di questo filone gnomico si ha con L'invito a Lesbia Cidonia ( 1793) dell'illustre scienziato Lorenzo Mascheroni (Castagneta 1750 - Parigi 1800), professore di elo- quenza e successivamente di filosofia e matematica a Bergamo e quindi di algebra e geometria all'università di Pavia. Nel- l'Invito sono descritti in endecasillabi sciolti il Museo di sto- ria naturale, il teatro di fisica, la biblioteca, il teatro d'anato- mia umana, l'orto botanico dell'università di Pavia. Il pregio dell'opera sta nella sintesi quasi sempre felice tra l'ardua ma-

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teria e l'espressione aulica, tra le conquiste piii avanzate del progresso scientifico e la nobiltà della pcirola classicheggiante chiamata a celebrarle.

Fanno parte d'un genere che ebbe molta fortuna, segna- landosi per sincero impegno morale e per il buon senso con cui bilanciavano i pàradossi dei filosofi e le follie degli uomini, le Favole e novelle ( 1782) di Lorenzo Pipnotti (Figline 1739- Pisa '1812), autore anche dei poemetti LJ tomba di Shakespeare ( 1799) e La treccia donata ( 1808), quest'ultimo a imitazione del Pope. Fine educativo hanno del pari le Favole ( 1795; poi, in edizioni arricchite, 1802 e 1807) di Luigi Fiacchi detto Clasio (Scarperia nel Mugello 1754 - Firenze 1825 ), avvivate da un sottile spirito e da una riposta arguzia, dove forse è da vedere il riflesso di lunghe meditazioni filosofiche risolte in saggezza disillusa, sebbene non priva di speranze ultraterrene.

A persone, fatti, situazioni dell'ambiente europeo visto sotto il profilo politico-sociale si rivolge la produzione del già citato Giambattista Casti, scrittore assai fertile e vario, che negli Animali parlanti (1802), satira di tipo esopiano con ri- flessi di La Fontaine, sulla traccia del messaggio illuministico, morde il malcostume e i pregiudizi della società francese tra assolutismo monarchico declinante e sorgenti forme repubbli- cane. Del resto anche prima, nei Tre giulii (1762), nelle No- velle galanti (1790) e nel Poema tartaro (1797), la vena sati- rica del Casti aveva avuto modo di sprigionarsi entro i modi di una letteratura aggressiva, spregiudicata, anticonformistica, stilisticamente tuttavia ancora grezza, mentre a una materia erotico-galante piegavano le Poesie liriche (1769).

Tra il Sette e l'ottocento si sviluppa l'attività letteraria di Ippolito Pindemonte, nato a Verona nel 1753 e ivi morto nel 1828. Fu autore di odi, versi, tragedie, poemetti, sermoni, romanzi, ma poche cose sopravvivono di lui, e queste mede- sime sempre su un piano modesto e discorsivo, direi piutto- sto ragionato e culturale che lirico, tanto da farsi notare in modo precipuo solo per certe scoperte suggestioni preroman- tiche, per certe venature ormai vistose di sensibilità not- turna » e malinconica. Già nelle Poesie campestri (1788), dominate dal tema della quiete, della solitudine, del silenzio, residui prosastici, disagi espressivi, imptirità ritmiche aggra- vano il testo. Anche l'ode La melanconia. della quale si cita comunemente una strofetta, quasi a fissarvi il centro dell'ispi- razione pindemontiana,

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letteratura italiana

Melanconia, ninfa gentile, la vita mia consegno a te. I tuoi piaceri chi tiene a vile, ai piacer veri nato non è,

ha di questi imlpacci e inciampi. Certo, nel complesso, le Poe- sie campestri sono una tappa importante nell'itinerario della poesia settecentesca, a patto che non vi si cerchi se non l'espres- sione d'un gusto tenue e idilliaco, d'una mestizia tenera e con- solatrice.

Maggiore densità e alacrità di tratti e moti hanno le Prose campestri:

Qual folla di sensazioni e d'idee, di rapimenti e d'affetti! Quante cose, che io credea dimenticate per sempre, or m'appariscon di nuovo, si riuniscono tutte e mi stanno innanzi alla mente, che si maraviglia di rivederle!

Le descrizioni, cosi frequenti, vi sottintendono quasi sem- pre la coscienza d'una rinnovata vitalità, d'un prodigioso ri- torno alle origini, completata dalle gioie di un'immaginazione non frenata da cognizioni scientifiche, dalla indefinitezza delle prospettive che invita la mente a un dolce smarrimento.

Sui Sepolcri (1807) grava l'inevitabile confronto col carme foscoliano. Ma prescindendo da un insostenibile parallelo, i versi del Pindemonte, con tutti i loro limiti, danno un'altra prova di quel confluire di tendenze neoclassiche e preromanti- che che sembra essere la piu feconda inatrice della poesia

fin de siècle o. A sé sta la traduzione dell'Odissea (1822)) che è cosa no-

tevolissima per schiettezza di linguaggio, forza ritmica, calore di reinvenzione poetica.

Per quanto riguarda la poesia dialettale, ci limiteremo qui ai nomi del Balestrieri, del Tanzi e del Meli.

Domenico Balestrieri (Milano 1714-1780), amico dei Verri, del Parini, del Baretti, fra i restauratori dei Trasformati, si pose sulla via segnata dal Maggi, ma la sna tranquilla moralità non gli consenti di approfondire gli aspetti della vita o le ra- gioni degli umani affetti; perciò pur rivolgendosi contro la fu- tilità del secolo, la moda versaiola, l'ostentazione delle ricchez- ze, la scarsa intimità religiosa, non andò al di là di uno spas- sionato esercizio letterario (Lagrime in morte d'un gatto, 1741;

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Arcadia e Illuminismo 107

Rimm milanes, 1744; traduzione in milanese della Gerusalem- me liberata, 1772; scelta di Rime toscane e milanesi, 1774-79 ).

Carl'Antonio Tanzi (Milano 17 10-1762), anch'egli socio dei Trasformati e ben accetto nella cerchia dei piu alti ingegni milanesi, erudito e poeta dialettale e in lingua (Alcune poesie milanesi e toscane, stampate postume nel 1766), dipinse con accenti di serietà e con mano messo felice auel mondo nobi- liare decadente e borioso sul quale si affacciava in pari tempo il Parini, e anzi è lecito parlare di qualche trapasso di motivi dall'uno all'altro autore. I1 Tanzi però non si esime dal trat- tare temi piu profondi: si veda il sonetto Par ona monega che piacque al Carducci e che si apre con una mossa severa, dettata dalla meditazione sulla morte inevitabile:

Dent in sta cella, dent in quell lettin, tosa, ona ooeulta o l'oltra hii da mori; e e1 liber e la stolla saran li, oun sora l'olter, su quell tauolin.

Trascurando l'ambiente veneto (ma vogliamo fare il nome di Anton Maria Lamberti, autore tra l'altro della fortunatis- sima Gondoleta) e trasferendoci in Sicilia, v'incontreremo la poliedrica figura di Giovanni Meli. I1 Meli nacque a Palermo nel 1740 e, salvo cinque anni passati nel paesetto di Cinisi, visse in genere nella città natale esercitando la professione di medico. Fu anche professore d i chimica all'università. Mori a Palermo nel 1815.

I1 erio odo in cui il Meli visse fii anche in Sicilia auello del trapasso dallPArcadia, con le connzsse forme di ioesia erotico-galante, a una cultura caratterizzata da interessi scien- tifico-filosofici, sebbene il moto di rinascita spirituale in quel- l'area marginale della penisola si riveli meno alacre e deciso che a Napoli o in Lombardia.

I legami tra la classe intellettuale (che non poteva vantare una gente di toga » attiva e indipendente come a Napoli) e il governo conservatore. erano infatti nell'i~ola cosi stretti da non permettere se non pochi esperimenti autenticamente pro- gressistici. Solo nell'ultimo ventenni0 del secolo si vide qual- cosa di nuovo Der oDera dei viceré Domenico Caracciolo e Francesco d'Aquino, educati alle idee illiiministiche, avversi ai privilegi feudali e desiderosi di ovviare alle arretratezze po- litico-sociali della regione. Col loro favore si diffusero in Sicilia gli scritti piu significativi dei pensatori francesi e inglesi, ma da un lato il contatto con i principi illuministici non generò

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mai un :vero spirito riformatore, dall'altro l'ondata delle nuove idee investi soltanto una piccola pattuglia d'intellettuali ac- canto ai auali ~ersisteva la vecchia aristocrazia culturale di tipo arcadico-accademico.

Fin dal principio il Meli subi un doppio ordine d'influssi: una sincera vocazione all'idillio, un bisogno naturale di ozio letterario e di pace lo portavano a vagheggiare evasioni fanta- stiche in mondi già evocati dalla tradizione letteraria, a mezzo tra il bucolico e l'arcadico: ContemDoraneamente l'interesse ~ - ~~ ~ -

per la << filosofia » lo sospingeva a temi attuali, lo inseriva nella battaglia ideologica contro il dogmatismo, lo rendeva sen- sibile alle istanze sociali piu urgenti e gli traeva dalla penna un linguaggio realistico, già proclive a esiti dialettali o addirit- tura peraali. .. -

Questo dualismo rimane irrisolto e si riflette nei piani te- matici e linguistici delle prime opere, il poemetto in ottave italiane La ragione ( 1762; interrotto), il poemetto bernesco ariostesco in siciliano La fata galanti 11762), le Riflessioni sul mercanismo della natura in rapporto alla conservazione e ripa- razione dell'indiuiduo (iniziate nel 1767), l'altro poemetto ber- nesco IAJorieini d i lu munnu (1768-70). di carattere antimeta- , ,

fisico e influenzato dai filosofi empirici, come da Lucrezio, Ba- cone. Galilei. Telesio. e infine La buccolica. stesa fra il 1767 r il 1787, dove il seAtimento della natura come ideale luogo d'incontro tra istinto, saggezza, volontà morale, si libera in un linguaggio culto e letterario eppure del tutto rigenerato, in duplice dinamico rapporto col toscano aulico e con la .tradi- zione del siciliano illustre.

Le cose migliori della Buccolica sono legate alla forza evo- cativa di alcuni paesaggi, a un pensoso clima d'idillio, a tratti di una melodiosità pacata e malinconica sprigionantesi dalla terra, dalle acque. dalla vicenda delle stagioni, dal ritmo eterno e grave delle cose:

Grà cadevanu granni da li munti l'umbri, spruzzannu supra li campagni la suttili acquazzina; d'ogni latu sr uidianu fumari in luntananza li rustici capanni; a guardii a guardii turnavanu li pecuri a li mandri: parti scinnianu da li costi, e parti, sfilannu da li macchi e rarnpicannu attornu di li concavi vaddati, oinianu allegri ntra I'aperti chiani

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Arcadia e Illuminismo 109

Lo stesso amore si configura nella Buccolica come libera espansione d'un bisogno vitale, come energia che infonde di sé il creato e lo feconda, con frequenti memorie lucreziane, motivi intonati però alla fede nell'innocenza dei sentimenti naturali propria dell'illuminismo:

Dimmi: Forsi fa paura a lu cori to severu un affettu di natura? un amuri finu e veru?

Ah!, mia cara Pasturedda, li Dei giusti ed immortali t'avirrianu fatlu bedda, si I'amuri fussi un mali?

È I'amuri un puru raggiu chi lu celu fa scappari, e ch'avviva pri viaggiu suli, luna, terra e mari.

Questo tema dell'amore si avvicina alla grazia rococò e tardo-arcadica nella raccolta delle Odi e Canzuni, che riprende la comDonente edonistica e il miniaturismo ritrattistico. disse- minato di particolari preziosi, di movenze e civetterie leggia- dre, alla maniera di un Vittorelli, di un Savioli, o anche di un Metastasio e di un Rolli. I1 Meli vi fa sfoggio di una bravura letteraria, di u~na raffinatezza tecnica ancora maggiore che nella Buccolica, e lascia qua e là affiorare qualche accento po- polaresco non dissonante per freschezza e agilità di movenze col tessuto melodico delle parti galanti. Né manca tra rigo e rigo il richiamo alla particolare concezione della vita come ri- poso e tranquillo rifugio in un giro conchiuso di poche e liete opere, che è tratto caratteristico del Meli. In tale spazio si collocano le piu celebri composizioni anacreontiche e le odici- ne di maggior brio, che sanno anche sfoderare con ammiccante malizia qualche punta realistica e qualche allusione sensuale. Ricordiamo L'occhi, Lu labbru, La vucca, Lu pettu, Lu neu, del quale ultimo si citano le due strofette iniziali:

T u felici, tu beatu, 'nxoccu si, purrettu o neu! Ntra ssu pettu dilicatu, oh! putissi staricc'eu!

Ntra ssi nivi ancora intatti comu sedi! comu spicchi!

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La letteratura italiana

Ah! lu cori già mi sbatti, fa la gula nnicchi-nnicchi.

Uguale rapidità di tocco e nitidezza di particolari in Lu non-so-chi, La vuci, La cicala. Si veda il delicatissimo attacco de Lo vuci:

Vola in aria na vucidda cussi grata, cussi linna chi lu cori già ni spinna, duci-duci si nni va.

L'Amurini supra l'ali l'equilibranu suspisa; ora cala ed ora jisa, ora immobili si sta.

La tensione sarcastico-satirica, allentatasi nelle Canzonette e nelle Odi, mira a strutturarsi in una vasta tela narrativa nel poema Don Chisciotti e Sanciu Panza (1785-87), poema so- stanzialmente fallito, sia perché il grande programma riformi- stico della filosofia illuminata, a cui si rifà, non riesce (come non era mai riuscito) a scaldare la fantasia meliana, sia perché l'alternanza di deliri eroici e paciosa boriomia nei due emble- matici personaggi, riflesso di un'autobiografica ambiguità, ri- vela la limitazione (in sede di entusiasmo costruttivo se non di adesione intellettuale) della stessa carica ideologica nella coscienza dell'autore.

Per questo aon meraviglia che la carriera del Meli si chiuda con le Favuli murali (1810-14). ritorno al mito della natura. dell'istinto, e all'obliosa pace dei campi, in seno alla quale l'uomo ritrova la vera saggezza, specchiandosi sul mondo degli animali e rinunciando all'inutile lotta contro i mali della so- cietà: motivo malinconico e deluso. dove si riflette il rim- ~ ~ ~ ~

pianto per una fede perduta e affiora !'inquietudine degli spi- riti sensibili alla crisi dei valori illuministici.

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Parcr seconda

Dal Goldoni ai Romantici di

GIORGIO PETROCCHI dell'università di Roma

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Capitolo quinto

Carlo Goldoni

L'apprezzamento della personalità del nostro maggiore com- mediografo, nella vastità della tematica etico-psicologica e nel- la concretezza delle implicazioni sociali e letterarie, non si svolse nei secoli XVIII-XIX attraverso opposte interpretazioni e bruschi cambiamenti di formule, ma in modo assai lineare, per il tramite di una scoperta sempre piu profonda dei nuovi valori ideali e formali dell'arte goldoniana. È nota la polemica di alcuni ambienti letterari veneziani (dal Chiari al Gozzi e poi al Baretti); Carlo Gozzi, ad esempio, nella Tartana degl'influssi per l'anno bisestile 1756 chiamò Goldoni logoratore di pen- ne » e autore di e poetiche trivialità e bestialità », osservando che al teatro del suo concittadino difettavano tre elementi fondamentali: un'idealità poetica alta e nobile che trasfigu- rasse i fatti, non li raccontasse semplicemente; la disciplina ar- tistica, evidente nella scrittura scorretta e corriva, scevra di impegnati intendimenti stilistici; un elevato senso morale, per la mancanza quasi sempre assoluta di una netta distinzione tra virtu e vizio. I1 Baretti. nella Frusta letteraria. rincarò la dose, ritenendo il Goldoni ;n pervertitore del gus;o pubblico, un uomo che confondeva il vizio con la virtu, utno scrittore senza esperienza letteraria e senza una vera vocazione artistica (la « barbarie della lingua »).

Occorre giungere al De Sanctis della Storia della lettera- tura italiana per avere una valutazione piu concreta e giusta, là dove. non entusiasmandosi alla comicità di certe scene. co- me avevano fatto alcuni critici successivi al Baretti, cercava piuttosto di interpretare il nucleo artistico dell'opera goldo- niana, consistente nella grande precisione realistica con la qua- le il commediografo evocava fatti e uomini che trovava dinanzi a sé. Scrive il De Sanctis: Con questo temperamento piu di spettatore che di attore, mentre gli altri operavano, Goldoni

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114 La letteratura italiana

osservava e li coglieva sul fatto. La natiira bene osservata gli pareva piu ricca che tutte le combinazioni della fantasia. L'arte per lui era natura, era ritrarre dal vero. E riusci il Galileo della nuova letteratura ». Insomma, il De Sanctis rivalutava l'osservazione della realtà, studiata in tutte le sue particola- rità; soggiungeva: <( Ciò che nel Goldoi~i rimane, è quel mon- do interno della commedia tolto dal vero e perfettamente svi- luppato nelle situazioni del dialogo. I1 centro del suo mondo è il carattere. E questo non è concepito da lui come i in aggre- gato di qualità astratte, ma è colto nella pienezza della vita reale, con tutti gli accessori D. Quasi negli stessi anni il Car- ducci giungeva per vie diverse ad una conclusione non molto dissimile dal giudizio desanctisiano: il realismo come elemento fondamentale dell'arte goldoniana. Ma il Carducci diede molto rilievo alla bonaria saeeezza dell'artista. alla sua vena comica "- che gli consente si di rappresentare la realtà a ~ o s i come essa è D, ma di non aggiungervi sopra nessun tiigliente giudizio mo- ralistico: <( I1 Goldoni, borghese, fotografa, artisticamente in- differente, la borghesia qual era », scriveva nel Parini maggiore, e altrove (nel Rinnovamento letterario irz Italia) parla di un passaggio nel teatro goldoniano dai contorcimenti dell'affan- nosa grandiosità spagnuola agli specchiamenti nel classicismo regolare di Luigi XIV ».

Carlo Goldoni nacque a Venezia il 25 febbraio 1707, da un medico che vantava titolo nobiliare di conte, Giulio Goldo- ni, e da Margherita Salvioni. Aveva nel sangue la passione per il teatro, ché di teatro, sia pure per semplice diletto, si erano interessati il nonno (il notaro Carlo Alessandro, modenese) e il padre. Trascorse i primi anni a Venezia, per poi raggiungere il padre a Perugia (1716), dove questi era andato ad eserci- tare la professione di medico; e a Perugia Carlo studiò gram- matica e retorica presso il collegio dei Gesuiti; nella città um- bra Carlo esordi come attore recitando una parte femminile nella Sorellina di Don Pilone del Gigli. Quattro anni dopo, allorché i1 padre si trasferi da Perugia J Chioggia, il Goldoni fu messo in casa di un amico, a Rimini, dove studiò filosofia e teologia con un padre domenicano, ma assai piu appassionan- dosi alle recite dei comici. Nel 1720 calcava le scene a Rimini la compagnia comica di Florindo dei Maccheroni, e il giovane

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Dal Goldoni ai Romantici 115

studente stringe amicizia con le attrici veneziane di Florindo; quando la compagnia parte (1721) in barca da Rimini per re- carsi a Chioggia, troppa è la tentazione per il tredicenne Carlo: messa da parte la Summa di san Tommaso, se ne torna a casa in barca con gli attori: lo racconterà egli stesso in una pagina giustamente famosa delle sue memorie.

A Chioggia rimase per qualche tempo, riavvicinandosi ai suoi familiari; ma ben presto ritornò a Venezia, dove fece pratica nello studio d'avvocato dello zio, Giampaolo Indric. Ma anche qui poco imparava; onde fu messo al collegio Ghi- slieri di Pavia (1723), dove stette tre anni, studiando diritto civile e diritto canonico, ma sempre dedito con entusiasmo a coltivare il teatro: scrive canovacci per commedie, abbozzi di scene, farse, anche satire. E fu appunto una satira contro le ragazze pavesi, il Colosso, a procurargli l'espulsione dal colle- gio. Quando ritorna a casa (1726), il Goldoni sa ormai qual è la sua vita: non è quella della giurisprudenza, ma quella del teatro. Per aualche temDo sta ancora col ad re: a Udine (dove stampa alcuni sonetti religiosi, Il quaresimale in epilogo), a Gorizia. a Lubiana. a Graz. a V i ~ a c c o (ove mette in scena una commeiia per burattini del ~a ; t e l lo , LO starnuto d i Ercole), poi viene mandato di nuovo a concludere i suoi studi di legge, e questa volta è scelta l'università di Modena; ma il fastidio che gli mettono addosso i pesanti volumi di diritto è cosi forte, e tanto acuta la nostalgia della bella vita veneziana, che Carlo pensa di troncar tutto, e codici e commedie, e d i farsi frate. Idee malinconiche che durano poco: presto è richiamato a Venezia, e può di nuovo riprendere la vita che tanto gli piace. Ma sente entro di sé che deve DUr trovarsi un'occu~azione che gli consenta di vivere indipendente dall'ambiente familiare; di modo che tenta la via delllimpiego pubblico: è cancelliere aggiunto alla cancelleria criminale di Chioggia (1728-29), poi coadiutore a Feltre (1729-30), al seguito del podestà Paolo Spinelli; qui egli si fa ammirare (per l'abilità con cui inscena spettacoli teatrali, recitati da compagnie che forma egli stesso con attori raccogliticci; e cosi rappresenta due intermezzi: Il buon padre e La cantatrice, incunaboli del futuro teatro di carattere e d'ambiente.

È però costretto dalla morte del padre (1731) a ritornare a Venezia; riprende a studiare giurisprudenza e riesce infine (1732) a conseguire la laurea nell'università di Padova. Ma scarsa è la fortuna con cui esercita la professione (di questo periodo è un dramma per musica, l'Amalasunta), ed è costret-

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116 La letteratura italiana

to a trasferirsi per qualche tempo a Milano, dove scrive una farsa a due personaggi, Il gondoliere veneziano ossia gli sde- gni amorosi, stentato preannuncio di quello che sarà uno dei temi dominanti dell'arte goldoniana: la ra~~resentazione del " L .

costume del popolo veneziano. Dopo vari mesi di vita erra- bonda nell'Italia settentrionale (nel 1736 segue a Genova la compagnia di Giuseppe Imer e ivi sposa la devota Maria Nico- letta Connio), rientra a Venezia, dove la sua attività per il teatro si fa stabile per l'impegno, che assume con Michele Grimani, di scrivere una serie di commedie da recitarsi nei teatri di lui. Ed ecco il Belisario (1734), accompagnato da al- tre tragicommedie di pretto gusto corrente: poi la prima ope- ra di un certo rilievo artistico. il Momolo cortesan (1738). in parte a soggetto, successivamente tutta scritta coi titolo L'uomo di mondo, seguita l'anno dopo dal Momolo sulla Brenta (poi chiamato Il prodigo), indi da Il mercante due volte fallito ( o La bancarotta, 1741), da La donna di garbo (1743), da Il servitore di due padroni (1745), seguito da Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato e dal Tonin bella gra- zia (o Il frappatore). I1 gusto artistico si va profilando, anche se gli schemi narrativi e psicologici sono ancora quelli della commedia di carattere, e fitto è l'influsso delle parlate e della mimica della Commedia dell'Arte. Tuttavia si fa sempre piu strada nella mente del drammaturgo l'idea di apportare una radicale riforma alla commedia tentando di togliere al teatro comico la sua superficialità e addirittura rozzezza psicologica e l'eccessiva semplicità dell'impianto narrativo, che gli veni- vano dai comici dell'Arte. L'intento riformatore è gradual- mente effettuato non soltanto ritornando alla commedia tutta scritta, ma cercando di migliorare, anzi rendere stabili, i rap- porti tra lo scrittore e il pubblico, offrendogli uno spettacolo preciso, concreto, senza estrosità inutili, che procedesse secondo linee narrative e psicologiche ben precise con un suo esordio, una sua azione, un suo epilogo a sfondo moralistico, una strut- tura complessiva di piu solido impianto e di tanto maggiore compattezza stilistica.

Anche quando i contenuti e i personaggi si mantengono quelli tradizionali della Commedia dell'Arte, il Goldoni non si limita ad un'opera di superficiale ammodernamento, secondo le mutate esigenze degli spettatori, ma sottopone i canovacci e i tipi delle maschere alla sua serena e acuta disami,na: 1'Arlec- chino del Servitore di due padroni è personaggio rinnovato profondamente, è uno scaltro popolano della ricca Venezia di

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Dal Goldoni ai Romantici 117

metà Settecento; Pantalone è l'emblema della saggezza e deila serieth dei borghesi e dei mercanti, consapevole dei propri do- veri d'onesto cittadino e di padre di famiglia, ragionatore av- veduto e oculato amministratore del proprio benessere finan- ziario, in contrapposizione a tipi di parassiti e oziosi, soltanto intenti (si pensi alla trilogia sulla Villeggiatura) al divertimen- to futile e ai capricci. Ed è attraverso l'affinamento di queste o d'altre maschere e l'umanizzazione di personaggi un tempo stilizzati e convenzionali, che il Goldoni porta avanti il suo vasto panorama di figure e d'ambienti, s'avvicina alla menta- lità del pubblico e l'intende ed esprime integralmente, indica una soluzione del futuro sociale della sua Venezia nel senti- mento del dovere e della onestà verso tutte le classi, insomma fa del suo teatro ben piu che uno specchio dei contrasti e delle idealità della società in cui vive, piuttosto un messaggio d'or- dine e di saviezza da diffondere attraverso il mezzo piu adatto, rapido, incisivo d i quei tempi: il teatro (non quello musicale, piii evasivo perchc? affidato alle onde del canto; non la trage- dia. su un alto e solenne ~iedistallo: ma la commedia d'am- biente e di carattere, la sua commedia).

La riforma goldoniana combatte sia i preziosismi formali dei commediografi precedenti, ispirandosi ad un'arte imme- diata e a contatto con la vita (dove << le classi borghesi, e piu tardi quelle popolari, potessero entrare non piii oggetto di riso, ma soggetto di una rappresentazione cordiale D dice il Petro- nio), sia le volgarità, le buffonerie, le stranezze in cui i comici del suo tempo avevano fatto scadere quella Commedia del- l'Arte. che Dure aveva avuto tanta vitalità tra il '500 e il '600. Tutto ,ciò si risolve in uno studio dei caratteri umani, e della vita nella sua << verità »: da ciò la necessità di eliminare auei tipi fissi, convenzionali, caricaturali, che erano rappresentati nel teatro comico dalle maschere: come Brighella, Colombina, Rosaura eccetera. I1 Goldoni vi provvede progressivamente, mantenendo nelle prime fasi deila sua riforma una o piu ma- schere, cosi come componeva scenari con una o piii parti scrit- te; e solo una volta (1742) si decise a scrivere, d'una com- media, l'intero apparato di scene e dialoghi. È il caso de La donna di garbo, di cui tuttavia è andato perduto il testo ori- ginario (ciò che noi possediamo è una rirlaborazione succes- siva si da non consentirci un giudizio sicuro sulla forma della stesura dialogata). I1 successo riportato dalla Donna di garbo lo spinge ad accettare un impegno col capocomico Gerolamo Medebac: scrivere esclusivamente per la sua compagnia, che

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recitava al teatro Sant'Angelo. L'impegno durerà dal 1747 al 1753, e sarà sostituito poi da un altro con i fratelli Vendra- min del teatro San Luca dal 1753 al 1762, piu lungo e an- cora piu fortunato.

Incessante, varia, fertile è in questo quinquennio l'atti- vità dello scrittore al quale pubblico e letterati cominciano a tributare successi su successi: bi va da La vedova scaltra e da La putta onorata (1749) a La buona moglie (sempre nel '49); ma anche principiano, come è inevitabile, le lotte e gli attacchi. I1 primo a scatenare la polemica è Pietro Chiari, un altro com- mediografo reso malevolo da gelosia di mestiere, e interes- sato ad acca~arrarsi il merito d'aver riformato il teatro comi- co; e ad ogni successo del Goldoni intende contrapporre un eguale successo su argomento affine. Dinanzi a questa offen- siva il Goldoni vuole sbalordire il pubblico e sconfiggere gli avversari promettendo nel 1750, per la successiva stagione teatrale, sedici commedie nuove, e annuncia la solenne pro- messa durante la prima rappresentazione della Famiglia del- l'antiquario. Le sedici commedie vengono scritte e recitate; tra queste Le femmine puntigliose, La finta ammalata, L'av- vsnturiero onorato, I pettegolezzi delle donne, Il vero amico e soprattutto notevoli La bottega del caffè, Il bugiardo, la Pamela, che è la prima commedia priva totalmente di maschere. Non pago dello sforzo, il Goldoni insiste in una produzione senza sosta: La locandiera (17531 e il Camviello (17561 sono le due tappe piu ragguardevoli di questo periodo, che si suo1 chiamare terza fase dell'opera goldoniana (dopo la fase giova.. nile, e quella di preannuncio del Momolo e della Donna di garbo), e che vanta altre opere di sicura fattura tecnica: La serva amorosa (1752) , La sposa persiana (1753), 11 filosofo di campagna ( 1754), Le donne di casa soa ( 1755). Ormai il gran- de commediografo ha volto le spalle alla tradizione teatrale italiana, e totalmente nuove sono le sue soluzioni: il moralismo, dapprima astratto e schematico, s'è ora calato negli uomini, venandosi di bonaria indulgenza e di sorridente sentimentalità; il linguaggio va perdendo a poco a poco la sua originaria forma impacciata e letteraria, per divenire aderentissimo alle esigenze del dialogato scenico, adeguarsi maggiormente alle esigenze della lingua viva, propiziarsi ogni apporto della mimica e del dialetto.

Prende inizio una quarta fase, dove il Goldoni raggiunge le vette della sua arte, restaurando e rinnovando i vecchi te- mi di carattere (Le morbinose, felicemente centrata sul brio

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scherzoso di Marietta e delle sue amiche: commedia scritta probabilmente prima in dialetto e poi recata in lingua, rappre- sentata nel 1758; Gli innamorati, del 1759, d'abile tramatura scenica; I morbinosi, sempre del '59, e qui il a morbin » è di uomini scaltri e burloni), ma soprattutto si volge al vecchio mondo conservatore e tradizionalista della borghesia venezia- na, ed ecco I rusteghi (1760); si volge al mondo femminile, con i suoi contrasti, le sue gelosie, i suoi pettegolezzi: la Casa nuova (1760); alla vita del popolo, nei suoi mille desideri e illusioni: le Baruffe chiorrotte (1762); alle costumanze della famiglia borghese, con le sue tradizioni :jra grette, ora gentili, e con i suoi dissensi, talvolta aspri e drammatici, ed ecco il Sior Todaro brontolon (1762). Ma il successo, sebbene gran- dissimo (e occorrerà inoltre ricordare L'impresario delle Smir- ne. Il curioso accidente. La buona madre. il ciclo basato sulla moda della villeggiatura: Le smanie pe; la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura), non è completo; c'è ora un altro avversario, assai piii insi- dioso del Chiari: Carlo Gozzi, che attacca i riformatori sulle gazzette e sul palcoscenico, facendo recitare (1761) nel rivale teatro di San Samuele le sue fiabe, in aperta sfida al Goldoni e al Chiari cui pone contro una nuova versione della Comme- dia dell'Arte e del teatro delle maschere. Tale la favola sceneg- giata Amore delle tre melarance, che, composta e recitata se- condo i modi tradizionali, porta al successo la parodia del Goldoni e del Chiari. I1 commediografo, ormai cinquantenne, amareggiato da queste polemiche, alle q u ~ l i s7associa parte del pubblico che pur non gli aveva risparmiato gli applausi, accet- ta l'invito di partire per Parigi (1762), per dirigervi le recite della Comédie Italienne e si congeda dal suo pubblico con la commossa commedia in dialetto Una delle ultime sere di Car- novale. Nei primi tempi, a Parigi, il Goldoni scrive ancora con vena (ad esempio la trilogia di Zelinda e Lindoro), e nel 1765 fa rappresentare un altro - l'ultimo suo - capolavo- ro: il Ventaglzo. Poi il suo estro si va illanguidendo, ed im- pegna le residue forze nel proposito di cancellare, presso il pubblico parigino, la falsa idea che egli sia il grande conti- nuatore della Commedia dell'Arte. Onde si mette a comporre nell'orbita della tradizione comica francese, soprattutto del Molière, scrivendo in francese: Le bourru bienfaisant ( 177 1, tradotto in italiano da P. Condoni, E. Caminer e dallo stesso autore, ora col titolo de Il burbero benefico e ora con quello de Il burbero dz buon cuore, 1798), e L'avare fastueux (L'uva-

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ro fastoso, 1773). Anche a Parigi gli onori non mancano: è nominato maestro di italiano della principessa Adelaide, figlia di Luigi XV; poi gli viene assegnata una pensione annua; in- fine è nominato maestro di italiano delle sorelle di Luigi XVI, Clotilde ed Elisabetta. E, abbandonato il teatro, lavora alle sue memorie, che vuole scrivere in francese: i Mémoires, pour servir à L'histoire de sa vie et à celle de son thédtre, iniziati nel 1784, e finiti tre anni dopo; sono pubblicati infatti, nel 1787, allorché il vecchio commediografo raggiunge gli ottan- t'anni: la prima parte riprende e sviluppa pagine che erano sta- te inserite nelle introduzioni alle singole opere testuali, e va dalla nascita all'inizio della riforma »; la seconda parte com- prende il periodo dell'attività in Italia; la terza occupa il pe- riodo francese, sino al 1786.

Seguono lunghi anni, drammatici e tristi per l'uomo che aveva celebrato poeticamente la bellezza della vita settecente- sca. I1 suo estro comico è spento (si limita soltanto a tradurre il romanzo Storia di miss Jenny di Maria Riccoboni). I l suo mondo crolla sotto l'incalzare della Rivoluzione francese, e gli storici eventi lo toccano da vicino, se non nella persona, certo nel suo poco benessere, perché l'Assemblea legislativa sop- prime nel 1792 le pensioni di corte. L'ultimo anno è trascorso in assoluta povertà. Egli muore a Parigi i! 6 febbraio 1793 a ottantasei anni, il giorno prima che la pensione gli venisse restituita per la mediazione di Joseph-Marie Chénier.

L'ARTE DEL GOLDONI

Era motivo critico ricorrente che la caratteristica fo,nda- mentale dell'arte goldoniana fosse l'osservazione precisa e fe- dele della realtà; anzi, come ebbe a dire il Carducci, la « foto- grafia » della realtà; e spesso si sono ripetute, sia pure elabo- rate e ritoccate, le osservazioni di fondo che ebbero a muo- vere gli avversari del Goldoni: che nel suo teatro non c'erano alte idealità, che il suo stile era sciatto e corrivo, e che nel- l'animo goldoniano mancava una sicura, netta distinzione tra la virtu e il vizio, tra i pregi e i difetti, tra le bellezze e le perfidie dei personaggi. Ma ,non si può piu affermare che l'arte goldoniana possa risiedere in una visione fotografica della realtà, mentre il commediografo è sempre un critico D che riflette pensosamente sui contenuti umani e sociali che via via effigia; né si può imputare al commediografo poco rilievo pla-

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stico e drammatico nella creazione dei personaggi o nella. loro analisi psicologica, o nella loro posizione nella singola stesura dei testi. La critica ottocentesca era, in questo, sotto l'influsso di un pregiudizio romantico: che siano vivi e vitali i perso- naggi soltanto se si stagliano con vigore e nitidezza sullo sfon- do del palcoscenico umano. D'altronde la scultoreità dei per- sonaggi, come pure la tagliente distinzione tra personaggi po- sitivi e personaggi negativi, tra chi tende al bene con tutte le forze della sua idealità e del suo spirito eroico, e chi è dram- maticamente avvinto nei lacci della perfidia, del tradimento, del vizio, son da cercare nel teatro romantico, non nel goldo- niano. È infatti carattere fondamentale del Goldoni non voler segnare confini troppo netti tra uomo e uomo; « sfumare D e non <( scolpire D; stabilire un clima dove non siano troppo forti le divergenze psicologiche tra personiiggio e personaggio. È propria del Goldoni un'atmosfera prudente, vaga, indecisa, indistinta, dove non si riusciranno a sondare gli abissi del cuore umano (questa è una profonda esigenza del Romantici- smo), ma solo apparentemente ci si limita a rappresentare il vizio e la virtu auasi sullo stesso ~ i a n o . come due necessari ingredienti che formano il sapore della "ita di tutti i giorni. Giacché il Goldoni ha una sua alta idealità; anzi quando egli

parla di questi valori morali e civili s i avverte in - lui un accento di serietà. di convinzione. a volte auasi di intima com- mozione, di 1ieto.entusiasmo D, ha detto incisivamente il Binni, che prosegue: E questi valori che danno sapore ai liberi vincoli dell'amicizia e dell'amore coniugale, acquistano una maggiore consistenza e compattezza storica quando si ricono- scono insieme come valori di una civiltà razionalistica e illu- ministica e di una società borghese e mercantile nel cui seno si formò il Goldoni, e da cui egli riprese tra gli altri il tipico motivo della " riputazione ": reputazione nel campo degli af- fari come reputazione nella scala dei valori morali ed artistici W .

L'estrinsecazione di questi ideali è deputata ad una serie di personaggi, depositari di antiche virtu, contro i quali, o me- glio accanto ai quali vivono figure e tipi « negativi », osser- vati con una curiosità scrupolosa che tredisce una bonaria sorta di vicinanza d'artista ai propri oggetti narrativi.

I1 colloquio tra i vari tipi di personaggio risponde ad una interiore rielaborazione di tempi e ambienti, lungo l'arco di evidenti anche se non profonde e radicali trasformazioni della società borghese di Venezia ed una sempre piu positiva pit- tura della vita popolare, dai farseschi ritratti di servi e di arti-

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giani delle prime << pièces », all'affettuoso panorama delle Ba- ruffe. Tuttavia una rilettura dei testi teatrali non deve Dre- sci'ndere dalla ricerca d'una unità artistica fondamentale, che punti sulla squisitezza del gusto, sulle strutture dell'apparato scenico, sulla sensibilità compositiva di Goldoni scrittore e uomo del teatro, sul suo impegno di elaborare un testo letterario che sia anche portatore d'un parlato » efficace e fluente, giacché, se si osservano con attenzione quelli che sono i capo- lavori, il Campiello, la Locandiera, i Rusteghi, le Baruffe chioz- zotte, il Ventaglio, si noterà che il tono poetico fondamentale di queste omogenee commedie è rappresentato dall'atmosfera generale; un'atmosfera pifi accennata per scorci ed incisi che plasticamente rappresentata; l'atmosfera di un mondo in cre- puscolo: il mondo della vecchia borghesia conservatrice che sta morendo, ma che conserva ancora gusto e interesse per le proprie costumanze sociali, per l'ordine della vita familiare, per il rispetto, per il benessere, per le regole tramandate dai padri. Ma questo costume è in decadenza. Goldoni sa che tutto è in declino, e che egli deve far conoscere, sempre par- lando per bocca dei suoi personaggi, la tristezza di questo cre- puscolo. Amari sono i giudizi sul costume morale in decaden- za, posti sulle labbra dei quattro vecchi « rusteghi »; ché nei Rusteghi è ancora pifi esplicito, rispetto alle altre commedie, il moralismo goldoniano, mai assente, peraltro, da nessuna opera, neppure dalle farse: il Servitore di due padroni, per esempio. In conclusione anche l'opinione che il Goldoni non sappia o voglia distinguere tra bene e male, tra virtfi e vizio, è vera, ma all'interno dei propri personaggi, nelle sue creazioni in atto. Dall'esterno il Goldoni sa aual giudizio farsi del bene

L " e del male, ed ha sempre un metro col quale valutare comples- sivamente i propri personaggi anche quando essi si presentano impastati di sincerità e di ipocrisia, di generosità e di grettez- za. di sanità morale e di disinvoltura. Anzi si #fa scru~olo che il suo giudizio critico non manchi mai d'apparire nelfe pieghe del discorso di qualche personaggio e che, insomma, ciascuna commedia abbia una morale, grande o piccola, da trasmettere.

Un altro limite venne anche rivolto al Goldoni: d'aver tra- scurato l'aspetto formale del proprio testo teatrale, d'avere abbassato il tono della lingua italiana ad un livello corrente, a

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forme disadorne, senza impegnarsi a fondo nell'arricchire an- cora di piu l'alto tono della nostra prosa .illustre. Si dovrà in- vece convenire che le commedie posseggono un linguaggio che non è quello della prosa d'arte (e guai se lo fosse), ma è lin- guaggio che serve per la rappresentazione teatrale: agile, ve- loce, duttile, sempre fresco ed immediato, colto sulla bocca dei borghesi e dei popolani di Venezia, arguto e garbato, non solo quando egli scrive in dialetto veneziano, ma anche in italiano. I1 dialetto non è un complesso morfologico-lessicale meccanicamente recepito e utilizzato, e riemmeno un fatto di istinto, almeno nelle commedie dell'età di mezzo, ma (com'è stato dimostrato dal Folena) un raffinatd prodotto di con- certato » nei modi coscienti d'un'autonoma lingua parlata, al pari dell'italiano, finemente delineato e posto in movimento, con piacevoli singolarità foniche D e cadenze proverbiali at- tribuite ora all'uno ora all'altro personaggio. Uno dei meriti maggiori del Goldoni è d'aver contribuito a creare una lingua modernissima, che si fa ancora ammirare per la sua leggerez- za; e tale particolarità espressiva acquista maggior rilievo quando se ne consideri l'importanza nella storia della nostra lingua drammaturgica, che soltanto dopo moltissimi anni di prove riuscirà a liberarsi delle eccessive tr~dizioni letterarie e ad adeguarsi alla necessità della vita moderna. Per concludere i1 Goldoni non.ha lo stile dei prosatori aulici, ma possiede in grande misura lo stile del teatro, e modella la lingua con una freschezza e duttilità incomparabili, puntando su strutture sin- tattiche assai semplici, su fraseologie d'uso ma non logore, su una misura corta di battute, scpra un'efficace mimica del par- lato, su giri scattanti di repliche, su un'estrema asciuttezza di aggettivazione e di formule oratorie.

Quanto all'istintivo e variegato dono della comicità che Gol- doni rivela, la circostanza è stata dapprima rilevata come pun- to d'appoggio d'una critica sistematica al sistema, sostenendo che il suo umore comico è superficiale e talvolta volgare, e tea- trale », si diceva, poi per fargliene merito, riconoscendo alla sua vis D comica un fondo di autentico rilievo poetico. In una posizione intermedia si colloca il giudizio del De Sanctis, che riconobbe non senza riserve le qualità comiche del teatro goldoniano: La forma del suo comico è caricatura allegra e smaliziata, che di rado giunge all'ironia. Nel suo studio del na- turale e del vero trascura troppo il rilievo, e se ha il brio del linguaggio parlato, ne ha pure la negligenza; per fuggire la rettorica, casca nel volgare. Gli manca quella divina malinco-

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aia, che è l'idealità del poeta comico e lo tiene al di sopra del suo mondo, come fosse la sua creatura che accarezza con lo sguardo e non la lascia che non le abbia data l'ultima fi- nitezza D.

L'interpretazione critica moderna ha superato e in qualche modo integrato i limiti segnati dal De Sanctis, riconoscendo, se non a tutto il Goldoni, ad un certo Goldoni, quello ad esempio dei Rusteghi e di Una delle ultime sere di Carno- vale, accanto ad una <( giocondità leggera, mobile come il pulviscolo di luce che dà un'anima ilare a tutte le cose e. fa balzare nella vita anche la pagliuzza » (Momigliano), una sua malinconia sottile e pungente, che nasce dalla consapevolezza di dipingere un bellissimo mondo che tramonta, il mondo del- la morbida vita veneziana, degli amori giovanili, delle garbate gelosie, di alcune figure di borghesi brontoloni e burberi, ma onesti e generosi nel fondo dell'animo. E nel rappresentare malinconicamente questo mondo il Goldoni ha toccato il ver- tice della sua poesia sottile e della sua perspicace felicità di animare ambienti, di delineare tipologie difficili, di aprire squar- ci su tutto un passato sereno e un presente inquieto.

I PERSONAGGI GOLDONIANI

L'analisi degli spaccati sociali, sostenuta sullo studio dei personaggi, consente la sicura dei-erminazione di un certo aspet- to dell'arte goldoniana, ché nelle sue creature l'autore mette tutto quello che vuol capire del mondo e della vita, <( l'amour un peu vague de l'humanité, prise en général, le souci d'&e utile plus encore que de plaire B (Rabany). Occorre poi sce- verare appieno un altro elemento: esser mutevole la fisiono- mia dei personaggi secondo il variare e l'evolversi delle esi- genze di rappresentazione artistica. Nelle opere giovanili i per- sonaggi non si discostano molto dagli schemi farseschi cari ai comici dell'Arte, o dagli schemi metastasiani, se di melodram- mi si tratta. Le commedie son quindi piene di maschere, e il dialogo è spesso in dialetto veneziano, quando non è in vene- ziano tutta la commedia. Ma le maschere assumono spesso una caratterizzazione umana che le distacca dalle formule consuete e le avvicina ad alcuni personaggi tratteggiati con insolito ri- lievo: il maldicente. Don Marzio del!a Bottega del caffè, i1 pronto ma non scaltro mentitore del Bugiardo (Lelio, innamo- rato di Rosaura e rivale in amore di Florindo), l'astuta Dora-

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lice della Fatniglia dell'antiquario, attento quadro di vita fa- miliare, centrato sui contrasti d'educazione e di costume di differenti generazioni.

L'ilare vivacità di tratto espressivo, l'impeto di creazione originale di trame, la freschezza d'osservazione che è in que- ste commedie, vengono a mancare nelle successive, dove pre- vale il tipo fisso, il prototipo: la gaia fanciulla nelle Morbi- nose, la brava mamma nella Madre amorosa, la ragazza onesta nella Putta onorata, la fedele consorte nella Buona moglie. Da questo punto di vista sembra quindi che il teatro goldoniano accenni ad una decadenza: invece è ~ r o ~ r i o in auest'e~oca che

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si comincia a stabilire nell'arte goldoniana quell'atmosfera gar- bata. fine. sfumata. che è tanta Darte della sua verità Doetica. I personaggi vanno perdendo rilievo analitico, quanto all'in- tento di ~recisarne i caratteri. ma auesta diminuzione del loro ritratto psicologico va a tutto vantaggio dell'atmosfera com- plessiva della commedia, che in questo periodo raggiunge una sua pittoresca coralità. L'ambiente prevale sul personaggio, il clima generale sul problema morale e sentimentale del singolo personaggio; e nasce il festoso contrappunto popolare del Campiello (del 1756, che ha per ambiente una piazzuola della città, e per argomento il vivace cicaleccio di donne e di po- polani): composita anche se vivacissima galleria umana.

Nella fase immediatamente successiva. di r i~resa e di ri- pensamento tecnico, quando di nuovo il personaggio riprende a staccarsi sul fondo della commedia, resteranno le caratteri- stiche di coralità e di atmosfera del Campiello. Ed è la fase, come s'è visto, dei capolavori goldoniani: La locandiera, i Rusteghi, la Casa nova, il Sior Todaro brontolon, le Baruffe chiorrotte. Mirandolina, la vivacissima protagonista della Lo- candiera, perfetto ritratto femminile, con le asprezze e le dol- cezze, la fedeltà di cuore e le bizze del temperamento, abilis- sima nello svolgere la sua opera di accorta e onesta seduttrice con parole e mimiche incantevoli; i quattro vecchi burberi, ma onestissimi protagonisti dei Rusteghi, ostiri alla società nuova e libertina, rigorosi nel rispetto delle antiche costumanze e sempre fedeli alle loro idee ancorché arretrate, alle loro aspi- razioni verso una vita serena e operosa, non insidiata dai nuovi modi di agire sulla società; oppure un altro <( rustico », il pro- tagonista di Casa noua, cui s'oppone il ritratto della capric- ciosa moglie che vuole arredare con gran lusso la nuova casa; o un altro ancora, ma questo gretto, avaro e tirannico: il pro- tagonista del Sior Todaro brontolon. 1.n tutti questi personaggi

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il Goldoni vede un frammento di vita veneziana, un aspetto del costume di quella borghesia conservatrice, legata alle tra- dizioni, persino a quelle retrive e dispotiche del sior Todaro. Anche in questa fase dell'attivirà goldoniana, accanto alle com- medie di carattere, v'è la commedia d'assieme, la commedia corale: il Campiello prima, e ora le Baruffe chioxxotte, rappre- sentazione mossa e anche commossa dell'ambiente di Chioggia, quale l'artista aveva conosciuto e amato negli anni giovanili. Pur ora i personaggi non contano, ma prevale l'atmosfera li- rica di tutta una cittadina nei suoi piu tipici rappresentanti, nelle minute vicende, nell'affascinante colorito d'assieme: voci, gesti, comportamenti colti nella loro specie piu vera e auten- tica. Tra le varie commedie d'ambiente, piu assai che il Cam- pie110 o le Massere, le Baruffe chiozxotte si presentano come l'opera ove il Goldoni scava piii in profondità alla ricerca di motivi di costume e di moraliti della società popolare, vista e vissuta nelle sue vicende quotidiane, nell'umile lavoro riscat- tato dall'onestà e dall'amore anche nel momento in cui i sen- timenti appaiono feriti dalla gelosia, e l'indole bonaria dei popolani è sorpresa nei suoi momenti e risentimenti e turba- menti. Ma il grande artista non si limita alla vivace pittura d'assieme; quest'affresco è vivo anche nella parlata dei perso- naggi, non meccanicamente riscritta sui documenti del ben co- nosciuto e studiato dialetto di Chioggia, quanto riespressa in finissima poetica grazia di vocaboli e di fraseologie d'un'ame- na festosa conversazione che s'alza e s'abbassa di tono, s'in- gentilisce e si fa sferzante e pungente a seconda delle esigenze della rappresentazione, in un'alta acrobazia stilistica e musicale che non ha pari nella storia del vero e proprio teatro popolare di questo e del secolo successivo.

Nell'ultima stagione del teatro goldonisno il gusto del cli- ma complessivo diviene piu sottile e raffinato e trova il suo momento di concentrazione tecnica e di finezza interpretativa nelle agilissime scene del Ventaglio, la cui struttura è incen- trata nel complicato movimento a incastro dei personaggi e la cui resa stilistica è notevole per coerenza e continuità. Ancor piu ragguardevole per fascino di stile e di sceneggiatura è il bellissimo quadro settecentesco Una delle ultime sere di Car- novale, patetico e affascinante come una tela del Canaletto e del Guardi. Ma, a differenza dei periodi precedenti, in que- st'ultima fase il Goldoni è parimenti acuto sia nel cogliere il clima generale della commedia che nel disegnare le singolari figure che lo popolano, rendendo con incantevole gusto il senso

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sottile che viene dalla pittoresca atmosfera, dai desideri e pro- blemi e inquietudini dei singoli personaggi. Segno certo che in quegli anni, dal 1753 al 1765, il Goldoni aveva raggiunto il punto piii alto della sua parabola artistica, il pieno possesso d'una tecnica drammaturgica conquistata sulle scene, opera per opera, correggendo e al tempo stesso interpretando il gusto del pubblico, di tutto il suo pubblico, sia aristocratico che bor- ghese e popolano. Infatti nelle opere successive il personaggio torna di nuovo a carattere fisso, a tipo schematico come nelle commedie dei primi anni, e con una ritrattistica convenzionale, nell'ambito della tipologia molieriana, come nel personaggio di Geronte del Bourru bienfaisant. È pur vero che, dovendo far recitare comici italiani in terra straniera, egli non aveva a di- sposizione tutte le risorse della parola, ma è indubbio che non riusciva piu ad esprimere se stesso, se non nella prosa agile e rapida dei Mémoires, dove si rispecchiano le doti migliori del- l'animo suo: l'affettuoso ricordo dei felici anni giovanili, il sobrio buonsenso nei giudizi sulla letteratura passata o contem- poranea, lo scrupolo con cui, a distanza di tanti anni, racconta le vicende sue e del suo ambiente. l'assenza di rancori Derso- nali, anche quando deve raccontare i torti subiti all'epoca delle ~olemiche del Chiari e del Gozzi.

L'esattezza del resoconto che volentieri indugia sopra par- ticolari anche minimi. ma non ha mai la Dretesa della rivaluta-

- L

zione o lo sfogo del risentimento, sortisce l'effetto d'aggiungere vivezza oltre che verosimiglianza alla narrazione, in ciò favo- rita dall'uso d'un francese semplice senza essere elementare, icastico e nervoso senza essere affettato. Si sente l'uomo abi- tuato alla conversazione, eppur di buone letture e naturalmen- te portato al nitore del 'paesaggio e alla schiettezza dell'espres- sione. Quando parla del proprio carattere, lo fa con discrezione finemente ironica, persino nel discorrere delle proprie malat- tie e della povertà, dignitosamente vissuta e che non sollecita !'animo ai ,rimpianti aspri anzi ad una visione di bontà e di tolleranza, a moti di signorile distacco.

Poco resterà da dire del Goldoni minore, l'autore di tra- gedie, tragicommedie, melodrammi non sentiti e nemmeno ben costruiti letterariamente, come il Belisario e il Don Giovanni Tenorio, la Rosmunda e il Rinaldo di Montalbano, il Pisistrato e il Gustavo Vasa e l'Oreste (al limite si potrà apprezzare, ferse, un certo senso dell'azione scenica, tuttavia non suffi- ciente per animare il verso o scolpire casi umani). La vota- zione comica dello scrittore è tale che si è indotti a volgerci

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con maggiore curiosità ai drammi giocosi o a quelle barzel- lette in versi D come lo stesso Goldoni designò le proprie poe- sie, raccolte nel 1764-68 nei due tomi dei Componimenti di z~ersi, e scritte con quel (( sale che poteva produrre la sua fon- tana D. L'occasionalità è evidente, e la povertà della resa for- male è indubbia; si potranno soltanto leggere, e soprattutto quelle a carattere morale, per meglio conoscere il personaggio Carlo Goldoni nei suoi rapporti e giudizi sulla società del tempo, nella riaffermazione di quei concetti di virtti e d'indul- genza ai quali la sua vita d'artista e di gentiluomo settecente- sco ebbero sempre a informarsi. È anche possibile, sul piano critico, e foriera di apprezzabili risultati, una ricerca della tecnica drammaturgica delle tragedie goldoniane, sul taglio abile e rapido delle trame storiche, sull'uso di una lingua non prestigiosa letterariamente, tuttavia appropriata alle esigenze della rappresentazione, una lingua limpida ed efficace.

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cate inimitabili n. e severamente giudicate le altre. I1 eiudizio " - " complessivo è quello di Parini letterato, mosso sovente da fini educativi e filosofici piu che veramente ispirato; non senza tuttavia sottolineare la sapienza descrittiva e « pittorica del- l'artista. Dal Parini eeli si sentiva ormai ~rofondamente diffe- " - renziato, e questo sentimento cercherà di esprimere anche al- trove, parlando di un uomo di cultura ristretto nei confini del libresco e 'privo di effettiva pratica del mondo n; e di poeta a cui mancano quei caratteri di animosa vitalità che sono pro- pri ormai dei nuovi ideali letterari. Se resterà pur sempre viva l'ammirazione per il cittadino e il patriota, essa non sarà piu in grado di conciliarsi con la stima del poeta.

Solo presso i classicisti del primo Ottocento uomo e artista in Parini sono accomunati in profonda ammirazione; cosi per il Monti, il Botta, il Niccolini. Anche il Manzoni avrà viva de- vozione per l'autore del Giorno, probabillmente per il comune fondo di moralità e praticità lombarda. Diverso invece l'atteg- giamento del Leopardi, che nello Zibaldone parla del Parini come letterato di finissimo giudizio » anziché « vero poeta », ~ o i c h é eli mancherebbero forza di ~assione e sentimento D: " e cioè assume verso il Lombardo un atteggiamento di poco di- verso dal eiudizio sul Monti. data la concezione ch'eeli nutre " " della poesia lirica come purissima ispirazione, come dettame del cuore che non può troppo essere vincolato dall'arte. Ciò non ostante, anche Leopardi venererà nel Parini la figura di alto prestigio, tanto da farne l'ideale protagonista di una delle sue Operette morali, cioè <( I l Parini, ovvero della gloria ».

Ma è col De Sanctis che la vicenda della critica pariniana tocca i suoi fastigi, risolvendo quasi integralmente le antino- mie che si son viste. I n genere il giudizio desanctisiano è ripro- posto nella forma epigrafica ch'egli vi conferi nel saggio ap- parso per la prima volta sulla Nuova Antologia, che <( in lui l'uomo valeva piu che l'artista »; affermazione in cui sembrano condensarsi gli apprezzamenti e le riserve tradizionali. Ma già al tempo delle lezioni napoletane il critico aveva saputo co- gliere l'intima autenticità dell'arte pa'riniana, nel riconoscerne le virtu realistiche che la facevano consuonare agli oggetti r a~~re sen t a t i con armonia ~erfettissima ». E se anche nella . . Storia della letteratura, contemporanea al saggio, permane il rilievo dato anzitutto all'uomo. ciò è da attribuire ~ i u che al- tro al disegno dell'opera, di cui son note le particolari atten- zioni ambientali. Al centro del suo s a ~ e i o il De Sanctis sotto- "- linea la a perfetta anmonia D dell'uomo, che, c m le sue varie

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qualità, trapa.ssa nell'artista, rendendo <( l'equilibrio morale ... anche equilibrio artistico », e vede pertanto come uno dei piti alti effetti pariniani la rinnovazione del linguaggio poetico ere- ditato, si che veramente << rinasce l'a~rte ».

LA VITA

Giuseppe Parini nacque a Bosisio, un villaggio della Brian- za, (presso il lago di Pusiano (il <( vago Eupili mio P), il 23 mag- gio del 1729. I1 padre, Francesco Maria Parino (questo il vero cognome) era un modesto negoziante di seta, e l'ebbe dalla seconda moglie, Angiola Maria Caspani. Studiò dapprima pres- so i due parroci di Bosisio, Carlo Giuseppe Cabiati e Carlo Giuseppe Gilardi; poi (1740) a Milano presso i Barnabiti, nelle Scuole di Smt'Alessandro, giungendo all'ultimo corso di teo- logia speculativa nel 1751-52.

A Milano, ancora ventitreenne ( 1752), pubblicò uno smilzo volume di versi, Alcune poesie di Ripano Eupilino (di Parini, dell'Eupili), d'ispirazione chiaramente arcadica. I1 volumetto gli valse l'ammissione (1753) tra gli Accademici dei Trasfor- mati, nel cui ambiente il Parini conobbe il Beccaria e il Verri. Poiché una prozia, Anna Maria Parino vedova Lattuada, gli aveva lasciato in eredità una piccola somma per una messa quotidiana, il giovane poeta fu costretto ad abbracciare la car- riera ecclesiastica, e venne ordinato sacerdote nel 1754. Come tale e come buon letterato, fu assunto in casa dei duchi Ser- belloni in qualità di precettore del loro figlio, Giain Galeazzo primogenito del duca Gabrio. Nonostante le difficoltà per il Parini di vivere a suo agio in un ambient-e cosi lontano dal proprio temperamento e dalle proprie idee, egli mantenne per sei anni la qualifica d i precettore; e quando poi il duca inviò i figli in collegio a Roma, il Parini continuò a vivere in casa Serbelloni, in buoni rapporti con la duchessa Maria Vittoria, il che gli valse l'inimicizia del Verri, innamorato della Serbel- loni. All'epoca del soggiorno in casa Serbelloni si deve la com- posizione delle sue tre prime odi, La vita rustica, La salubrità dell'aria, L'impostura, varie satire in terzine, il Dialogo sopra la Nobiltà (dove un aristocratico e un poeta, morti, discutono i pregi e i diritti della nobiltà), e altri scritti in prosa. Nel 1762, in modo clamoroso, il Parini usci di casa Scrbelloni, per protesta contro la duchessa che aveva maltrattato una fanciulla, figlia del musicista Sammartini.

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S'apre un periodo di grandi difficoltà: la morte del padre (1759) lo aveva già da tempo impegnato a mantenere la vec- chia madre. La stampa del Mattino (1763), prima parte del poema I l Giorno, aiutata dai piu evoluti patrizi lombardi, gli consenti qualche modesto guadagno, ma soprattutto gli spa- lancò le porte del successo, recando con sé la possibilità di tro- vare vari incarichi di lavoro: fu poeta teatrale, precettore del giovanissimo Carlo Imbanati (al quale il poeta dedicherà, nel 1764, l'ode L'educazione); dopo aver ricevuto ma non ac- cettato la cattedra d'eloquenza nell'università di Parma, venne nominato redattore del giornale ufficioso austriaco, la Gazzetta di Milano; e infine professore di belle lettere nelle Scuole Pa- latine d i Milano (1769), dapprima nel palazzo delle Cannobia- ne, poi, con la riforma dell'Istituto eretto a Regio Ginnasio, nel palazzo di Brera. In questa nuova incombenza il Parini molto s'impegnò, come attestano le prolusioni accademiche e la relazione ufficiale Delle ragioni del presente decadimento delle belle lettere e delle belle arti in Italia. E sempre nell'in- teresse per i problemi della scuola scriverà piu tardi (1777) le sue lezioni De' principi generoli e particolari delle belle let- tere applicati alle belle arti. Nel frattempo pubblicava la se- conda parte del Giorno, il << Mezzogiorno » (1765), e scriveva molte altre odi, una cui prima raccolta usci poi nel 1791 (edi- zione definitiva nel 1795; postume [ 1801 ] venivano pubbli- cate le altre due parti del Giorno, cioè il u Vespro e la 6 Notte »).

Nominato (1768) poeta del Teatro Ducale gli fu ordinato il melodramma Ascanio in Alba per le nozze dell'arciduca Fer- dinando ( 177 1 ) con Maria Beatrice d'Este; il me1odramrr.a << di tenue disegno » e di << pacato linguaggio melodico (scrive il Binni), ove si esprime a un senso di vita armonioso e casto », verrà musicato da Mozart. Nonostante anche altre attività (nel 1772 ricevette un beneficio ecclesiastico a Vaprio; nel 1776 Pio VI gli concedette una pensione annua di cinquanta scudi romani), la vita del Parini non cessò di essere continuamente insidiata dalle difficoltà economiche. Alle quali presto si ag- giunsero quelle politiche, dapprima per non aver potuto scri- vere l'elogio funebre di Maria Teresa d'Austria, poi per aver attaccato le riforime troppo caotiche di Giuseppe I1 nell'ode La tempesta (1786). Ma anche la sua piccola << tempesta D po- litica venne a cessare: nel 1791 il Parini veniva nominato so- praintendente superiore delie scuole di Brera, e riceveva un alloggio piu grande nel palazzo, dove abitava dal 1777.

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I grandi fatti della Rivoluzione francese ben presto ven- nero a creare una piu vera tempesta nella vita del poeta, il quale quantunque disapprovasse gli eccessi del Terrore (si ve- da il sonetto milanese Madarnrn g'hala quaj noeuva de Lion?, e anche l ' d e A Silvia), pure per la ferma volontà di ben ope- rare a favore della sua città e per i suoi principi democratici, accettò di far parte della nuova Municipalità di Milano (1796), ma la nessuna libertà che questa aveva rispetto al governo di Parigi, lo persuase ben presto ad abbandonare ogni ambi- zione di cariche pubbliche, anche per via delie ,malattie che lo affliggevano. Quando giunsero a Milano gli Austro-Russi (apri- le 1799), il Parini, pi4 per desiderio di quieto vivere che per sincero plauso, si lasciò andare a scrivere versi d'ossequio ai nuovi occupanti (il sonetto « Predaro i Filistei l'arca di Dio n). Furono questi gli ultimi suoi versi; il 15 agosto dello stesso 1799 veniva a morte.

PARINI E L'ILLUMINISMO

Con vigile spirito critico, con un'intensa partecipazione al- le vicende sociali (meno a quelle politiche) della sua età, con un gusto della forma che assimila e al tempo stesso signoreg- gia rispetto alla ~ad iz ione classica, Parini si colloca al centro ideologico del nostro Illu~minismo e ne è, in poesia, l'interprete maggiore. Nella tematica e nei modi dell'immaginazione sono vivi molti motivi arcadici, non soltanto nella produzione gio- vanile, allorché egli si provò in ogni forma metrica della lette- ratura tradizionale, ma in quella matura: da ciò quel suo rafFi- natissimo gusto musicale per la parola, per il suono, per la possibilità espressiva del metro. In sede teorica, nei Principi delle belle lettere, egli tributa un grande elogio all'Arcadia, ne accetta il canone dell'imitazione, accoglie volentieri il sus- sidio che dal <( buon gusto viene all'artista nel sentire e nel creare, accetta e sviluppa le forme metriche degli Arcadi, pur preferendo l'ade alla canzonetta e pur rifuggendo dagli eccessi cantabili della lirica arcadica per una struttura stilistica piu robustamente latineggiante.

Al tempo stesso lo tien lontano dagli Arcadi quel consi- derare i fatti dell'arte, non come un solitario, prezioso gioco di suggestioni e d'immagini, ma il riflesso d'una vibrante con- sonanza con gli accadimenti della vita sociale e del costume morale della società, vista nel suo complesso di classi, di me-

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stieri, di ambienti. Tale consonanza lo fa illuminista nel senso pi6 ampio del termi,ne, e pi6 volte, illuministicamente, insiste sull'utile che deve venire alla società dai prodotti artistici e a questi da quella, e sulla necessita, di una rinnovata coscienza morale, senza la quale la poesia è vuota esercitazione di dilet- tanti e non

l'arte di imitare o di dipingere in versi le cose in modo che sien mossi gli affetti di chi legge od ascolta,

un'arte che appartiene « all'essenza dell'uomo », poiché

essendo certo che utile è ciò che contribuisce. a render l'uomo felice, utili a ragi-ne si posson chiamare quell'arti che contribui- scono a renderne felici col dilettarci in alcuni momenti della no- stra vita.

(Discorso sopra la poesia, 1761)

La varietà degli atteggiamenti di gusto e di moralità non determina, però, un'opposizione di immagini arcadiche e di motivi illuministici, ma piuttosto una mediazione geniale, uni- ta ad una serie di precorrimenti preromantici. La rappresenta- zione della vita che egli celebra nelle Odi e nel Giorno è espressa con una mirabile raffinatezza che a tratti può sem- brare ancora arcadica, ma intimamente sentita e ragionata in senso illuministico, quale oggetto d'una severa meditazione in cui sono in gioco i piu alti valori dello spirito, specchio di profonde inquietudini e trasformazioni sociali, colte nel loro vario atteggiarsi di giorno in giorno, ora negli aspetti piu mi- seri della vita popolaresca ora in quelli del mondo galante della nobiltà, ora filtrati attraverso una satira pungente, ora affermati nei caratteri piu seri e profondi. La concezione uma- nitaria che sta al centro del pensiero illuministico, è accolta dal Parini in tutta la sua dimensione, e le idee di rinnovamento lo affascinano; e per quanto sacerdote, riesce a superare i li- miti imposti dal suo stato consacrando le immense possibilità della ragione che solo può illuminare le coscienze degli uomini. Quel senso di mirabile equilibrio interiore che spira dagli scrit- ti teorici, massime dai Principi generali, e dal quadro umano del Giorno, si ritrova nella particolare visione ch'egli ha della vita, in comune solo in parte con gli illuministi milanesi (la vicinanza ideologica col Verri e col Beccaria è tutt'altro che assoluta), in parte espressa da uno spirito che giudica da sé, uno spirito che ha sper i to profonda lezione dalla storia clas- sica o cristiana e la immette in esempi attuali di vita. « La

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fondamentale posizione di persuasione (Parini è un persuaso, non un gretto razionalista, né un mistico) nel 'progresso ordi- nato e eraduale dell'umanità. D ha scritto assai bene il Binni " <( non (manca di una presa di coscienza storica, di tipo chiara- mente illuministico, del progresso umano particolarmente ita- liano: un progresso che trae le sue origini dall'alto mondo esemplare dei classici nella loro unione spontanea e consape- vole di Natura e Ragione, che si alimenta dell'intervento del cristianesimo in chiave nettamente umanitaria e attivamente caritatevole, rifiutandone le componenti superstiziose e dog- matiche, autoritarie (donde la chiara antipatia per il Medioevo e la Controriforma) e che, sulla base del pensiero critico ed empiristico-razionalistico rinascimentale, trova una sorta di pienezza dei tempi nella civiltà illuministica, soprattutto nella sua passione per la verità e nell'uso pragmatico della ragione in vista di una riforma ad ogni livello. »

Si potrà aggiungere che Parini, aperto a tutte le idee, ec- cetto quelle dettate dal proposito di un radicale capovolgi- mento delle situazioni sul terreno religioso, non ebbe ristrettez- ze di mente, non ebbe in effetti dopa t i smo, pur respingendo l'irriverenza, il sarcasmo, l'eccessiva spregiudicatezza nel trat- tare le cose della fede, che furono di qualche scrittore, anche italiano, del tempo (infatti è stato rintracciato nella sua opera un filo sia pure esilissimo di giansenismo). Del resto non af- frontò mai in modo sistematico questa problematica religiosa, preferendo inserirla nel contesto della sua concreta concezione morale ed estetica e cioè del suo moralismo in atto che lo spinse ad atteggiamenti piii prudenziali oppure nettamente cri- tici verso l'eccessivo entusiasmo dei propri contemporanei per le scienze matematiche e le fisiche. o contro il cicisbeismo che distrugge l'essenza del matrimonio, o la mania del secolo nel parlar di commercio. Ma tutti questi elementi, oltre ad essere spiegati con l'austero senso morale che ripudia gli eccessi, si giustificano in quanto argomento della satira contro la nobiltà. E si vedano, di contro, come elementi positivi, il contrasto aspro che egli tratteggia tra le varie classi sociali: l'appassio- nata pittura del popolo curvo sotto l'immane peso del suo quo- tidiano lavoro, l'amaro quadro di una classe privilegiata che passa i suoi giorni nell'ozio frivolo e lascivo, un'occhiata (que- sta piii rapida e poco entusiastica) all'operosa borghesia mer- cantile, la precisione nell'effigie delle costumanze sociali piii di- sparate. Non è inutile soggiungere che le strutture letterarie e i modi stilistici di questa contrapposizione di vita in termini

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cosi storicamente esatti, sono no9 meno importanti dell'appa- rato ideologico che lo sostiene tanto nella prosa concretamen- te storicizzata del Dialogo sopra la Nobiltà, scritto per l'Acca- demia dei Tlrasfo~mati nel 1757 circa, quanto nei versi del Giorno, dove gli elementi polemici sono sollevati ad un piano moralmente costruttivo e socialmente preciso. Del resto la con- t rz~~os iz ione non è sentita soltanto nel suo asDetto sociale. . . ma in quello della cultura. Dopo aver tratteggiato la scarsa cultura delle classi privilegiate, il loro spirito superstizioso, la loro accidia e stupidità, nel Dialogo sopra la Nobiltà annota la presenza nella plebe di « tante persone letterate, valorose, intraprendenti, liberali, gentili, magnanime e dabbene »; con- cetto sul quale insisterà piu volte, nel corso della sua opera, a chiarire una constatazione che egli non coglie nell'aria, ma ha fatto sua dopo attenta indagine della realtà sociale del Set- tecento. Forse perché, a differenza della maggior parte degli illuministi lombardi usciti dal seno dell'aristocrazia, ricordava la sua orieine ~ lebea . le umiliazioni e le sofferenze dei duri - " 1

anni giovanili: dolorosa esperienza che né il Beccaria né il Verri certamente avevano subito.

Per vigoria interiore, per schiettezza d'ispirazione spiritua- le, per assiduo itmpegno d'indagine ambientale, la moralità pa- riniana, presente in ogni occasione del poetare (anche in quel- le apparentemente piu labili), si iscrive al centro del nostro Illuminismo; è moralità mossa tutta dall'interno, non appresa sui libri deeli Enciclo~edisti francesi e dei oli ti ci ed econo-

u

misti italiani del suo tempo. Risolvendosi totalmente nel gu- sto della forma e nelle risorse del metro. non consente di ve- dere l'esecuzione letteraria in opposizione con i portati mora- listici dell'ideologo, in quanto l'esigenza di una perfetta, raffi- nata forma letteraria fa sempre da freno all'erompere dello spirito umanitario e democratico, di modo che non degeneri nella libellistica o non si amplifichi in oratoria, ma resti sem- pre contenuto nei limiti di una poetica pensosa e serena, d'in- tonazione ironica, di quell'ironia che nasce e si sviluppa in conseguenza della mirabile uriità di senso morale e gusto sti- listico, per il cui equilibrio si ha bisogno di aderire il piii pos- sibile alla realtà del mondo sociale, anche ai minimi particolari di vita della superficiale aristocrazia lombarda, per la cui pre- cisa effigie Parini non può scegliere l'aspro giambo dei polemi- sti, ma adottare l'ironia penetrante ed elegante, la sola che gli consenta di non rompere gli argini della forma letteraria perfetta, che possa dare una necessaria misura al profondo

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sdegno morale e una non meno indispensabile verisimiglianza alle cose rappresentate.

ESTETICA E LINGUISTICA PARINIANA

Gli interessi critici pariniani sono in larga misura, quelli di un arcade, innamorato della forma perfetta, entusiasta del- la tradizione classica, propenso a vedere sotto una luce assai favorevole non solo la poesia e la prosa cinquecentesca, ma anche quella dell'età dell'Arcadia, quantunque ben senta il di- vario che separa quei mondi culturali e letterari. Del Chia- brera, ad esempio, egli ammirerà l'eleganza della forma, tutta- via sempre in linea subordinata alle fonti classiche cui s'era ispirato il poeta savonese. Ciò non ostante il Parini non si propose mai intenti di vera e propria critica letteraria, limi- tandosi ad affermazioni generali, piu d'indirizzo e di metodo che d'interpretazione di un momento storico delle nostre lette- re, tanto nel Discorso sopra la poesia quanto nel Delle cagioni del presente decadimento delle belle lettere e delle belle arti in Italia e di certi mezzi onde restaurtlrle, e nella raccolta delle sue lezioni, De' principii fondamentoli e generali delle belle let- tere applicati alle belle arti, ove si constatano piuttosto le affer- mazioni di una poetica che i giudizi su una passata o presente civiltà delle lettere. L'estetica pariniana scaturisce da singole frammentarie osservazioni, non da un complesso organico di riflessioni di modo che il pensiero estetico, nella forma in cui può essere ricostruito in unità, non si discosta molto dalle ben note teorie del sensismo; nella ricerca dell'utilità dell'arte per il miglioramento morale della società viene replicato quel che era stato stabilito dai piu celebri scritti illuministici.

Ben piu rilevanti sono le sue meditazioni sulla questione della lingua. Al problema egli ha dedicato non poca impor- tanza, respingendo implicitamente i consigli di disinteresse e di disimpegno che gli venivano dall'ambiente del Verri. In di- fesa della sua concezione linguistica il Parini si schiera con un altro Accademico dei Trasformati, Domenico Soresi, apren- do un'aspra discussione col padre Alessandro Bandiera, che aveva voluto riscrivere la prosa del Segneri, sul terreno lingui- stico di alcuni scrittori italiani. Con la Lettera intorno al libro intitolato « I pregiudizii delle umane lettere (1756), per l'ap- punto, venivano respinte le esagerazioni e le affettazioni di un puristico toscanesimo.

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Pi6 temperata e costruttiva fu un'altra polemica che nel 1760 condusse col padre Paolo Onofrio Branda, milanese, in- segnante dello stesso Parini nelle scuole Arcimbolde, sosteni- tore non meno del Bandiera (ma con pi6 ragionati motivi) del- la soluzione fiorentina della questione della lingua nei Dialoghi della lingua toscana, e dispregiatore del dialetto milanese e di quanti scrissero in questo dialetto. I1 Parini prende le di- fese di poeti come il Maggi, il Tanzi, il Balestrieri, e nega che possano esistere dialetti migliori e dialetti piii brutti:

Le voci, onde ciascuna [lingua] è composta, sono state sommini- strate agli uomini dalla necessità di spiegare e comunicarsi vicen- devolmente i pensieri dello animo loro.

Ragioni culturali, politiche e morali hanno dato premi- nenza storica ad una rispetto alle altre, che sono rimaste al rango di dialetti, ed è a questa che bisogna guardare (ma senza disprezzare i dialetti), che è la lingua toscana; tuttavia sono da evitare le lascivie del parlar toscano », puntando soprattutto alla << robustezza delle ragioni e alla bellezza dei pensieri D, quindi ad una letteratura intonata alla verità ed elevatezze concettuali. Tuttavia, se nel dibattito linguistico Parini si proclama molto libero dagli schemi classicisti tradi- zionali, poi, nell'assiduo esercizio stilistico cui sottopose le Odi e il Giorno, si mostra sempre piii legato alla tradizione, alla lingua e allo stile classici. Non per nulla recentemente è stata avanzata la tesi che la poesia pariniana segua un'ininterrotta evoluzione dalle primitive forme arcadiche verso il Neoclassi- cismo. Sul terreno rigorosamente tecnico della lingua poetica questa tesi attende ancora una necessaria dimostrazione, cosi com'è avvenuto in sede di poetica e di gusto; ma è certo che il desiderio di una perfetta perizia letteraria, il travaglio in- stancabile delle correzioni, il gusto per una lingua limpida come cristallo, possono assecondare l'impressione di un avvi- cinarsi, via via che il Parini procede nella sua .opera poetica, a soluzioni stilistiche di pretto gusto neoclassico, nella specie del lessico e nella scelta delle soluzioni sintattiche.

La vocazione formale e il gusto espressivo non finiscono mai per ridursi a mero fatto individualistico; il Parini non è letterato che distilla nel suo laboratorio costrutti e forme per- fette, insensibile alle voci che gli vengono dal mondo esterno e dal suo animo, giacché la parola è prescelta in virt6 d'un suo interiore significato tanto logico quanto morale, si adatta

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perfettamente al messaggio ideale che la poesia intende co- municare a tutti i lettori.

RIPANO E U P I L I N O

La novità stilistica e concettuale delle Odi non s'intende senza l'apprezzamento delle Poesie di Ripano Eupilino, che sono liriche di un letterato compiaciuto dell'abile mestiere, in un virtuosismo che si ~ l a c a talvolta nel suono melodioso dei versi, iri una voluttuosa onJa, in uno scintillante balenare di colori.

Una tipologia letteraria offrono le Rime del '52 non certo diversa da quella della tradizione arcadica corrente, ma, come ebbe già a notare il Carducci, la nessuna o scarsissima disponi- bilità di Parini a rime d'occasioni, per nozze o per morti, per nascite o per monacazioni, mette in luce l'assenza d'un rap- porto cortigianesco tra il giovane artista e la società aristo- cratica milanese: <( Per ora non una stilla di miele metastasia- no, non un'eco del frastuono frugoniano, non una smorfia del- lo spirito franco-gesuitico; egli è un arcade, se vuolsi, ma ar- retrato al Cinquecento; è un conservatore italiano (Carducci). Si dovrà aggiungere che questo tornare indietro alle esperienze della civiltà rinascimentale, è mero impegno d'esercizio for- male: il gusto del verseggiare è tutto moderno, ed è soprnt- tutto attuale l'interesse che Ripano Eupilino pone nella rap- presentazione di eventi e personaggi della vita reale, osservati talvolta direttamente in alcuni dei quattordici sonetti amoro- si, trapassati a divertite fantasticherie come nei sette sonetti <( manici D. immessi in una raffinata atmosfera bucolicn come ., ,

nei quindici sonetti di carattere pastorale che non disvelano travestimenti ~a luda t i di costumanze della nobiltà ma allego- rizzano sentimenti e stati d'animo personali, chiedono atten- zione per il cosciente anche se, ovviamente, non totale ripudio dei contenuti cari all'epoca, per l'ambizioso desiderio di ope- rare per proprio conto, ascoltando i classici antichi (Anacreon- te, Teocrito, Virgilio, Ovidio) e moderni (Petrarca, Poliziano, Tasso, Guarini). Le poesie giovanili, quindi, rappresentano non solo un momento cronologicamente iniziale dello stile pa- riniano, quanto una condizione stabile d'impegno formale e di originalità di riflessione morale. Piii volte, nel corso della propria opera, il Parini dagli accenti alti della sua poesia di- scende ad un terso gioco letterario; ogni volta che accade que-

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sto, torna ad essere Ripano dell'Eupili. Non occorre però so- pravvalutare il fenomeno umano del Parini, ancora informe ed inezte nelle Poesie di Ripano, tranne qualche istante di imma- gini nuove. Quella che sarà la moralità pariniana delle Odi pi6 grandi e del Giorno, è qui ancora uno schema didascalico, di uaa vibrazione personale approssimativa.

LE << ODI »

Ben pi6 originale e incisivamente scandita sopra una ricca tastiera di motivazioni morali, è la prima fase delle grandi Odi, dal 1757 al 1777; non è ancora il momento pi6 alto del Parini, poiché sovente il componimento risulta dettato da un'occasione e non riesce del tutto a svincolarsi dalla origine contingente, pur procedendo nei sentieri di un'eloquenza au- stera e nobile, con una raffinata perizia tecnica: L'educazione (del 1764)' scritta per la guarigione del suo discepolo Carlo Imbonati ed esaltante attraverso un sentenzioso immaginare l'equilibrio perfetto tra la virt6 del corpo e quella dell'anima; La laurea (del 1777), composta per la licenza dottorale della Amoretti, una fanciulla milanese, laureatasi, per prima tra le donne, a Pavia. Già nella pienezza della tematica illuministica è L.a vita rustica (1757), ad esaltazione della sana vita dei campi. L'intensa serietà del poeta si è aperta ormai ai com- plessi problemi del vivere contemporaneo, intervenendo negli interrogativi pi6 gravi del costume del tempo; sia nel tratteg- giare i rischi della superstizione e dell'ignoranza popolare, contro le grandi scoperte della scienza medica, ne L'innesto del vaiuolo (del 1765); sia nel combattere i pericoli della pubblica salute in una città. come Milano. dall'ieiene malsicura. con

u

una parte ariosa e Salubre dove vi"ono comodamente i iobili, ed intieri quartieri immersi nella lordura e nell'infezione, ne La salubrità dell'aria (1759); sia nel dipingere le miserie della plebe, schiacciata sotto il peso di leggi oppressive e di condi- zioni di vita intollerabili, in Il bisogno ( 1765)' invocando sen- timenti di cristiana solidarietà e carità per soddisfare quella che è sentita la causa di tutte le colpe e i delitti del popolo, per l'appunto il bisogno. Un'analoga istanza interiore è al fondo d'altre odi di questo ventenni0 '55-77: La musica (1762- 1769), contro la barbara abitudine di evirare i cantanti per ot- tenere voci bianche, e a forte riaffermazione del principio sacro della dignità umana; La impostura (1761), tra i componimenti

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piu stridenti d'ironia, lucido messaggio morale sulla necessità che gli uomini ritornino a credere fermamente nella verità. I1 linguaggio pariniano non ha ancora la purezza formale della suc- cessiva fase, né quella intensità di sofferti contenuti, ma cono- sce già i toni amari della satira, la fluente onda ritmica del verso, la copia delle proposte sintattiche del Parini piu ma- turo. ciuella sua interiore eco di risentimenti scattanti. di , A

amare proteste, di sdegnose epigrafi gnomiche. ~alidiss'imo soprattutto in questa dicrezione di linguaggio sensibile e ner- voso è L'innesto del vaiuolo.

Dopo un periodo di silenzioso raccoglimento (ancor piu lungo se si pensi che dopo il 1765 e prima del '77 possono noverarsi il completamento della Musica e la stesura della Laurea, le prove meno significative di quel ventenni0 che vede anche la composizione dell'Ascanio in Alba, 1771), la musa lirica riprende ad ispirare il vecchio cantore nel 1784 con La recita dei versi, in lode della marchesa Paola Castiglione e contro il vezzo di recitare versi durante i festini, e nel 1785 con La caduta. L'animo del Parini, per un momento distolto dalla contemplazione di cosi miserando spettacolo d'un popolo perseguitato e dolente, si chiude in se stesso, ed attua la sua protesta morale contro l'incomprensione d i c h i gli vuole op- porre consigli e ammaestramenti in 'stridente contrasto con la missione etica e culturale del poetn.. Al fondo della protesta civica della Caduta vive anche un senso d'insoddisfazione per le promesse e non concrete e giuste riforme, tema che sarà al centro dell'ode successiva, La tempesta (1786), contro la cat- tiva amministrazione e il malcostume politico, conseguenza delle audaci ma eccessive riforme promosse da Giuseppe 11. All'ode s'oppone un'altra, dove è invece esaltato l'esempio di retto governo amministrativo di Camillo Gritti, Rettore di Vicenza: La magistratura,. del 1788; ché anche in questo pe- riodo non mancano componimenti di carattere occasionale ed encomiastico: La gratitudine, del 1790-91, in lode del cardinale Angelo Maria Durini (che ha voluto porre un busto al poeta nel proprio palazzo). C'è già in atto in queste odi un senti- mento sempre piu esplicito di sfiducia per il progresso delle- istituzioni civiche; nella Caduta l'amarezza serpeggia tra le af- fermazioni di dignità ma non si concreta ancora, come subito dopo avverrà, in disimpegno sociale e in una nuova luce d'ispi- razione: quella amorosa de I l pericolo (1787, ritratto di un'af- fascinante gentildonna, Cecilia Tron, che con la sua bellezza mette in pericolo la serenità del poeta), I l dono (1790, esalta-

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zione del valore confortatorio della bellezza, a lode della mar- chesa Castiglione che gli ha donato le tragedie dell'Alfieri), I l messaggio (1793, celebrazione dell'ideale della bellezza clas- sica); accanto ad esse, altre odi, Le nozze, Il brindisi, A Silvia (1795, avverso la moda del vestire alla ghigliottina), e so- prattutto il testamento di tutti gli ideali politici, Alla Musa ( 1795-96).

Non è un nuovo modo di poetare, né un ,mutamento di prospettiva nella sua poetica, quanto un intensificarsi dell'im- pegno espressivo in forme di eccelsa purezza formale, ove la rappresentazione della bellezza femminile, come l'incontro idea- le della perfezione e della sensibilità, delle linee classiche e dei 'palpiti del cuore, si dischiude a visioni di felicità malin- conicamente contemplate, a giochi raffinati di suoni e di im- magini fascinose:

Ecco spiegarsi e l'omero e le braccia o~gogliose, cui di rugiada nudrono freschi ligustri e rose, e il bruno sottilissimo crine che sovra lor volando va:

e quasi molle cumulo crescer di neve alpina la man che ne le floride dita lieve declina, cara de' baci invidia che riverenza contener poi sa.

L'impegno etico non s'è affatto attenuato, né è preter- messo a compiacenze frivole verso il divertissement D della società aristocratica; piuttosto è vero il contrario: che attra- verso le galanterie erotiche il Parini acquieta in parte la sua ansia interiore e si prepara ad accogliere o semplicemente ser- bare qualcosa del vecchio mondo che sta scomparendo, un guizzo di riposto magico piacere. Ne è prova il contenuto di Alla &usa, a causa d'un raggiunto meditato equilibrio tra il gusto artistico e l'esigenza morale, capace di offrire al Parini stesso la piena consapevolezza dell'ampia esperienza umana raggiunta con tanti sforzi e sofferenze, e dell'alta missione del poeta, di

chi la parola modulata da te gusta od imita,

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Dal Goldoni ai Romantici

e cioè di

colui cui diede il ciel placido senso e puri affetti e semplice costume,

degno di rivivere la limpidità e bellezza d'ogni aspetto della natura, di assolvere sino in fondo il proprio dovere di fronte ad una vita tutta impegnata e spesa per la poesia, suprema consolatrice degli affanni, elargitrice di verità di pensiero, di probità morale, di rasserenante saggezza per sé e per tutti gli uomini.

LA POESIA DEL << GIORNO »

In una prima fase del lungo lavoro il Giorno doveva es- ser diviso in tre parti: << I1 Matti'no » << I1 Mezzogiorno e << La Sera »; successivamente la terza parte vien divisa in due: << I1 Vespro », iniziato nel 1767 e continuato non senza grandi difficoltà sino al 1780: << La Notte ». cui attese neeli anni suc- cessivi, procedendo né1 contempo ad una profonJa rielabora- zione anche del << Mattino e soprattutto del << Mezzogiorno ». Nonostante la difficile situazione del testo, di cui solo in questi anni s'è avuta una sicura edizione critica, le linee generali del poemetto resteranno nel complesso invariate. I1 vero prota- gonista del poemetto è il Parini stesso che parla per bocca del << precettor d'amabil rito », anche se narrativamente il perso- naggio centrale è un rappresentante tipico della nobiltà oziosa e insensibile, il Giovin Signore; e la giornata di un uomo va- cuo, inutile, opaco, infingardo è la trama dell'opera, da quando il Giovin Signore si alza, dopo aver trascorso la maggior parte della notte

tra le veglie, e le canore scene, e il patetico gioco,

e discorre con i maestri di ballo o di francese, e sorbisce la colazione, e si veste d'abiti lussuosi, e invia un messo alla bella dama di cui è zelante cavalier servente (<< I1 Mattino »); finché il Giovin Signore è alla mensa con la bella dama, ha accanto il tedioso marito di lei, e sfoggia con i molti commen- sali la grazia di una conversazione tanto frivola quanto su- perficiale (<< I1 Mezzogiorno »); e poi la coppia si reca al corso. alla sfilata delle nobili carrozze (<< I1 Vespro »); e infine scen- de la notte, ma il Giovin Signore ha ancora tante occupazioni

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alle quali far fronte, e che culminano nella sontuosa serata in una casa ospitale,

di gran luce d'oro e di ricchi tnpeti aula superba,

dove il gioco ferve per tutta la notte (<< La Notte »). Argo- mento come si vede, originalissimo, anche se la trattazione della materia risente del Boileau, del Pope e d'altri; soprat- tutto sostenuto da una coerenza mirabile di disegno, in una perfetta distribuzione delle parti, in una varietà di toni dall'iro- nico al patetico, dal galante al meditativo, pur nella precisa scansione del ritmo, d'armoniosa classica struttura, e nella co- stanza melodica del metro.

Il poeta indulge alla rappresentazione di personaggi e si- tuazioni con una insistenza che a prima vista sembra cadere nella lentezza espositiva e nella monotonia formale, ma non è però ,mai inerte artisticamente in virtu della varia rappresen- tazione della società nobile, osservata in tutti i suoi aspetti quotidiani, e soprattutto per merito d'una concreta medita- zione del moralista: l'uniformità della vita aristocratica, opaca e senza ideali, necessariamente deve riflettersi sull'argomento trattato. Di contro sta l'impegno personale del poeta (il << pre- cettore »), che anima dall'interno tutte quelle figure che per la loro psicologia dovrebbero apparire immobili, come fossili di un mondo arcaico, e scava con vigile tensione drammatica all'interno dei personaggi d'estrazione popolare o piccolo-bor- ghese, caratterizzandoli con una mobilità analitica e ricchezza di spunti realistici come non è dato ritrovare nei personaggi aristocratici.

Anche nel5Giorno è evidente il fondamento sensistico della poetica pariniana, nella u squisitezza e sensitività di atteggia- menti fantastici e di predilezioni stilistiche », ma il tema con- duttore centrale è costituito a differenza delle Odi (dove que- st'ultilmo motivo è ausiliario), dall'ironia, penetrante, acutd, sferzante, seppur misurata da un superiore rigore di stile. L'ar- tista non si scaglia con virulenza contro quel mondo ozioso, non riguarda quelle figure e figurine come un predicatore che le odii e voglia infangarle col suo disprezzo. Le preziose esor- natezze e i ra&nati gusti edonistici, il tono morbido di vita, le futili galanterie acquistano un senso di decoro estetico per il Parini; e nel rappresentare pittoricamente questa società, l'artista finisce per innamorarsi dei colori fastosi, dei suoni ar- moniosi, delle luci splendenti, dei preziosi contrasti di tonalità pittoriche. È stato scritto che il Parini, nell'entrare nella di-

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mora del Giovin Signore o nell'« aula superba », o nel muo- versi tra le luci dei doppieri e le grazie delle voci femminili, non è il plebeo che calpesti tappeti e costumi con i suoi scar- poni di contadino brianzolo, ma è l'abate elegante e galante

cui questo mondo sorride in rari momenti d'abbandono P. Ritornano allora le voluttuose languidezze del Messaggio, e si arricchiscono di nuovi scorci etici, d i nuove luminosità espres- sive. È il crepuscolo di un secolo, anzi di un'epoca storica, che il Parini sa d i rappresentare, e nel mcmento in cui satiri- camente dipinge il Giovin Signore che è indeciso se scegliere il caffè o il cioccolatte, che incede accanto alla sua dama, che conversa sullo spirito della cultura francese, il Parini avverte in sé decrescere se non proprio estinguersi l'indignazione mo- rale, finisce per carezzare il pexonaggio, vederne solo gli aspet- ti morbidamente aggraziati, velarne l'opaca viziosità e la fatua mollezza del comportamento.

Si tratta di un amore 4 artistico », beninteso, com'è natu- rale che ogni poeta nutra nei riguardi dei suoi personaggi, an- che quelli che muovono lo sdegno e tuttavia creano una sugge- stione profonda nell'animo. Cosi il Giovin Signore resta sia nei momenti frivoli e sgradevoli, sia nell'atteggiarsi di bella statua, elemento di un quadro complesso e attraente, al quale non mancano note di un lirismo rattenuto ed intenso, come nei versi finali del Vespro » (nella redazione del '65, e cioè al- I'interno del << Mezzogiorno »), già chiaramente nell'aura pre- romantica:

Ma la Notte segue sue leggi inviolabili, e declina con tacit'ombra sopra l'emispero; e il rugiadoso piè lenta movendo, rimescola i color varj infiniti, e via gli spazza con l'immenso lembo di cosa in cosa: e suora de la morte un aspetto indistinto, un solo volto al suolo, ai vegetanti, agli animali, ai grandi, ed a la plebe equa permette; e i nudi insieme, ed i dipinti visi de le beile confonde, e i cenci e l'oro. 'Né veder mi concede all'aer cieco qual de' cocchi si parta, o qual rimanga solo all'ombre segrete; e a me di mano toglie il pennello; e il mio Signore avvolge per entro al tenebroso umido velo.

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146 Ln letteratura itafaana

Questa <( sensiblerie preromantica è un'ulteriore prova della molteplicità delle esperienze letterarie che attraversa e supera le tre fasi o atteggiamenti della cultura settecentesca, dall'Arcadia all'Illuminismo e al Preromanticismo. E forse è proprio i,n questo sbocco preromantico del <( Vespro e della <( Notte che può intendersi, tra le tante motivazioni di que- st'arte, il segreto piu ptofondo del messaggio poetico di Pa- rini: non soltanto nella consumata perizia tecnica, che s'attua nella ricchezza delle soluzioni metriche e ritmiche, nell'elezio- ne squisita del lessico, nel gioco dell'assonanze e degli <( enjam- bements »; e nemmeno soltanto nella vibrante parola morale, ove tutto un secolo di civiltà trova il suo specchio fedele e il suo piu alto e probo banditore; ma nei momenti d'amara riflessione su se stesso, nel soliloquio accorato, quando il lin- guaggio guadagna i,ntime commosse vibrazioni e il moralismo perde un rigido rapporto polemico con i contenuti rappre- sentati con tanta cura e sincerità e diviene piuttosto un modo d'evocazione di sentimenti e d'effusione di convinzioni pro- fonde. I n tali soliloqui il Parini non ha bisogno, per espri- mersi, di locuzioni raffinate, di costrutti peritissimi, di termini incisivi; al tempo medesimo la riflessione conserva tutta la pensosità etica che l'artista ha espresso nelle odi civili e so- ciali, conserva tutta la grazia elegante e voluttuosa dei mo- menti di rappresentazione piu libera e divertita delle raffina- tezze nobiliari. La forma piu alta d'illuminazione dello spirito nasce nel Giorno quando il Parini resta nella sua solitudine d'uomo, e questo esser solo gli solca l'animo di malinconia e di desideri non appagati; in tal senso e con questa stessa in- tensità i versi non descrittivi del Giorno richiamano momenti della Caduta e del Messaggio. Non importa se questi istanti di malinconia e di pateticismo son quelli che meno hanno con- tribuito all'importanza storica di Parini, che è piuttosto quella del letterato di squisite doti stilistiche e del moralista fusti- gatore dei costumi; interessa invece d'intendere i sottofondi e le penombre di colorito poetico, d'avvertire la sostanziale no- vità d'accento e di tonalità espressiva.

Per tornare alla struttura del Giorno, la perfezione con la quale egli raccolse gli schemi descrittivi e le formule espres- sive della poesia didascalica del '700, pone la sua esperienza letteraria sotto una luce non di pura abilità formale, ma di un'educazione letteraria prestigiosa; accoglie le esigenze della letteratura a lui contemporanea, elaborandole con un inter- vento deciso e personale. Stilista impareggiabile, a lui si ri-

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faranno gli scrittori del nostro Romanticismo come ad un irri- petibile esempio letterario. E vi si specchiarono per un duplice motivo: perché vi trovavano non il puro letterato ma l'uomo, e perché nella sua esperienza stilistica sentivano coesistere una concezione morale dell'arte e una poetica ricca di intimi fermenti ideali. Gli spiriti romantici piu moderati (un Man- zoni, per intenderci: « originalità d'invenzione e di stile e di- rei auasi anche del verso. nell'immortale nostro Parini ») lo - -

ameranno, sentendo in lui aon il rivoluzionario intransigente, ma l'uomo saggio che segue idee nuove pur sottoponendole a critica, che propugna una nuova vita sociale senza cadere in eccessi dottrinari o pratici; sentendo in lui l'uomo dei tempi nuovi che non ripudia la tradizione ma in essa arricchisce lo spirito e affina la cultura per compiti ideali che vengono affi- dati alla poesia, portatrice della verità, dell'utile, del giusto, e aperta alle piu varie istanze d'una nuova società intellettuale.

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Capitolo settimo

Vittorio Alfieri

Nella Vita l'Alfieri, tratteggiando cosi energicamente la formazione della sua personalità ed esponendo i criteri, i pro- tedimenti, l'ispirazione dell'opera poetica, soprattutto delle Tragedie, contribui sin dall'inizio ad imprimere alla fortuna romantica di sé l'alone leggendario e la forte temperie morale che la distinsero. Ma ancora in età settecentesca coloro, e non furono pochi, che si occuparono del a fero Allobrogo » (Pari- ni), non trascurarono di porre in maggiore luce aspetti e con- traddizioni delle sue opere; lo stesso Parini, che in tal modo l'avrebbe esaltato nel Dono, nel sonetto a Tanta già di cotiir- ni, altero ingegno D, scritto nel ricevere il primo volume del- l'edizione senese delle Tragedie, celebrava la forza morale e l'autenticità della ispirazione alfieriana, ma nel contempo con- statava l'inadeguatezza dello stile: << del genio suo sublime i passi / Ostano i carmi ».

E fu questo un giudizio sovente espresso nel Settecento, dall'Albergati al Napoli Signorelli, dal Bettinelli (che lo defi- niva a senza gusto e senza calore, privo di facilità, pieghevo- lezza, naturalezza ») al Tiraboschi, all'Arteaga e infine al Verri, che sentenziava: Un tragico che mentre deve essere tutta anima e fuoco, trema sotto la sferza della Crusca, è stentato e non va all'anima n, annotando cosi una qual contraddizione tra l'impeto della parola alfieriana e lo sforzo di sottoporla al vaglio della tradizione aulica italiana. Le limitazioni, peraltro, non erano soltanto dirette alle deficienze stilistiche, ma inve- stivano lo stesso messaggio morale, se il Bettinelli alla prima osservazione faceva soggiungere una nota di biasimo poiché l'Alfieri gli appariva a un politico che vuol fare il poeta » (giu-

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dizio che riapparirà anche nell'ottocento; ad esempio nel Tom- maseo).

In una posizione criticamente piu costruttiva ebbe a porsi soltanto Ranieri de' Calzabigi, in una Lettera scritta al poeta e che procurò una replica di lui. Sostanzialmente il Calzabigi non si distacca da una certa astrattezza, in parte tipica della critica del suo temt>o. cosi nel valutare la struttura delle sin-

A ,

gole tragedie, come nell'anteporre al giudizio sui personaggi Doetici una certa rieida corrismndenza di essi coi modelli sto- L - 0

rici e con gli atteggiamenti ad essi attribuiti dalle fonti romane o dai testi della mitologia classica. Non meno regolata dai pre- concetti teorici sui rapporti tra i principi aristotelici e teatro alfieriano sarà, in clima neoclassico, la Dissertazione (1806) di Giovanni Carmignani, il quale però seppe cogliere l'essenzia- lità dell'ispirazione letteraria dell'Astigiano, fuori di un libero gioco della fantasia, ma sempre avvertita come << un mezzo di educazione nazionale diretto a dare un urto determinato al pubblico spirito, non già come un poetico componimento de- stinato a piacere ».

L'età romantica celebrerà al massimo il culto dell'Alfieri maestro di libertà e di coscienza etico-civica. Avvertiremo la continuità del mito nei celebri versi dei Sepolcri, nel carme In morte di Carlo Imbonati, della canzone Ad Angelo Mai: sia il Fosco10 che il Manzoni e il Leo~ardi . e ~ i u tardi il Car-

L

ducci in piu d'una lirica e d'una prosa, mescoleranno alla mi- tizzazione dell'apostolo della libertà quella dell'uomo infles- sibile e solo, in mezzo ad un'epoca che non lo comprende o comunque non è degna di lui.

Impegna piu l'autenticità del contenuto morale e patriot- tico che il modo come esso veniva artisticalmente realizzato: cosi nel Mazzini, che vide nell'Alfieri colui che per primo as- segnò << un fine importante alla tragedia, traendola dal fango per crearla maestra dei popoli e ispiratrice di magnanimi fat- ti D ; cosi nel D'Azeglio, nel Balbo, nel Gioberti, il quale però non si limitò nei biasimi alla persona dell'Alfieri, come se fosse suscitata da un'indole portata naturalmente a tiranneg- giare, e che quindi riusci ad esprimer efficacemente nel teatro la smania di potere dei suoi personaggi donde (son parole del Gioberti) << la concisione, il nervo e la durezza » del verseg- giare alfieriano, e a la cupa energia dei sentimenti », la << cru- dezza delle tinte e dei contorni che non isfumano né tondeg- giano, e mancano di chiaroscuro ». Ad iniziare questa inter- pretazione di un Alfieri uomo d'alta moralità piu che artista

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era stato lo Schlegel nel Corso di letteratura drammatica, se- guito dal Sismondi nella Littérature du midi de I'Europe.

Tutti questi temi contrastanti furono riassunti dal De Sanctis e trasferiti su un piano piu propriamente critico. An- ch'egli parte dalla constatazione della preminenza dell'uomo sull'artista: è l'uomo nuovo che si pone in atto di sfida in mezzo ai suoi contemporanei: statua gigantesca e solitaria col dito minaccioso P, per spiegare poi il risultato poetico di que- sta solitudine morale, la quale cerca di risolversi nella tragedia, che è lo sfogo lirico de' suoi furori, de' suoi odi, della tem- pesta che gli ruggia dentro P. I personaggi non solo appaiono veri e propri fantasmi poetici, ma altrettante personificazioni del ribollente mondo umano del pqeta e delle sue convinzioni e dei rancori politici: <( il sentimento politico è troppo vio- lento e impedisce l'ingenua e serena contemplazione »; don- de il limite sostanziale di quest'arte, cioè l'assenza della <( scien- za della vita », di <( quello sguardo pacato e profondo, che t'inizia nelle sue ombre e ne' suoi misteri e te ne porge tutte le armonie ».

ALFIERI TRA SETTECENTO E OTTOCENTO

La collocazione storica della personalità alfieriana è un te- ma critico indubbiamente preliminare per stabilire qualche li- nea di contatto e di contrasto tra la civiltà del Settecento e un poeta cosi fortemente originale, assoluto in se stesso, so- vrastato da sentimenti genuini e possenti che ne alimentano lo spirito e sovente lo dominano, dotato di un temperamento altamente individualistico, di un gusto malinconico ma non fragile per la solitudine (che l'amore pel le bellezze selvagge della natura non allieta ma stempera), di un desiderio fortis- simo di pensare e d'agire per proprio conto, non identifican- dosi in nessuna precisa istituzione sociale o in alcuna sto- rica » confessione religiosa, ma immedesimandosi integralmen- te nel senso eroico della vita che rappresentò nei personaggi delle sue Tragedie, e che arricch; d'un caldo sentimento uma- no, d'una fiduciosa speranza in una nuova umanità, riscattata dalla sofferenza ma al tempo stesso insidiata da un fato tre- mendo che semina nel mondo lutti e rovine immense, e feri- sce giorno per giorno, vicenda per vicenda, quell'immagine di sé, quell'orgoglio di sé che caratterizza l'« uomo nuovo euro- peo'» e che la Vita proclama in ogni sua pagina.

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Occorre muovere il discorso dall'esistenza d'un'acuta anti- nomia che in un certo momento del Settecento (con l'affer- marsi della nuova sensibilità C( ossianica >> e C< sepolcrale D del Preromanticismo) si viene a creare tra il razionalismo illumi- nistico e un diverso stato d'animo, di rivolta contro il predo- minio dell'intelletto, di compiacimento per i nuovi paesaggi umani e naturali che le traduzioni dell'Ossian, di Gray, di Young, di Gessner e di Thompson fanno conoscere ai lette- rati italiani. Lo spirito dell'Alfieri non è estraneo a questa antinomia Illuminismo-Preromanticismo. Alfieri partecipa del- le istanze ideologiche della cultura illuministica senza respin- gere le seduzioni della a sensiblerie » preromantica, i ritmi impetuosi di Ossian o dello Sturm und Drang D, le cadenze poetiche dei sepolcrali, e anzi provvedendo da par suo a dare un contributo incisivo a questa temperie nuova sospingendola verso l'interiore consapevolezza di piu alti e duraturi ideali. Se da un lato è vicino agli illuministi nella loro esigenza di superare le arretratezze e insensibilità dell'assolutismo per una autentica religione della libertà, per una visione umanitaria della società e dei suoi bisogni, egli elabora d'altra parte un pensiero politico in evidente distacco dai principi illumini- stici, ché l'individualismo eroico ripudia gli schemi democra- tici del Verri e del Beccaria e un pessimismo di fondo lo al- lontana dalle ambiziose speranze per la vittoria della ragione e del progresso scientifico, economico e sociale, C< un pessimi- smo non ancora ragionato e ridotto a dottrina, come sarà nel Leopardi, ma non per questo meno reale e che, se nella fase ultilma svelerà piu crudamente i suoi caratteri negativi, è, nel momento peniale del suo fervore tragico e politico, una cosa sola coll'impeto anti-tirannico e con l'aspirazione all'eroismo », come ha lucidamente stabilito il Fubini. All'interpretazione storica dettata dalle idee sociali degli illuministi oppone la visione tragica delle miserie, del sangue che gronda dalle pa- gine della storia; ma questa disperata drammaticità è senti- mento ancor piu forte delle istanze teoriche degli illuministi, per il proprio rinnovamento dell'ciaanità, non nel senso di un nuovo ordine politico ma per la libertà. Cosi, in sede estetica, alla squisita sensazione canonizzata dal Condillac sostituisce un'ispirazione passionale che vien tutta dall'interno e travol- ge l'armonica proporzione delle cose; allo stesso modo che I'esperienz;. rigorosamente classicistica del suo stile (quale è dato veder-., ad esempio nelle Rime, nella Vita a tratti. in al- cune bellissime Lettere), è nelle Tragedie investita da un sofio

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152 letteratura italiana

di passionalità e di drammaticità che per esprimersi ha bisogno di ampliare i contorni e le risorse stilistiche della tradizione aulica.

Si può dunque affermare che la personalità dell'Alfieri, storicamente piantata tra 1'Illuminismo e il Romanticismo, ten- de potentemente a bruciare il terreno del primo e ad espan- dersi verso il secondo. Ha infatti scritto il Binni: <( L'idea del genio e del sublime, dell'entusiasmo, la prevalenza del senti- mento, il gusto delle generose illusioni e d'altra parte il ripu- dio della grazia arcadica e della stilizzazione illuministica. il u

nuovo senso della malinconia, dell'orrore, come natura stessa dell'ispirazione, l'affermazione di un costruire pih a nuclei sen- timentali che a levigate trasparenze lineari, vengono a incon- trarsi nella poetica alfieriana con una intensità che li presup- pone storicamente, ma li unifica ed invera ».

Come ogni personalità di fortissimo accento originale, la collocazione dell'Alfieri può avvenire soltanto in sé, nella sua misura d'uomo e nello spirito dello scrittore. Se perciò tra l'opera degli illuministi e il trionfo dei romantici cadono la malinconica solitudine dei preromantici come Pindemonte e l'orpello prestigioso dei neoclassici come Monti, l'Alfieri, di questi piu anziano e piu alto, ha bisogno d'uno spazio tutto SUO.

È stato detto giustamente che lo divide dai romantici la concezione del titanismo: nell'Alfieri è lo sforzo generoso di un eroe sempre padrone del suo destino; i titani romantici sono invece vittime di loro stessi, coscienti della propria ine- vitabile sconfitta. Cosi mancano all'Alfieri, nelle loro linee es- senziali, due motivi tipicamente romantici: l'ansia religiosa <( sul fine e il valore della vita », e l'interesse vivo per « gli aspetti particolari e realistici delle cose D (B. Croce). Ma è già tutto romantico il senso che l'Alfieri ha della poesia: come estrinsecazione di una passione schietta e personale, come libe- razione dell'uomo dagli impacci della ragione, per unii totale dedizione ai propri ideali, fortemente sentiti ed espressi per la consapevolezza dell'essenza tormentosa e intensa delle pas- sioni del cuore umano.

La vicenda biografica dell'Alfieri è a noi nota anche dal racconto che egli stesso, sia pure idealizzando propositi e fatti,

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e talvolta incorrendo in sviste, ci narra nella sua autobiografia, la Vita, che cominciò a scrivere nel 1790 e concluse l'anno stesso della morte.

Nacque ad Asti il 16 gennaio del 1749, dal conte Antonio di Cortemilia e da Monica Maillard di Tournon; nel 1758 fu inviato a studiare presso l'Accademia militare di Torino, uscen- done col grado di portainsegne nel 1766 e assegnato al reggi- mento di Asti. Nell'ottobre dello stesso anno diede inizio ad una serie di viaggi: Milano, Firenze, Roma, poi Napoli, Bo- logna, Venezia (1767), indi a Marsiglia, quindi in Austria, Germania, Danimarca, Svezia (1770), Finlandia; poi a Pietro burgo, Olanda, Spagna e Portogallo ( 177 1 ), acquistando ben presto, nelle abitudini di vita, piu che nella cultura, quel co- smopolitismo che è di tutti gli intelletti dell'Illuminismo, e subendo molteplici esperienze umane. Nel 1772 tornò a To- rino, e per vario tempo la sua vita corse fra amori e disper- sioni di vario genere, lontano dagli studi: ma lo sdegno per una passione che troppo lo aveva degradato (per la marchesa Gabriella Falletti Turinetti), lo spinse a coltivare le lettere, superando l'enorme ostacolo che gli veniva dalla scarsa cono- scenza della lingua italiana: cosa consueta nel Piemonte del '700, in parte accresciuta dai molti viaggi e dalla consuetudine di ambienti mondani e poco colti. Nel 1774 si diede a scrivere una tragedia, la Cleopatra, rappresentata con successo a To- rino nel 1775 col titolo Antonio e Cleopatra

Questa cosiddetta crisi, risolta poi in virtu dell'incontro a Firenze (1777) con Luisa Stolberg d'Albany, la raffinatissima gentildonna con la quale convisse maritalmente fino alla morte, accentuò nell'animo dell'Alfieri il desiderio di provarsi in im prese grandi e di acquistarsi gloria con le lettere. Nel 1776 abbandonò Torino, e si stabili prevalentemente a Firenze, af- francato da ogni rapporto di dipendenza e d'affari col Pie- monte, donando tutto il suo patrimonio alla sorella Giulia in cambio d'una pensione vitalizia e del permesso di soggiornare lontano dal Regno di Sardegna. Visse spesso in sdegnosa soli- tudine, ma non tanto lungi dagli ambienti colti della Toscana, che cosi utilmente potevano districarlo dai residui della par- lata dialettal~. E oltre Firenze, tra il 1776 e il 1785, lunghi furono i suoi soggiorni a Roma (1781), Napoli, Siena, Pisa, mentre nascevano, proprio in questo periodo, ben diciannove tragedie: Filippo, Polinice, Antigone, Virginia, Agamennone, Oreste, Rosmunda, Ottavia, Timoleone, Merope, Maria Stuar- da, Lo congiura de' Pazzi, Don Garzia, Saul, Agide, Sofonisba,

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Bruto primo, Mirra, Bruto secondo, accompagnate da varie Rime, dalla traduzione di Sallustio, dal trattato Della tiran- nide (1777), dal poemetto Etruria vendicata, dal trattato Del principe e delle lettere (1778), dalle Odi all'America libera ( 1781 1.

Le prime dieci tragedie venivano pubblicate a Siena nel 1783; l'edizione integrale, dove i1 testo era sottoposto ad un impegno di fittissime correzioni, usciva pih tardi a Parigi, tra i1 1787 e il 1789, preceduta da un Parere, dove l'Alfieri dis- sertava sul proprio teatro tragico e sui fini che s'era prefisso nel comporre le singole tragedie. Nel frattempo egli andava ampliando la ricca serie delle sue Rime, e dettando (1785) il Panegirico di Plinio a Traiano, e (1786) il dialogo La virtzi sconosciuta.

11 1789 assiste alle prime vicende della Rivoluzione fran- cese, e scrive l'ode Parigi sbastigliato; ma ben presto le sue illusioni cadono, e s'afferma e sempre pih si consolida un-vio- lento rancore per la Francia, imputandosi ai Francesi la deca- denza di un'idea cosi nobile come quella che aveva mosso ini- zialmente la Rivoluzione. Nasce cosi il Misogallo, una raccolta di versi e prose composti alla rifusa tra il 1790 e il 1798. L'indi- gnazione del poeta s'amplia poi di proporzioni: non si sfoga piu contro la vanità e la leggerezza del popolo francese, ma con- tro i vizi e i difetti di tutta l'umanità. Da questo sdegno na- scono le Satire, il cui primitivo progetto risale al 1777, ma in effetti scritte via via dal 1786 al 1797, conservando quindi le tracce delle mille contraddizioni dell'animo alfieriano: in esse è aspramente giudicata tutta la vita politico-sociale del suo tempo; lo denunciano gli stessi titoli: I Re, I grandi, La plebe, La sesquiplebe (e cioè la borghesia agiata), Le leggi (la situa- zione di un paese dove le leggi non sono rispettate e si scate- nano i peggiori delitti), L'educazione (la scarsa cura che l'ari- stocrazia pone nell'educazione della prole), L'antireligioneria (contro il Voltaire che non comprese la grande forza spirituale del cristianesimo e si diverti in sarcasmi sterili e maligni), I pedanti (contro la cieca critica letteraria che imperversa in Italia), I viaggi (descrizione dei viaggi compiuti dall'autore), I duelli (in difesa di questa istituzione, ritenuta altamente no- bile), La filantropineria (contro il finto umanitarismo degli scrittori giacobini), Il commercio (contro il commercio; lu- cro idolo ingordo e nume di questo secolo borsale D), I debiti (contro le carte di credito che giravano per l'Europa), La mi- lizia (contro le milizie dei tiranni), Le imposture (contro le

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sette politiche), Le donne (ripresa della tradizione letteraria misogina).

Nel settembre del 1785, sempre con la contessa d'Albany, l'Alfieri aveva lasciato l'Italia, vivendo a lungo (dal 1785 al 1787) tra Parigi e Colmar, in Alsazia, alternando sovente i due soggiorni. Stabile fu poi la dimora parigina a cominciare dal 1787 fino al 1792, salvo un breve viaggio a Londra nel 1791. L'imprigionamento di Luigi XVI e lo sdegno amaro per gli eccessi dei rivoluzionari lo costrinsero (agosto del 1792) a fuggire da Parigi e, dopo un breve soggiorno in Bel- gio, a tornare a Firenze (novembre dello stesso anno) dove visse gli ultimi undici anni, traducendo Virgilio e Terenzio, scrivendo altre rime, studiando il greco, scrivendo 1'Abele e 1'Alceste seconda ( 1789), e soprattutto componendo comme- die, in numero di sei, di cui quattro di argomento politico, L'uno (contro il dispotismo), I pochi (contro l'oligarchia), I troppi (contro la democrazia), L'antidoto (in cui indica nella fusione delle tre forme predette di governo il controveleno contro i pericoli di ciascheduna d'esse); e altre due comme- die d'argomento etico-sociale, La finestrina (pessimistica enun- ciazione del male e dell'imperfezione che è in ogni anima, an- che la piu nobile) e Il divorzio (contro i matrimoni di conve- nienza che non sono una unione, ma piuttosto una separazione morale, un divorzio).

All'ingresso dei Francesi a Firenze (25 marzo 1799) si ri- tira in una villa nei pressi della città, a Montughi; nel 1801 s'ammala gravemente; nel 1802 traduce Aristofane, lavora in- tensamente alla Vita. Muore 1'8 ottobre del 1803. Viene se- polto in Santa Croce, e il Canova scolpirà il suo monumento funebre, commissionato dalla contessa d'Albany.

GLI SCRITTI POLITICI

L'Alfieri riusci a trovare una stabile espressione alle sue forti idealità nel pensiero politico, prima ancora che nella poe- tica e nella creazione artistica. S'è detto pensiero politico, e forse converrebbe piuttosto parlare di idee e sentimenti poli- tici, che, nonostante lo sforzo di trattati come Della tirannide o Del principe e delle lettere o le schiette confessioni di molte pagine della Vita, non raggiungono mai una loro sistemati- cità dottrinaria, non facile a realizzarsi per l'impetuosa e tal- volta contraddittoria indole del poeta, divorata da una conti-

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nua ansia di chiarimento e di supetamento di se stesso. In- fatti, qualora si voglia chiarire dalle testimionianze precise del- la sua pubblicistica politica quale sia la forma di governo che egli intenda opporre all'esecrata tirannide, si cominciano gii a scorgere i segni d'una profonda contraddizione in atto, tra il fervore concesso in certi momenti al governo repubblicano e i rischi che vi avverte, si da preferirgli, in altre pagine, il eoverno monarchico costituzionale.

I1 pensiero politico degli illuministi offriva un'infinita va- rietà di situazioni, e nessuno tra i teorici e gli scrittori di sto- ria o di filosofia è fermo alla pura e semplice negazione del- l'assolutismo. Soltanto l'Alfieri può apparire immobilmente le- gato al tema centrale del dissidio tra tiranno e antagonista, e sente la vita politica in funzione soltanto di questa lotta, non d'altre esigenze sociali, politiche o giuridiche. Nella Tirannide, definito il perché del dispotismo e stabilito quale debba essere il comportamento dell'uomo libero (che si può affrancare dal tiranno uccidendolo o uccidendosi o volontariamente relegan- dosi in solitudine), l'Alfieri resta fermo al momento della lotta tra il despota e l'uomo libero; e questa cristallizzazione ideologica e teorica, che è pur nel fondo tempestosa e dram- matica, non gli consente di approfondire il concetto di libertà e di vederne lo svolgimento nella vita sociale. Infatti accade questo: che la Rivoluzione francese, ad esempio, lo entusiasmi nel suo momento iniziale, quando si scuote eroicamente dal giogo dell'assolutismo, ma lo deluda e irriti quando cerca la stabilità di istituzioni politiche e sociali.

I1 carattere dominante dell'dlfieri è quello d'un individua- lista, ostile alle grettezze dell'aristocrazia, ma sdegnoso delle ambizioni del ceto medio e, ancor di piu, del popolo; un indi- vidualista che si appaga del proprio impulso rivoluzionario, del suo essere ribelle ad ogni regola politica tranne a quella della lotta ad oltranza, con ogni mezzo, contro il despota. E come tale va giudicato il complesso delle sue passioni politiche: quelle di un poeta che non vuole, e si direbbe quasi non deve arrivare al momento della serena costruzione politica e stre- nuamente rivoluzionaria. Inlfatti l'uomo libero del mondo po- litico alfieriano non è mai un esponente della borghesia dive- nuta forza politica, o un figlio del popolo: è soltanto un in- dividuo, tragicamente solo nella lotta contro il tiranno, cam- peggiante con i propri ideali sullo sfondo della storia antica o moderna. Questa ilmmagine è incisivamente espressa dal- l'Alfieri nella sua Vita: non il profilo d'un itinerario psicolo-

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158 h letteratura italiana

distinguere quelli dettati da un'occasione effimera (come i mol- ti, d'argomento amoroso, dedicati alla contessa d'Albany), e quelli dove il poeta ha gettato il peso della sua esperienza in- teriore, e si ricerca, di volta in volta, di stagione in stagione, e scopre in sé una solitudine cosi ampia, uno sconforto tanto profondo, la presenza amara della morte:

Te chiamo a nome il di ben mille volte; ed in tua vece, Morte a me risponde: Morte, che me di là dalle triste onde di Stige appella, in guise orride e molte.

Cerco talor sotto le arcate volte d'antico tempio, ove d'avelli abbonde, se alcun par d'alti amanti un sasso asconde, e tosto ivi entro le luci ho sepolte.

Nei moduli d'estrinsecazione letteraria dei frequenti e sem- pre vari momenti di solitudine e di disillusione è presente l'influsso del Petrarca. ma suDerato da un accento drammatico personale, da una irrequieta bramosia d'eroismo che scuote le strutture del sonetto, e impone al ritmo del verso un anda- mento non dissimile dai soliloqui di Saul, di Filippo, di Anti- gone. Nonostante che l'intenzione delle Rime fosse volta a pro- durre; da parte del poeta, la tempestosa idealizzazione di se stesso, di sé eroe-poeta, i sonetti dove l'Alfieri celebra la soli- tudine e la malinconia del suo essere riescono a darci, nei mo- menti migliori, una umanizzazione costante del personaggio- poeta, visto tanto piti in profondità quanto piu acerba e nuda è la rappresentazione che egli fa dei suoi sgomenti, contraddi- zioni, ire, speranze.

Tuttavia, percorrendo il lungo arco venticinquennale di scrittura delle Rime, si constaterà piu d'un argomento che suf- fraghi l'opinione critica che gli ultimi sonetti hanno perduto quel che di tenebroso e tempestoso alimenta i componimenti della prima parte (approssimativamente tra il 1776 e il 1789) del canzoniere. Sembra nascere quasi un nuovo Alfieri, piu pa- cato, interiore; riflessivo, meno tragico, che va dal 1789 al 1799; si che anche i temi di disillusione e dolore divengono una forma di colloquio sereno del poeta con se stesso; si ve- dano il sonetto: « Malinconia dolcissima, che ognora », o l'al- tro: << Tutte no, ma le molte ore del giorno >>.

La specie meditativa delle Rime dell'Alfieri cinquantenne è pur visibile nell'Alceste seconda, ed era forse l'avvio di una mutata temperie morale nell'animo alfieriano che non ebbe

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modo d'esprimersi compiutamente dinanzi all'arresto brusco rappresentato dall'impegno attorno alle Commedie. Non in tut- ta 1'Alceste seconda, ma in qualche momento di maggiore svin- colo dall'originale greco, anche Nspetto alle prime tragedie, si mani'festa in piena sicurezza l'acquisto di uno stile piii fer- mo. armonioso. senza le stonature e violenze verbali che ca- ratterizzano i sonetti della prima parte e che chiariscono a noi le estreme difficoltà che dové superare la lingua dell'Alfieri per arrivare all'assoluta padronanza del lessico e della sintassi, del ritmo metrico e dell'arte della rima.

L'impegno letterario dell'Alfieri è accertabile da una se- rie assai fitta di opere, dove non è dato rintracciare che qual- che sparsa favilla di quell'aspra, malinconica bellezza che è nei sonetti, e soprattutto nelle Tragedie. Tali opere la cui elaborazione s'intreccia sovente con quella delle Tragedie, sono prova piuttosto di velleità letterarie che sintomo di idealità, di quelle alte idealità alfieriane quando vibra una forte ten- sione etica e umana nello spirito del poeta. Sterile tentativo di rifarsi all'Ariosto e al Tasso è il poema L'Etruria vendicata. scritto dal 1778 al 1786: rappresentazione della frenesia liber- taria che si oppone al freddo calcolo del tiranno nella storia dell'uccisione di Alessandro de' Medici da parte di Lorcnzino. Sono i temi consueti, resi nella violenta tonalità della Con- giura de' Pazzi, ma il paludamento letterario del poema toglie all'arte dell'Alfieri quel furore verbale, quell'incalzare di rapidi dialoghi e spezzati monologhi che le consentano una rappre- sentazione artistica scabra, essenziale, il che difetta anche in due tramelogedie D, 1'Abele e l'Ugolino, nelle traduzioni dai classici, ad esempio dall'Eneide, nella Teleutodia, negli Epi- erammi. 0

La schietta condizione interiore da cui nacque il Misogallo, d'incontenibile odio e d'aspro sarcasmo, doveva di necessità far rigurgito ad una riflessiva decantazione di temi satirici e polemici (l'Alfieri, lo vedremo a proposito delle tragedie, è poeta grande allorché il suo animo si placa nella solitudine e nella riflessione. non auando furiosamente s'accende). Lo stes- so Fosco10 notò che i componimenti del Misogallo erano stati scritti piuttosto con dispettosa stizza che con vivace argu- tezza ». Difficile quindi trovare una stabile condizione di poe-

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sia nei violenti epigrammi, nelle prose tniculente; semmai in qualche sonetto, ma là dove il poeta, messo da parte per un istante il rovente rancore Der i Francesi d'ogni condizione

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ideale, e quindi anche i rivoluzionari, si sofferma a contem- lar re le condizioni miserevoli dell'Italia. e alterna momenti di disperazione ad accenti di vigorosa speranza per un'imminen- te resurrezione politica e sociale.

Nelle Satire si realizza, trasportato in un ambito morali- stico, lo stesso fenomeno ch'ebbe a verificarsi nel Misogallo. Dove l'intento polemico si sbriglia in frementi invettive con- tro i vizi dell'umanità, il verso alfieriano è disarmonico, l'espres- sione confusa, la rappresentazione satirica sforzata e amplifi- cata; nelle pause di pacata riflessione, dove l'animo dell'Al- fieri si distende auasi divertito. nascono satire come I oedanti e L'educazione, di uno spirito satirico sorridente e carica- turale, a volte persino bonario, e qui il verso, senza mai di- venire molle e cascante, è piu armonioso. I1 che non accade nelle Commedie, trasposizione in schemi teatrali della stessa materia delle Satire, con un che di piu inerte, duro, informe, che non si scioglie e vivifica mai.

A rappresentazioni etico-umane di carattere comico l'Alfieri aveva pensato da tempo, e del resto la sua attività era comin- ciata (1773) con una satira della civiltà dell'epoca, 1'Esquisse du Jugement Uniuersel, e con una farsa, I poeti, che aveva accompagnato l'uscita della Cleopatra. Piu tardi ( 1788) dettò Pensieri comici e riscrisse in versi la Mandragola del Ma- chiavelli (un'iniziativa non molto acuta quanto a comprensione dei contenuti del capolavoro cinquecentesco, ma importante per l'apprezzamento dello spirito satirico dell'Alfieri degli anni maturi). Nel 1790 è già avviato nei Terzi pensieri comici il piano di undici commedie. Non si trattò dunque d'un'im- provvisa idea degli anni tardi, ma di progetto lungamente accarezzato, e in qualche modo rispondente ai tratti piu ama- ramente sarcastici, pessimistici, polemici del suo temperamen- to, e insomma all'intolleranza nel negare risolutamente lati e figure positivi nella vita di tutti i giorni. Questo atteggiamento di insofferenza e di sdegno è avvertibile anche nel linguaggio delle Commedie, discontinuo nei suoi toni alti e bassi, nel colorito a momenti popolaresco altrove aulico, non penetrante nell'introspezione analitica e, comunque, inadatto a saper con- ciliare lo studio dell'animo umano col riso franco e schiet- to, col racconto ilare e sbrigliato, col divertimento caricatu- rale. L'ansia di battersi contro le prevenzioni sociali e le am-

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bizioni politiche, è cosi forte, nell'Alfieri, da occuparlo tutto, da non lasciare spazio ad un diretto confronto coi casi della vita umana, da non impedire il ritorno della sentenziosità mo- ralistica e del risenti,mento pessimistico contro coloro che sono assetati di potere, ne L'uno e ne I troppi, non importa se cambiano gli obiettivi della satira, o che non hanno forza di volontà per dominare i vizi e le debolezze insite nel cuore umano, ne La finestrina, o si nascondono dietro le piii ipo- crite e immorali consuetudini sociali, ne I l divorzio. Forse l'ottica piu idonea nel valutare le Commedie alfieriane non è quella del giudizio critico centrato sopra il testo teatrale, ma la possibilità offerta di enucleare una serie di massime morali e di scatti d'umore che servano da apparato ausiliario per ri- leggere il tesoro di sdegni, ricusazioni, proposte, aneliti, illu- sioni, sofferenze che è nelle Tragedie.

LE TRAGEDIE

I1 pieno realizzarsi di una personalità come quella dell'Al- fieri, ricchi,ssima di impeti e di passionalità, s'avrà in modo preminente con l'esperienza della tragedia: esperienza di un genere letterario per sua natura arduo e complesso, a conside- rare motivi, strutture, linguaggio, molteplicità d'accenti, di voci, di contrasti a tutto rilievo, di dinamismo. Affrontando il problema della tragedia, questo .sentiva in sé Alfieri: e poco gli interessava la disputa sull'opportunità o meno di adeguarsi ai canoni aristotelici e alle formule della retorica classica. De- cise di attenersi a queste e a quelli per una naturale vicinanza al gusto e alle tradizioni della nostra cultura, e quindi senza riproporsi il problema dell'utilità delle regole, giacché il tem- DO letterario non re tendeva in modo assoluto che i canoni aristotelici assumessero una rigidezza schematica. Davanti al- l'Alfieri c'è l'esempio della tragedia classica e di quella cin- quecentesca, ma anche la grande varietà del teatro francese, con le sue innovazioni di gusto e di tecnica e col suo linguag- gio mobilissimo, tanto il teatro del grand siècle )> quanto quel- lo contemporaneo, massi,me di Voltaire, emulato e superato nelle vigorose scene d'assieme del Bruto primo; e c'è l'esem- plare elisabettiano, soprattutto d i Shakespeare, fecondo di so- luzioni nuove in ogni ordine di contenuto tragico. Stante quin- - - di il proposito che lo animava (una furiosa bramosia di creare opere magnanime e durature'dove vibrasse l'aborrimento per

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la tirannide), indubbiamente la tragedia gli si presentava di- nanzi come il campo potenziale d'espansione, espressione e ri- lievo della poetica del C( forte sentire >> morale e politico, co- me nel Bruto secondo dedicato con perentoria intenzione C( Al popolo italiano futuro ».

Nell'attività drammaturgica s'impegnò con straordinaria continuità d'entusiasmo, costruendo con accuratezza le singole parti della trama nell'« ideazione P, applicando l'argomento alle esigenze del teatro nella C( stesura », investendo poeticamente la congerie di situazioni nella C( versificazione o: i tre stadi che l'Alfieri impose a se stesso come necessari per giungere allo C( status » poetico senza menomare o indebolire i problemi e i caratteri da trattare, ma al tempo stesso costringendo il suo impeto polemico a passare per tre setacci, che lo decantassero come se fosse una sostanza ancora i m ~ u r a materialmente. Ed è tanto, quest'impeto, che pur nell'ultima scrittura conserva ancora un'energia veemente, che trabocca spesso in immagini troppo cariche, in situazioni eccessivamente cocenti, in scom- pensi scenici e in disquilibri di prospettiva drammaturgica.

La struttura della singola opera alfieriana non conosce il lento, implacabile, sovente misterioso formarsi di una situa- zione psicologica; né l'artista cerca di accompagnare gradata- mente il lettore nell'atmosfera drammatica. Sin dalle battute della prima scena la temperie tragica è al suo grado massimo, e tale resta fino al precipitare dell'azione sul finale della tra- gedia: si pensi alla tensione del sentimento d'odio del Polinice; alla costanza dello spirito di sacrificio e di dedizione al dovere dell'Antigone, alla crudele opposizione di tirannide e di libertà del Timoleone, alla violenta esagitazione libertaria della Con- giura de' Pazzi, al truculento cupo mondo di perfidie e di de- litti del Don Garria, di collere sovrumane e rancori indoma- bili della Rosmunda (ove si isola però la delicata figura di Ro- milda, vittima innocente della vendetta e dell'odio). Perché avvenisse il contrario, il personaggio avrebbe dovuto matu- rare in sé con lentezza la coscienza del ~ r o ~ r i o stato d'animo: . L

invece i personaggi alfieriani si conoscono perfettamente pri- ma ancora che l'azione teatrale si metta in moto, e hanno già delineati i limiti delle proprie passioni, sanno già quel che devono fare: la volontà dell'eroica protagonista della Virginia è incrollabile in ogni momento. Perciò la tragedia alfieriana è stata denominata tragedia della volontà: di un imperioso in- tensissimo deside~io di omrare il bene e il male, senza csita- zioni, senza che la coscienza dei personaggi oscilh tra opposti

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richiami dell'animo o della mente; il che è visibile anche in opere di minore esito letterario e piu incerte nella struttura e nel linguaggio: I'Agide, pur rilevante per la tesi politica d'un re che si uccide non essendo riuscito a realizzare il proprio pro- gramma di migliorare le condizioni di vita del suo popolo; la Maria Stuarda, di fragile fattura tecnica e di scarsa capacità di penetrazione psicologica; la Merope, abile opera tecnicamente, ma priva di colorito drammatico; la Sofonisba, poco <( inven- tata » nello s v i l u ~ ~ o della trama storica. ma efficacemente te-

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nuta sull'alto registro di personaggi di grande statura umana. La situazione psicologica centrale della singola tragedia pro-

viene da questa determinazione aprioristica propria del poeta, ha un solo problema, e i confini di questo problema conosce già da tempo e ne ha maturato tutte le soluzioni: il contrasto tra il tiranno e l'uomo libero. Di un dissidio cosi profonda- mente radicato nella sua vita ideale egli può rendere parziale sottile conto, elaborando la psicologia dei personaggi. Tutto è per lui, ormai, in fase d'aspro combattimento, fino all'ultimo scontro che vede quasi sempre soccombente l'uomo libero. I1 Filippo alfieriano, protagonista della tragedia omonima, non giunge alla sua inumana crudeltà di tiranno sotto l'incombere di fatti terribili: è già tale allo schiudersi del sipario, e tale resta, padre dispotico e vendicativo, fino alla morte magnani- ma del figlio Carlo. I1 monologo d'Egisto, col quale si apre l'Agamennone, rivela già nella sua fosca virulenza quale cata- strofe concluderà l'azione traeica. La ~rotaeonista del170ttauia

u " è consapevole del proprio fato avverso ed essa chiede la morte a Seneca Der evitare il s u ~ ~ l i z i o cui l'ha condannata il torbido

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odio di Nerone. In questa, e in altre tragedie, la fatalità gi- ganteggia come una forza terribile che squassa gli uomini e li conduce inesorabilmente alla morte eroica, attesa e soppor- tata con altezza e intrepidezza d'animo, o al trionfo effimero del despota che crede d'aver affermato il proprio potere terre- no e non ne presagisce l'immancabile caduta.

La tematica alfieriana non è però cosi rigida e semplicistica, ma conosce infinite variazioni all'interno del sistema; se l'ani- mo dell'Alfieri fosse sempre rimasto fermo nell'inventare e con- templare infiniti casi di tragedie del conflitto eroe-tiranno, l'opera alfieriana sarebbe una serie di Timoleoni e di Congiure de' Pazzi. Lo scrittore talvolta sposta il suo campo d'osserva- zione dal mondo politico a quello pi6 nettamente umano; e nascono i capolavori: Antigone, Oreste, Saul, Mirra. Non ac- cade, pur tuttavia, che l'Alfieri si distacchi in modo assoluto,

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nelle prime due tragedie da ogni finalith d'ordine politico e polemico; piuttosto dà a siffatte finalità una differente dimen- sione spirituale. Non si libera con decisione dalla sostanza del suo problema centrale (dissidio tra il despota e l'uomo libero), ma cerca di inte~pretare la lotta in formulazioni diverse, ac- centuando le proprie soluzioni stilistiche con piu vigorosa elo- quenza, interiezioni piu marcate, accalorati interrogativi, ag- gettivazione veloce e scabra, costrutti sintattici complessi.

Nel Saul, il contrasto tra il protagonista e David è reso al- l'interno dell'animo di Saul, è per cosi dire intrinsecato in uno dei due antagonisti. Analizzato perciò nel suo inti+, di ne- cessità il personaggio di Saul doveva perdere i caratteri sche- matici del tiranno e parlare con la voce di uomo: i cupi ti- mori di perdere quel potere divino della regalità che è l'unico movente di tutte le sue azioni; l'improvviso esplo- dere della collera dinanzi agli ostacoli e ai pericoli; la dispera- zione frenetica. Veduto da questa prospettiva l'animo di Saul è quello di un titanico tiranno vinto, il cui slancio va ammirato perché scaturisce da magnanimità d i carattere, non da meschi- no attaccamento ai privilegi del potere regale. NellYOreste il motivo dominante, l'ossessione della vendetta che il protago- nista reca entro di sé dagli anni della puerizia, sale a toni di fortissima tensione passionale, sostenuti da un'incalzante vee- menza d'azione, scabra, essenziale, asciutta come raramente nell'Alfieri. Nell'Antigone il centro poetico dell'azione è nello spirito generoso della protagonista, cosciente degli interiori conflitti del proprio cuore, e l'opposizione eroe-tiranno è con- siderata al di fuori del rapporto psicologico che lega i due an- tagonisti; il dissidio genera necessariamente vittime: Antigo- ne, sorella dell'eroe Polinice e amante del figlio del t iunno Creonte, aspira alla morte per liberarsi dalla colpa di un amore inconfessabile e dal delitto di aver violato la legge per aver sepolto il cadavere del fratello che giace fuori della città affinché sia divorato dagli uccelli. Nella Mitra, invece, al contrasto po- litico è sostituito un contrasto tutto interiore, umano, e pas- sionale: l'amore snaturato di Mirra per il padre. Ed è eccezione nel grande disegno complessivo dell'opera tragica alfieriana, e che solo in parte si rifà alla similare concentrazione nella Me- rope sul dramma della protagonista, la cui rappresentazione è simile a quella d'ogni eroe alfieriano, dominato da una passio- ne tumultuosa, da un istinto fortissimo, infrenabile, che sca- tena atti e parole smisurate; sol che all'orrida frenesia dell'eroe manca il contrapposto del tiranno. Mirra, quindi, è piu libera

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nel suo sentimento; e il poeta piii agevolmente si piega ad ascoltare ogni fremito del cuore nella sua creatura, ad inter- pretarne i cupi silenzi, le reticenze, i gesti con un'attenzione psicologica che è unica nell'arte alfieriana. Il linguaggio è fram- mentato, sfrenato, aspro, ma con uno studio maggiore di ve- risimiglianza nei momenti piii accesi del sentimento pecca- minoso, che pur non perde mai il segno di una verecondia turbata. Come ogni eroe che combatte titanicamente contro il destino, anche Mirra muore schiacciata dal fato; ma mentre la fine degli altri eroi è un nobile sacrificio per gli ideali onde era mosso il loro animo, il suicidio di Mirra è inutile, non pu- rifica il suo volto.

Anche nel Saul e nella Mirra i momenti piii alti di poesia si identificano con le pause di riflessione che l'Alfieri apre nel corso deli'impetuosa azione narrativa e con una piii robusta e serrata struttura drammaturgica. Saul parla con accenti colmi di lirica angoscia quando è solo con se stesso e misura lo spa- ventevole abisso del suo fallimento di monarca; oppure nei dialoghi piu lenti di ritmo, piii meditativi, allorché non gli è dinanzi l'antagonista, David, che egli perseguita ma non odia, ma gli parla la voce di Gionata, o quella dolcissima di Micol. Sul fondo di cupe, travolgenti passioni si stacca allora, in for- tissimo rilievo, una nota piu malinconica ed elegiaca, che ad- dolcisce il canto del poeta in un sospiro amaro, doloroso, ma quasi soave. Cosi in Mirra, tremendamente sola col suo peccato inconfessabile:

Ogni mio poco e rado cibo, mi è tosco: ognor mi sfugge il sonno; o con fantasmi di morte tremendi, pici che il vegliar, mi dan martiro i sogni: né di, né notte, io non trovo mai pace, né riposo, né loco. Eppur sollievo nessuno io bramo; e stimo, e aspetto, e chieggci come rimedio unico mio, la morte. Ma, per piu mio supplicio, co' suoi lacci viva mi tien natura. Or me compiango, or me stessa abborrisco: e pianto, e rabbia, e pianto ancora... È la vicenda questa, incessante, insoffribile, feroce, in cui miei giorni infelici trapasso. Ma che? ... Voi pur dell'orrendo mio stato piangete? ... Oh madre amata! ... Entro il tuo seno ch'io, suggerido tue lagrime, conceda un breve sfogo anco alle mie! ...

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LA POETICA ALFIERIANA

I1 nucleo sostanziale del lirismo alfieriano è nel sentimento acuto della solitudine dell'anima dinanzi all'incalzare di tra- giche vicissitudini che la sconvolgono, la opprimono, ne feri- scono la breve vita terrena, lasciando tuttavia un angolo re- moto dai clamori e dalle rissose ambizioni degli uomini, soc- chiuso alla violenza delle passioni, dove il poeta ritrova il do- loroso ma intenso gusto del colloquio con se stesso, in uno stato di malinconia che dalla rappresentazione delle Tragedie si sposta negli ultimi anni a qualcheduna delle ultime tra le Rime, persino a qualche pagina della Vita, delle Lettere, in piena coerenza con quella che può definirsi la sua poetica del <{ forte sentire D, delle aspre confessioni di terrori morali e di conflitti ardenti, individuabili si nelle vite interiori di perso- naggi del mito e della Storia, tuttavia capaci d'erompere nel travagliato paesaggio delle passioni personali del poeta con la forza dei loro significati esemplari ed emblematici, a cogliere quel che di piu contraddittorio e tempestoso s'agita nel rap- porto dialettico tra l'artista e la società nella quale si trova costretto ad operare e che vorrebbe immiserirlo con le proprie fatuità e debolezze. L'Alfieri tende sempre a spezzare i limiti nei quali la società contemporanea vorrebbe tenerlo prigioniero, per occupare un territorio tutto suo, ove possa misurarsi sol- tanto con se stesso e con gli antichi fantasmi plutarchiani della Storia.

L'Alfieri non provvide mai ad elaborare in forma organica e articolata una sua concezione della poesia, ma ad essa fece piu volte riferimento, nella dedica della Tirannide, in mo- menti di Del principe e delle lettere, in qualche epistola, nella Vita, concependo la poesia come una sorta di energia istintiva, di << impulso naturale D, cui non si può sopperire con le eserci- tazioni retoriche e il lungo studio della lingua, né con l'impe- gno intellettuale o con l'intendimento educativo. Ha detto as- sai persuasivamente il Binni: << Tale nozione di poesia è in- sieme violentemente lirica (nel senso di assolutamente perso- nale ed autentica) e pragmatica in quanto forza che suscita azioni ed è essa azione, e si distingue (senza con ciò scendere automaticamente ad " oratoria ") da ogni forma di rasserena- mento olimpico ». I1 poeta non si identifica direttamente in nessuno dei personaggi eroici che muovono l'azione tragica o ne sono le vittime, ma è presente in tutti, da tutti trae qualche stimolo ad operare nel tempo, e a ciascuno attribuisce la parte

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piii singolare di sé. Il << forte sentire D dell'eroe è analogo a quello che ispira la sua reincarnazione sulle scene, che è non mera acquiescenza ai poteri rappresentativi del teatro e al pre- concetto settecentesco della superiorità della tragedia sopra gli altri generi letterari, ma consapevolezza che far rivivere l'eroe antico sulla scena, è il modo piu efficace e assoluto per attua- lizzare quegli antichi ideali di libertà e di dignità e celebrarne la perennità, illudersi ed esaltarsi in essi, trasmettere a questi ideali la propria esperienza personale che è essa stessa dram- matica, consegnare un messaggio d'intenso rinnovamento mo- rale, che varrà meno per i contemporanei e assai piu per i romantici, per Leopardi (« un solo / Solo di sua codarda etate indegno / Allobrogo feroce, a cui dal polo / Maschia virtii, non già da questa mia / Stanca ed arida terra, / venne nel petto ... D, Ad Angelo Mai, vv. 153-58), per Manzoni ( e un modello di pura, incontaminata, vera virtu »), per De Sanctis: << Le sue passioni stesse violentissime ed individuali ce lo ren- dono caro, perché mostrano in lontananza un'Italia futura, che egli vagheggiava nel suo pensiero ».

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Capitolo ottavo

I l Neoclassicismo e il Monti

La civiltà letteraria del Settecento, apparsa sotto I segni d'un consapevole e continuo ritorno ai classici, non viene con- traddetta, ,ma anzi proseguita sino all'estremo, nelle sue pro- fonde esigenze di classicità, dalla generazione che operò tra la fine del secolo XVIII e i primi due decenni dell'ottocento, e che, proprio per l'insistenza e la dilatazione del gusto greciz- zante e latineggiante, è caratterizzata dal nome del Neoclas- sicismo.

L'avvio dato alle lettere e all'arte dalla vigorosa poesia del Parini e dell'Alfieri. dalle concezioni umanitarie e demo- cratiche dell'Illuminismo, da un rinnovamento della sensibilità sotto l'impulso delle poetiche straniere e del Preromanticismo, sboccherà in una nuova civiltà, che, pur essendo in piena continuità col mondo culturale settecentesco, assume aspetti e forme proprie. Riconoscere le novità di questo movimento artistico-culturale non significa, d'altra parte, che gli uomini del primo '800 abbieno voluto reagire ad un tipo di lettera- tura classica dopo secoli di opposta traldizione. In effetti le origini del Neoclassicismo vanno rintracciate nella civiltà pri- mo-settecentesca, in un suggestivo connuhio di interessi let- terari e di gusto figurativo. Se un certo stacco esiste (donde la critica dello Herder all'estetica neoclassica) tra il raziona- lismo settecentesco e il Neoclassicismo, proprio perché que- st'ultimo appunta e consolida l'attenzione piu al ritorno alla civiltà classica e meno alla su~remazione dei lumi » della ra- gione, prevalgono i motivi di continuità ideologica e di inve- ramento del gusto poetico.

In effetti. il Settecento. come abbiamo avuto modo di ve- dere, fu un secolo eminentemente classicistico, e i modelli della classicità - Virgilio, Orazio, Petrarca - furono tenuti a maestri di gusto e di tecnica letteraria.

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Gli Arcadi, e tra essi il Metastasio soprattutto, trovarono nella musica la grande fonte d i ispirazione formale e melodica, mentre i letterati neoclassici trassero motivi e f o m e daila rin- novata scuola dei pittori, degli scultori e degli architetti.

Nel Settecento la tradizione barocca, piu dura a morire nelle arti figurative che non nelle lettere, continuò nelle chia- roscurali atmosfere di un Magnasco e generò nuove piu capric- ciose e raffinate forme d'ornamentazione, che posero in secon- do piano le esigenze di prospettiva e di massa; i pittori vene- ziani (il Canaletto, il Guardi, il Longhi, il Tiepolo soprattutto), pur non assumendo alcun atteggiamento polemico nei riguardi dell'arte rinascimentale, indulgono ad un virtuosismo realisti- co, brillante e spiritoso, che non ha nulla a che fare con la tradizione classica. I1 rococò. im~or ta to dalla Francia ma di , L

lontana origine italiana, imperversa nei palazzi, nei saloni, nel- le arti minori: porcellane, oreficerie, stucchi, intarsi (di un rococò poetico si va ora parlando, per analogia, in quanto momento finemente decorativo dell'Arcadia ~atet ica e me- lodica nelle galanti-note di uno Zappi ; di ;na ~ a r a t t i , di un Rolli o di un Savioli). E (mentre, all'epoca dell'Illuminismo letterati e politici volgevano pensosa attenzione alle misere condizioni di vita del popolo e ai bisogni piu vari della società, negli stessi anni il Tiepolo e il Piazzetta si sbizzarrivano in un gioco ,meraviglioso di colori e di luci e il Tiepolo dava della sua Venezia una immagine festosa, spensierata, gauden- te, che solo in qualche parte corrisponde a.ll'impressione che si ricava dalle ~ a e i n e eoldoniane.

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Tuttavia verso i declinare del secolo il panorama muta ~ r o s ~ e t t i v e e contorni. I n Germania sin dal 1764 e dal 1766 A L

erano uscite rispettivamente due opere che, poi conosciute anche in Italia crearono un lento ma sicuro moto rivoluziona- rio: la Storia dell'arte nell'antichità.(l764) di Johann Joachim Winckelmann - . e il Laocoonte (1766) di Gotthold Ephraim Lessing.

Accanto ad essi vanno ricordati altri scrittori ed esteti stra- nieri come il Mengs (che fu soprattutto pittore), il De Azara e il Webb, e, sommo fra tutti, il Goethe. Tutto questo ampio moto culturale si traduce in azione, in una febbre di riscoprire i monumenti dell'antichità classica: gli scavi di Ercolano e di Pompei fecero conoscere una forma immediata e viva dell'an- tica civiltà; si presero ad innalzare archi d i trionfo e colonne onorarie, si decorarono i saloni dei nuovi palazzi con motivi presi dalle pitture pompeiane; gli incisori diffusero il gusto

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delle rovine, dei luoghi ermi e remoti, dove si levavano gli avanzi di una grande civiltà scomparsa; e a Roma l'iniziativa di restaurare i monumenti antichi, che poco prima era stata soltanto di papa Benedetto XIV impegnato nel riparare i gua- sti del Colosseo. divenne di molti nobili e mecenati. Nacaue un'epoca che, fin nelle manifestazioni meno artistiche della vita. si uniformava al msto classico: l'eooca in cui trionfò il " genio elegantissimo di Canova, che, sia nel riprendere soggetti mitologici, sia nell'effigiare personaggi della storia contempo- ranea (Napoleone, i Napoleonidi eccetera), si foggiò uno stile tutto im~rontato al rioristino fedelissimo dei ,modelli classici. intesi come esempio perfetto di bellezza ideale, spirante sere- nità e armonia dall'equilibrio delle forme, dalla leggiadria dei colori, dalla mobilità e dignità dei volti.

Il collegamento tra il mutare della situazione politica e il consolidarsi d'una diversa temperie artistica è, come sempre strettissimo. La scena non è piii dominata da re o principi, as- soluti o illuminati, amministratori talvolta limitati del proprio Stato; ma l'ondata rivoluzionaria della Francia ripiega ben presto negli ambiziosi pmgrammi dell'Impero napoleonico, il quale ponendo in prima luce i fasti delle imprese militari e della gloria imperiale, col lusso di una corte magnifica, favori- sce un'arte ispirata alla dell'architettura romana, co- me nei geniali progetti di Giuseppe Valadier, alla perfezione della statuaria greca (per l'appunto i1 Canova con le sue Ve- nere, Ebe, Paolina Borghese), alle sontuose scenografie pitto- riche di Andrea Appiani.

I NEOCLASSICI E LA LETTERATURA ANTICA

La religione della natura avvicinava l'anima dei letterati neoclassici ad un mondo intimo, doloroso, infelice, e colmava le inevitabili lacune di una gelida imitazione della mitologia classica con un senso nuovo e ardente dell'eterno. Siamo an- cora agli albori di quel rinnovamento religioso, in senso cri- stiano, che sarà alla base della poetica romantica; ma il mito del Medioevo nordico getta un'ombra di dubbio e di tristezza sull'animo. Attraverso la contemplazione dei terribili e cupi paesaggi nordici l'uomo del Settecento aveva cominciato a ravvicinarsi all'eterno. Anche nelle opere dei neoclassici è in atto quel processo di ricerca di una divinità interiore e trascen- dente che sfocerà, di là a qualche decennio, nell'anelito cri-

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stiano del Romanticismo. Nel tempestoso scenario religioso dell'ossian cesarottiano è stata, senza dubbio, una delle sor- genti dell'ispirazione schiettamente cristiana delle suggestive generazioni letterarie, protagoniste della rivoluzione morale dell'età romantica.

L'età neoclassica aveva molto e ben tradotto. d'antico e di contemporaneo. È un luogo comune affermare una frattura tra la nenerazione tardo-settecentesca che si bea soltanto del " patrimonio nazionale e la generazione romantica tutta protesa all'apprendimento delle letterature europee. Nessuna frattura vi fu; il Romanticismo trovò già in atto una vastissima inizia- tiva volta a far conoscere i classici stranieri all'Italia, e diede impulso vigoroso a questo moto al quale uomini come il Cesa- rotti, il Monti, il Pindemonte, il Foscolo, il Leopardi avevano dato energico avvio.

S'intende che i neoclassici traducono ciò che loro conviene; ma questo è un fatto ti'pico di tutta la cultura tra Settecento e Ottocento. Soltanto dal positivismo in poi la traduzione dei classici delle letterature antiche e moderne nascerà dall'esi- genza di una rigorosa e larga docu~mentazione dei testi, solle- citata da un rinnovato spirito filologico, nell'ambito di una, sistematica interrogazione di tutti gli aspetti e periodi della cultura. Gli uomini del tardo Settecento e del primo Ottocento (com'era avvenuto per gli umanisti; come sarà poi per i ro- mantici) traducano quelle opere del cui nutrimento hanno ne- cessità per ritrovare nei succhi vitali delle trascorlse civiltà i fondamenti di una nuova rinascenza classica. Ma in questo in- teresse di conferma c'è tutta la profonda suggestione di chi, rintracciando le orme di un'antica grandezza, ambisca riper- correnne le tappe in un ideale pellegrinaggio, dapprima verso 1'Ellade e Roma, poi verso l'affascinante Nord e gli ambiti pre- gi della civiltà contemporanea. Omero serviva come Shakespea- re, Virgilio come Ossian, Orazio come Voltaire.

L'occhio del neoclassico non si volne esclusivamente alla " classicità greco-latina, ma anche ai nuovi dittatori della ciil- tura euroDea. E se la classicità dell'Iliade e dell'Eneide sembra esercitare un influsso piii profondo dei nuovi classici europei, questo non significa affatto che i letterati neoclassici ignorino gli Inglesi dal Seicento di Shakes~eare all'ottocento di Walter - Scott, i Francesi dai romanzi medievali al Rousseau, al Vol- taire, alla stessa Stael, i Tedeschi dalle saghe del Medioevo a Goethe e Schiller. Anzi va detto, piuttosto, che i Greci e i La- tini sono il punto di partenza, i classici stranieri moderni i l

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punto d'amivo. E questo si spiega facilmente solo se si badi alla stessa storia dz1 movimento neoclassico, ove l'archeologia ha ~receduto la letteratura. e dalla conoscenza delle civiltà mediterranee, dissepolti le città, i templi, gli archi, si giunge ad una febbrile richiesta di tutto ciò che poteva avere atti- nenza col mondo classico. Cosicché i due miti sempre presenti all'amore degli scrittori italiani dall'età del Petrarca, Omero e Virgilio, ricevono nuovo, piii profondo alirmento dalle awen- turose scoperte archeologiche. Ed intorno ai poemi omerici e virgiliano si incardi'na tutta la ricerca del nuovo nell'antico, si placa l'annosa << querelle des anciens et des modernes », si di- sciplinano i liberi rifacimenti e continuazioni (come La morte di Ettore del Cesarotti), si temperano l'omerofobia del Mura- tori .e l'omeromania di Paolo Brazzolo. il auale tradusse undici ., A

volte i poemi omerici, e, insoddisfatto, si svenò accanto ad un esemplare di Omero; ogni intemperanza e assurdità imitativa si risolve in serena accettazione di un grande messaggio poetico che viene dalle ere piu remote e che deve estsere accolto inti- mamente anche se & irripetibile nel contenuto e negli ideali. E, accanto a Omero, tutta la poesia greca, che i neoclassici volgono in italiano con cura e ricchezza di interessi, da Esiodo tradotto in terzine da Luigi Lanzi nel 1808, ai lirici greci ai quali Luigi Lamberti dedicò una buona versione nello stesso anno, da quell'Anacreonte piii volte ripreso e i~mitato dal Chia- brera all'ottocento e in questa età neoclassica tradotto da Francesco Saverio de' Rogati assieme a liriche di Saffo, fino al difficile Pindaro, al quale l'abate Giovanni Battista Gautier dedicò una traduzione non precisa ma senza dubbio corag- giosa; e infine il a tutto >> Euripide del padre Carmeli, o varie tragedie di Sofocle, rese in italiano dal Giacomelli, dall'An- giolini, dal Boaretti, le Rane di Aristofane tradotte dall'Alfieri, per non parlare di Erodoto, di Tucidide, di Isocrate, di Demo- stene. di Teocrito. di Luciano. di Plutarco. e infine di Platone. le cui due traduzioni non ebbero fortuna perché entrambe andate dis~erse.

La presenza di Virgilio viene ad essere determinata non soltanto da motivi di riscoperta e rinnovamento dei valori classici, ma dall'appassionata ricerca della perenne attualità del- la poesia virgiliana. Non meno sommo maestro era stato Ome- ro, ma senza quella vicina solidarietà di spirito che sin dal Medioevo l'amore virgiliano aveva alitato nel cuore dei poeti, e che la cultura medievale consegnerà intatta all'umanesimo, e questo all'età moderna: unico esempio di una presenza poe-

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giovò d i una notevole esperienza del latino per una traduzione che è senza dubbio la piu fedele del secolo. E, nel momento di maggiore affermazione della poetica neoclassica, tre poeti eccelsi si mi'surano col testo virgiliano, e con risultati del tutto diversi: l'Alfieri nel 1801 (la cui traduzione venne giudicata dal Monti <( epico sacrilegio D), il Leopardi nel 1816, il Man- zoni nel 1800 circa (ma soltanto per un episodio del libro V; esperimento comunque interessante, come quello oraziano).

I1 richiamo del Medioevo aggiungerà, poi, alla poetica neo- classica un nuovo elemento di ricchezza espressiva, rappresen- tato dalla sovrapposizione (non mai opposizione e negazione) ad un paesaggio di classica solare plasticità d i uno scenario inu- sitato e strano, incline ai chiaroscuri e alle ombre, alimentato da una interiore vocazione al <( sublime )> e al <( naturale », sostenuto da un piii ricco linguaggio che conosce, accanto ai termini della rappresentazione classicistica, i nuovi sensi del- l'orrido, del patetico, del malinconico, del terribile. I1 sogno paganeggiante di una meravigliosa Arcadia di pastori e di nin- fe, fuori dei crudi limiti della realtà circostante, permane con tutti gli echi della tradizione classica, dai Greci al Sannazaro e al Poliziano; ma lo scenario arcadico si affolla di nuovi per- sonaggi singolari, barbarici, primitivi. Scrisse in quegli anni il Cesarotti:

La mescolanza del bello morale col sensibile rende questo pih interessante. Un boschetto di alberi ben disposti è bello per sé; ma se questo è di cipressi funebri, ci attrae di piii per la dolce me- lancolia che sveglia in noi l'idea della caducità umana. La sensa- zione diviene piii viva e profonda, se in mezzo a un circondario di cipressi v'è una tomba o una memoria d'uomo celebrato e caro. Un romitaggio situato in un bosco insinua nelle nostre idee il senso augusto della religione. Un mare in tempesta presenta l'aspet- to d'un bello terribile, ma esso diviene patetico se veggiamo da lungi un legno in pericolo di naufragio.

E infatti i neoclassici sentirono con squisita sensibilità il fascino delle vestigia dell'antichità frammiste ad un paesaggio i primitivo e selvaggio, e che piii fortemente richiamano la fan- tasia del poeta al ricordo della splendida età dei Greci e dei I Latini tanto piu spiccano in mezzo ad una natura semplice, , rude, avventurosa; i ritratti delle divinità classiche campeg- i giano avanti un fondale di selvaggia tempestosità.

Nella poetica neoclassica v'era dunque un fondo di nostal- gia per un mondo irrimediabilmente perduto qual è quello della classicità, mondo cui si aspira con tutte le forze, ma che

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è morto nella sostanza, se non nello spirito e nelle forme. E pur di ritrovarlo, l'artista va in cerca d'ogni possibile atteggia- mento che rechi in sé il simulacro della bellezza classica, ma secondo un modulo che risulta manierato e femmine0 in con- fronto alla vera arte classica che è maschia e dinamica. I sen- timenti umani si conformano ai gesti, immobili, delle statue greche; i paesaggi assumono un colorito distaccato, come di una pittura pompeiana veduta dagli occhi stupefatti degli uo- mini moderni; le voci dei personaggi esprimono un canto re- moto, sul timbro dei soliloqui o dei dialoghi degli eroi d'Ome- ro e di Virgilio. "

I1 passaggio dalla poesia alla pittura e viceversa è conti- nuo, a partire dal trattato pariniano De' principi delle belle lettere applicati alle belle arti ai saggi del Malaspina di San- nazaro e del Cicognara.

LA QUESTIONE DELLA LINGUA

Nel camDo letterario. se già esisteva in Italia una tradizio- " ne classica, la ripresa e l'amplificazione di questi concetti e forme divengono un fatto generale. Si irrigidisce sempre di pi6 l'opinione che occorra tornare ai grandi modelli della let- teratura trecentesca, e si respingono sdegnosamente i tentativi illuministici d i ampliare i confini della nostra lingua immetten- do voci e costrutti stranieri. È l'età del <( purismo D, cioè di un rigoroso e minuzioso ritorno alle forme linguistiche fioren- tine e toscane, insuperate e insuperabili, belle per nativa lim- pidezza e purezza dell'« aureo Trecento », reggia dorata della lingua italiana. Iniziatore di questo movimento puristico fu nella Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana ( 1809) e nel dialogo Le Grazie ( l 81 3 ) il padre Antonio Cesari (veronese, 1760-1828), che, presentando una serie di testi <( au- rei » e commentandoli, diede ai letterati del tempo il modello sul quale foggiare il proprio strumento linguistico. Per docu- mentare la validità delle sue tesi il Cesari provvide ad analiz- zare minuziosamente lingua, stile, testo e struttura generale del poema dantesco nell'ampio volume su Le bellezze della Di- vina Commedia, ristampò con molte giunte il Vocabolario della Crusca (1806), tradusse l'Imitazione di Cristo. Dagli scritti teorici del Cesari presero le mosse i puristi del primo Ottocento: dal napoletano Basilio Puoti (1782-1847), autore delle fortunate Regole elementari della lingua italiana (18331,

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amico del Leopardi e maestro del De Sanctis, al toscano Luigi Fornaciari (1798-1858), autore di Esempi di bello scrivere in prosa e in poesia (1835); all'influsso del Cesari non restò in- sensibile, nella sua prima giovinezza letteraria, lo stesso Leo- pardi.

La soluzione data dai puriasti al problema della lingua ita- liana non trova però concordi i letterati dell'epoca, e già si comincia ad intravedere una nuova prospettiva storica nelle teorie d'uno scrittore, il maggiore d i quest'età, il Monti, che pur ispirandosi alle forme della lingua classica, si oppose alle teorie del Cesari in nome d'una maggiore libertà espressiva e ricreativa della lingua, quale si era avuta in modo eccelso nei grandi scrittori del Rinascimento. Nella Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca egli com- batte la puntigliosa imitazione di una lingua che, quantunque splendente di classicità, era vecchia di cinque secoli ed accetta l'opinione del Cesarotti della libertà permanente e feconda » della lingua, che si evolve col mutarsi delle condizioni storico- sociali, e si afferma sopra il solido progresso della vita politica, del pensiero filosofico e delle conoscenze scientifiche. Occorre si porre un freno all'eccessiva libertà di un Verri o di un Bec- caria, ma bisogna d'altronde conservare alla lingua tutta la sua capacità di rinnovarsi. La posizione mediatrice del Monti, e anche quella di suo genero, Giulio Perticari (1779-1822 autore di un trattato sulla prosa trecentesca, Degli scrittori del Tre- cento e de' loro imitatori, 1818, e di un libro sul De vulgari eGuent ia , 1820), consentono di porre sotto una nuova, piii serena luce, il problema della lingua e dello stile di Dante. Non solo la grandezza dell'Alighieri comincia ad essere sentita nelle sue proporzioni (ci si avvicina al Romanticismo, che farà del culto dantesco uno dei suoi miti piii forti) ma anche la qualità della sua lingua, avvertita nei suoi valori tradizionali, eppur nuova e varia, meno cristallizzata e immobile di quella dei classici amati dal Settecento. L'importanza del Monti nel- le polemiche linguistiche dei neoclassici è rilevante, per aver cercato di disboscare l'arcaica selva della lingua italiana, dirà il Di Breme, a purgando la infinita borra », assumendo in sede linguistica una posizione intermedia tra i novatori e i conser- vatori. Ma l'influsso delle sue opinioni non si spiegherebbe se non fosse posto in correlazione con la posizione nettamente dominante che egli ebbe come artista e anzi come simbolo stesso di questa epoca.

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Dal Goldoni ai Romantici 177

IL MONTI

Vincenzo Monti nacque alle Alfonsine, vicino a Ravenna, nel 1754, di agiata famiglia campagnola. Egli studiò dapprima presso un prete di Fusignano, poi ne1 seminario di Faenza; in- di (1771) si recò a studiare giurisprudenza all'università di Ferrara, passando ben presto agli studi di medicina; ma nem- meno questi compi, preferendo darsi alla fortissima vocazione di poeta. E fu poeta, arcade, nonché frugoniano, nonché sensi- bile alle maniere preromantiche, tutto assimilando (nelle liriche sacre, nelle canzonette amorose, nelle terze rime) con quella capacità di interprete e di ripetitore che ebbe somma. I suc- cessi letterari lo spinsero nel 1778 a stabilirsi a Roma, per conseguirvi una carriera che lo potesse veramente soddisfare. Entrò segretario in casa dei Braschi Onesti, nipoti di Pio VI, e godé dei favori del papa. Per molti anni il Monti fu il poeta ufficiale della Curia romana, pubblicando dapprima (1779) un Saggio di poesie, tra cui la finissima canzonetta A Fille, cele- brando la scoperta di un'erma di Pericle nella Prosopopea di Pericle o il matrimonio del Braschi ne La bellezza dell'llniuerso, scrivendo (poemetti di ispirazione religiosa (il Pellegrino apo- stolico, 1782) o poemi celebrativi dell'attività riformatrice del pontefice (la Feroniade, cominciata nel 1784, ha per scenario le paludi pontine che Pio VI stava bonificando).

Ben presto, affascinato dal trionfo delle tragedie alfieriane tenta il successo nel teatro, e scrive tre tragedie, 1'Aristodemo (1786), il Galeotto Manfredi (1788) e il Caio Gracco (1788, ma finito dodici anni dopo); come l'Alfieri, si cimenta quindi nella tragedia d'argomento greco, in quella di materia tratta dalla storia romana, e in una tragedia d'argomento pi6 mo- derno, tratto da un passo delle Istorie fiorentine del Machia- velli, sempre sottoponendo il contenuto storico ad un'eloquen- te e magniloquente rielaborazione oratoria.

Accanto alla produzione tragica, copiosa è quella lirica: so- netti, come Sulla morte di Giuda, odi, qual è quella Al signor di Montgolfier, eccetera. Del 1791 è il matrimonio con Teresa Pikler, proprio mentre inizia la lunga fatica della traduzione dell'lliade.

All'accendersi della Rivoluzione francese il Monti è al di qua delle. barricate, con i conservatori, e commenta la morte del rivoluzionario francese Bassville, ucciso a Roma dal popolo, con la cantica in terza rima, In morte di Ugo Bassville (1793). La cantica rimase interrotta, ché nel frattempo la sorte aveva

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arriso all'esercito rivoluzionario e il Monti temé d'essersi trop- po esposto a favore dei conservatori.

Scrisse poi la Musogonia (1793-97), d'argomento mitolo- gico e quindi lontana dai problemi del tempo; ma questi erano troppo vivi perché il Monti potesse sfuggirli. Da un lato sen- tiva in cuor suo, in perfetta buona fede, che il mondo stava cambiando, e che non mutare col mondo avrebbe significato per lui la fine di una posizione gloriosa, di poeta ufficiale della sua età; dall'altro la mancanza di una solida opinione politica non gli consentiva di vedere le proporzioni del processo sto- rico che si stava operando in quegli anni; e le vicende erano sovente per lui mere occasioni di celebrazione letteraria. Rom- pe i rapporti coi Braschi e fugge (1797) a Bologna, lasciando a Roma la moglie Teresa e la figlia Costanza (che piii tardi lo raggiunsero), e dichiarando che ha scosso dalla sua veste la . polvere della corte romana; ed ecco il Monti stabilirsi a Mi- lano, cantare la gloria di Napoleone nell'incompiuto Prometeo, e osannare alle idee nuove e alle vittorie francesi nel cantico Il fanatismo e nella canzone Per il Coneresso di Udine (1799) - Come prima, nella Bassvilliana, sondo ai problemi e ai iermenti rivoluzionari. aveva ecceduto in zelo reazionario. cosi ora l'esi- bizionismo di lealtà repubblicana suona falso e opportunistico. Un sincerò accento di italianità vibra però negli anni successivi, soprattutto dopo la battaglia di Marengo, e nasce la Maschero- niana (18O1), scritta in morte di Lorenzo Mascheroni; qui la piii equilibrata visione delle esigenze politiche del momento, tra il crollo del dispotismo e il prevalere di una demagogia faziosa, accende di schietta umanità l'estro oratorio del per- fetto artefice di metri e di rime.

La caduta della Repubblica Cisalpina costringe il Monti ad un non breve esilio in Francia (1799-1801): è di questo periodo la traduzione della Pucelle d'orléans di Voltaire. Se i repubblicani gli avevano negato o limitato onori e prebende, Napoleone sarà largo di riconoscimenti: membro dell'Istituto italiano, storico ufficiale del Regno d'Italia, professore di elo- quenza all'università di Pavia (1802-04). La società italiana I

venera in lui il principe dei poeti e il veridico interprete del fasto esteriore di vita in quel clima imperialmente decorativo. La grandezza dell'imperatore è celebrata nel Bardo della Selva I

i Nera (1806), nella Jerogamia di Creta, nel melodramma I Pi- tagorici (1808), in molti altri carmi e odi e canzoni politiche. t

Frutto di un lavoro piii intimo e raccolto, dove il poeta ha l

dinanzi non le false statue e i pomposi archi di trionfo della

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180 Lo letteratura italiana

versi in un'eclettica mescolanza di stili diversissimi, dal greco al latino, dal dantesco al petrarchesco, dall'arcadico al sepol- crale. Fu chiamato in politica Camaleonte o Proteo, ma non è detto che in tema di poesia gli spetti soltanto l'epiteto di freddo e insincero artefice di versi, ora intesi a lodare una parte e ora un'altra, mai scaturiti da una convinziope profonda, sempre dettati da quella che il Leopardi chiamerà << ributtante freddezza e aridità », quel Leopardi che ha pur dato di Monti una definizione che fa testo: << Poeta dell'orecchio e dell'immaginazione, del cuore in nessun modo », quindi con esplicito riconoscimento delle doti montiane di perizia musi- cale e di ricreazione fantastica.

È vano cercare nell'opera montiana una unità poetica. Sia per rigore di strutture, 'sia per organicità di esecuzione sti- listica, i suoi poemi non resistono ad una meditata visione d'assieme. La Bassuilliana nasce da un'occasione estrinseca al- l'animo del Monti, che tenta di rappresentare due mondi a contrasto facendo ricorso ad immagini e situazioni gonfie, mac- chinose, di una drammaticità tutta oratoria e scenografica; e nella rappresentazione si compiace di certe truculenze baroc- che, che erano ancora vive nell'arte della Roma di fine Sette- cento. La Mascherontana ha una linea piii armonica, e un det- tato sereno, calmo, elegante; ma campeggiano in questo poe- ma eccessive compiacenze per un accademismo freddo, virtuo- sistico. alla Canova. La lettura del Bardo della Selva Nera in- teressa unicamente per documentare la spregiudicata abilità del Monti nel rifare quelle tonalità preromantiche che in cuor suo detestava ma che piacevano al Bonaparte; per converso la Feroniade, alla quale il poeta attese insolitamente a lungo, si mostra nel complesso opera degna di una considerazione a sé; ma non perché in questo poema vi sia un afflato unitario, e poche siano le parti d'accatto, ma piuttosto per la circostanza che esso documenta un processo stilistico del Monti dal prezio- sismo vuoto degli anni romani al piii meditato e intimo fra- seggio dell'ultimo periodo, attraverso una serie di esperienze formali che avranno notevole importanza sulla formazione sti- listica di tutti i poeti che lo seguono, dal Fosco10 al Leopardi, dal Manzoni ai romantici minori.

Nella Feroniade le parti dedicate alla rappresentazione del mito della ninfa Feronia amata da Giove appaiono assai me- no riuscite dei passi narrativi, soprattutto là dove il Monti si impegna a celebrare il paesaggio mitologico e quello, reale, delle paludi Pontine, che in lui si configurano come una cosa

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Dal Goldoni ai Romantici 181

sola; ancor piG suggestivi i momenti nei quali si sofferma a rappresentare, di contro agli. splendori degli dei e delle dee, l'umile vita del mortale: un contrasto, si noti bene, che il Monti trova già espresso nei poemi classici ai quali quotidiana- mente si ispira ma che pur rivive di una morbida e sinuosa linea d i musicale espressività, d'una singolare ricerca di ef- fetti musicali, di colori vividi e ben rilevati.

Esiste sempre, anche se spesso piG in potenza che in atto, la possibilità d i giungere a nuclei immaginativi, a particolari di forme, che siano sotto il segno di un'invenzione originale, e in qualche caso accanto ai momenti di piu ornato eloquio, persino di pervenire ad intimi e sommessi accordi, dove il Monti si piega in sé, a riflettere sulle sue aspirazioni e irrequietu- dini, e plasma versi di tenero, commosso accento; come negli accenti dichiaratamente preromantici e vagamente preleopar- diani dei Pensieri d'amore:

Oh rimembranze! oh dolci istanti! io dunque, dunque io per sempre v'ho perduti, e vivo? E questa è calma di pensier? son questi gli addormentati d e t t i ? Ahi, mi deluse della notte il silenzio, e della muta mesta Natura il tenebroso aspetto! Già di nuovo a suonar l'aura comincia de' miei sospiri, ed in piu larga vena già mi ritorna su le ciglia il pianto;

o nella canzone, meritatamente famosa e d'affettuosa vena ispirativa di Per l'onomastico della sua donna, che è del 1826:

Oh mia Teresa, e tu del pari sventurata e cara mia figlia! Oh voi che sole d'alcun dolce temprate il molto amaro . di mia trista esistenza, egli andrà poco che nell'eterno sonno, lagrimando, gli occhi miei chiuderete! Ma sia breve per mia cagione il lagrimar; ché nulla, fuor che il vostro dolor, fia che mi gravi nel partirmi da questo, troppo ai buoni funesto, morta1 soggiorno, in cui cosi corte le gioie e cosi lunghe vivon le pene; ove per dura prova già non è bello il rimaner, ma bello l'uscirne e far presto tragitto a quello de' ben vissuti, a cui sospiro ...

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182 letteratura italiana

Eppure istanti cosi efficaci di amara memoria personale non bastano a modificare le linee del ritratto di Monti poeta: tale opera resta un raffinatissimo consorzio di tutti gli stili classi- cheggianti, e anche nelle pieghe della sua lirica familiare c'è il sotterraneo lavorio d'imitazione dei classici: in questo caso del Petrarca e dei petrarchisti rinascimentali. Tuttavia una nota tutta sua, la voce vera del poeta Monti, non manca; e questo timbro non ci sfugge se, invece di considerare certi suoi ac- centi, accertiamo la presenza nell'opera montiana di un singo- larissimo gusto musicale che svolge le sue eleganti dolcezze cromatiche dalle liriche giovanili agli ultimi versi della Fero- niade. La dicitura che a lungo è stata ritenuta valida per com- prendere l'arte del Monti (il Monti e poeta di letteratura », co- me ebbe a designarlo il Croce, nel tentativo d'andare oltre i1 severo giudizio del De Sanctis), andrebbe perciò modificata ba- dando soprattutto alle doti d'orchestrazione sonora delle imma- gini e cose. in un im~as to cromatico che è senza dubbio meno L.

ricco di quello dei poeti barocchi, ma piu composto e disteso. Ebbe. ~ i i i che il cuore e la mente. un orecchio di eccelsa sensi- , L

bilità, abile nel cogliere tutte le sfumature dei registri alti e bassi, nel modulare i suoni delle parole piii che nel modellare plasticamente le forme, si da riuscire efficacissimo nella tradu- zione dell'lliade. - -- ~ ~.

Aveva, traducendo sia pur liberamente, il solo compito di trasferire il senso delle parole ,di Omero in un cli,ma di ondosa sinfonia verbale. scegliendo il lessico Der ciò che esso offriva , u

di armonioso e di carezzevole all'udito, sceverando i costrutti piii idonei a rendere, ad orecchio, il suono pacato e solenne del linguaggio omerico; imprimendo all'endecasillabo sciolto una fluidità cantante che esso non aveva mai avuto. E nessuna meraviglia desti che un'opera simile sia riuscita a tutto scapito di una fondamentale virtii del traduttore: fare intendere il pi6 possibile il testo originario. Anzi c'è da compiacersi che il Monti abbia nella sostanza misconosciuto Omero, piuttosto badando alle tonalità e ai suoni di alcune traduzioni moderne, ad esempio del Rochefort e del Cunich. Era il suo modo d'espri- mersi, di ritrovarsi nel lavoro diuturno del verseggiare, di rag- giungere un suo fantasmà poètico, limpido e melodioso.

LA POESIA NEOCLAS SICA

Gli scrittori neoclassici, incapaci di ritrovarsi spiritualmen.

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Dal Goldoni ai Romantici 183

te, accolgono dal leggendario ossianesco, dall'allegorismo della Bassvilliana e della Mascheroniana e dal mito naturale che il Monti aveva esaltato per meri intenti di effetto politico, tutto ciò che loro fosse utile tecnicamente alla struttura del poema classico-cristiano. Irreligioso, pagano, carico di pure bramosie pittoresche che lo portano talvolta a celebrare cosmologica- mente i fasti della religione cristiana, era stato il Monti; men- tre poi i suoi discepoli avevano supinamente accettato la realtà del cattolicesimo (anche di quello, diciamo cosi, letterario), non si professarono e non furono irreligiosi, e in un'epoca succes- siva tentarono assurde combinazioni tra il vecchio Monti e il giovane Manzoni. Non ebbero alcuna consapevolezza di una vera esigenza morale nell'accostarsi a simili temi, né seppero architettare una sia pur approssimativa poetica del classico-cri- stiano. La loro forza polemica contro il Romanticismo (se si eccettui la Daradossale sordità di Terenzio Mamiani) non fu tale da precludere, poi, una posizione eclettica verso gli Inni sacri manzoniani.

Nel campo della poesia moraleggiante è notevole la perso- nalità di Cesare Arici. Egli nacque a Brescia nel 1782 e vi mori nel 1836; fu dal 1809 professore di eloquenza, poi di latino e storia a Brescia, e dal 1829 segretario dell'Ateneo bre- sciano. Scrisse poemi didascalici '(La coltivazione degli ulivi, 1808-18; L'elettrico, 1812; La pastorizia, 1814; L'origine del- le fonti, 1834) e alcuni Inni sacri (1828). I poemi rivelano in grado eminente quella mobile qualità ricettiva che all'Arici ven- ne rim~roverata dal Foscolo. I temi morali sono Der 1'Arici un'altra estrinsecazione del mondo allegorico dei classici, dal quale (se non nasce come filiazione sentimentale) si origina strutturalmente la visione del cristianesimo: quasi un simula- cro di fedele rappresentazione liturgica che balzi fuori dal marmo pagano. Ma ad un certo momento, come poi vedremo, scaturiscono dal cuore del Romanticismo gli Inni sacri, e allora la presenza del Manzoni serve a contenere la foga espositiva dell'Arici entro immagini piu pensate e composte, colora di immediatezza la nuda parete della celebrazione classica, sugge- risce argomenti meno convenzionali, riesce ad introdurre un'eco del potente ritmo interiore nelle strofette di leggero sapore arcadico dei poeti neoclassici, insomma costringe i letterati dei- l'epoca a mutare i 'modi e la sostanza del poetare.

Viceversa le Poesie sacre di Angelo Maria Ricci rimangono rigorosamente in campo classicista, senza eseguire riforme mo- derate di temi e di linguaggio, senza che il poeta si guardi at-

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184 1-a letteratura italiana

torno e s'accorga che ben altra strada è stata fatta. I1 Ricci nacque a Masolino nel 1776 e mori a Rieti nel 1850; insegnò eloquenza al17Università di Napoli durante l'epoca del Murat. Scrisse vari poemi didascalici, tra i quali la Georgica dei fiori (1825), due poemi epici (l'ltaliade, 1819; e il San Benedetto, 1824), prose d'eloquenza. Non è poeta di tutta mediocrità e stupisce che la sua Georgica dei fiori (non inferiore ai poemi didascalici dell'Arici) sia componimento tuttora sconosciuto. Le Poesie sacre tengono troppo dell'Accademia settecentesca, e quella tenue compiacenza del mondo arcadico, dove Tirsi, Elpino, Bice, Fileno eccetera divengono personaggi presso il presepio di Gesu o sotto la Croce, si esaurisce in un gioco sonoro di brevi metri e di rime. Per quanto egli scrivesse che

i fiori che germogliano appiè degli altari sono nudriti di quella rugiada celeste e di quella manna prodigiosa che ha tutti i sapori (umanamente parlando) dal classico, dall'ascetico, dal mistico fino al romantico onesto,

non risenti che la lezione dei classici cinquecenteschi (soprat- tutto di quei Rucellai ed Alamanni che dominano la Georgica, e di li informano la tenuta lirica delle Poesie sacre) e del Monti: sono del secondo le raffigurazioni pagane tracciate in Amor pe- nitente. Ma vivo è nel Ricci il senso della vita della natura, quasi una commozione agreste che si raffina liricamente nel ri- cercare l'intima vita delle (piante, dei fiori, delle stagioni, dei colori che si avvicendano sui prati e sugli alberi. Ne consegue una emozione religiosa nel rimirare la natura, un plastico amal- gama tra paesaggio virgiliano e antichi eventi sacri. Cosi il tintinnare degli strumenti della Passione ricorda il

suon di spuma che tra i giunchi oscilla.

Cosi i pastori che giungono a Betlem suggeriscono una folta reminiscenza bucolica, quando si enumerano i doni:

chi porporine bacche e fresche more colte poc'anzi dalla siepe ombrosa, chi di tortore un nido, un frutto, un fiore.

Per avere un quadro ampio e concreto del gusto poetico del Neoclassicismo varrà ricordare i fasti d i una splendida pub- blicazione (che si può considerare il manifesto dei neoclassici), edita dal celebre tipografo Bodoni nel 1812, per il matrimonio di Costanza Monti col Perticari: Agli Dei Consenti. Vi è rac-

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Dal Goldoni ai Romantici 185

colta una serie di inni mitologici e vi collaborarono il Monti stesso, il Perticari, l'Arici, Paolo Costa, Dionigi Strocchi ecce- tera, e rappresentò veramente la celebrazione del gusto mon- tiano. Neoclassico non si può considerare invece, anche se fu di sentimenti classicisti, l'arguto autore di una bizzarra auto-, biografia in versi, Il poeta di .teatro (1808): il toscano Filippo Pananti (Ronta del Mugello 1766 - ivi 1837), che fu anche vi- vace -epigrammista.

IL PINDEMONTE

Durante il periodo neoclassico non erano spenti i germi di quell'intensa sensibilità, fantasiosa e nuova, che era stato il Preromanticismo. Anzi opera in questa epoca un poeta assai importante, non già per virtu d'arte, ma perché rappresenta l'anello di congiunzione tra il gusto notturno e sepolcrale, os- sianesco e cesarottiano, e il Foscolo, tra la sensibilità prero- mantica e il Romanticismo: Ippolito Pindemonte.

I1 Pindemonte nacque a Verona nel 1753 ed ivi si spense nel 1828. Di sentimenti democratici, celebrò la Rivoluzione francese nel poemetto La Francia (1789) ma non si prestò mai ad osannare Napoleone e l'occupazione francese. Abban- donò l'idea di un poemetto sui Cimiteri allorché il Foscolo scrisse e gli dedicò I Sepolcri. Un intenso impegno letterario è presente nelle sue opere principali le Poesie campestri (1788), le Prose (1817), il romanzo Abaritte ( 1792), la traduzione dell'odissea (1822), la tragedia Arminio (1804), il poemetto Il colpo di martello del campanile di San Marco in Venezia ( 1820).

Le sue origini furono arcadiche, di quell'Arcadia affettuosa e dolcissima dei Vittorelli e dei Bertola; al vaglio dell'espe- rienza del Cesarotti la musa malinconica del Pindemonte ebbe dischiuso un nuovo mondo, librato in un'atmosfera sognante, e lo espresse nelle Poesie campestri: liriche di uno spirito fine, amante della solitudine, della vita semplice dei campi, delle lunghe riflessioni su aspetti e cose della natura, per la cui ce- lebrazione si compiacque di adoperare tonalità tristi, persino orride e fosche, tratte dal patrimonio ossianesco, ma risentite con un'eleganza tutta propria, non disgiunta da un pari inte- resse per le raffinatezze classicistiche e per le evocazioni pre- romantiche.

Oh speranze fallaci! Oh mesti soli,

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La letteratura italiana

che ora per tutta la celeste volta io con sospiri inutili accompagno! Foscolo, vieni, e di giacinti un nembo meco spargi su lei: iawisti a tempo i miei concittadin miglior riposo già concedono ai morti; un proprio albergo quindi aver lice anco sotterra, e a lei dato è giacer sovra il suo cener solo. Ecco la pietra del suo nome impressa, che delle madri all'ottima !a grata delle figlie pietà gemendo pose. Rendi, rendi, o mia cetra, il piu soave suono che in te s'asconda, e che a traverso di questo marmo al fredd'orecchio forse giungerà. Che diss'io? Spari per sempre quel dolce tempo che solea cortese l'orecchio ella inchinare ai versi miei. Suon di strumento uman non v'ha che possa sovra gli estinti, cui sol fia che svegli de' volanti dal ciel divini araldi nel giorno estremo la gran tromba d'oro.

I1 preromanticismo pindemontiano non è mai in violenta opposizione agli ideali neoclassici: il poeta tenta anzi nelle Epistole e nella tragedia Arrninio di equilibrare i due motivi, e si ispira al gusto montiano nella sua celebre traduzione del- l'odissea iniziata prima dell'lliade del Monti, ma conclusa molto dopo. L'Odissea pindemontiana non raggiunge mai l'ar- dore oratorio e lo splendore pittorico della versione montiana, ma ha pregi di fedeltà e d i precisione, e soprattutto un certo timbro elegiaco che bene esprime i toni piu dolenti e interiori del poema omerico.

Poeta d i fertile vena e d'animoso spirito fu anche il fratello di Ippolito, Giovanni Pindemonte (Verona 1751 - ivi 1812) che per le sue convinzioni repubblicane fu esule a Parigi, e piu tardi fece parte del corpo legislativo della Repubblica italiana; autore d i numerose tragedie sensibili all'influsso d i Shakespea- re e costruite con sicuro senso degli effetti teatrali: Mastino I della Scala, Ginevra di Scozia, Elena e Gerardo, Cincinnato.

PROSATORI NEOCLASSICI l La tradizione illuministica dei saggi politici, filosofici, eco-

nomici e storici continua in questo periodo, sviluppando pro-

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positi e opinioni del pieno Settecento, ma anche un suo parti- colare patrimonio di idee. I1 gusto classicista, infatti, non po- teva non far tornare in auge ~i7interesse Der certe visioni Dia- - stiche e psicologiche del processo storico, e si cerca di inten- dere nella storia la presenza non solo di fenomeni particolari (e qui gli illuministi sono sempre i maestri di questi storici e politici), ma del cammino dell'umanità, delle passioni del po- polo, delle sventure e degli odi umani, e in tal senso sempre piu operante in profondità è l'insegnamento del Vico. Non per nulla le due personalità maggiori del pensiero storiografico di questa età sono meridionali, il Cuoco ed il Colletta, e in loro è presente il dramma di Napoli nel 1799 e a quel glorioso epi- sodio dedicano alcune delle loro pagine piu alte. Ma accanto a questi fermenti umani è presente negli storici neoclassici l'accesa preoccupazione per le virtu stilistiche della propria prosa. Tolgono dai grandi prosatori politici del Rinascimento la duplice esigenza di far vibrare la vicenda storica a contatto delle passioni civili (in questa direzione preludono alla storio- grafia romantica) e di ben narrare i fatti, con una forma let- teraria che non respinga alcuno dei piu sostanziosi apporti del- la tradizione machiavelliana e guicciardiniana. In tal senso il modello piu prospicuo è offerto dalla prosa del Giordani, ela- borata in funzione di una ricerca quasi esclusivamente lettera- ria, mentre in Vincenzo Cuoco lo scandaglio dei fatti o dei personaggi storici è condizionato da un'indagine consapevole delle situazioni storiche, in specie per quel che concerne le a ~ o r i e tra l'azione delle G élites olit ti che e la deficiente edu- cazione delle masse popolari.

Anche nel Giordani vivono solide idee di libertà. di fie- rezza nazionale, di amorevolezza sociale verso le classi povere, ma esse, pur sorgendo con schiettezza nell'animo dello scrit- tore, si esprimono sotto l'urgenza di un prezioso esercizio let- terario. Nacque a Piacenza nel 1774. e fu Der tre anni monaco benedettino in un monastero della città: ma. nauseato dell'am- , . biente, se ne allontanò conservando sempre nell'animo un ac- ceso spirito laico. Fu per vari anni (1808-15) prosegretario dell'Accademia di Belle Arti di Bologna; poi a Milano diresse col Monti e l'Acerbi la Biblioteca Italiana; dopo un soggiorno a Piacenza, si recò a Firenze (1824) nell'ambiente dell'Antolo- gia del Vieusseux, frequentando il Capponi, il Colletta, il Man- zoni. Infine fu a Parma, dove partecipò attivamente al Risor- gimento, subendo anche il carcere, e dove mori nel 1848. Nel

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suoi scritti, lettere, trattati, discorsi, saggi, il Giordani è uomo sincero, persino simpatico. Vanno ricordate le affettuose e calde lettere al giovanissimo Leopardi, riconoscendo appieno la funzione educativa che il Giordani esercitò su di lui, sotto il rilievo letterario ma anche sotto quello del solidale conforto per le precoci inquietudini di quel grande amico. Nella forma- zione intellettuale leopardiana il razionalismo del Giordani rappresentò per primo una funzione chiarificatrice per ,la difesa degli ideali iiluministici e classicistici. Eppure tutti questi pro- positi: il vagheggiamento di un'Italia libera e indipendente, il culto per le sacre memorie della nostra tradizione letteraria, i sentimenti gentili verso chi soffre, paiono passare sempre at- traverso il finissimo setaccio della ricerca stilistica. Le sue vive allocuzioni di italianità non possono essere trascurate da chi indaghi il clima politico di questo primissimo Risorgimento. Nelle sue pagine di critica letteraria arriva sovente ad osserva- zioni acutissime sullo stile dei nostri classici, sebbene gli sfug- ga sempre la visione culturale d'assieme; i suoi scritti d'arte sono fondamentali per capire il gusto pittorico e scultoreo di questa epoca che vanta un Appiani e un Canova.

In una diversa prospettiva culturale si muove la vigorosa personalità di Vincenzo Cuoco. Nacque a Civitacampomarano, nel Molise, nel 1770, e mori a Napoli nel 1823. A Napoli era dal 1787, e assisté, da spettatore, alla rivoluzione del 1799, non consentendo agli ideali dei rivoluzionari. I Borboni, però, ritornando, coinvolsero anche lui nella condanna: fu esiliato e si recò in Francia. Dopo Marengo tornò in Italia e pubblicò (1801) il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana. Tornò a Napoli nel 1806. Altre sue opere: un romanzo storico, il Pla- tone in Italia (1804-06), il Rapporto al re G. Murat, eccetera. Fu uno storico-filosofo. cioè in lui red domina l'istanza fonda- mentalmente vichiana che si ~ u ò trarre dalla storia. non la vi- cenda storica in sé, e nel giudicare cause ed effetti della rivo- luzione napoletana del 1799 sa risalire ai motivi del fallimento di quell'insurrezione, cioè l'impossibilità di applicare gli astratti schemi giacobini alla realtà della situazione politica del Napo- i letano, ove le masse popolari non avevano alcuna coscienza l

degli ideali democratici, e i liberali non seppero far opera di persuasione e d'apostolato presso i contadini, non riuscendo a i comprendere le loro esigenze fondamentali di vita. Va dunque ~ abbandonata la strada ,del giacobinismo rivoluzionario e imboc- 1 cata quella del moderatismo riformista che possa agire nell'in- 1

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teresse della <( nazione B, che non è piu soltanto il popolo na- ~oletano. ma il Daese d'Italia. Lo storicismo del Cuoco è di stampo illuministico e antirivoluzionario come quello del De Maistre, personalità che gli è spesso paragonata; ma il Cuoco resta nell'ambito di una tradizione nazionale, dalla quale trae quei fermenti di libertà e di riscossa dalle supine posizioni rea- zionarie che fanno di lui un maestro del Mazzini e del Gioberti. Le sue convinzioni filosofiche sono visibili anche nel romanzo, ove fa finzione d'aver scoperto tra le rovine di Eraclea un ma- noscritto antico in cui Platone narra un suo viaggio, con l'amico Cleobolo, nelle città della Magna Grecia, è arguto pretesto per illustrare le bellezze del paesaggio italiano e per proporre la base d'una nuova costituzione politica e d'un nuovo sistema n. - tllosotlco.

Nell'ambito della cultura meridionale spiccano accanto al Cuoco, sebbene in una posizione meno alta della sua, i nomi di Pietro Colletta; di Francesco Lomonaco, autore di una ge- nerosa protesta contro la reazione dei Borboni dopo il 1799 nel Rapporto al cittadino Carnot; di Ignazio Ciaia, martire della rivoluzione; di Francesco Saverio Salfi che scrisse un'am- pia e precisa storia delle nostre lettere nel '700. I1 Colletta nacque a Napoli nel 1775 e mori a Firenze nel 1831; fu ufi- ciale dapprima nell'esercito borbonico, poi in quello repubbli- cano; dopo la Restaurazione divenne, col grado di generale, intendente della Calabria, ma dopo il 1820 restò confinato in Moravia. Scrisse la Storia del Reame di Napoli (pubblicata po- stuma nel 1834), le Lettere filologiche mtlitari, la Campagna d'Italia nel 1815. I1 Colletta non ha l'acutezza analitica del Cuoco (da cui prende in parte le mosse e di cui vanta le grandi doti: << Vincenzo Cuoco, uomo ed autore pregiatissimo, consi- gliere di Stato, magistrato integerrimo, che da istorico narra e da testimone accerta le infinite crudeltà »), né sa come il Cuoco risalire dal particolare alla questione di fondo, a causa d'un'ideologia politica piu prudente e moderata D; ma è scrit- tore di talento, storico in quel seni0 proprio alla civiltà lette- raria italiana, cioè storico-artista, che sa rivivere le passioni e i problemi della storia e pone nel narrarli ardito impegno d'elo- quenza civile, si da indirizzare il lettore a sentimenti piu alti, quando non indulge con piacevole vena narrativa nel racconto di grandi o piccoli fatti di cronaca, di aneddoti curiosi, di me- morie personali. Con ciò non bisogna pensare che il Colletta sia scrittore vaniloquente e retorico; l'esigenza oratoria è in

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lui una forma naturale nell'esprimere opinioni e sentimenti politici saldissimi e molto austeri; la concisione è indizio d'ispi- razione al supremo modello di Tacito.

Nell'Italia Settentrionale l'esperienza illuministica reca frut- ti profondi. L'opera letteraria è tuttora sentita al servizio di una sana utilità sociale, e la visuale dei problemi è sempre lar- ga sull'orizzonte della storia e della cultura europea. A grandi opere d'assieme si impegna il piemontese Carlo Botta, la sto- ria d'Italia negli ultimi tre secoli, le vicende della rivoluzione americana eccetera; opere dove l'indagine storiografica dovreb- be cedere all'impegno letterario.

I1 Botta nacque a San Giorgio Canavese nel 1766 e mori a Parigi nel 1837; era stato membro del corpo legislativo dopo l'aggregazione del Piemonte alla Francia; poi rettore del colle- gio di Nancy, indi di quello di Rouen. Scrisse la Storia naturale e medica dell'isola di CorfL (1798), la Storia della guerra del- l'Indipendenza degli Stati Uniti d'America (1809), la Storia d'Italia dal 1789 al 1814 (1824), un poema epico, Il Camillo o Veio conquistato (1815), una Storia dei popoli italiani dal- l'anno 300 dell'era volgare fino all'anno 1789 (1826), varie pagine di teoria e critica musicale, letteraria e linguistica. Egli non è scrittore come il Colletta; nel suo eloquio di stampo set- tecentesco, là dove tratta argomenti drammatici ed epici si sente un moralismo eccessivo, e il suo stile non possiede l'ar- dore naturale di auello collettiano. ma è sontuoso e decorativo. promiscuo, saturo di arcaismi talvolta ingenui e crudi, con i quali egli vorrebbe far fronte all'imperante gusto dei france- sismi. Tuttavia è da ammirare in lui la coerenza degli ideali classici, in nome dei quali respingerà con sdegno l'ideologia e il gusto romantico, e si sforzerà di raggiungere l'eleganza, la misura, l'armonia dei modelli greci e latini, il che avverrà quasi soltanto nella Storia naturale e medica dell'isola di CorfL, dove-un critico recente, G. Getto, ha saputo cogliere << traspa- rente virtfi » e sottile precisione » di stile.

La cultuya settentrionale è anche cultura di filosofi ed eco- nomisti come Melchiorre Gioia (Piacenza 1767 - Milano 1829). autore del Nuovo prospetto delle scienze economiche. m i che . . non ignora il buon diletto delle lettere nel suo Nuovo '~a la teo , - di economisti e giuristi come Giandomenico Romagnosi (Sal- somaggiore 1761 - Milano 1835), l'autore dell'lntroduzione al- lo studio del diritto pubblico universale (1805), di scienziati come Alessandro Volta. I n ciò è il segno della vitalità dei

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molteplici interessi degli illuministi, e, in piu, un presenti- mento di quel che sarà la rivoluzione romantica, i cui ideali di pensiero e di costume accenderanno lo ,spirito degli italiani non solo nel campo delle lettere, ma in tutte le forme della moderna civiltà. Del resto questa generazione di intellettuali si affaccia anche sul limitare della cultura romantica; il Roma- gnosi, ad esempio, collaborerà al Conciliatore e parteciperà ai moti risorgimentali del 1821.

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Capitolo nono

Ugo Foscolo

La personalità di Ugo Foscolo, centrata sulla duplice storia culturale d'un critico rigorosamente disciplinato e d'un artista all'assidua ricerca d'una perfetta parola poetica, coinvolge tutti i motivi fondamentali del Neoclassicismo, raccoglie problemi e temi essenziali della cultura illuministica, invera aspetti con- trastanti della vita morale del tempo, impegna la sua sensibilità umana e il suo gusto in opere di grande ambizione letteraria. La tematica neoclassica era stata recata a notevole perfezione stilistica nel verso del Monti, ma era ancora povera di intimo senso umano, non ancora infiammata della vitalità e dell'attua- lità dello spirito; soltanto nellq poesia del Foscolo una pro- fonda animazione trasporta i motivi del Neoclassicismo da pura materia esornativa all'agitato clima delia fantasia poe- tica. D'altronde contenere l'opera foscoliana entro i limiti del gusto neoclassico e non misurarla sul metro di tutta la civiltà europea di un cinquantennio tra '700 e '800, che in Foscolo si esprime compiutamente, rischia di non far comprendere l'am- piezza culturale di un'attività cosi lucida intellettualmente e al tempo medesimo cosl sofferta nell'interiorità dell'anima, ricca di ideologie e di passione.

Non vi fu elemento della poetica del tempo (mitologia, lingua, oratoria, ideali politici), ch'egli non sottoponesse ad un'alacre lettura critica, accettando fondamentalmente il pen- siero filosofico dell'llluminismo e i moduli della sensibilità preromantica, che, presente nei Sepolcri e nei Sonetti secondo modi del tutto personali, si equilibra con l'armonia del mondo classico. Anche il Pindemonte aveva tentato, e prima assai che il Foscolo si accingesse a poetare, questa conciliazione tra due diverse forme d i sensibilità; non si può, però, stabilire un qualsiasi raffronto tra le schiette ma scarne immagini di Ippo- lito e il sontuoso agitato mondo dei fantasmi poetici foscoliani.

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Letterato di formazione classica, lirico di gusto preromantico, geniale critico letterario e commosso animo di politico, egli fu uomo di rara e vigorosa personalità, la cui awenturosa vi- cenda biografìca e la cui im~eriosa novità d'accenti ~oetici posero al disopra del proprio iempo.

Del Foscolo i romantici già parlavano quale di un mito, come risulta dalle lettere che il Peilico scriveva al poeta esule in Inghilterra o dai giudizi che davano di lui i romantici sul Conciliatore, uomini politici come il Mazzini, poeti come il Poerio e lo Scalvini, al quale Foscolo sembrava a abitato da uno di que' dei che i Germani sentono passare nelle foreste >P.

E anche quando, nella seconda parte del secolo si avrà una ri- presa di spiriti classici awerso il Romanticismo, il Foscolo assurgerà a personificare una linea democratica e laica della nostra tradizione civile e letteraria che avrà un'eco ammirativa nella giovanile canzone ddl Carducci Per il trasporto delle re- liquie di Ugo Foscolo in Santa Croce.

VITA E OPERE

Niccolò Foscolo (poi fattosi chiamare Niccolò Ugo, infine solo Ugo) nacque il 6 febbraio 1778 nell'isola di Zante, da Andrea, un medico appartenente ad antica famiglia veneziana trapiantata nelle isole Ionie e da Diamantina Spathys, greca. Primo di quattro figli (Rubina, Giulio, Giovanni), nel 1784 si trasferi con la famiglia a Spalato, come Zante sotto il dominio della Repubblica di San Marco. A Spalato, presso il seminario, intraprese i primi studi, nel 1792 si recò a Venezia con la madre, rimasta vedova nel 1788, e qui, nell'ambiente cultu- rale veneziano che aveva perduto il fascino di trent'anni pri- ma ma pur serbava in sé una tradizione gloriosa che poteva rinnovarsi, il Foscolo nacque alla poesia, alla vita libera dei sensi, all'amore che gli apparve ora nelle sembianze di una fanciulla sconosciuta, ora in quelle di una donna esperta di lettere e di piaceri, Isabella &rizzi Teotochi (Corfu 1760 - Venezia 1836), amica del Canova, dell' Alfieri, del Pindemonte, autrice degli interessantissimi Ritratti (1807). Anche Ugo, c e me tanti altri giovani, aveva accolto con entusiasmo le idee nuove che venivano dalla Francia, auspicando una vita politi- camente diversa nel sonetto A Venezia, e alfierimamente sta- gliandosi contro i tiranni in una tragedia, Tieste, fatta rappre- sentare nel 1797; recatosi a Bologna (maggio del '97) per sfug-

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gire alle persecuzioni dell'Inquisizione, scrisse l'ode A Bona- parte liberatore e s'arruolò volontario, col grado di tenente, nell'esercito della Repubblica Cispadana.

Creata anche a Venezia una repubblica democratica, s'af- frettò a farvi ritorno, assumendo l'ufficio di segretario della Municipalità e indirizzando al fratello Giovanni l'ode Ai no- velli Repubblicani, progettando una << tragedia repubblicana », il Timocrate. I1 trattato di Campoformio (17 ottobre del 1797) che cedeva Venezia all'Austria in cambio del Belgio, gettò nel- l'animo del Fosco10 un'ombra di pesante, disperata amarezza quale poi vedremo in parte dipinta nel protagonista dell'ortis. Trasferitosi a Milano, vi conobbe il Parini, il Monti e altri scrittori, svolse un'alacre attività politica e giornalistica (nel Monitore italiano e nel Genio democratico), nella quale si mostrava ormai alieno dagli entusiasmi giacobini e pensoso de- gli interessi e dei doveri nazionali; ciò nonostante troppo radi- cato era in lui l'odio verso ogni specie di dispotismo e con- servatorismo gretto per non schierarsi a fianco dei Francesi e dei Cisalpini contro gli Austro-Russi; e a Genova, agli ordini del generale Massena, si batté strenuamente (1800), e fu nella divisione italiana che Napoleone, dal 1804 al 1806, accolse nell'esercito schierato sulla Manica contro l'Inghilterra, sog- giornando a lungo a Valenciennes e a Boulogne.

Tornato in Italia, continuò la sua vita errabonda ed av- venturosa di ufficiale dell'armata napoleonica fino alla caduta del Regno Italico: anni intensissimi per la vita passionale e letteraria; amò, tra le molte altre, e ne celebrò la bellezza in varie opere, Teresa Pikler (moglie del Monti), Isabella Ron- cioni, Antonietta Fagnani Arese (l'<< amica risanata dell'ode; con Antonietta scambiò uno dei piu affascinanti epistolari d'amo- re delle nostre lettere), Marzia Martinengo, Cornelia Rossi Martinetti, Eleonora Nencini, Maddalena Bignami. Nel 1803 aveva pubblicato il commento alla Chioma di Berenice di Ca- tullo; tra il 1807 e il 1808 l'edizione degli scritti di Raimon- do Montecuccoli; e, produzione per vari motivi ben piu im- portante, agli studi filologici alternava l'opera letteraria, ri- maneggiando tra il 1798 e il 1802 il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis; nel 1803 raccogliendo in vo- lume due odi (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e Al- l'amica risanata) e dodici sonetti; preludio di piu alta e digni- tosa poesia, quella dei Sepolcri, carme dedicato al Pinde- monte, e pubblicato a Brescia nel 1807.

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196 La letteruturu italiana

lettere della « donna gentile P, Quirina Mocenni Magiotti, e dalla fedeltà di alcuni amici rimasti a Milano, tra i quali in rima linea il Pellico. Nel settembre del 1816 si recò in In- ghilterra, donde non si mosse piu soggiornando prevalente- mente a Londra o in cittadine prossime. I primi tempi tra- scorsero colmi di speranze e illusioni; e, quantunque pungen- te fosse nel suo animo la nostalgia dell'Italia, visse anni lieti. L'ambiente letterario di Londra l'accolse con simpatia, i suoi articoli di critica letteraria erano bene accetti dai giornali (la Edinburgh Review, il New Monthly Magazine e la European Review), l'amore per Carolina Russe1 (chiamata dal poeta Callirhoe) lo misero in contatto con la società mondana: tutto ciò lo illuse di potersi permettere iin tenore di vita altissimo Ritrovò inaspettatamente nel 1822 la figlia Floriana, natagli diciassette anni prima da una donna amata in Francia, forse Fanny Emerytt; e con Floriana divisò di andare a vivere in un bel villino cui diede il nome di Digamma-Cottage.

Nel frattempo la sua produzione letteraria continuava fit- tamente: il Saggio sullo stato della letteratura italiana nel pri- mo ventenni0 del secolo XIX e molti altri scritti su Dante, il Petrarca, il Boccaccio, il Tasso eccetera, tra i quali emerge il Discorso sul testo della Divina Commedia; poi alcune prose di costume sulla vita di società: Le lettere scritte dall'Inghi1- terra ( 1817) in cui è il Gazzettino del Bel Mondo, sorridente ritratto del costume sociale e letterario coevo; e l'incessante opera di politura delle Grazie; la traduzione del terzo libro dell'lliade, edita nell'Antologia del Vieusseux ( 182 1 ) come seguito alla versione del primo libro, da lui pubblicata nel 1807 a Brescia. la Nawarione delle fortune e della cessione di Purga, il saggio Della nuova scuola democratica italiana.

L'ardua e dispendiosa vicenda dei primi anni d'esilio lo precipitò ,ben presto nella miseria; i lauti guadagni vennero a cessare; ebbe a subire il tormento di malattie gravi e di soffe- renze spasmodiche; h costretto per vari anni a vivere nei quartieri piu miserabili di Londra. sovente sotto altro nome per sfuggire ai creditori, che nel 1824 riuscirono tuttavia a farlo arrestare. Ritiratosi infine, con Floriana, nel villaggio di Turnham Green, vi visse per pochi mesi ormai stroncato dal male, e vi mori il 7 settembre 1827, non ancora cinquantenne. Le sue spoglie mortali, sepolte dapprima nel cimitero di Chi- swick, furono nel 1871 traslate a Firenze, nella chiesa di Santa Croce.

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Dal Goldoni ai Romantici

La bioeiafia del Foscolo è suficiente ad offrirci la vera u

immagine del suo temperamento umano, agitato da passioni violente e rapide, dalle quali egli si distaccava amareggiato per poi tornar subito in quei vortici torbidi, e restarne nuovamen- te vittima. I l culto che egli ha della libertà, dell'eroismo, della patria non è meno profondo di quello dell'Alfieri, anzi piu complesso, legato com'è al gioco di sentimenti sovente contra- stanti; e la sua esistenza è priva di quella disciplina che l'Al- fieri, sebbene tra irrequietezze e conflitti intimi, riusci quasi sempre ad imporsi. Tuttavia, se nell'uomo Foscolo tutto è agitazione, turbamento cupo e ardente frenesia di vita, la sua storia d'artista nasce e si evolve sotto il segno di un dominio e di un equilibrio impareggiabili, poiché quella disciplina che egli non seppe imporre alla sua vita è sempre presente e ope- rante nell'opera letteraria, in una misura che l'Alfieri non eb- be mai. L'arte era .per lui supremo impegno della mente e del cuore, e nell'arte ritrovava quella serenità che le vicende della vita mai o poco gli avevano offerto. Anche all'epoca dell'ortis, in quell'aspra rivolta sentimentale contro tutti i limiti al li- bero dominio dell'Io eroico, in quella turbinosa tempesta di passioni, lo scrittore era presente a se stesso nella ricerca ar- moniosa di uno stile e nel continuo afhamento della parola. Cosi poi, durante la composizione dei Sepdni , il Foscolo ri- trova nella ricerca dello stile un nuovo punto di risoluzione e di equilibrio e un motivo di maggiore distensione drammatica nel desiderio distaccato di un infinito, nella grandezza della storia che non è avara di d a n n i (il Foscolo, sulla scia del pen- siero del Locke, awersa l'idea del progresso e nega sul piano sociale i principi d'eguaglianza), ma è pur sempre dispensa- trice d'intima consolazione allo spirito inquieto.

Sebbene la sua vita vibri di sempre piii cupa disperazione, di piii tragica amarezza, l'arte del Foscolo invece va trovando di giorno in giorno un suo piu stabile equilibrio. Le Grazie recideranno ogni contatto troppo visibile con la realtà, prope nendo un'altra realtà. anch'essa dominata dai dolori dell'uo- mo, ma in un mondo diverso, nel mondo evocato dai fanta- smi della bellezza classica. I1 Foscolo riusci, in definitiva, a sentire come realtà la gloria, le forme classiche, l'armonia del- le musiche e dei colori; e, incredulo d'ogni felicità terrena o d'ogni richiamo ad un'altra vita dell'anima immortale, riusci a credere in un Eden classico dove una diversa divinità, la Poe-

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sia, poteva nutrire e confortare lo spirito. Se ciò non fosse accaduto, le immagini delle Grazie sarebbero scaturite come puro gioco letterario, come compiacimento di un artista che ha conquistato una forma perfetta d'espressione e vuole evo- care un mondo che è sostanzialmente estraneo alla vita morale e ai problemi del tempo.

L'attivismo del Foscolo si concentra nell'operare a favore della piii grande delle << illusioni D umane, quella di conqui- stare una patria per sé e per i propri fratelli, poiché la sua poetica della bellezza e dell'amore classico scaturisce da una vigorosa energia spirituale che non gli consenti d i fermarsi ad un debole e infingardo contemplare, ma di agire con ardore. Gli uomini del Risorgimento si specchiarono nel Foscolo per- ché in lui era prepotente il culto della grandezza della patria e la sua energia spirituale era soprattutto impegnata nella con- quista degli ideali d i libertà e di dignità civile. I l supremo do- vere dello scrittore, ciò che egli chiamò << l'ufficio della lettera- tura », è d i acquisire al proprio spirito un complesso di ideali che culminano in quello della libertà della patria. Nella cele- bre prolusione di Pavia aveva scritto:

Appare che la natura, creando alcuni ingegni alle lettere, li con- fida all'esperienza delle passioni, all'inestinguibile desiderio del vero, allo studio dei sommi esemplari, all'amore della gloria, all'indipen- denza della fortuna ed alla santa carità della patria. Qualunque manchi di queste proprietà negli uomini letterati, niun'arte mai, niun istituto di università o d'accademia, niìuna munificenza di prin- cipe farà che le lettere non declinino, e che anzi non cadano nel- l'abbiezione ove tutte o in gran parte mancassero queste doti.

FOSCOLO CRITICO

La critica letteraria e filologica nasce nel Foscolo in un momento immediatamente successivo ad ogni tappa della sua poesia, come una forma di placamento e di riflessione dopo il fuoco della creazione poetica. Cosi i Frammenti su Lucrezio seguono il momento ardentissimo dell'ortis e dei sonetti, e recano le tracce d i quel tumultuoso, incandescente periodo, chiarendo che è già vivo un motivo della critica foscoliana: il contrasto tra gli alti ideali della poesia classica e le debolezze dei poeti moderni. Anche il saggio sulla Chioma di Berenice, pur nella sua maggiore penetrazione analitica dello stile e nel- l'impianto tecnico, manifesta il clima appassionato della sta-

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gione poetica giovanile. Le lezioni allo Studio di Pavia vivono ancora dell'eco dei Sepolcri, e il Discorso storico sul testo del Decamerone risente della prosa di Didi'mo e di quegli a m i di impegno prosastico; come i saggi sul Petrarca, sulle rime di Michelaneelo e del Tasso vivono nel clima stili'sticamente raf- finatissimi delle Grazie.

Si ha con l'attenzione storico-critica del Foscolo il rimo risultato della rinnovata intelligenza della personalità e del- l'opera dantesca. Dopo lungo e amoroso studio, lo scrittore esule ne dava un primo saggio in un articolo nella Edinburgh Review del 1818, dove la Commedia è confrontata a un'anti- ca e venerabile foresta in cui è difficile penetrare se non si se- gua un cammino preciso. Alla fine dei Saggi sul Petrarca (1821) è un Parallelo fra Dante e il Petrarca, in cui appaiono notevoli valutazioni stilistiche. Ma è soprattutto nel Discorso sul testo della Divina Commedia (1825) che lo scrittore dà fondo alla sua interpretazione dellà dantesca, che egli affronta con una conoscenza anche filologica dei testi, met- tendovi in evidenza le piu alte creazioni di <( caratteri del poema, come Francesca, Farinata, Piccarda Donati: caratteri dominati, secondo il Foscolo, da quello del solo vero prota- gonista, che è Dante. In rapporto a ciò è abbozzata quella che sarà l'interpretazione ghibellina e risorgimentale della figura di Dante, fieramente avverso al papato e convinto della sua mis- sione di riformare la Chiesa. Sono giudizi che sovente vanno al di là del preciso dettato del testo dantesco, e tali da pre- starsi ,successivamente a forzature (come quelle che saianno dovute, in terra inglese, a un lettore del Foscolo, l'esule Ros- setti, il quale sosterrà l'appartenenza di Dante a una setta se- greta ereticale) ma che tuttavia avrebbero contribuito ad ap- ~rofondire il senso dell'eccezionalità della fieura dantesca so- " vrastante l'ambiente medievale, sull'orizzonte secolare della patria. Nell'insieme si deve riconoscere che le pagine del Fo- scolo inaugurano veramente la critica dantesca moderna.

Anche la piu alta stagione della critica petrarchesca comin- cia coi Saggi sul Petrarca del Foscolo. Già in precedenza il petrarchismo tradizionale aveva avuto un profondo rinnova- mento con le Rime alfieriane, dove l'idealismo sentimentale stesso del Petrarca è accentuato; e sempre dallJAlfieri quel- l'idealismo era stato esaltato nel dialoeo della Virtd scono- sciuta in onore del defunto amico ~ r a n & o Gori Gandellini. I1 Foscolo, oltre a echeggiare nell'opera sua di poeta ardui sensi petrarcheschi (e si rammenti l'esaltazione della Venere

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celeste accanto alla Venere pandemia e la correlativa celebra- zione del Petrarca nei Sepolcri, nonché l'allusione al platoni- smo della concezione petrarchesca dell'amore in un luogo del- l'inno secondo delle Grazie), rivolge un profondo, amoroso interesse di studioso d'opera del grande trecentista. Si tratta di quattro saggi, originariamente pubblicati in inglese e tra- dotti poi nel 1824 dall'ugoni, seguiti da sette appendici, oltre- modo ricchi di notazioni psicologiche e rilievi e osservazioni artistiche. I1 piu importante è il ricordato Parallelo fra Dante e il Petrarca; dove, a diflerenza della tradizionale errata impo- stazione dualistica, il rapporto è cercato nel senso di un'alter- na caratterizzazione in base al concetto indicato nell'epigra- fe: u l'un disposto a patire e l'altro a fare n, si da dedurne due suggestivi, avvincenti ritratti, che occorre poi idealmente unificare d'insegna dello spirito medesimo del Foscolo, dibat- tuto tra il u soffrire » e il e fare n, la poesia sentimentale ed elegiaca e la profetica ed eroica. Da sottolineare, tra le molté e felici intuizioni, quella che negli squisiti d e t t i di armonia ed eleganza dell'arte petrarchesca è da riconoscere il risultato d'una diuturna applicazione dello scrittore; la designazione della purezza e perfezione quasi assolute e inalterabili della lingua; quella del carattere elegiaco della stessa poesia civile.

Nel Discorso storico sul testo del Decamerone, occasio- nato dall'invito di un editore a indicargli il miglior testo del- l'opera, il Foscolo si proponeva di ricostruire l'ambiente cul- turale dov'era sorto il Decamerone e di elaborare le vicende della composizione e della dihsione, e le tracce degii inter- venti e delle alterazioni che s'eran susseguite nel testo. Viene perciò esaminata la lingua dell'opera in rapporto coi contem- poranei; e ne-è rintracciato il carattere nella fusione di popo- lare e di dotto, nonché la sintassi latina e di discorso parlato fiorentino, a Merenza di chi, a partire dai linguisti del Rina- scimento, aveva esaltato il Decameron come un modello del fiorentino del Trecento. Postosi il problema degli intlussi eser- citati dali'opera, il Foscolo viene ad aflrontare il vecchio que- sito dell'arte e la morale, ch'egli risolve addebitando al Boc- caccio la mancanza di scrupoli, in perfetta conformità con la foscoliana austera concezione dell'arte.

Dal punto di vista estetico, il Foscolo riconosce nel Deca- meron la straordinaria

facondia a descrivere minutamente e con meravigliosa proprietà ed esattezza ogni cosa,

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pur negandovi

quelia fantasia pittrice la quale condensando pensieri. de t t i ed immagini, li fa scoppiare impetuosamente con modi di dire sde- gnosi d'ogni ragione rettorica.

Certo, egli osserva, il Boccaccio

senz'esser sommo in alcuna di tante guise di stile, seppe trattarle felicemente tutte; il che non incontrò a verun altro, o a rarissimi;

scrittore che

modellando l'idioma fiorentino su la lingua morta de' Latini, accre- scevagli dignità;

di una vivacità che

forse t'annoja come chi non r h a di ricrearti con la sua musica,

ornata di uno stile

a ogni modo felicemente appropriato a donne briose e giovani in- namorati che seggono novellando a diporto.

E, ritornando al problema deìl'influsso esercitato dall'ope- ra, conclude:

E non per tanto le gtamatiche elementari proponevano quasi tutti gli esempi del Decameron, e i fanciulli in luogo di regole impa- ravano le eccezioni deiia sintassi. Forse era meglio che avessero ignorato anche il nome del fibro C ... l Spesso lo studio deila lingua e delio stile fu pretesto a gratificare l'immaginazione de' lettori- di fantasie d e quali tutti propendono e sono costretti a dissimu- larle; né le noveiie del Boccaccio avrebbero predominato su la letteratura, se fossero state piu caste.

Quantunque l'attività critica sia cosi strettamente legata a queìla poetica, non bisogna pensare che il Foscolo sia un cri- tico di rifiesso, come accade in molti poeti che hanno cercato nell'impegno critico piuttosto un diversivo e un complemento che una forma di meditazione autonoma. I1 Foscolo è anzi il critico nostro maggiore tra 1'Illumuiismo e il De Sanctis, e ricco di balenanti intuizioni che anticipano istanze e soluzioni della critica letteraria postdesanctisiana e contemporanea. Egli arriva a risultati sorprendenti, in virtu anche di un certo suo distacco dalle polemiche letterarie del tempo, sensibile si al-

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l'influsso della critica classicistica ma non in modo da restarne impacciato nella sua lettura (che è sempre vergine, a contatto immediato coi classici), e non remoto da talune istanze della critica romantica, pur senza volersi immischiare in puntigliose e oziose discussioni quali troppo predilessero i romantici. Seb- bene si manifesti sensibile all'insegnamento culturale di Rous- seau, Vico, Muratori, il Foscolo trova la fonte della riflessione critica nella sostanza della propria esperienza di poeta. I1 li- rico insegnò al critico il valore della parola poetica, il peso e l'ampiezza del significato nell'individualità dell'artista. Nei no- stri classici questo egli indagava: la forma stilistica e la vibra- zione della personalità umana, ciò che chiamava << perfetto ac- cordo tra natura ed arte D, che è vigorosa e mitica afferma- zione dei valori umani della poesia e del poeta, del quale si proclama la piena libertà di fantasia contro i canoni classicisti dell'imitazione.

Infine, in altri saggi, come quello sulla Nuova Scuola dram- matica e il Discorso sulla lingua, è da rilevare qualcosa di piu d'un impegno critico: c'è il desiderio di giungere ad una for- mulazione di poetica personale, che reperisce il proprio fon- damento nella necessità di un accordo tra lo slancio virile delle passioni (la << passione divorante ») e il momento della perfe- zione stilistica, della riflessione sui moti della coscienza e sui problemi morali, sociali, politici della vita presente, del lavo- rio linguistico-stilistico della presa di coscienza filosofica.

L' << ORTIS »

Le Ultime lettere di Jacopo Ortis suscitarono al loro ap- parire indubbi consensi ma anche molte perplessità. In uno scritto del 1802 il Cesarotti l'aveva detta opera composta << da un genio in.un accesso di febbre maligna, d'una sublimità mi- cidiale e d'una eccellenza benefica »; e Giovita Scalvini, in un ampio saggio dedicatole, mentre ne additava acutamente la qualità soprattutto lirica (« non è altrimenti questo romanzo una schietta narrazione di pietose avventure, ma si bene un accozzamento d'affetti mestissimi, di patetiche meditazioni, poste senza nome le une dopo le altre P), orientava il giudizio in senso negativo rilevando la malefica suggestione che l'opera esercitava soprattutto sui giovani. Giudizio che non stupisce neppure nell'acuto lettore, poiché nello Scalvini andò sempre mischiata riguardo al Foscolo l'ammirazione con la riserva.

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Fra le prime riserve e contestazioni all'ortis era stata quel- la concernente il legame col romanzo goethiano; cosi in una nota del Giornale dell'italiana letteratura di Padova, dei primi del secolo, e in alcuni giudizi stranieri, tra cui uno particolar- mente severo di Stendhal. che l'aveva eiudicato una cattiva

u

copia dell'originale tedesco. Erano accuse a cui aveva risposto lo stesso Foscolo, che in una lettera a un corrispondente pri- vato, il Bartholdy, osservava di aver narrato ciò che aveva per- sonalmente sentito e sofferto, a differenza del Goethe che dei suoi personaggi era stato << piu attore che poeta D. Ne scrisse poi nella diffusa Notizia bibliografica intorno al suo romanzo, uscita a Londra nel 1814, dove si adoperava a sottolineare le differenze del racconto, non solo, ma dimostrava che, non me- no del tedesco, lo scrittore italiano aveva avuto il merito su- periore agli altri di ridar forza e novità a una lingua classica come la sua, inaugurando uno a stile ignoto in precedenza. Quanto agli effetti morali del libro, ammetteva che su spiriti troppo deboli o troppo generosi e impulsivi avrebbe potuto esercitare un'influenza nociva, e si sforzava perciò di accom- pagnare il libro d'a un contravveleno a pro della gioventu P. E concludeva che mentre il romanzo del Goethe era nato in un solo mese, al Foscolo

bastò di ridurre a libro il diario delle proprie angosciose passioni, com'ei le provava d'ora in ora e le andava di giorno in giorno scrivendo nel corso di diciotto mesi.

La diversità delle due opere, sul piano artistico, è tuttavia notevole. I1 capolavoro goethiano è espressione di un senti- mento immediato e vigoroso, ed è perciò un'opera d'arte; 170rtis è solo un diario di sentimenti, e pertiene piuttosto al dominio della letteratura. Per di piu, dato che il romanzo qua- le noi lo leggiamo, è frutto di successive rielaborazioni, la ma- teria diaristica è stata sottoposta a troppi adattamenti e cam- biamenti per non apparire, in definitiva, piu un coacervo di sensazioni e stati d'animo di età diversissime (dal 1796 al 1816), che un'opera conchiusa in se stessa e unitaria nell'ispi- razione come, se non proprio le Grazie, certamente appare, per linearità di struttura e tensione lirica, il carme dei Sepolcri.

La temperie alfieriana, gravida di tempeste, fremente di spiriti di libertà, che è tipica dell'ortis, vi appare in definitiva spesso compromessa da altri propositi letterari e da altre ri- percussioni di vari stati d'animo politici o morali. Di vigorosa

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tempra alfieriana è sempre il ti,po dell'eroe-protagonista; l'uo- mo immerso in una materia passionale ardentissima, che non gli consente riflessioni e pause, che lo trasporta ad atti incon- sulti, ad affermazioni drammatiche di ribellione. Jacopo vive interamente la propria esperienza d'uomo del suo tempo sog- giacendo alla violenza delle passioni e, in pari tempo, ribel- landosi a tutte le convenzioni del vivere civile, senza u per- dersi » nella vita selvaggia della natura; egli è vivo soltanto per la forza che allo spirito suo dà la passione. Eppute il me- gli0 del romanzo è in certi abbandoni nel paesaggio, quando Jacopo si sofferma a contemplare l'umile vita dei contadini, il mutare delle stagioni, la bellezza delle albe e dei tramonti, e sente nel paesaggio vibrare la vita di tutte le anime:

Avresti udito una solenne armonia spandersi confusamente fra le selve, gli augelli, gli arrnenti, i fiumi e le fatiche degli uomini; e intanto spirava l'aria profumata dalle esalazioni che la terra esul- tante di piacere mandava daiie vaiii e da' monti al Sole, ministro maggiore della Natura.

L'esser composto in lettere fu per l'Ortis la via piu age- vole per una immediata espressione passionale. Nella lettera piu giustificato e impegnato è il racconto d'alcune vicende se- conda una personalissima suggestione che mai non cerca di limitarsi e di commisurarsi alle dimensioni della realtà ogget- tiva, ma piu si lancia nelle profondità del proprio animo, av- valendosi della prima persona con cui si svolge il racconto, prima persona che tiene agganciata la narrazione allo sfogo personale, alla considerazione privata, al gusto individuale. Tut- to ciò avverti molto bene nel correggere I'Ortis da una reda- zione all'altra, ché piu facile era l'intervento del letterato nel corpo di una lettera (la quale è l'occasione di un giorno, di un momento, e in questo breve tempo vive il suo fuoco sentimen- tale), anziché nel corpo di una narrazione oggettiva, dove lo spostamento di una circostanza o di uno stato di animo ri- chiede una diversa impostazione di tutto il racconto.

Romanzo epistolare è, perciò, l'Ortis anche sotto un rilie- vo piu interiore, e meno legato alle formule e alle cadenze del genere letterario. L'epistola per il Fosco10 diviene qualcosa di piu del mezzo tecnico: piuttosto una forma, a tratti magrulo- quente in altri momenti discreta e intima, di confessarsi tutto, nelle sue amarezze politiche e nei sogni, nel turbinoso grovi- glio di torti passioni amorose. E attraverso l'epistola il Fosco10

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riesce a raggiungere quella piena espressione delle sue idealità d'uomo che in altre parti della sua opera (anche se tanto piu elevate poeticamente, e riuscite artisticamente) egli non era riuscito a dichiarare integralmente. Confrontiamo (al di fuori di una pur necessaria distinzione di livello poetico) i sonetti foscoliani e lo stesso carme dei Sepolcri con l'Orris, e avver- tiamo in quelli una maturità d'arte, una compiutezza d'espres- sione, una contenutezza di stile che l'Orris non ha, o non ha quasi mai; ma ci accorgiamo anche che nell'ortis c'è una vi- brante immediatezza autobiografica che i piu celebri sonetti e i Sepolcri non possiedono mai interamente. I1 Foscolo sente in genere il romanzo epistolare non soltanto quale tradizione letteraria sancita da gloriosi esempi nell'arte settecentesca, ma come la maniera piu idonea e concreta di esprimersi in quegli anni. La sincerità con cui egli si getta al disegno e alla composi- zione delle lettere del romanzo, è indice che avvertiva di ricrea- re dall'interno una forma narrativa cosi scarsa di fortune let- terarie in Italia; e questa è la sua novità in sede di struttura, ed è novità capace di cancellare, si direbbe del tutto, i riferi- menti e le soggiacenze ai modi epistolari della Nouvelle Héloi'se e poi del Werther. L'epistola dell'Orris non è mai un fatto di letteratura, una conseguenza di esperti calcoli da consumato artefice: è la lettera del giovane Foscolo, la stessa lettera che noi ritroviamo, fuori delle convenienze narrative, nel coevo carteggio amoroso con Antonietta Fagnani Arese; e tra le accensioni della prima stesura delllOrtis e il piu ricco senso d'armonia della redazione definitiva del romanzo, si sta- bilisce una comparazione analoga a quella tra il primo epi- stolario foscoliano e quello della maturità.

STORIA DELLA POESIA FOSCOLIANA

La prima concreta esperienza poetica del Foscolo è quella di rime -d'alto afflato lirico e d'elegante fattura tecnica e che colmano il divario esistente tra l'Ortis e i Sepolcri, avviando l'arte foscoliana ad una pregnante originalità in mezzo ai con- tinui ostacoli frapposti dalla sua educazione classicistica-, dalle troppe e insistenti reminiscenze del Petrarca, del Parini, del- l'Alfieri, dello stesso Monti che gravavano sulla raccoltina di inni, odi, elegie e canzonette che, sedicenne, aveva messo in- sieme in un manoscritto donato a Costantino Naranzi (ove è pur da avvertire la freschezza dell'ispirazione erotica) o sui

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versi del 1795-99, tra i quali saranno tuttavia da ricordare le tonalità cupamente preromantiche degli sciolti Al Sole, i forti accenti politici del sonetto A Venezia, dell'ode Ai novelli Re- pubblicani, e soprattutto dell'eloquente e sonora ode A Bona- parte liberatore.

Nei primi tra i dodici Sonetti, e per esempio in quello <C Te nudrice alle Muse, ospite e Dea »; o in <( Cosi gl'interi giorni in lungo incerto D, oppure in <( E tu ne' carmi avrai pe- renne vita », il fondo passionale di stampo alfieriano non si è ancora decantato, e il linguaggio serba le tracce di un'espres- sione troppo tumida e sforzata; cosi nei sonetti ispirati dall'amo- re per Isabella Roncioni; <( Non son chi fui; peri di noi gran parte » o <( Perché taccia il rumor di mia catena ». Ma al- l'aprirsi di sentimenti piu solidi e concreti il linguaggio acqui- sta una vieilatissima sobrietà d'accento e il tumulto ~assio-

C,

nale è contenuto nel senso drammatico della fatalità del de- stino: contenutezza che crea un clima lirico lim~idissimo. im- magini d'aerea musica intima, colori meno stridenti e pur sem- pre vigorosi. E nascono i quattro sonetti << maggiori », che il Fosco10 aggiunse ai precedenti nell'edizione del 1803 e che consacrano un linguaggio lirico di originale tessitura sintattica e d'alta temperie musicale: quello cosiddetto Alla Musa (cioè <C Pur tu c o ~ i a versavi alma di canto D). dov'è l'evocazione del , ,

mito della poesia quale gli si andò schiudendo nell'animo ne- gli anni dell'adolescenza; A Zacinto (cioè <( Né piu mai toc- cherò le sacre sponde >>), memoria della terra natia che egli ricorda nell'ombra vaga di un'età remota, 1'Ellade; In morte del fratello Giovanni (cioè <( Un di, s'io non andrò sempre fuggendo »), un altro e piu amaro ricordo, tanto piu concreto, e concretamente angoscioso nel distacco, ormai irrevocabile, da tutte le persone care; e Alla sera (cioè <( Forse perché della fata1 auiete » I . che conclude il lento amaro distacco nella seDa- razione dell'incombente notte tra il poeta e il suo mondo d'af- fanni. di irreauietezze. di disillusioni.

La conquista d'un nuovo linguaggio lirico avviene in virtu d'una totale aderenza della forte scansione ritmica e sintattica al dolente confronto tra le mitiche bellezze della lontana terra natia e la constatazione delle inquietudini presenti, tra la reli- gione dei sentimenti familiari e l'urgere di passioni ruggenti, tra il nostalgico ri'mpianto della giovinezza ormai remota e il dolore presente dinanzi ad altra giovinezza (del fratello suici- da) immaturamente troncata dal fato nemico alla felicità degli uomini, tra un mai sopito desiderio di pace terrena e la bra-

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mosia di gettarsi in imprese eroiche volute dallo <( spirto guer- rier ». Tutta l'ampia tematica etico-passionale trova coerente espressione nell'armonico rigore strutturale del sonetto, mai come nel Foscolo capace di condensare nei suoi pochi versi cosi largo erompere di affetti e ideali contrastanti; anzi si do- vrà notare l'equilibrio formale di rara perfezione nella capacità di conservare tonalità e timbri peculiari del sonetto senza in nulla disperdere o disgregare l'empito passionale e il gioco serrato dei temi contrapposti. Ciascuno dei sonetti ha un suo tono centrale, quello assorto e malinconico di Alla sera o quel- lo effusivo intenerito sognante di A Zacinto, ma l'unitonalità non è esclusiva perché all'interno della struttura del singolo sonetto s'urtano e si frappongono sempre gli altri temi con- trapposti, secondo autonomie e conflitti dialettici che rivelano la natura già in qualche modo (( romantica dell'espressione foscoliana. in bilico tra il richiamo doloroso della realta e il vagheggiamento d'un remoto mondo di sogno. Per superare le aporie s'apre una sola speranza nel poeta: di affidare le pro- prie ambasce al canto, di ricercare la suprema consolatrice de- gli affanni che è la Poesia, e di soffrire dei momenti di silenzio o d'inaridimento dell'ispirazione:

E tu fuggisti in compagnia dell'ore, O Dea! tu pur mi lasci alle pensose Membranze, e del futuro al timor cieco.

Diverse la struttura, l'ispirazione, la tematica delle due odi A Luigia Pallavicini caduta da cavallo (1800) e All'amica risa- nata (1803), poste a segnar l'inizio di un'esperienza stilistica che porterà poi alla poesia delle Grazie. Nella prima ode, an- cora in qualche modo moventesi in aura settecentesca e pari- niana, vive l'esaltazione del mito della bellezza, che si avvolge di un clima raffinato di classicità (le Grazie che soccorrono Venere ferita, o Diana bellissima che ritorna nel regno del- I'Olimpo); le reminiscenze letterarie, indubbie ma non sover- chianti, contribuiscono a suggerire un'atmosfera di sogno mi- tico, d'un (( embarquement pour Cithère » alla ricerca della condizione piu pura ed essenziale della bellezza classica: ricerca impossibile nella sua interezza ma idonea a risvegliare senti- menti umani e a restituire una misura terrena alle celesti for- me delle deità. Nella seconda ode (scritta in onore di Antoniet- ta Fagnani Arese, ma quando già andava spegnendosi la grande passione per la gentildonna milanese) i1 Foscolo approfondi- sce, in virtu d'un piu prezioso magistero stilistico e d'un'onda

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ritmico-sintattica d'eccezionale purezza melodica, il culto della bellezza classica e ne cerca la vitale attualità nel senso di con- forto che la grazia muliebre reca d'anima, e nella trepidazione con cui l'uomo contempla la caducità e la fragilità delle forme feminee, e nel sentimento del poeta che vede nella bellezza della donna la sublimazime dell'emozione poetica, anzi la poe- sia stessa nell'essenza sua piii pura e trascendente. Nel com- plesso le Odi rivelano, in direzione diversa ma non opposta a quella dei Sonetti, la matura acquisizione d'una personalissima forma espressiva la quale, secondo la nota tesi desanctisiana, servirà all'artista per conciliare in lui l'amore della gloria ter- rena e l'adesione ad una idealità morale e civile attestata in prima persona e awertita, d'ora in poi, come un'insopprimi- bile norma di vita.

Mosse dall'esigenza di unire al vero (com'egli scrisse) « bel- lezza, grandezza, deformità umana » per raggiungere « il nuo- vo, il mirabile, il sublime P, le Tragedie foscoliane non si solle- vano mai da un impegno di natura prettamente letteraria; due di esse, d'altronde, soffrono di quello smarrimento che prese il Foscolo poeta dopo i Sepolcri e che è il motivo sostanziale dell'incapacità che egli ebbe di ,bloccare subito la materia delle Grazie in un disegno ..curo e definitivo. L'altra, il giovanile Tieste, d'ardente estro oratorio, è ancora avviluppata nella confusa formazione alfieriana degli anni giovanili. Soltanto l'Aiace ha qualche scena di indiscutibile efficacia drammatica e di fine perizia tecnica (la lotta dell'eroe contro i Troiani su- gli spalti della città distrutta, il saluto di Ajace morituro a1 sole, la figura di Tecmessa) dove si può notare il ripetersi di una forma riiessa di stile classicheggiante, che non è quella delle Odi e delle Grazie, ma piuttosto del Foscolo traduttore di Omero, o dei classici in genere; ed è l'Aiace, forse, una ma- gniloquente versione in forme altieriane e romantiche di situa- zioni ed immagini di tutta la letteratura antica. attualizzate ., dalla presenza di motivi tipicamente foscoliani come il senso dignitoso della vita. l'altera ca~acità di dominare il dolore. la ricerca di ideali peienni nella ilorificazione del passato.

'

La pubblicazione (1807) dei Sepolcri diede luogo a qual- che riserva, presso i contemporanei, d'oscurità e soprattutto di mancanza di duttilità e rapidità nel tessuto argomentativo. A queste accuse replicò il Foscolo con una lettera incisiva, dove rievocava le riserve di un critico quale il Bettinelli.che, pur dichiarando di aver dovuto leggere e rileggere il carme con particolare u applicazione N, aveva ammesso ch'era tale da ele-

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varlo a a un'alta sfera di grandi pensieri e di frasi tutte sue »; e aggiungeva che chi intendeva sorvolare s d e idee mediane, specie nella poesia lirica doveva ricorrere a trapassi ardui sem- pre a a chi scrive, e sovente a chi legge »; e perciò dai lettori si dovevano attentamente

cogliere le transizioni formate da tenuissirne modificazioni di lin- gua e da particelle che acquistano senso e vita diversa secondo gli accidenti, il tempo ed il luogo in cui son collocate;

e metteva in sapiente rilievo l'unità e fusione del discorso, conciliata com'era dalle u mezze tinte m capaci di avviare e da un principio det tuoso ad una fine veemente m. Egli non aveva voluto mirare al patetico, con l'annessa facile amplificazione ed ehsività, ma a un'intensa concentrazione degli u d e t t i », si da produrre un effetto forse di severità e oscurità, e com- pagne talor del sublime ». Del resto non erano mancati al carme anche aperti consensi, come quelli dell'amico Pinde- monte, che vi aveva scoperto la e malinconia sublime >> delle immagini e dei suoni, e il u misto di soavità e di forza D, di a dolcezza m e d'a ira m.

I Sepolcri nascono da uno stato d'animo assai piu comples- so che non quello che ha originato l'Ortis o i Sonetti; sebbene dell'ortis sia rimasto, poeticamente sublimato, il senso del paesaggio che si inquadra in una visione dei tempi, e sia tut- tora vivo quel mesto distacco dalle cose care che è la poesia dei Sonetti. L'argomento dei Sepolcri, scaturito dalla promul- gazione di un editto di Napoleone che vietava, per misura d'igiene, la sepoltura entro la cerchia urbana, è la pietà verso i morti: una pietà che è culto nei defunti delle memorie della famigba, della patria, dell'umanità. I1 poeta si chiede se la pietà verso i morti e il culto dei sepolcri avevano un senso quando l'umanità credeva nell'anima immortale; ora questa speranza è caduta; che giova, quindi, onorare le tombe, tanto piu che non solo i sepolcri, ma tutti i luoghi dove sono vis- suti i grandi e dove sono state realizzate opere insigni, conser- vano le testimonianze del passato? È l'illusione che accende gli animi nel ricordo della grandezza e nella speranza di una gloria a venire; è l'illusione che genera il moto creatore del- l'umanità, e dà impulso alle opere, alimento alle passioni, e fa fiorire la vita attorno alle tombe. Quando cade l'illusione, nulla resta che possa consolare l'umanità tranne la poesia; ma non la poesia vòlta a celebrare l'a aurea beltà .,.si piuttosto quella

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che consegna ai posteri la memoria preziosa della grandezza degli uomini e del loro amaro destino di sofferenza. d'incer- " tezze, di lutti tremendi.

Ricco qual è di profonda significazione morale e di sofferto meditare filosofico, il tema della contemplazione delle tombe resterebbe pura enunciazione di un assillo interiore e messag- gio veramente retorico se la poesia non ridestasse continua- mente le immagini della grandezza passata: Michelangelo o Galileo, Dante o Parini o Alfieri, evocati in un'armonica ra- pidità di trapassi, e mai per un gusto estrinseco della remini- scenza letteraria: sentiti, invece, nell'attualità della loro lezione d'uomini del passato ad uomini del presente. Quantunque l'ar- gomentare filosofico non sia sempre saldato nelle sue varie riflessioni, e non si raggiunga pertanto sul terreno meditativo a l'unione degli opposti », i Sepolcri non accusano nella loro unità poetica il menomo disquilibrio formale o strutturale. Tutto è armonizzato vigorosamente dal calore della fantasia, e la complessità dei motivi sta a dimostrare la ricchezza del- l'animo del Fosco10 proteso ad appassionarsi e a scrutare la ragione stessa del vivere, altrettanto come ad impegnarsi au- steramente a conciliare le ragioni della propria ideologia poli- tico morale con i diritti del canto lirico, gli echi molteplici della tradizione culta con la capacità di mettere in azione nuove soluzioni metriche. stilistiche. sintattiche.

Personaggi, eventi storici, immagini di paesaggio sono de- finiti con un'evidenza scultorea e drammatica allo stesso tem- po; e cioè tale da segnare ogni dimensione delle forme e da rappresentarle in un dinamismo che non si può non riconoscere come tipico del Romanticismo, di quel particolare Romantici- smo pugnace e tragico che nasce con la tragedia alfieriana. I1 rigoroso metro accompagna l'impetuoso movimento di tutto il carrne: è un endecasillabo nuovo nella storia della nostra poesia, passionale e melodioso, forte e duttile, alto di tono, e musicalissimo; segno precipuo di una raggiunta unità tra l'istinto drammatico e la tenace politura dello stile, e dell'in- tensa capacità di concentrazione espressiva entro ampie strut- ture oratorie. di un'oratoria semDre riscattata dal fuoco ~oet ico.

Presso i primi interpreti della poesia foscoliana, e anche nel De Sanctis ed oltre. le Grazie hanno destato un certo senso . .

di perplessità che soltanto la critica piu recente ha diradato. Lo stato frammentario in cui versa il carme, la difficoltà di ordinarne le sparse membra e, piu, quella diversità di clima allorché si passa dall'incandescente materia passionale ed epica

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dei Sepolcri alle raffinate sensazioni pittoriche e musicali delle Grazie , indussero gli uomini dell'ottocento a scorgere in que- st'ultimo Fosco10 l'artista consumato », il classicista nell'ac- cezione piti perfetta del termine; non il poeta nel vigoroso esprimersi d'un sentimento sincero. E non si seppe presto scorgere nel carme il vertice piti alto del linguaggio poetico italiano quanto a politezza formale, a squisitezza di scelte les- sicali, a morbidezza di linea sintattica; e , al tempo medesimo, si stentò a vedere nelle Grazie la compresenza di raffinato senso armonico e d i quei conflitti interiori, d i quell'energica affermazione di dignitosa coscienza morale che sono le note piti peculiari dello spirito foscoliano.

L'unità poetica delle Grazie risiede, dunque, nell'esistenza di questo accento umano, non martellato su di un fondo di passioni come nei Sepolcri ma che indubbiamente vive di un suo patetico sentire la serenità e la dolcezza che germinano nel cuore le forme armoniose dell'architettura, della pittura, della musica, della scultura, della danza: sembianze bellissime di un mondo vagheggiato da un impulso che è umano, e non può essere letteraria delibazione d'artificiose immagini. Nel centro delle Grazie vive la commossa elegia dell'armonia clas- sica, l'umana evocazione d'una materia che senza dubbio, tra le mani di un letterato neoclassico, sarebbe rimasta vuoto gioco di squisitezze espressive. È naturale che un romantico come il De Sanctis, pur ammirando, non si sentisse commosso dalle Grazie. Ma è altrettanto naturale che un uomo del nostro tempo riesca ad ascoltare, tra i suoni mirabili dei versi delle Grazie , la voce appassionata di chi vada interiormente riviven- d o l'essenza stessa del fantasticare poetico, il gusto sottile del- l'invenzione formale. il dono di trasformare in suono musicale le immagini offerte a piene mani dalla tradizione letteraria:

Or le recate, o vergini, i canestri e le rose e gli allori a cui materni nell'ombrifero Pitti irrigatori fur gli etruschi Silvani, a far piu vago il giovin seno alle mortali etrusche, emule d'avvenenza e di ghirlande; soave affanno al pellegrin se innoltra improvviso ne' lucidi teatri, e quell'intenta voluttà del canto ed errare un desio dolce d'amore mira ne' volti femminili, e I'aura pregna di fiori gli confonde il core ...

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I1 giovane Foscolo aveva espresso una sua poetica dell'evo- cazione dei miti nel sonetto Alla Musa, ma essa appare ora interiorizzata nella volontà di fondere il concetto del potere consolatorio della poesia con una sommessa, rapita capacità d'incanto, di sogno, di visione di mondi arcani che il fantasma metico addita all'ani,mo e continuamente ri~resenta in forme sempre nuove, in un'incessante opera di reinvenzione formale. La ~arabola dell'arte foscoliana si delinea dal turbinoso croeio- lo delle passioni giovanili all'ineffabile sospensione dei sensi nella contemplazione della poesia-bellezza, di modo che nel- l'ultimo carme non vivranno piu riferimenti alla dolorosa vita dell'esule, alle disillusioni e agli amori infelici giacché l'artista ha trovato sfogo alla propria malinconia e insoddisfazione nel- l'urgere di contrastanti memorie personali, nella stupefatta contem~lazione dei colori. nelle linee danzanti. nelle forme perfette, e s'è impegnato a lungo in un minuzioso lavoro di cernita di elementi lineuistici e stilisticj di derivazione ora

- " greco-latina ora petrarchesco-rinascimentale, riversati con per- fetto senso deila forma in un mosaico di originali immagi,ni visive e di raflinati toni melodici.

FOSCOLO TRADUTTORE

Motivato discorso pretende anche il Foscolo traduttore dei moderni, non scindibile, ovviamente - nel contesto stilistico e spirituale della sua preparazione filologica - dal traduttore dei Greci. Tra i tanti suoi tentativi e abbozzi di traduzioni c'è un frammento dal libro secondo del De rerum natura di Lu- crezio: rapido squarcio di poesia, illuminato da un'interiore risonanza di timbri lirici caratteristici dell'espressività fosco- liana, e forse, nella sua brevità, il saggio piu felice dell'appli- cazione dei neoclassici aila difficile poesia lucreziana (che aveva veduto nel primo Settecento il solo traduttore, il Marchetti, di cui giovi ,ricordare la fatica):

- Ché sovente dinanzi ai simolacri splendidi degli Dei cade immolato su le fumanti-incenso are il vitello, e dal petto gli sgorga un caldo fiume di sangue. Intanto va I'orbata madre pei verdi campi errando (e impresse lascia del bipartito piè l'orme sul suolo), con gli occhi ricercando i luoghi intorno

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ollop!l alassa eaaaop aq3 auualos a ogrnos oddo11 !p aq~ un auea -or8 oIo~so~ Iau owls ela,D .!~~aod 1luam~uoduro3 !un+ g alp -uas ospJsa,ne al!ua~ad la~od apuo 'apao!S elado ens enau era,s a~uanbopu8ew !p a o!lo1elo g aq3 ianb aleladns e aslea $3 allpu! taluaelne !led lap osled ma !I% uou a o~.ifrys ala

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nuove di letteratura. L'imitazione sterniana dava allo stile fo- scoliano una sottigliezza di indagine psicologica, una capacità a cogliere i contrasti naturali nell'animo umano, a raggiungere la suprema conquista della concisione e della finezza ragionati- va: l'arte, insomma, dello « schietto-pinto », come egli aveva scritto da giovane. Dal cesello necessario al traduttore di Sterne per rendere le infinite sottigliezze della prosa umoki- stica del Settecento si passò cosi al cesello del creatore del- l'lpercalisse e delle Lettere dall'lnghilterra, dalla fantasia gar- bata e festevole, dallo spirito satirico leggero, aereo, appena appena pungente.

Dalla traduzione del Viaggio sentimentale prese origine quel mirabile artista amaro e ironico, malinconico e sorriden- te; ritratto di un nuovo Foscolo, sia pur a tratti sommerso dal ritornare e prevalere del poeta fremente e sdegnoso, caldo ed eloquente; e i due volti del poeta si succederanno ben so- vente avanti allo scenario della tempestosa vita dell'esule a Londra. Anche nelle lettere dell'ultimo decennio i temi del- l'umorismo sterniano si riaffacceranno, quasi a consolare l'ani- ma del poeta con un sorriso aperto e cordiale. La tecnica auto- biografica del Viaggio sentimentale offrirà al Foscolo nuovi spunti di osservazione « con sentimento disincantato e con si- tuazioni a sorpresa, patetiche lugubri riflessive, di un uomo che ormai vede la vita sgombra dal mistero, con tutte le radici dis- sepolte e messe all'aria; sentimento doloroso dell'effimero e della fralezza del cuore ». ~ ~

E fu inoltre questa prova di traduzione a consegnare al- l'età neoclassica quell'ampiezza e intensità di conoscenza delle lettere contemporanee. La versione foscoliana, dunque, non solo viene ad ulteriormente documentare la copia delle tradu- zioni che i neoclassici compirono di antichi e moderni, ma a stabilire la testimonianza piu esplicita di quanto lo studio dei classici stranieri avesse giovato (prima ancora della ventata rinnovatrice del Romanticismo; prima dei rimproveri di Ma- dame de Stael) a dare ai nostri scrittori la misura'del loro tempo e della loro presenza nella cultura europea contempo- ranea.

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Capitolo decimo

Cultura e idealità del Romanticismo

I1 problema della genesi del movimento romantico si pone anzitutto in stretta connessione con la poetica e il gusto pre- romantici, i quali non sono semplice preannuncio della tema- tica romantica e nemmeno, il suo primo stadio, ma un momento con caratteristiche autonome, in cui affiorano il concetto di poesia primitiva del Vico, il diritto del <( senti- mento >), .gli ideali della « sensibilità », l'influsso delle letture della poesia notturna e sepolcrale dei lirici inglesi, il mondo barbarico e tempestoso dell'Ossian di James Macpherson tra- dotto dal Cesarotti; e soprattutto la poesia di paesaggi inde- finiti, ricchi di fascino malinconico e di struggimento patetico di Thomas Gray nell'Elegia scritta in un cimitero campestre e di Edward Young nelle Notti. Si può invece affermare che s'origini e s'affermi il Romanticismo, tanto in Europa quanto in Italia, allorché i letterati, gli artisti, gli uomini di pensiero, gli scrittori politici acquisiscono la piena consapevolezza di vivere in un'età diversa e per ideali differenti da quelli della generazione che li ha preceduti; e avvertono nell'intimo la ric- chezza del nuovo gusto, la pienezza di una riconquistata mora- lità, la sicurezza d'un nuovo linguaggio, e soprattutto la co- scienza che la società è mutata, che il fondamento ideologico sul quale essa è eretta s'è consolidato e ampliato in prospet- tive e in responsabilità sociali. Questa consapevolezza d'esser « moderni >> rispetto agli « antichi », di vivere per una nuova società e a contatto con tutte le forze del proprio paese, porta a rivoluzionare tutti i concetti d'arte e di natura, di storia e di nazionalità, a invadere definitivamente i1 campo dell'azione politica eliminando ogni residuo dell'esercizio poetico come vacuo giuoco d'una ristretta « élite » di letterati. Questa par- tecipazione totale del Romanticismo alla vita sociale del suo tempo fa si che esso si presenti come un fenomeno veramente

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unitario, quale ncm si era pih prodotto nella civiltà italiana dopo il crepuscolo del Rinascimento.

La storia della formazione della mentalità romantica è an- che storia di questa parola: Romanticismo. Quando gli uomini dell'ottocento francese o inglese o tedesco o italiano scoprono nella loro vita e nella loro cultura l'avvenuto mutamento di prospettive morali e di sensibilità a-istica, allora essi scopro- no di essere veramente << romantici », e celebrano l'ampiezza spirituale di questo termine, ricollegandosi anche alle varie sfu- mature della parola << patetico N.

Si cominciò a designare per << romantic P, in Inghilterra, verso la metà del Settecento, una qudsivoglia opera di carat- tere << romanzesco », avventuroso, fantastico, imrnaginoso, pit- toresco (infatti nel Dizionario del Baretti: << scenico. solitario. romitico, selvaggio, capriccioso; e dicesi per lo pih d'un luogo vagamente campestre »), e, come accade sovente nella desi- gnazione dei movimenti culturali, il termine aveva dapprima un significato peggiorativo, che poi man mano si tramuta in un'accezione qualitativa, in tutta Europa (in Germania la pa- rola << romanhaft >> è ben presto sostituita da u romantisch »; in Francia si usano in modo e con senso diversi sia u roman- tique >> che u romanesque N). Attraverso la Francia il vocabolo s'afferma in Italia. I1 Pindemonte nell'Aban'tte. ~eraltro. chia- , L

ma ancora u romanzesco >> quel << misto di culto e di selvaggio, d'ameno e d'orrido, di ridente e di sublime » in grado di creare << una scena rnirab.de e romanzesca »; il Visconti metteva in guardia che non bisognava u confondere il romantico recen- temente ideato dai tedeschi colla vecchia parola inglese roman- tic la quale corrisponde a romanzesco >>, Romantica è la natura selvaggia, incolta, che è in parte orrida e in parte gentile, ricca di tre elementi caratteristici: il patetico, il pittoresco e il ro- manzesco: e dalla natura si Dassa a determinare uno stato di animo u romantico », e cioè animato da passioni sincere e volto a generare un'arte genuina, di forte coloritura sentimentale. Gli scrittori tedeschi danno un contenuto ideologico, program- matico, a questa appermione estetica, e atlermano la novità di un'« arte romantica » in quanto opposizione ad un'arte classica; e come questa vagheggia il lontano mondo della clas- sicità, quella trova nel Medipevo u romanzo » la sua colloca- zione pih caratteristica, donde uno stretto rapporto che si viene a costituire tra il mondo della tarda latinità e dei primi volgari con la nuova temperie artistica del Romanticismo e, contemporaneamente, tra il Romanticismo e il mondo poetico

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di Shakestxare che nel 1814 Isi faccia attenzione alla data) viene definito autore di a composizioni che interamente oltre- passando i confini della natura e del verosimile si dicono ap- partenenti al genere chiamato romantico ».

Dalla semplice storia della parola << romantico » possiamo notare che il Romanticismo è un fenomeno di portata europea, che giunge in Italia (paese piu restio alle innovazioni per i1 peso della sua tradizione classica) dopo essersi affermato al- trove e , anzi, avervi raggiunto la piena maturità ... I prodromi filosofici e artistici del Romanticismo euroDeo sono nel movi- mento tedesco dello e Sturm und Drang (<< tempesta e as- salto N), che in opposizione al razionalismo illuministico pro- pose l'ideale di un'arte basata sugli elementi irrazionali che la vita umana esprime coi suoi impulsi passionali, col libero espandersi della fantasia creatrice, riprendendo spunti e ac- cenni che s'erano già manifestati col naturalismo di Rousseau e col mito della natura cosi com'era stato cantato e celebrato nei versi di Klopstock e di Kleist. Si consacrava il valore della divinità della natura, che poneva in movimento la forza del genio creativo, libero e assoluto in se stesso, che non conosce freni né regole ed esprime soltanto tutto ciò che di autentico vive nel fondo delle passioni e nello stato di natura primitivo; là dove i sentimenti umani, anche i piu selvaggi, sono puri, energici, schietti, si da spezzare le catene delle convenzioni sociali e da creare un'arte che è fortemente comwnetrata con l'ogget,to ( e Einfuhrung P), prende luce da una visione tragica del mondo e si presenta coi caratteri d'un linguaggio veemente e patetico, che trova la sua piu alta consacrazione poetica nel- l'opera di Goethe, dal Prometeo e dal Werther al primo Faust (il cosiddetto Urfaust), e, in Italia, in quella dell'Alfieri, dal Saul al Filippo e alla Mirra, e del Fosco10 dell'ortis. Friedrich Schlegel, sulla rivista Athenaeum, già dal 1798 poteva far la storia delie nuove correnti artistiche tedesche, e definire il ca- rattere dinamico del Romanticismo - una << ~ o e s i a universale progressiva che è tuttora in divenire, anzi ha come suo carat- tere di restare sempre in divenire, di non poter essere com- piuta mai D - e insieme col fratello, August Wilhelm Schlegel, col Novalis, con molt'altri poeti e prosatori e teorici, aprire nuove prospettive al pensiero estetico, e continuare il gran moto d'arte dello << Sturm und Drang N e dei goethiani Dolori del giovane Werther. E in Inghilterra il Romanticismo non si ferma alle sensazioni sepolcrali di Young e di Gray, o alle rievocazioni del Macpherson, ma conquista, col Burns e col

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218 La letteratura italiana

Coleridge e col Wordsworth, posizioni nuove e ciascuna diversa dall'altra, nella poetica e nel linguaggio, mentre in Italia do- minava il neoclassicismo del Monti. Insomma tutta 1'Euro~a cerca nuove vie di pensiero e nuove forme d'espressione, prose- gue la sua critica all'Illuminismo con Kant e Fichte, con Schel- ling e con Hegel, con lo Schiller del celebre saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale (17951, proietta nel futuro quei desideri di perfezione e di armonia che i classici avevano visto nel pas- sato, e percepisce un nuovo senso dell'infinito e del sublime nel grande valore del sentimento sentito come una forza spirituale (« geistiges Gefuhl P, a sentimento spirituale per F. Schlegel), cosl che il pensiero finisce per essere soltanto <( un sogno del sentimento )> per Novalis, un sogno dunque, un'evasione verso gli infiniti mondi dell'amore.

C ,

I1 predominio napoleonico, col suo trionfante e talora im- posto classicismo, frenò in parte gli effetti di quel moto spi- rituale; ma al tempo stesso, operando un sensibile riavvicina- mento della società italiana alla Francia, creava un rapido be- nefico influsso della cultura e dell'arte francese su quella ita- liana, e consentiva che l'Italia meglio potesse apprendere il messaggio che ad essa veniva da varie parti d'Europa: messag- gio politico (di rinnovamento delle strutture civili e sociali) e messaggio culturale, per un'arte e un pensiero nuovi. Onde, al cadere di Napoleone, il Romanticismo europeo trovava le strade aperte per entrare in Italia, e crearvi quel poderoso « risorgimento >> delle forze spirituali e culturali italiane: ri- sorgimento che era già stato avviato con l'orazione inaugurale al corso universitario di Pavia (Dell'origine e dell'ufficio della letteratura) che il Fosco10 pronunziava il 22 gennaio del 1809, orazione che era in parte un preannuncio di istanze tipiche della cultura romantica col suo vigoroso storicismo, col suo richiamo agli ideali eterni dell'arte.

Una serie fittissima di lettere, proclami, polemiche, contro- polemiche accendono l'animo delle classi colte del nostro paese. La miccia è accesa da un articolo pubblicato dalla celebre scrit- trice francese Madame de Stael, su una rivista di Milano, la Biblioteca Italiana. La Stael, già nota in Italia per il suo libro De lJAllemagne (uno dei cardini della cultura romantica accan- to al Corso di letteratura drammatica di A. G . Schlegel), pub- blicato nel 1813, e che aveva dato vigoroso impulso alla co- noscenza del mondo spirituale e culturale tedesco in Francia, e conteneva una famosa definizione della parola (( romantique »; ma ancor piii nota da noi per il romanzo Corinne ou de l'ltalie.

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edito nel 1807, e che è un tributo alla passione che la Stael aveva per le bellezze dell'ltalia, pubblica dunque sulla Biblio- teca Italiana, nel gennaio del 1816, un breve articolo (intito- lato Sulla maniera e l'uttlità delle traduzioni), in cui so- stiene l'utilità per l'Italia delle traduzioni delle opere lette- rarie straniere come mezzo non soltanto di conoscenza delle letterature inglese e tedesca, ma soprattutto di liberazione, per la cultura italiana, dall'eccessivo peso della tradizione clas- sicistica, che. aveva creato una stanca situazione dello spirito P della sensibilità artistica, paga talvolta di ripetere fino alla sazietà inveterate costumanze letterarie, come l'uso della mi- tologia, divenuto sempre piu uno strumento astratto d'espres- sione di stati d'animo e di problemi, o anche l'uso di un lin- guaggio arcaicizzante, ricreato su testi classici antichi, e privo di rapporti con la lingua espressa dal popolo.

Nell'opinione di Madame de Stael noi ravvisiamo una mo- dernità di vedute che non potevano non apparire stravaganti alla maggior parte dei letterati italiani, e anzi quasi un'eresia rispetto ai canoni artistici e al gusto patrocinato dall'ambiente letterario ufficiale. Ora talune affermazioni della Stael possono sembrarci ovvie, altre ingiuste, come se tutto fosse vecchiume quello che allora dominava in un'Italia che pur aveva i suoi Foscolo e Manzoni, e s'appressava ad avere il suo Leopardi: cioè spiriti eminentemente moderni; affermazioni ingiuste an- che pensando alle molte traduzioni dall'inglese e dal tedesco che si erano avute in Italia sin dall'epoca del Bertola e del Cesarotti e ora col Foscolo traduttore di Sterne. Ma al di là o al di sopra del motivo contingente vige nella Stael il richiamo di un'esperienza culturale sovrannazionale, veramente di respiro europeo, che aspiri alla conquista di un << sapere universale », con interesse piu profondo per le idee e i concetti che non per la forma artistica originaria, se è vero che la scrittrice si com- piace di sottolineare il << piacere per cosi dire pi& domestico ed intimo B che le veniva e viene dal gustare un testo straniero nella propria lingua anziché in quella originale; nel qual piacere la Stael rinviene un gusto del tutto particolare e insolito per i << nuovi colori » e i modi inusitati che la lingua natia assume nel far proprie le maniere espressive della scrittura straniera, e dunaue nel rendere le << forestiere bellezze ». Ouesta recet- . tività e permeabilità delle lingue straniere è da ritenere un fatto superiore, pur sullo stesso piano stilistico, alla sopraffa- zione che verrebbe a operare un traduttore che violent,i il testo originario adattandolo del tutto alla propria lingua. Insomma

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220 I!A letteratura italiana

alla Stael non preoccupa che una traduzione possa essere, al limite, stracolma di forestierismi, purché possa efficacemente oflrire una qualche impressione del testo originale (infatti non trova traduzione francese di classici stranieri che possa serbare « le sue sembianze forestiere », mentre osserva con compiaci- mento che la traduzione tedesca di Omero, opera del Voss, so- miglia all'originale anche per l'adozione dell'esametro, e mo- stra ~ i e n o riconoscimento verso le naturali wssi,bilità deila lingua italiana, piu d'ogni altra, per l'armonia intrinseca e la costruzione grammaticale, esaltando sopra tutte la versione che il Monti rese dell'lliade).

All'articolo staeliano si replicò da piu parti, talvolta con frizzi e insulti, come in un articolo pubblicato nel giornale fio- rentino Le novelle letterarie, ma anche con pacatezza e obiet- tività, come Pietro Giordani in un successivo fascicolo della Biblioteca Italiana (aprile 1816) o il Leopardi in una lettera ai direttori del giornale (che però non venne pubblicata). La Stael replicò con una Lettera ai signori compilatori, nel succes- sivo giugno. Il Giordani consente con Madame de Stael sul giudizio negativo ch'essa avanza a proposito del coevo teatro italiano (la Stael avrebbe mantenuto il suo parere se avesse conosciuto le tragedie del Foscolo o il nuovo teatro musicale di Rossini?, avrebbe conservato piu tardi il suo giudizio, al- l'epoca del Carmagnola e dell'Adelchi e del dibattito manzo- niano nella Lettre à M. Chauvet?), ma chiede che il rinnova- mento del teatro italiano debba avvenire all'interno della no- stra tradizione artistica, in quanto un'imitazione troppo stretta del teatro francese potrebbe comportare il rischio di un isteri- limento delle fonti della nostra ispirazione, e nel contempo accetta in qualche parte o non rifiuta del tutto il divieto staelia- no dell'uso della mitologia classica, pur riaffermando vigorosa- mente la necessità dello studio degli antichi, dai quali si pos- sono trarre u vere e copiose ricchezze », ed esaltando di conse- guenza le fatiche di studiosi come il Mai, il Marini, Ennio Qui- rino Visconti. E se da un lato consente con la Stael sull'ecces- siva profluvie di poeti e poetastri che imperversano in Italia, afferma che l'imitazione delle letterature straniere accrescereb- be a dismisura questo deplorevole andazzo. Anche nel Seicento la mania di poetare fu eccessiva, ma

almeno i seicentisti avevano una pazzia originale e italiana: la fol- lia nostra è di scimie. e quindi tanto piii deforme.

Nociva è la mescolanza della fantasia poetica italiana con

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le idee e le immagini della letteratura nordica, è - dice P. Gior- dani - una u mescolanza di cose insociabili P, che è concetto assai meditato poiché non si viene a rifiutare in blocco la va- lidità della cultura straniera contemporanea, ma si afferma la sua sostanziale estraneità dal tessuto sociale dell'Italia lettera- ria dell'ottocento. E conclude:

Troppo è vero che agli stranieri debbano parere isterilite o~gidi in Italia le lettere; ma questa povertà nasce da pigrizia di colti- vare il fondo paterno.

Nel complesso la modernità delle idee staeliane urtò contro l'attardato clima classicheggiante della nostra cultura, ma non mancarono intelletti smaniosi di nuove prospettive artistiche e culturali a schierarsi a fianco dell'autrice di Corinne: come non inancarono scrittori equilibrati e pensosi che cercarono una via di mezzo tra la necessità di restar fedeli alla tradizione italiana (che è d'ispirazione classica) e la necessità di rinno- varne gii schemi e la spiritualità. In questa via di mezzo, per lucidità d'ingegno e caldezza di sentimenti e vasta esperienza culturale di respiro europeo, si pone Lodovico di Breme. Egli era un gentiluomo piemontese (il suo nome per esteso suona Lodovico Arborio Gattinara dei marchesi di ,Breme; nacque a Torino nel 1780 e vi mori nel 1820), educato alla cultura da Tommaso Valperga di Caluso, amico delllAlfieri e spirito raf- finatissimo nella Torino illuministica dell'Accademia dei Filo- patridi, il Di Breme parteggiò per i romantici e collaborò al loro giornale, Il Conciliatore, ma sempre con un suo peculiare atteggiamento di riserbo, sia quando nell'opuscolo Intorno al- l'ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani (del 18 16) cerca una soluzione intermedia tra il discorso della Stael e oli scritti ', degli oppositori, sia quando aderisce in modo piu fermo ed entusiastico alle nuove idee dei romantici nel Grand commen- taire sur un petit artide (del 1817; scritto in risposta alle notizie imprecise e polemiche che su di lui e sopra suo padre erano apparse nella Biographie des hommes vivants, e che con- tiene una vera e propria autobiografia morale e filosofica contro gli eccessi del sensismo e del razionalismo), o nelle Osservazioni al Giaurro del Byron (del 1818), o ancor di piu nelle Postille ai e Cenni critici sulla ooesia romantica P del Londonio (del 1818)' che rappresenta il punto massimo d'adesione del Di Breme alle teorie romantiche, in polemica aspra con Carlo Giu- seppe Londonio, che, attaccando la Stael, aveva4 sostenuto la necessità- per i romantici (anche se volevano su altro terreno

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222 h letteratura italianu

distaccarsi dai classicisti) di uniformarsi ai canoni classici per ciò che concerneva la purezza dello stile.

I l Di Breme senti soprattutto la necessità per gli Italiani di sentirsi non gli epigoni degli eruditi e degli imitatori del '500, ma invece i figli di un'altissima tradizione umana e poe- tica, e con tale sentimento considerare il risorgimento delle arti e delle lettere come parte integrante del risorgimento po- litico; il che egli notava nella gioventu del suo tempo,

quella valorosa gioventu, che ora si sta raccolta meditando e silen- ziosa, e adulta si fa ad un tempo con una piu robusta e pi6 vasta filosofia.

Il Di Breme ben sottolinea l'assenza di animosità contro gli Italiani nello scritto staeliano, che stimola alla conoscenza e non all'imitazione delle letterature'straniere, insomma ad un C< commercio quotidiano d'idee e di lumi con le nazioni civili che non è giudicato impossibile per l'Italia anche se si possa nutrire sospetto C< sull'energico uso di questi nostri mirabili pregi D a causa dell'e~cessivo adagiarsi dei letterati contempo- ranei sopra vacue frivolezze, senza uno studio approfondito dell'uomo e delle idee, della lingua italiana e della storia civile, senza un equilibrato ed efficace uso della libertà di stampa. Rispetto alle sollecitazioni compromissorie del Londonio (il quale, come si è detto, non negava una- qualche verità nelle teorie romantiche, ma ne sconsigliava l'uso, di modo che gli scrittori meglio avrebbero fatto a seguire rigorosamente i ca- noni classicistici), il Di Breme afferma con risolutezza la ne- cessità di seguire il nuovo verbo romantico; rispetto alla Pro- posta del Monti, poi, afferma la validità di un libero processo creativo della lingua, la quale ha bisogno di rinnovarsi conti- nuamente ora utilizzando l'apporto dei dialetti, ora riprenden- do e adattando al gusto moderno vocaboli e costrutti degli an- tichi. Chiosando il poemetto byroniano The Giaour, il Di Bre- me prende posizione nell'eterna << querelle D tra antichi e mo- derni, i quali ultimi sono superiori agli antichi nella conoscen- za del cuore umano e hanno un'idea piu profonda della poesia nell'espressione del « patetico P, negli espedienti D e nei u co- loriti » che vengono conosciuti e tolti dai mondi recentemente scoperti, nella consapevolezza dell'unità del sapere scientifico e del gusto estetico, nella coscienza pienamente raggiunta e posseduta dell'autonomia dell'arte.

L'esigenza romantica è visibile, nel discorso Intorno all'in- giustizia di alcuni giudizi letterari italiani, come l'unica possi-

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224 Li letteratura itdiana

tanto la forma esterna e il pretesto, giacché il sermone è so- prattutto un'accalorata difesa della mitologia greco-latina, del- la bellezza dei miti solari e mediterranei oscurata dall'a audace scuola boreal-» che alle a leggiadre fantasie » dei poeti clas- sici ha sostituito le tenebrose fantasticherie delle a streghe D, alle a moiii aurette » del clima mediterraneo i a procellosi venti » e le « bufere » del Nord, ai a lieti d o r i » i a funebri cipressi N, al a riso » il «pianto», e a tutte in lugubre color » dipinge a le cose P. AUe favole, continua il Monti, i roman- tici hanno voluto sostituire il culto del a Vero D, ma il a nudo arido Vero [...l de' vati è tomba P, giacrhé la poesia non potrà essere essenziale e nuda rappresentazione della verità, ma dovrà essere adornata e travestita, e rifuggire dall'orrido e dallo stupefacente. Dal che si può concludere che la polemica del Monti resta nel complesso in superficie, ad eccezione d'una acuta osservazione che veniva mossa suil'atteggiamento con- traddittorio dei romantici tra poesia e arti figurative. le quali ultime venivano ancora ammesse a fruire dell'uso dell'appa- rato mitoloeico. "

Tuttavia il sermone montiano (a sostegno o a censura del quale intervennero il Montani, Ambrogio Mangiagalli, lo Zaiotti, il Tedaldi-Fores, il Compagnoni e il Tommaseo) riguarda una stagione successiva, 1825-26, della polemica romantica. Ritornando d'epoca 18 16-19, bisognerà concludere che in com- plesso si registra un'indubbia povertà di idee e incompren- sione nel campo dei' classicisti, veramente attardati a difendere un nume che era ormai morto da un pezzo; ma anche in que- sto campo un'eccezione gloriosa, il Discorso di un italiano in- torno aila poesiu romantica che, in risposta alle Osservazioni del Di Breme sul Giaurro. il Leo~ardi scriveva nel 1816. data dalla quale sempre piii vi;a, calda si fa la'pol'ernica dei romantici, sebbene anche questa sembrasse d'esule Fo- scolo una inutile questione, un idle question m. Infatti i ro- mantioi si battevano per un ideale cosi concreto, cosi in linea con le esigenze dei tempi nuovi, che il loro punto di vista non poteva non trionfare. Eppure sarebbe un errore leggere gli scritti teorici dei romantici .nella vana speranza di trovarvi una rigorosa sistematica definizione di un nuovo pensiero, di una nuova estetica; ma a noi basta leggere le pagine teori- che e polemiche dei romantici alla ricerca di un'esigenza, sem- pre sentita e sempre chiaramente espressa, di una nuova co- scienza morale, di un nuovo costume letterario, di un nuovo gusto. E questo avvertiamo nei tre prodami, e cioè scritti-

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manifesto, del nostro Romanticismo: le Avventure letterarie di un giorno o Consigli di un galantuomo a vari scrittori di Pietro Borsieri (letterato milanese, nato nel 1786 e morto a Belgirate nel 1852; processato col Confalonieri, soffri per molti anni il carcere duro; graziato nel 1836, fu deportato in America; prese infine parte alle Cinque Giornate di Milano), la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, sul Cacciatore Feroce e sulla Eleonora di Gofredo Augusto Burger di Gio- vanni Berchet; e le Idee elementari sulla poesia romantica di Ermes Visconti (quest'ultimo era anch'esso milanese; nato nel 1784, mori a Crema nel 1841 ; pubblicò nel 1818 le Idee ele- mentari sul Conciliatore e vi diede un seguito col Dialogo sulle unitd drammatiche di luogo e di tempo; scrisse anche i Saggi filosofici e i Saggi intorno ad alcune questioni concer- nenti il Bello).

Lo scritto del Borsieri del 1816 non è altro che una rac- colta di impressioni satiriche sull'ambiente classicista milane- se, dipinto in tutta la sua arretratezza e nel ridicolo delle sue costumanze culturali »: il ritratto deiia Milano letteraria (con le sue polemiche contro la Biblioteca Italiana, le dispute pro e contro l'articolo della Stael o il saggio del Giordani intorno ai dialetti, i dialoghi dell'autore col Monti o col Pellico o col Di Breme, le discussioni su libri recenti come la Storia della guerra della indipendenza degli Stati Uniti d'America del Bot- ta o il Prospetto dello stato attuale delle scienze economiche del Gioia), è felicissimo, disegnato con acutezza e con un brio che ricorda il Baretti o lo Sterne; e di esemplare importanza sono le osservazioni sulla necessità dello studio dei dialetti. Anche il Borsieri si sforza di chiarire al letture l'importanza di alcune questioni di massima sollevate dalla Stael e dai ro- mantici, soprattutto là dove afferma l'importanza e l'influsso benefico del tradurre gli scrittori moderni stranieri:

Tradurre ed imitare non è copiare; conoscere le perfezioni d'un'al- tra letteratura non è lo stesso che stendere un velo su quelle del- la nostra. Bensi colui che a questa delicatissima opera s'accinge deve profondamente conoscere e l'indole propria della nostra, e quella propria della letteratura che prende ad imitare, onde non violare né l'una n4 l'altra o con licenza sconsigliata o con servile fedeltà. Però darei quest'incarico a quei soli scrittori che hanno già, colle opere loro, acquistata l'autorità di sewire d'esempio. Cosi s'ar- ricchirebbe il tesoro de' poetici modi, si offrirebbe ai lettori il diletto di contemplare alcune forme del bello per anco ignote, e si apri- rebbero fonti ancora intatte d'invenzione alle fantasie de' poeti,

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226 La letteratura italrana

omai isterilite dalla uniforme imitazione dell'antichità. Né si deve credere che le forze del proprio genio possano bastare a tutto. Chi ebbe mai pih genio di Dante? Eppure egli 'studiò per sino i trova- tori provenzali, e derivò molte bellezze dalla loro poesia, e citò con riverenza i nomi di alcuni di loro nel suo divino poema. Lo stesso possiam dire di Petrarca, lo stesso delllAriosto, la cui fan- tasia non sarebbe divenuta si grande e meravigliosa senza la let- tura de' romanzi di cavalleria. Ora dimando se Dante, Petrarca, Ariosto vivessero ai nostri di, trascurerebbero essi di meditare Shakespeare, Schiller, Calderone, essi che non disprezzarono i tro- vatori e i romanzieri?

Non meno interessanti sono nel Borsieri le pagine dedicate all'importanza dei dialetti, in nome di una lilngua piu spi- gliata e sciolta, e quelle in cui ironizza sulla magniloquenza dello stile del Botta o sulla freddezza di quello del Giordani o quelle in cui distingue i1 romanzo dalla storia, o afferma the i l compito della letteratura è quello d i

illuminare il vero e giovare per la via del diletto alla coltura della moltitudine,

la quale va agganciata alla letteratura attraverso l'opera d i iu t ro l'ambiente culturale del paese, non soltanto del grande scrittore

Piu impegnato a discutere i fondamenti della cultura ro- inantica è lo scritto di Ermes Visconti, là dove definisce la diversità teorica e spirituale tra l'età classica e il Romantici- smo, in quanto la prima, celebrando il mondo della mitologia nntica, aveva espresso quel che sentiva interiormente, mentre i contemporanei sono insinceri quando fingono di i,spirarsi al iiiondo pagano, perché essi sono intimamente cristiani, e de- \(ano c.onsiderare che la religione cristiana ha completamente bandito le fantasie e i miti della religione pagana, creando un

- -

mondo spirituale assolutamente nuovo, dando un diverso e piii profondo contenuto anche al sentimento dell'amore e aprendo nuovi orizzonti d i fantasia ai poeti. Onde il Visconti metteva l'accento sulla circostanza che l'animo romantico s'accende a tutto ciò che è moderno, ed è avvenuto nella storia moderna: 1 le lotte religiose e politiche del Medioevo, le scoperte di nuovi continenti. la rivoluzione d'America, la Rivoluzione francese, ed alcuni dei piu vivi e importanti eventi della storia contem- poranea. Errò, invece il Visconti quando scrisse che, a diffe- renza della poesia, alla pittura e alla scultura è concessa una

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maggiore vicinanza di ispirazione ai modelli classici; e su que- sto errore si soffermò, in polemica col Conciliatore, lo Zaiotti sulla Biblioteca Italiana.

Notevole è anche l'originalità della Lettera semiseria del Berchet; piacque anche al Manzoni, che la lodò in una lettera all'amico Fauriel, e prese le difese del Berchet nella Ira di Apollo, scritta nel 1818 e pubblicata l'anno dopo; anche il Porta mise in ridicolo gli avversari del Berchet in un sonetto, Testament d'Apoll. I1 Berchet, fingendo di dare al figlio con- sigli su letture di opere straniere, afferma nella Lettera la ne- cessità di un'arte popolare e che non si limiti piu ad imitare le opinioni e le immagini degli antichi: poesia a classica B, cioè dei morti, in contrapposizione della poesia a romantica », cioè dei vivi, e che esprima i desideri, le aspirazioni, le passioni del popolo (intendendo per a popolo D l'unità spirituale di tutto il paese d'Italia; alla quale unità sono estranei gli ignoranti di lettere, gli a ottentotti D, e gli individualisti retrivi, come il parigino raffinato). La Lettera ci dà il senso vivissimo di una strenua partecipazione morale ai fatti della letteratura in no- me di un ideale intimamente avvertito e fortemente espresso, idoneo a spazzare via tutti i residui della tradizione retorica.

I1 Berchet, che era nato a Milano nel 1783 di famiglia oriunda dalla Svizzera francese, pubblicò la Lettera semiseria nel dicembre di questo stesso 1816. Era stato dapprima neo- classico ed aveva intrattenuto relazioni amichevoli col Monti, ma fu tra i primi ad accogliere e propagandare il verbo ro- mantico. Impiegato al Senato milanese e poi presso il governo austriaco (dal 1810 al 1821 ), ebbe buona esperienza delle lin- gue straniere, e tradusse dallo Schiller, dal Gray, dal Gold; smith. Soppresso il Conciliatore, fu oggetto di persecuzione da parte degli Austriaci; coinvolto negli avvenimenti del 1821, allorché fu arrestato il Confalonieri, egli si salvò con l'esilio, rifugiandosi prima in Svizzera, poi a Parigi, dove frequentò il circolo di un esule, amico del Manzoni, il marchese Giuseppe Arcanati; visse poi a Bruxelles, a Londra (fino al 1828), e di nuovo in Francia, poi a Firenze. Tornato con 1'Arconati a Mi- lano nel 1848, fu nominato dal governo provvisorio direttore generale degli studi in Lombardia; ma al ritorno degli Austriaci fuggi in Piemonte, dove per due legislature fu deputato; e a Torino mori nel 1851. Poi parleremo di lui come poeta, ma gioverà intanto ricordare le sue principali raccolte poetiche: Il Lario (1816), di imitazione foscoliana; il poemetto I profughi di Purga (1817); una serie di romanze (Giulia, Matilde, Il ri-

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morso, Il romito del Cenisio, Cbrina, I l trouatore, e soprat- tutto Le fantasie, 1828); infine l'Ode per i moti del 1831.

L'entusiastica apertura del Berchet verso la letteratura eu- ropea deve essere accolta come maniiestazione di un concetto che circola in tutta la Lettera semiseria: quello della lettera- tura intesa come << comunicazione responsabile dello scrittore >> con l'ambiente sociale della sua età. Del resto nel 1818 il Berchet non aveva della letteratura straniera. soDr.attutto della tedesca, quella conoscenza che poi si farà nelllin;erno 1833-34, quando a Berlino- entrerà in diretto rapporto con la letteratura di quella nazione. Ma noi dobbiamo parimenti apprezzare il senso di questa viva solidarietà spirituale tra l'Italia e gli altri paesi, e leggere tra le righe della Lettera, tra il tono brioso e le calde apostrofi, quella ricchezza << europeistica >> che è pro- pria dell'autore delle Romanze e delle Fantasie, del traduttore dei canti danesi o del Nibelungenlied o delle romanze spagno- le. Eppure l'ampiezza degli interessi europei del Berchet non gli vietò di dare grande importanza al carattere specificamen- te N nazionale e << tradizionale » della poesia:

Tutti i popoli, che piu o meno hanno lettere, hanno poesia. Ma non tutti i popoli posseggono un linguaggio poetico separato dal linguaggio prosaico. I termini convenzionali per l'espressione del bello non sono da per tutto i medesimi. Come la squisitezza nel modo di sentire, cosi anche l'ardimento nel modo di dichiarare poeticamente le sensazioni è determinato presso di ciaschedun po- polo da accidenti dissimili. E quella spiegazione armoniosa di un concetto poetico, che sarà sublime a Londra od a Berlino, riescirà non di rado ridicola se ricantata in Toscana. Ché se tu mi lasci il concetto straniero, ma, per servire alle inclinazioni della poesia . della tua patria, me lo vesti di tutti panni italiani e troppo di- versi da' suoi nativi, chi potrà in coscienza salutarti come autore, chi ringraziarti come traduttore?

Certo non tutte le idee esDresse dalla Lettera semiseria sono originali. Tanta parte della i,mpostazione critico-filosofica del Berchet nasce dal Vico e dal Foscolo. ovvero dalla assimi- 1 lazione di concetti vichiani attraverso il Foscolo. Egli stesso, recensendo l'articolo dantesco che il Foscolo aveva pubblicato sull'Edinburgh Reuiew, ricordava il vantaggio che aveva trat- 1 to dalle conversazioni tenute col grande amico lontano. Ben ha posto in rilievo questa eredita foscoliana il Fubini là dove !

I identifica la novità della Lettera e la ragione della sua fortuna i nella N traduzione di concetti vichiani e ioscoliani in una for- 1

ma piu dimessa e piu facile ai fini immediati di una polemica, I

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nel loro accostamento a elementi di una diversa tradizione di pensiero e di letteratura, nella risoluzione infine di essi tutti in una formula che per il Berchet viene a compendiare il suo ideale letterario, quella di poesia popolare ».

I1 concetto di <( letteratura popolare )> occupava perciò tut- to il dominio della vita, del costume, dei sentimenti, .delle immaginazioni del popolo, e cioè di quella moltitudine di

individui leggenti e ascoltanti, non eccettuati quelli che, avendo anche studiato ed esperimentato quant'altri, pur tuttavia ritengono attitudine alle emozioni, .

escludendo perciò quella parte della nazione (o fosse borghe- sia o fosse popolo in senso stretto, in senso sociale), la quale non ha il menomo interesse alle cose dello spirito (quelli che il Berchet, come si diceva, chiama gli stupidi <( Ottentotti », che vivono vegetando senza poter ascoltare le voci del cuore e del sentimento), o anche quella parte di individui, i quali, magari dotati di intelligenza, sono invece affatto privi di sensibilità e di umanità, e cioè i raffinati <( Parigini che, per eccesso di fatua raflinatezza, non sono piu in grado di gustare i doni autentici di un'arte fresca e sincera. A tal fine il Ber- chet vagheggiava una letteratura agile, ricca di sostanza e di idee ma anche di calore fantastico e di potere evocativo, e che negasse i freddi paludamenti della prosa accademica e classi- cheggiante, ma al tempo stesso non si piegasse ad artificiose imitazioni della letteratura d'oltralpe, della letteratura <( dei Romanzieri del Nord )> (vale a dire dei poeti di ballate ro- mantiche), letteratura che nella sua essenza è estranea allo spi- rito degli Italiani. Avrebbe un'idea totalmente errata del Ber- chet e della Lettera semiseria chi ritenesse ch'egli si limiti ad invocare ed auspicare una stretta osservanza dei modelli stranieri:

Noi popoli piu meridionali, circondati dalla pompa della natura e dalla perpetua successione delle sue infinite lusinghe, non abbia- mo mestieri di andare in traccia di emozioni per sentire la vita. Noi aspettiamo che quel16 ci riscuotano come a. viva forza; ma non ci curiamo di promuoverle noi col nostro entusiasmo. Di qui, piu che lettori appassionati, noi riesciamo critici freddi. E prima di dare una lagrima alle sventure di Eleonora: noi metteremo sul bilancino i gradi di verisimiglianza che ha la storia della fanciulla, e non li pagheremo della nostra credenza che grano per grano.

Del Berchet è nota la fisionomia di poeta, ma preme porre l'accento sulla sua importanza come teorico del Romanticismo,

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230 La letteratura italiana

importanza che si manifesta piu evidente ove si leggano anche gli scritti che egli pubblicò sul Conciliatore, del quale era sta- to tra i fondatori. Ed è qui, nel Conciliatore il centro del- l'ambiente letterario romantico, non soltanto lombardo. I1 Conciliatore, il cosiddetto C( foglio azzurro D (dal colore della carta sulia quale veniva stampato) nacque il 3 settembre del 1818, fondato dal conte Luigi Porro Lambertenghi, nel cui palazzo aveva sede la redazione, e vi collaborarono Federico Confalonieri, Silvio Pellico, il Di Breme, il Borsieri, il Vi- sconti, il Berchet, il Romagnosi, il Pecchio, il De Cristoforis, il Primo, il Serristori e anche Sismonde de Sismondi; il gior- nale si modellava sd'esempio inglese deli'Addison ovvero dello Steele. I1 proposito di fondare un nuovo periodico nasce- va dal fallimento della Biblioteca Italiana come voce d'un profondo rinnovamento culturale, in vista del quale gli intel- lettuali lombardi pensarono di dare un titolo che esprimesse l'esigenza di totale revisione dei valori ideali, e il titolo fu dap- prima Il Bersagliere. Vi fu poi una fase intermedia in cui s'intendeva piuttosto preparare un periodico di larga informa- zione europea, con sedi a Milano e a Coppet, il luogo dove risiedeva Madame de Stael; e i1 titolo sarebbe dovuto essere Il Messaggero delle Alpi. Infine prevalse un titolo piu mode- rato, piu « conciliante », per l'appunto Il Conciliatore.

I1 Pellico ne fu quello che oggi diremmo il <( redattore- capo D, infaticabile nel lavoro e neli'armonizzare le varie per- sonalità che, pur entro i limiti programmatici del giornale, tendevano a far prevalere il proprio punto di vista. I1 Man- zoni non vi collaborò, nonostante le molte sollecitazioni, ma restò benevolmente vicino ai C( conciliatori D (al Fauriel scris- se che il Conciliatore <( est indispensable pour avoir une idée complète de la question romantique en Italie D), e molto si rammaricò allorché il giornale fu soppresso; anche al Fosco10 furono rivolti inviti a collaborare, da parte del Pellico, ma in- vano, nonostante promettesse di inviare <( alcuni articoletti ».

Ampio era il panorama degli interessi culturali dei redat- tori e collaboratori, anche se in partidare la rivista trattava di cose letterarie, e spesso di <( novità D editoriali: il Sismondi si occupò di una nuova edizione dei Lusiadi del Camoes, il Berchet recensi opere estetiche e storiche del Bouterwek; il Romagnosi presentò le Lettere intorno alla Mimica deli'Enge1, tradotte dal Rasori, il Pellico tenne discorso sul Pellegrinaggio di Aroldo e sul Corsaro di Byron, dopo aver tradotto in prosa il Manfredi (1815). I1 De Cristoforis parlò degli Inni Sacri

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del Msnzoni; il Rasori tradusse in versi brani dello Schiller; il Di Breme vi recensi la Storia critica della Inquisizione di Francia del Llorente, le Considerazioni sopra i principali av- venimenti della Rivoluzione francese della Stael, e vi scrisse quat'tro articoli sulla Proposta del Monti.

Nel programma del Conciliatore, redatto dal Borsieri, si affermava il compito di diffondere

la sana e sociale filosofia de' costumi e gl'ingenui e generosi studj del bello

e di ben meritare

non solo della repubblica letteraria, ma della sociale pur anco;

e si ribadiva solennemente l'ufficio della critica:

Noi intendiamo per vera Critica quella che dall'intima conoscenza dell'umano cuore e delle nostre varie facoltà intellettuali, ,desume le leggi ed il metodo con che procedere, sia nel comporre le varie opere d'ingegno, sia nel giudicarle. Le finzioni della fantasia se non posano sulla reale natura delle cose e degli uomini, sono anzi un abuso che uno sfogo della mente. L'ufficio dunque della critica è di ben definire e di ben segnare i confini, piu larghi assai che co- munemente non si crede, dentro i quali la natura continua ad es- sere sostanzialmente la stessa, quantunque si manifesti sotto diffe- rentissimi aspetti.

Fino al 17 ottobre del 1819. data di so~~re s s ione d d - L .

giornale a seguito delle persecuzioni della censura austriaca e soprattutto del governatore austriaco Strassoldo, il Concilia- tore tenne alta la bandiera della nuova scuola, impegnandosi a fondo anche sul terreno politico, mostrando la miseria delle condizioni italiane e il servilismo che ancora gravava sullo spirito degli intellettuali italiani, si da suscitare la violenta opposizione della Gazzetta di Milano, della Biblioteca Italiana e soprattutto d'un giornale satirico, L'accattabrigbe ossia Clas- sico-romanticomacbia redatto dal poeta Bernardo Bellini e dal conte Trussa,rdo Caleppio, commissario di polizia. Nel riferire l'ordine del governo austriaco, di non piu collaborare al fo- glio azzurro N, il Pellico cosi concludeva:

La nostra Società, udito ciò che m'erii accaduto [fu infatti il Pel- lico stesso ad essere chiamato dalla Polizia], convenne nel ricono- scere che questo era un awiso del Governo, onde ci aspettassimo

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a tutte le persecuzioni se non volevamo darci la morte spontanea- mente; e ce la siamo data ... Comunque sia, è bene non perire fuori di tempo, e concentrarsi nel pih perfetto silenzio. L'Italia non sarà forse immemore un giorno dei pochi suoi cittadini che tentarono di conservare viva per 13 mesi la scintilla del patriot- tismo e della verità.

Lo studio del carteggio del Pellico è assai importante per conoscere l'ampiezza degli ideali degli uomini del Conciliatore e le varie vicende del foglio azzurro.

I1 Manzoni, come già s'è detto, non intervenne pubblica- mente nelia polemica, ma nel 1823 indirizzava al marchese Cesare d'Azeglio una Lettera sul Romanticismo che verrà pub- blicata dall'autore soltanto molto piu tardi, nel 1870, con va- rie correzioni e aggiunte, ma nota già ai contemporanei da stampe non autorizzate. Nella redazione originaria della Let- tera il Manzoni esprimeva la sua celebre formula sull'arte:

la poesia e la letteratura in genere deve proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto, l'interessante per mezzo.

Nella Lettera il Manzoni muove da una rigorosa e lucida analisi delle proprietà e dei difetti delia scuola classica, alla quale rimprovera non la lettura assidua dei classici - il cui studio non può non tornare di somma utilità ad ogni mente - ma il gelido accademismo, la ripetizione vuota di ideali anti- chi che non sopravvivono piu nelle coscienze e restano ele- menti di fredda imitazione: quali l'osservanza rigida delle re- gole retoriche e l'uso della mitologia pagana. Altrettanto rigo- rosa è l'indagine che il grande Lombardo conduce attorno agli ideali della nuova scuola, combattendo a favore di un'arte im- pegnata nella ricerca e nella espressione di profondi senti- menti, che scaturiscano dall'intimità dello spirito, ma al tem- po medesimo partecipino della coscienza morale di tutti gli uomini e siano perciò individuali e universali, fondati sopra l'osservazione della realtà. I l vero » storico non si oppone al u vero » morale, ma anzi entrambi si identificano in un motivo comune:

Dove poi l'opinioni de' Romantici erano unanimi, m'è parso, e mi pare, che fosse in questo: che la poesia deva proporsi per oggetto il vero, come l'unica sorgente d'un diletto nobile e dure- vole; giacché il falso può bensi trastullar la mente, ma non arric- chirla, né elevarla; e questo trastullo medesimo è, di sua natura, instabile e temporario, potendo essere, come è desiderabile che sia, distrutto, anzi cambiato in fastidio, o da una cognizione soprawe-

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.!ou BP aqsue eie~!ds -al alassa ~nd aqs e!~e,~~anb E olsoluaq glapuass 'e~!nbe,~ap o~oa I! av op!n%as g~lod uou aao '!uo!8a~ E !sseJaqe aqoa aqqanb as a !~awwe!kf ol!luas aq uou aqs ?p oInpanu! e!po onron'l aqs~ad 'glnl ap !sam! ouos aqs plage !%anb !p majs EIIB~ opel !p !asse av g~!ssn uou !o!~dold 1ep !le~adw! alaa !l8 7qslad '!~uatu!aow ! ,~ln~ glaqaopu! au a 'alons Iau ale~lauad !p olsolln!d paqxas

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.einaas!l aluawesas ELU 'ei!i -uas uou 'ezua~aaa~ sun 'elelalia11! ?u eielalia1 uou 'os!~qqnd pp ailed eliIe'un a 'aqs!isa~oss !u!pn~!qe ep anuM auo!wge'un aaaaa 'ellnl uou a '!le~aila~ ,ap eps assap e1 !pnb ad '!lia%%os g8anb e osod!~ I! aluaurIeug assep !s aqs 'ezuan8asuo> ad 'orna -apa!q> a :E~!A aIIap ala!1au.~o!8 !uo!ssaldw! anep a a!Jotuaur alpp aieu 'oluauressalaiu!,p a gi!sopns !p auo!z!sods!p aun wqqe !loilal ?p olawnu lo!8kfew un genb ! lad g~anb !p aura!sq oue!s 'aiiop p!d auoslad a1 alessaalu! lad o!lassaxu oluenb opuaae 'aqs !llaOalos ,ap alag8ass eaap essa aqs oueaaloa 'e!saod eIIap !liap !lei !saisa n!d a !~!sej n!d lapual !p apmieu y!d ozzau~ I! aw -03 'ow!sapaw olaa Iap olnyssas aloura un ap o 'o~aa pp aiuau8

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234 h letteratura italiana

Non meno significativo è l'enunciato che il poeta Carlo Tedaldi Fores (nato a Cremona nel 1793, morto a Milano nel 1829, autore dei romanticissimi Romanzi poetici), risponden- do in versi al Sermone sulla Mitologia del Monti, esprimera nel 1825, con aperto riconoscimento dei pieni diritti deila fantasia:

E noi vogliamo delirar, scagliarci oltre i confini della vita, un'altra crearne, raddoppiare il sentimento dell'esistenza ... trasvolar da questa inerte polve al ciel ... con la magia del pegsier che si svolve e si divide in mille prismi trasparenti e lievi, altrettanti fantasmi e simulacri fecondar sulla terra ... dalle scene della natura chiuderci del core nei fidi asili, e trovar ivi un nuovo universo che vago un tanto raggio da sé rifletta dell'eterno sole.

Sono versi piuttosto indicativi d'un atteggiamento pole- mico che di una vera e propria riflessione teorica, come pro- prio dello stesso anno e per la medesi.ma occasione (il Sermone montiano) svolgerà una delle menti piti equilibrate e pensose del momento: Giuseppe Montani. Nato a Cremona nel 1789, barnabita, ma prete secolare dal 1810 per la soppressione del- le corporazioni religiose, il Montani fu processato a Milano per aver avuto rapporto coi carbonari. A seguito dell'interes- aamento del Vieusseux nel 1824 poté stabilirsi a Firenze, ini- ziando una fruttuosa collaborazione alla Antologia, e proprio su questa rivista espresse le sue idee sul Romanticismo ( a Fi- renze verrà a morte nel 1833).

I1 Montani distingue tra un romanticismo pratico » e il romanticismo della nuova scuola. I1 primo era ed è un fatto perenne nella storia della poesia:

gli scrittori provenzali, i primi scrittori italiani, molti scrittori fran- cesi dello scorso secolo, quasi tutti i principali scrittori inglesi erano romantici in questo senso che aveano preferita una poesia d'ispirazione ad una poesia di imitazione, aveano cercato di espri- mere fedelmente le impressioni che ricevevano dalla natura e dalla società, senza legarsi a forme o ad idee, di cui loro si offerivano gli esempi nell'opere antiche.

E converrebbe ancora citare, tra gli altri scritti teorici, un

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saggio del celebre giurista e filosofo Giandomenico Romagnosi (Salsomaggiore 1761 - Milano 1835), dal titolo Della poesia considerata rispetto alle diverse età delle nazioni (del 1818, sul Conciliatore), o altro del Nicolini: Sulla poesia tragica e occasionalmente sul romanticismo (del 1819, e apparso sulla stessa rivista). Estremamente equilibrata è la posizione del Romagnosi tra le due correnti, con la sua soluzione di una letteratura ilichiastica », e cioè relativa alle diverse età e che perciò non esprime solo l'ideale classico o quello roman- tico, ma è invece concreta e precisa espressione della società e d'alcuni principi ed elementi che vivono perennemente nell'uo- mo, il gusto, la ragione e la morale. I1 Romagnosi nega che la poesia possa distinguersi in classica e in romantica in virtu delle diverse età storiche (classica l'antica, romantica la inor derna), perché altrimenti dovrebbe distinguersi in <( teocra- tica D e in <( civile », cosi come aveva inteso il Vico; e sog- giunge :

Volere che un italiano sia tutto classico, egli è lo stesso che volere taluno occupato esclusivamente a copiare diplomi, a tessere alberi genealogici, a vestire all'antica, a descrivere o ad imitare gli avanzi di medaglie, di vasi, d'intagli e di armature, e di altre anticaglie, trascurando la coltura attuale delle sue terre, l'abbellimento rno- derno della sua casa, l'educazione odierna della sua figliolanza. VO- lere poi che egli sia affatto romantico, è volere ch'egli abiuri la propria origine, ripudi l'eredità de' suoi maggiori per attenersi sol- tanto a nuove rimembranze specialmente gerrnaniche.

Questo terzo genere, né classico e né romantico ma << ili- chiastico », non potrà essere qualcosa di predisposto, ma è il naturale prodotto dell'età in cui vive il singolo scrittore. il quale dovrà sforzarsi di comprendere il proprio <( tempo (di cui è <( figlio ») e gli ideali della propria nazione, il <( genio nazionale D che pur vive anche di caratteri e di atteggiamenti che fanno parte di un ideale superiore che affratella tutti i paesi del mondo.

Con piu decisione e slancio a favore della nuova scuola si pronuncerà Giuseppe Nicolini, avvertendo l'innovazione profonda che può venire ai poeti tragici dall'affrancamento delle regole dell'unità di tempo e di luogo, consacrando in varie proposizioni la vera poesia come avente vita e ispira- zione e ideali propri, lontani dall'imitazione dello spirito an- tico e vicini, invece, ai modi di vita e ai sentimenti dell'uomo d'oggi, e i'nfine concludendo:

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se l'essere un'opera romantica consiste di essere straniera all'ispi- razione, al colorito, all'ideale e a tutti gli altri mezzi deii'antica poesia, nulla di piu romantico che la Divina Commedia, il-Canzo- niere del Petrarca, il Goffredo, la Bassvilliana, la Mascheroniana ed il Bardo, aiie quali condizioni è sperabile che non si sdegnerà il cavalier Monti d'esser romantico, che se vuole sdegnarsene, si -e- gni ad un tempo del suo genio, della sua gloria e de' suoi versi immortali.

Occorre infine ricordare le osservazioni che il giovane Nic- colò Tommaseo dedicava nel 1826 al Sermone montiano: os- servazioni animate da un energico richiamo alla poesia e da una struggente nostalgia (pari in questo al Leopardi) per la poesia semplice e altissima del tempo primitivo: Vico e Rous- seau che agiscono in profondità; e, accanto al Tommaseo, si dovrà ricordare un critico d'eccezionale finezza, il bresciano Giovita Scalvini, nelle sue note sulla Ricciarda e sull'ortis del Foscolo, sui Promessi Sposi, su Goethe.

Non si potrebbe chiudere questo sommario panorama del- le poetiche romantiche senza accennare, almeno, a due altri fondamentali documenti teorici del Manzoni: la Lettre allo Chauvet e il discorso Del romanzo storico e in genere de' componimenti misti di storia e d'invenzione. La Lett fu scrit- ta in risposta allo scrittore classicista francese Vict 6' r Chauvet, che aveva pubblicato sulla rivista Le Lycée francais (maggio 1820) un articolo sulla tragedia manzoniana Il conte di Car- magnola, ove, pur fra elogi e assensi alla validità artistica dd - la tragedia, si riprendeva la discussione a favore della validità delle unità aristoteliche di tempo e di luogo. La risposta del Manzoni non fu però immediata: soltanto nel maggio del 1823, per suggerimento e per iniziativa del Fauriel, veniva alle stampe col titolo Lettre à M. C*** sur L'unité de temps et de lieu dans la tragédie (il Fauriel la pubblicò insieme con la sua traduzione del Carmagnola e dell'Adelchi). Le idee fondamentali della Lettre si trovano già espresse, peraltro, nel la prefazione (1820) al Carmagnola, la dove egli afferma che le due unità

non sono regole fondate nella ragione dell'arte, né comaturali al- l'indole del poema drammatico; ma sono venute da una autorità non bene intesa, e da principi arbitrari;

ed egli già ricordava come un simile canone non venisse espres- so in forma imperativa da Aristotele, secondo quanto aveva già messo in luce lo Schlegel, ma- che il filosofo greco si limi-

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tava a constatare l'esistenza di questo uso presso i tragedio- grafi. La Lettre si può dividere in due parti: la prima è volta a distruggere il significato della teoria aristotelica, la seconda costituisce un vero e proprio manifesto del nuovo sistema drammatico dei romantici. cosi che esso sarà lareo d'influssi ., anche sopra la storia del teatro tragico francese, e contiene concetti davvero centrali nella poetica romantica, soprattutto la vigorosa affermazione della distinzione tra lo storico e il poeta, il quale deve muovere da un religioso ossequio per la verità della storia ma che questa verità storica egli deve inter- pretare e rappresentare con una profonda capacità di penetra- zione dei motivi psicologici e spirituali che sono alla base di questa verità.

Piii tardi, nel dialogo Dell'invenzione, sotto la suggestione del pensiero del Rosmini, il Manzoni vorrà vedere nell'artista non uno che crea, ma colui che ritrova la verità ideale in Dio. Ma il dialogo, scritto nel settembre del 1850, é fuori dei li- miti, almeno cronologici, del dibattito romantico, anche se in- teressa, ed enormemente, lo svolgimento della poetica e del- l'estetica del Manzoni. Anche tardo (del 1845), ma già abboz- zato intorno al 1830, è il saggio sul Romanzo storico. I1 Man- zoni discute qui un problema che, in sede artistica, egli aveva già risolto nei Promessi Sposi, e cioè se sia possibile conci- liare il rispetto scrupoloso della verità storica con l'« assen- timento poetico D, cioè con l'invenzione dell'arte. Negativa è la risposta dell'autore dei Promessi Sposi: la poesia basata sul racconto storico poteva essere possibile nei secoli precedenti, auando la coscienza storica deeli Italiani non era ancora for- " mata; non ora, giacché nel secolo XIX la storia ha ormai as- sunto, con piena dignità, una sua funzione spiritualmente at- tuale e una sua superiorità come scienza. Quindi non è piu pos- sibile far poesia dei fatti storici, e il romanzo storico, conclude il Manzoni, è destinato ad esaurirsi.

Queste le premesse teoriche e il fondo storico del nostro Romanticismo, i cui motivi trascendono, e di gran lunga, i termini d'impostazione del problema artistico e spirituale qua- le tentarono di dare i teorici. Infatti, nonostante il fervore delle loro discussioni, i romantici italiani non seppero ben comprendere e valutare il complesso dei motivi ideali e cultu- rali dai quali prendeva vita il loro movimento. Essi afferma- rono, bensi, la necessità di liberarsi dagli eccessi razionalistici della civiltà precedente; gridarono che occorreva fondare ogni riflessione e ogni atto creativo sulla forza del sentimento; ma

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non si accorgevano quanto ampie fossero le dimensioni spiri- tuali della loro età, e come vigorosa fosse la liberazione che nelle loro anime si operava a favore di ogni energia interiore, di un riconquistato sentimento del bene, di un'assoluta risco- Derta del valore dell'uomo. in manto uomo in sé e uomo a confronto con l'umanità tutta. L'uomo romantico cerca di sca- vare all'interno della ~ r o ~ r i a coscienza (<< verso l'interno Dor-

L .

ta la via misteriosa », disse Novalis), di comprendere che cosa si agita nel fondo del cuore, di esprimere i conflitti anche piii contraddittori e confusi dello spirito, di ricercare il sublime in se stesso, nella inquietudine personale, nella propria infelicità.

I1 clima di diffusa pateticità è appena un lato del Roman- ticismo, ed è presente in poche figure di poeti. L'atmosfera legittima di tutto il movimento è nell'affermazione di un sen- " timento energico, attivo, dinamico, vibrante di volontà, teso al raggiungimento della libertà in politica, della fede in reli- gione. dell'anima in filosofia.

Dal canto opposto (e proprio per quel gioco di antino- mie D che cosi caratterizza il Romanticismo europeo), la cele- brazione del mito della forza passionale, del sentimento puro, crea nel nostro ambiente romantico tante personalità chiuse ed esasperate nel loro sfrenato individualismo. Ritorna il con- flitto del Tasso (che è uno degli idoli del Romanticismo, il poeta amato perché i'nfelice, e ilnfelice perché grande), con- flitto tra la solitudine dell'anima travagliata e il richiamo irre- sistibile della gloria e del piacere terreno. Ritorna anche un altro conflitto sentito come proprio dai romantici: quello del- l'Alfieri, il cui animo e la cui proiezione artistica lottano tra tiranno ed eroe. ma con due accentuazioni diverse: l'eroe non è un dominatore ma una vittima, rassegnata nella sua accetta- zione di un destino infelice; e il tiranno non è piu un principe, un despota, ma è la società o una certa società politicamente privilegiata che opprime l'individuo e non gli cmsente di espan- dere le note migliori di se stesso. E questa società (ecco un motivo romantico, che ritroveremo in questi stessi anni in len- ta formazione nella mente del Leopardi) diviene talvolta la stessa natura, indifferente o malevola.

La consapevolezza di questi conflitti genera quella che i tedeschi chiamavano << Sehnsucht >>, e cioè la viva bramosia di un mondo meraviglioso, l'abbandono in un sogno affascinante dove vivono sentimenti bellissimi, quali la nostalgia del pas- sato e il fascino misterioso dei desideri (aveva scritto Novalis: a nulla è piu poetico che il ricordo e il presentimento o imma-

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ei~nazione dell'avvenire D). L'unico romantico a non sentire il u

richiamo di una felicità remota è il Manzoni; ma pensiamo al fantasticare del Berchet. del Poerio. dello stesso Tommaseo. Eppure non bisogna considerare il Romanticismo italiano sol come utna sospirosa fuga dalla realtà. I romantici cercano la realtà, vi si vogliono adeguare, desiderano che il loro stesso lin- guaggio sia realistico, ma al tempo medesimo la loro anima s'esilia in mondi lontani. Aspirazioni diverse, come si può ben vedere, e che pongono in rilievo il dualismo sempre presente nell'anima romantica, assetata in pari grado di sogno e di realtà. Quando poi il Romanticismo comincerà a declinare, que- sta antinomia o ambivalenza si frantuma. C'è chi prenderà la strada del realismo, chi quella della fantasia.

Ma i motivi del nostro Romanticismo non son soltanto questi. Altri riguardano aspetti esterni della polemica anti- classicistica, altri ancora sono in rapporto col tipo particolare di sensibilità e di moralismo del nuovo movimento. Un aspet- to esterno è, in fondo, la lotta contro la mitologia, giacché è un combattimento sferrato contro un motivo estrinseco dei neoclassici, i quali non amavano riempire i loro componimenti di dee e di eroi mitici per il solo gusto di far ciò, ma-perché in essi vedevano una forma simbolica di ideale de1;loro s ~ i - rito. D'altronde 'i romantici sostituiscono alla .initologia paga- na dei classicisti un'altra e talvolta piii fastidiosa mitologia, quella del Medioevo guerresco e cristiano, tutto lampeggiante di ~assioni. E se Dur afferrano l'im~ortanza di un ritorno al sentimento della fede, non sempre riescono a fare del loro cri- stianesimo un fatto vivo ed attuale: nella lirica soltanto si re- gistrano accenti di un commosso ed intimo pathos religioso, cosi nel Tommaseo e nello Scalvini, nel Pellico e nel Poerio: una reliniosità che pur si differenzia da quella manzoniana.

~ l t r o carattere dilla poetica romantica è l'abbandono delle regole classiche, dei canoni retorici, di una lingua aulica e so- lenne, di un'arte creata per una società ristretta. I romantici sostengono la necessità che l'arte si adegui alle necessità del popolo, canti il popolo, e da questo si faccia intendere e gu- stare. Asnche questo motivo, beninteso, non è scevro di peri- coli. C'è si da un lato la nascita di un'arte veramente capace di commuovere ed educare il popolo (basti citare l'esemplare massimo, I Promessi Sposi), ma c'è anche un'arte che affetta modi e vezzi popolareschi senza essere per nulla popolare, e che scende a banalità e meschinità per il solo miraggio di una poesia ingenua, tutto istintivo candore, tutta al di fuori del

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calcolo letterario. E pullulano ballate, romanze, arie popolari che han tutta l'aria d'essere scritte da chi non ha alcuna dime- stichezza coi sentimenti del popolo, e ha della popolarità del- l'arte un concetto approssimativo o falso.

Un'altra caratteristica romantica, quella di un adeguamento della nostra cultura ai problemi della cultura europea, è invece feconda di sviluppi e di conseguenze in ogni aspetto della civiltà dell'Ottocento. Anche gli illuministi s'erano richiamati alla necessità di conoscere e giudicare, nonché d'imitare le con- quiste della cultura europea; ma la loro parola non aveva var- cato la stretta cerchia di qualche intellettuale. Nell'età roman- tica questo bisogno di fare dell'Italia una parte dell'Europa fu iilotivo basilare del programma di tutti gli uomini di cul- tura e d'azione politica. 11 luogo che occorre fare ad apostoli dello stampo d'un Mazzini, dal mero punto di vista del Ro- manticismo, è, come si vedrà, enorme.

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Capitolo undicesimo

Alessandro Manzoni

MANZONI NEL SUO TEMPO

Si può affermare che nei tempi moderni Manzoni sia stato colui, fra i nostri piii grandi poeti e scrittori, che ha suscitato tale movimento d'interessi da implicare, accanto al giudizio sulla poesia, problemi e dibattiti di piii svariata e molteplice natura: linguistici, storici, religiosi, politici, sociologici. I1 che è avvenuto a causa dei modi tipicamente impegnati della no- stra letteratura romantica, ma anche in forza dei numerosi e acutissimi elementi di richiamo che operarono come in pochi altri casi neil'arte manzoniana.

Chi si rifaccia ai primordi della sua manifestazione di scrit- tore constata che al Manzoni non mancarono i piii autorevoli apprezzamenti, come quelli venuti dal Monti e dal Foscolo. Ma l'elogio piii ambito gli sarebbe pervenuto poco piii tardi da una cattedra d'eccezione: quella del Goethe. I1 quale fu anzitutto tra i primi a leggere e ammirare, nonché a tradurre, il Cinque Maggio, ebbe una significativa lode per gli Inni sacri - di cui rilevava il carattere u cattolico senza bigotteria; ze- lante senza durezza » -, e s'interessò a fondo, nel '20 e nel '21, del Carmagnola, sulle colonne della rivista Ueber Kunst und Alterthum, per rivolgere finalmente l'attenzione ai Pro- messi Sposi, con giudizi rimasti famosi, raccolti nei Colloqui con 1'Eckermann.

Della tragedia, dopo averne dato un fedele riassunto scena per scena, Goethe contestava la distinzione tra personaggi sto- rici e ideali, e, sebbene cercasse di spiegarne i motivi, chiede- va all'autore <( di non far mai piii valere quella distinzione. Per il poeta nessun personaggio è storico; egli si compiace di rappresentare il suo mondo morale e, a questo scopo, fa a certe persone della storia l'onore di prestare i loro nomi alle

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sue creature »; il che voleva dire metter l'accento su un pun- to, i rapporti tra storia e fantasia, che avrebbe travagliato fino all'ultimo il pensiero del Manzoni. <( A lode del Signor Man- zoni D Goethe aveva constatato che <( tutti i suoi personaggi sono d'un getto solo, tutti ugualmente ideali », e pertanto aveva localizzato il dissenso sul momento della concezione del-' l'opera.

In modo alquanto diverso si sarebbe espresso invece, sul- lo stesso argomento, il Foscolo nell'articolo Della nuova scuola drammatica in Italia (che fu scritto nel 1826. e ~ubblicato postumo); osservando'che « il secreto in qualungue lavoro dell'immaginazione sta tutto aell'incorporare e identificare la realtà e la finzione in guisa che l'una non predomini mai sopra l'altra e che non possano mai dividersi né analizzarsi, né fa- cilmente distinguersi l'una dall'altra ». La poesia è il <( velo magico del4'Illusione o, e il reale storico come il fantastico devono essere assorbiti in una nuova fusione che comporti un'etica tutta propria; e oppone al Manzoni l'esempio del ge- nio di Shakes~eare. che e infondeva alle larve della sua mente forme e vita e anima potentissima, e tutte le illusioni della realtà ». Altre riserve non cosi interessanti concernono il ca- rattere non eroico del protagonista, che in quanto tale do- vrebbe invece essere trasfigurato dalla distanza nel tempo alla stregua di un eroe antico, ed elevato dalla poesia.

Diversa, riguardo alle tragedie, fu l'opinione di Giuseppe Mazzini; che, nel porsi il problema dell'eroe tragico, consta- tava che la prima finalità dell'autore di teatro dev'essere di rappresentare << non un individuo ideale, bensi un fatto, e l'epoca di quel fatto, e i caratteri di quell'epoca e di quella nazione »; e l'appunto al Manzoni dovrebbe riguardare, a suo giudizio, ch'egli ha relegato tutto ciò <( in un angolo estraneo alla rappresentazione », anziché derivarlo, <( conseguenza inne- gabile, da tutto il quadro ».

Sempre a proposito del teatro manzoniano, e in particolare del Carmagnola, un altro illustre contemporaneo, Niccolò Tom- maseo, pur consentendo su non pochi aspetti dell'opera, ri- tenne, come già il Foscolo, di accusare la parzialità del poeta a favore del suo protagonista e a danno del governo venezia- no; giustizia voleva che si facesse avvertire come non era sola Venezia a servirsi d'armi compre, e a diffidarne serven- dosene; come, posta la rea consuetudine, le conseguenze ine- vitabili ne dovevano essere almeno in parte imputate alla na- tura stessa delle cose, punitrice delle colpe degli uomini, anzi-

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Dal Goldoni ai Romantici 24 3

ché alla deliberata e perpetua malizia di pochi uomini d'un solo governo P: vale a dire che il Tommaseo contesta il di- ritto dello scrittore d,i servirsi di argomenti morali per valu- tare una situazione storica, e richiama il Manzoni a un modo di giudizio pifi propriamente, se pur limitatamente, politico. Segno anche questo della difficoltà avvertita già dai primi cri- tici di far coincidere la prospettiva etico-religiosa manzoniana con la prospettiva politica e storica.

LA GIOVINEZZA LETTERARIA

Nel quadro della civiltà illuministica italiana il posto che aveva avuto la città di Milano - con le sue accademie, le sue riviste, i suoi uomini di cultura e d'arte - era stato dei piii eminenti, contribuendo a maturare una nuova consapevo- lezza sociale e politica, sottoponendo ogni vicenda e idea e sentimento ad una critica ~rofonda e decisa. Ma fu anche città dalla vita raffinata e spregiudicata, che si espresse in quelle forme di frivolezza e sontuosità contro le auali doveva levarsi a -

la voce amara del Parini. Milano aristocratica, dai bei palazzi e dalle grandi strade convergenti verso la fabbrica ancora in- compiuta del Duomo: e in quei saloni sfarzosi, in quei con- viti ricchi di gaiezza e di <( esprit » francese, la fanciulla forse piii colta ma certamente la piii capricciosa e libera era la fi- glia di donna Teresa De Blasco e del giurista ed economista Cesare Beccaria. La marchesina Giulia Beccaria era l'essenza piii spiritosa d'una società disinvolta e senza pregiudizi mo- rali, eppur cosi attenta all'evolversi del gusto e delle conven- zioni sociali. Giulia era nata proprio in quel 1762 in cui l'aba- te Parini era uscito clammosamente da casa Serbelloni, per protesta contro la duchessa che aveva maltrattato una fan- ciulla: quel 1762 in cui il poeta del Giorno si preparava a far conoscere le abitudini di vita del bel mondo milanese. Per porre un argine alle troppe intemperanze della vivacissima Giulia, suo padre e l'amico Pietro Vetri (fratello di quel ca- valier Giovanni che veniva indicato come l'amico di Giulia) provvidero a farla maritare con un attempato gentiluomo di campagna, il conte Pietro Antonio Manzoni, austero e malin- conico signore che in quello spregiudicato ambiente cittadino non doveva trovarsi molto a suo agio, e meno ancora accanto alla ventenne volubile Giulia. Tre anni dopo quel disgraziato matrimonio nasceva Alessandro, il 7 marzo 1785, nella vecchia

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casa di via San Damiano numero 20, lungo le lente acque del Naviglio (la strada è ora via Uberto Visconti di Modrone).

L'ambiente dal quale nasce Alessandro Manzoni è dunque costituito da una società frivola quanto si vuole, ma educata al gusto del bello. E non si porrà mai abbastanza l'accento sul- l'importanza che ha avuto, nella formazione dell'arte e della cultura manzoniana, l'ambiente illuministico milanese, sia pur integrato e risolto e in qualche parte dissolto in una superiore e piu moderna visione morale. E mai il Manzoni, il pio Man- zoni degli anni successivi alla conversione religiosa, ebbe a rinnegare alcuni motivi fondamentali dell'Illuminismo lombar- do: soprattutto il senso della libertà e della giustizia umana, e l'esigenza di intendere l'opera letteraria come espressione di finalità fortemente educative, volte all'emancipazione materia- le e spirituale di tutti gli uomini.

Infanzia solitaria, malinconica. Già pochi mesi dopo la na- scita veniva tolto di casa e messo a balia in un cascinale vi- cino a Galbiate, dove una lapide ricorda ancora il soggiorno del piccolo Alessandro: non lontano da quei luoghi di Lecco e del lago di Como che verranno poi amorosamente descritti nei Promessi Sposi. Tornato a casa, un inferno: i contrasti tra Giulia e il marito s'erano acuiti, e forse per allontanare il piccolo da uno spettacolo sempre meno rasserenante, don Pietro manda in collegio il figlio ancora in età di sei anni: nella casa dei Padri Somaschi di Merate (1791-96). Quando esce da Merate, in casa non c'è piu donna Giulia, che nel 1792 aveva lasciato il marito per unirsi in libera convivenza con Carlo Imbonati, col quale andrà a vivere a Parigi. Per il pic- colo Alessandro si riaprano subito le porte del collegio: an- cora dai Padri Somaschi, ma nella casa di Lugano (1796-98). Ma forse don Pietro si pente di tener cosi lontano il bambino, e due anni dopo lo iscrive al collegio dei Barnabiti a Milano, nella casa del Longone, e ve lo tiene sino all'età di quitidici anni (1798-1800). Ebbe in quelle scuole, il Manzoni, un'edu- cazione scolastica e religiosa assai rigida, ma anche in anni ma- turi ricorderà con riconoscenza l'istruzione classica che i buoni Padri gli avevano impartito, si da essere in grado di leggere e di scrivere correttamente il latino; ma ricordera soprattutto un somasco, il padre Francesco Soave, che, non insensibile ai principi dell'Illuminismo e dell'estetica sensista, aveva dato ad Alessandro un'educazione artistica e letteraria sotto vari aspetti moderna. Nel clima di questa cultura di tipo scolastico cadono le due prove di traduzione da Orazio e da Virgilio.

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I1 modulo espressivo della traduzione sembra riflettere un geniale tentativo di fusione dell'eleganza cinquecentesca del Caro e dell'onda armoniosa del Monti, ma nelle pieghe dello stile non è impossibile cogliere qualche anticipazione della tormentata aggettivazione leopardiana. Si potrebbe forse rin- tracciare quale modello di versione il Manzoni tenesse avan- ti a sé, ma basterà accennare come il saggio oraziano si inqua- dri, non meno del virgiliano, in una fortuna delle Odi e delle Satire tipicamente settecentesca, col Parini che appellava Ora- zio, in un'ode rimasta interrotta, « lucido esempio e guida di ogni poetic'arte », coi sermoni del Gozzi, con le odi del Fan- toni, con la scuola oraziana di Modena. All'età illuministica, che aveva veduto le celebrate traduzioni del Pallavicini, del Borgianelli, del Corsetti (traduttore anche di Properzio e di Ti- bullo), la generazione dei letterati neoclassici oppone, non me- no fedeli alla lezione del testo ma piti curate nell'espressione, le versioni di Francesco Cassoli nel 1786, di Giovanni Pezzoli nel 1787, di Francesco Venini nel 1791, di Antonio Cesari nel 1792, di Luigi Brami nel 1798; il ritmo continua ai primi dell'Ottocento; non trascorrono tre o quattro anni senza che esca una nuova traduzione delle Odi. Alla tradizione umanisti- ca si deve aggiungere l'amore che per Orazio si nutriva negli ambienti delle scuole religiose, frequentate dal giovane Manzoni. Si è tentato, qualche tempo addietro, di far sortire dalla tra- duzione qualche motivo umano di peculiare gusto manzoniano (come, per la versione dal quinto dell'Eneide, un certo <( ap- profondimento di umanità nel rendere la figura di Niso e il suo amore per l'amico Eurialo). Gli elementi che il Manzoni poteva far suoi, e quindi restituire con un'intima partecipa- zione di poeta, erano per il saggio oraziano quel tema dell'ami- cizia e della tolleranza, che del resto il giovane Lombardo si apprestava a trattare nelle composizioni in verso. Ma il pro- blema era troppo importante perché il Manzoni riuscisse, in un semplice saggio scolastico, ad animarlo di osservazioni per- sonali. Invece potremo far leva, per valutare in senso positivo il tipo di versione, su un certo gusto realistico per la mac- chietta umoristica che sembra davvero anticipare, sia pure con le debite limitazioni d'arte e di stile, certi elementi di rappre- sentazione comica del romanzo. È noto l'amore che il Manzoni, anche da vecchio, nutri per il suo Orazio; meno noto è il tri- buto che la vena dell'umorismo manzoniano deve all'assidua frequentazione della poesia oraziana. Si legga la parte centrale del saggio di. traduzione dal primo libro dei Sermones, anno-

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tando l'efficacia con la quale il Manzoni ha colto << un aspetto di vita reali'stica descritta con arguta comicità ».

Giovinetto di gusti squisiti e di sensibilità sveglia e aper- ta, ritornato a casa ha in uggia, ormai, la vita austera che vi conduceva il vecchio solitario padre. E quasi sentendo indi- rettamente il richiamo della gaiezza di vita che la giovane madre conduceva lontano, a Parigi, egli si tuffa in quello stesso ambiente in cui donna Giulia, anni prima, aveva primeggiato: i giochi, le feste, i primi amori, ogni delizia della vita galante. I1 gusto neoclassico trionfava nella Milano napoleonica, nei nuovi palazzi o nei vecchi rinnovati, nei saloni ancor piu fa- stosi, nella moda elegantissima, persino negli intarsi e nelle poirellane e nelle oreficerie raffinatissime: come pure nel .genio elegante del Canova e nella manierata ma fine ricerca del gu- sto antico dei simulacri classici. E domina, in questo ambiente, la musa molteplice e preziosa di Vincenzo Monti. All'ombra del Vate della Feroniade e della Maschevoniana il eiovinetto - Manzoni, amante si della vita galante ma smanioso di acqui- starsi fama con la poesia, muove i primi passi. Ed ecco nascere i versi giacobini e anticlericali, ma neoclassici nel tono poetico, del Trionfo della Libertà (1801; abile e ben costruita visione poetica di sapore neoclassico; vi si sente l'impegno laico e giacobino della cultura coeva); o quelli ancor piu montiani dell'idillio Adda (1803): il diciottenne ammiratore indirizza la lirica al Monti, e il Vate assai si compiace di una cosi elegante imitazione dei suoi versi; d'altronde a lui stesso è dedicato l'idillio, dove la ninfa Adda, vantando i meriti del fiume che bagna la terra in cui nacque il Parini, invita il Monti a visitare quelle belle plaghe:

Ma verdi colli e biancheggianti ville, e lieti colti in mio cammin saluto, e tenaci boscaglie a cui commisi contro i villani d'Aquilone insulti servar la pace del mio picciol regno e con Febo alternar l'ombre salubri.

Dietro il facile verseggiare e le inevitabili imitazioni e ri- petizioni dell'esordiente è dato scorgere le linee di uno spirito riflessivo, che. pur nella consueta trattazione dei temi sociali (quali la fustigazione dei corrotti costumi familiari e dell'avidi- tà di ricchezze e di successi pubblici) rivela un'intensa e sin- cera passione morale che non scade mai in generica emozione sentimentale, e che già si esprime in meditata accettazione dei

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doveri del poeta dinanzi alla necessità della società e della pa- tria. E tale egli volle effigiare se s teso in un sonetto autobio- grafico di chiara imitazione dall'Alfieri, e i suoi ideali civili e letterari volle esprimere nei quattro Sermoni (1803-04)' nel poemetto Urania (1809)) nell'inno A Parteneide (sempre del 1809).

Nel 1805 muore a Parigi l'amante di donna Giulia, e Ales- sandro, già da tempo desideroso di riavvicinarsi alla madre che non aveva mai cessato di amare con tenero trasporto, parte per la Francia e va ad abitare in casa di Giulia. E quasi a testi- moniare l'affetto per la madre, scrive un carme encomiastico dell'amante di lei. Ed è il carme In morte di Carlo Imbonati (che piu tardi ripudierà) la sua piu bella lirica giovanile, se non esente da un certo tono esteriore e falso nell'elogio delle virtu dell'Imbonati, senza dubbio ricca di lievito moralistico: nel tono accorato ma sereno col auale lo scomDarso Imbonati colloquia col poeta e gli comunica le massisme essenziali per una condotta di vita scevra da com~romissioni e da viltà. onde conservare sempre pulite la mano e la mente:

... non ti far mai servo: non far tregua coi vili; il santo Vero mai non tradir: né proferir mai verbo, che plauda al vizio, o la virtti derida.

Nella vantata convinzione morale, ancora basata su schemi illuministici e pariniani, era l'ingenua difesa del giovane Man- zoni contro i mormorii e i pettegolezzi di cui donna Giulia fu vittima nei salotti milanesi; ed era quasi il biglietto d'in- gresso col quale Alessandro chiedeva d'essere ammesso nella libera società letteraria di Parigi. Nei cinque anni di soggiorno nella capitale francese il Manzoni si conferma nelle sue convin- zioni filosofiche di teista anticlericale e di sensista educato alla lettura di Condillac. E dunque il soggiorno parigino conferma la disposizione del pensiero, piu che avviarlo per una nuova strada, ma amplifica le sue esperienze e raffina il suo gusto nella frequentazione assidua dei piu ricercati salotti letterari, quali quello del medico e filosofo materialista Cabanis e della coltissima Sofia Condorcet, stringendosi di fervida amicizia con l'amico di costei, Claude Fauriel, che lo allontana dal circolo materialista del Cabanis e lo pone in contatto con una diversa cerchia di interessi, se non propriamente religiosi certamente d'impegno e d'anelito spiritualistici. Forse non si devono so- pravvalutare questi indizi, ma è certo che la fitta conversazione

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col Fauriel spinge a poco a poco il Manzoni a nuove letture, di fìiosofi e moralisti francesi, e l'orizzonte della sua cultura si allarga.

Parigi, la cultura francese, i suoi antichi amici di gioventu: non soltanto il Manzoni non si discosterà piu da quel mondo di pensiero e d'arte, ma anche nel periodo piu alto della sua maturità poetica terrà vive le fila d'un dialogo col Fauriel, e non sarà soltanto un colloquio sopra interrogativi di cultura letteraria, ma si svolgerà anche attorno ai grandi problemi del mondo religioso manzoniano e della poetica etico-spirituale. Si dovranno mettere in rilievo tre influssi fondamentali deiia cultura francese: ,i grandi apologisti e moralisti del Seicento: il Bossuet, $i1 Massillon, il Fénelon e-soprattutto il Pascal, alla lettura dei cui Pensieri il Manzoni degli anni maturi trarrà profondità d'indagine morale e schiettezza di confessioni spi- rituali; un'altra linea essenziale d'influsso è costituita dagli en- ciclopedisti del Settecento, dal Voltaire al Diderot, già in parte noti attraverso il nonno Beccaria e le lezioni del padre Soave, ma a Parigi ripresi a studiare con disciplinata e acuta intelli- genza, da essi traendo quel vigore logico e quella chiarezza d'esposizione che saranno sue doti inconfondibili. E, infine, la conoscenza dell'ambiente romantico francese. in un'età in cui non s'era ancora sviluppata in Italia la coscienza delle nuove istanze e degli ideali romantici; l'incontro coi poeti e artisti pa- rigini che egli confermerà in un successivo soggiorno nella ca- pitale francese, tra il 1819 e il 1820 (estendendo le sue co- noscenze alla storiografia liberale della Restaurazione), anche in questo periodo giovanile vale a metterlo dinanzi a nuove prospettive artistiche. Basterà ricordare il nome di Chateau- briand, attraverso la cui opera il Manzoni forse percepi l'esi- stenza di un mondo umano e cristiano che fino allora aveva trascurato.

La Parigi di quegli anni non era soltanto il centro della cultura europea. Un mito, una nuova compagine politica, un uomo agitavano la Francia. I1 giovane Manzoni guarda con sgomento l'ascesa e i trionfi di Napoleone, e non si mescola allo stuolo dei seguaci e dei cortigiani dell'Imperatore, come poi vorrà ricordare nel Cinque Maggio. Del resto il suo stesso orientamento politico e l'ambiente antibonapartista in cui vi- veva, valsero a preservarlo da adesioni ed entusiasmi che erano del tutto estranei alla sua indole. E, fattosi meno dedito ai di- vertimenti mondani e piu attento allo studio, altrettanto estra- nea doveva apparirgli la vita fastosa e grandiosa della corte

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i,mperiale, concentrato com'era ad elaborare, ad esempio nel- 1'Urania. un suo concetto dell'utilità e del valore della poesia contro il puro razionalismo cartesiano, attraverso la simbolica rappresentazione delle inquietudini del greco Pindaro per aver perduto una gara di poesia, e degli ammaestramenti che a lui dà la musa delle cose celesti, Urania. I1 poemetrto Urania non vale tanto per una nuova prova di perizia letteraria offerta dal Manzoni, sempre nell'a,mbito della poetica neoclassica, ma per certi fermenti s~irituali che si cominciano ad identificare quali motivi cristiani, come un lontano e lento ripensamento della religione dell'infanzia.

LA CONVERSIONE RELIGIOSA

Un avvenimento di grande importanza si era prodotto nel- la sua biografia. Rientrato a Milano per un breve soggiorno (1807), conosce una fanciulla svizzera, Enrichetta Blondel, fi- glia di un banchiere di Ginevra. Enrichetta ha poco piu di quindici anni, è di religione calvinista, e vive a Milano con la madre. Piace subito ad Alessandro Der la soavità e mitezza del carattere e la bellezza delicata del Volto; ma piace ancor piu all'esperta donna Giulia, che abilmente incoraggia il figlio ver- so il matrimonio. Pochi mesi dopo, il 6 febbraio 1808, le nozze vengono celebrate da un pastore protestante. I1 Manzoni provò in verità a chiedere alle autorità ecclesiastiche il permesso di celebrare il matrimonio col rito cattolico, ma lo fece forse per convenienza, e comunque non insistette nella richiesta. Gli sposi partono per Parigi ( 8 giugno 1808), seguiti sempre dal- l'accorta Giulia, la quale - occorre però soggiungere - seppe sempre comprendere l'animo di Alessandro e gli fu vicina an. che nelle vicende tormentose della sua vita futura. Per il mo- mento, tutta giuliva, donna Giulia comunica agli amici e ai pa- renti la raggiunta felicità del suo Alessandro: <( La nostra En- richetta è un angelo, e quando diviene triste e afflitta, io lo divengo com'ella. Oh, ogni giorno io l'amo di piu, ed essa non potrà avere mai che tutto il mio amore e tutta la mia de- vozione materna ».

Presto nella felicità di Alessandro comincia ad insinuarsi un'inquietudine sottile, ovvero, se vogliamo usar parole con cui il futuro creatore dell'Innominato tratteggerà l'inizio della crisi del suo personaggio, a una sospensione d'animmo insolita ». N'è occasione la nascita (23 dicembre) del primo figlio, una

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bambina (Giulia-Claudia, che sarà poi l'infelice sposa di Mas- simo d'Azeglio e si spegnerà giovanissima nel 1834): con quale rito ;battezzare la piccola? Alessandro, dopo molte titu- banze, si decide per il rito cattolico, che verrà celebrato il 23 agosto 1809 nella chiesa di St. Nicholas, a Meulan; ma un certo pacato dissenso, o forse soltanto un angoscioso inter- rogativo, s'è venuto a porre tra i due sposi.

È Enrichetta a risolversi, dopo una lunga meditata rifles- sione, decidendosi per la conversione al. cattolicesimo; nel set- tembre 1809, Manzoni invia una supplica a Pio VI1 affinché conceda l'autorizzazione a ricelebrare le nozze col rito cattolico, il che avviene il 15 febbraio 1810, officiante il parroco della chiesa parigina della Madeleine. Quaranta giorni dopo accade un episodio, variamente giudicato dagli studiosi del poeta. ma che indubbiamente segna l'esplodere delle interne irrequietezze. I1 2 aprile i due coniugi assistono alle feste per il matrimonio di Naooleone con Maria Luisa d'Austria: tutto il centro di Pa- rigi rfgurgita di folla festante, che si ri;ersa per le strade che portano alle Tuileries, per raggiungere Place du Carrousel. Stretti dalla folla Alessandro ed Enrichetta cercano di ritor- nare nel loro appartamento iln Place Vendame; ma la marea li separa, e Alessandro perde di vista la sua sposa. Vanamente la cerca per le strade e le viuzze che sboccano sul Louvre; ango- sciato, colto dal panico, si rifugia nella chiesa di St. Roch, e chiede a Dio che gli si riveli, facendogli ritrovare Enrichetta. Rintracciata pifi tardi la sposa egli resta turbato e sconvolto. Non è una fulminea conversione, ma piuttosto un confuso presagio d'essa o forse chiara consapevolezza che qualcosa sta mutando in lui.

Sotto la guida d'un prete giansenista, genovese ma abitante a Parigi, l'abate Eustachio Degola, Enrichetta procede spedita nella sua istruzione al catechismo cattolico. Alessandro assiste a quelle conversazioni spirituali, partecipandovi in modo sem- pre pifi personale e concreto. Quaranta giorni dopo l'episodio di St. Roch ha luogo l'abiura solenne di Enrichetta, nella chiesa giansenista di'St. Séverin. Anche la conversione di Ales- sandro è ormai un evento compiutamente maturato, sebbene il suo spirito abbia bisogno di chiarire a se stesso ancora tanti interrogativi e di recare a soluzione tanti problemi.

Gli sposi lasciano Parigi ( 2 giugno, sempre del 1810). Dal- la piccola casa dove i Manzoni prendono stanza appena rien- trati a Milano, in via S. Vito al Carrobbio, vanno ad abitare nel palazzo Beccaria in via Brera. Piu tardi si stabiliranno nella

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252 La letteratura italiand

MANZONI E IL ROMANTICISMO

Quest'uomo tanto a privato >>, cosi chiuso tra le pareti del- la casa d i via del Morone, aveva però l'occhio sperto sopra tutto il panorama della cultura e della politica contemporanea. Troppo schivo per mescolarsi di persona alie polemiche tra i romantici e i classicisti, ma anche troppo autorevole per non essere ascoltato e venerato come il capo delia nuova scuola. Inadatto a scendere nelle piazze durante i moti del Risorgi- mento e a partecipare attivamente alia cospirazione, ma ca- pace di assumere i piti coraggiosi atteggiamenti: firmando nel 1814 la protesta dei cittadini milanesi quando Eugenio Beauhar- nais venne nominato viceré d'Italia da Napoleone; scrivendo nel 1821 un'ode patriottica e facendola circdare tra gli amici (è la lirica Marzo 1821) quando sembrava che l'esercito pie- montese stesse per varcare il Ticino e accorrere a liberare il Mi- lanese, ed esprimendo nell'ode, con commosso sentire, le sue speranze di patriota italiano:

Cara Italia! dovunque il dolente grido usci del tuo lungo servaggio; dove ancor deil'umano lignaggio, ogni speme deserta non è; dove già libertade è fiorita, ,

dove ancor nel segreto matura, dove ha lacrime un'alta sventura, non c'è cor che non batta per te

o piti tardi, durante le Cifnque Giornate di Milano, mentre il 'figlio era tenuto prigioniero dagli Austriaci, sottoscrivendo l'in- dirizzo della cittadinanza milanese a Carlo Alberto perché in- tervenisse in soccorso degli insorti.

Sono precise prese di posizione, altrettanto energiche come quelle che egli assume sopra argomenti morali e culturali. Que- sto isolato, quest'uomo amante della solitudine della campagna nella villa di Brusuglio o di poche ma tenaci amicizie nella casa milanese, preferiva all'irriflessivo esternare delle passioni an- che culturali il solitario lavorio della mente. Anche dinanzi al divampare della polemica romantica la sua posizione è cauta, mentre le sue idee sono lucide e sicure. Nonostante non pren- desse parte pubblicamente né per i romantici né per i classici- sti (un suo scritto a favore dei primi, come vedremo, sarebbe stato reso pubblico solo piti tardi), il Manzoni fu vicino agli

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dopo scrive le due odi, Marzo 1821 e Cinque Maggio. Nel 1822 esce una seconda tragedia, 1'Adelchi.

L'attività poetica non è esclusiva, ché il Manzoni, per la stessa finalità che l'aveva sollecitato a comporre gli Inni Sacri, e per un motivo profondo, la difesa della dottrina e della ci- viltà cristiana, aveva scritto le Osservazioni sulla Mornle Cat- tolica, il piu bel libro di apologetica che la letteratura italiana abbia, e l'unico che possa competere con i grandi scrittori francesi, il Bousset , il Fénelon eccetera. La Morale Cattolica non ha solo, però, una grande importanza. per l'apologetica ita- liana. ma anche Der la formazione letteraria del Manzoni. È la sua prima opera in prosa di una certa estensione. e nelle sottili indagini sulla spiritualità cattolica la prosa del Manzoni si esercita e si prepara al racconto dei Promessi Sposi, al quale egli comincia a lavorare dal 182 1.

Ma il poeta ha tempo e vigoria per attendere anche ad al- tri lavori. Spiega la difesa delle sue idee in tema di tragedia romantica nella Lettre à M. Chauvet sur l'unité de temps et de lieu dans la tragédie, che, come si è detto, è una risposta a censure mosse dal critico francese Chauvet per essere la tra- gedia manzoniana libera dai vincoli delle regole aristoteliche, e viene pubblicata nel 1823, nello stesso anno in cui (anche di questo s'è detto a proposito delle polemiche tra romantici e classicisti) la lettera al marchese Cesare d'Azeglio Sul Ro- manticismo vuol significare un'esplicita anche se parziale presa di posizione a favore dei pr,imi. Ivi la parte positiva del giu- dizio che egli dà del Romanticismo, è costituita dall'afferma- zione della bontà del programma romantico di un'arte che vuole rappresentare il vero e farsi intendere da un'ampia cer- chia di lettori, non piu da una cerchia ristretta di spiriti raffinati. Altra prosa, questa di serio impegno storico, è il Di- scorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (1822). scritta a meglio illustrare lo sfondo storico dell'Adelchi. - La lucida capacità dell'argomentare, la ricca esperienza di let- ture europee, l'attenzione concreta ai dati del linguaggio e della tecnica espositiva, lo straordinario equilibrio mentale av- vicinano il Visconti al Manzoni. di modo che non è semme facile distinguere, nel mirabile coro dei dibsttiti teorici che si leva dalle pagine del Carteggio, tra Manzoni e i suoi amici, se l'iniziatore o il propagatore di un'idea sia il padrone di casa di via del oron neo uno dei frequentatori, al caso il numero due delle serate in casa Manzoni, per l'appunto

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M . Herrnès Visconti, qui, dans quelques essais de critique litté- raire, a déjà donné au public la preuve d'une haute capacité, et qui prornet d'illustrer l'ltalie par les travaux philosophiques aux- quels il s'est particulièrernent voué.

(Lettre à M . Chauvet)

Nella Lettera sul Romanticismo il Manzoni avanza, con in- geniosa sottigliezza, una tesi riduttiva dell'originalità specula- tiva dei romantici, nella << parte posi'tiva », non soltanto per la brevità del dibattito o per la sua asprezza polemica, dunque non molto costruttiva, ma perché la distruzione di tutte le regole elimina o riduce la possibilità d'evincere un complesso normativo o, al limite, una sola norma che possa prendere il posto del codice classicista, scadendo a

principi generalissimi, che danno meno presa a cavillazioni, ad esclamazione, a parodie,

o disperdendo in mille rivoli l'iniziale <C iter » di ricerca e di scoperta del nuovo, il qual fenomeno aveva tuttavia un aspetto affatto positivo, in quanto riafiermava l'originalità della spe- culazione individuale nel campo delle idee letterarie, dei pro- grammi, dell'esecuzione stilistica e moralistica d'essi, al con- trario di quello che era avvenuto o sarebbe dovuto accadere nel settore della religione, inquadrato in

una scienza che l'intelletto non potrebbe scoprire da sé, una scien- za che l'uomo non può ricevere che per rivelazione e per testi- monianza.

In fondo il Manzoni, accogliendo l'idea della continua mo- bilità degli spiriti che nel loro operare si distinguono e diffe- renziano, si dimostra pronto ad ascoltare i suggerimenti che gli potevano venire da qualsiasi parte (anche classicista, donde la messa in rilievo, nel '23, della necessità di elogiare i classici, in un lungo passo espunto nel '70), ma in nessun modo dispo- sto ad accettare da altri, fossero pure gli amici Visconti o Ber- chet, un codice chiuso di fronte ai richiami e alle predisposi- zioni della propria indole d'artista. Questo è il monito piu alto che scende dalle pagine della Lettera sul Romanticismo, alla vigilia della revisione del romanzo, contro i tentativi di riduzione a formule generali, dunque di creare una Scolastica romantica ancor piu dogmatica della normativa classicistica, e a svantaggio della comune ricerca del <C vero storico » e del <C vero morale », non solo come fine, ma come piu <C ampia e

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perpetua sorgente del bello ». Perciò con notevole cautela già dal '23 Manzoni prende posizione contro le teoriche astratte sopra l'idea del Bello cui in quegli anni aveva cominciato ad attendere il Visconti, e per vario tempo attese ancora, di modo che nel '70, usciti nel frattempo i Saggi intorno ad alcuni que- siti concernenti il Bello (1833), questa circostanza spinse il Manzoni a ridurre soltanto al vero per soggetto i tre ben noti principi del '23. Tuttavia, se u l'utile per iscopo » e C( I'interes- sa'nte per mezzo >> andavano ad immettersi, nel testo del '70, rispettivamente nel concetto di arricchimento ed elevazione dello spirito (il falso, cioè il contrario del vero, può bensi trastullare la mente, ma non arricchirla, né elevarla », Opere varie 88) e in quello della scelta

de' soggetti che avendo quanto è necessario per interessare le persone piu dotte, siano insieme di quelli per i quali un maggior numero di lettori abbia una disposizione di curiosità e d'interessa- mento, nata dalle memorie e dalle impressioni giornaliere della vita

(ibid. 89), con la sola formulazione del a vero per oggetto - C( soggetto », aveva preferito scrivere nel '23 - Manzoni evi- taya quel tanto di apodittico e perentorio ha un canone aripar- tito, icasticamente sottolineato dalla serie ternaria, rispetto ad un passaggio piu sfumato, meno determinato ed epigrafico, quale il concetto viene ad avere nella redazione del '70. Ed era stato troppo rilevante il peso di quell'e interessante >> nel '23, in quell'insistenza sul « diletto >> che avrebbe potuto porre fuori strada il lettore dei Promessi Sposi dinanzi alla,ben piu importante lezione di a verità », tanto piu che nel C< diletto » recepiva i propri destinatari e fruitori (secondo quanto nella Lettera semiseria del Berchet) sia tra le persone piu dotte » che tra il maggior numero di lettori >> comuni. Ben è evi- dente, per altro, che le « impressioni giornaliere della vita » di cui Manzoni parlava, erano destinate ad offrire un senso all'idea stessa del vero >> quand'è applicato ai e lavori d'im- maginazioni », e risorgevano dalla sistematica eliminazione del falso, dell'inutile, del dannoso, dell'« inventato ». Poiché in definitiva il vero » nasce dalle ceneri del falso, s'identifica negli oggetti che sono rimasti indenni dall'incendio che ha bruciato tutte le scorie del falso, tuttavia è assai interessante la soppressione che nel 1870 un Manzoni ormai rosminiano fa del passo relativo, scritto nel '23:

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La parte morale dei classici è essenzialmente falsa: false idee di vizio e di virtu, idee false, incerte, esagerate, contraddittorie, di- fettive dei beni e dei mali, della vita e della morte, di doveri e di speranze, di gloria e di sapienza; falsi giudizi dei fatti, falsi con- sigli; e ciò che non è falso in tutto, manca però di quella prima ed ultima ragione che è stata una grande sciagura il non aver co- nosciuta, ma della quale è stoltezza il prescindere scientemente e volontariamente.

GLI <( INNI SACRI D E LE «ODI »

Gli Inni Sacri vogliono essere da un lato la testimonianza della riconquistata fede in Dio, dall'altro la prova di un'arte nuova, nel linguaggio e negli ideali sociali. I1 Manzoni si avvi- cina direttamente al testo dei Vangeli, nessun tramite lettera- rio dovrà inserirsi tra sé e il racconto evangelico, il cui tessuto drammatico è tradotto in immagini rapide e in ritmi concitati.

La Risurrezione si ispira ad una drammatica rappresenta- zione del trionfo dello spirito divino sulla mortalità della car- ne, e nella sua linea narrativa rivela potenza d'evocazione fan- tastica e maturo gusto nel porre in scena personaggi e voci. Il Nome di Maria è inno di minore rilievo poetico, per il pre- valere dei concetti sull'immagine, ma ha versi bellissimi per solennità di ritmo, sia quando riprende il racconto ev,angelico, sia quando canta la presenza della Madonna nella vastità del mondo e del tempo. Il Natale è colmo di un misterioso stupore dinanzi al miracolo dell'Incarnazione e di commossa medita- zione su quanto poco avrebbe avuto l'uomo se Cristo non fos- se venuto a redimerlo con il suo martirio; è lirica ricca di tensione umana, di un cristianesimo che è soprattutto carità verso gli umili e i poveri. Nella Passione una piu composta struttura regge tutta la composizione, ma consente che al con- citato racconto si unisca un'eccessiva enfasi di invocazioni; la materia era d'altronde ardua spiritualmente, e i1 Manzoni ha cercato di superare le difficoltà dando all'inno il tono, piu che Ia forma, di un coro.

Discorso a parte merita La Pentecoste, la lirica piu alta del Manzoni. Celebrando la discesa dello Spirito Santo sugli Apo- stoli, e quindi la nascita della Chiesa nel cenacolo, il poeta ha evocato con una tensione lirica straordinaria il trionfo della Chiesa in terra e in cielo, prima nel suo espandersi di regione in regione, poi nel suo diffondere sublimi parole di giustizia

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e di felicità, infine nel suo trionfo nella gloria del Paradiso. E agli elevati concetti corrisponde sempre una forma perfetta, che fonde tutte le immagini, tutte le successioni di ritmo in una tonalità austera e forte. I1 linguaggio poetico del Manzoni ha finalmente assunto una pienezza di slancio e una precisione stupenda di termini e di riferimenti.

La Pentecoste è un momento centrale e risolutivo dell'espe- rienza spirituale e letteraria del Manzoni. Con questo grande inno giunge a compimento il lungo travaglio del poeta sopra le ragioni stesse della fede, con una visione drammatica della vita. illuminata e confortata dalla confidenza in Dio e dal sen- , -

timento di fraternità etico-sociale, che diventerà il motivo es- senziale della .spiritualità e della poetica del Manzoni, dalla morte cristiana del Carmagnola, di Ermengarda e di Adelchi alla semplice e pura confidenza di Lucia e di Renzo nei voleri della Provvidenza. Nella prima stesura della Pentecoste la di- mensione religiosa è ancora astratta e cupa, chiusa alla spe- ranza. I1 Dio Sabaoth appare nella sua terribilità biblica, e anche la discesa di Cristo tra gli Apostoli ha accenti tempe- stosi:

Ecco un fragor s'intese Qual d'improvviso turbine Fiamma dal cielo ei scese E sovra lor risté ... ma nella redazione definitiva un grandioso sentimento di spe- ranza riempie l'agitata struttura metrica dell'inno, un senti- mento di speranza che è figlia della sofferenza e maestra d'in- segnamento morale, tutto risolto nel cristiano messaggio di so- lidarietà sociale tra i poveri, i derelitti, i diseredati. Del resto la composizione della Pentecoste procede di pari passo con la stesura della Morale Cattolica, ove è detto che la fiducia nei voleri della Provvidenza è tra i mezzi che

portano la mente aila cognizione della giustizia, ed il cuore ail'amo- re di essa; la meditazione sui doveri, la preghiera, i sacramenti, la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio.

A questa altezza non giungono le due odi, di cui una, Marzo 1821, è indubbiamente animata da un calore patriottico sincero e squillante. Scritta durante i moti carbonari torinesi del 1821, proprio quando sembrava che le truppe del Piemonte stessero per varcare il Ticino e correre alla liberazione della Lombardia, questa ode risente della estemporaneità in cui fu

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scritta, durante quella gloriosa ora del Risorgimento, ma si av- vale di un ritmo solenne e patetico (che è il decasillabo), e si sostiene sul piedistallo di un solidissimo concetto etico-poli- tico, che è al tempo stesso fervida fede religiosa nella reden- zione dell'umanità e non meno calda fede politica nel successo della causa degli Italiani. I1 Cinque Maggio, scritto rapidissi- mamente all'indomani della notizia della morte di Napoleone a Sant'Elena, è anch'esso soggiacente alla estemporaneità del- l'occasione per la quale fu dettato, ma realizza una perfetta fusione tra la fede religiosa nella grandezza della Provvidenza divina che innalza i deboli e atterra i potenti e cancella le glo- rie terrene, e la visione storica, rapida e balenante di immagini, di tutta la vita eccezionale dell'imperatore. Del Cinque Maggio scrisse il De Sanctis: è un « possente lavoro di concentrazione dove precipitano gli avvenimenti e i secoli come incalzati e attratti da una forza superiore in quegli sdruccioli impazienti, accavallantisi, appena frenati dalle rime ».

LE TRAGEDIE

I temi fondamentali della Pentecoste e della Morale Catto- lica si ampliano e si esemplificano storicamente nella vicenda della prima tragedia manzoniana, Il Conte di Carmagnola, non tanto nella primitiva stesura, dove l'interesse dell'artista è volto esclusivamente a dimostrare una tesi storici: l'innocenza di Francesco di Bussone, conte di Carmagnola, ingiustamente mandato a morte, sotto l'accusa di tradimento, dal Doge e dal Senato di Venezia, ma soprattutto nella stesura definitiva, pub- blicata come s'è detto nel 1820, dove Manzoni, purconfer- mando la sua tesi storiografica, si sofferma in modo preminente a descrivere il riscatto morale e religioso del protagonista pros- simo alla morte, la sua rassegnazione ai voleri supremi di Dio, il perdono ch'egli largisce ai suoi persecutori e carnefici. Tra- gedia, dunque, d'alto impegno etico-religioso; tragedia della crudeltà degli uomini e della consolazione che Iddio infonde nell'animo dell'infelice oppresso; tragedia della conquista del- la pace interiore, da parte dell'uomo che s'ajbbandona in Dio, e della sublime generosità sopra il gorgo delle sofferenze e an- gosce inferte dalia iniquità dei potenti, dalla « jalousie si apre de commandement et d'autorité n, come dirà poi l'autore della Lettre à M. Chauvet. Spostando sopra un piano d'intensa liri- cità e di intime risonanze la vicenda terrena dell'uomo (che,

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pur con assiduo rigore d'impegno stilistico, gli Inni Sacri dalla Risurrezione al Natale avevano tracciato e cioè storia dell'uomo caduto nel peccato e redento dall'Incarnazione), il Carmagnola inizia un discorso che si concluderà soltanto con le pagine finali dei Promessi Sposi; un discorso anche in senso stilistico, e cioè un modo di liricizzare gli accenti interiori nel momento in cui l'artista si propone di <( sliricarsi D nei riguardi della clausola della lingua letteraria tradizionale, calando la parola dell'uso in un contesto fortemente suggestivo, dal quale risorge come parola poetica, si da offrirci, proprio nel chiudere I'azione della tragedia, nel colloquio finale del Carmagnola con la moglie e la figlia, quel particolarissimo timbro di turbati echeggiamenti della coscienza, quel tono intenso eppur effuso con riserbo, quella musicalità un po' lenta e mesta che si ritroverà tra breve negli atti finali dell'Adelchi.

Ma 1'Adelchi è continuazione del Carmaenola anche Der quel che attiene alla straordinaria capacità manzoniana di rap- presentare movimenti storici, scene d'assieme, battaglie, con- flitti di generazioni e di nazioni. Dal coro della <( battaglia di Maclodio D (<( S'ode a destra uno squillo di tromba ») vibran- te deprecazione delle guerre fratricide, scatenate dall'invidia e dal rancore politico, al coro storico dell'Adelchi (<( Dagli atri muscosi, dai fori cadenti P), dove tutta la storia dei Longobardi appare nella tragica visione di un popolo per piu secoli op- pressore, i Longobardi, e d'un popolo oppresso, gli Italiani, che vanamente sperano il loro affrancamento dal nuovo occu- pante, i Franchi, il passo è breve; ma quanto piii vigorosa, piu complessa, piu umanamente e religiosamente ricca è invece la compagine del17Adelchi, è presto detto quando si afferma che questa è la piii grande tragedia della letteratura italiana, e tra le piu alte dell'ottocento romantico europeo. Com'era già av- venuto nel Carmagnola, anche 1'Adelchi si può dire compren- sibile all'intemo di una bipartizione (prima parte, storico-poli- tica, e seconda parte, etico-religiosa), che vede negli atti quarto e quinto accanto alla catastrofe storica la vittoria dello spirito, con la morte di Ermengarda,

dalla rea progenie degli oppressor discesa

e che

collocò la provida Sventura in fra gli oppressi,

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e con la morte di Adelchi, che può insegnare al -padre Deside- rio, sugli ultimi istanti di vita, il <( gran segreto » della vita:

Godi che re non sei; godi che chiusa All'oprar t'è ogni via: loco a gentile, Ad innocente opra non v'è: non resta Che far torto, o patirlo

cristiana invocazione dell'eroe morente, che cosl potrà risolve- re l'interiore conflitto che lo dilaniava, tra il dovere di fedeltà al padre-re e l'orrore per una guerra inutile e ingiusta; veduta del mondo ormai sovrumana che Adelchi ha delle vicissitudini della vita terrena, della <( feroce legge >> che governa il mondo, della <( messe D di <( ingiustizia N che ormai dà <( la terra N.

Di contro alla legge del perdono e della rassegnazione che invocano, morendo, Ermengarda e Adelchi, e che trova le note piu elevate nell'altro celebre coro della tragedia. << Sparsa le trecce morbide », s'erge la legge crudele della vendetta, del- l'odio, della sanguinosa vittoria sul campo militare: questa è destinata a prevalere in terra, ma l'altra trionfa nella vita del- l'aldilà. E serpeggia accanto al secondo tema un'altra motiva- zione caratteristica delle costumanze terrene: il tema della co- dardia e dell'accomodamento politico ai voleri del vincitore, Car- lo Magno, rappresentata dai traditori Svarto e Guntigi. Poiché il Manzoni, nel momento in cui disegna la strada del riscatto morale, non oblia (come poi non oblierà nei Promessi Sposi) di quante viltà e compromissioni e crudeltà sia intessuta la vita di tutti i giorni. Lo spiritualismo manzoniano procede di pari passo col suo realismo, e l'attenzione del poeta non si distrae dal fatto storico.

La chute d u royaume des Longobards [...l et son extinction dans la personne d'ddelgise dernier roi, avec Didier son père,

come aveva scritto, annunciando la materia della nuova trage- dia, in una lettera del 17 ottobre 1820 all'amico Fauriel.

<( I PROMESSI SPOSI n: STORIA DELLA COMPOSIZIONE

Sulla prima pagina del manoscritto della prima stesura del romanzo manzoniano, dal titolo Fermo e Lucia, è apposta una data che è senza dubbio l'inizio della faticosa gestazione del- l'opera: 24 aprile 1821. Per quanto si spargesse tempo addietro

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262 La letteratura italian~

la notizia che si conservavano carte, appunti, abbozzi che te- stimoniavano un precedente lavoro, attorno al 1818, non esi- ste un solo foglio che possa mutuare questa ipotesi. La nascita del romanzo è quindi da porsi subito dopo i fatti del marzo 1821, che avevano acceso di tanta speranza l'animo del Man- zoni e l'avevan fatto poi cadere in profonda disillusione; il poeta s'era rifugiato nella villa di Brusuglio; tra i libri che re- cava ,con sé v'erano la Storia Milanese del Ripamonti e l'Eco- nomia e Statistica del Gioia, nei quali volumi erano ricordate le nrida contro i bravi che. com'è stato detto. fanno << scattare la scintilla D della fantasia'manzoniana. I1 3 novembre succes- sivo era già in grado di scrivere all'amico Fauriel:

mon roman à peine commencé a été mis de coté, et j'ai, non pus achevé, mais fait le dernier vers de ma tragédie.

In effetti uno studioso che molto ha'atteso alla cura del testo del romanzo, Ghisalberti, ha notato << un certo distac- co D tra il secondo e ,il terzo capitolo. Poi, ultimato l'Adelchi, il lavoro procede piu spedito; il 3 aprile 1822 Fermo e Lucia non è ancora cancluso (l'amico Visconti ne parla come di opera ancora da venire); il 29 maggio dello stesso anno il Manzoni scrive, sempre al Fauriel:

Je suis enfoncé dans mon roman, dont le sujet est placé en Lom- bardie, et l'époque. de 1628 à 31.

Una data, apposta sempre sul manoscritto di Fermo e Lu- cia, suggella la fine del lavoro: 17 settembre 1823. Poco dopo giungeva da Parigi il Fauriel, che lesse e postillò il manoscrit- to; in forma piu organica e minuta Fermo e Lucia beneficiava subito dopo d'un'attenta revisione da parte del Visconti. Que- sta stesura '21-23 non verrà ,mai pubblicata dall'autore; vedrà la luce parzialmente nel 1905, a cura di Giovanni Sforza, e integralmente nel 1915, a cura di Giuseppe Lesca e col titolo Gli Sposi Promessi; il che è invece errato, poiché il Manzoni chiamava la prima stesura unicamente col nome di Fermo e Lucia. Qbando prese a lavorare alla seconda minuta, per qual- che tempo ebbe a designarla Sposi Promessi; poi, a partire dal- l'inizio del terzo tomo, inverti l'ordine delle parole: Promessi Sposi; e tale restò l'ordine per tutta la parte residua della se- conda minuta. A tale revisione prese a lavorare non subito, e forse soltanto dopo la partenza del Fauriel, nella primavera del 1824, per quanto durante il soggiorno dell'amico francese

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piu volte il Manzoni dovesse discutere e meditare sulla revi- sione. I1 30 giugno dello stesso 1824 lo stampatore Ferrario inviava al Regio Imperial Ufficio di Censura <( il primo tomo del Romanzo storico del Signor Alessandro Manzoni intitolato Gli Sposi Promessi P. Lo scrittore dapprima aveva provveduto a riscrivere l'opera in margine al manoscritto di Fermo e Lucia, poi lavorò sopra una nuova minuta; mentre era in composi- zione il primo tomo, e l'autore attendeva alla revisione delle bozze, andava lavorando al secondo; poi al terzo tomo, e que- st'ultimo verrà presentato per la Censura soltanto un anno do- po (l'« imprimatur » è del 7 luglio 1826); i tre tomi vengono alla luce nel giugno 1827, col titolo I promessi Sposi e data 1825 per i primi due tomi, 1826 per il terzo.

L'edizione del '27 ebbe subito grandissima fortuna, ma la mente instancabile del Manzoni non è ancora soddisfatta, e la idea di una minutissima revisione linguistica prende corpo nel soggiorno tra luglio e settembre del 1827 a Firenze. I1 17 set- tembre scrive al Grossi che è già al lavoro, con l'aiuto del Niccolini e del Cioni; il primo dà soltanto qualche consiglio saltuario, mentre il secondo rivede buona parte del romanzo, e quando s'arresta, il Manzoni gli fa dire, tramite il Borghi:

Salutatemelo di cuore quel bravo e buon Cioni, e ditegli che, salva la discrezione, gli raccomando quella tale biancheria sudicia da risciacquare un po' in Arno, anzi in acqusi d'Arno.

Attraverso l'epistolario manzoniano è possibile seguire, ma pur troppo non sempre e non regolarmente, le varie tappe del- la revisione, certo interrotta per le sventure del '33 e del '34, ma piu tardi ripresa nel nuovo clima di serenità seguito alle nozze con Teresa Stampa, e recato avanti soprattutto tra il 1838 e il 1839, avvalendosi sovente dei consigli della gover- nante di casa, una fiorentina, Emilia Luti. E il processo di re- visione durò sino al tempo della stampa della nuova e defini- tiva edizione, persino sui fogli di bozze e su quelli d i stampa. Nel novembre del 1840 esce la prima dispensa; due anni dopo il romanzo è interamente stampato presso gli editori Gugliel- mini e Redaelli, arricchito da numerose illustrazione del Gonin.

Secondo la tradizione il Manzoni prese l'avvio al disegno del romanzo non soltanto, come s'è detto, dalla lettura del Ri- pamonti e del Gioia, 'là dove si parla delle grida dei governanti di Milano, ma prevalentemente dal desiderio,di emulare i ro- manzi storici di Walter Scott. Constatazione difficile, questa, di

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stabilire come nasca un capolavoro. Certo è che il Manzoni, all'atto di mettersi al lavoro, tenva presente la storia del Ripa- monti, ed aveva dinnanzi il modello, da lui poi tanto superato, dello Scott.

L'ARTE DEI << PROMESSI SPOSI »

Il romanzo richiama ed adempie tutti gli ideali dello spi- rito manzoniano; non v'è aspetto dell'ispirazione artistica, ele- mento della poetica, momento e atteggiamento delle idealità storiche e morali del Manzoni, che non trovino adeguata e con- sapevole realizzazione nelle pagine dei Promessi Sposi. L'unità poetica dell'opera è del tutto raggiunta; seppur per qualche tempo, nella storia della critica letteraria moderna, si tendeva a far sopravvanzare l'apparato oratorio del romanzo, e anzi a scorgerlo come elemento fortemente limitante e opprimente la voce poetica, oggi non v'è chi non veda nei Promessi Sposi un felice equilibrio dèlle parti storiche con quelle d'invenzione, dei ritratti psicologici con le scene d'assieme, dei dialoghi con le descrizioni oggettive, delle ironiche contraffazioni dell'am- polloso stile secentesco con le vivaci tonalità toscane, anzi fio- rentine, del << parlato » e delle didascalie narrative.

Un elemento che si presenta subito all'attenzione dei let- tori, proprio perché con esso prende inizio il romanzo, è lo sce- nario naturale: il cielo e la terra di Lombardia, osservati con grande attenzione, sentiti con amore e talvolta persino con te- nerezza, umanizzati a tratti sino a diventare veri e propri per- sonaggi del romanzo:

quel cielo di Lombardia, cosi bello quand'è bello, cosi splendido, cosi in pace,

e a proiettare sullo stato d'animo dei personaggi le presenze d'un attonito magico stupore, come in taluni paesaggi notturni:

Era il piu bel chiaro di luna: l'ombra della chiesa e piu in fuori l'ombra lunga e acuta del campanile si stendeva bruna e spiccava sul piano erboso e lucente della piazza.

Le cose si snodano con serena riposatezza, con un intenso casto amore, con una luce limpida e calda, con gusto sensibi- lissimo per la malinconica bellezza del mondo lombardo. I1 paesaggio ha una voce, che è familiare come lo è il suono dello

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scorrere dell'Adda a Renzo in fuga; il Manzoni riesce a comu- nicarci con esattezza questa voce del paesaggio lombardo ( i monti velati di nebbia, le viuzze arrampicate sul pendio dei colli, il chiarore lunare e i rintocchi della campana nel silenzio notturno), a farcela sentire compartecipe delle vicende narra- tive, e in particolare delle tribolazioni dell'umile gente, che nel paesaggio specchia e un po' stempera le proprie pene, come nel grande affresco dell'« addio ai monti », affresco corale per la simultanea presenza di piii immagini sovra le quali aleggia, quasi voce solista, il pianto di Lucia:

Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e imptesse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi pifi familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio! ... Addio, casa natia, dove, sedendo, con un pen- siero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l'ani- mo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore do- veva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio!

Le minute cose viste da Lucia vibrano di un rattenuto liri- smo che a tratti si discopre purissimo. I n modo analogo si attua il ritratto psicologico dei personaggi: l'impulsiva san- guigna freschezza di Renzo, pronto alla collera ma anche al- l'effusività, e animato da un sincero spirito religioso; la sobrietà del pudore e la timida soavità di Lucia: una delle piii alte e pure voci di spiritualità del romanzo; la brutale irosa pervica- cia di don Rodrigo; il drammatico inquietante attivismo cari- tativo e morale d i padre Cristoforo; la sanguinaria disumanità dell'Innominato che si va aprendo a poco a poco, sotto la spin- ta della crisi religiosa, a pensieri d i pentimento e di bontà, e attua il piii intenso quadro psicologico di tutta l'opera; l'al- tezza e solennità spirituale del cardinal Borromeo, vibrante di un'energia morale che non è astrattezza e di una purezza che non è distacco dalle umane passioni; l'ideale mediocre e pu- sillanime della comodità e del quieto vivere di don Abbondio, pur tanto concreto nella sua verità umana. Tutt i i personaggi dei Promessi Sposi sono concepiti e artisticamente attuati co-

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me specchio reale della vita, in forme umane precise e vere, ciascuno con un proprio ideale, una moralità, un'indole, una fisionomia distinta l'un dall'altro, persi,no con un differente modo d'esprimersi nei dialoghi e nei monologhi, ma tutti ri- conducibili all'idea centrale del romanzo, al <( sugo di tutta la storia D come dirà il Manzoni, e cioè alla fiducia nella Prov- videnza, e alla profonda nuova tematica del dolore e della cri- stiana carità.

Alla sofferenza umana gli occhi del cristiano guardano con pietà, e il dolore e la pietà sono parte dello stesso sentimen- to: solidarietà, amore sovrannaturale, affetto santificante. ca- rità paolina D, sociale comprensione verso i miseri, gli sven- turati, i poveri, gli ammalati. Che vi sia una scala di valori della sofferenza umana, e i due promessi non vengano a tro- varsi tra coloro che sono piii duramente colpiti dalla sorte, è constatazione solo esternamente deducibile dalle circostanze narrative, direi anzi romanzesche, e che comunque non vale per l'alta moralità del Manzoni, per cui le tribolazioni di Lucia rapita e prigioniera non sono minori dei patimenti della po- vera famiglia affamata, sull'uscio dell'osteria, o della madre di Cecilia o della vedova chiusa in casa, <( con una nidiata di bam- bini intorno D. E tutto ciò è vero ove si pensi non soltanto alla specie particolare del terrore della pura fanciulla, ma alla fun- zione catartica e redentrice che la <( compassione D che di lei avrà, a breve distanza da quella del Nibbio e non troppo di- versa da questa, 1'Innominato. Dalla visione della pietà divina del Natale (vv. 55-56: « pietoso / Immensamente Egli è o ) ad altra, in parte analoga e in parte ricolma di cupo timor di Dio, nel Natale del 1833 (I1 1-2: Si che tu sei terribile / Si che tu sei pietoso D), ali'« immensa pietà » dell'Ognissanti, alla pietà di Ansberga verso Ermengarda, a quella di Carlo verso Adelchi morente, l'esperienza manzoniana ha conosciuto e co- noscerà, oltre la barriera cronologica del ventenni0 consacrato al romanzo, sviluppi e passaggi e riflussi di questo sentimento in ambito ora umano, ora divino, ora dell'umile al misero (e qui risplende in tutta la sua spontanea freschezza l'animo di Renzo), ora del ricco al povero (la sollecitudine sociale di Fe- derigo, la sua <( carità ardente e versatile B), ora dell'infelice verso gli ignari testimoni del proprio dolore e dannazione (gli occhi di Gertrude che chiedevano affetto, corrispondenza, pietà D), ora di Dio verso le proprie creature:

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s'è servito di voi per una grand'opera, per fare una gran miseri- cordia a uno, e per sollevar molti nello stesso tempo,

ora degli adulti verso gli infanti, come le balie del lazzaretto,

in tal atto d'amore, da far nascere dubbio nel riguardante, se fos- sero state attirate in quel luogo dalls paga, o da quella carità spontanea che va in cerca de' bisogni e de' dolori.

Si guardi a quest'ultimo concetto, com'è preciso, com'è acuto, e quanto consente di penetrare entro le ragioni del- l'amore verso i l prossimo, tanto piii efficiente e disinteressato se ha per oggetto il dolore degli uomini. Scriverà similarmente nella Morale Cattolica:

L'uomo che vive lontano dallo spettacolo delle miserie, sparge qualche lacrima sentendole descrivere; e quelli che un'irrequieta carità spingeva a cercarle, a soccorrerle, ci avrebbero portato un core privo di compassione?

Lo scrittore è consapevole che il cristiano veramente at- tivo nella carità non si limita ad attendere che Dio lo chiami ad un'opera di misericordia, ma ne va in cerca, sollecita se stesso a mescolarsi alla vita perché questa possa essere espe- rita quotidianamente, conosciuta in infinite occasioni, offerta alle angosce del mondo. Ma l'uomo Manzoni si distingue in qualche modo da questa generale massima d i vita cristiana?, c'è una sua intenzione particolare nell'effigiare le sventure e le tribolazioni del << secolo », e nel far prevalere quelle d'ordine morale sopra quelle strettamente fisiche?

Dà da pensare, per concludere, un suo pensiero, rimasto in una pensosa e patetica miscellanea d i riflessioni varie, in- serto XIV 15 della Sala Manzoniana:

Coloro che non lavorano per vivere, e che abitando nelle città con- versano piu continuamente cogli altri uomini, ed esercitano assai piu il loro ingegno, vanno senza dubbio soggetti a dolori morali' ignoti al contadino e all'artigiano: ma la Provvidenza ha dato a quelli l'agio di cercare i soli veri ed utili rimedj a questi dolori; e tali rimedj sono nello studio sincero costante umile e profondo della religione ...

Sia vero o no che il signore P d i città sfugge piii facil- mente alla sofferenza fisica, ed è tuttavia facile preda delle ambasce morali, è altrettanto indubbio che in questo modo l'autore dei Promessi Sposi ha chiosato il suo testo, ponendo

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in alto, sovra tutti, i dolori morali dell'Innominato e di Ger- trude, e concedendo uno spazio diverso, anche se non di se- cond'ordine, ai patimenti di Renzo e di Lucia, in quanto meno profondi, sconvolgenti, atterranti, e in gran parte risolti da contingenze materiali (basterà la << scopa D della peste per eli- minarli, o ridurli a << qualche fastidiuccio »), ovvero da una soluzione, come lo scioglimento del voto di Lucia, piu << fa- cile ».

Come è << vero » il carattere dei vari personaggi, cosi vuol essere vero l'ambiente dove essi si muovono. I1 gusto che il Manzoni nutre per l'affresco storico della Lombardia sotto il dominio spagnolo, è esemplare: in grado di definire cause e svolgimento delle vicende storiche, dalla guerra di successione del Monferrato alla carestia del territorio lombardo, dalla ca- lata dei Lanzichenecchi al traeico evento della Deste. I1 dono " della descrizione storica, ricca di alte idealità morali ma soste- nuto da notevolissima esattezza documentaria, si compone in perfetta unità con tutti gli altri elementi poetici del romanzo: l'umanità manzoniana, sottile, acuta, bonaria, la religiosità au- stera ma non arida, il senso di solidarietà sociale che lo spinge a prediligere gli umili, i poveri, gli infelici nel cui cuore brilla però la fiamma della sDeranza di Dio.

La ricerca di un proprio linguaggio narrativo non si pre- sentava all'autore dei Promessi Sposi sotto il segno dell'astra- zione. Non si trattava di inventare, o, in senso piu concreto, liberare una forma di linguaggio di predeterminata struttura letteraria, bensi di entrare in possesso di una vastissima gam- ma di possibilità espressive che consentissero la piena assun- zione in poesia delle varie << occasioni n narrative. Ad esem- pio: il paesaggio, oppure il ritratto psicologico, o anche la . vicenda storica. Per il paesaggio il Manzoni ha bisogno di un linguaggio altamente liricizzato, ma di un lirismo segreto e quasi spezzato da continue inframettenze analitiche:

la luna, in un canto, pallida e senza raggio, pure spiccava nel campo immenso d'un bigio ceruleo che, giu verso l'oriente, s'an- dava sfumando leggermente in un giallo roseo

dirà presentando agli occhi di Renzo il cielo della Lombardia; e le minute cose descritte con cosi riposata cura vibreranno d'un rattenuto lirismo che a tratti si scopre purissimo. Nel ritratto psicologico il linguaggio si << slirica del tutto, acco- gliendo una tonalità fondamentalmente riflessiva e intima, la

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quale vuole di proposito tenersi lontana da ogni riflessione appena realistica; la parola di questo linguaggio tradirà l'equi- distanza tra lirismo e realismo, tra termini di limpida natura poetico-letteraria e vocaboli caratterizzati:

Indietro, indietro, d'anno in anno, d'impegno in impegno, di san- gue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompa- riva all'animo consapevole e nuovo, separata da' sentimenti che l'avevan fatta volere e commettere; ricompariva con una mostruo- sità che que' sentimenti non avevano allora lasciato scorgere in essa;

e la complessa i,mpostazione morale dell'Innominato conosce- rà una sua forma di comunicativa col lettore attraverso una misurata utilizzazione di termini introspettivamente caratteri- stici e di immagini assai pi6 morali che visive.

Per converso, la narrazione storica è sorretta da un'espe- rienza formale di ti,po classicistico ma in quell'austera vibra- zione moralistica e in quel sereno vigore espositivo e critico che nascevano dalla familiarità con le opere della storiografia antica e dal lungo lavoro di preparazione alle tragedie (si ri- cordi il tipo di prosa del Discorso sopra alcuni punti della sto- ria longobardica in Italia studiato dal De Robertis),. s e ne ori- gina un inconfondibile timbro narrativo, sottilmente emozio- nato: -- -

Ma due fatti, l'uno di cieca e indisciplinata paura, l'altro di non so quale cattività, furon quelli che convertirono quel sospetto in- determinato d'un attentato possibile, in sospetto, e per molti in certezza, d'un attentato positivo, e d'una trama reale. Alcuni, ai quali era parso di vedere, la sera del 17 di maggio, << persone in duomo andare ungendo un assito ... n ...

I1 linguaggio dei Promessi Sposi è, dunque, piuttosto un coro, un concerto di linguaggi, e le leggi d'armonia che rego- lano un siffatto contrappunto stilistico, vengono spesso ricon- dotte in una dimensione modesta per tramite di quei <( can- tucci D, di quelle pause discrete e sorridenti, di quegli ironici incisi, che graduano il passaggio da una tonalità stilistica al- l'altra, in modo da evitare eccessi e sfasature. Questa sapiente graduazione di tonalità è soprattutto necessaria al Manzoni in quei momenti del romanzo dove si fronteggiano situazioni e personaggi diversissimi (ad esempio nel cap. XXIII, allorché si trovano nella stessa stanza tre uomini, tre mondi diversi come il Cardinale, 1'Innominato e don Abbondio; o nel cap. XII,

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270 La letteratura italiana

la scena della sommossa, ricca di elementi cosi vari, dal tra- gico al pittoresco, allo scherzoso, al meditativo), ma è sempre in opera del dialogo e, quindi, occasione peculiare per cono- scere tutta la compagine stilistica dei Promessi Sposi, e cono- scerla non in stasi ma in movimento. E se nel dialogo, neces- sariamente, l'elemento realistico e mimetico è in primaria po- sizione, il vario atteggiarsi delle intonazioni dialogiche (sta- remmo per dire l'urtare e il fondersi di tutte le voci) ci farà conoscere quante altre intenzioni espressive, oltre a quella del realismo, concorrano a formare il linguaggio del dialogo. E quando il dialogo è con se stesso, è monologo, è riflessione rapidissima (« - Ahi!, - pensò il provinciale; e disse ... ») o molto elaborata, allora il dialogo manzoniano unisce alla per- spicua proprietà illustrativa o caratterizzante del personaggio anche una funzione di pausa, di smorzatura e perfino di riso- luzione del tono poetico del racconto.

Lo scrittore ha prestato costante attenzione al problema stilistico, sin dalla prima stesura, ma con crescente impegno e piu solida esperienza negli anni della revisione linguistica; e questa ha toccato tutti gli aspetti del romanzo rendendo piu rapida nel ritmo drammatico la trattazione storica, espungen- do con decisione idiotismi e barbarismi del « parlato e at- tingendo per esso ad una vivace imitazione di andamenti e usi caratteristici della media borghesia e del popolo fiorentino, rendendo stilisticamente piu concreti i passaggi psicologici e gli incisi morali, ampliando le tonalità umoristiche o soltanto ironiche, onde meglio rendessero quel modo di bonaria con- versazione che vuol essere il linguaggio « intermedio » del ro- manzo. La revisione linguistica e stilistica non è mai stata pe- raltro fine a se stessa, quasi che lo scrittore si volesse soltanto compiacere di vezzi popolareggianti e di locuzioni peculiari del linguaggio familiare. Anzi l'adeguamento stilistico risulta sempre controllato da un superiore ideale artistico, che trova i1 suo modo d'essere sul terreno della realtà. È questo il <( rea- lismo » del Manzoni, un realismo che non ha toni violenti e audaci (o, meglio, li ha rarissimamente: il dialogo dei monatti, qualche scena della carestia e della pestilenza), e che non si gin- gilla in vuoti giochi di parole o in peregrine invenzioni verbali, ma è penetrante osservazione della realtà nella sua dimensione piu alta e piu vera, calibrata dosatura tra i gesti esterni dei personaggi e la loro interna storia spirituale, sapientissimo buonsenso che è in grado di cogliere tutte le evenienze e le possibilità della vita, senza mai stupirsi, senza mai prorompere

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in un grido di aspro biasimo e di dolente esecrazione, cono- cendo anzi del cristianesimo la perenne lezione di umana com- prensione, di affettuosa carità verso gli umili e i sofferenti, di perdono verso gli offensori. I1 dramma di Ermengarda, ancora privato o comunque isolatamente sofferto nell'ddelchi, è di- venuto nei Promessi Sposi la tenuta morale propria di tutta la temperie umana del romanzo, ma con una soluzione alfine positiva, con un <( lieto fine ». Nella tragedia sia Ermengarda che Adelchi muoiono vittime della piu crudele legge bella vita, mentre i due <( promessi sposi » superano tutte le tribolazioni, e, quando scoprano il <( sugo » della loro vicenda, toccano la poca ma non insufficiente felicità che è concessa al cristiano in terra. Si è voluto, talvolta, giudicare sforzato o troppo acco- modante il finale dei Promessi Sposi; ciò potrà eventualmente esser vero su un terreno strettamente narrativo, ma è certo che la soluzione ottimistica (pur da parte di uno scrittore in sostanza pessimista qual fu il Manzoni) è da considerarsi il punto d'arrivo d'un problema spirituale, piii che umano, o non solamente umano.

Dopo qualche indecisione o divergenza visibile soprattutto nel Croce, la cultura contemporanea ravvisa unanime nei Pro- messi Sposi non solo un'opera d'alta temperie letteraria e cul- turale, ma anche d'autentica, schietta poesia. Ed è poesia che nasce dalla mirabile unità dello spirito manzoniano, dove con- fluiscono e perfettamente si fondono elementi diversi: la sua educazione religiosa, venata di giansenismo ma in senso largo, in senso genericamente morale; la sua umanità sottile, acuta, bonaria che sa tollerare i piccoli difetti e non si compiace di pose arcigne; la sua penetrazione psicologica che lo porta a cercare nei propri personaggi, dissimili nettamente gli uni dagli altri, eppur mai astrattamente creati, i piu minuti com- portamenti; il suo senso di solidarietà umena, che lo spinge a prediligere gli umili, i poveri, con tutto il bagaglio delle loro sofferenze e delle loro miserie, in confronto ai potenti, orgo- gliosi e sprezzanti; il suo gusto per un personaggio animato dagli stati psicologici dei personaggi, e quindi un paesaggio romantico, ma senza svenevolezze e inutili preziosità pittori- che e decorative; la sua capacità di raccontare fatti o dram- matici o patetici o comici con lo stesso ritmo composto, ma anche familiarmente semplice e scorrevole; il suo dono del- l'affresco storico, nutrito di alte idealità morali, ma descritto con minuziosa esattezza, con l'obbiettività dello storico di pro-

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fessione, non di un artista che narri incidentalmente e a modo suo fatti storici.

Alla luce di queste considerazioni la lettura dei Promessi Sposi è sempre aderente ai piani d'un rigoroso disegno storico e d'un felicissimo temperamento stilistico, ,ma è anche d'indi- scussa concretezza moralistica. Anche oggi, pur se non si possa dimenticare l'estraneità della problematica contemporanea da molti degli interrogativi e delle soluzioni che presenta la gran- de arte del Manzoni.

SCRITTI STORICI E LINGUISTICI

Si suo1 dire che dopo il 1827 l'attività del Manzoni entri in una fase di declino. Ma in realtà subentrano al poeta lo studioso, lo storico, il pensatore, il linguista. E nascono la Storia della colonna infame, elaborazione d'un episodio del romanzo, il processo agli untori; il discorso Del romanzo sto- rico e, in genere, de' componimenti misti di storia e d'inuen- zione (1845); il Saggio comparativo sulla rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859 (rimasto incom- piuto, e pubblicato postumo); il dialogo Dell'invenzione (1850).

Della storiografia manzoniana non si potrà vantare il ri- gore dell'indagine archivistico-erudita, sebbene lo scrittore ap- paia per lo stato degli studi storici del suo tempo sempre in- formato. e nemmeno l'assoluta obbiettività del eiudizio (il " Croce, ad esempio, non amava Manzoni storiografico o, me- glio, non poteva condividerne l'impostazione moralistica); ma è certo che nelle pagine .della Colonna infame o del Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, si isolano brani di complessa tessitura stilistica e di grande saggezza mo- rale; è uno storico-artista, senza che la qualità dell'uno faccia perdere le doti dell'altro, e tra le doti del vero storico notere- mo, in Manzoni, la capacità di saper cogliere i momenti e mo- tivi salienti fra mezzo la congerie dei fatti, di sentire non sol- tanto la presenza di grandiosi protagonisti ma quella, anoni- ma seppur secondaria, delle masse popolari, oppresse dai po- tenti, sfruttate, sacrificate dalla tremenda legge della guerra. I1 democratico. il liberale Manzoni riesce talvolta a cogliere " connessioni di eventi, suggestioni di vita morale, particolari di costumanze sociali, che soltanto lo studioso d'oggi è in gra- do, dopo .tanti decenni di ricerche erudite, di valutare nella storia del Medioevo barbarico e del Quattrocento delle Signo-

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rente lontananza, e che Dio le permetterebbe di guidarli ancora dal cielo.

Un anno dopo, altra terribile sciagura: la morte della pri- mogenita Giulia, moglie di Massimo d'Azeglio. E non sarà l'ultima, ché dei figlioli avuti da Enrichetta solo due gli soprav- vivono (Enrico, morto nel 1881; Vittoria, andata sposa a G. B. Giorgini e morta nel 1892). Al lutto per i figli s'aggiunge quello per la madre morta nel 1841, e per la seconda moglie, Teresa Borri Stampa, sposata nel 1837, e venuta a morte nel 1861. I1 matrimonio con donna Teresa non ebbe l'intensità e la ricchezza spirituale di quello con Enrichetta, ma la Stampa possedeva quelle doti di equilibrio e di cultura indispensabili all'animo del Manzoni. Non tutti gli amici del poeta ci danno un ritratto entusiastico di donna Teresa, e qualcheduno, anzi, tende a tramandarci un povero Alessandro vittima dapprima di donna Giulia, divenuta beghina e pettegola, e poi della Stampa, autoritaria e diffidente, e anche ammalata, si da ag- giungere ai malanni e alle manie salutiste di Alessandro le proprie ubbie. E alle morti e malattie tengono compagnia le varie preoccupazioni finanziarie, almeno finché, poco dopo l'in- gresso dei Franco-Piemontesi a Milano, Vittorio Emanuele non gli rilascia un adeguato vitalizio (1859), procedendo piu tardi alla nomina di Senatore del Regno (1860); e, non ulti- me, le preoccupazioni familiari per il cattivo esito dei figli Filippo ed Enrico, l'uno dei quali s'indekita per gioco e co- nosce anche la prigione: e il vecchio poeta s'affanna a pagare i debiti e a farlo liberare di carcere, sopportando con grande dignità la sciagurata vicenda.

Pur impegnandosi in vari scritti d'argomento storico e lin- guistico (nel 1850 scriveva la lettera a Giacinto Carena, Sulla lingua italiana; nel 1854 scrive Del sistema che fonda la mo- rale sull'utilità, come appendice al capitolo 111 della Morale Cattolica; nel 1860 scrive la lettera al Boccardo Intorno a una questione di cosi detta proprietà letteraria; nel 1862 avvia il già ricordato saggio La rivoluzione francesz ecc., nel 1862 scri- ve la relazione al ministro della Pubblica istruzione Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, la Lettera intorno al libro De Vulgari Eloquio » di Dante Alighieri, al Borghi la lettera Intorno al Vocabolario e altri scritti linguistici), la sua attività creativa incompiuta viene a cessare quasi del tutto, ove si eccettui il tentativo di un Ognissanti, 1847, significa- tivo per elaboratissime similitudini e ricchezza di lessico. Soleva

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dire, scherzando, che non era piii la poesia che veniva a cer- car lui, ma che egli stesso doveva affannarsi a correrle dietro, il che non gli sembrava piii confacente con l'età. Ma al pro- blema della lingua si applica con passione, avvertendo l'inde- rogabile necessità di addivenire alla comprensione e determi- nazione di quale dovesse essere la lingua italiana. Annoso pro- blema, sul quale il vecchio Manzoni mostra d'aver idee gio- vani, poiché imposta la questione da un punto di vista nazio- nale e sociale: occorre che gli Italiani asbbiano una sola lingua per parlare e scrivere, e che essi si rifacciano alla lingua par- lata a Firenze dalle persone colte:

Sia lecito sperare che l'unità della lingua in Italia possa essere un'utopia come è stata quella dell'unità d'Italia.

Nel suo salotto di via del Morone convengono gli scrittori, gli uomini politici, i personaggi piu insigni della vita cultu- rale europea del tempo. I n quelle serate il vecchio Manzoni si rianima, esce dalla sua solitudine, e conversa con lo spirito vivace e brillante che era stato dei suoi anni giovanili e ma- turi. Dotato di prodigiosa memoria, ricorda fiumi di versi, sor- prende per la precisione delle citazioni e l'acutezza dei giudizi, sia pur con la voce bassa, di tono familiarmente modesto, che gli è abituale.

Ogni mattina, ormai vicino ai novant'anni, si reca alla Messa nella chiesa di San Fedele, ma un mattino nel tardo inverno 1873 scivola sul sagrato e batte il capo. Non si ria- vrà pih completamente, anzi per varie settimane perde la me- moria: i familiari sono costretti a nascondergli la sopravve- nuta morte del primogenito Pietro; quando riacquisterà per qualche tempo l'intelligenza, e saprà della sventura, si aggi- rerà per le stanze vuote cercando e piangendo il figlio predi- letto. La fine sopraggiungerà il 22 maggio del 1873.

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Capitolo dodicesimo

Giacomo Leopardi

La grande personalità del Leopardi, grande in egual mi- sura come poeta e come pensatore, critico, filologo, prosatore, assimila e supera con estrema origitnalità e impareggiabile for- za inventiva i motivi della poetica neoclassica e della filosofia illuministiia, nel momento in cui accoglie del Romanticismo alcune peculiari istanze, che si riallacciano alla linea dominante di meditazioni critiche (sulla storia, sulla poesia, sull'etica, sulle costumanze sociali) del Vico e del Foscolo, respingendo di rimando tutti quei presupposti e risultanze filosofiche che non riteneva rispondenti alle esigenze piu intime del proprio spi- rito. Quel che viene assunto della nuova corrente culturale si rivela cosi profondo e sofferto da consentire una definizione dell'ultimo Leopardi come di poeta vicino alla temperie ro- mantica, e da attribuire alle sue riflessioni filosofiche, di cosi lucida e tenace affermazione materialistica, un ruolo primario e centrale nella storia del pensiero moderno tra il razionali- smo illuministico e il positivismo del secondo Ottocento. Di non meno rilevante importanza appare anche il linguaggio poe- tico leopardiano, apparentemente cosi scarno e persin povero di vocaboli, semplice nella sintassi e nella struttura metrica, eppure di una rivoluzionaria novità espressiva per l'interiore musicalità del verso e per la straordinaria suggestione del rit- mo poetico, tenero e drammatico, limpido e complesso, dolce e vigoroso, e soprattutto eccezionalmente unitario sia quando evoca con malinconia paesaggi infiniti, sia quando si raccoglie nella purissima memoria delle voci e delle immagini del pas- sato.

LEOPARDI NEL SUO TEMPO

I l primo critico leopardiano, nel senso compiuto del ter-

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mine, fu, com'è noto, il De Sanctis; ma, se prima di lui non vi furono organica interpretazione e analitica valutazione del mondo poetico dei Canti, non è nemmeno improprio assegna- re a taluni entusiastici ma penetranti giudizi di Pietro Gior- dani, al saggio del Sainte-Beuve e alle pagine del Gioberti, i momenti piii interessanti della fortuna critica leopardiana. An- che sulla prosa un prosatore come il Giordani ha mosso osser- vazioni suggestive, soprattutto nel contrapporre alla purezza di quella leopardiana la sonorità della propria; ma quanto eb- be a scrivere sul Canto notturno o sulla Ginestra. ceana ben , - piu di un'amicale comprensione, piuttosto un avvio di discor- so intorno alla singolarità del timbro poetico e alla comples- sità del pensiero, nel momento in cui un poeta di schietta ispi- razione romantica come il Poerio. cattolico e democratico. av- vertiva nella liricità dei Canti e nei temi dolorosi un'energica sollecitazione a credere e a sDerare: <( Cosi cantasti del morta1 dolore, / come colui che da pietà costretto / non può celar l'amore / e le vigilie del pensoso petto. / Vien dal profondo e trema di desiro, / e ferve d'intelletto il tuo sospiro / ... / Spesso l'anima mia si fe' profonda / di gioia nel tuo carme, e sol mi dolsi / che dall'affanno tuo pace raccolsi ».

I1 che è, a suo modo, una valutazione squisitamente per- sonale ,ma pur critica, se si guarda al modo con cui un uomo romantico poteva reagire dinanzi ai Canti; altrettanto come resta altamente significativo il giudizio dello Schopenhauer, che aveva accomunato se stesso, Byron e Leopardi come i piii grandi pessimisti dell'età. Non ebbe modo o non volle dire di lui come poeta il Manzoni, il quale però tributò grandi lodi allo stile delle Operette morali: << O n n'a pus fait assez d'at- tention à ce petit volume: comme style on n'a peut-?tre rien écrit de mieux dans la orose italienne de nos iours ». È Dro- babile che nel ~ a n z o n i , ' ~ u r sempre cosi acuto 'e spregiudiCato nei giudizi, dovesse costituire una forte remora il pessimismo materialistico del Recanatese: fenomeno che si verifica in tutti o quasi i critici cattolici, dal Tommaseo al Capponi, dal Col- letta al Cantu, ma non certamente nel Gioberti; il quale nel Primato e nel Gesuita moderno analizzò con precisione i con- tenuti filosofici del Leopardi, pose in chiaro rilievo i rapporti che essi hanno col pensiero illuministico, avverti l'organicità della meditazione leopardiana, e senti nel fondo di quella di- sperazione una insopprimibile istanza etica, alimentata da un cuore che <( per una felice contraddizione seppe amare la vir- tu, benché la credesse una chimera dell'immaginazinne ».

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Di notevole importanza storica è il saggio del Sainte-Beu- ve, pubblicato nel 1844, documentato fino al punto di tra- durre in francese alcune liriche, e incentrato nel riconoscimen- to del Leopardi come esponente del titanismo romantico, pur separandolo dagli altri interpreti in viri6 suo stile classico. Criticamente p& rinnovante il giudizio del Montani, piii volte ribadito nel corso di recensioni alle edizioni dei Canti: ma- linconia e pregnanza di linguaggio, vedute nello svolgimento della produzione paetica, la prima dagli entusiasmi delle can- zoni giovanili all'abbandono di « ogni grata illusione », la seconda in un trapasso dalla solennità delle prime prove ad un'espressione a grado a grado rendendosi piu semplice, piu chiara, piii patetica ».

Giacomo nacque a Recanati il 29 giugno del 1798, pri- mo figlio del conte Monaldo e di Adelaide Antici. Monaldo (1776-1847) era uomo di studio, innamorato della propria bi- blioteca, tradizionalista in letteratura, conservatore e reazio- nario in politica (lo provò largamente con i suoi Dialoghetti delle materie correnti nell'anno 1831 ). Uomo d'animo mite, ma debole di carattere e incapace di amministrare convenien- temente i beni alquanto dissestati della famiglia, lasciava che vi provvedesse con.ilnflessibile rigidezza la moglie, donna sag- gia ma di temperamento freddo e di carattere imperioso, cui si è rivolta l'accusa di aver creato attorno al figlio Giacomo e agli altri ragazzi, Carlo (nato nel 1799), Paolina (nata nel 1800), Luigi e Pier Francesco, un'atmosfera poco affettuosa che fu causa non secondaria dell'infelicità del poeta.

Scriverà Carlo, vari anni dopo la morte del grande fra- tello: « Noi fratelli ricevemmo in casa u,na severa educazione, e un'istruzione forse migliore di quella dei collegi. La nostra biblioteca e l'amore di nostro padre agli studj tennero luogo di maestri insigni e di esempi. Io loderò sempre nostro padre d'averci tenuti presso di sé. La fanciullezza di Giacomo passò fra giuochi e capriole e studi; studi, per la sua straordinaria apprensiva, incredibili in quella età. Mostrò fin da piccolo indole alle azioni grandi, amore di gloria e di libertà arden- tissimo ».

Dapprima Giacomo studiò con un precettore (don Vincen- zo Diotallevi) e con l'abate Sebastiano Sanchini; ma il vero

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maestro negli anni della puerizia fu il padre stesso. Sbalordi- tiva la precocità del Leopardi: a dieci anni dà coi fratelli il primo saggio di studi, a undici traduceva dal greco e dall'ebrai- co; e andava scrivendo componimenti in italiano di vario ar- gomento e metro, anche Epigrammi e due tragedie: La virtzi indiana e Pompeo in Egitto. Dalle ricerche erudite e filologi- che s'attendeva la gloria e sempre pi6 si impegnava in opere d'erudizione, indubbiamente tali da porre in rilievo una peri- zia tecnica fuor del comune. Frutto di cosi singolari studi na- scono la Storia dell'astronomia (1813) , la Porphyrii de vita Plotini (1814) , il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi ( 1815), la traduzione della Batracomiomachia ( 1815, rifatta poi nel 1821-22 e di nuovo nel 1826), versioni da Mosco, Frontone, Virgilio, Omero, Esiodo, Dionigi d'Alicarnasso.

La traduzione del secondo libro dell'Eneide, pubblicata nel 1817, gli procurò le lodi del Monti, del Mai e soprattutto del Giordani, che, fattosi ammiratore del giovane Leopardi, iniziò con lui un fitto carteggio, nutrito di affettuosa amicizia, e gran- demente gli giovò nella formazione letteraria e stilistica. Ani- mato da siffatti incoraggiamenti il Leopardi continuò a studiare in una frenesia, o come egli stesso disse, 6 studio matto e di- speratissimo », che gli logorò la salute; il corpo che non era mai stato sano e vigoroso, si deformò; l'indole gli si volse sempre pi6 alla malinconia, alimentata dalla repulsione per il gretto provincialismo di Recanati.

La produzione poetica, se si eccettua qualche accento del- l'idillio Le rimembranze e della cantica Appressamento della morte ( 1 8 1 6 ) , non rappresenta ancora l'espressione di un'inti- ma sensibilità, ché volge piuttosto a temi cari all'imperante gusto neoclassico seppure con non comune perizia tecnica. Gio- verà ricordare inoltre la prova satirica dei Sonetti in persona di ser Pecora fiorentino ( 1817), contro Guglielmo Manzi, ac- canto a Il primo amore, scritto per l'affetto verso la cugina Gertrude Cassi, accanto alla celebrazione dell'amore patrio e della gloria (donde la canzone All'ltalia, del 1818, e la can- zone Sopra il monumento di Dante, dello stesso anno); co- mincia a profilarsi la tematica sentimentale del Leopardi; e nascono L'infinito, Alla Luna, I l sogno, La sera del di di festa, La vita solitaria, Lo spavento notturno, i cosiddetti Idilli. Ap- presta poi gli abbozzi di due dialoghi, d'una novella (Senofonte e Machiavello), di alcuni Inni cristiani.

Degli Idilli si hanno due copie autografe: una è nel plico XIII dei manoscritti napoletani, e l'altra è in un codicetto che

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si conserva nell'archivio del comune di Visso. Eccettuato 11 So- gno che venne pubblicato anonimo in un giornale bolognese, 11 Caf fè di Petronio, il 1 3 agosto del 1825, gli Idilli furono pubblicati in due successive puntate del Nuovo Ricoglitore di Milano, nel dicembre del '25 e nel gennaio del '26, in un testo che, pur derivato dalle carte napoletane, presenta tuttavia trac- cia d'un'attenta revisione formale. Si pone qui il problema se il primo getto dell'lnfinito sia veramente quello dell'autografo napoletano, ovvero se questo rappresenti invece uno stadio ul- teriore nell'elaborazione degli idilli, avvenuto all'incirca alla vigilia della pubblicazione del '25. La seconda soluzione sem- bra pi6 probabile, e quindi la data di composizione dell'lnfinito (1819) si deve intendere relativa ad una prima ideazione non facilmente ricostruibile, anche se non difettano i materiali, dapprima in prosa, ma già ricchi di suggestioni ed inflessio- ni caratteristiche della celebre lirica. Attraverso molti stadi intermedi si giunge alla compiuta formulazione dell'autogra- fo napoletano, alla stampa sul Nuovo Ricoglitore, e infine alla successiva edizione dei Versi (stampa molto importante: VERSI / DEL CONTE / GIACOMO LEOPARDI / Bologna 1826 / dalla stamperia delle Muse, Strada Stefano n. 76 / Con appro- vazione; contiene i sei idilli, le due Elegie, i cinque Sonetti in persona di Ser Pecora fiorentino beccaio, la Epistola al Conte Carlo Pepoli, la Guerra dei topi e. delle rane, e il Volgarizzu- mento della satira di Simonide sopra le donne).

I1 1819 fu per il Leopardi un anno gravissimo. Costretto a interrompere ogni lettura per una malattia agli occhi, pi6 acutamente senti la monotonia e la ristrettezza dell'ambiente provinciale, la chiusa e fredda atmosfera familiare, la pena del- la propria debolezza fisica. Anelando a una vita piu libera r intensa, in un mondo che meglio lo apprezzasse, meditò di fuggire, ma il tentativo fu scoperto a tempo, e sventato. Ri- prende alacremente l'elaborazione delle canzoni: Ad Angelo Mai (gennaio 1820), Nelle nozze della sorella Paolina e A un vincitore nel pallone (ottobre-novembre 1821), Bruto minore (dicembre 1821), Alla Primavera (gennaio 1822), Ultimo canto di Safio (maggio 1822), Inno ai Patriarchi (luglio 1822). Nel novembre dello stesso 1822 poté, e questa volta con il per- messo dei genitori, recarsi a Roma per alcuni mesi (sino al maggio del 1823). Ma il soggiorno romano lo deluse: troppo aveva lavorato di fantasia, immaginando meraviglie di ogni residenza che non fosse Recanati; la realtà gli si palesava in- vece diversa, ed egli giudicò Roma ancor pifi severamente di

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auel che in effetti meritasse. Tornato a Recanati. si dà nuova- mente ad un lavoro « disperatissimo »: compone la canzone Alla sua donna (settembre 1823), volgarizza la Satira di Si- monide sopra le donne; in poco tempo scrive quasi mille pa- gine nella sua raccolta di memorie e d'appunti, lo Zibaldone; pubblica a Bologna (1824) le Canzoni; sempre nel 1824 co- mincia a scrivere una serie di dialoghi d'argomento filosofico, le Operette morali, alla cui limatura attende poi l'anno succes- sivo e che pubblicherà a Milano nel 1827.

Viene il momento d'una grande speranza con la possibilità di trasferirsi a Milano (1825), ospite e stipendiato dall'editore Antonio Fortunato Stella, per il quale si mette a preparare traduzioni, edizioni di testi classici, un commento del Petrarca (pubblicato questo nel 1826), due antologie, che egli chiama 6 crestomazie D della prosa e della poesia italiana, uscite ri- spettivamente nel 1827 e nel 1828.

Anche della vita milanese si stanca, e va a Bologna, dove continua a lavorare per lo Stella, ma frequenta un ambiente letterario piu cordiale (Bologna a città quietissima, allegrissi- ma, ospitalissima », « piena di letterati italiani », e tutti di buon cuore »); e quivi pubblica, come abbiam visto, gli idilli col titolo di Versi (1826).

Una nuova illusione: la sDeranza. ben Dresto infranta. di conseguire la nomina a professore alla Sapienza di Roma, an- che se poco gradisce di ritornare in una città che non gli aveva destato simpatia.

Dopo sedici mesi di lontananza, anche pel timore di dover sopportare i rigori dell'inverno bolognese, decise di svernare nella casa paterna a Recanati. In primavera però era di nuovo a Bologna; per poco, tuttavia, ché nell'estate, sollecitato dal Giordani, si trasferi a Firenze, in quegli anni centro alacre di cultura. col Vieussieux e il C a ~ ~ o n i e la loro Antolo~ia. Ma . L l'ambiente letterario non lo entusiasmò (senza alcuna eco nel suo animo fu la conoscenza del Manzonil. o forse i letterati

C , . -

poco si interessarono di lui, compreso lo stesso Giordani, trop- po distratto da impegni mondani. Onde, con l'approssimarsi dell'iaverno, preferi trasferirsi a Pisa, dove il clima s'annunciava piu mite; e nella dolce'calma della città toscana gli si riapri il cuore all'amore della poesia che in tutti questi anni aveva taciuto; una tranquillità, sia pure malinconica ma quale mai ebbe poi a godere, gli dettò i canti I l Risorgimento e A Silvia (aprile 1828), e lo consolò dello scarso successo avuto dalla piibblicazione delle Operette morali.

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Rifiutata l'offerta d'una cattedra all'U8niversità di Bonn. scaduto 'il contratto con lo Stella, fu obbligato ad un nuovo triste ritorno nell'« orrenda notte » di Recanati (1828). dove , ,

ormai contava di rinchiudersi fino agli ultimi giorni; in casa trovò un ambiente ancor piu triste per la morte del fratello Luigi e il contrastato matrimonio dell'altro fratello, Carlo. I suoi disperati appelli agli amici perché gli trovassero un altro impiego, cadevano nel vuoto. Da uno stato d'animo simile na- scevano Le ricordanze, il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio: i cosiddetti « grandi idilli P, col Risorgimento e con A Silvia la stagione poeticamente centrale dell'esperienza lirica leopar- diana.

Delusione grande provò in quel tempo col partecipare con le Operette morali ad un premio della Crusca per la piu bella oper'a pubblicat'a nel 1827, ché gli fu anteposto Carlo Botta. Per merito di una sottoscrizione promossa da Pietro Colletta poté poi godere di un assegno che gli avrebbe consentito di lavorare a Firenze, ed egli vi tornò (1830), pubblicando, presso l'editore Piatti, l'edizione completa dei Canti (1831). A Firen- ze divenne amico del na~oletano Antonio Ranieri. e con lui poi, unendo le loro 'magre risorse economiche, visse fino alla morte, in u'n sodalizio che ebbe momenti di aspri contrasti ma che in qualche modo gli consenti una vita piu sicura.

Frattanto non veniva meno in lui l'assidua attività di filo- logo classico e di critico letterario: le note a Platone (del '23), le chiose al testo di Flavio Merobaude (dello stesso anno), il volgarizzamento di Isocrate e di Epitteto, gli studi sui para- dossografi, le note a Libanio e ai retori greci, quelle ai papiri pubblicati dal Peyron; infinite congetture e postille e glosse nello Zibaldone.

Durante il erio odo fiorentino conobbe anche un'affascinan- te donna, Fanny Targioni Tozzetti, nella quale si è voluto con eccellenti argomenti identificare l'ispiratrice dell'ultimo, de- luso sogno d'amore, e di alcune liriche disperate ( I l pensiero dominante, Amore e morte, R se stesso, Aspasia) scritte in quegli anni. Quando il Ranieri s'allontanò per andare a Napoli, Giacomo restò per qualche tempo, cupo e solitario, a Firenze, ammalato agli occhi, indebolito nel fisico e a tal segno privo di ogni risorsa che, con disperate parole, fu costretto a chiedere un modestissimo aiuto finanziario alla famiglia. Nel 1833 de- cise di raggiungere l'amico a Napoli, e la sya salute ebbe qual- che periodo di miglioramento, onde egli poté attendere a una

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nuova e definitiva edizione delle Operette morali e dei Canti ( i quali uscivano nel 1835 presso l'editore Starita), e ad altri componimenti poetici, tra cui La Ginestra e Il tramonto della luna. Scrisse anche i Centoundtci pensieri, e riprendendo un'opera classica che gli era stata cara negli anni giovanili, i Paralipomeni della Batracomiomachia, poemetto satirico in ot- tava rima che prende ad argomento, sotto veste della guerra tra le rane e i topi, fatti e personaggi della vita politica con- temporanea.

A Napoli poco frequentò l'ambiente letterario, e poco da questo venne ricercato. Un'epidemia di colera lo costrinse a fuggire la città per la villa Ferrigni sulle falde del Vesuvio (aprile 1836), senonché nel frattempo era colpito da una for- ma grave d'idropisia, complicatasi con un attacco d'asma. Rien- trato iin città (febbraio del '37), poco dopo venne a morte: 14 giugno del 1837. Le sue spoglie furono tumulate nella chiesa di Fuorigrotta dove gli amici riuscirono ad erigere un monumento sepolcrale per il quale il Giordani dettò l'iscrizione.

IL PENSIERO LEOPARDIANO

La storia a un tempo spirituale e letteraria del Leopardi si muove lungo una linea di sviluppo che non è soltanto dei Canti e nei Canti, ma che trova il proprio fondamento filoso- fico e una delle piu originali fonti d'ispirazione nei Pensieri, nelle Operette morali e nello Zibaldone. Ma, apprese le carat- teristiche della sua meditazione sugli interrogativi dell'uma- nitA tormentata, soltanto nei Canti e in parte nello Zibaldone è dato ritrovare la sublimazione poetica del fantasticare e me- ditare. Infatti nei Pensieri il problema del pessimismo leopar- diano è ridotto in aforismi, e risulta tarpata l'ala dell'effusione patetica.

Non diversamente le Lettere sono documento fortissimo di una mente in rapida e solida formazione culturale, di una sen- sibilità che si va facendo via via piu dolente, e s'adombra di cupi indistinti presentimenti di morte, sempre conservando, tuttavia, un tratto virile di austera e forte meditazione. E, tal- volta, documento anch'esse di una poesia <{ in fieri », che s'av- verte in certe magiche aperture di paesaggio, in desolate vi- sioni delle tristi ore recanatesi. Nello Zibaldone, invece pa- gine di prosa superba, ove è dato .rintracciare ia confessione diretta e fresca di certi stati d'animo che sono divenuti poesia

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nei Canti, oppure il documento del quotidiano svolgersi, in quell'intelletto possente, del ripensamento, tipicamente leopar- diano, su questioni di carattere letterario o storico, stilistico o filosofico, oppure sui fatti della sua vita passata e presente. Tutto, perciò - prosa d'immaginazione, prosa filosofica, prosa di memorie, prosa epistolare -, serve a preparare, di stagione in stagione, il nutrimento alla gran,de voce della poesia. Tutte le pagine di prosa del Leopardi recano l'orma della sua fonda- mentale esperienza, che è di poeta; le riflessioni amare e gli stati d'animo appassionati cessano, nei Canti, di divenire « do- cumento umano » per entrare nella luce della poesia; ma, al tempo medesimo, la vocazione lirica, il senso magico e splen- dente della lingua, l'inesauribile immaginazione, la ricchezza delle reminiscenze culte donano alle pagine delle Operette morali e dello Zibaldone una loro indubbia autonomia di crea- zione artistica.

I1 complesso delle meditazioni leopardiane sulla vita andrà dunque visto unitariamente in ogni suo scritto e di prosa e di poesia, in ogni momento in cui la tragica desolazione si riflette e prende coscienza di se stessa; una desolazione che non pietrifica il cuore e arresta i moti dell'intelletto, invece agita l'uno e l'altro man mano che si fa piu profonda e angosciata. I1 pessimismo leopardiano potrebbe apparire statico e passivo se fosse un puro schema metafisico; ma una volta che è immesso nella vita sentimentale del poeta, esso acquista una virile ca- pacità d'effusione e d'eccitazione intellettuale. Piu amaro il disinganno, piu crudele la beffa del fato, piu schiacciante il peso della natura matrigna; e per converso diviene piu caldo di moti e libero di sensi l'ani,mo del poeta, nel constatare come l'uomo sia perennemente infelice perché, dotato di ra- gione, cerca di rendere ragionevole ciò che non lo è: la vita; e s'affanna a conoscere quel che non potrà mai conoscere: la realtà, la quale non vive al di fuori delle cose materiali e non si traduce mai in idealità:

Tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione, della quale ogni uomo anche savio, ma pifi tranquillo, ed io stesso certamente in un'ora pifi quieta conoscerò la vanità e l'irragionevoleiza e l'immaginario. Misero me, è vano, è un nulla anche questo mio dolore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi in un vòto universale e in un'indolenza terribile che mi farà inca- pace anche di dolermi.

L'incalzante inappagabile ricerca rende l'uomo in uno stato

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di perpetua sofferenza; egli vuole godere la felicità, e I'accor- gersi, dopo un breve periodo d'illusione rappresentato dall'età della fanciullezza, che non godrà mai di questo bene, lo affon- da in una tristezza senza fine. Come l'uomo, quand'è fanciullo, s'appaga della sua immaginazione e di ciò che vede, ma poi, fatto adulto, s'accorge di non poter scoprire la causa del male e soffre, cosi il genere umano, uscito fuori dal felice periodo della vita primitiva, non fa che avvedersi, via via che scorrono i secoli, di quanto profondo sia il baratro dell'infelicità.

La consapevolezza di questo stato di sofferenza rende inu- tile dunque, per il Leopardi, ogni credenza in una religione, e nel cristianesimo in particolare, e negativo è l'apporto della ragione quand'essa, consentendo la conoscenza che è dolore, accresce l'infelicità dell'uomo; vana è pure ogni speranza in una redenzione dell'uomo col soccorso del progresso della ci- viltà, come s'illudevano gli illuministi.

Ma anche nel pessimismo leopardiano nulla è statico e ri- gidamente chiuso, poiché indagando sempre piu a fondo nel mistero dell'infelicità umana, il filosofo si convince che la na- tura stessa ha voluto creare infelice l'uomo, ed è una natura crudele, che si è ferocemente divertita a coprire la vita umana di ogni sorta di affanni e di amarezze. Tra tutti i mali che si riversano sull'uomo, il piu significativo è la noia, che dà alla nostra vita il segno dell'insoddisfazione e della stanchezza, in un clima di delusione, quando l'uomo contempla lo svolgersi delle stagioni e della vita quasi estraneo e incantato, senza che nessuna passione gli animi il cuore e nessun travaglio in- tellettuale occupi la mente.

La poesia dei Canti in parte scaturisce da questo tessuto di riflessioni, e in parte lo supera e lo riscatta allorché s'accen- de nell'animo ulna vibrazione attiva e dinamica che si distacca dalla materia ragionativa e può vivere di vita autonoma, nu- trendosi di interessi vari e contrastanti, traboccanti di calore patetico nel contemplare l'umanità prostrata sotto gli scherni della natura matrigna.

Leopardi, quando manifesta d'odiare la natura, pur con- templa con un amore infinito le splendide sembianze ingan- natrici con le quali essa si presenta agli uomini; da questa contemplazione nascono paesaggi mirabili di nitidezza lirica:

sotto limpido ciel tacita luna,

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La letteratura italiana

oppure :

il ciel sereno, le vie dorate e gli orti,

o altrove il

biancheggiar della recente luna;

quegli incomparabili paesaggi leopardiani cantati con una te- nerezza struggente, con un doloroso magico sgomento; e al di là dei paesaggi, il senso incombente di un misterioso infinito, percepito come un richiamo appassionato della memoria.

È questa, or dunque, quella poesia sentimentale D di cui Leopardi parla nello Zibaldone:

giacché il sentimentale è fondato e sgorga dalla filosofia, dall'espe- rienza, dalla cognizione dell'uomo e delle cose, in somma dal vero;

poesia legata alla <( copia e alla vivezza D delle rimem- branze », delle

immagini piacevolissime e poeticissime che tengono del fanciul- lesco.

Ma l'età della fanciullezza rappresenta soltanto un fugge- vole periodo di illusione, poiché l'uomo presto s'avvede che non potrà mai godere la felicità (le indimenticabili immagini di A Silvia o le rapite reminiscenze di arcane voci delle Ricor- danze). La consapevolezza di questa condizione rende inutile non solo la credenza in una religione (onde le aro le dei Nuovi

u

credenti), ma pure la speranza, tipicamente illuministica, fatta propaia dal Romanticismo e derisa dal Leopardi nei Paralipo- meni e nella Ginestra, nelle magnifiche sorti e progressive ».

Se questa è la filosofia » del Leopardi, e se essa negli anni maturi si va sempre pih avvicinando ad un tipo di mate- rialismo che lo fa sensibile agli influssi di Helvétius e di d'Hol- bach, è bene però precisare come il suo sentimento lirico si at- tui pienamente nel contemplare l'umanità e la natura, e quan- do sembra denunziare odio per quest'ultima, pur ne coglie il fascino nelle splendide linee dei paesaggi che traducono, oltre eli orizzonti di Recanati. il senso incombente di un misterioso " infinito. In uno stadio successivo e pici maturo le meditazioni leopardiane mostrano di aprirsi ad una visione attiva e parte- cipe del mondo. L'uomo sente in sé il bisogno di cercare i propri simili, di affratellarsi, in una lotta chg è la ragione

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stessa della vita. Uno slancio, di schietto tipo romantico, esalta il poeta e lo rende consapevole e pugnace. È la combattiva poetica della Ginestra.

I L LEOPARDI E L E P O L E M I C H E ROMANTICHE

Gli inizi leopardiani sono i,mprontati ad un rigoroso clas- sicismo settecentesco, riecheggiante motivi del Monti e anche dell'Alfieri in qualche canzone patriottica. La complessa meta- morfosi successiva non DUÒ ~ e r ò essere esclusivamente attri-

A .

buita al nuovo verbo romantico. I1 Leopardi è al corrente delle polemiche che si scatenano in Italia, vi partecipa con una lettera alla direzione della Biblioteca Italiana e col Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, ma egli ha già scritto Le rimembranze e Appressamento della morte, due liriche, quest'ultime, che chiaramente rivelano come la poesia del Leopardi sia ormai orientata verso nuovi moduli. Natural- mente anche la materia infuocata della nuova poetica lo at- trasse: scrisse infatti nel 1819 Per una donna inferma e Nella morte di una donna, canzoni di truce argomento tolto da epi- sodi contem~oranei.

Tuttavia questi motivi aveva combattuto nel Discorso, mentre d'altra parte aveva consentito alla reiezione romantica di tutte le regole, dell'imitazione e della mitologia. I1 Leopar- di giovane, al tempo delle piii accese polemiche romantiche, cerca soprattutto le affezioni e l'immaginare a primitivo D del- la poesia antica, modello ideale del proprio sentire lirico e identifica il valore poetico del linguaggio nel rapporto tra fan- ciullezza e simbolo lirico, affermando la bellezza e la naturale spontaneità delle favole antiche, in quanto vive in esse il de- siderio, tipico degli uomini non soltanto antichi, di popolare il mondo di persone umane, come avviene nella poeticissima fantasia dei fanciulli. Le idee dei romantici gli sembrano e con- fuse e gregge e scombinate e in gran parte ripugnanti »; i ro- mantici hanno il torto, aggiunge il Leopardi, di allontanare l'ispirazione poetica dai sensi e

farla praticare coll'intelletto e trascinarla dal visibile all'invisibile e dalle cose alle idee, e trasmutarla di materiale e fantastica e cor- porale che era, in metafisica e ragionevole e spirituale.

Per il Leopardi lo sviamento dei romantici dalla tradizione non consiste in una distruzione dell'apporto razionale a vantag-

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gio del sentimento, ma nel motivo opposto, e cioè nello sviare la poesia dai sensi e nel farla << praticare con l'intelletto P, de- gradandola << dal visibile all'invisibile, e dalle cose alle idee », distruggendo le possibilità del fingere e, quindi, dell'illusione, e non comprendendo (come appunto fa Leopardi nel Discorso) che i poeti antichi non miravano a illudere gli intelletti ma le fantasie, e infatti i poeti debbono illudere sia che mettano in movimento gli angeli di Milton che gli spettri del Burger o le befane del Southey, avendo di mira quello che è l'ufficio della poesia

ch'è imitar la natura, e al fine, ch'è dilettare.

Capovolgendo le opinioni dei romantici li1 Discorso finisce per affermare che è popolare la poesia classicistica, mentre quella romantica, perché << metafisica e aderente alla ragione e << dottissima P, poco può essere adatta al popolo. Quanto alla rappresentazione della natura, poiché questa è immutabile nel tempo per quanto gli scienziati si sforzino di penetrarne i segreti, il poeta non ha la possibilità di modificare il proprio rapporto con essa, e dovrà quindi cercare di mettersi con la fantasia, come meglio può, nella stessa condizione in cui si trovavano gli antichi, accettando in pieno quella

nostra irrepugnabile inclinazione al primitivo, e al naturale schietto e illibato,

il gusto che è innato nell'uomo di contemplare i vaghi aspetti della natura << vergine e intatta D, e che è per l'appunto con- nesso strettamente con le memorie e le immaginazioni che erano degli uomini quando ancora erano fanciulli, e conversa- vano con la natura,

quando in nessun luogo soli, interrogavamo le immagini e le pareti e gli alberi e i fiori e le nuvole, e abbracciavamo sassi e legni.

È ben evidente che con questo concetto d'una poesia che aspiri al primitivo e alle illusioni fanciullesche, siamo nel cen- tro vitale della poetica giovanile del Leopardi, quella di Allr! Primavera o delle favole antiche e dell'Ultimo canto di Sa fo , quanto alla visione della natura, e soprattutto quella degii Idilli per l'acuta sofferta sensibilità per i sogni e le passioni della puerizia:

Ma qual era in quel tempo la fantasia nostra, come spesso e fa-

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Dal Goldoni ai Romantici 289

cilmente s'infiammava, come libera e senza freno, impetuosa e istancabile spaziava, come ingrandiva le cose piccole, e ornava le disadorne, e illuminava le oscure, che simulacri vivi e spiranti che sogni beati che vaneggiamenti ineffabili che magie- che portenti che paesi ameni che trovati romanzeschi, quanta materia di poe- sia, quanta ricchezza quanto vigore quant'efficacia quanta commo- zione quanto diletto ...

Le.affinità e addirittura coincidenze tra il primitivo e il fanciullesco sono sempre ricorrenti nel Leopardi del Discorso e dello Zibaldone in stretta connessione coi caratteri della poesia antica e in aspra opposizione ai romantici:

'

quelle [le immagini e la fantasia degli antichi e le ricordanze della prima età] che i romantici bestemmiano e rigettano e sbandiscono da1,la poesia, gridando che non siamo pih fanciulli: e pur troppo non siamo; ma il poeta deve illudere, e illudendo imitar la natura, e imitando la natura dilettare.

Nel tempo presente, nel sapere e nelle usanze della sua epoca, il ventenne poeta della canzone All'ltalia non può tro- vare la possibilità d i effigiare la natura e d'esprimere le illu- sioni che si agitano nel suo animo:

Che natura o che leggiadra illusione speriamo di trovare in un tempo dove tutto è civiltà, e ragione e scienza e pratica e artifizi.

Né è d a sperare, come aveva proclamato il D i Breme, che la civiltà e l'affratellamento tra arti e scienza possano suscitare nuovo vigore alla fantasia dei poeti; può ciò solo la sconfinata libertà dell'immaginazione cosi come l'avevano gli antichi, non incatenati dai ceppi della ragione che è nemica formale » del- la natura e nemica « nelle cose umane di quasi ogni grandezza».

Occorre tuttavia soggiungere che il Leopardi, forse proprio per la specifica impostazione che al dibattito aveva dato Lo- dovico di Breme, sopravvaluta l'elemento intellettuale della poetica romantica e non percepisce appieno la forza passionale d'essa, se dice nel Discorso che

una delle principalissime differenze tra i poeti romantici e i nostri, nella quale si riducono e contengono infinite altre, consiste in que- sto: che i nostri cantano in genere piu che possono la natura, e i romantici piu che possono l'incivilimento, quelli le cose e le forme e le bellezze eterne e immutabili, e questi le transitorie e mutabili, quelli le opere di Dio, e questi le opere degli uomini.

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Se si dovesse esemplificare, alla data del 1818, quest'as- serzione leopardiana, si verrebbe a concludere che il Manzoni non aveva celebrato le <( bellezze eterne e i'mmutabili D, le <( opere di Dio D, e il Monti sì; e che il tema del paesaggio solitario, magari <( la luna su di un lago o in un bosco D, come è detto nel Discorso di un italiano, non sia tipicamente roman- tico. Vero è che gli esempi romantici che il Leopardi aveva dinanzi a sé, erano stranieri, diciamo lo stesso Giaurro di By- ron, e ch'egli aveva sin da1 '18 chiaramente inteso la genericità e provvisorietà di tanto bagaglio romantico di frasi e vocaboli terrificanti e strani,

misfatti atrocissimi, cuori e menti d'inferno, stermini subbissi orrori diavolerie strabocchevoli,

donde la necessità di ritornare ad un linguaggio puro ed essen- ziale e a contenuti piu casti e misurati, degni di poeti che siano <( cigni » e <( non corvi che volassero alle carogne ».

Per tutte queste considerazioni, e per quella che ad un certo momento appare decisiva e centrale nel Discorso di un italiano (è assai difficile ora rappresentare il primitivo a causa delle alterazioni a cui è stata sottoposta la natura), il Leopardi giudica necessario lo studio della poesia antica, poiché essa è opera di uomini che invece poterono conoscere e gustare le vere bellezze della natura. E se qualche poeta moderno riu- scisse, per avventura, a scoprire da solo la natura, sarà pur sem- pre necessario l'aiuto degli antichi per ben imitarla e rappre- sentarla: donde l'utilità dello studio delle favole antiche ». che sono

bellissime dolcissime squisitissime, fabbricate sulla natura.

E nega, poi, che il << patetico D, il <( sentimentale P, ciò che ha colore di malinconia », sia caratteristica propria dei romantici, e ne rintraccia esempi in Omero, in Virgilio e nel Petrarca, esempi appunto di <( sensibilità che è tanto piu alta e pura di quella che fa

ridondare le botteghe di Lettere sentimentali, e Drammi sentimen- tali, e Romanzi sentimentali e Biblioteche sentimentali,

frutto di. <( ferocia e di << bestialità rispetto invece alla <( delicatezza >> e <( tenerezza >> e soavità del <( sentimentale antico e nostro P, insomma di quella tradizione poetica classica

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e italiana per il cui studio le ultime pagine del Discorso leo- pardiano si accendono d'inlfuocata ammirazione e di fervido incitamento ai Giovani Italiani.

I1 18 luglio del 1816 il Leopardi aveva scritto a Recanati (e spediva subito dopo a Milano) la Lettera ai compilatori del- la Biblioteca Italiana in risposta a quella di Mad. la Baronessa di Stael Holstein ai medesimi; la Lettera, come' una preceden- te spedita il 7 maggio dello stesso '16, non venne pubblicata dal periodico milanese, e apparirà soltanto nel 1906 negli Scritti vari inediti. I1 Leopardi non nega che si debbano co- noscere e considerare e notomizzare diligentemente le trage- die e le commedie francesi P, ma 1s pedissequa imitazione ri- schia di privare l'Italia d'un teatro proprio, e non si deve far un paragone tra l'esperienza delle scienze, che << fanno pro- gressi tutto giorno », e quella delle lettere, legate fortemente - come si può implicitamente dedurre dal testo leopardiano - ad una lenta evoluzione all'interno della tradizione nazionale, la quale si compone anche di vario patrimonio storico-culturale, e non necessariamente deve riempirsi di nozioni assunte da ogni parte. Se esiste (ed è proprio il prossimo autore della canzone All'ltalia e di quella Sopra il monumento di Dante ad affermarlo) una decadenza delle patrie lettere, ciò è dovuto a <( scarsa vaghezza di mettere a frutto l'ingegno proprio P e non a <( poca lettura », e infatti

scintilla celeste, e impulso soprumano vuolsi a fare un sommo poe. ta, non studio di autori, e disaminamento di gusti stranieri.

Uno studio eccessivo della letteratura d'oltralpe non può servire ad altro che ad impedirci di pensare P, a riempire l'Italia di poetuzzi, ad appesantire la lingua italiana di fraseo- logie forestiere, ad ostacolare il libero insorgere del sentimento o della fantasia creatrice, a privare il poeta di gustare appieno l'originalità e la bellezza dei Greci e dei Latini, a non sentire

la vera castissima santissima leggiadrissima natura D attra- verso una diretta contemplazione d'essa ma per il tramite delle immagini e delle << esagerazioni » delllOssian o di altri testi poetici nordici. Non è ancora la poetica tipicamente leopar- diana del Discorso.di un italiano intorno alla poesia roman- tica, con le sue lampeggianti novità sull'idea stessa della poesia, ma la Lettera ai compilatori esprime con pari nettezza l'adesio- ne, da un lato, alla tradizione classicistica, e d'altro canto la consapevolezza di un originale 7 status n poetico che nasca dal sentire nell'intimo le passioni .e dal contemplare direttamente

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la bellezza e varietà dei paesaggi naturali, o insomma le voci del cuore e le voci della natura dei piu alti momenti dei Canti del Leopardi in quanto celebrate e riconosciute come le fonti ispiratrici del potere dell'immaginazione fantastica pura e in- genua e immediata. Nel momento in cui il Discorso di un ita- liano esprime il rifiuto della vittoria dell'intelletto (nella Let- [era ancora soltanto della cultura) sul sentimento e la necessità della libertà creativa della fantasia poetica, i1 Leopardi si pone inconsapevolmente su una posizione piu << romantica P di quel- la di un Di Breme, che s'impegnava invece ' a , <( conciliare » (con gli altri amici che fonderanno per l'appunto il Conciliato- re) la poesia con l'ideologia, la favola antica con la ragione, e in questa posizione romantica P del Leopardi vivono, inoltre, tutte le grandi componenti della tematica romantica, la morte e l'infinito, la noia e la solitudine, il dolore e la ribellione.

L E CANZONI

Di tutto ciò che era accaduto o stava accadendo in Italia, il Leopardi nelle canzoni civili mostra d'avere una cognizione in parte diretta, in parte astratta. La sua canzone All'ltalia, che ha indubbie doti di sincerità morale e di vigore oratorio. è del 1818, ma poteva essere scritta da un letterato del tardo Set- tecento, tant'è priva di comprensione dei problemi politici del tempo e astratta dal moto di rinnovamento risorgimentale; tuttavia l'ampiezza del respiro sintattico, la gran copia di solu- zioni retoriche, l'impeto del timbro metrico, la ricchezza delle reminiscenze greco-latine costituiscono, per essa come per quel- la Sopra il monumento di Dante, prova d'un geniale talento letterario, già mosso e agitato da interiori inqujetudilni:

Perché venimmo a si perversi tempi? Perché il nascer ne desti o perché prima Non ne desti il morire, acerbo fato?

ma ancora fiducioso nell'abbandonarsi al conforto che viene allo spirito dalla contemplazione delle glorie passate. Meglio r'iusci due anni dopo in altra canzone, Ad Angelo Mai, perché qui si toccava in modo ancor piu esplicito e diretto un argo- mento sempre vivo e presente nell'animo di chi attende alle lettere: il culto della tradizione classica e delle glorie del pas- sato, reso in un animato scenario di commemorazioni poetiche:

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Dante, Petrarca, Colombo, Ariosto, Tasso, Alfieri, che vale so- prattutto per l'effusa emozione con cui il poeta parla di sé at- traverso il ritratto delle sofferenze dei grandi italiani.

I1 Leopardi s'avvia verso una forma poetica sempre pi6 personale e di stampo patetico, già visibile chiaramente nella canzone Ad Angelo Mai. S'apre un periodo d'intensa attività lirica, dove il poeta s'impegna in una profonda meditazione sul problema dell'infelicità umana, ma nel contempo sin dal 1819 il fantasticare leopardiano procede su una duplice linea: riprendendo il giovanile schema dell'idillio Le rimembranze in una serie di liriche (per l'appunto gli Idilli), e continuan- do l'espenienza della canzone a schema chiuso con Nelle nozze della sorella Paolina dove l'abile svolgimento del tema civile, l'esaltazione delle virt6 educative della donna, erompe in un finale di forte tensione oratoria, cioè nella commossa ce- lebrazione del sacrificio della romana Virginia, e dunque nel leopardiano dolore per una giovinezza gentile immaturamente recisa dal fato; con A un vincitore nel pallone, meno felice let- terariamente (De Sanctis: manca alla forma disinvoltura, e talora intoppa nella frase faticosa D) , ove si eccettuino momen- ti d'alta ispirazione là dove il poeta ripiega affranto nel no- stalgico ricordo per le illusioni di natura vinte dalla forza di- struggitrice della ragione:

A noi di lieti Inganni e di felici ombre soccorse Natura stessa;

col Bruto minore, esaltazione del mito dell'uomo che ha toc- cato il fondo della propria amarezza nella coscienza della causa del dolore umano e uccide in sé i giovanili ideali di.li- bertà e di patria; con le aggraziate eppur complesse aperture su ant'ichi mitici paesaggi pagani (Alla Primavera o delle favole antiche) o biblici (Inno ai Patriarchi o de' p~incipii del genere umano), cosi legate alla poetica leopardiana del primitivo; infine con l'Ultimo canto di Saffo, dove la poetessa greca af- ferma col suicidio il proposito di recidere la trama delle illu- sioni e delle inutili speranze, e, uccidendo sé, fa perire l'ideale dell'amore. I1 Bruto minore soffre all'inizio di un eccessivo adeguamento della materia patetica alle forme classiche del lin- guaggio, ma il fitto ragionare libera dolenti aperture di cupa tragicith nella virile e sdegnosa solidarietà verso l'eroe ali- tic0 » (M. Fubini). L'Ultimo canto di Saffo perviene alla poe-

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sia in virth di un'intima rispondenza della materia all'interiore vicinanza morale dell'artista per la donna, che, come lui, pos- siede un animo a delicato, tenero, sensitivo, nobile e caldo, posto in un corpo brutto e giovane », e all'evocazione d'un silenzioso sereno paesaggio notturno, testimone inerte di e di- sperati affetti » e di a nefando eccesso ».

DAGLI IDILLI » AD e ALLA S U A DONNA »

Giovane ,di diciott'anni, sullo scorcio dell'estate del 18 16, il Leopardi si avvicinava con animo trepidante all'Eneide:

Letta la Eneide, io andava del continuo spasimando, e cercando maniera di far mie, ove si potesse in alcuna guisa, quelle divine bellezze; né mai ebbi pace infinché non ebbi patteggiato con me medesimo, e non mi fui avventato al secondo libro del sommo poeta, il quale piti degli altri mi avea tocco, si che in leggerlo, senza avvedermene, lo recitava, cangisndo tuono quando si conve- nia, e infocandomi e forse talvolta mandando fuori alcuna lagrima.

Nata da una giovanile condizione di entusiasmo, e in quel clima di intense meditazioni che doveva di li a poco veder sorgere il miracolo degli idilli, la traduzione leopardiana è pe- rò quanto di piii disciplinato e rigoroso si potesse a quei tem- pi desiderare. I1 testo non diviene pretestuosa occasione per uno svago di verseggiamento, né tanto meno motivo per un emozionato sfogo di soggettive condizioni dell'animo; il gio- vanissimo erudito e filologo, all'atto del tradurre, sembra far tacere le voci dei propri stati d'animo, di null'altro pago che trasferire in fedeltà e umiltà il dettato virgiliano in un com- plesso di misure ritmiche e metriche austere e composte, sen- za intoppare, come egli stesso aggiungeva,

nel gonfio e non cascare nel basso, ma tenermi sempremai in quei divino mezzo che è il luogo di verità e di natura, e da che mai non si è dilungata un punto la celeste anima di Virgilio.

Si ammiri, nell'esordio del libro secondo, quel maturo amalgama di toni, in un'aggettivazione sobria e in una per- fetta tenuta dell'endecasillabo, che doveva far convergere sul giovane traduttore (allorché nel 1817 la versione veniva data alle stampe) il consenso illimitato del Monti, del Mai e soprat- tutto del Giordani. Non v'ha dubbio che l'esperienza del tra- duttore grandemente giovò al Leopardi per quella eccezionale

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conoscenza della musicalità dell'endecasillabo, fondamento del- l'esperienza stilistica all'inizio delle Canzoni.

Assai piii notevole è in questi anni, tra il 1819 e il 1822, l'altra linea dell'esperienza poetica del Leopardi: quella degli idilli, che in questo periodo vede il portento di due piccoli componimenti elegiaci scritti nel 18 19, L'infinito e Alla luna.

La compiutezza formale e interiore dell'lnfinito quasi non abbisogna di chiosa; il testo parla in modo nitidissimo, in una semplicità di discorso che raramente sarà eguagliata e mai superata nel Leopardi maturo, ed evoca in pochi tratti rappre- sentativi un immenso paesaggio di figure e di simboli; nel- l'evocarlo lo riduce ad essenza pura, a paesaggio dell'anima, e questa è inquieta e rasserenata al tempo stesso, si smarrisce nell'infinito e si riconquista, si astrae nel grandioso orizzonte cosmico e si concentra in sé, nella sofEerenza dell'individuo che si sente eterno e mortale, creatura fragile ed Io sublime. Negli idilli, nei primi due e poi negli accenti solenni e austeri della Sera del di di festa, ove il destino dell'individuo si rin- nova con struggente sofEerenza nel destino dell'intera umanità, nei quadretti della Vita solitaria e anche nelle fantasticherie del pui 'non riuscito Sogno, non c'è piii quel vago trascorrere del- l'animo del poeta di riflessione in riflessione, come nell'ulti- rno canto di Saffo; l'impegno di comprendere e valutare appieno la ~rofondità dell'infelicità dell'uomo non è reso in un assieme di *considerazioni filosofiche, sia pur vibrate da fremente ani- mazione poetica. L'artista coglie il punto centrale della sua angoscia, o, meglio, ferma l'inquieto errare di sensazione in sensazione nel nucleo centrale del suo mondo afEettivo. La grandezza degli idilli è, dunque, nella lucida precisione con la quale il Leopardi coglie il tema centrale delle sue inquietudini e lo fissa in un solo, unico anche se centrale, stato d'animo.

In Alla luna il sentimento della rimembranza dà dolcezza alle inquietudini presenti e vela di tenera malinconia gli og- getti e i volti del passato. L'idillio non ebbe sempre questo titolo. Nell'autografo napoletano si chiamò La luna o La Ri- cordanza, poi, sempre su questo autografo, il Leopardi prov- vide ad espungere le prime tre parole, e restò il solo titolo La Ricordanza; cosi nell'autografo di Visso, nella pubblicazione sul Nuovo Ricoglitore, nell'edizione bolognese del 1826. Sol- tanto con l'edizione fiorentina del '31 compare Alla luna, e tale resterà nell'edizione napoletana dello Starita. Nonostante la brevità dell'idillio le correzioni leopardiane sono numerose, e tutte assai suggestive e profondamente innovanti.

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296 & letteratura italiana

Quasi a conclusione e a inveramento dell'esperienza tanro idillica che etico-civile cade nel settembre del 1823 la stesura della canzone Alla sua donna, d'ardua fattura tecnica e d'an- cor piu complesso argomentare filosofico; <( inno tutto intel- lettuale a una donna-idea >>, ha scritto il Fubini, cosa com- piuta, eterea insieme e terrena, una rappresentazione quale si- no allora il poeta non aveva ancor dato cosi complessa e intera di se medesimo, del suo mondo ideale, del suo ambiente >>. I1 concetto stesso dell'amore, inteso nella #profonda astratta es- senzialità, coincide, dirà lo stesso Leopardi, nella

donna che non si trova. L'autore non sa se la sua donna (e cosi chiamandola, mostra di non amare che questa) sia mai nata finora, o debba mai nascere: sa che ora non vive in terra e che noi non sia- mo suoi contemporanei; la cerca tra le idee di Platone, la cerca neila luna, nei pianeti del sistema solare, in quei de' sistemi delle stelle.

Anche di questo elaboratissimo canto, pubblicato come ul- tima delle dieci nell'edizione 1824 delle Canzoni, si debbono segnalare le importanti lezioni dell'autografo napoletano, che pur in questo caso registra la prima formazione del componi- mento, piu tardi uscito sul Nuovo Ricoglitore (settembre 1825), e auindi raccolto nei Canti sin dall'edizione fiorentina del '31. È guasi impossibile riportare, in questa sede, le fittissime pro- ve di alcuni versi; basterà segnalare un esempio, assai indi- cativo: « Ombra diva >> del v. 4 è il felicissimo punto d'ar- rivo di ben dieci prove, che vanno da <( Beato sogno >>, <( Bea- ta ombra P, Ombra vaga o, Dolce imago >>, « Aurata lar- va D, a Candida larva Q, fino a Ombra vana P, Serena om- bra D, a Felice ombra >>, <( Divina larva >>, per trascurare varia- zioni di minore peso. Ovvero basterà prestare attenzione alle non meno folte prove dei vv. 10-11, ove, per giungere infine a a o te la sorte avara / Ch'a noi t'asconde, agli avvenir pre- para? >>, il Leopardi è passato attraverso un densissimo trava- glio di correzioni, di pentimenti, riprese di lezioni, espunzioni e miglioramenti, segno ben chiaro dell'estrema tensione intel- lettuale di questo difficile canto: ad esempio o te sorte di- vina / Pregio de la ventura età destina? n , ovvero « o te ra- gion diviina) Conforto a la futura / età dest'ina? >>, oppure « O verso noi superba / La dura sorte agli avvenir ti serba? >>, 0s. sia o te prole divina / A noi sottratta, agli avvenir destina? ». Piu d'una volta il Leopardi saggia. le possibilità espressive e semantiche d'un singolo vocabolo, affiancandolo con-vari sino-

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298 La letteratura italiana

che non siano anche rivestite di immagini poetiche, cosi il fan- tasticare del Leopardi k sempre suggerito dalla perspicuità del ragionamento, o anche dall'affiorare, nell'intelletto dello scrit- tore, di ricordi del mondo classico e mitologico. E infatti que- gli stessi ragionamenti, quel vano cercare la felicità tra gli uomini, quell'inutile rivolgersi alla natura, egli aveva espres- so in opere mirabili di poesia e in pagine dello Zibaldone, come quando scriveva:

Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l'esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell'universo è il male; l'ordine e lo stato, le leggi, l'andamento naturale dell'universo non sono altro che male, né diretti ad altro che al male. Non v'è altro bene che il non essere: non v'ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. I1 tutto esistente; il complesso dei tanti mondi che esistono; l'universo; non è che un neo, un brusco10 in metafisica. L'esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un'imperfezione, un'irregolarità, una mostruosità. Ma questa imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perché tutti i mondi che esistono, per quanti e quanto grandi che essi sieno, non essendo però certamente infiniti né di numero né di pandezza, sono per conseguenza infinitamente pic- coli a paragone di ciò che l'universo potrebbe essere se fosse infi- nito; e il tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone della infinità vera, per dir cosi, del non esistente, del nulla.

Non nuoce, però, all'unità poetica delle Operette questo loro scaturire, di dialogo in dialogo, da un ricordo letterario o dal desiderio di chiarire un altro motivo, un nuovo elemento del pessimismo del Leopardi. Perché l'unità poetica' delle Operette morali non risiede né nelle reminiscenze, né nella complessità delle immagini fantastiche, né in una sistematica struttura di pensiero filosofico; ma sta piuttosto nel gusto leo- pardiano di ordinare tutta la materia in un7ampia composita sinfonia di colori e di suoni. L'esigenza espressiva sta alla base delle Operette, tessute con una trama linguistico-musi- cale, dove è teso fino al massimo l'impegno dello scrittore a restar fedele alle sue leggi di dovizioso linguaggio e di ritmo armonico.

Onde le pagine migliori sono quelle che dischiudono un'atmosfera suggestiva e arcana di ritmi complessi, di difficili costruzioni sintattiche, di arditezze lessicali, realizzando una poesia del linguaggio, oltre che della meditazione o del senti- mento, o , come Giacomo disse al padre, <( poesia in prosa D, ri-

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cercata ed effettuata col ricorso alla rappresentazione della na- tura antica abitata dai primi uomini nella Storia del genere umano o, ancor piii remota, nel Dialogo di Ercole e di Atlante e nel Dialogo di un folletto e di uno Gnomo, ovvero ad una fitta implacabile discussione sull'infelicità degli astri (il Dialo- go della Terra e della Luna) o degli uomini grandi (il Dialogo della Natura e di unlAnima o anche il Dialogo della Natura e di un Islandese), sulla poesia della noia o del piacere o della solitudine nello splendido colloquio del Tasso con se stesso (il Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare) o sul dolore umano che è nella morte (il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie) o, infine, sull'impossibilità del riso, poi- ché gli uomini

non essendo soddisfatti né mai dilettati veramente da cosa alcuna, non possono aver causa di riso che sia ragionevole e giusta.

I1 soggiorno pisano, piii pacato e quasi sereno, riapre l'ani- ma del Leopardi all'emozionato afflato lirico dell'« idillio », e A Silvia spezza un difficile momento di compostezza evocativa, aprendo di prepotenza verso il ricordo emozionato dei senti- menti e affetti giovanili e la consapevolezza struggente del- l'amaro destino assegnato agli uomini. Molti anni, e anni di intensa meditazione filosofica e letteraria, sono ormai passati dall'esperienza poetica degli idilli, e ora egli avverte nella sua fantasia Ip slancio per un canto di piii ampie proporzioni espressive, di piii inquieta ricerca delle voci del passato. Le prime esperienze denunciavano ancora una speranza seppure provvisoria e fragile, ma ora il Leopardi ha provato l'amarezza del disinganno, sa che è vano lottare contro la natura e che inutile è persino il vivere, è totalmente disilluso verso un pos- sibile ritorno della felicità dell'infanzia, sentita come un mo- mento irripetibile dello spi,rito. I1 paesaggio si ingigantisce; l'infinito che s'intuiva al di là del colle di Recanati, diviene la cosmica distesa del Canto notturno, popolato di angosciosi in- terrogativi sulle ragioni stesse del vivere. Anche la memoria si dilata, non piii la folgorazione di un istante solo del pas- sato, d'una sola anche se amatissima figura, ma tutto il passato che pesa col suo dolore, e, come nelle Ricordanze. fluttiia cnl

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300 La letteratura italiana

suo riaffacciarsi e scomparire di immagini, suoni, suggestioni, fantasmi e personaggi della puerizia:

Ciascuno in questo tempo raccoglie e ricorre coll'animo tutti i pensieri della sua vita presente; richiama alla memoria i disegni, gli studi e i negozi; si propone i diletti e gli affanni che gli sieno per intervenire nello spazio del giorno nuovo. E ciascuno in questo tempo è piu desideroso che mai di ritrovar pure nella sua mente aspettative gioconde, e pensieri dolci. Ma pochi sono soddisfatti di questo desiderio: a tutti il risvegliarsi è danno. I1 misero non è prima desto che egli ritorna nelle mani dell'infelicità sua. Dolcis- sima cosa è quel sonno, a conciliare il quale concorse o letizia o speranza. L'una e l'altra, insino alla vigilia del di seguente, conser- vasi intera e saIva; ma, in questa, o manca o declina.

Anche il linguaggio poetico muta. Nelle liriche del 1819- 1822 cadevaiio talvolta asprezze di tono che stavano a ren- dere il desiderio di lotta che animava ancora il Leopardi («con la sua fredda mano, lo strinse la sciaura D ecc.), oppure accenti di una passione vigorosa, anche se un po' retorica o di ma- niera. Nei canti del '28-30 il senso di distacco che è nell'ani- mo del Leopardi si traduce in tonalità piu limpide, meno rea- listiche, maggiormente cariche di un'incantata sensibilità mu- sicale, attente a sfumature. sottilissime, ad allusioni discrete, a pause profonde, a desolate interrogazioni.

Le umili scene di vita popolana del Sabato del villaggio e della Quiete dopo la tempesta, che sono tanta parte del sen- timento di compassione D per un'umanità che vanamente aspira ad uno stato felice, acquistano un che d'indefinito e d'incor- poreo; in ogni caso mai di realisticamente concreto; piuttosto lucenti immagini di un mondo amato, che bozzetti di vita. Ogni aspetto della natura, la quale considerata in sé è crudele e tetra, possiede invece una bellezza melodiosa e una sua in- comparabile serenità. Infatti agli interrogativi angosciosi del poeta non si presenta un paesaggio tormentato, sconvolto, ma luminoso e pacato:

Viene il vento recando il suon dell'ora ...

e se è paesaggio notturno, ha la limpidezza di una notte fe- stosa di stelle. Soltanto allorché dalle scene campestri o dalla visione del firmamento il poeta discende a contemplare il si- lenzio e il buio della propria anima, la musica dei versi acqui- sta tonalità cupe e profonde, martellate sul ritmo di un cuore gonfio di disperazione.

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LA STAGIONE FIORENTINA

Pubblicata l'edizione Piatti del '31, il poeta non sospende la sua attività poetica, ché anzi proprio di quest'anno (o, piu probabilmente, del '32) è un'altra celebre lirica, I l passero so- litario. tuttavia inserita nell'edizione definitiva dei Canti. nel '35, tra I2 primo amore e L'infinito, quasi a significare che si trattava d'una composizione che in qualche modo echeggiava situazioni e affetti di quel tempo ormai lontano; ma la qualità anche metrica oltre che stilistica del Passero, scritta nella for- ma della canzone libera, rende sicura la datazione al primo tempo del soggiorno fiorentino, in un momento in cui, cadute le aspre note antirecanatesi delle Ricordanze, Leopardi torna indietro a rammemorare con animo addolorato ma pacato que- gli anni d'illusione e d'affanno. -

Tutte o quasi tutte del periodo fiorentino sono, subito do- po, le liriche ispirate all'amore per la Fanny, il cosiddetto « ciclo di As~as ia ». La tensione evocativa e ,malinconica del Passero cede alla turbinosa rappresentazione degli effetti scon- volgenti dell'amore del Pensiero dominante, ov'è però da am- mirare l'energica coscienza che il poeta esprime della propria dignità morale, e quindi alla temperie fervida ma anche cor- rucciata dei lunghi ragionamenti di Amore e morte; per poi trascorrere al totale diniego d'ogni presente e futura possibi- lità di a cari inganni B nella rotta tragica sintassi del breve intenso A se stesso, e infine all'alta collera morale di Aspasia, netta chiusura dell'e~isodio amoroso ma anche riaffermazione severa della moralità del poeta, non d'un reale innamorato ma dell'idea stessa dell'amore:

perch'io te non amai, ma quella Diva che già vita, or sepolcro, ha nel mio core;

dunque la « celeste beltà di Alla sua donna, la forma ideale d'Aspasia che non può esistere in terra. Nel ciclo d7Aspasia vi sarà ancora, come sempre in Leopardi, ricordo d'un paesag- gio, memoria d'un passato felice, ma ogni aspetto della natura, ogni ricordo remoto è investito dall'accigliato giudizio morale e del peso cocente di memorie piu recenti e tanto piu dolorose. La tragica contemplazione di questo presente accompagna le note tristissime di A se stesso, dove l'amaro disinganno d'amo- re è espresso nei battiti della vigorosa scansione ritmica, in purezza netta e asciutta.

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Fa parte ancora del ciclo per Fanny anche il Consalvo, ma di struttura e d'ispirazione differenti, e che indugia ai toni del- la coeva novella sentimentale in versi dei romantici. Prova poco positiva, e di ciò dovett'essere consapevole .lo stesso au- tore se nell'edizione definitiva dei Canti provvide a collocare il Consalvo tra La vita solitaria e Alla sua donna, in una zona d'esperienze letterarie giovanili.

Per quanto legata all'episodio fiorentino della Targioni Toz- zetti Aspasia fu scritta a Napoli, forse poco dopo il suo arri- vo: 2 ottobre 1833; e a Napoli, press'a poco nello stesso pe- r i d o , o nell'inverno tra il 1834 e il 1835, il Leopardi, ce- dendo alle suggestioni d'un genere <( sepolcrale » di gusto pre- romantico. ma con un'interna .animazione che na,sce dalla caDa- cità di rimeditare ancora una volta le leggi durissime della vita e della morte, compose Sopra un basso rilievo antico se- polcrale e Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel mo- numento sepolcrale della medesima, e i sarcastici amari versi della Palinodia, dei Nuovi credenti e dei Paralipomeni. Poi (1836) 11 tramonto della luna e La ginestra, grandiosa con- clusione della sua vita di poeta.

È proprio in virtu della potenza ragionativa e immagina- tiva di queste due ultime liriche che s'apre il problema di un <( nuovo D Leopardi, che è andato prendendo ancora piu pro- fonda coscienza di sé e della vita e dell'età Dresente e della concezione materialistica del mondo, ma al tempo medesimo s'è andato avvicinando alla ~oet ica romantica. in ciò che essa insegnava di attiva partecipazione al dramma dell'uomo mo- derno: non vale piii accarezzare i1 passato con uno sguardo velato di malinconia, non piii annegarsi nell'infinito del pae- saggio; ma affrontare il passato e la natura con spirito piii combattivo; non arrendersi se pur si deve ammettere che ~ 'uo- mo è nato infelice, e che nulla può modificare questa terribile condanna che la natura, dandogli la luce, gli ha assegnato.

E infatti nel Tramonto della luna gli sparsi motivi idillici cedono al risoluto proposito di non piii piegarsì di fronte al fato; nella Ginestra il poeta sottolinea ancora la terribile po- tenza della natura. che tutto può distruggere; il Vesuvio con una sola eruzione seppelli le città antiche di Ercolano, Stabia, Pompei, ed ora di tutto quel che ha sepolto la sua violenza

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distruttrice, resta solo il fiore del deserto D, la ginestra, ma un nuovo ideale ora lo anima, e un nuovo programma lo sol- lecita: che gli uomini, se si stringono insieme nella guerra co- mune affratellati da un sincero amore, possono opporsi alla luttuosa presenza della natura.

Le convinzioni del Leopardi cessano dunque d'essere pu- ramente negative, e la sua poesia termina con un messaggio di fratellanza qual è la Ginestra. I1 nucleo delle idee non ha in- tanto perduto il contatto col nucleo passionale del poeta. C'è nella Ginestra una coerente meditata unità di motivi ideali e d'afflato patetico, e come quelli svolgono ed elaborano le con- vinzioni della giovinezza verso un concetto piu caritativo e si direbbe quasi « evangelico n, cosi l'afflato sentimentale è ri- masto nell'interezza della sua tenera commossa vena lirica. « La coerenza intima della costruzione, ha scritto il piu sensibile e moderno lettore di questo canto, Walter Binni, « raggiunge la sua perfezione nella Ginestra proprio per l'accordo profondo che tutti i motivi del nuovo Leopardi ritrovano realizzando (pienamente nella poetica e con potente approssimazione nella poesia) quella espressione unitaria che non dipende da una pura pienezza di contenuto, ma che in questo Leopardi pre- suppone il confluire delle esperienze essenziali in direzioni di poesia non sporadiche, in radice di poesia che ne mantenga l'urgenza e la decisione in urgenza e decisione di musica. )> I1 paesaggio non è annullato, ma arricchito; l'idillio è superato dalla scenografia tutta luci ed ombre. I1 linguaggio s'è arric- chito di modulazioni nuove, ch'entrano nell'anima del ragio- namento, lo investono d'un puro sereno ardore, si snodano se- condo le ampie volute della grandiosa costruzione sintattica, pretendono nuovi apporti dal lessico leopardiano pur cosi va- rio, conquistano una musicalità interiore tra le piu alte, in- novanti e pure di tutta l'età moderna.

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Capitolo trediresimo

I poeti romantici

I MINORI

Nel quadro della lirica romantica si distinguono e staccano tre forti personalità (Carlo Porta, Giuseppe Gioacchino Belli, Niccolò Tommaseo), le quali tuttavia né completano i1 novero dei poeti che diedero allJOttocento italiano una voce tutt'af- fatto personale, come il Giusti o il Poerio, né esauriscono le situazioni di scuola o di <( gruppi D intellettuali. I n questa situazione vengono a costituire un ambiente a sé quei poeti che gravitano intorno all'orbita del Manzoni o che da lui trag- gono ispirazione, temi, stile, pur presentandosi con caratteri anche diversi dal maestro poiché a contatto con una biografia piu movimentata ed esterna (le cospirazioni e il carcere del Pellico, la rogazione notarile del Grossi, l'esilio dello Scalvini, l'annata carceraria del Cantu, l'espulsione borbonica del Bor- ghi) aderiscono con passione alle vicende personali, e si imme- desimano con una certa sottile ingenuità, ma non senza un fervido senso di sacrificio, negli eventi della politica e della letteratura.

Se Manzoni schiva le polemiche, gli allievi vi vivono calo- rosamente, dal « foglio azzurro » alle lotte patrie e hanno una visione diretta del mondo circostante, anzi confidano negli av- venimenti della vita quotidiana, sperano anche in un avvenire terrestre. Appaiono svuotati da quella sorridente amarezza che proviene dal rovini0 delle illusioni contingenti, ma piu solidali con la società e con la giornata di uomini privati, mescolati al travaglio di piu generazioni, chiusi forse fra quattro mura (non nella vetta imperscrutabile della biografia manzoniana), ma mura familiari, o di un carcere o di una città d'esilio, dove il lettore penetra, indaga, appaga la sua curiosità, forse anche fino a trovarne scarsa prospettiva ideale ed eccessiva mancanza

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di resistenza intellettuale e sentimentale al giro consueto, nor- malizzante, del giorno.

Cosi nel conflitto tra ragione e sentimento, dove i manzo- niani portano una carica romantica, un'accensione affettiva che sarà sconosciuta, o debitamente sopita, nel Manzoni. Qui re- sterà sempre una salda possibilità intellettuale che concilia la fede trascendenziale con i fatti della storia e dell'animo uma- no, ma tutto all'interno, o nei momenti arcani del travaglio morale, o nella causale religiosa delle vicende storiche. Nei romantici cattolici (che sono, piu o meno tutti, nell'orbita del- l'insegnamento manzoniano) il divario è intuito intellettual- mente, ma reso estrinseco soltanto in termini di sensibilità umana, le lacrime di Carcano e le tenerezze arcadiche di Carrer, ma piu che altro in quel folgori0 delle immagini e della sce- nografia evangelica che è l'eredità piu appariscente degli << stenterelli >>: anzi il triste retaggio di una letteratura che si dissolve ben presto nella nullità assoluta. Non ripensamen- to, quindi, della realtà storica della religione, ma semplici- stica esaltazione di liturgie e di eventi. Non risoluzione in ter- mini di dottrina dell'ansia morale, della ricerca di Dio, quanto invece abbandono negli affetti e confessione immediata.

In ciò il vantaggio ideale dei << manzoniani » rispetto alla poesia dei neoclassici è (pur entro questi limiti) rilevante. Non che i classicisti non risentano la lezione del Manzoni (ve- dansi gli inni dell'Arici e del Mamiani), ma essa si era ridotta a schemi innografici. I romantici acquistano il pyezioso innova- mento espressivo, ed accettano intimamente il peso di tutto il linguaggio manzoniano nel potenziare spiritualmente, oltre che armonicamente, la tessitura apologetica. La parola dei manzoniani ha sempre quel timbro accalorato, immaginoso, che il lettore avverte come la dipendenza piu manifesta del- l'espressività degli Inni Sacri, ma che non è sola discendenza letteraria, quanto la vita in comulne sopra gli stessi problemi tecnici e rappresentativi. Manzoni fa i manzoniani, ma per una certa parte anche il maestro assorbe, postula, realizza un'atmosfera solidale, un gusto comune- a un'intiera genera- zione di uomini di fede e di lettere. E se il minore si sofferma agli elementi piu primordiali ed estrinseci del problema espres- sivo, va escluso che calchi semplicemente sulla sonorità me- lodica e ritmica del Manzoni. L'allievo ha compreso l'esigenza di una energia ideativa tutta all'interno delle cose, nell'origi- ne stessa delle immagini, nello svolgersi della narrazione reli- giosa, come è nella poetica manzoniana dell'« inno sacro o.

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Comprende e condivide l'affanno tecnico del maestro, quello che arresta su un binario morto la composizione dell'ognis- santi. Ma manca al manzoniano la capacità lirica ad attuare idealmente la saldatura tra l'impostazione narrativa e la po- tente sua immissione in un <( corpus immaginativo adeguato a sostenerla senza dare nel generico e nel celebrativo.

I manzoniani non accettarono la fede come bagaglio d'ar- gomentazioni leggendario-mitologiche (come fu dei classicisti dietro l'esempio del Monti), ma nemmeno posero esplicita- mente loro stessi nell'affermazione religiosa di una crisi mo- rale. Si eccettuano, anche perché fuori di una educazione esclusivamente manzoniana, Tommaseo e Poerio, ma gli altri romantici, un Borghi o un Regaldi, non risolsero le proprie doti di schiettezza autobiografica nel rigore della rappresenta- zione religiosa, e mai fantastica, di eventi spirituali.

Nell'ambiente religioso dell'ottocento, pi6 che in altre evenienze letterarie, si nota una tendenza ad attutire le sono- rità particolari dell'una o dell'altra parte. I classicisti non re- spingono Manzoni (anche l'estremista Mamiani). I romantici, una volta giunti sul terreno religioso e pur proveniendo dalle pi6 aspre battaglie teoriche, non sono alieni dall'accettare ar- gomenti e modi della passata letteratura settecentesca: odicine d'occasione, poemetti mitologici, apologie di santi. Ma, a dire il vero, si tratta di momenti di passaggio nella singola pro- duzione poetica, ché (cosa insolita per chi si trovasse a riflet- tere sul gusto medievaleggiante e leggendario dei romantici) generalmente cantarono argomenti piu consoni all'indole affet- tiva e confidenziale, agli attributi impulsivi della loro poetica.

La poesia del Pellico introduce chiaramente ad una emble- matica posizione letteraria. Educazione alfieriana e classicista che si va temperando e approfondendo spiritualmente dietro la voce del Manzoni; ma, restando della natura di Pellico quelle tipiche intenzioni affettive, la prova poetica si colma di colore, di accenti patetici, se non sostenuti, certo singolari. Dissidio tra una penetrazione espressiva inattuabile e il tenore senti- mentale che è un abito consueto e sempre prevedibile.

Dal possente Manzoni l'energico inno a te vola: io versar solo gemiti e lagrime posso a ' tuoi piè.

Pellico, nel limitarsi, non erra. La naturalezza del suo stile rischiara un'applicazione letteraria limitata, ma spontanea nei

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gusti e negli elementi sentimentali. Gli sbandamenti sono di quella retorica che è sulla soglia della sincerità (« gemiti e la- grime »), non già di un impegno tecnico impari alla possibilità e alla mente. I1 suo tirocinio letterario l'aveva compiuto nelle tragedie, ed i ,motivi spirituali s'erano lentamente dischiusi: Iddio rammemorato ad ogni alzata di dialogo, giammai inda- gato nelle anime, se si eccettui il divario tra la religiosità pri- mitiva di Iefte e la nuova fede di Eleazaro, tra la feroce ri- valsa del primo e il mite senso di sacrificio cristiano della pro- tagonista dell'Ester dJEngaddi. D'altri motivi spirituali non è il caso di parlare, né di quei conflitti già compiutamente ro- mantici che sono negli impetuosi rimproveri del Giovanni di Erodiade, tra la felicità trascorsa dell'infanzia regale e i terrori alfieriani del momento. La Divinità non è ancor quella del Pel- lico, ma si dell'Astigiano; Divinità angosciante, che non può perdonare se invocata negli istanti del rimorso o della colpa:

V'ha una misura d'infortunio nell'anima, d'angoscia su delitti compiuti ad uno ad uno; senza considerarli, indi veduti nei giorni che il Signor toglie l'ebbrezza dell'impudenza e del coraggio, - a cui l'uom non resiste.

Attraverso le composizioni lirico-narrative delle Processioni, dei Secoli, delle Chiese, delle Passioni, di pretto gusto poe- mistico del Monti, respingendo il Rossetti nella Morte di Dan- te, Pellico si avvicina all'« inimitabile Manzoni ». Senza dar ad addivedere un'imitazione formale e contenutistica, ma risen- tendo lo spoglio sottile della scenografia per un racconto li- neare, assorbito dall'intima pena del poeta in conflitto tra la grandezza dei fatti sacri da cantare e la necessità di riviverli attualmente. Al che si mescolano, anzi scorrono largamente, le inquietudini del poeta (Poerio si troverà sul filo di questa stessa emozione creativa, prima dell'atto lirico) in cerca di una consistenza umana, di una soddisfazione al lavoro, di un giu- stifica'tivo alla poetica. Et stare fecit cantores contra altare. » Sono motivi sensibili che autenticano tutta la << condizione al- la poesia )> del Pellico: nel Poeta il quesito dell'estrema ra- gione per << questa ineffabile sete di canto ».

Ma il manzonismo del Pellico si coglie, piu che in un de- ciso ritmo per tutte le Poesie varie corrente e sostanziante, ir. certi momenti di contemplazione complessa, si direbbe << sto-

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rica », dell'essenza della religione. Cosi la sistemazione senti- mentale della Divinità nel raggio coordinatore di tutti gli im- ~ u l s i e gli affetti. Cosi l'alta consolazione della fede nelle sven- " ture, quella manzoniana Provvidenza che, però, qui non tocca altro che i cuori e li avvia alla sDeranza cristiana. Cosi auel sol- levarsi compatto di tutti i sentimenti verso la carità, nell'ac- cettazione del dolore e nell'umiltà della disciplina spirituale di tutte le creature.

Atteggiamenti, d'altron'de, comuni a tutto il Romanticismo, talvolta con qualche compiacenza culturalistica, da lirica tre- centesca, come in Luigi Carrer, il quale esalta le origini e il fondo umano della ~oes i a cristiana. e non si esime'da frequenti passaggi in terra dei classicisti: la sua fede, nel momento i n cui diventa apologia, fa mutare vestimento letterario. Vedansi i versi in onore del danese Oehlenschlaeger, come pure i lan- guori arcadici del sonetto A Dio. E analogamente nel Regaldi, esempio nell'Inno alla Croce, in quel ritmo esterno, da poeta estemporaneo (il 4 principe D, fu detto, di questa categoria), nella celebrazione immaginativa della Croce che guida

sulle vele che volteggiano nelle vie gonfie del mar.

Poi, in Dio, la ricerca della sua terribilità nella natura, quale pura presenza entro le cose, ma pur (ecco il Manzoni) come percezione di un soffio spirituale che crea ed agisce mi- steriosamente. I1 Regaldi sa però destreggiarsi bene nel « man- zoneggiare »; in lui il sentimento della natura, e di Dio in essa, scopre origini panteistiche nelle quali la parola del\Tom- maseo non sarà del tutto estranea. Scavalcando di volo l'Ilari degli Inni e il Di Bagno10 dei Sacramenti, giungiamo nel cuore della scuola Doetica manzoniana. Ambiente lombardo. erede di quella medesima cultura illuministica che nel maestro sorti vari e complessi rivolgimenti: in loro accettata come strumen- to di lavoro quotidiano (il Cantu storico, e anche critico del- l'ambiente pariniano; il Carcano cultore di Shakespeare, ecce- tera), mentre il territorio narrativo manzoniano insegna altri climi e mondi morali: quello degli umili di Angiola Maria, il gusto storico del Visconti e della Margherita, l'amore della riflessione politico-sociale nelle pagine storiche di Giuseppe Borghi.

I1 Borghi nacque a Bibbiena nel 1790 e mori a Roma nel 1847; fu maestro di retorica nel seminario di Castiglion Fio- rentino, poi bibliotecario a Firenze e per qualche anno a Pa-

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lermo dove insegnò letteratura dantesc'a in quell'università. I1 Borghi, nella messe rnanzoniana, permette un discorso cri- tico piii libero e vario. Si inizi con la postilla biografica della sua buona cultura classica, e con la nota del Manzoni arresosi dinanzi ad un inno del Borghi, stante il consiglio del Rosmini a scrivere un Corpus Domini. Si precisi il carattere tutto irn- maginoso e scenografico dei suoi Inni sacri; anche le vicende evangeliche si prospettano secondo le luci ed ombre di una messinscena romantica. Ma è una scenografia costruttiva, Ià dove il sentimento religioso trova un'armoniosa ambientazione coloristica, e la stessa fantasia pittorica apre l'ansia lirica (quel tipico ondoso ritmo manzoniano) ad un vivo senso della pra- tica cristiana, della giornata del fedele. Non quindi la religio- sità esterna di un Arici o di un Mamiani (su cui le influenze del Manzoni non possono salvare gran che), ma una vibrazione di mente e d i cuore che incontra il terreno favorevole alla confessione nelle scene evangeliche, o nei fondali naturali, il mutare delle stagioni e delle ore, l'affettuoso legame tra il pae- saggio e lo stato d'animo: similitudini non occasionali, schietti incontri della sensibilità morale e dell'estro visivo.

L'insegnamento manzoniano giovò al Borghi; non sostenne che in apparenza, e subito troncò la vena del Torti. Guidò invece e lungamente, l'attività del <4 tenero e poderoso » poe- ta, del Grossi. E cosi Tommaso Grossi, iper-manzoniano nella narrativa, si inserisce nella scuola poetica dell'amico e maestro. Per cui, nella dibattuta interpretazione dell'epigrafe di Bellano, lasceremo il tenero D alla querula vena lacrimosa della Ron- dinella e di tutte le novelle in versi (scriveva un critico: <( eeli " è rimasto specialmente famoso come il poeta delle vergini mo- renti »!), ci prenderemo il <( poderoso » in quanto utile rico- noscimento di quella copiosità moralistica e figurativa che si porta dietro una certa quantità qualitativa. L'insegnamento del Manzoni operò, per quella assidua vicinanza, piu di quanto la poesia grossiana dia a vedere. Quegli accostamenti piu evi- denti. la morte di Giselda nei Lombardi e la morte di Ermen- garda, il coro che accompagna il trasporto di Folchetto e il coro dell'Adelchi aiutano a commentare l'influenza capitale (che espressivamente è piii decisiva nelle ultime novelle del Grossi, anche Ulrico e Lida); ma la presenza manzoniana pe- netra in quella mossa adesione alla religione dell'animo, oltre le sovrastrutture tassesche e medievaleggianti dell'lldegonda e dei Lombardi e della Fuggitiva. Bisogna levare il <( tenero » grossiano per scoprire.il <( poderoso B manzoniano. che, esisten-

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te nelle pieghe di un problema morale troppe volte inteso esteriormente, quale semplice incentivo della fantasia dell'onds melodica, si rivela perfino nella carezza di taluni epiteti, <( ca. sto », <( trepido », <( pietoso n, la pace ineffabile del Sinno. re D, i <( casti pensieri di morte ».

Anche Giulio Carcano mostra questa tendenza ad utilizzare il materiale lirico manzoniano per racconti poetici, il cui im- pianto e i cui motivi ispiratori vengono tratti dal romanzo principe. Insomma I Promessi Sposi danno una costruzione esemplare, tra realtà e fantasia, tra gusto storico e problema- tica etico-religiosa. Gli Inni sacri e i cori delle tragedie forni- scono la suprema prova per la tenuta linguistica.

I1 Carcano (nato a Milano nel 1812, morto a Lesa nel 1884), si cimentò anche nella lirica, le Armonie domestiche, rime varie, cantiche e cori trecenteschi, forse qualche remini- scenza compositiva dal Tommaseo, ma con un vocabolario ed una allineatura di riflessione, un accomodamento ritmico, un senso di fede che dal Manzoni discende e in lui si ferma:

Dall'ampie cittadi, dagli eremi santi, dagli antri, da' chiostri, nel giorno de' pianti, lo stuol de' fratelli pregando ne viene.

E poi inni sacri d'occasione, poesie religiose per le scuole, esaltazioni evangeliche (vedi La strage deglJInnocenti), com- posizioni amorose, celebrazioni della natura che in lui è vera figlia di Dio, variazioni al tema preferito di <( amore e fede », dove si immedesima sentimentalmente nelle cose, le indaga con candido fervore religioso, cerca la presenza essenziale, la

mite aura di Dio ». E s'intende che in tutte le occasioni del- l'inno Manzoni viene adattato come meglio si poteva: ora lo si sente cantare per le voci di un orfanatrofio, ora per una festa patronale di paese, ora per la ricorrenza di una santa. Un manzoniano buono a tutto fare, ma che (come spesso ac- cade a chi lungamente si esercita sull'oggetto della poesia) è in rarissimi momenti capace di liberarsi da tutta la prepotenza della scuola, e dettare qualche cosa di personale, sia pure una splendidissima eco, oppure l'imbarazzante anticipazione d'un gusto che sarà dei nostri primissimi decadenti.

Ad una lirica d'intonazione psicologica, intenta allo studio dei turbamenti umani e morali, guardano tre poeti estrema- mente indicativi della temperie romantica: Tommaseo, Poerio e Giovita Scalvini. Nell'intenso e frammentario lavoro di que- st'ultimo (nato a Brescia nel 1791, morto a Milano nel 1843)

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è reperibile un'indole poetica amara e dolente affascinata dalle nuove idee patriottiche ma continuamente richiamata a con- statare le delusioni e i fallimenti d i questi ideali politici per le colpe e le contraddizioni dell'aristocrazia e 'delle congiure carbonare. Fu critico acutissimo (ad esempio nel saggio sui Pro- messi Sposi, del 1829), e felice traduttore del Faust goethiano. Le incrinature e perplessità degli ideali civili di Scalvini si ripercuotono nell'intenso tono delle due composizioni che la- sciò incompiute, I l fuoruscito e l'Ultimo carme, e di vari fram- menti lirici ove è da ammirare il lucido ma secco gusto espres- sivo, rarefatto a tratti in immagini di gelido, assoluto pessi- mismo ovvero denso e concentrato in figurazioni ricche d'un in- tenso cromatismo che è sensibile tramite di conflitti morali e di contraddizioni umane impersonati nella complessa persona- lità dell'esule, nella sua consapevolezza di dover lottare contro i suoi simili, d'esser chiamato a patire sino all'ultimo le cru- deltà del nemico, il tetro carcere, la difficoltà d'impegnare il popolo a generosi propositi d'insurrezione e di riscatto, al ri- chiamo (nell'Ultimo carme) d'una lontana ma vagheggiata se- renità familiare.

Alesandro Poerio, figlio d i Giuseppe Poerio, patriota ca- labrese e uno dei piu eroici esponenti della Repubblica Parte- nopea e poi alto funzionario sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, nacque a Napoli nel 1802, e come i1 pa- dre e il fratello Carlo fu ardente patriota. Nel 1821 combatté contro gli Austriaci a Rieti; esiliato col padre in Francia e in Germania, frequentò l'università in quest'ultimo paese (1825- 1826) e conobbe a Weimar il Goethe, il cui incontro descrisse nel libro Viaggio in Germania, ripubblicato dal Croce, e del Goethe tradusse l'Ifigenia in Tauride. Tornato in Italia, sog- giornò per qualche tempo a Firenze, fino al 1831, recandosi poi in Francia, ove si strinse d'amicizia col Tommaseo e con scrittori francesi, ma soffrendo per la scarsa considerazione in cui era tenuta a Parigi la nostra cultura (soprattutto il costu- me etico-politico degli Italiani). Riusci infine ad ottenere il rimpatrio dai Borboni, rientrando quindi a Napoli, ove conobbe e divenne amico del Leopardi. A Napoli attese a far l'avvocato, ma sempre impegnandosi nell'attjvità politica liberale. Pur ma- lato e quasi cieco, nel 1848 si arruolò nell'esercito di Gugliel- mo Pepe, e combatté a Venezia contro ,gli Austriaci. Ferito gravemente nella celebre sortita di Mestre, venne a morte po- chi giorni dopo. Da vivo aveva pubblicato una piccola raccoita di versi, nel 1843, a Parigi, presso l'editore Didot; solo pi6

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tardi. con l'edizione del 1872. si ebbe modo di conoscere l'importanza della sua figura .di poeta. ~ o t e v o l e è anche il suo Carteggio letterario.

Rinnovando i rapporti con la cultura tedesca, cosi nella formazione idealistica come in un particolare gusto lirico e in una precisa pratica poetica, ristabilendo (non piti come astra- zione di un processo mentale che non fu mai, nel Poerio, or- ganico e in termini di pensamento filosofico) i motivi di ade- sione al panteismo, al sensazionalismo, ad una tradizione di pensiero meridionale, Campanella e Telesio, approfondendo le ragioni di assentimento e di scompenso tra lo spirito liberale e l'animo cattolico, non sarà difficile alla -critica contempora- nea di restituirci piii integro e autentico il volto di una poesia, come quella del Poerio, fortemente emblematica nella storia della spiritualità romantica.

La poesia del Poerio non subisce nel suo corso mutamenti rapidi e sostanziali, formalmente e idealmente, in guisa che la disvosizione casuale delle liriche rende im~ossibile la cono- scenza dei vari tempi e delle varie soluzioni: Se si eccettuino ali anni eiovanili. di lenta e faticosa ricerca di un mondo af- " fettivo (che p,uò iisultare esterno e dichiarativo, dalla ingenua Ode a mio adr re del 1820 al raccontino di maniera di Siede L'araba vergine soletta), e gli ultimi anni, dove l'impegno pa- triottico altera un po' le linee spirituali di questa poesia, il Poerio non ha varie e vaste crisi letterarie, non assume nuovi e differenti obblighi stilistici, il suo corpo poetico non muta di significati e di problemi. Se c'è una storia in lui, un pro- gresso, è condizione di un piii cosciente apprendimento di re- gole formali, ma soprattutto un maggiore irrobustirsi della fede religiosa e civile, una piu scavata schiettezza nel rendere le sue pene di figlio del secolo, di poeta e di uomo schivo da intime espansioni, tra l'amore che lo sfiora senza modificarlo e scuoterlo, il dolore che lo carpisce senza sublimarlo e il dub- bio morale che lo tocca senza sollevare drammatiche vicende spirituali.

La posizione storica del Poeta napoletand è legata ad un timido tormento sentimentale che non si vela di affascinanti presentimenti lirici come nel Tommaseo, né conchiude ferma- mente un'epoca. Ciò che precorre, non riguarda se stesso (ba- sti l'esempio dei Poeti venturi) ma invece una sottile eredità di pena che si trasmetterà da tutto il suo tempo alle genera- zioni a venire. Non affronta l'intera tradizione di sangue e di canto, dall'Alfieri in poi, per dare i1 suo contributo umano, ma

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anzi, senza portarsi indietro, senza chiamare da lontano, segna l'effimero patimento di un effimero momento di tutto il Ro- manticismo.

Piccola storia spirituale che non ha precedenti da assimi- lare. né discendenze nel corso del secolo.'Ma tale limite giova - sensibilmente all'importanza di questa lirica dell'ottocento, e l'accende di una luce particolare. Le poche pretese accrescono i tratti d'un volto poetico che non venne per nostra fortuna sfruttato (non si vuol dire dal Poerio stesso, nobilissimo nella sua modestia, ma nemmeno dagli innografi delle glorie civili del Risorgimento) a fini di encomio sproporzionato. Infatti la sua morte gloriosa, rendendo supplementare la fama poetica al sacrificio del patriota della sortita di Mestre, servi piuttosto a tenere sotto una fiamma discreta quella immagine di poeta, cosi che è restato piu agevole, poi, valutare l'essenza e il va- lore artistico. I n opposizione a questa limitatezza temporale e ideale, la poesia del Poerio ha invece numerosi e compositi rapporti con la cultura Ictteraria del suo tempo. Personalissi- ma quale diario di un uomo alle prese con forti compiti mo- rali e ragionativi, non cosi si presenta quanto alla formazione espressiva e linguistica. Per tale ragione la poetica di Poerio trova il campo ingombrato da suggestioni culturali, da dipen- denze strettissime con la lirica tedesca e italiana del suo tempo. Infatti solo raramente la sottile combinazione di spiritualismo cristiano e di panteismo paganeggiante può rilevare un visibile disquilibrio. II quale scompenso n9n si traduce soltanto in termini di un ideale colloquio con se stesso, ma ancor piu chia-

/ ramente in espliciti termini letterari: tra Manzoni e Goethe, t tra Tommaseo e Leopardi, tra un ardente bisogno di tutto

i includere ed elevare nel verbo cristiano, di tutto vedere at- I traverso la Fede e, d'altra parte, l'insopprimibile esigenza del- [ la ragione, non con quel forte predominio morale che fu del I Manzoni, ma con un fiducioso abbandono nella forza dell'in-

telletto, nelle virtu della libertà individuale di pensiero (ve- dansi le brutte ma significative terzine del Tommaso Campa- nella), nella natura panteisticamente intesa e celebrata, si nel- lo scorgervi Iddio, ma nel volerlo frammisto alla stessa vita e sostanza della natura.

Tendente alla polemica politico-religiosa è l'abruzzese Ga- briele Rossetti, poeta di scarso nerbo ma significativo per la virulenza della propria battaglia contro la Chiesa cattolica e la sua politica temporale; il Rossetti, che abiurò alla fede dei padri per abbracciare, esule in Inghilterra, il culto evangelico,

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è l'unico poeta religioso a-cattolico, forse, nella nostra lette- ratura. Nel Veggente in solitudine (1846) e nell'Arpa evange- lica (1852) egli tenta di dare alla poesia italiana una raccolta di inni religiosi nuovi, che la tradizione cattolica non aveva saputo, secondo il Rossetti, creare. La fede dell'esule trova nella passione politica accenti tumultuosi che spesso danno un calore di poesia ai suoi versi, mentre le ideologie religiose sembrano piuttosto fantasticherie di esiliato, lontano dalla real- tà nazionale, la quale non avrebbe concepito la riforma della Chiesa quale condizione indispensabile per poter piu rapida- mente giungere a realizzare l'unità della patria.

Era nato a Vasto degli Abruzzi nel 1783, ma la sua for- mazione artistica e culturale si effettuò a Napoli, dove ben presto si affermò come poeta estemporaneo, e autore. d'un gruppo di liriche d'arte pubblicate nel 1806. Durante il qo- verno francese ebbe l'incarico di librettista nel teatro napole- tano di San Carlo, e quindi fu conservatore del Museo; nel 1815 il Murat lo nominava segretario, a Roma, di quella se- zione del governo provvisorio per la Pubblica istruzione. Fa- ceva parte della Carboneria sin dal 1812, e si distinse tra i piu attivi protagonisti del molto napoletano del 1820, il cui evento salutò nell'ode Sei pur bella con gli astri sul crine. Ma al ritorno dei Borboni il Rossetti fu costretto a fuggire a Malta su una nave inglese. Stette qualche tempo in questa isola, e poi nel 1824 si rifugiò a Londra, ove fu professore di lettera- tura italiana (dal 1831) nel King's College, mantenendo sem- pre vivi i rapporti coi patrioti italiani. Padre dei celebri Dante Gabriele e Cristina, il Rossetti si spense a Londra nel 1854. Oltre che liriche, scrisse su Dante (come il Commento analitico alla Divina Commedia e la Beatrice di Dante), sulla musica (Riflessione sullo stato attuale della nostra musica), su svariate questioni politiche, storiche, religiose.

Ma quando si parla di lirica del Romanticismo, l'immagine prima che balza dinanzi ai nostri occhi, è quella della poesia politica: ed è la voce di Goffredo Mameli col suo Inno, con le sue liriche traboccanti d'ardore patriottico. È la voce di Luigi Mercantini, la cui popolarità come cantore della spedi- zione d i Pisacane nella Spigolatrice di Sapri, non deve farci dimenticare altre sue liriche meno rapsodiche e piti ricche di vibrazione emotiva, quale la ,poesia per la fidanzata di un ma- rinaio della « Palestro ».

È la voce, soprattutto, del Berchet, il poeta civile maggio- re di quest'età, quello che piu è riuscito a contenere nell'incal-

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zante ritmo dei suoi versi il fremito dell'insurrezione naziona- le, l'angoscia degli insuccessi e dell'esilio, la speranza dell'im- mancabile libertà e indipendenza della patria. I1 calore dell'elo- quio politico, la tumultuosa sbrigliatezza dei metri, delle rime, dei suoni, creano immagini ancora informi e un linguaggio

i approssimativo, sovente artificioso, qualche volta di un genere I popolaresco di maniera. Eppure il Berchet è poeta. Quando si I perde in una vertiginosa fuga di paesaggi, veduti con la rapi- I dità di chi pensa da lontano i luoghi e i tempi del proprio

amore; quando la sua voce di esule si vela di accorato rim- pianto o freme contro l'oppressione o contro le debolezze e il servilismo di troppi Italiani; quando egli immerge la sua me- moria in un rotto. allucinato fantasticare di e ~ ò c h e lontane. di figure d'altri tempi: i guerrieri del Medioevo, gli eroici borghesi dei Comuni, i castelli, i laghi, le gentildonne, i trova- tori, mostrando che quel repertorio medievaleggiante caro, troppo caro, ai romanzieri del tempo, agli imitatori di Walter Scott, poteva divenire ardente o sognante materia di poesia.

<< Epico-lirico-epico D defini egli stesso la sua poesia, la quale si realizza in una progressione di valori, da I Profughi di Purga (del 1823) alle Romanze (la cui edizione completa usci nel 1826), dalle Fantasie (del 1829) alle Vecchie romanze spagnole (del 1837). Non v'è, nel nostro Romanticismo poeti- co, uno spirito cosi fervido e animoso, alacre nell'appassionata rievocazione storica, ricca di curiosità culturali e di inquietu- dine stilistica, quest'ultima ben visibile nella scaltrita cono- scenza degli effetti metrici e delle possibilità d'adattamento dell'italiano letterario alle forme e ai modi della lirica romanza e della produzione poetica europea dei primi dell'ottocento. I1 suo vocabolario tecnico che è di una strumentalità vigorosa, rotto alle espressioni auliche come agli esotismi antipuristici, arricchi la poesia italiana di originali combinazioni metriche (specie nelle ballate) e di felici scelte di sintassi e di ritmo.

Personalità vigorosa, sanguigna, autentica anche nelle pro- prie debolezze e cadute, fu quella di Niccolò Tommaseo.' Nac- que a Sebenico, in Dalmazia, nel 1802, e mori a Firenze nel 1874; di famiglia italiana originaria della Brazza, fu e si senti sempre italiano, anche se ebbe simpatia ed affetto per i popoli slavi. Studiò dapprima nel seminario di Spalato, poi si recò a

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Padova ( 18 17) per studiarvi giurisprudenza, laureandosi nel 1822. Ma, rimpatriato a Sebenico, si diede a febbrili ricerche ed esercitazioni sui classici, che continuò in Italia, per qual- che tempo a Rovereto, poi, assai pih a lungo, a Milano, dove conobbe il Manzoni e in quell'ambiente letterario maturò i suoi primi scritti: I l Perticari confutato da Dante (1825), strenua difesa della lingua del popolo contro le idee del genero del Monti; il discorso Dell'urbanità (1826). Quindi, recatosi a Fi- renze per collaborare col Vieusseux all'Antologia, vi si fermò a lungo, dal 1827 al 1833, allorché dovette lasciare la Toscana per aver pubblicato sull'Antologia due scritti contro l'Austria e la Russia. Di questo fecondo settennio fiorentino sono prova il Dizionario dei sinonimi (1830) e i molti scritti apparsi sulla ri- vista del Vieusseux. Si recò allora, esule, in Francia, a Parigi soprattutto, ma anche nel Mezzogiorno e in Corsica, e di questa errabonda vita ricca d'esperienze amorose e spirituali, è testi- monianza il romanzo Fede e bellezza (1840), cosl anche il rac- conto I l duca d'Atene (1837) e la raccolta di Canti toscani, corsi, greci, illirici (1841), oltre ad una già ricca messe di poesie varie d'ispirazione e di metro. L'amnistia concessa dal- l'Austria induce il Tommaseo a stabilirsi a Venezia, ma il suo ardente apostolato lo pone in dissidio aperto con le autorità austriache; arrestato, giace in prigione, finché non è, con Da- niele Manin, liberato dai Veneziani; è nella repubblica di Ve- nezia ministro della Pubblica istruzione, poi ambasciatore a Parigi per chiedere aiuti alla repubblica francese; partecipa poi all'eroica difesa di Venezia (1849), rifugiandosi quindi a Corfh (dove rimase fino al 1854); durante il soggiorno vene- ziano aveva pubblicato il Dizionario estetico e le Scintille. Dal 1854 al 1859 stette a Torino, poi ritornò a Firenze, dove vis- se gli ultimi anni della vita (mori nel 1874), rifiutando ogni onore dal governo del Regno d'Italia, e lavorando attivissima- mente, ormai quasi cieco, al grande Dizionario della lingua ita- liana (1859-79), ma pubblicando anche numerosi scritti lette- rari, politici, estetici, storici.

Nell'ambiente letterario romantico e nel mondo politico del 1849 spicca come figura di indimenticabile fascino; eru- dito, linguista, lessicografo, esteta, polemista. Toccò quindi il Tommaseo gamme diverse dell'esperienza letteraria romantica, e certo è in lui il difetto del poligrafo, che a troppe cose at- tende e in troppi impegni culturali si logora. Cattolico in- transigente sul terreno delle idee, la sua vita fu un continuo dissidio tra il richiamo dei sensi e il desiderio di purezza cri-

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stiana, e in questo dissidio fu spesso sincero (in specie in al- cune sentite pagine di Fede e bellezza e in molte liriche), ma sovente in lui prevalsero la posa, la superficialità e l'improv. visazione nel trattare di questioni di fede. Indubbiamente ia problematica cattolica, con tutte le complicazioni psicologiche e gli eccessi sensuali di cui sovrabbonda l'opera di Tommaseo artista, resta la sua corda fpiu schietta e profonda, e Iddio, a questo solo, tremendo, unico amico », il suo tema piu inti- mamente sentito.

I1 problema interiore del Tommaseo, suscettibile di analisi entro lo stesso corpo della produzione letteraria (oltre che nel- la movimentata biografia), il forte ritratto personale che si aderge tanto piu discontinui e irregolari sono i tratti della spi- ritualità, l'incapacità a soffermarsi entro un'opera sola e quel- l'andare scontroso e frammentato per mille esperimenti lette- rari senza che si rinserrino in una unità esterna e compositiva ma solo psicologica e poetica, insomma tutti gli elementi della turbata anima di Tommaseo hanno feraci e interessanti spunti di soluzione o di semplice vicinanza con le caratteristiche del- l'opera letteraria e dello spirito moderno. Ma il rischio non deriva dalla molteplicità degli interessi e delle polemiche che si possono accendere, variando l'angolo d'osservazione; quan- to, semmai, dalla manifesta impossibilità a superare il punto iniziale di partenza (sia linguistico, sia psicologico, sia storico, sia morale) per comprenderli tutti.

I1 verbo poetico del Tommaseo non sta nell'ispirato ab- bandono al cuore, e cosi la sua parola non ritrova nel calore degli affetti le norme costitutive e le sue tinte, né ricerca nella sua preziosità di pittura e di atmosfera quel tono dimesso, fa- miliare, pacato che è del Manzoni. Anche nei momenti di effu- sione Tommaseo sforza i1 termine, gli vuol dare un'impronta di scorci e di luci, lo vuole immettere nella angosciata vita del- le sue immagini e memorie.

Vedrai gl'ignudi poggi rivestirsi d'irrigua selva e di feconde nubi; selva nuotante i porti; e nube ratta (respir di barche nella foga ansanti) nel puro aere gettar nera favilla.

Donde questa complicata sintassi, che è alimentata da con- tinui incisi, da assonanze crude, da singolarità metriche e, si direbbe, prosodiche, ma soprattutto da una indagine fonda en- tro i significati verbali delle parole, quasi a ricercare nel lin-

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guaggio gli stessi tormenti e accensioni sentimentali e impulsi morali che furono della sua coscienza di uomo. E come nel ripetere fino a sfibrarsi gli istanti della voluttà fisica, avverte i morsi del peccato, cosi la sua parola si netta da ogni regolare sentore di cosa adusata alle voci e alle conversazioni, si fa vissuta e veduta nei contorni piii netti, si accende di strane luci colme di fascino.

I1 sentimento della natura e la qualità dell'ansia morale del Tommaseo manifestano chiaramente questa posizione di tran- sito che c'è nella lirica del Dalmata, tra il romanticismo e le prime inconsapevoli avvisaglie decadenti, particolarmente av- vertibili nelle descrizioni di paesaggio e nelle acute memorie personali di Fede e bellezza, il cui autobiografismo è perfin troppo evidente. Uomo romantico come altri mai non fu, cer- tamente è il Tommaseo, ed è inutile qui rammentare come fittamente la sua personalità di uomo pubblico, di letterato, di filologo, di ricercatore di canti popolari, d i polemista, sia radicata nel momento piii romantico del nostro Risorgimento: dopo le discussioni teoriche, dopo gli schemi mentali e morali, appunto quando Romanticismo significò anche e soprattutto una pratica di vita, una maniera d i essere e manifestarsi uo- mini del proprio tempo. Ma non vanno negletti quegli ele- menti ( i quali si direbbe in assurdo, riguardano piii l'artista nel suo istante di pura creatività anziché l'uomo; tuttavia appe- na posto, si dimentichi subito questo confronto) che chiarisco- no indubbi legami tra il Tommaseo e la poesia che lo prece- dette. A questa luce il confronto ormai classico tra il Tom- maseo e il Carducci perde molto della sua importanza, ridu- cendosi soltanto ad un esterno magisteri0 di forma letteraria, senza nulla dell'icntimità morale, del gusto sentimentale, della raffinatezza sensitiva che furono del Tommaseo e che il Car- ducci non ebbe o acquistò da altre parti.

CARLO PORTA

L'istanza realistica che è nel cuore dell'ideologia roman- tica, raggiunge il suo apice nell'opera poetica, in dialetto mila- nese, di Carlo Porta. Nacque a Milano nel 1776, e vi mori nel 1821, dopo essere stato per molti anni impiegato del Debito Pubblico nella sua città. Con la cantica E1 Romanticism e col Meneghin Classegh combatté a favore del Romanticismo e fe- ce parte, col Grossi, il Torti ed altri, di un gruppo di letterati

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detto della <( Cameretta P. I1 punto di forza del Porta è lo stru- mento linguistico adoperato, e cioè il dialetto, che gli consen- te di arrivare con fulminea immediatezza a quella rappresenta- zione concreta delle cose e dei sentimenti, che è un'aspirazione dei romantici, ma ben sovente frustrata dalla incapacità dei poeti in italiano a liberarsi dai complessi tradizionali di lingua e di stile. I1 Porta e il Belli trovano nel dialetto una forma d'espressione che è di per se stessa realistica, giacché da un lato non può attingere a pretensioni auliche senza cadere nella retorica e nell'artificio, e d'altro lato non può interpretare stati d'animo indistinti e imprecisati o argomenti generici, ma è sempre agganciata ad una precisa esigenza di rappresentazione del vero. Va però soggiunto che la iiecessità di dar vita a fatti reali non vieta d'ispirarsi ad un'alta moralità, ad una visione pensosa e profonda dei valori dell'umanità, a sentimenti schiet- ti e pietosi. Tutto ciò serve a nobilitare il dialetto, togliendo- gli di dosso quel che di semplicistico, approssimativo, grezzo esso sembra possedere per sua natura, e sostituendo al riso sgua- iato dei rimatoti pupolari il sorriso amaro e dignitoso del vero poeta, sollevato al di sopra della materia che celebra, eppur calato in essa col suo vigile sentimento e col suo sofferto im- Deano morale. I1 dialetto del Porta. infatti. è di altissimo to- . " no, temprato da ,un'esperienza letteraria assai profonda, e se adopera i vezzi e i giochi di parole cari alla musa popolana, sa piegarli ad uno stile armonioso e potente, ad una sintassi varia. ad un lessico semDre nuovo e originale. "

La poesia del Porta è di pretto gusto romantico, in quanto romantica, ha ben detto l'Isella, <( si voglia chiamare questa esigenza di una nuova religiosità delle coscienze e il senso di solidarietà che ne scaturisce, una volta ammessa la sua possi- bile presenza dovunque, nella comune legge di sofferenza e di miseria umana, palpiti un cuore sincero e generoso ». È ro- mantico in lui l'interesse Der la vita e le costumanze del DO- polo, soprattutto in quel che di misero e d'ang8scioso e di tristemente corrotto è nelle sue abitudini: ma anche se raD- presentato nei lati pi6 infimi e negativi, il popolo è amato dal P m a , e sulle sventure del popolo il suo sorriso non è mai acre o disdegnoso, ma comprensivo, a tratti partecipe e com- mosso. Verso la borghesia, invece, egli guarda come al natu- rale bersaglio della sua critica: borghesia dedita al guadagno gretto e piena di sfacciata ignoranza: com'è ignorante e ipo- crita il clero che egli dipinge con tinte ancor piu vivaci e sprezzanti, ad esempio ne La nomina del cappetlan e nel Fraa

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Diodatt. Eppure non si può dire che il Porta sia animato da virulenza anticlericale, egli che fu amico del Manzoni e che il Manzoni molto stimò e lesse. Nel clero, o meglio in un certo clero, egli vedeva impersonato un vizio fondamentale della società del proprio tempo: la mancanza di sincerità, di probità civile, di tolleranza; e questo accendeva il suo sdegno ad ogni forma di violenta protesta morale, altrettanto come contro la nobiltà egoista e contro le prepotenze dell'occupazione fran- cese. I toni piu alti, di un lirismo effuso di pateticità, il Porta li raggiunse nella descrizioile degli smarrimenti e miserie del popolo, e particolarmente ne La Ninetta del Verzee, storia di una donna traviata e della sua fangosa, squallida esistenza sen- za luce di ideali e di sDeranze. in un carnaio triviale ed osce- , -

no; e qui vibra una pietà tutta romantica per gli umili e i pec- catori, ed è pietà che scaturisce da un animo commosso, ferito dalle sozzurre del mondo, e perciò carico di una comprensione e di una tolleranza che 'non sono lontane da quelle dell'animo del Manzoni. Anche la vena comica portiana si illumina di umanità quando l'argomento investe l'ambiente popolano, co- me nelle Desgrazzi de Giovannin Bongee, un poveruomo per- seguitato dalla sorte avversa, codardo e remissivo dinanzi agli scherni e alle offese.

In tutto questo amplissimo panorama umano e sociale la voce del Porta ritrova se stessa in alti accenti di dienità e di " solidarietà sociale, quale la nostra letteratura non conosceva piu dall'epoca del Parini e che si rinnoverà nella lezione morale del Manzoni. L'epistolario del Porta non possiede una spic- cata autonomia di documento letterario, in specie se posto a raffronto coi carteggi foscoliani e levpardiani. Salvo alcune ec- cezioni, il Porta non sembra impegnarsi stilisticamente, e poco s'abbandona al ricordo e al racconto. Ma l'uomo emerge con nitido tratto dalla semplice prosa epistolare, nella comunica- tiva cordialità del temperamento, nel gusto malizioso dei rife- rimenti, nella sobria schiettezza dei sentimenti di vita. I l sin- cronico confronto tra poesie e lettere anche per il Porta potrà, infatti, autorizzare una valutazione piu concreta del formarsi di quel mondo poetico, nel momento in cui il Porta si è libe- rato da una educazione letteraria cittadina (pur in un ambito tra i piu progrediti culturalmente dell'Italia del tempo) per adire un'esperienza di cultura e d'arte compiutamente europea. La fisionomia morale del Porta si arricchisce di apporti rag- guardevoli anche nel settore familiare, meno le lettere giova- nili, prevalentemente al fratello Gaspare, scarsamente elevate

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al di sopra dell'ordinario scambio di notizie, e assai pifi queIle degli anni maturi, specchianti le piccole vicissitudini d'una vita familiare aspirante alla serenità e all'agio. Ma è anzitutto la figura culturale a trarre chiarezza dalla lettura del carteggio, anche da quello tra amici comuni (Rossari, Grossi ecc.); s'os- serva il sorgere di sempre maggiori interessi letterari; lo scam- bio amichevole si trasferisce dal clima delle relazioni sociali aila vera temperie culturale; v'è modo di congetturare la lar- ghezza e intensità delle discussioni nelle fitte serate della Ca- meretta, sullo sfondo della coeva attività poetica, anzi ad il- lustrazione d'essa.

GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI

Anche la poesia in dialetto romanesco di Giuseppe Gioac- chino Belli s'inquadra nella poetica del Romanticismo italiano, e fa Darte .del moto incessante di rinnovamento della forma poetiCa e della sensibilità secondo quelle idee che i tanti So- netti belIiani mai esprimono o accennano esplicitamente ma recano nel sangue della loro rappresentazione umana. I1 rea- lismo del Belli, come quello del Porta, è un realismo tutto ro- mantico, acceso di luci e colori romantici e che non si vuol fermare ad oggettiva esposizione, ma delle cose cerca Ia vibra- zione umana, lo scatto d'ira o d'amore, la precisa cornice so- ciale, l'aggancio con il gustoso riferimento storico, COI colorito <( parlato >> della gente del popolo.

I1 Belli nacque a Roma nel 1791 e vi mori nel 1863; fu per molti anni impiegato in un ufficio della Curia romana. Scrisse versi in lingua italiana (Versi inediti, 1843), diari, uno zibaldone di pensieri e appunti linguistici, ma soprattutto due- mila e trecento Sonetti in romanesco, mai pubblicati in vita e che anzi egli aveva destinato alle fiamme.

Nei trentamila e piu versi dialettali del Belli si dispiega nella sua integrità un mondo che non è soltanto quello della Roma borghese e popolana del suo tempo, ma di tutta l'uma- nità, còlta nei suoi slanci ma pifi nei suoi vizi, nelle passioni, negli odi profondi, e rappresentata a squarci e scorci, attra- verso una fitta congerie di fatti, fatterelli, dialoghi e scene e tipi di personaggi della pi6 differente natura, in tutto il vario- pinto e affollato clima sociale dell'epoca: la solennità della vita secolare di Roma a contrasto con le piccole miserie degli uomini, i monumenti augusti accanto alle iasupole poverissi-

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me di Trastevere, e tutto il popolo di Roma: artigiani, botte- gai, sbirri, lenoni, donne di malaffare, contaditni, preti, fore- stieri. I l Belli nella sua satira violenta e gioconda, a tratti per- fino cupa, colpisce ogni aspetto della vita romana contempo- ranea: la vita dei ricchi e potenti prelati, l'amministrazione delle cose sacre, i costumi corrotti della nobiltà e della bor- ghesia, l'egoismo delle classi privilegiate ma anche gli eccessi e le idee anticristiane dei <( ggiacubbini >>, e il popolo minuto che si trascina nella sua miseria e nei suoi vizi, ma redime continuamente se stesso negli slanci generosi del temperamen- to, nell'insopprimibile sentimento di fraterna solidarietà, nelle sue speranze sempre vanificate e sempre risorgenti nella luce delle umane illusioni di riscatto.

Soltanto i popolani posseggono la verità intera della vi- ta, in essi solo l'umanità non appare alienata attraverso l'uso e l'abuso della ricchezza e del potere >> (Muscetta). E tutto questo mondo enorme è rappresentato per frammenti, ciascun frammento espresso dal breve giro di un sonetto. Poi, ricom- ponendo tutti i frammenti, appare sullo scenario della poesia del Belli uno spettacolo infinito di umanità, il << commedione >> umano di cui parla il poeta e di cui sa cogliere con parole gravi e commosse il pesante destino:

Cqua nun re n'essce: o ssemo ggiacubbini o ccredemo a la legge der Ziggnore. . Si cce credemo, o mminenti o ppaini, la morte è un passo cche uve ggela er core.

Se curre a le commedie, a li festini, se va ppe l'ostarie, se fa l'amore, se trafica, s'imporreno quadrini, se fa dd'oggn'erba un fascio ... eppoi se more!

L'arguzia si mescola all'amarezza, il riso -scigtillante alla pensosa riflessione sulle debolezze dell'umanità. Non sempre è evidente se l'« animus >> di Belli coincida in tutto o in parte con sentimenti e risentimenti del popolano che, nel singolo sonetto, parla ia prima persona; un certo distacco è spesso ine- vitabile, soprattutto quando la materia si fa piu violenta e licenziosa, e non mancano momenti in cui si ha quasi l'impres- sione che Belli si nasconda misteriosamente dietro i propri contenuti, eviti di dir di sé, non proietti i propri ideali in nessuna situazione particolare, in alcuno dei suoi innumerevoli tipi e prototipi umani. Per penetrare nella realtà della vita del popolo il Belli possiede un'arma efficacissima: il dialetto ro-

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manesco, che egli piega a tutte le necessità dell'espressione, ora pastoso e ricco di sfumature, ora secco e tagliente, sem- pre ricco nel lessico e armonico nei costrutti, giungendo tal- volta ad arditezze verbali mai tentate dai poeti romaneschi dei secoli precedenti. La lingua del Belli è uno dei fenomeni piu rilevanti dell'ottocento romantico, per la precisione estrema dei prelievi << fonici » dall'uso del popolo e, contemporanea- mente, per la musicalità rotonda e sonora, per il gusto dei chiaroscuri verbali, intensi e serrati, per la cura attenta delle scelte lessicali e delle risoluzioni sintattiche, per il senso del << parlato e della battuta, per le sapienti creazioni narrative di bozzetti popolareschi.

GIUSEPPE GIUSTI

Ad un concreto contenuto civile e alle idee politiche del- l'età mira la satira ironica e briosa del Giusti. Nacque a Mon- summano (Pescia) nel 1809, e mori a Firenze nel 1850; stu- diò legge a Pisa dove si laureò soltanto nel 1834; fu a lungo a Firenze, amico del Capponi e in stretti rapporti di cultura con l'ambiente dell'tlntologia; poi di nuovo a Pisa, alla Spe- zia, a Milano (dove frequentò il Manzoni), di nuovo a Pisa. Partecipò attivamente al 1848, anche come deputato a!l'As- semblea legislativa toscana. ~ o i Costituente. " , L

In complesso è lirico di non notevole levatura di pensiero, rivo di auell'intensa sofferenza Der i casi della vita che rende

1 -

cosi dolorosamente umana la lirica portiana e belliana; anzi, piu che un lirico, il Giusti fu la piu suggestiva incarnazione del letterato toscano, dal linguaggio rapido e pieghevole a tut- te le esigenze del riso e dello scherno. dall'umore faceto che " non attinge all'ispirazione profonda, eppure sa ricreare con una grazia impareggiabile uomini e vicende del tempo presen- te, facendone durevoli figure dei difetti e debolezze dell'uma- na natura. Solidissimo nelle sue opinioni liberali, concreto nel- la visione della situazione politico-morale del tempo, preferi al- l'affermazione perentoria del verbo patriottico ripiegare su una sorridente visione dei lati piu ridicoli della vecchia società, che, pur languendo, ancora s'affaticava a combattere quelle opi- nioni e il nuovo modo di vita. E quando scomparvero dalla scena, vinti, i personaggi del vecchio mondo retrivo ( i birri, le spie, i conservatori ostinati, i servi sciocchi del governo, i Girella, i Gingillino, i Re Travicello), e presero posto gli

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uomini nuovi, il Giusti nemmeno in questi, ben presto a lui rivelatisi demagoghi, trovò l'incarnazione di quella vita onesta e tranquilla, lungi dai tumulti e dalle repressioni sanguinose, che egli aveva per molti anni vagheggiato: un ideale, ha ben scritto il Bosco, nascente dalla sazietà della raffinatezza e del- la cultura, che tanto piu vagheggia quanto piu se ne avverte i'illusorietà, quanto meno si è nell'intimo disposti ad acconten- tarsene ». Nel vagheggiamento di questo senso della concre- tezza il Giusti riusci ad esprimere le note migliori di sé, il sentimento della vita leale, franca, priva di infingimenti e di doppiezze.

11 Giusti <( satirico » spietato e sprezzante è assai inferiore al Giusti galantuomo sentimentale, che si sofferma a contem- plare, come in Sant'Ambrogio, un'umanità dimessa e senza ideali; e infatti troppo spesso nel Giusti satirico s'avverte un eccesso di freddezza letteraria, che si compiace di complicati giochi di parole e di cincischianti andamenti popolareschi, con adagi o motti o proverbi. Cosi l'oggetto della satira è troppo spesso deriso soltanto, e non compreso o pietosamente giusti- ficato. Per tal motivo il Sant'Ambrogio è il componimento mi- gliore, perché ivi prevalgono le tonalità sentimentali aperte e sincere; ma certe altre liriche, come Dello scriver per le gaz- zette, hanno una tal serietà morale, da far pensare del Giusti come di un Parini mascherato da Guadagnoli:

Povera madre! I1 gaudio vano, i superbi vanti, le garrule discordie, perdona ai figli erranti; perdona a me le amare dubbiezze, e il labbro attonito nelle fraterne gare.

La struttura stilistica del Giusti è tuttavia perfetta nel suo lessico e nella sua veloce sintassi, e tale da determinare nelle incessanti rappresentazioni satiriche una varietà formale, ele- gante, estrosa, ricca di personali invenzioni. Nei momenti piu felici, questa lingua toscana, orgogliosa di sé e duttilissima, acquista un ritmo patetico piu largo, dove si ritrovano i toni della coeva lirica romantica, calda e accesa.

I SECONDI ROMANTICI

I1 Romanticismo 'italiano, pur sorto vari decenni dopo le

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scuole nuove d'oltralpe, aveva rapidamente conquistato posi- zioni di valore europeo nella riflessione teorica e nell'esecu- zione letteraria, i'n grado non piu di subire influssi ma di eser- citarli sulla cultura degli altri paesi; basterà segnalare gli ef- fetti che la poetica drammaturgica del Manzoni consegui sul teatro romantico francese. Tuttavia nel decennio che va dal 1850 al 1860 la poesia e la letteratura italiana, perdendo in potenza creativa e in forza propulsiva d'ideali civili, entrano in crisi, che è crisi di saturazione, non di crescenza, del moto roman- tico. E la crisi continua almeno per un altro decennio, accen- tuata da un senso di sfiducia e di rilassamento della società borghese dopo gli impegni c oli ti ci del '59 e del '60. L'energia ideale e morale del Romanticismo scade, in questa seconda età romantica, nel sentimentalismo angusto e passivo, in un pate- ticismo spento e indefinito, in una mitizzazione della scon- tentezza e dell'autocommiserazione, in un rimpiangere dolente le debolezze e la felicità del tempo lontano. La concreta istanza verso il realismo che pur aveva alimentato l'arte di un Manzoni e di un Porta, diviene artificioso vezzo di indugiare su convenzionali scorci di vita, piccoli personaggi, ambienti un po' vieti seppur d'aggraziato gusto popolaresco. Lo stesso fenomeno di decadenza e di involuzione si nota nel linguaggio, che perde il dinamico timbro creativo, la verità lessicale e la congruenza sintattica del primo Romanticismo per porre in ri- lievo piuttosto le tonalità languide, sospirose, elegiache, di una musicalità esausta e un po' torbida. I contenuti di carattere storico, che già negli epigoni del Manzoni apparivano di ma- niera, ora accentuano le false prospettive dello scenario me- dievale nelle numerosicsime novelle in versi, vera e propria moda in quest'età, o nella lirica d'effusione amorosa e di netta caratterizzazione autobiografica. Ma sarebbe'trroneo scorgere in questi poeti soltanto vieta imitazione o compiaciuta deca- denza, né si può dar del tutto ragione al Carducci quando si scagliava contro lo <( sguaiato sentimentalismo, il quale è un cotal molliccio e tenerume piu degno invero di un popolo di eunuchi che non de' robusti e dignitosi italiani ».

Cominciano ad apparire i segni premonitori di un movi- mento che sarà dominante negli anni successivi: il Decadenti- smo. Si noti ad esempio, come il Prati vada sempre piu ricer- cando nella sua poesia motivi e personaggi di un mondo umi- le, dimesso, malinconicamente condannato alla povertà di sen- timenti e di gesti; si noti come 1'Aleardi vada profondendo sempre piu il suo spirito, esausto di eroismi, nelle plaghe ar-

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cane della fantasia e del mistero. I secondi romantici si rifu- giano nel fluido del sentimento, nella voluttà del pianto le- nificante », << non sono capaci di annitidire i1 loro mondo, di mettere a fuoco la loro ispirazione P, come ha ben detto il Bo- sco; estrinsecano e sottolineano con voluto compiacimento un gusto, un diletto di commuoversi o di fantasticare che supera tutte le seduzioni che pur vengono loro dal desiderio di am- pliare il piu possibile l'orizzonte del pathos romantico; abban- donano ogni forma di rappresentazione, o realistica o idealiz- zata della vita, per perdersi in un nirvana di sogni teneri e vo- luttuosi. La lingua poetica si piega alla commozione e alle visioni ineffabili, divenendo piu sfocata, piu vaporosa, atten- tissima a segnare le minime variazioni di colore e d'armonia del paesaggio. Ed appunto col secondo Romanticismo il pae- saggio si sensibilizza fino allo spasimo; ma siamo ancora ad una sensitività passiva, senza l'intima febbre di conquista del- l'io misterioso che sarà tipica dei poeti decadenti.

GIOVANNI PRATI

Giovanni Prati nacque a Campomaggiore (Trento) nel 1814 e mori a Roma nel 1884; cominciò giovanissimo a poe- tare e declamare, ed ebbe un vivissimo successo col poemetto Edmenegarda ( 184 1 ). Incarcerato e bandito dagli Austriaci nel 1847, soggiornò a Milano, a Torino, nel Trentino, in Svizzera, poi (1848), a Padova, e di nuovo a Torino dove fu nominato storiografo della corona (1849), seguendo la Corte sabauda a Firenze ( 1865) e a Roma (1871), dove fu nominato direttore dell'Istituto Superiore di Magistero; nel 1876 fu fatto senato- re. Pubblicò nel 1836 un volume di Poesie; poi i Canti lirici (1843), Memorie e lacrime (1844), Passeggiate solitarie (1847); vari poemi, tra i quali Armando (1868); infine Psiche (1876) e Iside (1878).

I1 Prati presenta un gamma assai varia di propositi e di ricerche, dapprincipio in un'orbita di realismo romantico nel- I'Edmenegarda, ove tenta di raccogliere tutte le forme e gli schemi della novella sentimentale in una sorta di ideale e sum- ma » romantica, dove sono presenti la malinconia sospirosa di un preromantico come il Pindemonte, l'accento lagrimoso di un Pellico, l'interesse per le vicende contemporanee di un Carca- no, il paesaggio patetico di un Grossi. I1 gusto poetico del primo Romanticismo sembra quasi mutare di prospettiva, pie-

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gando al racconto di piccoli fatti privati della vita borghese in una cornice, si direbbe byroniana, di fervida passione amo- rosa, e con una concreta velleità di costruire una precisa vi- cenda psicologica. Quel tanto di antico e di nuovo che appare nel giovane poeta, è già nel nome stesso della protagonista, contaminato tra quello d'un personaggio reale (Edgarde Manin, sorella del patriota ed eroina d'una consimile avventura amoro- sa) e quello dell'Ermengarda manzoniana. I1 linguaggio effuso e sfumato ben denuncia l'assenza o il rifiuto d'un amore dram- . matico del Doemetto: <( l'urto è attutito n (ben scrive il Bosco). a il dramma ignorato; l'urlo diventa un lamento e la bestemmia un accorato compiangersi. Tutti son vittime, tutti incolpevoli: su tutti si stende uguale la patina di un patetico fine a se stesso, d'un cattolicesimo superficiale, che non prendendo partito tra quei che soffrono e quelli che fan soffrire, denuncia una so- stanziale indifferenza, morale e poetica ».

Nella lirica successiva il Prati s'avvicina di piu ai conte- nuti e al linguaggio di Lamartine, Byron, Hugo, ma viene a cadere l'interesse per la vicenda borghese contemporanea, pre- valendo esperienze liriche di piu complessa fattura e di piu vasto orizzonte storico. Tuttavia il risultato non sarà affatto piu positivo, poiché il realismo dell'Edmenegarda, cosi capace di commuovere i lettori borghesi, cedeva a mano a mano ad una poesia piii astratta, rapita in visioni misteriche. Nasce un'opera di grandi ambizioni, l'Armando, che vuol essere quasi un'antologia di tutti i temi romantici, il crogiolo di stili di- versi: mrò è un'o~era mediocre. ove si salva aualche momento , L

di contemplazione paesistica, allorché la languida vaporosità degli incanti fantastici r i~rende a tratti il cromatismo ~i t tor ico . " del poemetto giovanile e cioè soprattutto nelle serene visioni dl Canto d ' l ~ e a . -

Ora l'entusiasmo del pubblico comincia a venirgli meno, e il poeta, già colmo di successi, ripiega su se stesso, chiuso ormai ad avventure ambiziose. Scaturiscono dall'intima ri- flessione degli anni maturi le cose migliori, Psiche e Iside, dove si colgono momenti di minuta rappresentazione della vita degli umili, episodi, figurine, macchiette, scorci di pae- saggio di felice tratto figurativo e dal colorito espressivo piu fine (Azzarellina, Incantesimo). L'evocazione poetica rivela una natura discreta, sommessa, amante di tenui colori, di nomi di piante, di delicate suggestioni, tale da esercitare una notevole influenza sulla poesia decadente, in particolare sul primo Pa- scoli, su Severino Ferrari, Pompeo Bettini, il Guerrini minore

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(e migliore), anche col suo linguaggio piu sottile e fine che non nell'Edmenegarda, d'un impasto musicalmente aggraziato, ca- rezzato, gentile.

ALEARDO ALEARDI

L'Aleardi subi assai meno il fascino del realismo romanti- co, mentre la sua poesia trova con maggiore lievita la strada dell'incanto fantastico. Aleardo (propriamente Gaetano Maria) Aleardi nacque a Verona nel 1812 e vi mori nel 1878; venne posto in carcere dagli Austriaci nel 1852 (a Mantova) e nel 1859 (a Josephstadt); fu (dal 1864) professore di estetica e storia dell'arte nell'Istituto di Belle Arti di Firenze; poi depu- tato (1860), e dal 1873 senatore. Pubblicò Le lettere a Maria nel 1846 (lettere in versi sciolti in cui evoca un innamora- mento spirituale e commemora un comune destino di soffe- renze), l'idillio Raffaello e la Fornarina nel 1855, in cui affer- ma la necessità dell'amore per l'artista che crea; dell'anno do- po sono la lirica 11 Monte Circello e il poemetto Le antiche città italiane marinare e commercianti. Le immagini aleardia- u

ne nascono fluttuanti, indistinte, vaghe, approssimative: l'ani- ma del poeta s'appaga di esse e deUa loro forma rarefatta, non vuole soggiacere alla rudezza della realtà, e se, nonostante ciò, si trova dinanzi a cose concrete, a sentimenti reali, tenta di renderli il piii possibile indeterminati e fluidi: un processo di rarefazione melodica e ~ittorica che disorienta e annulla Dure i sentimenti reali, scoprendone tutto il segreto d'indetermina- tezza e cercando di vivificare il paesaggio delle Paludi Pontine (nel Monte Circello) o delle antiche città medievali (nelle Città italiane) in cartoni storici (Corradino di Svevia e il castello di Astura) o in dilettazioni esotiche, di quell'orientalismo che riesce a comunicare una languida sensazione di sogno, in una languorosa indeterminatezza delle immagini e delle analogie tra figure reali e simboli evanescenti, ognuno dei quali par quasi alitare in un'aria arcana e rarefatta.

Quando l'incantesimo dei versi vaporosi e cantanti si spez- za, emerge un grezzo argomento narrativo, overo di vita, o tendente ad un esotismo di cattivo gusto. E cosi che anche nei successivi Canti patrii (del 1859), in specie in alcune liri- che come Le tre fanciulle, I tre fiumi, Triste dramma, la poe- sia aleardiana può offrire spunti di sapore decadente, e, non meno di quella pratiana, scorrere per vie non sempre dichia-

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rate, tuttavia piu formali che di specie sentimentale, sino alle prime prove dei' decadenti e ad alcuni accenti delle Foglie gialle e delle prime Myricae pascoliane.

GIACOMO ZANELLA

Anche nello Zanella sono presenti elementi romantici, in specie dell'ultimo Romanticismo nei poemetti byroniani Edvi- ge e Il piccolo calabrese. Tuttavia son ben piu rilevanti e frut- tuosi i contatti con i parnassiani d'oltralpe, pur mancando in senso assoluto la poetica parnassiana, e cioè l'attento studio di una forma nuova e indipendente dalle libertà dell'istinto romantico, una disciplina del verso che si fondi soprattutto su un'originale impostazione del problema linguistico. Nacque a Chiampo (Vicenza) nel 1820 e mori a Cavazzale (Vicenza) nel 1888; sacerdote, a ventitré anni, insegnò dapprima a Vicenza e Venezia, finché non ebbe (1866) la cattedra di letteratura italiana nell'università di Padova, cattedra che lasciò per ra- gioni di salute dieci anni dopo. Nella sua forma poetica non c'è tentativo di creare nuove basi espressive e metriche: egli ha dietro di sé un'educazione neoclassica predominante, e la sua cultura poetica in senso formale è quella settecentesca, del Parini, del Fantoni, della poesia oraziana del Settecento e an- che della melica di quel periodo, immettendo nell'alveo esau- sto del classicismo problemi e preoccupazioni della civiltà mo- derna, e tentando di risolvere in pari tempo una possibilità d'armonia tra le parole della tradizione poetica e quelle del verbo scientifico.

Già s'era avuta l'esperienza dei poeti didascalici del Sette- cento, che avevano versificato le scoperte della scienza. Za- nella agisce con maggiore consapevolezza artistica: il mate- riale scientifico da oggetto di poesia diviene nelle sue mani la scintilla di avventure fantastiche. Certamente il contrasto tra scienza e fede produsse nello Zanella profonde crisi interiori: qui risiede il limite del poeta, incapace di esprimere i segni dell'inquietudine e lanciato, purtroppo, in uno sterile tentati- vo di superamento. Le sconfitte delle ambizioni di un canto scientifico spingeranno lo Zanella ad accostarsi alla natura per subirne i sentimenti riposti, lo smarrimento che fa scoprire Dio tra le creature; ma dapprima la sua posizione poetica era ben diversa e si sentiva in lui, anche nei momenti di scolastica elo- quenza, un'adesione nuova e schietta alla civiltà contempora-

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nea avvertita nell'elegiaco contrasto tra l'antica vita dei popoli e l'attuale, tra i mondi scomparsi (dei quali v'è rimasto solo un vestigio vegetale e minerale) e un nuovo mondo esaltato dalle scoperte della scienza e della tecnica. Come ogni poeta del tempo era e si diceva vittima delle proprie inquietudini, cosi lo Zanella intendeva i contrasti ~ersonali in termini di acco- rata confessione: la confessione d i un sacerdote del secondo Ottocento, alla ricerca di un compromesso tra la fede cristia- na e il progresso scientifico. E cosi ha bisogno di stemprarsi nei sonetti dell'Astichello, in un senso penico per cui anche Dio, al pari delle creature, si vede e si vive. Dopo i travagli tra fede e scienza, trova riposo nell'idillio campestre: la reli- gione è retrocessa al ruolo di personaggio della vita georgica. Scaturirà da-questa differente esperienza letteraria uno stile terso e polito, aggraziato e ricco di sottili risonanze melodiche, anch'esso capace d'esercitare influssi sulla lirica minore del se- condo Ottocento (Betteloni, Aganoor Pompili - che fu sua allieva - Graf).

L'eleganza classicheggiante dello Zanella non è un fatto isolato in questo periodo, ché l'esperienza neoclassica e una lontana sottile eco degli idilli del Leopardi sono visibili nella cosiddetta <( scuola romana », un'oasi nel mondo letterario ot- tocentesco, che risente del chiuso ambiente di Roma prima di Porta Pia. I rappresentanti di questa scuola sono fini ed ele- ganti letterati, ma senza ideali vigorosi di cultura (Giuseppe Maccari, Giovanni Torlonia, Paolo Emilio Castagnola), ma fra essi c'è un piccolo poeta, Giambattista Maccari (Frosinone 1832 - Roma 1868), malinconico cantore di scorci di vita popo- lare (La fonte, I l cocomero, I bagni di mare, I molini a olio), incantato ad osservare il piccolo ambiente cittadino o ciociaro con casta e timida purezza di visuale, sensibile, come s'è detto, all'influsso del Leopardi nell'evocazione dei temi e dei ricordi, tuttavia con un senso della vita umana vista nella sua concordia affettiva con l'amica natura.

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Capitolo quattordicesimo

I1 romanzo storico

È elemento che non venne mai posto in discussione, che il grande successo dei romanzi storici di Walter Scott, subito tra- dotti in Italia e letti con entusiasmo dai ceti colti e da quelli men colti, abbia determinato l'avvio di questo genere lettera- rio nel nostro paese, opportunamente adattando gli schemi narrativi e i modi stilistici dell'autore di Ivanhoe alle predile- zioni dei lettori italiani, e trascegliendo argomenti di storia pa- tria, medievale e moderna. Ma potrebbe essere erroneo scor- gere soltanto nell'imitazione dello Scott le cause e lo svolgi- mento del romanzo storico italiano. La narrativa aveva conosciu- to un rinnovamento profondo almeno un decennio prima della comparsa dei primi romanzi storici; il ritardo è conseguenza del complesso e difficile rinnovamento letterario, e cioè per l'assorbimento entro la struttura tradizionale del romanzo (che anche nel Settecento poteva avere argomenti storici a fonda- mento: si ricordi il romanzo di Alessandro Verri, Le notti ro- mane al sepolcro degli Scipioni) di tutte quelle esigenze e ten- denze e interessi per la storia italiana che il Romanticismo europeo avevano profondamente avvertito ed espresso, a par- tire dagli stessi iniziatori settecenteschi del movimento. Basta guardare al Manzoni o al suo amico Tommaso Grossi per no- tare la genesi e la soluzione di questa esigenza: nel primo dalle tragedie al romanzo storico, nel Grossi dalle novelle sentimentali e dal poema storico ( I Lombardi alla prima Cro- ciata) al romanzo storico Marco Visconti. Almeno per il Man- zoni il romanzo storico, pur nato per ultimo, riesce a conden- sare e a recepire i lieviti del moto romantico in una compa- gine per nulla velleitaria o astratta. E per i nuovi romanzieri, come per tutti gli scrittori romantici, l'evocazione del passato avrà in sé sempre una nota di malinconia accanto all'brgo- glioso vanto di una tradizione nazionale cosi gloriosa e alla

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speranza di veder presto la patria riunita e ancora depositaria di grandezza. Per pochi, forse soltanto nel Guerrazzi e nel Grossi, questi elementi saranno sceverati e posti in rilievo in modo chiaramente esplicito; per lo piu essi si confondono nel- la massa dei fatti storici avventurosi o drammatici o epici che si addensano nei singoli romanzi in modo tumultuario, e non riescono a divenire né pacata ricostruzione storica né com- mossa rievocazione lirica né ardente espressione politica. Sol- tanto con la generazione piu giovane, soprattutto con Ippoiito Nievo, questi elementi saranno artisticamente rivissuti.

Un altro giudizio tra,dizionale, del quale occorre tener con- to, insegna che il romanzo storico comincia coi Promessi Sposi. Dobbiamo piuttosto dire che prende inizio dal momento in cui il Manzoni imprende a scrivere Fermo e Lucia, e la notizia di questo cambiamento di genere da parte del caposcuola ro- mantico comincia a circolare negli ambienti letterari italiani. Infatti, se volessimo considerare la data di pubblicazione del- la prima edizione dei Promessi ,Sposi: giugno 1827, ci accor- geremmo che Giovan Battista Bazzoni aveva già scritto e sta- va pubblicando (per l'appunto nel 1827, sul periodico mila- nese Il Nuovo Ricoglitore) il suo Castello di Trezzo, diretta- mente ispirato ai 'romanzi di Walter Scott. Ma la forma del- l'opera narrativa è ancora ibrida, a metà strada tra la novella in prosa e in versi e il vero e proprio romanzo storico. Quan- do poi, nel 1829, il Bazzoni pubblicherà Falco della Rupe o la guerra di Musso, avrà modo nell'introduzione di tessere I'elo- gio dei Promessi Sposi, sia pure per distinguersi dai canoni dell'arte manzoniana. I1 primo romanzo, ambientato verso la fine del 1300, narrava dell'imprigionamento e poi della mor- te per veleno, nel castello di Trezzo, di Palamede, invaghitosi di Ginevra, figlia di Barnabò Visconti (vari romanzi storici, e vedremo poi quello del Grossi, prendono ad argomento le imprese o le malefatte dei Visconti); in Falco della Rupe il Bazzoni racconta, con indubbia abilità romanzesca anche se con poco vigore d'arte e sottigliezza psicologica, la lotta di Giangiacomo de' Medici contro Massimiliano Sforza e gli amo- ri di Gabriele de' Medici con Rina, la figlia del bandito Falco della Rupe, partigiano dei Medici, e quindi sullo sfondo di vicende avvenute tra il 1531 e il 1532. La scelta dell'argo- mento storico mostra la predilezione dei romantici per la sto- ria tra il 1200 e il 1500, con particolare riguardo alle lotte dei Comuni e delle Signorie; anche in questo il Manzoni batte una strada tutta sua, scegliendo un periodo storico assai men

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caro ai romantici, il Seicento, e per l'appunto molto meno <( romantico ».

Nello stesso 1827 esce un altro romanzo storico che vor- rebbe -mostrare di non saper nulla del lavoro manzoniano: la Sibilla Odaleta di Carlo Varese, piemontese come anche il Bazzoni. P r o ~ r i o nella Dremessa al romanzo il Varese lamen- tava che in Italia non fosse ancora nato il romanzo storico, e ingenuamente dichiarava di voler ovviare a tanta lacuna. L'imi- tazione dello Scott è ancor piu evidente che nel Bazzoni, ad esempio nel compiacimento per le scene di magia; la com- plessa macchina romanzesca ha sullo sfondo la spedizione ita- liana di Carlo VI11 (altri suoi romanzi I Torriani e i Visconti, oppure Gerolimi, ossia il Nano di una principessa, di interes- sante piglio grottesco).

Da auel <( fatale D 1827 i romanzi storici rendono a usci- re in copia sempre maggiore, e ad un certo momento non si contano ~ i u . Ricordiamo tra i minori I Lambertazzi e i Gere- mei e le jazioni di Bologna nel secolo X I I I , cronaca di un Tro- vatore, opera di Defendente Sacchi (che qualche anno prima aveva pubblicato un curioso romanzo sentimentale, l'oriele, imitato dal Werther del Goethe e dall'ortis del Foscolo); La calata degli Ungheri in Italia nel Novecento o anche Il ritorno dalla Russia di Davide Bertolotti (anch'esso autore di un ro- manzo ortisiano, L'isoletta de' cipressi); La monaca d i Monza di Giovanni Rosini, tronfia e macchinosa amplificazione del- l'episodio manzoniano di Gertrude (il Rosini scrisse anche una Luisa Strozzi, un Conte Ugolino); l'Ebreo d i Verona e molti altri romanzi del celebrato padre Antonio Bresciani; la Gine- vra di Antonio Ranieri, l'amico del Leopardi; Il Duca d'Atene di Niccolò Tommaseo, che certo non nel romanzo storico eb- be a raggiungere il meglio della sua arte ricchissima e del suo multiforme ingegno, ma pur in grado di lasciar nel romanzo pagine di densa, forte prosa e ritratti degni della sua acutezza analitica; la Margherita Pusterla di Cesare Cantu, di non ori- ginale intreccio (la protagonista, moglie di Franciscolo Pusterla, è insidiata dal tiranno di Milano, Luchino Visconti, ma riesce piu. volte a sfuggirgli finché non viene catturata col marito e il figliuolo, e messa a morte dal tiranno), ma che fu tra i ro- manzi piu fortunati e popolari, a causa del gusto per scene orripilanti e violente, e anche per un'indubbia abilità di inqua- dramento nel costume del tempo, come era da attendere da uno storico quale il Cantu. La serie dei nostri titoli po- trebbe accrescersi di molto, ma è bene isolare alcune figure

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piii rappresentative, come il D'Azeglio, il Grossi e il Guer- razzi, per poi ricercare lo svolgimento del genere letterario nelle generazioni successive, col Nievo e col Rovani, alnticipa- tori del romanzo storico del secondo Ottocento. Prima di chiudere la rassegna dei titoli è bene soffermarci qualche mo- mento su un romanziere italiano ma di lingua inglese, Gio- vanni Ruffini, amico del Mazzini, esule prima in Svizzera e poi a Londra, autore di due fortunatissimi romanzi, il Lorenzo Benoni e il Dottor Antonio, di salda ispirazione civile e poli- tica, soprattutto il primo, dove l'argomento è autobiografico oppure rispecchia vicende occorse al fratello dello scrittore, e dove appare nel personaggio Fantasio lo stesso Mazzini, ac- canto ad altre figure del mondo patriottico, soprattutto giova- nile, seguace del Mazzini.

La materia del romanzo storico italiano non somortava una via di mezzo: o liberarsi della nomenclatura e affidarsi alle fi- gure centrali, ma rinunciando cosi al panorama complessivo di un genere che ebbe tanta fortuna; oppure dover rinunciare, il piii delle volte, alla possibilità d'esprimere un qualsivoglia giu- dizio estetico o letterario per immergersi nelle notizie, nei ri- scontri storici. Quel poco che c'era da dire, quanto a validità artistica dei romanzi degli epigoni manzoniani, i contempora- nei seppero dire, presentendo l'aggancio del romanzo storico al ribollire di passioni civili e morali del nostro Risorgimento. V'era pur un'intima necessità, da parte dei romanzieri roman- tici, a scegliere un dato argomento di storia, un'epoca da rap- presentare, e nasceva dal 'bisogno di trovare un rapporto con- tinuo e oDerante tra la storia che stavano vivendo e auella del passato. Cosi il Guerrazzi riesce a superare talvolta la tru- culenta materia per cogliere qualche accento sincero sulla boc- ca dei propri personaggi. Cosi p i ~ tardi il Rovani stabilirà un ponte tra l'entusiasmo gagliardo delle generazioni del '48 e la stanca atmosfera borghese nella quale vive.

Ma restiamo ai romanzi di Massimo d'Azeglio, la cui par- tecipazione al movimento risorgimentale è però da porre so- stanzialmente a seguito dell'attività narrativa (accettazione del- l'invito dei liberali romani a studiare la situazione politica dello Stato della Chiesa: 1845; l'opuscolo Degli ultimi casi di Romaana del 1846. e dell'anno successivo la Probosta di un progra-mma per lJopinione nazionale; infine la del Consiglio dopo Novara: 7 maggio del 1849). I romanzi appa- iono quindi piuttosto una prova di tirocinio patriottico alle future iniziative politiche: l'Ettore Fieramosca o la Disfida di

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Barletta era stato pubblicato a Milano nel 1833, e il Niccolò de' Lapi sempre a Milano nel 1841. Ciò può giustificare quel tanto di tumultuario e di fervidamente approssimativo che appare nei romanzi. I1 Fieramosca era stato preceduto da un quadro, rappresentante per l'appunto la disfida di Barletta; su- bito dopo nata l'idea d'un romanzo, sulla scia dell'incipjente successo del genere, il D'Azeglio, come racconta nei Miei ri- cordi, si mise al lavoro in gran fretta, con frenesia: donde il nessun rigore dell'apparato storico, soverchiato e spesso an- nullato dalle invenzioni, e l'incerta struttura organica dell'ope- ra, piu un insieme di episodi che un vero e proprio romanzo, e gli episodi quiisi sempre mal cuciti l'uno con l'altro. Ma piacque assai agli uomini del Risorgimento (persino al Mazzini, cosi lontano ~oliticamente dal liberale torinese). e DUÒ ancora ,, . piacere per il simpatico impeto patriottico che dà titolo e base al romanzo, mentre oggi non può piu interessare la parallela storia d'amore di Ginevra per Ettore Fieramosca, il racconto delle violenze di Cesare Borgia, insomma l'alone romantico con cui l'autore vuol circonc'are quell'episodio d'amor patrio. Piu vive appaiono le figure d'alcuni personaggi minori, ad esem- pio quella, simpatica ed estrosa, di Fanfulla da Lodi, quella dell'oste Veleno, o dell'ubbriacone Martino Schwarzenbach. I1 secondo romanzo, iniziato prima del Fieramosca e poi ripreso dopo il successo di quest'ultimo, è meno debole nell'intelaia- tura, piu preciso quanto a verità storica, poiché l'autore, do- vendo affrontare un argomento già trattato dal Guerrazzi nel- l'Assedio di Firenze. e Der salvaeuardarsi dalle inevitabili ac-

, l " cuse del bollente scrittore livornese, si premuni con uno stu- dio ~ i u attento delle fonti storiche. re va lente mente del Guic-

2 . . -

ciardini, in specie nei punti di contatto tra i fatti e i personag- gi reali, soprattutto Francesco Ferrucci, e il protagonista, che è d'invenzione (il romanzo prende ti,tolo dal protagonista, se- guace del Savonarola, e che durante l'assedio di Firenze del 1529-30 perde quattro figli, e una sua figlia è sedotta da Troilo, della nemica fazione dei Palleschi. Costui tenta anche di cat- turare e uccidere Niccolò de' Lapi, ma la fanciulla, Laudomia, riesce a farlo cadere in un tranello). Anche i! linguaggio appare ~ i t i maturo. Der es~erienza stilistica e manzoniana ricerca di

L

purezza toscana. Eppure il Niccolò de' Lapi si fa leggere meno volentieri dell'Ettore Fieramosca Der l'assenza di auel fervore narrativo, di quel calore patriottico che, pur .disordinati, con- tribuiscono a conferire vivezza e slancio al primo romanzo.

Tra le opere azegliane, e pur sempre nell'ambiente manzo-

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niano (Massimo aveva sposato la figlia del Manzoni, l'infe- lice Giulia), si pone il Marco Visconti di Tommaso Grossi, pubblicato nel 1834: a distanza dai fortunatissimi poemi, o se vogliamo novelle e romanzi in versi, quali l'lldegonda del 1821 e I Lombardi alla prima Crociata del 1826, scritti du- rante l'affettuoso sodalizio col Manzoni, in grado anche di spie- gare il passaggio tra l'attività poetica, o poetico-narrativa, e quella romanzesca (ma peccheremmo di semplicismo se vedes- simo una supina accettazione della scelta manzoniana, dalle tragedie al romanzo, nel comprendere il passaggio del Grossi dai versi al Marco Visconti; è tutto un ambiente letterario, sia pur guidato dal Manzoni, che avverte la necessità di restituire alla prosa i suoi diritti narrativi, anche al fine di una pih pro- fonda penetrazione presso un vasto pubblico). La trama del romanzo mostra le predilezioni del Grossi: il protagonista, nel desiderio di impedire le nozze del cugino Ottorino con la bel- la Bice del Balzo da lui amata, incarica un suo vassallo, il Pela- grua, di mettere in opera ogni azione affinché egli possa con- seguire il suo scopo. Ma il Pelagrua va oltre le intenzioni di Marco Visconti, perseguitando i due giovani che si erano spo- sati, con tanta crudelth che Bice ne muore.

Che il Marco Visconti risenta dei Promessi Sposi è cosa troppo evidente perché convenga insistervi; piuttosto si deve notare da parte del pih caro amico di don Lisander, proprio nel momento in cui accoglie l'insegnamento dei Promessi Sposi, un garbo tutto suo nel cercarsi una strada personale, se non proprio originale, avendo fiducia prevalentemente su quelle doti di malinconico e delicato verseggiatore popolare che sin dall'epoca della Fuggitiva e poi con 1'Ulrico e Lida (del 1837) gli avevano procurato e gli procureranno tanta simpatia. <( Te- nero e poderoso poeta », lo chiamerà il Manzoni nell'affet- tuosa epigrafe che detterà per la tomba, a significare la genti- lezza nostalgica dell'ispirazione del Grossi accanto alla vastità d'impegno della sua opera complessiva. La tendenza all'effu- sione patetica è, peraltro, un limite del Grossi, il quale anche nel Visconti è costretto a introdurre nella narrazione compo- nimenti in versi; la celebre Rondinella pellegrina serve per poter meglio esprimere un delicato sentimento, per isolarlo dal- la compagine romanzesca, per dargli una musicalità pih aeKea. E già nel Grossi si cominciano a intensificare quegli atteggia- menti languidi, elusivi, indefiniti, quelle penombre sentimen- tali che troveranno sviluppo nel secondo Romanticismo, col Prati dell'Edmenegarda e 1'Aleardi dell'tlrnalda. Ma molte

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esigenze riescono a farsi strada tra le soverchierie dei potenti con una loro forza di persuasione morale e un loro fascino arti- sticamente percepito ed espresso.

FRANCESCO DOMENICO GUERRAZZI

Francesco Domenico Guerrazzi, per l'indubbia originalità del temperamento e la grande fortuna di cui ebbe a godere nel- l'Ottocento, sembra pretendere un ritratto tutto per sé. Oggi i1 nome dell'irruento scrittore livornese (nato nel 1804. vissu- t i quasi sempre in Toscana, triumviro coi Montmelli e il Maz- zoni e poi capo del potere esecutivo del governo provvisorio toscano del 1849, condannato indi ed esiliato in Corsica; con l'unità d'Italia deputato al parlamento, dove combatté aspra- mente il Cavour e poi i moderati; venuto a morte nel 1873) può dir poco, e ai giovani forse non dice nulla. Ma non si fa storia del170ttocento romantico e del Risorgimento toscano senza questa figura vivacissima, polemica, impetuosa, e che proprio per questi lati di carattere copre una zona importante del panorama ottocentesco, per certi aspetti persino antici- pando posizioni e slanci che saranno tipici del Carducci. La sua fecondità di scrittore si rileva soprattutto nei romanzi sto- rici, popolarissimi un tempo, e che hanno contribuito ad in- fiammare l'animo dei patrioti italiani: dalla Battaglia di Be- nevento (edito tra il 1827 e il 1828) all'Assedio di Firenze (cominciato a scrivere subito dopo, ma terminato ed edito nel 1836, a Parigi, sotto lo pseudonimo di Anselmo Gualandi), dalla Veronica Cybo, pubblicato dapprima col titolo di Du- chessa di San Giuliano nel 1837. alla Isabella Orsini duchessa ~, di ~racciano, alla ~ea t r ice Cenci, al Pasquale Paoli, per ricor- dare soltanto i piu importanti, e trascuraildo comunque i nu- merosi,ssimi altri scritti (tra i quali interessano, per la vivacità dello spirito sarcastico, la Serpicina e l'Asino).

La ricerca degli argomenti storici non è mai casuale, e risponde ad una genuina agitazione del momento, come quan- do scriveva in prigione la Beatrice Cenci o affidava all'Assedio di Firenze e al Pasquale Paoli veri e propri messaggi patriot- tici e li presentava in modo che essi risultassero franche di- chiarazioni di guerra allo straniero. Pertanto, nonostante le so- vrabbondanze di temperamento e gli eccessi polemici, non v'ha dubbio che il Guerrazzi si presenti come uno spirito aperto, sincero, anticonformista, pronto a pagare di persona; combat-

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tivo e fremente di libertà. Ouanto allo sfcrido storico. se non . si può pretendere che esso si attenga rigorosamente alla verità storica, non si deve nemmeno dire che il Guerrazzi alteri vo- lutamente i fatti, li pieghi alla sua tesi o al suo gusto delle scene violente, delle tinte cupe, Ciò si può osservare anche inseguendo lo svolgimento dell'opera narrativa, dalla giovanile Battaglia di Benevento (attorno all'impresa di Carlo d'Angiò contro Manfredi di Svevia) al Dostumo I l secolo che muore. ~ u b - , L z L

blicato nel 1885, e cioè notando come il complesso di tale ope- ra non si muova secondo un disegno letterario consapevole e adeguato alle esigenze culturali del momento, ma sia piuttosto condizionato agli umori dello scrittore e del patriota, per agi- tare in ogni libro la bandiera della libertà. Aristocratico per nascita, assume gli stessi atteggiamenti di distacco e di biasimo che erano stati dell'Alfieri, compiacendosi a maestro e guida del popolo, del quale mette in rilievo l'autenticità delle pas- sioni: siede a sinistra. irridendo ai moderati e accogliendo te- " mi caratteristici della polemica democratica e mazziniana; uni- sce all'imitazione alfieriana e fcscoliana (I'Ortis è presente in molti suoi romanzi, specie nei primi) quella del Byron, la cui morte aveva celebrato nel 1815 con le romanticissime Stanze alla memoria di Lord Byron; apprezza le tragedie del Manzoni, ma si tiene piuttosto lontano dai Promessi Sposi; compila una Antologia romantica, che è del maggiore interesse per com- prendere quali opinioni e gusti avesse la sua generazione, con scelte semDre significative. "

Nel suo fervore per le pagine di storia italiana dove era dato riscontrare la continuità dello spirito d'amor patrio, ora sceglie personaggi dominanti (ad esempio nel Paoli), ora eleg- ge il popolo a protagonista (come i Fiorentini nell'Assedio), cercando semme di frastagliare la scena romanzesca con de-

u

scrizioni violente e con momenti di lirismo prorompente an- che se torbido. ricercando negli storici romani e in Plutarco " - come era già stato per l'Alfieri - i modelli per costruire e drappeggiare i propri personaggi medievali o moderni: Pa- squale Paoli, soprattutto, è sentito come un eroe della Roma repubblicana, con accenti del Bruto alfieriano. Lo stile guer- razziano trae alimento dal linguaggio dell'Alfieri e dell'ortis, ma ricerca il favore di piu vasto uditorio con locuzioni e rigiri di frase tipicamente popolareschi; però tale insegnamento è piu spesso compromesso dall'impetuoso eloquio, con oratori effetti e tumultuarie invettive che rendono sgradevole, o co- munque poco attraente, oggi la lettura di quei romanzi, e si

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condensa'no poi in massime che vorrebbero essere scultoree ma appaiono banali, in luoghi comuni, in violenze verbali mal co- struite, in sfoghi quasi mai giustificati, in bizzarrie e asprezze stridenti. Lo stesso Guerrazzi era consapevole della caducità delle sue fortune letterarie quando paragonava i suoi romanzi ad G opere d'assedio »; efficaci nel momento della lotta, ma che, cessato il combattimento e conseguiti i risultati, restano inerti e abbandonate.

Se dovessimo impiantare un discorso critico sul Guerrazzi basandoci sulla sua attualità, nulla o ben poco di tanto vasta opera può sopravvivere; eppure un giudizio sul momento storico non si può fare escludendola, cosi come l'affascinante palco- scenico delle lettere risorgimentali ha bisogno di un personag- gio attraente come Francesco Domenico, col suo corruccio im- placabile, con quel volto iroso che raramente si spiana nel sorriso: uno dei G maledetti toscani >>, per dirla con Malaparte, che hanno contribuito ad agitare il campo delle lettere nazio- nali nell'età del Risorgimento e resteranno preziosi documenti del costume e del gusto nel secolo XIX. Questo che è giudizio ormai consueto nella critica contemporanea, era stato già luci- damente espresso sin dal 1855 da Francesco De Sanctis, il quale, recensendo sulla rivista I l Cimento il romanzo Beatrice Cenci, aveva valutato appieno l'impoeticità della narrativa guer- razziana, u incapace di rappresentazione », accanto alle incon- gruenze e banalità del linguaggio.

IPPOLITO NIEVO

Io vissi i miei primi anni nel castello di Frattà, il quale adesso è nulla pih d'un mucchio di rovine donde i contadini traggono a lor grado sassi e rottami per le fonde dei gelsi; ma l'era a quei tempi un gran caseggiato con torri e torriceiie, un gran ponte levatoio scassinato dalla vecchiaia e i pih bei finestroni gotici che si potes- sero vedere tra il Lemene e il Tagliamento.

Sin dalle prime battute le Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo (Padova 183 1 - morto durante la spedizione dei Mille, 1861), dichiarano, con esemplare immediatezza, le to- nalità caratteristiche di quest'arte attenta ai particolari, e per- ciò dunque figlia del grande realismo romantico e manzoniano, eppur ricca di cadenze patetiche e musicali in una vibrante ri- cerca di memorie personali. Realismo e memorialismo, infatti, si fondono nell'arte nieviana in una vasta compagine narrativa

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che fa delle Confessioni il piii bel romanzo italiano tra i Pro- messi Sposi e il Verga. I1 giovane garibaldino che aveva com- battuto nel '59 accanto al generale a Varese e a San Fermo e che già s'era fatto conoscere per gli ardenti Versi e per le affettuose Lucciole, come per varia attività narrativa (le No- velle campagnole, scritte a partire' dal 1855; gli Idilli dal '56, tra cui il bellissimo Varmo; un primo romanzo, Angelo di bontà, ancora del '55; un secondo, I l conte pecoraio, dell'anno successivo, come anche I l barone di Nicastro), scrisse l'ampio suo capolavoro in brevissimo tempo, tra il dicembre del 1857 e l'agosto del '58, tra Milano, Mantova e il Friuli; il romanzo, tuttavia, uscirà postumo nel 1867, col titolo Le confessioni di un ottuagenario, datogli arbitrariamente dall'editore, il quale riteneva che il titolo originale facesse confondere l'opera tra i numerosi volumi di rievocazione risorgimentali che andavano uscendo in aueeli anni.

1

I1 romanzo, scritto in prima persona (elemento insolito per un romanzo storico), narra la vita di Carlo Altoviti, figlio di un gentiluomo di Torcello. Ormai avanti negli anni Carlino rievoca la lontana infanzia, quando, rimasto orfano, era stato accolto nel castello di Fratta, nel Friuli, dove vive la moglie del conte, sorella della madre morta di Carlino. I1 fanciullo, non gradito ospite, è testimone della patriarcale anzi decrepita vita che si conduce al castello, secondo usanze feudali. Non è amato se non da un vecchio servitore. Martino. ma una fanciulla. figlia , ., del conte, la Pisana, attrae Carlino con le sue stranezze e le sue ancor ingenue lusinghe. L'amore per la Pisana è il tema centrale del racconto: studente all'università di Padova, pa- triota, combattente per la Repubblica Partenopea, imprigionato e condannato a morte, salvato dalla Pisana; di nuovo attivo nei moti carbonari, arrestato a Napoli dopo il fallimento della rivoluzione, Carlino perde la vista, e la Pisana, nuovamente a lui vicina, riesce a fargli commutare la pena nell'esilio. In- fine, a Londra, la Pisana assiste Carlino, e con l'aiuto d'una sua sorella lo fa curare e gli ridona la vista; sfinita dalle sof- ferenze. la Pisana muore: Carlino ritorna in ~ a t r i a . fonda a Venezia una società commerciale, diviene ricco; i suoi figli rendono le armi Der la libertà della Grecia e dell'Italia: Car- lino, ormai vecchio e presago della morte imminente, rievoca la sua lunga vita.

È giudYizio tradizionale della critica che l'evocazione degli anni giovani'li sopravanzi, per finezza d'analisi e vivezza emo- tiva, la seconda parte dell'opera, colma d'episodi storici e

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troppo romanzesca D; ed è difficile contrapporre a questa te- si critica altra di valutazione diversa, se non per notare che quelle morbidezze di tono, quel rattenuto lirismo, quel gusto sensibilissimo del paesaggio che trovano campo nella prima parte delle Confessioni, rispondono soltanto ad un lato della personalità del Nievo, lirico e fantasioso pittore d'atmosfere; mentre la seconda parte esprime piu ferme meditate esigenze morali e ideali politici, un programma esplicito di consegnare alle lettere italiane quel romanzo nazionale », quell'epopea narrativa del Risorgimento che esse ancora non possedevano. Ha ben detto il Croce: Egli scrutava i propri sentimenti, saggiava le opposte idee, si sforzava di dominare quelli e com- porre queste in unità, non solamente per comunicare agli altri la conclusione cui era giunto e rischiarare le menti e confor- tare gli animi, ma per disciplinarli all'azione e promuovere di- rettamente nel campo dei fatti l'elevamento della società uma- na... La sua risolutezza e la sua intrepidezza si accompagnavano con una semplicità fredda, come di chi sa che non c'è da con- dursi diversamente, e che quello che egli fa è soltanto una pic- cola Darte di ciò che è tenuto a fare: sicché la sua tacita sDa- rizione dal mondo nel momento del trionfo e del plauso assu- me l 'as~et to d'un simbolo e sembra chiudere degnamente auel- la vitaLaustera. Niente delle umane debolezze ;i mescola *alla sua azione di patriota italiano, non una qualsiasi piccola om- bra di vanità o compiacenza di sé stesso o di gareggiamenti e risentimenti personali. Quasi si bramerebbe talvolta di scopri- re in lui qualche neo per avvicinarlo in qualche modo alle no- stre ansie e fiacchezze e piccinerie. Ma egli resta costantemen- te di sopra: donde quel sentimento di soggezione che dicevo, e che riuscirebbe penoso, se non si risolvesse alfine nella sim- ~ a t i a Der l'altezza morale che c'intimidisce e ci attrae insieme. e ci rimprovera, e nel rimproverarci pur ci conforta e c'in- nalza D. Il ritratto del Croce coglie acutamente la solidità della tempra morale di Nievo, che nella rievocazione di momenti risorgimentali trova altrettanti motivi per riaffermare la vali- dità dell'azione accanto a quella degli ideali e dei valori spiri- tuali della vita ( i due suoi idoli sono il Garibaldi e il Mdzzini). Gli si potrà muovere il rilievo che altrettanto solidi e costanti non appaiono gli ideali letterari, e che pertanto cosi energica ternma morale non sia sostenuta da una rigorosa concezione " artistica, si da verificarsi (e qui ritorna il discorso sulla minore « poeticità )> della seconda parte delle Confessioni) piu d'una negligenza o incoerenza sul piano della struttura generale del

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romanzo e sul piano della sua esecuzione letteraria. Ma tali di- fetti sono ~urificati da auel continuo e ricco ritmo vitale che circola in tutte le pagine delle Confessioni, come anche da una scrupolosa coerenza stilistica, sebbene il licguaggio del Nievo tenda a svilupparsi su due piani: l'uno rapido, incalzante, si direbbe a garibaldino » per l'asciuttezza del resoconto narra- tivo; l'altro lento, sinuoso, commosso, ricco di divagazioni e di contrappunti lirici, di arcana lievitazione », di a ineffabile trepidità D.

I1 tema delle bizzarrie e bizze della Pisana, modificato ne- gli effetti narrativi col crescere del personaggio, corre per tutte le Confessioni come una linea e psicologica e melodica, nella effigie di quel grande amore ombrato dai contrasti ma anche rinnovato e rinforzato dalle vicissitudini della vita (la Pisana che chiede la carità ai passanti per assistere Carlino cieco, ecc.), un amore che potrebbe essere assunto come emblematico di una tipologia propriamente romantica D della passione, la quale è tanto piii vera quanto piii i personaggi si cercano e si feriscono con le loro contraddittorietà e mutevolezze. La lette- ratura italiana, aggiungiamo, non ha opere di narrativa che possano paragonarsi, su questo terreno della rappresentazione amorosa, a romanzi come il Rouge et noir di Stendhal o 1'Edu- cation sentimentale di Flaubert, per non citare gli inglesi o i russi; per trovare qualche modesto corrispettivo bisognerebbe attendere gli imitatori di costoro nell'età decadente. Ippolito Nievo è l'unica eccezione che possiamo asctivere a tal propo- sito, accanto a molte pagine di Fede e bellezza del Tommaseo; per di piii, oltre al loro valore di testimonianza d'un'esperienza d'amore, le Confessioni di un italiano affidano alla tradizione del romanzo storico italiano validissime scene di rappresenta- zione delle vicende del primo Risorgimento: la guerra tra la Francia rivoluzionaria e l'Austria, le battaglie di Napoleone, il trattato di Campoformio, la Repubblica Partenopea, Napoli e i moti carbonari, le carceri borboniche, gli esuli in Inghilterra, e infine le guerre d'indipendenza: un amplissimo vario affresco storico, composto con attenzione e con entusiasmo di patriota. Non è un caso che le vicende del romanzo storico verso la metà del secolo si svincolino dalla ormai logora materia me- dievale e rinascimentale per ttova,re nella, nuova storia della patria risorta un fervido, consapevole strumento di rappresen- tazione artistica. Comprenderanno la lezione del Nievo i ro- manzieri della generazione a lui successiva, soprattutto il Fo- gazzaro di Piccolo mondo antico.

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G I U S E P P E ROVANI

Per quanto Giuseppe Rovani fosse nato tredici anni prima del Nievo, il diverso clima storico e letterario nel quale egli visse la sua tanto piii lunga carriera letteraria anche in ordine alla attività di autore di romanzi storici. fa si che di lui si debba parlare dopo che sia stato condotto un discorso critico sulle Confessioni. La cronologia fornisce inoltre un altro ele- mento di discussione per la pubblicazione postuma delle Con- fessioni e per il lungo arco di tempo che passa tra la comparsa della prima puntata del capolavoro di Rovani, I cento anni, sulla Gazzetta di Milano, nel 1856, e la conclusione dell'opera: 1864.

I1 Rovani era milanese, e quindi la tradizione del romanzo storico è piu che diretta in lui; e ciò spiega quel tanto di man- zoniano e persin di schematico che c'è nei suoi romanzi sto- rici, specie i primi, di troppo evidente imitzzione della narra- tiva dei contemporanei del Manzoni. Nato nel 1818, da fami- glia della piccola borghesia, fu istitutore in case di nobili, im- piegato nella Biblioteca di Brera, testimone a Venezia dell'eroi- ca difesa della re~ubblica del '49 e a Roma della re~ubblica mazziniana, esule in Svizzera, poi nuovamente a Milano, ove il Rovani visse l'avventura ardente della Scapigliatura. E in que- sto movimento artistico-letterario va inquadrata la sua perso- nalità.

Nei Cento anni abbiamo un esempio cospicuo, che per qualche tempo parve superare le stesse Confessioni nieviane, di romanzo <( ciclico o, cioè d'un'amplissima compagine roman- zesca affidata alla storia d'un personaggio e dei suoi discen- denti. Un'organica trama narrativa si può dire che difetti nei Cento anni, anche perché vi si delineano due storie parallele e gli ambienti cambiano continuamente, dall'inizio: quando un tal Galantino, ex-lacchè in una casa nobile, tenta un furto al- l'indomani della morte del signore; egli sfugge, e al suo posto viene catturato un innocente, il tenore Amorevoli. Da questo episodio hanno origine le due ,trame, affidate ai due personaggi; il Galantino, di furfantaggine in furfantaggine, riesce a divenire un ricco banchiere; numerosissime, poi, le avventure dell'Amo- revoli. La scena cambia piii volte, lungo un arco cronologico che va dal cuore del Settecento ((la battaglia di Pietro Verri contro i « fermieri D, ci& gli appaltatori pubblici) all'età napoleonica \ i rapporti tra il viceré Eugenio e i due sposi Confalonieri), dalle cospirazioni patriottiche (la leggendaria Compagnia della Tep-

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pa) all'assedio romano del 1849. Ai Cento anni il Rovani prov- vederà a dare quasi una continuazione con la Libia d'oro, << scene storico-politiche » pubblicate nel 1868, incentrate in una società segreta - il cui nome dà titolo al romanzo - che ha per programma la soppressione di tutti i re assoluti; dopo fortunose vicende (che vanno dal Congresso di Verona del 1822 alla corte di Vienna e durante le quali i congiurati cer- cano di mettere sul trono d'Europa il figlio di Napoleone, l'Aiglon), la polizia viennese pone fine alla cospirazione.

I propositi di rinnovamento del romanzo storico si mani- festarono dapprima in un consapevole anche se modesto im- pegno di polemica sociale in Valenxia Candiano o in un vasto riesame di vicende storiche nel Manfredo Pallavicino o nel Lamberto Malatesta; il capolavoro, invece, mostra un intelli- gente programma di riunire ricostruzione storica e ambienta- zione sociale in una scelta di assai piu vivaci materiali roman- zeschi, che prediligono l'effigie dell'anima popolare, per pola- rizzarsi sull'analisi del singolo personaggio allorché questa ana- lisi possa comprendere in sé e giustificare l'appassionato ritrat- to del popolo. Si suo1 scegliere, per poter comprendere come lavorava il Rovani, la descrizione dell'ingresso dei Francesi a Roma nel 1797, per osservare anzitutto la sua analitica ma astratta tendenza a minutissime distinzioni (piu da storico che da romanziere), e poi la capacità di risolvere artisticamente il dato cronachictico.

È relativa la fedeltà del Rovani al dato storico quando dal resoconto cronachistico deve scendere ai ritratti dei personag- gi, non soltanto perché, ovviamente, moltissimi sono perso- naggi di fantasia ovvero personaggi storici largamente rima- neggiati (come il conte Aquila, cioè Federico Confalonieri), ma perché l'imitazione del Manzoni - i'n quanto autore dei Pro- messi Sposi, non del discorso Del romanzo storico - ha la- sciato troppo largo margine all'invenzione perché il Rovani non possa o debba profittarne. Per di piu il gusto per l'ironia e talvolta per la caricatura dovrà di necessità determinare una certa alterazione dei contorni psicologici e ambientali dei per- sonaggi.

Anche La Libia d'oro rivela appieno, pur nella tanto piu ridotta struttura romanzesca, le qualità del temperamento del Rovani: il suo patriottismo fervido e intransigente che si co- lora di spirito anticlericale; uno schietto amore per la missione del popolo; una discreta cura per la precisione storica, quan- tunque la materia cospiratoria sia di necessità assai piu atfidata

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alla fantasia che auella dei Cento anni. Ma >la trama della Libia è troppo intricata, e .non mancano ingenuità e goffaggini, spe- cie nella ricostruzione della corte di Vienna. E ~ ~ u r e anche at-

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traverso la lettura della Libia d'oro è concesso valutare in che senso il Rovani fu uno Scapigliato, poiché solitamente la te- nuta dei suoi romanzi macchinosi e sovraccarichi di minuzie erudite e archivistiche, e anche quella tendenza all'astrattezza di cui s'è già detto, parrebbero estraniare la figura del Rovani dal clima fervente di umori e di rivolta della Scapigliatura mi- lanese. Occorre andare a cercare nella biografia dell'uomo Ro- vani, nelle testimonianze dei contemporanei, per mettere in rapporto il suo disordine morale (conseguenza di sventure do- mestiche: onde le sue ubbriacature, la dissipazione finanziaria, le cattive condizioni della salute minata dall'etilismo) col cli- ma caratteristico di quella << bohème » letteraria all'indomani dalle battaglie per l'indipendenza nazionale, in quel clima di disillusione morale e politica che vide fiorire e morire la musa di Iginio Ugo Tarchetti e di Emilio Praga. Ma poi, riguardando nelle opere rovaniane con un po' pifi d'attenzione, si riescono a scorgere gli elementi scapigliati dei romanzi storici: quelle scene d'ardore popolare, gli atteggiamenti polemici e spavaldi d'alcuni personaggi, le forti passioni d'altri. Ed è in queste pieghe della narrazione che forse è dato rintracciare il migliore e Di6 valido Rovani.

Egli fu inoltre autore di opere drammatiche (una Bianca Cappello, un Simone Rigoni), di scritti teorici e critici, tra i Quali è bene ricordare, in una rapida storia del romanzo sto- rico ottocentesco, il saggio su La mente di Alessandro Munzoni; e infine un libro a metà tra saggio storico e narrazione, La niovinezzu di Giulio Cesare - Scene romane. scritto come ri- sposta ad una biografia di Cesare dovuta 311; penna di Napo- leone 111. Sebbene il Rovani si i s ~ i r i a Sallustio anche Der il colorito classicheggiante dello stile, non mancano scene vivaci e ritratti felici, a riprova delle indubbie capacità di narratore di fatti storici che ebbe l'autore dei Cento anni.

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Capitolo quindicesimo

Prosatori, drammaturghi e scrittori politici

L'esigenza romantica di riflettere la vita dello spirito al- l'interno della propria memoria personale, d'adergere se stes- so a personaggio-prototipo della complessità del mondo affet- tivo e intellettuale, permea tutta la produzione lirica e nar- rativa del primo e del medio Ottocento, ove si eccettui la si- gnificativa eccezione del riserbo e dell'obiettivismo di Ales- sandro Manzoni, e si esprime in modo particolarmente sugge- stivo nel memorialismo, il quale, rispetto almeno al cosmopo: litismo e all'intento documentario dell'analoga attività sette- centesca. ha caratteri di novità sia Der auel che concerne le

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strutture portanti del singolo racconto di memorie, sia per le note di effuso lirismo e di ~a te t ico autobio~rafismo civile. Cia- scheduno dei prosatori di Lemorie s'accende delle passioni di quest'età: l'amore per l'epopea nazionale, il gusto della rievo- cazione cronachistica, il piacere del ritratto n tutto tondo, l'esi- genza di' richiamarsi al fascino degli anni della fanciullezza, il bisogno di confessione aperta e schietta, e al tempo stesso la volontà di riversare queste passioni nel crogiolo degli ideali politici o dei sempre piu accentuati contrasti sociali. Lo sguar- do dello scrittore si volge con nuovo interesse alla vita delle regioni meridionali, come nei Costumi deli'isolg di Sardegna del gesuita Antonio Bresciani (un libro gradevole ma superfi- ciale al fondo) o, soprattutto ne Lo stato delle persone in Calabria di Vincenzo Padula, lucido e appassionato quadro d'una società arcaica. soffocata dal conservatorismo delle classi dominanti e dai pregiudizi e superstizioni.

Anche per questi memorialisti è stata richiamata la distin- zione fatta dal De Sanctis tra scuola liberale e scuola demo- cratica, sebbene questa suddivisione, fondamentale per il tra- vaglio delle idee, a rigore non possa comprendere le opere dei memorialisti in diverse classificazioni, liberali o democratiche

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o neoguelfe; però la distinzione aiuta a precisare i contorni e i contenuti ideologici dei vari scrittori, e, soprattutto, consente di attribuire un significato ideale e concreto a pagine, come quelle del Lorenzo Benoni del Ruffini, che sono a cavallo tra il romanzo e la memoria storica o di rivalutare l'autonomia letteraria della seconda parte delle Confessioni nieviane, ri- spetto alla prima. Mai venendo meno all'impegno personale di patrioti e alla manifestazione dei propri ideali politici, i me- morialisti non rinunciano alla descrizione preziosa e agli estri dell'invenzione fantastica, a significare la mai pretermessa esi- genza del fatto letterario risolto su un piano formale con ricchezza di motivazioni e di scoperte stilistiche.

Nel memorialismo ottocentesco spiccano quattro libri, non egualmente fortunati per successo di pubblico, ina tutti assai significativi per comprendere un'istanza peculiarmente roman- tica. L'uno è quel Manoscritto di un prigioniero che il patriota livornese Carlo Bini ( 1806- 1842) scrisse nel 1833, allorché era, col Guerrazzi ed altri, incarcerato a Portoferraio; non è il resoconto della vita carceraria di un esule, quanto la celebra- zione degli ideali morali e sociali (soprattutto l'« esaltazione dell'uomo forte che sa darsi la morte sfidando gli dei » e il << disdegno per l'individuo incapace di alte passioni », come ha ben disegnato il Mariani) attraverso una serie di episodi e spunti lirico-satirici di varia natura. I1 Bini fu ardente mazzi- niano, e col Guerrazzi fondò un giornale, L'Indicatore livornese, dove pubblicò articoli e traduzioni da Sterne, Byron, Werner; è autore inoltre di un bell'epistolario amoroso (Le lettere al- I'Adele) e di un dialogo filosofico di gusto volterriano, I l Forte della stella.

Nel 1863, mosso dal proposito d'educare gl'Italiani al culto della patria, si pose a scrivere I miei Ricordi Massimo d'Aze- glio, a documento della sua formazione d'uomo politico e d'ar- tista e a illustrazione della sua attività di governo: libro ricco della probità civica di quest'uomo, e non scevro di pagine effi- caci nel rappresentare e giudicare protagonisti e vicende della storia risorgimentale, anche se la tenuta stilistica della prosa è sovente discontinua.

Sono opera di deciso impegno morale e di un particolare fascino, severo e patetico, le Ricordanze della mia vita (1879) di Luigi Settembrini, minuzioso autoritratto di un liberale na- poletano nei suoi anni di formazione culturale e nelle lotte e disavventure politiche rappresentate con gusto dei toni effusi e delicati, ma anzitutto con vivace realismo narrativo, che ri-

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solve <( lo studio psicologico, l'analisi dei sentimenti o la per- cezione di uno stato d'animo, persino un giudizio morale » (ancora Mariani) in scenetta, in caricatura, in un ritratto che si chiude magari con una vibratissima nota di biasimo in cui l'interesse moralistico dell'autore viene a galla senza però che il disegno ne sia minimamente appannato ».

I1 Settembrini era nato a Napoli nel 1813 e vi mori nel 1877. Allievo di Basilio Puoti, arrestato per cospirazione nel 1839, rimase in carcere per tre anni, ma non abbandonò il suo posto tra i patrioti napoletani. Contro Ferdinando I1 pubblicò la Protesta del popolo delle due Sicilie (1847), fuggendo su- bito a Malta. Ritornato a Napoli, partecipò al moto del 1849; arrestato nuovamente, fu in carcere per ben dieci anni (1849- 1859), nell'isola di Santo Stefano, fuggendo poi mentre stava per essere esiliato in America. Dal 1862 tenne la cattedra d'italiano nell'università di Napoli.

Nell'ambiente culturale e politico del Mezzogiorno si pon- gono le memorie d'altri insigni patrioti: Guglielmo Pepe, Si- gismondo Castromediano, e soprattutto Carlo Pisacane col resoconto nudo ed essenziale de La Guerra combattuta in Italia - negli anni 1848-49 e del vigoroso meditato Testamento po- litico.

Un filone a sé ha in questo periodo, e in quello immedia- tamente successivo, la letteratura ispirata alle imprese di Ga- ribaldi, tutta centrata sulla figura del condottiero, e di ritmo narrativo asciutto e nervoso: dai Mille di Giuseppe Bandi a Da Quarto al Volturno di Giuseppe. Cesare Abba e alle Cose garibaldine dello stesso, da Con Garibaldi alle porte di Roma di Anton Giulio Barrili a Quel che vidi e quel che intesi di Nino Costa, opere dal memorialismo diretto, immediato, secco, ma non per questo esenti da un'istintiva capacità di mosso af- fresco storico e di penetrante analisi di caratteri umani.

Un'enorme fortuna europea ebbero allora (si da essere con- siderate, per la causa italiana, piu importanti di una battaglia campale vinta contro l'Austria) Le mie prigionz del Pellico, opera di pregevole esito letterario, sebbene il timore efiusivo troppe volte prevalga sul racconto virilmente appassionato. Ma l'ispirazione etica fondata sul canone cristiano del perdono e della rassegnazione dà un senso al contrasto, vivissimo in tutta l'opera, tra la mitezza del prigioniero e il brutale meccanismo politico che sta per travolgerlo, e interiormente sostiene il tessuto formale del racconto di voluta disadorna semplicità, suggestivo proprio per i toni bassi e dimessi del linguaggio

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prosastico. Sulla scia del Pellico scrissero memorie sulla pri- gionia Piero Maroncelli, Giovanni Arrivabene, Alessandro An- dryane, Giorgio Pallavicino Trivulzio.

IL TEATRO

Per la tragedia ci si rifece a posizioni a!fieriane o si tentò un accordo tra gli schemi drammatici tradizionali e l'ispira- zione tenera e languida di certa lirica romantica. Cosi abbiamo da un lato le storie tragiche di sapore.patetico del Pellico, dal- l'altro le tragedie di Giambattista Niccolini, corrusche di pas- sione politica virile e impetuosa,. ma tribunizia, non poetica, che ebbero successo enorme per il loro contenuto, caldamente ispirato agli ideali di libertà e d'indipendenza del Risorgi- mento.

11 Niccolini nacque nei pressi di Pisa, ai Bagni di San Giuliano, nel 1782 e mori nel 1861 a Firenze, nella cui Ac- cademia di Belle Arti aveva insegnato dal 1837. Acceso re- pubblicano e ostile al neoguelfismo, scrisse inoltre tragedie (tra cui il Giovanni da Procida, il Lodovico Sforza, 1'Arnaldo da Brescia), lezioni di mitologia, libri .di storia.

Diversamente ispirate, e cioè sollecitate da un caldo em- pito patetico, sono le tragedie del Pellico, soprattutto le pri- me, 1'Ester d'Engaddi, 1' Eufemio da Messina, la fortunatissi-

m a Francesca da Rirnini, non priva d'efficace senso della sce- na, e, tra le ultime, il Corradino e il Tommaso Moro.

Mentre Der virtu del Manzoni e ~ o i anche del Pellico la tragedia romantica conserva l'istanza morale e l'impeto lette- rario conauistati col teatro alfieriano. alla commedia nessuno spirito iniigne volle o seppe dedicarsi. Co~tinuano non senza arguzia e vivacità nella tradizione goldoniana le commedie d J veneziano Francesco Augusto ~ o n 7 1 1 testnmento di Figuro, Il matrimonio di Ludro. La vecchiaia di Ludro). e di un gol- , , " ~

donismo eterodosso e arido, ma brillante, son portatrici le commedie del toscano Tommaso Gherardi del Testa (Con gli

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uomini non si scherza, Moglie e buoi dei paesi tuoi). Piu per- sonale la vena satirica, amara e spesso violenta, del romano Giovanni Giràud, che ne L'ajo nell'itnbararzo e ne Il galan- tuomo per transazione giunse a rappresentare le ipocrisie e le debolezze dell'ambiente borghese della Roma papale con una spregiudicatezza e una incisività che si riflettono anche sulla qualità del linguaggio scenico.

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I1 panorama del teatro romantico non muta verso la metà del secolo, anzi si accentuano gli aspetti negativi d'esso; si guardi al caso, sotto questo riguardo esemplare, del Giaco- metti e di Pietro Cossa. Quest'ultimo, romano (nato nel 1830, morto a Livorno nel 1881), nella creazione di drammi storici (Mario e i Cirnbri, Nerone, Messalina, Cleopatra, Giuliano I'Apostata, Cola di Rienro, I Borgia) rivela turgore di forma e macchinosità di disegno. Si riallaccia alla commedia goldo- niana, sia pure con un gusto borghese piu accentuato, il mode- nese Paolo Ferrari (1822-1889), che pone ad oggetto delle pro- prie commedie l'elogio del buon senso e della saggezza borghe- se, sia quando interpreta personaggi storici ossia del mondo letterario (Goldoni e le sue sedici commedie nuove, e La satira e il Parini), sia nel trattare problemi scottanti del costume con- temporaneo: I l duello, I l suicidio, Le due dame. Tenta di tra- durre in scena il gusto patetico e passionale dell'epoca Paolo Giacometti (1816-1882), autore d'un dramma a violenti colori, d'abile intreccio e di stile accesamente tumultuario, La morte civile (del 1855), un'opera che caratterizza anche nei suoi netti limiti il gusto esteriore di questa epoca.

LA CRITICA LETTERARIA

Tra il Foscolo e il De Sanctis, e cioè tra il 1827 e il 1866 (l'anno dei desanctisiani Saggi critici) si opera un poderoso rinvigorimento dello spirito critico, che sa animare l'indagine storica o estetica di un impulso civile e sociale: tutti i ro- mantici avvertono che alla base d'ogni arte, e cosi anche del- l'arte critica, sta il contributo degli ideali morali e politici. Lo sentono il Mazzini e il Gioberti, il Cattaneo e il Capponi e il Tommaseo; son questi, in fondo, i veri interpreti del mu- tato animo di leggere e intendere la poesia; ed è dalla loro opera che si possono trarre gli elementi essenziali per seguire il filo dell'esperienza critica e per comprendere la situazione che trovò il De Sanctis giovane. Talune pagine dello Scalvini sul Foscolo, del Mazzini su Dante, del Csttaneo sul Foscolo, del Tommaseo sul Manzoni e anche su Dante, costituiscono il risultato durevole e significativo che la critica letteraria riesce a conquistare in questo periodo.

Un posto a sé, e molto cospicuo, merita il milanese Carlo Tenca (1816-1883), collaboratore e fondatore di vari giornali letterari, tra i quali I l Crepuscolo, ch'egli pubblicò dal 1850

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al 1859, e dove uscirono alcune delle cose sue piu significative. Per la consapevolezza che Tenca possiede dell'esigenza fonda- mentale della letteratura italiana come prodotto d'un interesse durevole per la realtà e come tentativo continuo di sottrarsi al richiamo della metafisica, sembra indubbio ch'egli possa aver esercitato un grande influsso sulla critica del De Sanctis. Cercando nella storia l'identità di fede e di fantasia somma in Dante il Tenca si contrappone alla tesi che Paolo Emiliani Giudici ( 18 12- 1872) aveva sostenuto nel suo Compendio della storia della letteratura italiana (1851) secondo cui la grandezza delle lettere dovesse coincidere con la delle istitu- zioni e della vita politica, e vede con lucido realismo le cause di decadenza o di risorgimento delle lettere piuttosto nella complessità <( di tutti i grandi elementi d'una società e d'un popolo ». Fornito di robusto talento di giudice di poesia il Tenca costniisce efficaci ritratti critici, ad esempio del Fo- scolo e della poetica romantica, e vibratamente s'oppone al- I'evanescenza romantica d'un Prati.

I1 nome dell'Emiliani Giudici richiama quelli d'altri storici della letteratura, da quello d i Francesco Salfi (1759-1832) nel suo Saggio storico-critico della commedia italiana, a quello di Giuseppe Maffei, nella sua Storia della letteratura italiana (1833); ma un cenno maggiore meritano le opere critiche di Camillo Ugoni, fedele amico del Foscolo, e studioso della let- teratura dell'ultimo '700; o anche del Cantu, autore di una Storia della letteratura italiana, buona nell'informazione, ma povera di gusto; e piu degli altri significative, per loro ardore polemico civile, le Lezioni di letteratura italiana (1855-72) del Settembrini, fnitto di un personale, anche se spesso arbitrario, ripensamento di opinioni.

I1 Settembrini scorge nella storia letteraria d'Italia l'esi- stenza d'un perenne contrasto tra la libertà laica e il dispoti- smo della Chiesa cattoljca, col trionfo di quello nelle lettere dell'età comunale e del tempo contemporaneo e la vittoria di questa nel Secentismo. L'attenta lettura dei classici conserva alle Lezioni momenti di notevole impegno critico.

SCRITTORI POLITICI E STORICI

Ad un secolo, quale il 1700, in cui ai problemi della po- litica solo pochi intelletti prestarono attenzione, e tutti nel- l'ambito dell'Illuminismo, segue un'epoca di intensissima at-

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tività letteraria nel campo della politica, dai. teorici ai libellisti, dai poeti ai giornalisti. Non c'è scrittore che non volga vivissi- mo interesse alle questioni attuali e non s'impegni nelle vicende del Risorgimento, ora sotto il riguardo strettamente politico, ora sotto quello etico-sociale. Al tempo medesimo, e questa è una caratteristica del Romanticismo, gli uomini politici,-sia-tt- rici che d'azione, pongono un impegno non meno vivo ai proble- mi della cultura e dell'arte. Non è questo il luogo dove si pos- sano esporre compiutamente le tendenze politiche de11'800: ma un cenno meritano gli scrittori politici, sia in quanto abbiano trattato i problemi culturali, sia in quanto interpreti di una nuova maniera di scrivere e d 'a~~assionarsi all'arte. 11 auadro è

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amplissimo, e registra, accanto ai nomi sui quali si terrà piu particolareggiato discorso, le personalità di Cesare Correnti, An- gelo Brofferio, Atto Vannucci, Ruggero Bonghi, Marco Tabar- rini, Raffaello Lambruschini, Silvestro Centofanti, e molti altri.

Uomo altamente rappresentativo del Romanticismo è Giu- seppe Mazzini, allorché si rivolge ai nostri classici per cercarvi un insegnamento umano e morale. In Dante (Dell'amor patrio in Dante, del 1826, ma pubblicato nel 1837) trova il poeta che piii può offrire al suo apostolato di uomo libero e al suo messaggio civile diretto agli Italiani. A Dante il Mazzini at- tribui ,una forma d i cristianesimo che a lui sembrava consen- tanea, aderente fortemente al momento storico, e libera da vincoli conformistici verso Roma e verso la Curia ~ a ~ a l e . L'an-

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sia romantica del Mazzini trova sfogo negli scritti (come nel celebre I doveri dell'uomo del 1860) e nell'azione, ed è il Mazzini ad inseenare ai romantici la necessità di non isolarsi. " di non chiudersi all'appello drammatico dell'ora, ma di scen- dere in campo e di combattere per la libertà. Egli volse la sua attenzione anche ai problemi della culturz contemporanea, tracciando su L'Indicatore livornese del Guerrazzi un acuto saggio sopra alcu,ne .tendenze della letteratura europea nel se- colo XIX: Ispirazione mazzi,niana ebbero molti poeti e prosa- tori romantici, dal Ruffini al Mameli, dal Guerrazzi al Poerio e al Nievo; in certi momenti persino il Tommaseo. Questa è l'importanza fondamentale che il Mazzini ha nel campo della letteratura romantica, piu che per l'intrinseco e indubitabile valore letterario dei suoi scritti, dallo stile ardentissimo sem- pre, ma spesso oratorio e tumultuoso, in specie nei messaggi politici e .nelle lettere; piu disteso e lucido, invece, lo stile

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354 Lo letieratura italiana

delle opere teoriche sull'arte e sulla musica (La filosofia della musica).

La parola di Vincenzo Gioberti (di lui, come del Mazzini, sarebbe ovvio in questa sede tracciare il profilo biografico) è portatrice d'una riflessione politica ricca di fermenti umani- stici; ma, a differenza di quello mazziniano, i! pensiero giober- tiano si inquadra in un organico sistema filosofico. Nelle due fasi del suo pensiero politico (la prima, incentrata nel federa- lismo e nel neoguelfismo, ed espressa nel Primato morale e civile deglJItaliani del 1842-43, e la seconda che trova la sua sanzione nel Rinnovamento civile d'Italia del 1851 ed è ispi- rata ad una visione laica e liberale dello stato) il Gioberti pone sempre a fuoco le esigenze di conci!iazione della fede religiosa, come aveva affermato nella Teorica del sovrannatura- le, del 1838, con la cultura e la politica, le istanze volte a rile- vare e celebrare i valori autonomi della cultura italiana. Sente la letteratura e la poesia come forze che imprimono alla na- zione una spinta poderosa verso il progresso e la libertà, e sente nel culto della nostra tradizione 'classica un elemento che migliora e affina il sentimento della patria. I1 « bello », come è lucidamente determinato nel trattato Sul bello (del 1841) non è vuota delibazione di immagini armoniose e per- fette, ma piuttosto un'esigenza motrice della cultura nel suo divenire. Gioberti tanto nel Primato e nel Rinnovamento quan- to nella Introduzione alla storia della filosofia (1839-40) e nel Gesuita moderno (1847) è scrittore dalla forma perspicua, che accetta l'ardore romantico ma non disdegna di volgersi allo stile dei classici, a quella <( forma mentis » tradizionale che egli celebra nel Primato, in meditate pagine sulla ricchezza del patrimonio culturale italiano e sulla necessità di rifarsi ad esso per comprendere e valutare i motivi della situazione sto- rica, traendone un insegnamento valido per le presenti e le future generazioni.

Celebrato nel secolo scorso per la vastità delle sue cogni- zioni storiche, filosofiche e scientifiche, Carlo Cattaneo è stato recentemente rivalutato come scrittore. Nacque a Milano nel 1801, e mori a Castagnola (Lugano) nel 1869; si laureò in legge a Pavia nel 1824, contemporaneamente insegnando a Santa Marta; dopo aver collaborato all'Antologia e agli Annali universali di Statistica, fondò (1839) il Politecnico, che di- resse fino al 1844; fu a capo delle Cinque Giornate del 1848, comandando il Consiglio di Guerra, ma prevalsero i suoi av- versari politici e il Cattaneo lasciò il governo di Milano re-

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candosi a Parigi, e poi in Svizzera dove fu fino al 1859, al- lorch6 tornò a Milano ridando vita al Politecnico (dal 1859 al 1864). Piii volte eletto deputato, dapprima non volle entrare in parlamento per non giurare fedeltà alla monarchia, poi vi fu ma senza un giuramento formale. Scrisse: le Notizie natu- rali e civili su la Lombardia (1844) L'insurrection de Milan en 1848 (1849), L'Invito alli amatori della filosofia (1857), le Memorie di econohia vubblica (1850).

Nell'osservazione dei 'fenomeni' culturali e politici il Cat- taneo parte sempre da una base scientifica, e li inquadra e li definisce con l'asciutta sobrieth dello scienziato, che ha dello stile un concetto meramente funzionale. e al temDo medesi- mo tiene alla rigorosa proprietà dei vocaboli e dei costrutti. Ma sul piedistallo del severo inquadramento scientifico il Cattaneo pone la necessità di percorrere con l'arditezza della fantasia il cammino della storia, e rifà i tempi passati ed anti- cipa i futuri con un estro fantastico che fa pensare alle poeti- che visioni del Vico; senonché c'è nel Cattaneo l'esigenza di identificare nella vita attuale la presenza del passato, e questa esigenza diviene un sentimento, un'intima passione di scrutare i secoli remoti, le alntiche costumanze; cosi nelle pagine sull'In- dia e sul Messico, quando, ad esempio, ritrae la mitica bar- barie dei sacrifici umani. Le opinioni del Cattaneo in materia di letteratura erano tutt'altro che convergenti con quelle dei romantici; ma, nonostante la sua polemica antiromantica, il Cattaneo sente il valore del fatto e del <( vero D, il bisogno di rifarsi continuamente a concreti contenuti, agli interrogativi del temDo Dresente.

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Da un attivo spirito romantico che spezza i limiti angusti della vecchia cronistoria erudita o della cronaca regionale na- sce la storiografia di questa epoca, e ricerca nelle vicende del passato il respiro possente di un'umanità in cammino, come seppe fare Giuseppe Ferrari con la sua Filosofia della rivolu- zione (1851). Si può dire che mentre la storiografia settecen- tesca tenta soprattutto di hterpretare le vicende attuali al lu- me delle condizioni di vita, invece la storiografia romantica si rivolge al passato per rintracciarvi un messaggio fortemente educativo per le generazioni presenti, e nel culto del passato e delie memorie patrie rinvigorire l'ardore della lotta contro l'oppressione politica a favore delle libertà nazionali. Dal Troya al Bal,bo, dal Capponi al Cantii, dal Pisacane al Ferrari, dal La Farina a Michele Amari (l'autore della monumentale e dot- tissima Storia dei Musulmani di Sicilia) è in tutti un febbrile

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interrogare il passato per trovarvi un incitamento ad operare nel presente.

I1 Pisacane vede nella storia la continua presenza dell'ener- gia creativa del popolo, delle sue esigenze e della volontà di sociale redenzione. Nel Troya il Romanticismo s'avverte nel- l'impeto tumultuoso ed eloquente con cui vagheggia immagi- nose visioni allegoriche (il Veltro di Dante) in mezzo ad una descrizione, ricostruita sempre su documenti d'archivio, di fatti e di uomini del passato. Carlo Troya nacque a Napoli nel 1784 e vi mori nel 1858. Sebbene partecipasse alla rivoluzione napoletana del 1820 e collaborasse ai giornali liberali del tem- po, la sua vita fu interamente dedicata agli studi. Scrisse Il vel- tro allegorico di Dante (1825), I1 veltro nlltgorico dei Ghibel- lini (18321, la Storia d'Italia nel Medioevo (1839-55) che si ferma ai Longobardi, sulla cui dominazione le ricerche del Troya sono molto rilevanti, e infine il Codice diplomatico lom- bardo.

Cesare Balbo nacque a Torino nel 1789 e vi mori nel 1853; fondò nel 1804 la patriottica Accademia dei Concordi, e fu a Roma (1807) con l'incarico di sistemare lo Stato Pontificio sulla base del regime politico di Napoleone. Cattolico-liberale, uomo di cultura e di governo, favorevole dapprima ad una so- luzione del problema italiano con l'appoggio di Carlo Alberto, fu coinvolto nelle responsabilità dei moti del 1821 e confi- nato per dieci anni. Poi, con le Speranze d'Italia, un libro edito nel 1844, si avvicinò alla tesi federalista neoguelfa. Carlo Alberto lo nominò nel 1848 presidente del primo ministero costituzionale, ma il Balbo tenne tale carica soltanto per quat- tro mesi. Non cospicui per virtfi di stile, ma notevoli per schiettezza e calore d'entusiasmo politico sono i due volumi della Storia d'Italia (1830); la Vita di Dante (1839) è una del- le prove piu suggestive d i quel mito risorgimentale dell'Ali- ghieri, sentito nella sua totale partecipazione all'agitata età politica in cui operò, ma rivisto secondo la mentalità neoguelfa del Balbo, col netto rifiuto del ghibellinismo di marca rosset- tiana. I1 Sommario della Storia d'Italta (1846), le Lettere po- litiche, le Speranze d'Italia, le Meditazioni storiche, l'Idea del- la civiltà cristiana confermano doti di scrittore appassionato e probo, fedele al proprio ideale moderato e al culto della tra- dizione culturale italiana.

La storiografia sia politica che letteraria di Cesare Cantu (Brivio, Como, 1804 - Milano 1895) si distingue per ampiezza di proporzioni e di interessi, ma la sua Storia Universale non

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Dal Goldoni ai Romantici 357

può vantare un'organica e limpida sistemalione dell'enorme materiale (frutto per lo piu di compilazione, raramente suffra- gata dai documenti o da analisi originale delle fonti), e ha di- fetti d'eccessivo procedere moralistico nel giudizio degli eventi e dei protagonisti, sopperendo tuttavia caldezza d'animo e di scrittura, come nel riconoscimento che generosamente gli rese i1 Tommaseo, raramente generoso: <( Fruttuosa, io credo, l'ope- ra del Cantu, che diffondeva tra noi poveri alcuna parte della ricchezza storica accumulata dagli esteri; che sa farsi leggere a molti, ai quali mancava pascolo storico conveniente. Chi non vuole come.storia, la guardi come raccolta; e sentirà di dovere riconoscenza a quell'agile ingegno P. Di lui come romanziere e della sua Margherita Pusterla s'è detto a proposito del ro- manzo storico; basterà qui soggiungere che anche la sua prosa di storico ha qualche validità stilistica, in specie nelle pagine dedicate alle vicende italiane nel Medioevo e alla figura di Dante nella sua Storia dell,z letteratura italiana (1865) e nel volume Dante e il suo secolo (sempre del '65).

Storico di classica robustezza, nel saggic Sulla dominazio- ne dei Longobardi in Italia (1844-59) e soprattutto nella Storia della repubblica di Firenze (1875) è il fiorentino Gino Capp'o- ni, nato nel 1792 e morto nel 1876, fondatore con lo sviz- zero Giampietro Vieusseux della rivista L'Antologia; nel corso delle polemiche tra classicisti e romantici svolse un'intensa opera di mediazione col fermo richiamo ai valori della tradi- zione italiana ma anche con la consapevole necessità di un to- tale rinnovamento della coscienza nazionale, cui partecipò co- me redattore dello statuto toscano, poi come presidente del Consiglio di Toscana nel 1849 e senatore del Regno, nelle file moderate. La sua visione storiografica, d'una storia analizzata nel suo svolgimento interno d'idee e di passioni, è sostanzial- mente d'ispirazione cattolica, donde la rivalutazione positiva ch'egli tentò della presenza della Chiesa nella storia d'Italia; il diletto d'una scrittura classicamente atteggiata varrebbe a sottolineare un certo distacco tra il Capponi e l'età del Ro- manticismc, ma non gli si possono negare quella caldezza di sentire e -1uella interiorità spiritualistica che caratterizzano la storiografia propriamente romantica. Tutto ciò contribuisce a rendere attuale l'insegnamento ch'egli intese impartire alle nuove generazioni risorgimentali non soltanto con gli scritti d'argomento pedagogico (il notissimo Frammento sull'educa- zione, pubblicato anonimo a Lugano, nel 1845), ma con gli esempi di virtti civiche profusi nella prosa alta della sua Storia.

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358 La letteratura ztaliana

Ma vale ancor pi6 la presenza sollecitatrice ed equilibratrice del Capponi quale emerge dal fitto suo carteggiare e dalla va- ria sua disponibilità a discutere i problemi di fondo con gli uo- mini pi6 rappresentativi della cultura del tempo: Lettere che sono il crocevia obbligato per comprendere momenti e pro- blemi che 'riguardano la formazione letteraria e l'impegno in- tellettuale d'un Manzoni, d'un Leopardi, d'un Tommaseo, e che vantano, forse ancor pi6 della Storia, fluidità sintattica e coloriti stilistici, oltre che ampiezza di vedute ideali e culturali, ricchezza d'informazione, studio attento delle questioni filosofi- che, pedagogiche e politiche, capacità di ridiscuterle senza dog- matismi ma anche senza superficialità sincretiche.

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RIBLIOGRAFIA

PARTE PRIMA

CAPITOLO PRIMO

Sul Settecento in generale v. G. NATALI, Il Settecento, Milano 1929, 2 voll. (6a ed., .con appendice bibliografica, ivi 1964); V. LEE, Il Sette- cento in Italia, trad. it. Napoli 1932; G. ZICCARDI, Vita e arte nel Sette- cento, Firenze 1947. Ancora utile G. BUSTICO, Biblrografia del Settecento, Milano 1930.

Saggi di carattere complessivo sulla cultura e i movimenti letterari del secolo: A. SALZA, La lirica dall'Arcadia ai tempi moderni, Milano 1905; G. MAUGAIN, Etudes sur I'évolution intellectuelle de l'ltalie, de 1657 d 1750 environ, Parigi 1909; H. BÉDARIDA-P. HAZARD, Cinfluence fran~aise en italie au XVIII siècle, ivi 1934; P. HAZARD, 111 pensée eu- ropéenne au XVIII siècle, ivi 1946, 3 voll.; ID., La crisi della coscienza europea, trad. it. Torino 1946.

Esauriente e aggiornatissimo il vol. VI della garzantiana Storia della letteratura italiana, Il Settecento, Milano 1968, diviso nelle sezioni Giam- battista Vico (di P. ROSSI), Politici e ideologi (di F. DIAZ), Il Settecento letterario (di W . BINNI), tutte con copiosa bibliografia.

Sui problemi politici ed economici v.: L. DAL PANE, Storia del la- voro in Italia dall'inizro del sec. XVIII al 1815, Milano 1944; G. Luz- ZATTO, Storia economica dell'età moderna e contemporanea, Padova 1948; L. SALVATORELLI, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, Torino 1949; G. CANDELORO, Storia dell'ltalia moderna, Milano 1956; F. VAL- SECCHI, L'Italia nel Settecento, dal 1714 al 1788, Milano 1959; S. J. WOO-F, A. CARACCIOLO, N. BADAU)NI, F. VENTURI, Storia d'Italia, vol. 111, Dal primo Settecento all'Unità, Torino 1973.

Sulla crisi del barocco e la prearcadia v.: B. CROCE, Storia dell'età barocca, Bari 1929; W . BINNI, La formazione della poetica arcadica e la letteratura fiorentina di fine Seicento, in L'Arcadia e il Metastasio, Firenze 1963; ID., Prearcadia settentrionale, in L'Arcadia e il Metastasio, cit.; F. CROCE, La critica barocca nell'ultimo Seicento, in Storia della letteratura italiana, V, Il Seicento, Milano 1967.

S d a situazione culturale napoletana tra Sei e Settecento v.: R. COTUGNO, La sorte di G . B. Vico e le polemiche scientifiche e letterarie dalla fine del XVII alla metà del XVIII secolo, Bari 1914; P. SPOSATO, Le lettere provinciali di B. Pasca1 e la loro difusrone a Napoli durante la rivoluzione intellettuale della seconda metà del secolo XVII , Tivoli 1960; P. GIANNANTONIO, Arcadia napoletana, Napoli 1962; S. MASTEL- LONE, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, Messina-Firenze 1965; ID., F. D'Andrea politico e giurista (1648-

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360 letteratura italiana

1698). L'ascesa del ceto civile, Firenze 1969; V. I. COMPARATO, G . Val- letta - Un intellettuale napoletano della fine del Seicento, Napoli 1970.

Perla s p e c u l a z i o n e e s t e t i c a , la c r l t ' i c a eg l i s t u d i d i p o e t i C a molto importante il saggio di G. J. ROBERTSON, Studies in the Genesis of Romantic Theory in the Eighteenth Century, Cambridge 1923. Ma v. anche: B. CROCE, Problemi di Estetica e contributi alla storia dell'Estetica in Italia, Bari 19494; ID., Iniziazione all'Estetica set- tecentesca, in Ultimi saggi, ivi 19482; S. CARAMELLA, L'estetica italiana dallJArcadia all'Illuminismo, in Momenti e problemi di storia dell'Erte- tica, 11, Milano 1959; G. MORPURGO TAGLIABUE, Il concetto del gusto » nell'ltalia del Settecento, Firenze 1967. Riguarda particolarmente la poe- tica il contributo di W. BINNI, Poetica e poesia nel Settecento italiano, in L'Arcadia e il Metastaio, cit. Finissime osservazioni suiia critica ita- liana del primo Settecento ha M. FUBINI nello studio Le u Osservazioni » del Muratori al Petrarca e la nitica letteraria nell'etò dell'Arcadia, pub- blicato in « Civiltà moderna (1933 e 1934) e poi ristampato nel volu- me Dal Muratori al Baretti, Bari 19683.

Le Considerazioni di G . G . o R s I e gli altri scritti venuti alla luce in occasione della polemica Orsi-Bouhours si possono leggere nell.'edi- zione modenese del 1735. A edizioni secentesche e settecentesche bisogna anche ricorrere per le opere di C . E T T O R R I , Il buon gusto ne' com- ponimenti retorici (Bologna 1696), T . C E V A , Memorie di alcune virtu del signor Conte Francesco De Lemene (Milano 1706; con ristamp:~ nel 1718), G . C A L O P R E s E , Lettura sopra la concione di Marfisa a (:urlo Magno (Napoli 1691), Sposizioni sopra le Rime del Casa (ivi 1964). Sul C E V ~ V. V. MASIELLO, Critica e gusto di T . C,, in « Conviviiim N, XXVII (1959), 4; e Le idee estetiche di T . C,, ivi, XXVIII (196C1), 3; sul CALOPRESE v. U. MARVARDI, Il pensiero estetico e il metodo critico di G. C., in Lettere italiane », XIX (1962).

Per i1 G R A V I N A l'edizione piu completa 6 queiia delle Opere a cura di G. A. SERGIO (Napoli 1756-58); una buona scelta in Prose per cura di P. EMILIANI GIUDICI, Firenze 1857. Deiia Ragion poetica esiste un'edizione piu recente (Lanciano 1933, con introduzione e bibliografia di G. NATALI). Ma vedi ora G. v. GRAVINA, Scritti critici e teorici, a cura di A. QUONDAM, Bari 1973. Sul pensatore v,: A. QUONDAM, Cul- tura e ideologia di G . V . G., Milano 1968; D. CONSOLI, Reultò e fantasia nel classicismo di G . V . G., Milano 1970.

Del C R E s C I M B E N I V. Opere, a cura di A. e P. C. ZENO e A. F. SEGHEZZI, Venezia 1730-31. Un buon profilo in G. NATALI, G . M. C,, in a Atti dell'Acc. dell'Arcadia », XII, 1929.

La raccolta piu ricca (ma non completa) delle Opere di L . A . M U- R A T O R I è apparsa ad Arezzo tra il 1767 e il 1780, in 36 volumi. A p prazabile anche la silloge napoletana delle Opere minori di L. A. M., a spese di G. PONZELLI, 1757-70, in dieci tomi. Una scelta abbastanza ampia in L . A . M . , Opere, a cura di G. FALCO e F. FORTI, Milano-Napoli 1964, 2 voll. Sul M. critico e teorico di cose letterarie, v. oltre il citato studio del FUBINI, F. FORTI, L. A. M. tra antichr e moderni, Modena 1953. Inoltre: M. FUBINI, Ripessi culturali e ideologici nella prosa del primo Settecento (L. A. M.); E. RAIMONDI, Ragione ed erudizione nel-

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Biblzografia 361

l'opera del M. (i due studi ne! vol. misc. Sensibilità e razionalità nel Settecento, a cura di V. BRANCA, I , Venezia 1967).

Le Osservazioni sopra la << Rodoguna P e i giudizi sul M A G G I del MAFFEI in S. M., Rime e prose, Venezia 1719 (v. anche gli Opuscoli let- terari, a cura di B. GAMBA, Venezia 1829).

Le Prose e poesie di A . c o N T I si leggono nell'edizione veneziana in due volumi (1739 e 1756). Utili: A. BOBBIO, Il pensiero estetico di A. C,, in «Atti dell'Accademia degli Arcadi », XXIV (1940-41), vol. XXI- XXII; G. GRONDA, L'opera critica di A. C., in << Giornale stor. d. lett. ital. D, LXXXI (1964), fas. 433.

Per il M A R T E L L O V. Versi e prose, Roma 1710, il Femia senten- ziato, Bologna 1869, Scritti critici e satirici, a cura di H. S. NOCE, Bari 1963.

I1 Paragone del C A L E P o , dopo l'edizione zurighese, fu stampato a Venezia, 1770; le Lettere al Bodmer sono state pubblicate di recente a cura di R. BOLDINI, Bologna 1964. V. anche: M. BISCIONE, P. C. e i riflessi europei della cultura italiana nella prima metà del sec. X V I I I , in u Giorn. crit. d. filos. ital. », 1940; S. ROMAGNOLI, Appunti bibliogra- fici e critici su P. C,, Bergamo 1955.

L'Idea del G I M M A usci a Napoli nel 1723; la Biblioteca del F O N T A N I N I a Roma nel 1726 e h poi arricchita da A . z E 14 O (Ve- nezia, 1753). Del Q u A D R I O l'unica edizione accessibile è queiia men- zionata nel testo. Su questi primi tentativi di storiografia letteraria v. G. GETTO, Storia delle storie letterarie, Milano 1942. Per il GlMMA v. anche E. GARIN, G. G., in Giorn. crit. d. filos, ital. », 1959; per il QUADRIO, M. COSTANZO, Dallo Scaligero al Q., Milano 1961.

CAPITOLO SECONDO

Fra i principali testi ai quali occorre rifarsi per uno studio sui ca- ratteri e sulla fortuna deU'Arcadia, a parte i citati lavori del SALZA, del MAUGAIN, deiio HAZARD, del CROCE, del BINNI, v.: E. PORTAL, L'Arcadia, Palermo 1822; G. TOFFANIN, L'Arcadia, Bologna 1946 (rifacimento de L'eredità del Rinascimento in Arcadia, Bologna 1923); B. CROCE, L let- teratura italiana nel Settecento, Bari 19492 (contienc tra l'altro: L'Arca- dia e la poesia del Settecento, Sonetti dello Zappi, Il petrarcbismo sette- centesco e una canzone di E. Manfredi); G. CALCATERRA, Il barocco in Arcadia, Bologna 1950; ID., Arcadia e neoclassicismo, in Il Parnaso in rivolta, ivi 1961 2; U. BOSCO, Dal Rinascimento all'Arcadia, Lecce 1959; M. FUBINI, Arcadia e illuminismo, in Questioni e correnti di storia let- teraria, Milano 1949, ristampato in Dal Muratori al Baretti, Bari 19683; W . BINNI, L'Arcadia e il Metastasio, cit. (specialmente per i saggi: Il petrarcbismo arcadico e la poesia del Manfredi; Sviluppo della poetica arcadioa nel primo Settecento); ID., Classicismo e Neoclassicismo nella letteraiura del Settecento, cit. (specialmente per i saggi: Il rococò nella

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letteratura settecentesca; Paolo Rolli e lo sviluppo del classicismo arcadico- rococò). Ma v. anche R. SCHIPPISI, L'Arcadia, in Letteratura italiana, Le correnti, I , Milano 1956; A. PIROMALLI, L'Arcadia (storia e antologia della critica), Palermo 1963. Infine: B. MAIER, La valutazione dell'Arca- dia nella storiografia letteraria contemporanea, in Problemi ed esperienze d i critica letteraria, Siena 1950.

La raccolta pih vasta della l i r i C a arcadica è costituita dai 13 voll. delle Rime degli Arcadi, Roma 1716-80 (i primi nove voll. a cura del CRESCIMBENI). Fondamentali anche Le prose degli Arcada, Roma 1718 (esse pure a cura del CRESCIMBENI). Altre raccolte uscirono nel Sette- cento e nell'ottocento. Tra le pi6 moderne ricordiamo: Poeti erotici del secolo X V I I I , a cura d i G. CARDUCCI, Firenze 1868; A. DONATI, Poeti minori del Settecento, Bari 1912-13; I lirici del Seicento e dellJArcadia, a cura di C. CALCATERRA, Milano 1936; Lirici del Settecento, a cura di B. MAIER, con la collaborazione di M. FUBINI, D. ISELLA, G. PICCITTO, e introduzione di M. FUBINI, MilaneNapoli 1959; I1 Settecento e l'Otto- cento, a cura di G. PETRONIO, vol. V dell'Antologia della letteratura ita- liana diretta da M. VITALE, Milano 1967; Poesie del Settecento, a cura di C. MUSCETTA e M. R. MASSEI, 2 voll., Torino 1967.

Edizioni particolari: E . A N F R E D I , Rime, Bologna 1760; Rime scelte, Reggio Emilia 1888; F . M . z A N O T T I , Opere, Bologna 1779- 1802 (9 voll.); P . I . M A R T E L L o , Versi e prose, cit.; G . F . z A P P I , Rime, Venezia 1723 (vi sono comprese le composizioni della moglie F . M A R A T T I z A P P I ); P . R O L L I , Liriche, a cura di C. CALCATERRA, Torino 1926; T . C R u D E L I , Rime e prose, Parigi (ma Pisa) 1805.

Sul m e l o d r a m m a v,: U. ROLANDI, Il libretto per musica attra- verso i tempi, Roma 1951; R. GIAZOTTO, Poesia melodrammatica e pen- sierd critico nel Settecento, Torino 1952; M. APOLLONIO, Storia del tea- tro italiano, Firenze 1954a; A. DELLA CORTE, Drammi per musica, To- rino 1958.

Su A . z E N O v. M. FEHR, A. Z. und seine Reform des Operntextes, Zurigo 1912. Per i testi: Poesie drammatiche di A . Z., a cura di G. Gozz~, Venezia 1744, 10 voll.; Drammi scelti, a cura di M. FEHR, Bari, 1929.

Sul M E T A s T A s I O , tra i tanti lavori meritevoli, segnaliamo: L. Russo, M., Bari, 1915; A. DELLA CORTE, Settecento italiano: Paisiello, L'estetica musicale di P. M., Torino 1922; G. NATALI, La vita e le opere di P. M., Livorno 1923; B. CROCE, Il giudizio del De Sanctis sul M., in La letteratura italiana del Settecento, cit.; C. VARESE, Saggio sul Meta- stasio, Firenze 1950; M. FUBINI, Il giudizio del De Sanctis sul M. e una questione di storia letteraria, in Romanticismo italiano, Bari 1953 (ve- dine la recente riedizione del 1971); ID., Arcadia e illuminismo, in Dal Muratori al Baretti, cit; W . BINNI, L'Arcadia e il M., cit.; F. GAVAZZENI, Studi metastasiani, Padova 1964; M. FUBINI, Introduzione a M., in P . M., Opere, Milano-Napoli 1968 (in questo volume anche il saggio L'« opera metastasiano D di L. RONGA). Una storia della critica a cura di S. ROMA- GNOLI, ne I Classici italiani nella storia della critica, Firenze 19642, vol. 11.

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Bibliografia 363

Edizione complessiva degli scritti metastasiani: Tutte le opere di P. M., a cura di B. BRUNELLI, Milano 1943-45 (5 voll.).

Per il t e a t r o t r a g i C o v.: A. GALLETTI, Le teorie drammatiche e la tragedia in Italia nel secolo XVIII , parte I , Cremona 1901; G. ORTO- LANI, La rifo~ma del teatro nel Settecento e altri scritti, Venezia-Roma 1962.

L'impostore, 'dialogo sopra la tragedia antica e moderna di P . J . M A R T E L L O USCI a Parigi nel 1714 (in seguito a Roma nel 1715 col titolo Della tragedia antica e moderna). Le opere teatrali del M. sono riunite in Teatro, Roma 1709 e Teatro italiano, Roma 1715 ( 2 voll.).

Del Paragone della poesia tragica d'Italia con quella di Francia del C A L E P I O , si sono già indicate le edizioni zurighese e veneziana. Le tregedie del G R A V I N A nelle Opere, cit.

L'edizione piii recente della Merope di s . M A F F E I è quella cu- rata da C. GARIBOTTO (Verona 1954).

Le quattro tragedie del C O N T I furono edite a Firenze nel 1751.

Sulla C o m m e d i a d e l l ' a r t e si vedano: La << commedia' dell'ar- te », a cura di E. P E ~ A C C O N E , Napoli 1927; M. APOLLONIO, Storia della

commedia dell'arte », Milano 1930; La commedia dell'arte. Storia e te- sti, a cura di V. PANDOLFI, Firenze 1958 (5 voll.).

Le commedie del M A R T E L L O si leggono nelle citate raccolte Tea- tro e Teatro italiano; quelle del M A F F E I in Opere drammatiche e poesie varie, a cura di A. AVENA, Bari 1928. Per il B E C E L L I occorre risalire alle edizioni settecentesche: Li falsi letterali (Verona 1740), La pazzia delle pompe (Verona 1748), L'Ariostista e il Tassista (Rovereto 1748); altre, meno significative, uscirono a Verona e Rovereto tra il 1741 e il 1746.

Per il G I G L I v.: ~ ~ e r e , ' ~ ' ~ j a (ma Lucca) 1797-98 (3 voll.); Don Pilone, La sorellina di Don Pilone, Il Gorgoleo, a cura di M. MANCIOTTI, Milano 1963; per il F A G I 'u. O L I: Commedie, Firenze 1734-36 (poi Ve- naia 1753); per il N E L L I: Commedie, a cura di A. MORETTI, Bolo- gna 1883-89.

CAPITOLO TERZO

Sul V I C 0 citeremo innanzi tutto gli studi del CROCE, del GENTILE, del NICOLINI. Del CROCE v.: La filosofia di G. B. V , , Bari 1911; Le fonti della gnoseologia vichiana, Il Vico e la critrca omerica, in Saggio sullo Hegel, ivi 1927; Stato odierno degli studi su Vico, in Quaderni della critica W , 1950. Del GENTILE: Studi vichiani, Messina 1915 e Fi- renze 1927. Di F. NICOLINI: La giovinezza di G . B. V , , Bari 1932; La re- ligiosità di G. B. V , , ivi 1949; Saggi vichiani, Napoli 1955; e l'importantis- simo Commento storico alla seconda Scienza nuova, Roma 1949-50 (2 voll.). Fondamentale la Bibliografia vichiana di B. CROCE, accresciuta e rie-

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364 La letteratura italiana

laborata da F. NICOLINI, Napoli 1947-48 (2 voll.). V. inoltre P. ROSSI, Lineamenti d i storia della critica vichiana, in Classici italiani nella storia della critica, a cura di W. BINNI, Firenze 1962, vol. I l .

Altri contributi notevoli: E. CHIOCCHETTI, La filosofio di G. B. V , , Milano 1935; A. CORSANO, Umanesimo e religione ,n G . B. V , , Bari 1935; B. DONATI, Nuovi studi sulla filosofia civile d i G. B. V . , Firenze 1936; N. BADALONI, Introduzione a V . , Milano 1961; G. DE RUGGIERO, Storia della filosofia, Bari 19625, vol. VI, Da Vico a Kant; P. ROSSI, Le ster- minate antichità, Studi vichiani, Pisa 1969.

Su aspetti piu propriamente linguistici e letterari: M. FUBINI, Stile e umanità di G . B. V , , Bari 1946; A. PAGLIARO, La dottrina linguistica di G. B. V , , in « Atti dell'Accademia Nazionale dei Lincei », 1959. . La raccolta completa delle opere vichiane è stata curata da F. NICO- LINI (Bari 1914-41) in 8 voll. Per la Scienza Nuova v. anche l'edizione di F. FLORA (Milano 1957). Tra le raccolte antologiche segnaliamo quelle a cura di N. ABBAGNANO (Torino 1952), F. NICOLINI (Milano-Napoli 1953), P. ROSSI (Milano 1959).

Si devono a F. NICOLINI i primi studi organici e documentati sul G I A N N O N E : Gli scritti e la fortuna d i P. G. Rzcerche bibliografiche, Bari 1913; Le teorie politiche di P. G., *ri 1915. La figura del G. ha po- sizione di rilievo nelle seguenti opere: E. FUETER, Geschichte der neueren Historiographie (1911; trad. ital.: Napoli 1943-44); A. C. JEMOLO, Stato e Chiesa negli scrittori politici italiani del '600 e del '700, Torino 1914; A. CORSANO, Il pensiero religioso italiano dall'umanesimo al giurisdizio- nalismo, Bari 1937. Trattano direttamente dell'ideologia giannoniana: N. SAPEGNO, G. e la riforma religiosa, in Società », VI1 (1951), ristampato in Ritratto di Manzoni e altri srggi, Bari 1961; R. ROMEO, Illuministi meridionali. l. G . e Galiani, nel volume miscellaneo La cultura illumini- stica in Italia, Torino 1957, curato da M. FUBINI; B. VIGEZZI, P. G . Ri- formatore e storico, Milano 1961; G. RICUPERATI, L'esperienza civile e religiosa di P. G. , MilaneNapoli 1970; M. CERRUTI, La ragione felice e altri miti del Settecento, Firenze 1973.

Per i problemi filologico-testuali v. S. BERTELLI, Giannoniana. Auto- grafi, manoscritti e documenti della fortuna di P. G., MilaneNapoli 1968.

L'lstoria civile del Regno d i Napoli apparve a Napoli nel 1923. I1 Triregno è oggi leggibile nell'edizione a cura di A. PARENTE, Bari 1940 (in 3 voll.); v. inoltre P. G., Vita scritta da lui medesimo, a cura di S. BERTELLI, Milano 1960. Eccellente antologia di tuttc le opere principali in Illuministi italiani, I , Opere di P. G., a cura di S. BERTELLI e G. RICUPERATI, MilaneNapoli 1971.

Sul M u R A T O R I, oltre la citata opera del FUETER, v.: G. BERRI, Il pensiero sociale d i L. A . M., Torino 1922; G. BERTONI, L. A . M., Roma 1926; G. FALCO, Il pensiero civile di L. A. M . , Roma, Acc. Naz. dei Lincei 1950, quaderno 20; A. VECCHI, L'opera religiosa del M. , Mo- dena 1945; G. FALCO, L. A. M. e il preilluminismo, nel cit. vol. miscel- laneo La cultura illuministica in Italia a cura di M. FUBINI; S. BERTELLI, Erudizione e storia in L. A. M. , Napoli 1960. Inoltre T. SORBELLI, Biblio- grafia muratoriana, Modena 1943-44 (sono usciti due volumi).

Dei principali studi sulle idee letterarie del M. s:è detto e cosl pure si sono indicate le edizioni dei suoi scritti.

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Sul M A F F E I si veda il v01 miscellaneo Studz maffeiani, Torino 1909. Inoltre: G. SILVESTRI, U n europeo del Settecento, Treviso 1954; G. GASPERONI, S. M. e la Verona settecentesca, Verona 1955; G. TOF- FANIN, S. M., in Storia dell'Umanesimo, I V , L'Arcadia, Bologna 1964; C. GARIBOTTO, S. M., in Letteratura italiana - I minori, Milano 1961 (vol, 111).

Per le opere v. l'edizione veneziana del 1790, in 21 voll.; 1'Episto- lario è ora accessibile nell'edizione a cura di C. GARIBOTTO (Milano 1955).

CAPITOLO QUARTO

Sull'età iiiuministica da un punto di vista storico-filosofico: P. SMITH, A History oj Modern Culture. I I : The Enlightenment, 1687-1776. Nuova York 1934; L. GERSHOY, From Despotism to Reuolution, 1763-89, New York-Londra 1944; F. VENTURI, Le origini dell'Enciclopedia, Roma-Firenze- Milano 1946; E. PRÉCLIN e V. L. TAPIÉ, Le X V I I I siècle, Parigi 1952; E. CASSIRER, La filosofia dell'illuminismo, trad. ital. Firenze 1936 e 1952; F. MEINECKE, Le origini dello storicismo, trad. ital. Firenze 1954; C. Lu- PORINI, Il concetto della storia e I'Illuminismo, in Voltaire e le Lettres philosophiques P, Firenze 1955; G. DE RUGGIERO, L'età dell'illuminismo, Bari 19648; A. PLEBE, Che cos'è I'Illuminismo?, Roma 1967; W . DILTHEY, Il secolo X V I I I e il mondo storico, Milano 1967; P. ROSSI, L'illumini- smo e il mondo storico, nel vol. miscellaneo Nuove questioni d i storia moderna, Milano 1968; N . HAMPSON, Storia e cullura delllIlluminismo, Bari 1969.

Per quanto riguarda l'Italia: E. CODIGNOLA, Illuministi, giansenisti e giacobini nell'ltalia del Settecento, Firenze 1947; F. VALSECCHI, Il pen- siero illuministico e la riforma dello Stato nell'ltalia del Settecento, in «Rassegna storica toscana », I (1955), fasc. 11-111; E. SESTAN, Il rijor- mismo settecentesco in Italia. Orientamenti politici generali, in Rasse- gna storica toscana », I (1955), fasc. 11-111; F. VENTURI, Illuminismo' italiano e illuminismo europeo, nel vgl. miscellaneo La cultura illumi- nistica in Italia, cit. (opera tutta utile; vedine la 2a ed. accresciuta, 1964); L. SALVATORELLI, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, Torino 19596; F . VALSECCHI, L'Italia nel Settecento, Milano 1959; F . VENTURI, Settecento rijormatore, Torino 1969.

Su problemi e aspetti letterari dell'età illuministica: A. MOMIGLIANO, Gusto neoclassico e poesia neoclassica, in Cinque saggi, Firenze 1945; M. FUBINI, Arcadia e Illuminismo, in Dal Muratori al Baretti, cit.; F. GIANNESSI, Civiltà e letteratura nell'ltalia dell'Illuminismo e del Ro- manticismo, in Letteratura italiana. Le correnti, Milano 1956, vol. 11; M. PRAZ, Gusto neoclassico, Firenze 19592; F. ULIVI, Settecento neo- classico, Pisa 1957; G. PETRONIO, Dall'Illuminismo al Verismo, Palermo 1962; W . BINNI, Classicismo e neoclassicismo nella letteratura del Set- tecento, Firenze 1963; R. SPONGANO, La poetica del sensismo e la poesia del Parini, Milano 1964 3; G. SCALIA, L'illuminismo, Palermo 1966; B. MAIER, I l . neoclassicismo, Palermo 1970 2.

Sulla situazione della Lombardia nell'età illuministica v,: C. A. VIA- NELLO, I l Settecento milanese, Milano 1934; F. VALSECCHI, L'asso~uti- smo illuminato in Austria e Lombardia, 11, Bologna 1934; G. PETRONIO, Parini e l'illuminismo lombardo, Bari 1972 a.

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3 66 La letteratura italiana

Su P . V E R R I v. la monografia di N. VALERI, P. V., Milano 1937, e il profilo di S. CARAMELLA in Letteratura italiana - I minori, cit., 111. I1 C a f f è è stato ristampato a cura di S. ROMAGNOLI, Milano 1960. Per A . V E R R I cfr. W. BINNI, Preromanticismo italiano, Napoli 1948, e G. TROMBATORE, I << romanzi » di A. V , , in u Belfagor D, XXIII (1968), I. Sul B E C C A R I A v. C. A. VIANELLO, La giovinezza di Parini, Verri e B., Milano 1933; ID., La vita e l'opera di C. B., con scritti e documenti inediti, Milano 1938.

Per gli scritti dei v., del B. e degli altri iiluministi lombardi v. Illu- ministi italiani, ZII, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, a cura di F. VENTURI, Milano - Napoli 1958; Illuministi settentrionali, a cura di S. ROMAGNOLI, Milano 1962; e inoltre: Carteggio di P. e A. V., a cura' di E. GREPPI, F. NOVATI, G. GIULINI, G. SEREGNI, Milano 1910-12 (in- completo); A. VERRI, Le notti romane, a cura di R. NEGRI, Bari 1967; C. BECCARIA, Opere, a cura di S. ROMAGNOLI, Firenze 1958, Dei delitti e delle pene, a cura e con introduzione di F. VENTURI, Torino 1965.

Sul D E N I N A V. L. NEGRI, Un accademico piemontese del '700: C. D,, in Memorie dell'Acc. delle Scienze di Torino », serie 11, tomo LXII, 1933.

Per i testi derrl'illuministi oiemontesi e toscani si ricorra alla scelta contenuta in Illum~nisti italiani,- ZII, ecc., cit. Per gl'illuministi veneti v. Illuministi italiani. V I I , Riformatori delle antiche revubbliche. dei du- cati;dello stato pontificzo e 'delle isole, a cura di G. SIARRIZZO; G. TOR- CELLAN e F. VENTURI, MilaneNapoli 1965.

Per I'iUuminismo meridionale è ben valido il saggio di F. VENTURI, Il mwimento riformatore degli illuministi meridionali, in << Rivista sto- rica italiana », LXXIV (1962), fasc. I ; v. però anche B. CROCE, Storia del regno di Napoli, Bari 1925; G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico meri- dionale nei secoli XVIII e XIX, Bari 19462; P. VILLANI, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Bari 1962.

Sui G E N O V E s I V. G. RACIOPPI, A. G., Napoli 1871; L. VILLARI, rl pensiero economico di A. G., Firenze 1959; sul G A L I A N I, F. NICOLINI, G. adversus illuminirtas, Napoli 1956; F. VENTURI, G. tra enciclopedisti e fisiocrati, in Rivista storica italiana », LXXXII (1960), I ; sul P A - G A N O , G. SOLARI, Studi su F. M . P,. raccolti da L. FIRPO, Torino 1963; sul F I L A N G I E R I, S. COTTA, G. F. e il robtema della legge, Torino 1954; sui P A L M I E R 1 , S. BORTOLOT?I, 8. P. riformatore e scrittore, Bologna 1936; sul D E L F I C O , G. DE CAESARIS, M. D. nel primo cente- nario della sua morte, Napoli 1940.

Molti testi di illuministi napoletani in Illuminrstr italiani, V , Rifor- matori napoletani, a cura di F. VENTURI, Milano-Napoli 1962. V. inol- tre: A. GENOVESI, Opere scelte, Milano 1824, Autobiografia e lettere, a cura di G. SAVARESE, Milano 1962; F. GALIANI, Della moneta, a cura di A. MEROLA (con introduzione di A. CARACCIOLO), Milano 1963, Dia- logues sur le commerce des bleds, a cura di F. NICOLINI, MilaneNapoli 1959; G. FILANGIERI, Opere, Firenze 1864-76 (3 voll.); F. M. PAGANO, Opere filosofico-politiche ed estetiche, Capolago 1837. Le opere di G. PALMIERI negli Scrittori classici italiani di economia politica, Parte moderna, tomo XXXVII e XXmIII, Milano 1805. Del DELFICO V. le Opere complete, a cura di G. PANNELLA e L. SAVORINI, Teramo 1901-04 (4 voli.).

Page 363: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Bibliografia

SuU' A L G A R O T T I v. i saggi di A. SCAGLIONE, L'A. e la crisi let- teraria del Settecento, in a Convivium n, 1956, 2, e M. FUBINI, Com- memorazione d i F. A. nel I1 anniversario della morte, in a Atti del- 1'Ist. ven. di scienze, lettere ed arti », CXXIII (1964-65). Importante anche la voce A. di E. BONORA nel Dizionario biografico degli italiani, 11, Roma 1960.

Le Opere di F. A. uscirono a Venezia (1791-94) a cura di F. AGLIETTI (17 voii.). I Saggi sono stati editi recentemente a cura di G. DA Pozzo, Bari 1963. Buona scelta antologica in Illuministi italiani, 11, Opere di F. A. e di Saverio Bettinelli, a cura di E. BONORA, Milano-Napoli 1969.

Gli Scrittori d'Italia di G . M A z z u C H E L L I e la Storia della let- teratura italiana di G . T I R A B O s C H I sono da vedersi nelle edizioni in- dicate nel testo e venute aiia luce rispettivamente a Brescia e a Modena.

La figura di s . B E T T I N E L L I è stata studiata, fra gli altri, da C. CALCATERRA, La questione storica delle « Lettere virgiliane », in « Giorn. stor. d. lett. ital. », XCVII (1931); M. FUBINI, Introduzione alla lettura delle Virgiliane D, in Dal Muratori al Baretti, cit.; W . BINNI, Fra illuminismo e romanticismo: S. B., in Preromanticismo italiano, cit., E. BONORA, L'abate B., in Lo cultura dell'illumrnismo in Italia, cit.; C. MUSCETTA, B. (voce del Dizionario biografico degli italiani, VIII, Roma 1967).

Per le opere v. S. B., Opere edite e inedite, Venezia 1799:1801 (24 voll.). Ed. mod.: Lettere virgiliane e inglesi e altrr rcritti iritici, a cura di V. E. ALFIERÌ, Bari 1930; Illuministi Italiani, 11, Opere di F. Alga- rotti e di S. B., cit. (dove sono accolte integralmente 1P Lettere « virgi- Lione D e a inglesi D).

I saggi su problemi di stile e di poetica del B E C C A R I A , di P . V E R R I e del P A G A N O si leggono nelle opere precedentementi: segna- late per ciascuno di questi scrittori. Ma ricordiamo anche P. VERRI, Del piacere .e del dolore ed altri scritti, vol. I , a cura di R. DE FELICE, Mi- lano 1964.

Tra gli studi sul B A R E T T I segnaliamo: A. DEVALLE, h critica let- teraria del Settecento. G. B.: suoi rapporti con Voltaire, Johnson e Parini, Milano 1932; A. MOMIGLIANO, Ld rivolta di Aristarco e B. nelle sue lettere, in Studi di poesia, Bari 1938; W . BINNI, Lo << Frusta lette- raria » e il B., in Preromanticismo italiano, cit.; M. FUBINI, G. B. scrit- tore e critico e G. B. dalle Lettere a' suoi tre fratelli alla « Frusta lette- raria », in Dal Muratori al Baretti, cit.; N. JONARD, G. B., L'homme et l'oeuvre, Clermont Ferrand 1963. Da tenere in conto anche il saggio del CROCE, G. B., in Problemi di estetica, Bari 1910.

Le Opere italiane del B. apparvero a Milano (1812-20) in 7 voll. Edizioni pi6 recenti sono state curate da L. PICCIONI: Prefazioni e po- lemiche, Bari 193j2; La scelta delle lettere familiari, ivi 1912; La a Fru- sta letteraria », ivi 1932 ( 2 voll.); Lettere familiari a' suoi tre fratelli, Torino 1941. Una scelta comprendente il Discours sur Shakespeare ecc. in Letterati, memorialisti e viaggiatori del Settecento, a cura di E. BO- NORA, Milano-Napoli 1965; v. anche G. B., Opere scelte, a cura di B. MAIER, Torino 1973 (2 voll.).

Per G . c o z z I v. G. ORTOLANI, Voci e visioni del Settecento vene- ziano, Bari 1926, il profilo di E. BONORA in Letterati, memorialisti ecc.,

Page 364: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

368 La letteratura italiana

cit. (dove è anche un'antologia delle opere), e E. FALQUI, G. G., in Let- teratura italiana. - I minori, I I I , Milano 1961. Le Opere di G. G. sono state edite a cura di A. DALMISTRO a Padova, 1818-20 (16 voll.). V. anche L'Osservatore veneto, a cura di N. RAFFAELLI, Milano 1965 ( 2 voll.).

Per C . G O z z I v. B. CROCE, Il carattere delle Fiabe d i C. G., in La letteratura italiana del Settecento, cit.; G. ORTOLANI, La riforma del tea- tro nel Settecento, Venezia-Roma 1962; B. T. SOZZI, C. G., in Lettera- tura italiona - I minori, 111, cit. Quanto alle Opere v. l'edizione vene- ziana (1801-03) in 14 voll., e inoltre Opere - Teatro e polemiche teatrali, a C. di G. PETRONIO, Milano 1962. Una scelta in Letterati, memorialisti ecc., cit.

Per i problemi della lingua nel Settecento v. in particolare: A. SCHIAFFINI, La crisi linguistica del Settecento, in Momenti d i storia della lingua italiana, Roma 1553; G. FOLENA, Le origini e il significato del rinnovamento linguistico nel Settecento italiano, in Problemi di lin- gua e letteratura italiana del Settecento, Wiesbaden 1965; M. PUPPO, Introduzione a Discussioni linguistiche del Settecento, Torino 1966 (con ampia scelta di testi, fra i quali la Rinunzia al vocabolario della Crusca.

Per il C E s A R O T T I rimandiamo al profilo di G. MARZOT, M. C., in Letteratura italiana. - I minori, I I I , cit. Ma vedi anche le impor- tanti introduzioni di M. PUPPO a Discussioni linguistiche ecc., cit., e di E. BIGI alla sezione cesarottiana in Dal Muratori al C , , IV, Critici e storici della poesia e delle arti nel secondo Settecento, Milano-Napoli 1960, dove è una accurata scelta di testi. Sempre da tener presenti i vari contributi del BINNI, specie nel piu volte cit. Preromanticismo italiano e nel Settecento garzantiano, nonché G. NENCIONI, Quidquid nostri pre- decessore~ ..., in Atti e mem. dell'Arcadia >>, 1950. Sulle idee estetiche: E. BIGI, Le idee estetiche del C. , in << Giorn. stor. d. lett. ital. », CXXXIII (1959). Per altri scritti del C. si rimanda a M. C,, Opere, Pisa 1800-13 (40 voll.).

Per i testi degli autori teatrali v.: P . C H I A R I , Commedie, Venezia 1752-58, Commedie in versi, ivi 1756-62, Nuova raccolta d i commedie in versi, ivi 1763-64, Tragedie, Bologna 1777; A . B u O N A F E D E , Opere, Venezia 1787-89 (11 voll.); R . D E ' C A L z A B I G I , Poesie, Livorno 1774 ( 2 voll.), Poesie e prose diverse, Napoli 1793; L . D A P o N T E , Tre li- bretti per Mozart, a cura di P. LECALDANO, Milano 1956.

Per la letteratura autobiografica e le relazioni di viaggio è sdciente un rimando a Letterati, memorialisti e viaggiatori del Settecento, a cura di E. BONORA, MilaneNapoli 1951. In particolare v. G . C A s A N O v A , Histoire de ma vie (Mémoires), a cura di HWBSCHER, Wiesbaden-Parigi 1962 (2 voli.), L . D A P o N T E, Memorie, Milano 1960.

Per i testi dei poeti lirici del smondo Settecento v. le raccolte ricor- date al Capitolo secondo.

Edizioni particolari: C . I . F R u G O N I , Poesie scelte, Bassanq 1812 ( 4 voll.); A . v A R A N o , Opere, Parma 1789 ( 3 voli.); A . D E G I O R G I B E R T O L A , Poesie, Pisa 1817 ( 3 voli.), Poesie e prose, Fi- renze 1818 ( 3 voll.); I . V I T T o R E L L I , Poesie, a cura di I . SIMIONI, Bari 1911; L . S A V I O L I F O N T A N A , Amori, a cura di A. MOMI- GLIANO, Firenze 1944; A . M A z z A , Opere, Parma 1816-19 ( 5 voli.),

Page 365: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Bibliografia 369

Opere, ivi 1816-20; C . C . D E L L A T O R R E D I R E Z Z O N I C O , Opere, a cura di F. MOCCHETTI, Corno 1815-30 (10 voll.); F . C A s s O L I , Versi, Parma 1802; G . F A N T O N I , Poesie, a cura di G. LAZZERI, Bari 1913. Su questi poeti v. l'lntrodurione del FUBINI al cit. volume I lirici del Settecento (ricco di specifiche indicazioni bibliografiche), oltre che, del BINNI, Preromanticismo italiano, cit., e Classicismo e neoclassicismo, cit.

Per i poeti gnomico-didascalici v. Raccolta di poeti didascalici e di poemetti varj scritti nel secolo X V I I I , Milano 1828; Appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, nel volume G . P A R I N I , Poesie e prose, a cura di L. CARETTI, MilaneNapoli 1951.

Edizioni particolari: G . C . P A s s E R O N I , Il Cicerone, Milano 1755-74 (6 voll.); L . M A s C H E R O N I , Invito a Lesbia Cidonia, a cura di A. BERTOLONI, Bologna 1840; citiamo anche l'ediz. a cura di G. NATALI, Torino 1918. Per il PASSERONI V. S. PAGGI, 11 « Cicerone » di G. C. P,, Città di Castello 1912; ID., G. C. P., Città di Castello 1914. Per il MASCHERONI, E. BIGI, L'« Invito a Lesbia Cidonia P, in Dal Pe- trarca al Leopardi, MilaneNapoli 1954; L. DE LUCA, L'esegesi masche- roniana attraverso il tempo, in << Bergomum », 1958.

Per i favolisti: M. SANSONE, Favolisti del Settecento, Firenze 1934. In particolare: L . F I A C C H I , Poemetti contadrnrschi, a cura di M. BONTEMPELLI, Lanciano 1914, Favole scelte, a cura di F. FLORI, Borgo S. Lorenzo 1954; G . B . C A s T I , Opere complete, Parigi 1838.

Su I . P I N D E M O N T E V. M. SCHERILLO, I. P. e la poesia bardita, Messina 1920; W . BINNI, Preromanticismo italiano, cit.; N. F. CIMMINO, I. P. e il suo tempo, Roma 1368 (2 voll.), nonché il profilo di R. CESE- RANI in Letteratura italiana. - I minori, 111, cit. Per le opere: I. P,, Opere, Milano 1832-33 (4 voll.); I cimiteri - I sepolcri, a cura di P. LAITA, Verona 1955.

Un'antologia di poeti dialettali a cura di D. ISELLA in Lirici del Settecento, a cura di M. FUBINI, cit.

Sul M E L I v. A. DI GIOVANNI, La vita e l'opera di G. M., Firenze 1934; utile anche il volume Studi su G. M. nel I1 centenario della na- scita, Palermo 1942.

Per i testi: G. M., Opere, a cura di G. SANTANGELO, Milano 1965.

PARTE SECONDA

CAPITOLO QUINTO

C A R L O G O L D O N I - O p e r e : Opere complete, a cura di V. MU- SATTI, E. MADDALENA, G. ORTOLANI, Venezia 1907-60, voll. 40; Tutte le Opere, a cura di G. ORTOLANI, Milano 1935-55, voll. 14.

B i b l i o g r a f i a : N. MANGINI, Bibiiogmfia goldoniana, Venezia-Roma 1961; G. ZAMPIERI, C. G., in I Classici italiani nella storia della critica,

Page 366: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

370 Lo letteratura italiana

a cura di W. BINNI, Firenze 1957, vol. 11; G. PETRONIO, C. G . Storia della critica, Palermo 1958.

S t u d i C r i t i C i : G. CARDUCCI, Del rinnovamento letterario d'Italia, in Ediz. Naz.; G. ORTOLANI, Della vita e delle opere d i C. G. , Venezia 1907; L. FALCHI, Intendimenti sociali d i C. G. , Roma 1907; A. MOMI- GLIANO, Primi studi goldoniani, Firenze 1922 (dello stesso Saggi goldo- niani, Venezia-Roma 1959); M. APOLLONIO, L'opera d i C. G., Milano 1932; R. BACCHELLI, Confessioni letterarie, Milano 1932; E. RHO, La missione teatrale di C. G . , Bari 1936; E. GIMMELLI, iu poesia d i G . , Pisa 1941; A. K. GIVELEGOV, C. G . e le sue commedie, in u Rassegna sovietica D, settembre 1953; M. DAZZI, C. G. e la sua poetica sociale, Torino 1957; M. BARATTO, Mondo e Teatro nella poetica del G., Vene- zia 1957; F. FIDO, Per una lettura storica delle commedie goldoniane, in << Belfagor D, novembre 1957; G. FOLENA, Il linguaggio del G.: dal- l'improvviso al concertato, in << Paragone », ottobre 1957 (dello stesso L'esperienza linguistica del G. , in << Lettere Italiane D, 1958; L. FERRAN- TE, La questione goldoniana, in << Società », 1959; Studi goldoniani, a cura di V. BRANCA e N. MANGINI, Venezia-Roma 1960; E. CACCIA, Ca- rattere e caratteri nella commedia del G . , Venezia 1959; G. PETRONIO, Dall'Illuminismo al Verismo. Saggi e proposte, Palermo 1962; W . BINNI, in Storia della lett. italiana, ed. Garzanti, Milano 1968 (dello stesso Classicismo e Neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze 1963); I. MATTOZZI, C. G . e la professione di scrittore, in «Studi e problemi di critica testuale », 11 (1972), pp. 95-153; AA. VV., Atti del colloquio sul tema: G . in Francia, Roma, Accad. Naz. dei Lincei, 1972.

CAPITOLO SESTO

G I u s E P P E P A R I N I - O p e r e : Prose, a cura di E. BELLORINI, Bari 1913-15; Poesie, a cura dello stesso, Bari 1929; I1 Giorno, ed. cri- tica a cura di D. ISELLA, Milano-Napoli 1969; Odi, ed. critica a cura dello stesso, Milano-Napoli 1973.

B i b l i o g r a f i a e s t o r i a d e l l a c r i t i c a : G. PETRONIO, P., Palermo 1957; L. CARETTI, P. e la critica, Firenze 1953 (Za ed. ampl., ibid. 1970).

S t u d i C r i t i C i : G. CARDUCCI, P. minore e P. maggiore, in Ediz. Naz.; B. CROCE, Poesia e non poesia, Bari 1923; E. BERTANA, Saggi pa- riniani, L'Aquila 1926; F. DE SANCTIS, Saggi critici, a cura di L. Rus- so, Bari 1952; R. SPONGANO, iu poetica del sensismo e la poesia del P,, Messina-Milano 1934 (dello stesso I l primo P., Bologna 1963); G. CITANNA, I1 Romanticismo e la poesia italiana, Bari 1935; A. MOMI- GLIANO, Studi di poesia, Firenze 1938; M. CILENTO, L'Arcadia in Parini, Messina-Milano 1938; G. DE ROBERTIS, Saggi, Firenze 1939; A. CHIARI, Sulle Odi d i G. P,, Milano 1943; M. FUBINI, Arcadia e Illuminismo, in Questioni e correnti di st. lett., Milano 1949; D. PETRINI, La poesia e l'drte di G. P,, ora in Dal Barocco al Decadentismo, Firenze 1957, vol. I ; W. BINNI, Preromanticismo italiano, Napoli 1948 (dello stesso Classicismo e Neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze 1963); G. PETRONIO, P. e l'Illuminismo lombardo, Milano 1961; L. CA-

Page 367: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Bibliografia 171

RETTI, Filologia e critica, Milano-Napoli 1965; C. COLICCHI, Il Dialogo della nobiltà e la polemica sociale di G . P,, Firenze 1965; G. GETTO, Immagini e problemi di letteratura italiana, Milano 1966; L. POMA, Stile e società nella formazione del P,, Pisa 1967; D. ISELLA, L'officina della Notte e altri studi pariniani, Milano-Napoli 1968; R. AMATURO, Congetture sulla Notte del P., Torino 1968; N . JONARD, GuerGe et paix dans l'oeuvre de P. à la lumière des relations internationales au XVIII siècle, in Rivista di lett. mod. e comparate », XXII (1969); M. FUBINI, Saggi e ricordi, Milano-Napoli 1971; F. FERRUCCI, Addio al Parnaso, Milano 1971.

CAPITOLO SETTIMO

V I T T O R I O A L F I E R I - O ~ e r e : Opere, Torino 1903, voll. 11; Opere, a cura di F. MAGGINI, Firenze 1926-33, voll. 3; Edizione Nazio- nale a cura del Centro di Studi Alfieriani, Asti 1951 sgg. (fino ad ora 19 voll.).

B i b l i o g r a f i a : G. BUSTICO, Bibliografia di V . A,, Firenze 1927, 3" ed.; C. C A P P U C C ~ , Lo critica alfieriana, Firenze 1951; ID., ne I Classici italiani nella storia della critica, vol. 11, Firenze 1961; B. MAIER, V . A. Storia della critica, Palermo 1957.

S t u d i C r i t i C i : F. DE SANCTIS, Teoria e storza della letteratura, a cura di B. Croce, Bari 1926; ID., Saggi Critici, a cura di L. Rqsso, Bari 1952; E. BERTANA, V . A. studiato nella uita, nel pensiero e nel- l'arte, Torino 1902; M. PORENA, V . A. e la tragedia, Milano 1904; E. DONADONI, Discorsi letterari, Palermo 1905; N. BUSETTO, La vita e le opere di V . A., Livorno 1914; B. CROCE, Poesia e non poesia, Bari 1923 (dello stesso Lo letteratura italiana del Settecento, Bari 1949, e Discorsi di uaria filosofia, Bari 1945); P. GOBETTI, Lo filosofia politica di V . A,, Pinerolo 1923; U . CALOSSO, L'anarchia di V. A,, Bari 1924; G. GENTILE, L'eredità di V. A,, Venezia 1924; M. APOLLONIO, A., Milano 1930; E. SANTINI, V . A., Messina 1931; G. G. FERRERO, L'anima e la poesia di V . A., Torino 1932; L. SALVATORELLI, Il pen- siero politico italiano dal 1700 al 1870, Torino 1935; M. FUBINI, V . A. Il pensiero - Lo tragedia, Firenze 1937 (dello stesso Ritratto dell'A. e altri studi alfieriani, Firenze 1951); G. DE ROBERTIS, Saggi, Firenze 1939; R. RAMAT, A. tragico lirico, Firenze 1940; L. Russo, Ritratti e disegni storici, Bari 1937; e 2* ed. 1953; W. BINNI, Vita interiore di V . A., Bologna 1942 (dello stesso Preromanticismo ilaliano, Napoli 1947; Critici e poeti dal Cinquecento al Novecento, Firenze 1951; 11 Settecento letterario, nella Storia dell'ed. Garzanti, Milano 1968; Saggi alfieriani, Firenze 1969); U . Bosco, Lirica alfieriana, Asti 1943; V. BRANCA, A. e la ricerca dello stile, Firenze 1948; C. CALCATERRA, Il Barocco in Arcadia e altri studi sul Settecento, Bologna 1950; L. CARETTI, Studi e ricerche di letteratura italiana, Firenze 1951 (dello stesso Filologia e critica, Mi- lano 1955; I1 « fidato » Elia e altre note alfieriane, Padova 1961); G. DI PINO, Linguaggio della tragedia alfieriana e altri studi, Firenze 1952; E. RAIMONDI, Lo giovinezza letteraria dell'A., in u Memorie dell'Acca- demia di Scienze di Bologna », serie IV-V (1952-53); R. SCRIVANO, Lo natura teatrale dell'ispirazione alfieriana, Milano-Messina 1963; A. MO-

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372 La letteratura italiana

MIGLIANO, Introduzione ai poeti, Firenze 1964; V. MASIELLO, L'ideolo- gia tragica d i V . A., Roma 1964; F. F o ~ n , Fra le carte dei poeti, Mi- lano-Napoli 1965; G. SANTARELLI, Studi e ricerche sulla genesi e le fonti delle Commedie alfieriane, Milano 1971; F. FERRUCCI, Addio al Parnaso, cit.; L. CARETTI, Nirove carte alfieriane, in « Belfagor », XXVI (1971), pp. 690-96; R. TRASPADINI, I l punto sulla politicità dellJA., in <( Aevum », XLV (1971), pp. 358-66; F. FIDO, A proposito d i u n mano- scritto dell'America libera, in <( Giorn. stor. d. lett. it. », CXLIX (1972), pp. 469-75.

CAPITOLO OTTAVO

Sul Neoclassicismo vedi: L. BELTRAND, La fin d u classicisme et le retour à I'antique dans la seconde moitié d u X V I I I ? siècle et les premiè- res années d u X I X c en France, Parigi 1897; P. HAZARD, La Révolution Franqaise et les lettres italiennes (1789-1815), Parigi 1910; A. MOMI- GLIANO, Gusto neoclassico e poesia neoclassica, in Cinque saggi, Firenze 1945; G. CITANNA, Il Romanticismo e la poesia italiana dal Parini al Carducci, Bari 1949, 2a ed.; F. ULIVI, Settecento neoclassico, Pisa 1957; M. PRAZ. Gusto neoclassico. Na~oi i 1959. 2a ed.: W. BINNI. Classicismo e neoclas\icismo nella letteratura del ~ e t t & e n t o , Firenze 1963; B. MAIER, Il Neoclassicisrno. Palermo 1964: S. TIMPANARO. Classicismo e illumini- smo nell'Ottocento italiano, Pisa.1965; D. PESCÉ, Apollineo e dionisiaco nella storia del classicismo, Napoli 1968; M. CERRUTI, Neoclassici e gia- cobini, Milano 1969.

Sul purismo, sul C E s A R I e in genere sulla questione della lingua in questo periodo vedi: T. LABANDE-JEANROY, La question de la langue en Italie de Baretti à Manzoni, Parigi 1925; B. MIGLIORINI, La questione della lingua, in Questioni e correnti d i storia letteraria, Milano 1949, pp. 1-75 (dello stesso Storia della lingua italiana, Firenze 1960); M. VI- TALE, La questione della lingua, Palermo 1967, 48 ediz.; S. DE STEFANIS CICCONE, La questione della lingua nei periodici letterari del primo '800, Firenze 1971.

V I N C E N z O M O N T I - O p e r e : Opere, a cura di G. A. MAGGI, Mi- lano 1839-42, voll. 6; Prose e poesie, a cura di G. CARCANO, Firenze 1857; Opere i n versi, a cura di G. CARDUCCI, Firenze 1858-69; Episto- lario, a cura di A. BERTOLDI, Firenze 1928-31, voll. 6.

B i b l i o g r a f i a : G. BUSTICO, Bibliografia d i V. M., Firenze 1924; L. FONTANA, V. M., ne I Classici italiani nella storia della critica, 11, Firenze 1962, 2a ed.

S t u d i C r i t i C i : C. CANTU, M . e l'età che fu sua, Milano 1879; L. VICCHI, V. M . Le lettere e la politica i n Italia dal 1750 al 1830, Faenza- Fusignano-Roma 1879-87, voll. 4; B. ZUMBINI, Sulle poesie d i V . M. , Firenze 1894; C. STEINER, La vita e le opere d i V . M., Livorno 1915; I . SANESI, L'insegnamento universitario del M . e del Foscolo, Pavia 1925; E. BEVILACQUA, V. M., Firenze 1928; A. POMPEATI, V. M., Bologna 1928; L. FONTANA, V. M . prosatore e retore, Milano 1943 (dello stesso V. M .

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verseggiatore e poeta, ibid. 1947); G. DE ROBERTIS, Studi, Firenze 1944; A. MOMIGLIANO, Cinque saggi, Firenze 1945; B. CROCE, Poesia e non poesia, Bari 1946, 4' ed.; L. RUSSO, Ritratti e disegni storici, serie I , Bari 1953; D. PETRINI, Dal Barocco al Decadentismo. Studi d i letteratura italiana, raccolti da V. SANTOLI, Firenze 1957; M. VALGIMIGLI, Del tra- durre e altre cose, Milano-Napoli 1957; C. ANGELINI, Carriera poetica di V . M., Milano 1960; C. MUSCETTA, Ritratti e letture, Milano 1961; C. COLICCHI, Il « Saggio d i poesie D del 1779 e la prrma poetica montiano, Firenze 1961; D. CHIOMENTI VASSALLI, V . M. nel dramma dei suoi tempi, Milano 1968; G. BARBARISI, V . M. e la cultura neoclassica, nella Storia garzantiana, Milano 1969.

Su I P P O L I T O P I N D E M O N T E : Poesie originali, a cura di A. TORRI, Firenze 1865, 2a ed.; S. PERI, I . P. Studi e ricerche, Rocca San Casciano 1905; M. SCHERILLO, I . P. e la poesia bardita, Messina 1920; G. MAZZONI, Abati soldati autori attori del Settecento, Bologna 1925; O. BASSI, Fra classicismo e romanticismo, I . P., Milano 1934; W . BINNI, Preromanticismo italiano, cit.; G. Bosco GUILLET, Il P. attraverso il carteggio di Verona, Torino 1955; N. F. CIMMINO, I . P. e il SUO tempo, Roma 1968, voll. 2.

Su G I O V A N N I P I N D E M O N T E : Poesie e lettere, a cura di G . BIADEGO, Bologna 1883; G. MAZZONI, Abati soldati, cit.; M. PETRUCCIANI. G. P. nella crisi della tragedia, Firenze 1966.

Sul G I O R D A N I : Opere, a cura di A. GUSSALLI, Milano 1854-63, voll. 14; S. FERMI, Saggi giordaniani, Piacenza 1915; G . G. FERRERO, Prosa illustre dell'Ottocento, I , Torino 1939; G. FERRETTI, P. G. sino ai quarant'anni, Roma 1952; M. FUBINI, G., Madame de Stael, Leopardi, in Romanticismo italiano, Bari 1953; S. TIMPANARO, Classicismo e illu- minismo nella letteratura italiana dellJOttocento, Pisa 1965.

Sul C u O C O : Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, a cura di F. NICOLINI, Bari 1913; Platone in Italia, a cura dello stesso, ibid. 191&24; F. BATTAGLIA, L'opera d i V . G. e la /ormozione dello spi- rito nazionale in Italia, Firenze 1925; G. DE RUGGIERO, Il pensiero poli- tico meridionale nei sec. X V I I I e X I X , Bari 1946, 2a ed.; G . GENTILE, V . C , , studi e appunti, Firenze 1946, ed.; L. Russo, Tramonto del letterato, Bari 1960; F. TESSITORE, LO storicismo giuridico-politico di V . C, , Torino 1962.

Sul C O L L E T T A : Storia del reame di Napolr dal 1734 al 1825, a cura di N. CORTESE, Napoli 1953-57, voll. 3; N. CORTESE, Saggio di bibliografia collettiana, Bari 1917 (dello stesso La vita di P. C , , Roma 1921, e P. C. e la sua storia, 1,'Aquila 1924); G. G. FERRERO, Prosa illustre, cit.; A. NATTA, Il moderatismo di P. C, , in Belfagor », I11 (1948), pp. 300-14.

Sul B O T T A : Storia della guerra d'indipendenza degli Stati Uniti d'America, Firenze 1856; Storia d'Italia, Parigi 1832; C. DIONISOTTI, Vita di C. B., Torino 1867; P. PAVESIO, C. B. e le sue opere storiche, Firenze 1874; B. CROCE, Storia della storiografia ttaliana nel sec. X I X ,

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37* La letteratura italiana

Bari 1921; W. MATURI, Interpretazione del Risorgimento, Torino 1962; vol. misc. Nel secondo centenario della nascita di C. B., Torino 1966; G. GETTO, Immagini e problemi di letteratura italiana, Milano 1966; G. TALAMO, in Diz. biogr. degli Italiani, vol. XIII, Roma 1971, pp. 363-71.

CAPITOLO NONO

u G o F O s C O L O - O p e r e : Opere, a cura di F. S. ORLANDINI e E. MAYER, Firenze 1850-62, voll. 11; Edizione Nazionale, Firenze 1933 sgg. (sono stati pubblicati sinora 10 voii. e 7 dell'Epistolario).

B i b l i o g r a f i a : A. OTTOLINI, Bibliografia foscoliana, Firenze 1921; R. FRATTAROLO, Studi foscoliani. Bibliograjia della critica (1921-1952), Firenze 1954-56; G. MARZOT, U. F., nei Maggiori, 11, Milano 1956; W. BINNI, F. e la critica, Storia e antologia, Firenze 1966, 3a ed.; M. MAR- TELLI, U. F., Firenze 1970.

S t u d i C r i t i C i : F. DE SANCTIS, Saggi critici, a cura di L. Russo, Bari 1952; A. GRAF, F., Manzoni, Leopardi, Torino 1898; G. CHIARINI, La vita di U. F., nuova ed. a cura di G. Mazzoni, Firenze 1927; B. Zu- MINI, Studi di letteratura italiana, Firenze 1894 (dello stesso Studi di letteratura comparata, Bologna 1931); E. DONADONI, U. F. pensatore, cri- tico, poeta, Firenze 1910, 3a ed. 1964; G. MANACORDA, Studi foscoliani, Bari 1921; B. CROCE, Poesia e non poesia, Bari 1921; C. ANTONA-TRA- VERSI e A. OTTOLINI, U. F., Milano 1927-28; G. CITANNA, h poesia di U. F. , 3" ed., Bari 1947; M. FUBINI, U. F., Torino 1928, 3& ed., Firenze 1962 (dello stesso F. minore, Roma 1949; Ortis e Didimo, Milano 1963); M. MARCAZZAN, Didimo Chierico e altri saggi, Milano 1930; E. BOTTASSO, F. e Rousseau, Torino 1941; M. STERPA, Le Grazie di U. F., Catania 1930; G. DE ROBERTIS, Saggi, Firenze 1939; A. MOMIGLIANO, Introdu- zione ai poeti, ed. Firenze 1964 (dello stesso vedi anche in Studi di poesia, Bari 1933, e in Cinque saggi, Firenze 1945); L. Russo, Ritratti e disegni storici, I , Bari 1948 (dello stesso Problem~ di metodo critico, Bari 1950); A. CHIARI, Indagini e letture, Città di Castello 1946; C. F. GOFFIS, Studi foscoliani, Firenze 1942, e Nuovi studz foscoliani, Firenze 1958; R. RAMAT, Itinerario ritmico foscoliano, Città di Castello 1946; C. VARESE, Linguaggio sterniano e linguaggio foscoliano, Firenze 1947; C. GRABHER, Interpretazioni foscoliane, Firenze 1948; M. LUZI, L'In- ferno e il Limbo, Firenze 1949; L. CARETTI, Studi e ricerche di lettera- tura italiana, Firenze 1951 (dello stesso il cap. F. nelia Storia garzantiana, Milano 1969); D. BWLFERETTI, U. F., Torino 1952; P. BIGONGIARI, Il senso della lirica italiana e altri studi, Firenze 1952; G. NATALI, U. F., Firenze 1953; A. NOFERI, I tempi della critica foscoliana, Firenze 1953; N. FE- STA, F. critico, Firenze 1953; A. PAGLIARO, Nuovi saggi di critica seman- tica, Firenze-Messina 1956; A. VALLONE, Linea della poesia foscoliana, Firenze 1957; A. RUSSI, Poesia e realtà, Firenze 1962; A. FRATTINI, Il neoclassicismo e U. F . , Bologna 1965; W. BINNI, Vita e poesia del F. nel periodo fiorentino e L'Aiace del F., in Carducci e altri saggi, Torino 1967, 2& ed.; M. SCOTTI, Il De Sepulcris Hebraeorum di J. Nicolai e i Sepolcri del F., in « Giorn. stor. d. lett. ital. », CXLI (1964), pp. 492- 547 (ora in F. fra erudizione e poesia, Roma 1973); G. LUTI, F., Milano

Page 371: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Bihliografia 375

1967; S. TIMPANARO, U. F. traduttore e interprete di Omero, in Maia », XX (1968), pp. 7477; M. MARTELLI, La parte del Sassoli, in « Studi di filologia ital. N, XXVIII (1970), pp. 177-251; G. PAPARELLI, Storia della lirica foscoliana, Napoli 1971; S. ORLANDO, Note sulla elaborazione for- male delle Grazie, in « Giorn. stor. d. lett. ital. » LXXXVIII (1971), PP. 14-28; S. TIMPANARO, Ancora sul F. filologo, in « Giorn. stor. d. lett. italiana », CXLVIII (1971), pp. 51944.

CAPITOLO DECIMO

Opere del periodo romantico: Discussioni e polemiche sul Roman- ticismo, a cura di E. BELLORINI, Bari 1943, voll. 2; I manifesti roman- tici, a cura di C. CALCATERRA, Torino 1951; I1 Conciliatore, a cura di V. BRANCA, Firenze 1948-54, voll. 3; F. ALLEVI, Testi di poetica romantica f 1803-1826), Milano 1960.

Per la storia deila critica: G. PETRONIO, Il Romanticismo, Palermo 1963.

Studi critici sul Romanticismo: F. DE SANCTIS, La letteratura ita- liana nel sec. X I X , Bari 1953; M. VINCIGUERRA, Il Romanticismo, Bari 1921; C. DE LOLLIS, Saggi sulla forma poetica italiana dell'Ottocento, Bari 1929; E. LI GOTTI, G . Berchet. La letteratura e la politica del Ri- sorgimento nazionale, Firenze 1939; P. VAN TIEGHEM, Le Romantisme dans la littérature européenne, Parigi 1969, 2a ed.; A. GALLETTI, Le ori- gini del Romanticismo italiano e l'opera di A. Manzoni, Milano 1942; G. A. BORCESE, Storia della critica romantica in Italia, Milano 1949, 3a ed.; G. CITANNA, Il Romanticismo e la poesia italiana dal Parini al Car- ducci, Bari 1949, 2a ed.; D. PETRINI, Dal Barocco al Decandentismo, Firenze 1957, vol. 11; W. BINNI, La battaglia romanfica, in Critici e poeti dal Cinquecento al Novecento, Firenze 1951; G. AVITABILE, The contro- versy of Romanticism in Italy, New York 1959; R. WELLEK, The Con- cept of Romanticism in Literaray Histor~, in Concepts of Criticism, New Haven e Londra, 1964; U. BOSCO, Realismo romantrco, Caltanissetta-Ro- ma 1959; M. APOLLONIO, Fondazioni della cultura italiana moderna, Fi- renze 1948-52; M..FUBINI, Romanticismo italiano, Bari 1953 (3& ed., ibid. 1971); M. PUPPO, Poetica e cultura del Romanticismo, Roma 1962 (dello stesso vedi Il Romanticismo, Roma 1967 e Studi sul Romanticismo, Firen- ze 1969); S. TIMPANARO, Classicismo e illuminismo, cit.; Il Romanticismo, Atti del VI Congresso dell'Associaz. Intern. per gli studi di lingua e let- teratura italiana, Budapest 1968; G. MACCHIA, I fantasmi dell'opera. Idea e forme del mito romantico, Milano 1971; H. PEYRE, Qu'est-ce le Romantisme?, Parigi 1971; G. PETROCCHI, Il Conciliatore e le arti, in La Cultura », X (1972), pp. 236-47.

Sul D I B R E M E vedi poi, in particolare: G . MUONI, L. di B. e le prime polemiche intorno a Mad.me de Stael ed al romanticismo in Ita- lia, Milano 1902; C. PELLEGRINI, Tradizione e cultura europea, Messina 1947; W . KROMER, L. di B. der erste Theoretiker der Romantik in Ita- lien, Ginevra 1961; P. CAMPORESI, introduz. alle Lettere del DI B., To- rino 1966; M. APOLLONIO, Il gruppo del Conciliatore e la cultura ita- liana dell'Ottocento, Milano 1969; G. PETROCCHI, Di Breme e la questio- ne della lingua, in Lettere italiane », XXIV (1972), pp. 331-40.

Page 372: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

376 . La letteratura italiana

Sul B O R s I E R I vedi in particolare: T. GIRARDELLI, P. B. patriota e letterato, Como 1934; M. SCOTTI, in Dizion. biograf. degli Ital., XIII, pp. 125-29.

Sul P E L L I C O e sul B E R C H E T vedi la Bibl. del Cap. tredicesimo.

Sul V I s C O N T I in particolare: T. BENEDETTO, E. V. e Stendhal, Arezzo 1921; P. P. TROMPEO, Nell'ltalia romantica sulle orme di Sten- dhal, Roma 1924; M. BARAVELLI, La vita e il pensrero di E. V , , Firenze 1943; V. PALADINO, La revisione del romanzo manzoniano e le postille del V , , Firenze 1964 (dello stesso E. V. Società e letteratura, Chiara- valle 1973); N. FESTINO, L'ofierazione culturale di E. V,, Napoli 1972.

Ancora sul C o n c i l i a t o r e , oltre alle fondamentali introduzioni del CALCATERRA e del BRANCA, E. LI GOTTI, Saggr, Firenze 1941; A. VALLONE, Dal Caffè al Conc!liatore, Lucca 1953; D. PETRINI, Dal Barocco al Decadentismo, 11, Fir'enze 1957, G. PETROCCHI, Confalonieri e i rac- conti del Conciliatore, in t! Italianistica », I (1972), pp. 235-44.

CAPITOLO UNDICESIMO

A L E S S A N D R O M A N Z O N I - O p e r e : Opere, a cura di M. BARBI e F. GHISALBERTI, Milano 1942-50, voii. 3; Edizione Nazionale, Firenze 1954 sgg. (finora usciti i primi 3 voll.); Tutte le Opere, a cura di A. CHIARI e F. GHISALBERTI, Milano 1954 sgg. (finora usciti i primi 5 voli.).

B i b l i o g r a f i a e s t o r i a d e l l a c r i t i c a : A. VISMARA, Biblro- grafia manzoniana, Miiano 1875; M. PARENTI; Bibliografia manzoniana, Firenze 1936 (dello stesso Rarità bibliografiche dell'Ottocento, Bergamo 1944); E. SANTINI, Storia della critica manzoniana, Lucca 1951; M. SAN- SONE, M., ne I Classici italiani nella storia della critica, cit., vol. 11; M. GORRA, M., Palermo 1959; L. CARETTI, M. e la critica, Bari 1969; G. BARBERI SQUAROTTI - M. GUGLIELMINETTI, M. - Testimonianze di critica e di polemica, Messina-Firenze 1973.

S t u d i C r i t i C i : F. DE SANCTIS, La letteratura italiana nel sec. XIX, cit.; A. GRAF, Foscolo, M., Leopardi, Torino 1898; P . PETROCCHI, La prima giovinezza di A. M., Firenze 1898; F. TORRACA, Scritti critici, Napoli 1907; R. RENIER, Svaghi critici, Bari 1910; A. PELLIZZARI, Studi manzoniani, Napoli 1914; A. MOMIGLIANO, A. M., Messina 1915-19, 5" ed. 1958; N. BOSETTO, La composizione della Pentecoste, Milano- Roma-Napoli 1920 (dello stesso Lo genesi e la formazione dei P. S., Bologna 1921); E. DONADONI, Scritti e discorsi letterari, Firenze 1921; C. DE LOLLIS, A. M. e gli storici francesi della Restaurazione, Bari 1926; A. GALLETTI, A. M. Il pensatore e il poeta, Milano 1927; F. D'OVIDIO, Studi manzoniani, Caserta 1928, e Nuovi studi manzoniani, ibid.; 0. PRE- MOLI, Vita di A. M., Milano 1928, 2" ed.; L. TONELLI, M., Milano 1928; G. GENTILE, M. e Leopardi, Milano 1929; B. CROCE, A. M., Bari 1930; P. P. TROMPEO, Rilegature gianseniste, MilaneRoma 1930; F. RUFFINI, La vita religiosa di A. M., Bari 1931; A. BTTOLI, Umili e potenti nella poetica di A. M., MilaneRoma 1930 (dello stesso Il sistema di don

Page 373: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Bibliografia 377

Abbondio, Bari 1933); A. OMODEO, La religione del M , in Figure e passioni del Risorgimento italiano, Palermo 1932; P. FOSSI, La conver- sione di A. M., Bari 1933 (dello stesso La Lucia del M. e altre note critiche, Firenze 1937); E. GABBUTI, Il M. e gli ideologi francesi, Firenze 1936; F. NICOLINI, Peste e untori nei P. S., Bari 1937 (deilo stesso Arte e storia nei P. S., Milano 1939); M. SANSONE, Saggio sulla storio- grafia manzoniana, Napoli 1938 (deilo stesso L'opera poetica d i A. M., MilaneMessina 1947); G. CITANNA, Il Romanticismo e la poesia italiana dal Parini al Carducci, cit.; I . F. DE SIMONE, A. M. Esthetics and Lite- rary Criticism, New Yori 1946; G. PETRONIO, Formazione e storia della lirica manzoniana, Firenze 1947; G. RAGONESE, L'eredità illuministica in A. M., MilaneRoma 1948; U. CALOSSO, Colloqui col M., Bari 1948; G. DE ROBERTIS, Primi studi manzoniani e altre cose, Firenze 1949 (dello stesso Studi I l , Firenze 1971); F. ULIVI, Il M. lirrco, Roma 1950 (dello stesso Dal Manzoni ai decadenti, Caltanissetta-Roma 1964, e Figure e pro- tagonisti dei P. S., Torino 1967); R. MONTANO, M. e del lieto fine, Na- poli 1951; A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, firino 1952, pp. 72-78; F. PIEMONTESE, Studi sul M. e altri saggi, Milano 1952; L. Russo, I personaggi dei P. S., Bari 1952 (dello stesso Ritratti e disegni storici, serie 11, Bari 1952); R. FASANI, Saggio sui P. S. , Firenze 1952; A. Ac- CAME BOBBIO, Il cristianesimo manzoniano tra storia e poesia, Roma 1954 (della stessa La crisi manzoniam del 1817, Firenze 1960; Storia del- llAdelcti, Firenze 1963; La formazione del linguaggio lirico manzoniano, Roma 1963); G. MARGIOTTA, Dalla prima alla seconda stesura dell'Ade1- chi, Firenze 1956; R. AMERIO, A. M. filosofo e teologo, Torino 1958; G. PETROCCHI, La tecnica manzoniana del dialogo, Firenze 1959 (dello stesso M. Letteratura e vita, Milano 1971); R. BACCHELLI, Leopardi e M., Milano 1960; J . GOUDET, Catholicisme et poésie dans le roman de M., Lione 1961; N. SAPEGNO, Ritratto d i M. e altri saggi, Bari 1961; A. CHIAVACCI, Il parlato nei P. S., Firenze 1961; E. DE MICHELIS, Studi sul M., Pisa 1962; G. GETTO, Letture manzoniane, Firenze 1964 (dello stesso M. europeo, Milano 1971); C. VARESE, Fermo e Lucia: un'esperienza manzoniana interrotta, Firenze 1964; C. F. GOFFIS, La lirica d i A. M., Firenze 1964; G. BARBERI SQUAROTTI, Teoria e prove dello stile del M., Milano 1965; A. LEONE DE CASTRIS, L'impegno del M., Firenze 1965; G. LONARDI, L'esperienza stilistica del M. tragico, Firenze 1965; R. SPONGANO, Le prime interpretazioni dei P. S., Bologna 1967; A. CHIARI, Rileggendo M., Roma 1967; A. MAZZA, Studi sulle redazioni dei P. S., Milano 1968; D. VALLI, Romagnosi e M. tra realtà e storia, Lecce 1968; C. ANGELIUI, Capitoli sul M. vecchi e nuovi, Milano 1969 (dello stesso M., Torino 1942); T. GALLARATI SCOTTI, La giovrnezza del M., Milano 1969; E. N. GIRARDI, Sulla struttura dei P. S., Milano 1971; L. CARETTI, M. Ideologia e stile, Torino 1972; E. PARATORE, Studi sui P. S., Firenze 1972; R. NEGRI, Il romanzo-inchiesta del M., in 4 Italianistica P, I (19721, pp. 14-42; G. P. BOGNETTI, M. giovane, Napoli 1972; A. C. JEMOU), Il dramma di M., Firenze 1973; AA. VV., M. dopo un secolo, in (( Ita- lianistica P, I1 (1973), pp. 1-231.

CAPITOLO DODICESIMO

G I A C O M O L E O P A R D I - O p e r e : Opere, a cura di F. FLORA, Mi- lano 1938-49, .voli. 5; Canti, Operette morali, Opere minori approvate,

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378 La letteratura italiana

ed. critica a cura di F. MORONCINI, Bologna 1927-31; Epistolario, a cura dello stesso, Firenze 1934-41; Tutti gli scritti inediti, rari e editi 1809- 1810, a cura di M. CORTI, Milano 1972.

B i b l i o g r a f i a e s t o r i a d e l l a c r i t i c a : G. MAZZATINTI, M. MENGHINI, G. NATALI, C. MUSUMARRA, Bibliografia leopardiana, Firenze 1931-53, voll. 3; A. TORTORETO, Bibliografia analitrca leopardiana (1952- 1960), Firenze 1963; E. BIGI, G . L,, ne I Classici italiani nella storia della critica, cit., vol. 11; C. F. GOFFIS, L., Palermo 1962.

S t u d i C r i t i C i : F. DE SANCTIS, Saggi critici, a cura di L. Russo, Bari 1952; G. CARDUCCI, Ediz. naz., vol. XX; F. MORONCINI, Studio sul L. filologo, Napoli 1891; A. GRAP, Foscolo, Mamoni, L,, Torino 1898; B: ZUMBINI, Studi SU G . L,, Firenze 1902-04, voll. 2; G. A. CESAREO, La vita di G . L., Palermo 1902; R. GIANI, L'estetica trei pensieri di G . L., Torino 1904; G. CHIARINI, Vita di G . L., Firenze 1905; G. A. LEVI, Storia del pensiero di G . L., Torino 1911; P. HAZARD, G . L,, Parigi 1913; M. PORENA, Il pessimismo di G. L,, Genova 1923; C. VOSSLER, L,, MO- naco di B. 1923, traduz. ital. Napoli 1925; A. ZOTTOLI, L. storia di un'anima, Bari 1927; A. SORRENTINO, Cultura e poesia di.G. L,, Città di Castello 1929; G. FERRETTI, L. Studi biografici, L'Aquila 1929 (poi Vita di G . L., Bologna 1940); G. GENTILE, Manzoni e L,, Milano 1929; C. DE LOLLIS, Saggi sulla forma poetica italiana, cit.; R. B E ~ L A , La lirica leopardiana dell'lnfinito, Napoli 1930; R. BACCHELLI, Confessioni lette- rarie, Milano 1932 (poi L. e Manzoni, cit.); M. FUBINI, L'estetica e la

-critica letteraria nei Pensieri di G . L., in << Giorn. stor. d. lett. ital. », XCVII (1930) (dello stesso l'introduz. alle Operette morali, Firenze 1933, e nel volume miscellaneo L. e l'ottocento, Firenze 1970); G. REICHENBACH, Studi sulle Operette morali di G . L,, Firenze 1934; L. G ~ u s s o , L. e le sue ideologie, Firenze 1935; L. MALAGOLI, Il primo L,, Adria 1935 (dello stesso Il grande L,, Firenze 1937); P. BIGONGIARI, L'ela- borazione della lirica leopardiana, Firenze 1936; G. DE ROBERTIS, Sag- gio sul Leopardi, Milano 1937, 4a ed. Firenze 1960; L. TONELLI, G . L., Milano 1937; F. FIGURELLI, L. poeta dell'idillio, Bari 1941 (dello stesso nel vol. miscell. L. e L'Ottocento, cit., e La prima formazione del L,, Napoli 1961); B. CROCE, Poesia antica e moderna, Bari 1943 (dello stesso Poesia e non poesia, Bari 1946, 48 ed.); M. MARTI, La formazione del primo L,, Firenze 1944; A. MOMIGLIANO, Cinque saggi, Firenze 1945 (dello stesso Introduzione ai poeti, Firenze 1964, 2a ed.); C. LUPORINI, L. progressivo, in Filosofi antichi e moderni, Firenze 1947; W . BINNI, La nuova poetica leopardiana, Firenze 1947 (dello stesso Tre liriche leopardiane, Lucca 1950; L. e la poesia del secondo Settecento, nel vol. miscell. L. e il Settecento, Firenze 1964); A. BORLENGHI, Saggio sul L,, Firenze 1947; F. FLORA, L. e la letteratura francese, Milano 1948; G. TOFFANIN, Prolegomeni alla lettura del L., Napoii 1952; R. AMERIO, L'ultrafilosofia di G . L,, Torino 1953; L. RUSSO, Ritratti e disegni sto- rici, cit.; E. BIGI, Dal Petrarca al L. Studi di stilistica storica, Milano- Napoli 1954 (dello stesso La genesi del Canto notturno e altri studi sarl L,, Palermo 1967); S. TIMPANARO, La filologia di G . L,, Firenze 1955 (dello stesso Classicismo e illuminismo nell'ottocento italiano, Pisa 1965); U . BOSCO, Titanismo e pietà di G. L,, Firenze 1957; A. FRATTINI, Cultura e pensiero in L., Roma 1958 (dello stesso G. L,, Bologna 1969); C. GALIMBERTI, Linguaggio del vero in L,, Firenze 1959; C. MUSCETTA,

Page 375: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Ribliografia 379

L'ultimo canto di Safio, in << Rassegna della lett. ital. P, 1959; R. WIS, G. L. Studio biografico, Helsinki 1960; B. BIRAL, La posizione storica di G. L,, Venezia 1962; G. SINGH, L. and the Theory of Poetry, Univ. of Kentucky 1964 (dello stesso L. e l'lnghilterra, Firenze 1969); C. Bo, L'eredità di L. e altri saggi, Firenze 1964; S. BATTAGLIA, La dottrina linguistica del L., nel cit. volume misc. L. e il Settecento; M. SANSONE, L. e la filosofiu del Settecento, ibid.; G . GETTO, Saggi leopardiani, Fi- renze 1966; D. CONSOLI, Cultura, coscienza letteraria e poesia in G. L,, Firenze 1966; A. MONTEVERDI, Frammenti critici leopardiani, Napoli 1967; G. SAVARESE, Saggio sui Paralipomeni di G. L., Firenze 1967; G. LONARDI, Classi~ism~ e utopia nella lirica leopardiana, Firenze 1968; S. SOLMI, Scritti leopardiani, Milano 1969; R. NEGRI, L. nella poesia italiana, Firenze 1970; G. LONARDI, Leopardirmo tra ideologia, mito e linguaggio, in cr Studi novecenteschi », I (1972), pp. 1-62; W. BINNI, La protesta di L,, Firenze 1973; A. DOLFI, L. tra negazione e utopia, Pa- dova 1973; G. MANACORDA, Materialismo e masochismo. Il Werther », Fosco10 e L,, Firenze 1973.

CAPITOLO TREDICESIMO

Per una storia della lirica romantica vedi F. GIANNESSI, Civiltà e letteratura nell'ltalia dell'llluminismo e det Romanticismo, e M. MAR- CAZZAN, Dal Romanticismo al Decadentismo, in Letteratura italiana, Le Correnti, Milano, Marzorati, 1956; V. SPINAZZOLA, nella Storia garzan- tiana, Milano 1969.

Per il T O M M A s E O : vedi l'ampia raccolta di testi in Opere,' a cura di M. PUPPO, Firenze 1968, voll. 2. Gli studi critici principali: B. CROCE, Letteratura della nuova Italia, I , Bari 1914; C. DE LOLLIS, Saggi sulla forma poetica, cit.; G. CONTINI, Esercizi di lettura, Firenze 1939; A. DURO, Linguistica e poetica di T., Pisa 1942; R. CIAMPINI, Studi e ricerche su N. T., Roma 1944; M. PUPPO, T., Brescia 1950; M. FUBINI, Romanticismo italiano, cit.; A. BORLENGHI, L'arte di N. l'., Milano 1953; M. MARCAZZAN, Nostro Ottocento, Brescia 1955; E. CAC- CIA, T. critico di Dante, Firenze 1955; C. MUSCETTA, Ritratti e letture, Milano 1961 (e il cap. nella Storia di Gananti).

Per il B E R C H E T : Poesie, a cura di E. BELLORINI, Bari 1911, e Prose, a cura dello stesso, Bari 1912. E. CECCHI, Studi critici, Ancona 1912; B. CROCE, Poesia e non poesiu, Bari 1923 (dello stesso in Con- versazioni critiche, Bari 1924); E. LI G o ~ n , G. B. La letteratura e ia politica del Risorgimento nazionale, Firenze 1933; A. MOMIGLIANO, In- troduzione ai poeti, Roma 1946; Studi sul B. pubblicati per il primo centenario della morte, Milano 1951; M. MARCAZZAN, Nostro Ottocento, cit.; C. CAPPUCCIO, G. B., in Letteratura italiana, I minori, 111, Milano 1961; M. FUBINI, Romanticismo italiano, cit.

Per il P O E R I O : Poesie, a cura di N. GOPPOLA, Bari 1970. B. CRS CE, Una famiglia di patrioti, Bari 1918; F. ULIVI, Spiritualità e poesia del P,, in Humanitas », X (1946); G. PETROCCHI, Fede e poesia del-

Page 376: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

380 La letteratura italiana

l'Ottocento, Padova 1948; C. MUSCETTA, Letteratura militante, Firenze 1953; S. PASQUAZI, Leopardi, P., Zanella, Roma 1958; M. FUBINI, Ro- manticismo italiano. cit.

Per il P E L L I C O : Opera omnia, Torino 1868; Lettere milanesi 1815-1821, a cura di M. SCOTTI, Torino 1863. A. ROMANÒ, S. P, , Bre- scia 1949; R. MASSANO, S. P. compilatore responsabile del Conciliatore, in (( Studi Piemontesi », I (1972), pp. 3-31.

Per lo S C A L V I N I : Scritti, a cura di N. TOMMASEO, Firenze 1860; 11 fuoruscito, a cura di R. VAN NUFFEL, Bologna 1961. M. MARCAZ- ZAN, Nostro Ottocento, cit.; A. BORLENGHI, Fra Ottocento e Novecento, Pisa 1955; R. ZANASI, G. S. e il Romanticismo europeo, in Giorn. stor. d. lett. ital. », LXXIX (1962).

Per il P O R T A : Poesie, a cura di D. ISELLA, Firenze 1955-56. A. MOMIGLIANO, L'opera di C. P,, Città di Castello 1909 (dello stesso In- troduzione ai poeti, Roma 1946); E. G. PARODI, Poetr antichi e moderni, Firenze 1923; N. SAPEGNO, Ritratto di Manzoni e altri saggi, Bari 1961; H . AUREAS, C. P., Parigi 1959; C. SEGRE, Lingua stile e società, Milano 1963; D. ISELLA, C. P., nella Storia garzantiana (dello stesso vari con- tributi, tra i quali Note portiane, in « Paragone », 72 [1955], pp. 3 sgg.); F. PORTINARI, Strumenti del realismo portiano, Torino 1971; G. BEZZOLA,

Le charmant Carline », Milano 1973.

Per il B E L L I : I sonetti, a cura di G. VIGOLO, Milano 1952, voli. 2 (glossario e indici a cura di M. MAZZOCCHI ALEMANNI); Poesie in lin- gua, a cura di G. ORIOLI, Caltanissetta-Roma 1970. Miscellanea G. G. B. Roma 1942 (ivi un ampio saggio del cit. MAZZOCCHI ALEMANNI); A. MOMIGLIANO, Introduzione ai poeti, cit.; L. SILORI, Studi sulla poesia del B., Roma 1947; G. ORIOLI, G. G. B., in Letteratura italiana, I mi- nori, 111, Milano 1961; C. MUSCETTA, Cultura e poesia di G. G. B., Milano 1961 (dello stesso il cap. belliano nella Storia garzantiana); F. FELCINI, G. G. B. sulla linea del realismo romantico, in N Studium », sett. 1962, pp. 3-23; G. VIGOLO, Il genio di G. G. B., Milano 1963; G. P, SAMONÀ, G. G. B. La commedia romana e la commedia celeste, Firenze 1969.

Per il G I u s T I : Tutti gli scritti editi e inediti di G. G., Firenze 1924; Epistolario, Firenze 1932 (entrambi a cura di F. MARTINI). E. MASI, I tempi e la satira di G. G., Firenze 1871; T. PARODI, Poesia e lettera- tura, Bari 1916; B. CROCE, Poesia e non poesia, Bari 1923; N. SAPEGNO, Ritratto di Manzoni, cit.; W . BINNI, Critici e poeti, cit.; U . BOSCO, Reali- smo romantico, cit.; P. P. TROMPEO, L'azzurro di Chartres, Caltanissetta- Roma 1958; L. BALDACCI, Letteratura e verità, Milano-Napoli 1963; A. BALDUINO, Letteratura romantica dal Prati al Carducci, Bologna 1967; E. MAZZALI, nei Minori, cit.; L. FELICI, nella Storia di Garzanti, cit.

Per il secondo Romanticismo si veda: U. Bosco, Realismo roman- tico, cit.; A. SCOLARI, I secondi romantici, Ravenna 1921; G. TOFFANIN, La seconda generazione romantica, Napoli 1942; A. BALDUINO, Lettera-

Page 377: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Bibliografia 381

tura romantica, cit.; L. BALDACCI, introduz. ai Poeti minori dell'Ottocento, Milano-Napoli 1958; V. SPINAZZOLA, nella cit. Storia di Garzanti.

Per il P R A T I : Opere varie, Milano 1875, voll. 5; Poesie varie, a cura di O. MALAGODI, Bari 1916, voll. 2. G. GABETTI, G. P,, Milano 1912; B. CROCE, La letteratura della nuova Italia, cit.; C. DE LOLLIS, Saggi, cit.; U. Bosco, Realismo romantico, cit.; A. VALLONE, Modi e testimonianze di cultura e di stile, Palermo 1963 (dello stesso nei Minori, cit.); G. LEONE, L'ultimo P., Salerno 1971; G. VOGLIOLO, Mito e realtà, decadenza e tramonto di G. P,, Trento 1971; G. AMOROSO, Dall'inedito

Giorno di G. P., in « L'Arcadia », 11, 1973; ID., G. P. Voci bor- ghesi e tensione romantica, frjapoli 1973.

Per l' A L E A R D I : Canti, Firenze 1864; Eprstolario, a cura di G. TREZZA, Verona 1879. G. BIADEGO, Bibliografia alemdiana, Verona 1916; B. CROCE, LII letteratura della nuova Italra, cit.; U. MAZZINI, Amori e politica di A. A,, L'Aquila 1930, voll. 2; A. MOMIGLIANO, Studi di poesia, cit.; G. TITTA ROSA, Secondo Ottocento, Milano 1947; A. VALLONE, nei Minori, cit.

Per lo z A N E L L A : Poesie, Firenze 1928. B. CROCE, La letteratura della nuova Italia, cit.; C. DE LOLLIS, Saggi, cit.; G. SAVINELLI, Forma- lismo e religiosità nell'arte di G. Z. , Firenze 1939; C. CALCATERRA, G. Z., Vicenza 1938; F. NERI, Poesia nel tempo, 'l'orino 1948; S. PAS- QUAZI, Cultura e poesia nell'Astichello zanelliano, Roma 1953 (dello stesso La poesia di G. Z. , Firenze 1967, e nei Minori, cit.).

Per il M A C C A R I : I poeti della scuola romana dell'Ottocento, a cura di F. ULIVI, Bologna 1964. D. GNOLI, I poeti della Scuola romana, Bari 1913; C. FILOSA, I due poeti u principi » della Scuola romana, Ve- nezia 1958.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Sul problema del romanzo storico in generale vedi: G. Lu~Acs, Il ro- manzo storico, Torino 1965; sul romanzo storico italiano: S. KENNARD, RO- manzi e romanzieri italiani, Firenze 1904; A. ALBERTAZZI, Il romanzo, Milano 1904; F. LOPEZ CELLY, Il romanzo storrco in Italia, Bologna 1939; A. LEONE DE CASTRIS, La polemica sul romanzo storico, Bari 1959; M. CATAUDELLA, Il romanzo storico italiano, Napoli 1964; G. PE- TROCCHI, Il romanzo storico nell'Ottocento italiano, Torino 1967; G. MA- RIANI, Ottocento romantico e verista, Napoli 1972.

Sul D ' A z E G L I O : Tutte le opere letterarie, a cura di A. M. GHI- SALBERTI, Milano 1966, voll. 2; Scritti e discorsi politici, a cura di M. DE RUBRIS, Firenze 1931-38, voll. 3. V. CIAN, L'ora della Romagna, Bologna 1928; N. VACCALLUZZO, M. d'A,, Roma 1930; C. INVERNIZZI, M. d'A,, Torino 1935; P. E. SANTANGELO, M. d'A. politico e moralista, Torino 1938; S. ORILIA, in Letteratura italiana, I Minori, 111, Milano 1961; F. PORTINARI, Capitolo per d'A,, in << Paragone », VI1 (1956).

Page 378: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Sul G R O s s I : Opere, Milano 1877, voll. 2; Lettere, a cura di P. TOCCHETTI, Modena 1939; Opere poetiche, a cura di R. SIRRI, Na- poli 1972. G. BROGNOLIGO, T . G., la vita e le opere, Messina 1916; M. CHINI, LP teorie dei romantici intorno al poema epico e i Lombardi di T . G., Lanciano 1920; Studi su T . G., Milano 1953 (di vari autori); M. MARCAZZAN, nei cit. Minori; A. BALDUINO, T . G . tra lingua e dia- letto, in « Atti delllIstituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti », CXX (1961-62); C. C. SECCHI, C. Porta e T . G., Milano 1966.

Sul G u E R R A z z I : manca una raccolta integrale dei romanzi; si vedano: Lettere, a cura di G. CARDUCCI, Livorno 1880-82, voll. 2; Pagine autobiografiche, a cura di G. RAGONESE, Bologna 1969. F. FENINI, F. D. G., Milano 1874; F. TORRACA, Saggi e rassegne, Livorno 1885; B. CROCE, La letteratura della nuova Italia, cit.; W . T. ELWERT, Ge- schichtsauffassung und Erziihlungstechnik in dem historischen Roman F. D. G., Halle 1935; G. RAGONESE, Ottocento narrativo, Palermo 1960, pp. 53-91 (dello stesso nei Minori, cit.).

Sul N I E V O : Opere, a cura di S. ROMAGNOLI, MilaneNapoli 1952; Tutte le Opere, a cura di M. GORRA, vol. I, Poesie, Milano 1970. D. MAN- TOVANI, Il poeta soldato. I . N. , Milano 1899; U. GALLO, N,, Genova 1932; B. CROCE, La letteratura della nuova Italia, cit.; A. MOMIGLIANO, Studi di poesia, cit.; L. Russo, Ritratti e disegni storici, 111, Firenze 1961, 2a ed.; M. MARCAZZAN, I. N. e le Confessioni, Miiano-Messina 1942; F. ULIVI, Il Romanticismo del N., Roma 1946 (dello stesso nei cit. Minori); F. DELLA PERUTA, I. N. e il problema dei contadini, in « Rinascita », 1952; I. DE LUCA, Introduz. al Novelliere campagnolo, Torino 1956; C. BOZZETTI, La formazione del N , , Padova 1959; A. BAL- DUINO, Aspetti e tendenze del N. poeta, Firenze 1962; S. ROMAGNOLI, Momenti di vita civile e letteraria, Padova 1966 (deilo stesso Ottocento tra letteratura e storia,Padova 1961, e N. scrittore rusticale, Padova 1966); F . PORTINARI, I. N. Stile e ideologia, Milano 1969; M. GORRA, N. fra noi, Firenze 1970;'M. FUBINI, Romanticismo italiano, cit.; 0. LOCATELLI, La fortuna critica di I. N,, Milano 1971; E. MIRMINA, La poetica sociale del N., Ravenna 1972; G. MARIANI, Ottocento romantico e verista, cit.

Sul R O VA N I : Cento anni, a cura di B. GUTIERREZ, Milano 1944; Libia d'oro, a cura di C, CORDIÉ, Milano 1945. P. NARDI, Scapigliatura. Da G . R. a C. Dossi, Bologna 1924; P. MADINI, J!.U Scapigliatura milane- se, notizie e aneddoti, Milano 1930; G. MARIANI, Storia della Scapiglia- tura, Caltanissetta-Roma 1967; G. BALDI, G. R. e il problema del ro- manzo nell'Ottocento, Firenze 1967.

CAPITOLO QUINDICESIMO

Sulla prosa memorialistica dell'ottocento vedi: Memorialisti del- l'Ottocento, a cura di G. TROMBATORE e C. CAPPUCCIO, MilaneNapoli 1953-58, voll. 2. Sul B I N I vedi G. MARIANI, Ottocento romantico, cit. Sul P E L L I C O vedi Bibl. del Cap. tredicesimo; per il D ' A z E G L I O

queila del Cap. quattordicesimo.

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Sul s E T T E M B R I N I : Le Ricordanze della mia vita e scritti au- tobiogiafici, a cura di M. THEMELLY, Milano 1961; Lezioni di lettera- tura italiana, a cura di G. INNAMORATI, Firenze 1964. F. DE SANCTIS, Saggi critici, cit.; P. VILLARI, Arte, storia e filosofia, Firenze 1884; B. CROCE, La letteratura della nuova Italia, cit.; G. A. BORGESE, Storia del- la critica romantica, cit.; D. BULFERETTI, L. S., Torino 1925; A. OMODEO, Figure e passioni, cit.; A. MOMIGLIANO, Studi di poesia, cit.; G. MA- RIANI, Ottocento romantico, cit.

Sul teatro: S. D'AMICO, Storia del teatro drammatico, Milano 1950, 28 ed.; M. APOLLONIO, Storia del teatro italiano, Firenze 1954, 2' ed.; A. LEONE DE CASTRIS, Teatro italiano e teatro europeo nel- l'ottocento, in « I1 Veltro », 1960.

Sul N I C C O L I N I : Opere edite e inedite, a cura di G. GARGIOLLI, Milano 1868-80, voll. 10. B. CROCE, Conversazionr critiche, serie 111, Bari 1932; A. PIROMALLI, nei Minori, cit.

Sulla critica romantica: G. A. BORGESE, Storia della critica roman- tica, cit.; G. GETTO, Storia delle storie letterarie, Milano 1942; C. CAP- PUCCIO, introd. a Critici dell'età romantica, Torino 1961.

Sul T E N C A : Prose e poesie scelte, a cura di T. MASSARANI, Mi- lano 1888; Giornalismo e letteratura nell'Ottocento, a cura di G. SCALIA, Rocca San Casciano 1959. T. MASSARANI, C. T. e il pensiero civile del suo tempo, Milano 1887; L. JANNUZZI, I1 Crepuscolo e la cultura iom- barda (1850-1859), Pisa 1966; A. PALERMO, C. T . Un decennio di at- tività critica (1838-1848), Napoli 1967; G. PIRODDA, Mazzini e T . Per una storia della critica romantica, Padova 1968; U. Bosco, Realismo ro- mantico, cit.

Sul M A z z I N I : Edizione Nazionale, in particolare i sei voll. di Letteratura, Imola 1906-43. A. LODOLINI, Bibliografk mazziniana, Milano 1932; F . DE SANCTIS, Lu letteratura italiana nel sec. X I X , a cura di C. Muscetta e G. Candeloro, Torino 1961, vol. XII (M. e la scuola de- mocratica); F. RICIFARI, I1 concetto dell'arte e della critica letteraria nella mente di G . M., Catania 1896; N. PERETTI, Gli scritti letterari di M., TorineRoma 1904; U . R. MARZANY), L'arte nell'estetica mazziniana, Bari 1923; D. FRATINI, L'estetica letteraria di M., Bologna-Faenza 1932; A. GALLETTI, Studi SU Dante, Milano 1941; L. Russo, Problemi di metodo critico, Bari 1950; G. GRANA, nei Minori, cit.; M. SCOTTI, in Enciclopedia dantesca, ad v.; M. SANSONE, M. e Dante, in Nuove letture dantesche, Firenze 1973.

Sul G I O B E R T I : Pensieri e giudizi sulla letteratura italiana e straniera, a cura di F. UGOLINI, Firenze 1856; Scritti scelti, a cura di A. Guzzo, Torino 1954. A. FAGGI, V. G. esteta e letterato, Palermo 1901; V. PICCOLI, L'estetica di V. G., Milano 1917; C. SGROI, L'estetica e la critica letteraria in V . G., Firenze 1921; S. CARAMELLA, Lo suiluppo dell'estetica giobertiana, in « Giom. critico d. 610s. ital. », I1 (1921); S. ROMAGNOLI, nei cit. Minori.

Page 380: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

354 La letteratura italiana

Sul C A T T A N E O : Scritti critici, a cura di M. FUBINI, Firenze 1954; Scritti filosofici, letterari e vari, a cura di F. ALESSIO, Firenze 1957; Scritti economici, a cura di A. BERTOLINO, Firenze 1956. V. OSI- MO, Gli scritti letterari di C. C., Palermo 1901; F. MOMIGLIANO, Vitd dello spirito ed eroi dello spirito, Venezia 1928; L. AMBROSOLI, La for- mazione di C. C, , Napoli 1960; M. FUBINI, Romanticismo italiano, cit.; S. TIMPANARO, Classicismo e illuminismo, cit.; S. ROMAGNOLI, Ottocento tra letteratura e storia, Padova 1961, e nei cit. Minori; N. BOBBIO, Una filosofia militante, Torino 1971.

Sul P I s A C A N E : Epistolario, a cura di A. ROMANO, Milano 1937; Saggio sulla Rivoluzione, a cura di G . PINTOR, Torino 1942; Opere complete, a cura di A. ROMANO, Milano 1957-64; N. ROSSELLI, C. P. nel Risorgimento italiano, Torino 1932; A. ROMANO, Per una bio- grafia di C. P. Documenti e reliquie, Napoli 1934; V. MAZZEI, Il socia- lismo nazionale di C. P,, Roma 1943; G. ARDAU, C. P,, Milano 1948; E . PASSERIN, Ideologie del Risorgimento, nella Storia garzantiana.

Sul B A L B O : Opere, Firenze 1854-60. E. PASSERIN, La giovinezza di C. B., Firenze 1940; G. POMELLO, 11 conte C. B. uomo di pensiero e di azione, Corno 1939.

Sul T R O Y A : Il Veltro allegorico di Dante e altri saggi storrci, a cura di C. PANIGADA, Bari 1936. B. CROCE, Storia della storiografia ita- liana nel sec. X I X , Bari 1930.

Sul C A N T 13 : Storia della lett. ital., Firenze 1865. G. CASATI, C. C,, Milano 1927; A. GENNARELLI, Alcune opinioni di C. C. sui quattro grandi poeti italiani, in « I1 Saggiatore », I11 (1946), pp. 321-50.

Sul C A P P O N I : Frammenti sull'educazione, a cura di G . FONTA- NESI, Padova 1937; Carteggio inedito fra C. C. e N . Tomrnaseo dal 1833 al 1874, Bologna 1911-39, voll. 5. B. CROCE, Storia della storiografia, cit.; G . GENTILE, G . C. e la cultura toscana del sec. X I X , Firenze 1922; A. FERRARI, G . C,, Milano 1936; A. GAMBARO, Lc; critica pedagogica di G . C, , Bari 1956.

Page 381: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

INDICE ANALITICO

L'indice comprende, in ordine alfabetico: in carattere tondo, i nomi de- gli autori e dei personaggi storici e artistici; in corsivo, i titoli delle pub- blicazioni periodiche citate nel testo; in tondo tra virgolette, i generi e i movimenti letterari, le accademie e i principali movimenti storici, filo- sofici, politici.

Abba Giuseppe Cesare (1838-1910) - 349.

<< Accademia " colonnese " . - 11. e Accademia degllInvestiganti N (Na-

poli, sec. XVII) - 11-12. u Accademia dei Concordi x, (To-

rino, 1804) - 356. a Accademia dei Filopatridi (TO-

rino) - 221. u Accademia dei Granelleschi N

(Venezia. 1740-62) - 88. 92-93. u ~ccademia dei pugni i ~ i l a n o , 1761-66) - 68, 69.

u Accademia dei Trasformati (Mi- lano, 1753-68) - 68, 88-89, 106- 107, 131, 136-37.

u Accademia della Crusca n (Firen- ze, 1583) - 9-11, 95, 148, 175- 176, 282.

<< Accademia di Camera x, (di Ma- ria Cristina di Svezia; Roma, 1655; poi u Accademia Reale W )

- 19. u Accademia Quirina (1714-18) - 21, 26.

u Accademia Reale » (di Maria Cri- stina di Svezia; giA u Accad. di Camera », Roma, 1674) - 19.

Accattabrighe ossia -Classico-roman- ticomachia, I.' (period.) - 231.

Accio - 21. Acerbi Giuseppe (1773-1846) - 187. Acta eruditorum (period. di Lipsia)

- 45. Acton J. F. E., lord - 77.

Addison J. - 16, 91, 230. Adelaide di Borbone - 120. Aganoor Pompili Vittoria - 330. Agli Dei Consenti (pubbl. poet.

collettiva, 1812) - 184-85. Akenside M. - 103. Alamanni L. - 184. Albernati Ca~acelli Francesco ( 1728- 1807) - 148.

Albrizzi Teotochi Isabella ( 1760- 1836) - 193.

Aleardi Aleardo (A. Gaetano Ma- ria; 1812-1878) - 325, 328-29, 126

~ l é m b e r t J.-B. d' - 61-62, 73-74, 80, 87.

Alessandro de' Medici - 159. Alfieri Antonio di Cortemilia - 153. Alfieri Giulia - 153. Alfieri Vittorio (1749-1803) - 37, 75. 98. 129. 142, 14867, 168. 172, 174, 1.77, 1.93, 197; 199; 203-05, 208, 210, 217, 221, 223, 238, 247, 287, 293, 306-07, 312, 339, 350.

Alnarotti Francesco ( 1712-1764) - 82-83, 84-85, 95.

Alighieri Dante - 12-14, 16, 18, 23, 41, 45, 48, 84, 86, 91, 175- 176, 180, 196, 199-200, 210, 226, 228 236, 274, 279, 291-93, 307, 309, 314, 316, 351-53, 356-57.

Althann Marianna Pignatelli, con- tessa di - 29.

Amari Michele (1806-1889) - 355.

Page 382: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

La letteratura italiana

Ambrogi Anton Maria - 173. Amoretti Maria Pellegrina - 140. Anacreonte - 9, 139, 172, 213.

anacreontismo w - 9, 21. Andrucci Giuseppe Maria (v. Qua-

d r i ~ Francesco Saverio). Andryane Alessandro (A. Alexan-

dre-Philippe; 1797-1863) - 350. Angiolini Luigi (1750-1821) - 100,

172. Annali universali di Statistica -

354. Antici Adelaide - 278. Antologia, L' (period.; Firenze,

1821-33) - 187, 196, 234, 281, 316, 323, 354, 357.

Appiani A. - 170, 188. Aauino Francesco d' - 107. C< Arcadia w - 7, 9, 11, 13-18, 19-39,

40. 44. 65-66. 81-84. 89. 100-04.

185; 305; CC A. lugubre » (csd.) - 23; « A. romana » ( v . « Ragu- nanza degli Arcadi »); (v. inol- tre le diverse u Accademie »); u prearcadismo » (v. questo). archeologiche, scoperte >> - 66, 71, 169, 172, 177, 220.

Arconati Visconti Giuseppe - 227. Arici Cesare (1782-1836) - 183,

184-85, 305, 309. Ariosto L. - 12, 14, 34, 84, 90,

108, 159, 213, 226, 236, 293. Aristarco (pifi propriam. Scannabue

A.; v. Baretti Giuseppe). Aristofane - 155, 172. Aristotele - 12, 236. u aristotelismo » - 8, 11, 29, 37;

u le unità aristoteliche in arte » - 31, 149, 161, 225, 236-37, 254.

Arnaldo da Brescia - 350. Arriano - 54. Arrivabene Giovanni ( 1787-1881 )

- 350. Arteaga S. - 148.

arti figurative » - 24, 32, 66, 103, 126, 132, 137, 155, 169-70, 175, 180, 188, 193, 224, 226, 246, 251, 316.

Artico Giovanni, conte di Por- cia - 58.

Athenaeum (riv. tedesca; fine sec. XVIII) - 217. atomismo » (v. C< filosofia »).

Aulisio Domenico - 12, 53. C( autobiografica, letteratura w - 40,

44-45, 50, 53, 92, 94, 98-99, 115, 120, 127, 150-53, 155-57, 166, 185, 318, 325, 334, 340, 347-50; C< memorie garibaldine » - 349-50.

Azara J. N. de - 169. Azeglio Cesare d' - 232, 254. Azeglio Massimo d' (1798-1866) -

149, 250, 274, 334-36, 348.

Bacchini Benedetto, padre - 54. Bacone Fr. - 41-42, 44, 53, 108. Balbo Cesare (1789-1853) - 149,

355, 356. Balestrieri Domenico (1714-1780) -

105-07, 138. Bandi Giuseppe (1834-1894) - 349. Bandiera Alessandro, adr re - 137-

138 -- -. Baretti G i u s e ~ ~ e ( e ~ seud . eiornal.

Aristarco $Ann'ab;e, 1719-1789) - 25.75.88-90.95. 106. 113. 129. , . , ,

216; 225. «barocco )> - 7-10, 11-13, 15, 22-

23, 41, 95, 169, 180, 182; C( post barocco w - 19.

Baronio C. - 12. 57. Barrili Anton ~ i u l i o (1836-1908) -

349. Bartholdy J. S. - 203. Bartoli D. - 8. Bartoli Giuseppe - 88. Bamffaldi Gerolamo (1675-1755) -

10, 104. Basile G. - 93. Bassviile N.-J. H. - 177-78, 180, 183. Baumgarten A. G. - 62-63. Bayle P. - 61. Bazzoni Giovan Battista (1803-

1850) - 332, 333. Beauharnais Eugenio - 252, 344. Beccaria Cesare (1738-1794) - 68-

70, 72-74, 86-87, 90, 95, 104, 131, 134, 136, 151, 176, 243, 248.

Page 383: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Indice analitico 387

Beccaria Giulia - 243-44, 246-47, 249, 274.

Becelli Giulio Cesare (1686-1750) - 38.

Belli Giuseppe Gioacchino (1791- 1863) - 304, 319, 321-23.

Bellini Bernardo - 231. Benedetto XIV (papa) - 170. Berchet Giovanni (1783-1851) - 225,

227-30, 233, 239, 253, 255-56, 314-15. bernesca, poesia n - 88, 108.

Berni Fr. - 213. Bertola de' Giorgi Aurelio (1753-

1798) - 101-02, 103, 185, 219. Bertolotti Davide - 333. Betteloni V. - 330. Betti Zaccaria (1732-1788) - 104. Bettinelli Saverio / 1718-1808) - 83.

Bettini P. - 327. Bianconi Giovanni Ludovico ( 1717-

1781) - 99. Biblioteca Italiana, La (period.; Mi-

lano, 1816) - 187, 218-20, 223, 225, 227, 230-31, 233, 287, 291.

BifX Giambattista f 1736-1807) - -- -

69, 74. Bignami Maddalena - 194. Bini Carlo (1806-1842) - 348. Binni W . - 121, 132, 135, 152,

166, 303. Biscardi S. - 12.

Borghi Giuseppe (1790-1847) - 263, 274. 304. 306. 308-09.

Borgianelli Francesco - 245. Borsieri Pietro (1786-1852) - 225-

226, 230-31. Bosco U. - 324, 326-27. Bossuet J.-B. - 12, 63, 248, 254. Botta Carlo (1766-1837) - 130, 190,

225-26, 282. Bouhours D. - 10, 15. Bouterwek F. - 230. Bozoli Giuseppe Maria - 173. Brami Luigi - 245. Branda Paolo Onofrio, padre - 138. Braschi Onesti, famiglia - 177-78. Brazzolo Paolo - 172. Breitinger J. J. - 62. Breme Lodovico Antonio Gattina-

ra, marchese di (v. Di Breme Lodovico Arborio Gattinara, marchese).

Bresciani Antonio, padre (1798- 1862) - 333. 347.

~rofferio ~ n ~ e i o (1801-1866) - 353. Bruno G. - 41. B;ckingham John Sheflield, duca

di - 16. Buffon G.-L. - 60. Bulgarelli Marianna - 29. Buonafede Appiano, padre (1716.

1793) - 89. 98. Buragna Carlo - 8. Burger G. A. - 225, 288. Burke E. - 62.

Blondel Enrichetta - 249-50, 273- Burns R. - 217. 274. Bussone Francesco, conte di Car-

Boaretti Francesco - 172. magnola - 242, 259-60. Boccaccia G. - 13, 18, 41, 196, Byron G. G. - 129, 221-22, 224,

199-201. 230, 277, 290, 327, 329, 339, Boccardo Gerolamo - 274. 348. Bodmer J. J. - 17, 62. Bodoni G. : 184. Boileau-Despréaux N. - 62, 144. Bon Francesco Augusto (1788-1858)

- 350. Bonaparte Giuseppe - 311. Bondi Clemente - 173. Bonghi Ruggero (1826-1895) - 353. Borelli Giovanni Alfonso (1608-

1679) - 41. Borghese -Paolina - 170.

Cabanis P.-J.-G. - 81, 247. Cabiati Carlo Giuseppe, don - 131. Cafè, Il (period.; Milano, 1764-

1766) - 66, 69, 70, 73-74, 85-86, 90, 95, 104.

Cafè di Petronio; Il (period.; Bo- logna) - 280.

Calderon de la Barca P. - 94, 226. Calepio Pietro (1693-1762) - 17-18,

37.

Page 384: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

letteratura italiana

Caleppio Trussardo, conte - 231. Caloprese Gregorio (1650-1714) -

12, 28. Caluso Tommaso Valperga di (1737-

1815) - 223. Calzabigi Ranieri de' (1714-1795) -

29, 98, 149. « Cameretta, La, (gruppo letter.

milanese) - 319, 321. Caminer E. - 119. Cam6es L. V. de - 230. Campanella T. - 41, 312-13. Canaletto (Canal G. A,, detto il)

126, 169. Canova A. - 155, 170, 180, 188,

193, 246. Cantu Cesare (1804-1895) - 277,

304, 308, 333, 337, 352, 355, 356-57.

Capponi Gino (1792-1876) - 187, 277, 281, 323, 351, 355, 357-58.

Caracciolo D. - 107. Carafa Adriano, duca di Traetto -

44. Carafa Antonio, maresciallo - 44. Caravita N. - 41. Carcano Giulio (1812-1884) - 305,

308, 310, 326, 337. Cardano G. - 87. Carducci G. - 107, 114, 120, 139,

149, 193, 318, 325, 338. Carena Giacinto (1778-1859) - 274. Carli Gian Rinaldo (1720-1795) -

74. Carlo VI11 di Francia - 333. Carlo Alberto - 252, 356. Carlo d'Angiò - 339. Carlo di Borbone - 45, 77. Carlo Emanuele I11 - 75. Carmeli Michelangelo - 172. Carmignani Giovanni - 149. Caro A. - 83, 173, 213, 245. Carrer Luigi (1801-1850) - 305,

308. u cartesianesimo . - 11-12, 19, 29,

41-42, 61, 249. Cartesio - 12, 15, 28, 41-44, 52-

53, 60-61, 82. Casanova Giacomo (1725-1798) -

99. Caspani Angiola Maria - 131-32. Cassi Gertrude - 279.

Cassoli Francesco (1749-1812) - 103-04, 245.

Castagnola Paolo Emilio - 330. Casti Giambattista (1724-1803) -

100, 105. Castiglione Paola, marchesa - 141-

142. Castromediano Sigismondo - 349. Caterina, santa - 38. Cattaneo Carlo (1801-1869) - 351,

354-55. cattolicesimo w (v. inoltre a reli- giose, letteratura e problemati- ca P) - 52-54, 58-59, 183, 241, 249-51, 253-54, 258-59, 267, 274, 277, 305-10, 312-13, 316-17, 327, 352.

cat;iio - 194. Cavalcanti G. - 23 Cavour C. B. di - 338. Cellini B. - 90. Celsius A. - 60. Centofanti Silvestm - 353. Cerretti Luigi (1738-1808) - 103. Cervantes M. de (cit. il Don Chi-

sciotte) - 110. Cesare Borgia - 335. Cesare C. G. - 346. Cesari Antonio. oadre (1760-1828)

- 175, 176, 245. Cesarotti Melchiorre (1730-1808) -

95-97, 129, 171-72, 174, 176, 185, 202, 215, 219.

Ceva Teobaldo (1697-1746) - 16. Ceva Tommaso (1649-1737) - I l ,

86. Chateaubriand Fr.-R. de - 248. Chauvet V. - 220, 233, 236, 254-

255. 259. ~h6nie r J.-M. - 120. Chiabrera G. - 16, 137, 172. Chiari Pietro (1711-1785) - 98, 113,

118-19. 127. Ciaia I&azio - 189. Cicerone - 41. Cicinelli Giovanni - 8. Cicognara Leopoldo - 175. Cioni Gaetano - 263. Cittadini C. - 38. Clasio (v. Fiacchi Luigi, detto). a classicismo , - 8-10, 12-13, 17,

21, 25, 28, 32, 37-38, 65-66, 70,

Page 385: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Indice analitico

308: 329-30, 346, 357; neoclas: sicismo » (v. questo).

Clotilde di Borbone, poi di Sar- degna - 120.

Coardi Paolo - 20. Coleridge S. T. - 218. Colletta- Pietro ( 1775-1831) - 187,

189-90, 277, 282. Colombo C. - 293. Colonna Camiiio -- 11. Colpani Giuseppe (1739-1822) -

104. << Comédie Italienne » (v. u tea-

tro P).

C< commedia (v . u teatro W ) .

Compagnoni Giuseppe - 224. Conciliatore. Il f~eriod.: Milano.

sett. 1818-ott. r819) - '191, 193; 221, 227, 230-32, 233, 235, 253,. 292, 304.

Condillac E.-B. de - 62. 81, 87, . . . 151, 247.

Condoni P. - 119. Condorcet M.-J.-A. de - 73. Condorcet Sophie - 247. Confalonieri Federico ( 1785-1846)

- 225, 227, 230, 253, 344-45. Connio Maria Nicoletta - 116. Conti Antonio (1677-1749) - 16-17,

38. u contrattualismo » (v. u giuridica,

letteratura m). Controriforma - 135. Cornaro A. - 83-84. Corneille P. - 16, 33. Cornelio Tommaso ( 1614-1686) -

11, 41. Corradino di Svevia - 328. Correnti Cesare (1815-1888) - 353. Corsetti Francesco - 245. Cossa' Pietro (1830-1881) - 351. Costa Antonietta - 223. Costa Bartolomeo, marchese - 223. Costa Nino - 349. Costa Paolo - 185.

Crébiilon P. de - 28. Crepuscolo, Il (period.; Milano,

1850-59) - 351-52. Crescimbeni Giovan Mario (1663-

1728) - 10, 14, 15, 18-23. C< critica letteraria » (v. inoltre C< sto-

riografia letteraria P) - 10, 12, 15- *17, 38, 83-91, 97, 100, 113-14, 129-32, 137, 148-50, 176, 180, 190, 192, 195, 198-202, 207-08, 210, 214 sgg., 228, 241-43, 276- 277, 282, 311, 316, 346, 351-52.

Croce B. - 64, 152, 182, 271-72, 311, 342.

Crudeli Tommaso (1703-1745) - 27. u Crusca » (v. a Accademia della

Crusca W ) .

Cunich Raimondo - 182. Cuoco Vincenzo (1770-1823) - 50,

187, 188-89.

Dalli Laste Natale (detto Lastesio) - 173-74.

D'Andrea Francesco (1625-1698) - ~, ~ - , 11-12, 41.

Da Ponte Lorenzo (1749-1838) - 98-99.

Dr Blasco Teresa - 243. u decadentismo » - 310, 318, 325-

329, 343. De Cristoforis Giovanni Battista -

230. Degli Angioli Gherardo - 45, 48. Degola Eustachio, padre - 250. C< deismo » (v. u filosofia »). Delfico Melchiorre (1774-1835) .

51, 81. Deila Casa G. - 12. Del Negro Paolo Antonio - 20. De Luca Luca Nicola - 80. Democrito - 41. Demostene - 172. Denina Carlo (1731-1813) - 75-76. De Robertis G. - 269. De' Rogati Francesco Saverio -

172. De Sanctis Fr. - 65, 113-14, 123-

124, 130-31, 150, 167, 176, 182, 201, 210-11, 259, 277, 293, 340, 347, 351-52.

Destito Teresa Caterina - 41.

Page 386: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

h letteratura italiana

<< determinismo » (v. << filosofia »). << dialettale. letteratura » - 106-10.

133, 138, 318-23. Di Bagno10 Coriolano - 308. Di Breme Lodovico Arborio Gat-

tinara, marchese (1780-1820) - 176, 221-23, 224-25, 230-31, 289, 292

~ i - c o u a Lionardo ( 1617-1695) - 11, 41, 44.

Diderot D. - 61-62, 73, 87, 248. Didimo Chierico (v. Fosco10 Ugo). Didot, edit. - 311. Dionigi di Alicarnasso - 279. Diotallevi Vincenzo, don - 278. << dramma musicale » e << d. stori-

co » (V. << teatro W ) .

Dryden J. - 16, 27. Du Bos Ch. - 16. hrazzo Maria Francesca - 223. Durini Angelo Maria, card. - 141.

Eckermann J. P. - 241. <C economici, scritti » - 57, 59, 65,

67-70, 72-74, 76-81, 183, 186, 190, 225, 262, 355.

Edinburgh Review - 196, 199, 228. << edonismo (v. << filosofia D). Elisabetta di Borbone - 120. Emerytt Fanny - 196. Emerytt Mary (Floriana) - 196. Emiliani Giudici Paolo ( 1812-1872)

- 352. << empirismo n (v. « filosofia e ) . Encyclopédie (ed << enciclopedisti »

francesi) - 61, 66, 136, 248. Engel J. J. - 230. Ennio - 21.

epicureismo » (v. << filosofia »). <C epistolari » - 45, 48, 88, 91, 149,

254, 282, 358. Epitteto - 54, 282. Erodoto - 172. Eschilo - 21. Esiodo - 172, 279. Esopo - 105. Ettorri Camillo (1631-1700) - 11,

24. Euripide - 21, 38, 172. European Review (period. inglese) -

196.

Fabbroni Giovanni (1752-1822) - 77.

Fagiuoli Giovan Battista (1660- 1742) - 39.

Fagnani Arese Antonietta - 194, 205, 207.

Fahrenheit G. D. - 60. Faiietti Turinetti Gabriella - 153. Fantoni Giovanni (1755-1807) -

104, 245, 329. Fauriel C. - 227, 230, 236, 247-43,

261-62. Federico I1 di Pmssia - 75. Fénelon Fr. - 248, 254. Ferdinando I1 (re delle Due Sici-

lie) - 349. Ferdinando IV (re di Napoli) - 77. Ferdinando d'Asburgo - 132. Ferrari Giuseppe - 355. Ferrari Paolo (1822-1889) - 351,

355. Ferrari S. - 327. Ferrario V. - 263. Fermcci Fr. - 335. Fiacchi Luigi (detto Clasio; 1754-

1825) - 105. Fichte J. G. - 218. Figari Pompeo - 20. Filangieri Gaetano (1753-1788) -

79-80. Filangieri Serafino (arciv. di Paler-

mo) - 80. Filicaia Vincenzo da (1642-1707) -.

9, 19-20. FiliDD0 11 - 153. 163.

fifoiogiche, ric&che (v. << lingui- stica »).

<( filosofia » - 7-10, 12, 15, 19, 23, 40 sgg., 51 sgg., 53 sgg., 60-62, 70, 72, 78, 82, 85, 87, 89, 95, 100-01, 108, 110, 114, 156, 186, 188, 190, 192, 223, 225, 228, 235, 247, 276, 281, 283-86, 296- 299, 312, 348, 350, 354-55; ari- stotelismo » (v. questo); « ato- mismo » - 11, 41; « cartesiane- simo (v. questo); << deismo » - 52, 60-61, 78; << determinismo » - 46, 61; << edonismo n - 87-88; « empirismo » - 61-62, 65, 99, 108; « epicureismo » - 11, 41; << galileiana, tradizione (v. que-

Page 387: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Indice analitico

sta); « gassendismo » (v. questo); << giusnaturalismo » (v. << giuridi- ca, letteratura D: « contrattuali- smo »); « libertini francesi » - 60; << machiavellismo » (v. que- sto); « materialismo D - 60-62, 79, 247, 276, 302; metafisica, corrente n - 60-62, 78, 84, 352; a naturalismo D (v. questo); « neo- platonismo » (v. « platonismo »); u panteismo » - 60, 312-13; << phi- losophes » (v. questi); platoni- smo » (v. questo); « positivismo » - 171, 276; « razionalismo (v. questo); « scetticismo >> - 79; « sensazionalismo )> - 312: << sen- sismo » - 11, 18, 23, 62; 65-66, 70, 81, 83, 86-88, 95, 100, 137, 221, 244, 247; « sperimentali- smo » - 41, 60-61.

Flaubert G. - 343. Foeazzaro A. - 343. ~ o l e n a G. - 123. Fontanini Giusto ( 1666-1736) - 18,

28. Fontenelle B. de - 61, 104. Fortis Alberto (1741-1803) - 99. Foscolo Andrea - 193. Foscolo Giovanni - 193-94, 206. Fosco10 Giulio - 193. Foscolo Rubina - 193. Foscolo Ugo (F. Niccolò; e pseud.

Didimo Chierico; 1778-1827) - 50, 71, 106, 129-30, 149, 159, 171, 180, 183, 185, 192-214, 217-20, 223, 225, 227-28, 230, 236, 241-42, 276, 333, 339, 351- 352.

Fornaciari Luigi ( 1798-1858) - 176. Francesco I - 179. Franci Sebastiano - 69. Franklin B. - 60. Frisi Paolo (1728-1784) - 74. Frontone - 279. Frugoni Carlo Innocenza (1692-

1768) - 84, 100-01, 139, 177. Frusta letteraria, La eriod od.; Ve-

nezia, 1763-65; Ancona, 1765) - 88, 89-90, 113.

Fubini M. - 151, 228-29, 293-94, 296.

Galanti Giuseppe Maria (1743- 1806) - 79.

Galeani Napione Gian Francesco (1748-1830) - 96, 97-98.

Galiani Ferdinando (1728-1787) - 51 70 )l, 1.7.

Galilei G. - 41, 44, 60, 74, 82, 108, 114, 210.

<< galileiana, tradizione - 9-10, 99. Garibaldi G. - 341-42, 349. << garibaldine, memorie D (v. « au-

tobiografica, letteratura »). Gassendi P. - 11, 52.

gassendismo n - 41, 53. Gautier Giovanni Battista, abate -

172. Gazzetta di Milano - 132, 231, 344. Gazzetta veneta - 91. Genio democratico, Il (period.) -

194. Genovesi Antonio ( 1713-1769) -

51, 68, 78-79, 80, 90, 223. Gessner S. - 23, 101, 151. Gesuiti - 8, 11-13, 18, 38-40, 56,

58, 68, 84, 91, 114, 139, 347, 354.

Getto G. - 190. Ghedini Ferdinando Antonio (1684

-1767) - 24. Gherardi del Testa Tommaso - 350 Ghisalberti F. - 262. Giacomelli Michelangelo - 172. Giacometti Paolo (1816-1882) - 351. Gianni Francesco Maria (1728-1801)

- 76-77. Giannone Pietro (1676-1748) - 51-

53, 58, 64, 80. giansenismo D - 12, 59, 135, 250, 271.

Gigli Girolamo (1660-1722) - 38- 39, 114.

Gimma Giacinto (1668-1735) - 18. Gioberti Vincenzo ( 1801-1852) -

149, 189, 277, 351, 354. Gioia Melchiorre (1767-1829) - 190,

225, 262-63. Giordani Pietro (1774-1848) - 187-

188. 220-21. 225-26. 277-79. 281. 283: 294. '

Giorgini G. B. - 274. Giorgio I1 (re di Gran Bretagna)

Page 388: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

La letteratura italiana

Giornale Arcadico (Roma) - 223. Giornale de' letterati d'Italia (Ve-

nezia, 1710) - 42, 59. Giornale dell'italiana letteratura

(Padova, inizio sec. XIX) - 203. Giovanni da Procida - 350. Giovanni d'Asburgo - 179. Giovanni. san - 195. Giraldi Carlo Giuseppe, don - 131. Girhud Giovanni (1776-1834) - 350. a giuridica, lettératura w - 12, 15,

40. 45. 49. 51-53. 55-57, 62, 65; 70, 72-j4, 80-81, 190, 235; a contrattualismo w - 49, 57, 62, 81.

Giuseppe I1 (imperatore) - 68, 70, . - 132; -141. niusnaturalismo (V. a giuridica, . - letteratura *: a contrattualismo w).

Giusti Giuseppe (1809-1850) - 39, 304. 323-24.

~ f u c k Chr. W. von - 98. Goethe W. - 169, 171, 203, 205,

217, 236, 241-42, 311, 313, 333. Goldoni Carlo (1707-1793) - 39,

90, 92-93, 98, 113-28, 169, 350- >>l.

Goldoni Carlo Alessandro - 114. Goldoni Giulio - 114. ~oldsmi th O. - 227. Gonin Fr. - 263. Gorani Giuseppe (1740-1819) - 74,

Gori Gandellini Francesco - 157, 199.

Gottsched J. Chr. - 62. Gozzi Carlo (1720-1806) - 90-91,

92-94. 98-99. 113. 119. 127. Gozzi ~ a s ~ a r o (1713-1786) - 90,

91-92, 245. Graf A. - 330. Gravina Gian Vincenzo (1664-

1718) - 10, 12-14, 15-21, 24-25, 28-30, 37.

Gray Th. - 23, 103, 151, 215, 217, 227.

Grimaldi Domenico (1735-1805) - 79. . . .

Grimaldi Francescantonio (1741- 1784) - 79.

Griselini Francesco (1717-1787) - 76.

Gritti Camillo - 141. Grossi Tommaso (1790-1853) - 253,

263, 304, 309-10, 318, 321, 326, 331-32, 334, 336-38.

Grozio U. - 42, 44. Guadagnoli Antonio ( 1798-1858) -

324. Gualandi Anselmo (v. Guerrazzi

Francesco Domenico). Guardi Fr. - 126, 169. Guarini G. B. - 29, 34, 139. Guerrazzi Francesco Domenico (e

pseud. Gualandi Anselmo; 1804- 1873) - 332. 334-35. 338-40. 348, 353.

Guerrini O. - 327-28. Guglielmini e Redaelli, edit. - 263. Guicciardini Fr. - 187, 335. Guidi Alessandro (1650-1712) - 10,

13, 19-20.

Haendel G. F. - 26. - - - . - - -

Hayez Fr. - 251. Hegel G. W. F. - 218. Helvetius CI.-A. - 62, 80, 87, 286. Herder T. G. von - 168. Hervey j., lord - 83. Hobbes Th. - 44, 61-62. Hobhouse J. C. - 129. Holbach P. H. D. d' - 61-62, 73,

286. Hugo V. - 327. Hume D. - 61, 80.

Ilari Francesco - 308. a iliuminismo >P (V. inoltre a razio-

nalismo *) - 7,'22-23, 30, 40 sgg., 51, 53-54, 57, 60-111, 121, 133- 137, 140, 146, 151-53, 156, 168- 169, 173, 175, 186-92;-201, 217- 218, 221, 240, 243-45, 247, 276- 277, 285-86, 352; a iii. francese w (v. inoltre Encyclopédie e a phi- losophes w) - 61, 72, 107; a ill. inglese * - 61, 72, 107; u ill. ita- liano * - 64-81: u i. lombardo * - 67-74, 77, 244; u i. meridiona- le w - 40-41, 51-52, 64, 77-81 ; Grimani Michele - 116.

Page 389: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Indice analitico

« i. piemontese » - 74-76; a i. toscano » - 74, 76-77; « i. vene- ziano » - 74, 76; a preillumini- smo » (v. questo).

Imbonati Carlo - 132, 140, 149, 244, 247.

Imbonati Giuseppe Maria - 68. Imer Giuseppe - 116. Indicatore livornese, L' - 348, 353. Indric Giampaolo - 115. Intieri Bartolomeo - 78. Isella D. - 319. Isocrate - 172, 282.

Johnson S. - 88.

Kant I. - 218. Kaunitz-Rietberg W. A. - 68. Keplero G. - 60. Kleist H . von - 217. Klopstock F. G . - 217.

La Bruyère J. de - 91. La Farina Giuseppe (1815-1863) -

355. La Fontaine J. de - 27, 39, 105. La Grange F. J. - 28. Lamartine A. de - 327. Lamberti Anton Maria (1757-1832)

- 107. Lamberti Luigi (1759-1813) - 172. Lambruschini Raffaello (1788-1873)

- 353. Lamettrie J. O. de - 61. Lamindo Pritanio (v. Muratori Lu-

dovico Antonio). La Motte Houdar A. de - 28, 35. Lanfilo Terio (v. Vico Giambatti-

sta). Lanzi Luigi (1732-1810) - 172. Lastesio (v. Dalle Laste Natale,

detto). Lavoisier A. - L. - 60. Lazzarini Domenico (1668-1734) -

24. Leibniz G. W. - 60, 62. Lemene Francesco de (1634-1704)

- 10, 11, 19-20, 27, 54. Leonio Vincenzo - 19.

Leopardi Carlo - 278, 282. Leopardi Giacomo ( 1798-1837) -

71, 97, 130, 149, 151, 167, 171, 174, 176, 180-81, 188, 219-20, 224, 230, ?M, 245, 276-303, 311, 313, 330, 333, 358.

Leopardi Luigi - 278, 282. Leopardi Monaldo (1776-1847) -

278, 279, 298. Leopardi Paolina - 278, 280, 293. Leopardi Pier Francesco - 278. Leopoldo I1 di Toscana - 273. Lesca Giuseppe - 262. Lessing G. E. - 169. Libanio di Antiochia - 282. << libertini francesi u - 60. « lingua, questione della » - 9, 94-

98, 137-38, 175-76, 192, 202, 222-23. 225-26. 274-75. 316.

u linguistica » - 42-43, 62, 73, 79, 88, 96-97, 190, 272-74, 316, 321; « ricerche filologiche » - 46, 54, 56-57, 194-95, 198-99, 212, 273, 279, 282, 316, 318.

Linneo - 60. Llorente J. A,. - 231. Locke J. - 61-62, 78, 80-81, 87,

197. Lodovico Sforza (detto il Moro,

duca di Milano) - 350. Lomonaco Francesco (1772-1810) -

189. Londonio Carlo Giuseppe - 221-22. Longano Francesco (1729-1796) -

79. Longhi (Falca Pietro, detto) - 169. Longo Alfonso (1738-1808) - 69,

74. Lorenzi Bartolomeo (1732-1822) -

104. Lorenzi Giambattista (1719-1807)

- 79. Lorenzino de' Medici - 159. Lubrano Giacomo (1619-1693) - 40. Luciano - 172. Lucrezio - 9, 41, 108, 198, 212. Luigi XV (re di Francia) - 120. Luigi XVI (re di Francia) - 120,

155. Luti Emilia - 263. Lycée francais, Le (period.) - 263.

Page 390: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

394 La letteratura italiana

Mably G. B. de - 80. Maccari Giambattista (1832-1868)

- 330. Maccari Giuseooe - 330. Maccheroni ~ i o i i n d o dei - 114-15. Machiavelli N. - 70, 160. 177. 187. . . . << machiavellismo >> - 70. Macpherson J. (v. inoltre Ossian)

- 215, 217. Maffei Giuseppe - 352. Maffei Scipione (1675-1755) - .16,

17. 20. 37-38. 58-59. 99. , , Magalotti ~ o r e n z o (1637-1712) -

9. 20. 87. ~ a g ~ i ~ a r l o Maria (1630-1699) -

10. 16. 19. 54. 106. 138. ~ a & i Melch'iorré - 20. Magnasco A. - 169. Mai Angelo (card.; 1782-1854) -

149, 167, 220, 279-80, 292-94. Maillard Carlo Tommaso - 20. Maillard di Tournon Monica - 153. Maistre Fr. - X. de - 189. Malaparte C. - 340. Malaspina di Sannazaro Luigi - 175. Malebranche N. de - 52-53. Mameli Goff redo ( 1827-1849) -

314, 353. Mamiani della Rovere Terenzio

(1799-1885) - 183, 305-0.6, 309. Manfredi di Svevia - 339. Manfredi Eustachio ( 1674-1739) -

10, 23-24, 82. Mangiagalli Ambrogio - 224. Manin Daniele - 316, 327. Manin Edgarde - 327. Manzi Guglielmo - 279. Manzoni Alessandro (1785-1873) -

68. 130. 147. 149. 167. 173-74.

Manzoni Clara - 251.

Manzoni Matilde - 251. Manzoni Pietro - 251, 275. Manzoni Pietro Antonio, conte -

243-44. Manzoni Sofia - 251. Manzoni Vittoria - 251, 274. << manzoniani, scrittori » - 251, 253

sgg., 263, 274, 304 sgg., 325, 334-36. 344. , - - - -

~ a r a t t i Zappi Faustina (1680-1745) - 25, 169.

Marcazzan M. - 337. Marchetti Alessandro (1633-1714) -

9. 212. - 2

Maria Beatrice d'Este - 132. Maria Carolina di Borbone - 77. Maria Cristina di Svezia - 19. Maria Luisa d'Austria - 250. Maria Teresa d'Austria - 30, 67,

77, 132. Mariani G . - 348-49. Marini Luigi Gaetano - 220. « marinismo » - 8, 11, 13-14, 21,

24. 95. arino G. B. - 17, 24, 29, 36. Maroncelli Piero (1795-1846) - 350. Martello Pier lacopo (1665-1727)

- 10, 16, 17, 24, 28, 37-38, 115. Martinelli Vincenzo (1702-1785) -

99. Martinengo Marzia - 194. Mascheroni Lorenzo (1750-1800) -

104-05, 174, 180, 183, 246. Massillon J. - B. - 248. Massimiliano Sforza (duca di Mi-

lano) - 332. « materialismo » (v. « filosofia »). Maupertuis P,-L. M. de - 24, 60,

87. Mazza Angelo (1741-1817) - 103. Mazzei Filippo (1730-1816) - 98. Mazzini Giuseppe (1805-1872; e

« mazziniani ») - 149. 189. 193. 240, 242, 334:35, 339, 342; 344; 348, 351, 353-54.

Mazzuchelli Giammaria (1707-1765) Manzoni Cristina - 251. - 83. Manzoni Enrico - 251, 274. Medebach Gerolamo - 117-18. Manzoni Filippo - 251, 274. Medici, famiglia - 332. Manzoni Giulia Claudia - 250, 274, Meli Giovanni (1740-1815) - 106,

336. 167-10. Manzoni Luigia Maria - 251. << melodramma w (v. << teatro »).

Page 391: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Indice analitico

6 memorialismo D (v. autobiogra- fica, letteratura P).

Mencken J. B. - 45. Mengs A. R. - 71, 169. Menzini Benedetto 11646-1704) -

9, 19-20. Mercantini Luigi (1821-1872) - 314. Merobaude Flavio - 282. « metafisica, corrente » (v. « filo-

sofia »). Metastasio Pietro (Tra~ass i P.. det-

to; 1698-1782) 12; 23, 27, 28- 37. 90. 101. 109. 124. 139. 169.

~ichelangelo 199; 210: '

Milton J. - 16, 288. Mocenni Magiotti Quirina - 196. Molière - 39, 119, 127. Momieliano A. - 124. Mondi morale (period.) - 91. Monitore italiano, Il (period.) -

194. Montaigne M. de - 87. Montani Francesco ( 1673-1754) -

10. Montani Giuseppe (1789-1833) -

224, 234, 278. Montecuccoli Raimondo ( 1609-1680)

- 194. Montesquieu Ch. - L. de - 62, 80,

87. Monti Costanza - 178, 184. Monti Vincenzo (1754-1828) - 130,

152, 168, 171, 174, 176-82, 183- 187, 192, 194, 205, 213, 218, 220, 222, 223-24, 225, 227, 231, 234, 236, 241, 245-46, 279, 287, 290, 294, 306-07, 316.

Morellet A. - 73. Moreto A. - 94. Moro T . - 350. Mosco - 279. Mozart W. A. - 98, 132. Murat G . - 188, 311, 314. Muratori Ludovico Antonio (in

Arcad. Lamindo Pritanio; 1672- 1750) - 10, 15-16, 18, 20, 45, 53-58, 64, 86, 172, 202.

Muscetta C. - 322.

Napoleone I - 170, 178-80, 185, 194-95, 206, 209, 218, 248, 250,

252-53, 259, 343, 345, 356; in partic. l'Impero napoleonico - 170, 178-79, 250-51.

Napoleone I1 (l ' Aiglon ») - 345. Napoleone I11 - 346. Napoli Signorelli Pietro (1731-

1815) - 148. Naranzi Costantino - 205. «natura, rapporto con ;a » - 14,

66, 238, 284-85, 288, 303, 313, 318, 329-30.

« naturalismo »: 6 rinascimentale » - 61; rousseauiano - 81, 85, 217.

~ e i i . .1acopo Angelo ( 1673-1 767) - 39.

~ e n c i n i Eleonora - 194. « neoclassicismo >> - 23, 66, 71, 85,

98, 100, 102-03, 106, 138, 149, 152, 168-91, 192, 211, 218, 223, 227, 239, 245-46, 249, 276, 279, 305, 330.

« neoplatonismo » (v. « platoni- smo D).

Neri Pompeo (1706-1776) - 68, 76. New Monrhly Magazine (riv. in-

glese) - 196. Newton I . - 16, 24, 60, 74, 78, 82. Niccolini Giambattista (1782-1861)

- 130, 263, 350. Nicole P. - 12. Nicolini Giuseppe - 235-36. Nievo Ippolito (1831-1861) - 331,

334, 340-43, 344, 348, 353. Notizie de' letterati (period.; Pa-

lermo) - 80. Novalis - 217-18, 238. Novelle letterarie, Le (period.; Fi-

renze, 1740) - 220, 223. Nuova Antologia (period.; Firenze,

1866) - 130. Nuovo Ricoglitore, I1 (period.; Mi-

lano) - 280, 295-96, 332.

Omero - 14, 21, 47-48, 106, 171- 172, 175, 177, 179, 182, 186, 196, 208, 213, 220, 279, 290.

Orazio - 41, 92, 104, 168, 171, 244-45, 329.

Orsi Gian Giuseppe Felice (1652- 1733) - 10-11.

Page 392: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

h letteratura italiano

Ortes Giammaria (1713-1790) - 76. Osservatore veneto, L' (period.;

Venezia, 1761-62) - 91. Ossian (v. inoltre Macoherson T.)

- 23, '71, 95-97, 151; 171, 183: 185, 215, 291.

Ottoboni Pietro, card. - 28. Ovidio - 25, 32, 139.

Pacuvio - 21. Padula Vincenzo (1819-1893) - 347. Pagano Francesco Mario (1748- 1799) - 80-81, 87-88.

Pallavicini Stefano Benedetto - 245. Pallavicini Luigia - 194, 207. Pallavicino Trivulzio Giorgio Gui-

do (1796-1878) - 350. Palmieri Giuseppe (1721-1793) -

R l ~ a n a n t i Filippo (1766-1837) - 185. « panteismo » (v. « filosofia D). Paoli Pasquale - 76, 338-39. Paolini Massimi Petronilla (1663- 1726) - 24.

Paolino da Nola - 54, Paolo Veneto - 40. Paolucci Giuseppe - 20. Paradisi Agostino (1736-1783) - 103. Pariati Pietro - 28. Parini Giuseppe (in Arcad. Ripa-

no Eupilino; 1729-1799) - 67-68, 90. 103-04. 106-07. 129-47. 148. 168, 175, '194, 205, 207,' 210; 243, 245-47, 308, 324, 329, 351.

Parino Anna Maria, ved. Lattua- da - 131.

Parino Francesco Maria - 131-32. Parlomento ottaviano, Il (period.;

Torino - 75. « parnassiani, poeti » - 329. Parnell Th. - 103. Pasca1 B. - 248. Pascoli G. - 327. 329. Passeroni Gian Carlo ( 1713-1803 )

- 104. Pecchio Giuseppe (1785-1835) - 230. 233.

~ell ico Silvio (1789-1854) - 193, 196. 225. 230-32. 239, 304, 306- . .

308; 326, 349-50. Pepe Guglielmo (1783-1855) - 311,

349. Pepoli Carlo (1796-1881) - 280. Pers Ciro di (1599-1663) - 8. Perticari Giulio ( 1779-1822) - 176, 184-85, 316.

Petrarca Fr. - 8, 10, 12-13, 15-16, 18, 23-24, 41, 84, 139, 158, 168, 172, 182, 196, 199-200, 205, 226, 236, 281, 290, 293.

« petrarchismo » - 8-9, 16, 21-25, 83-84, 88, 180, 182, 199.

Petronio G. - 117. Peyron A. - 282. Pezzoli Giovanni - 245. « philosophes » (v. inoltre Ency-

clopédie e u illuminismo »: u ill. francese ») - 63, 68, 73, 82, 89, 95, 108.

Piatti, edit. - 282, 301. Piazzetta G. B. - 169. Pietro Leopoldo di Toscana - 76- 77.

Pignotti Lorenzo (1739-1812) - 105. Pikler Teresa - 177-78, 181, 194. Pilati Carlantonio (1733-1802) - 74. Pindaro - 9, 172, 249. Pindemonte Giovanni ( 1751-1812) -

186. Pindemonte Ippolito (1753-1828) -

Pio VI (papa) - 132, 177. Pio VI1 (papa) - 250. Pisacane cari0 (1818-1857) - 314, 349, 355-56.

Pisani Giorgio - 76. Platone - 42: 44, 87, 172, 188-89, 282. 296.

u platonismo - 21, 42, 200; «neo- platonismo » - 41.

Plauto - 43. Plotino - 279. Plutarco - 166, 172, 339. Poerio Alessandro ( 1802-1848) -

Poerio Carlo - 31 1. Poerio Giuseppe - 311. Politecnico, Il (period.; Milano, 1839-44; 1859-64) - 354-55.

a politici, scritti » - 9-10, 56-59, 62, 65, 69, 76-77, 80, 132, 136,

Page 393: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Indice ana/ifico 397

Pope A. - 16, 27,' 103, 105, 144. << popolare, letteratura )> (nella !e!-

ter. romantica; v. a romantici- smo »: u letterat. popolare »).

Porcia, conte (v. Artico Giovanni, conte di).

Porpora N. - 29. Porro Lambertenghi Luigi (1780-

1860) - 230. Porta Carlo (1776-1821) - 227, 304,

318-21, 323, 325. Porta Gaspare - 320. u positivismo » (v. a filosofia n). a postbarocco » (v. barocco »). Praga Emilio (1839-1875) - 346. Prati Giovanni (1814-1884) - 325,

326-28, 336, 352. a prearcadismo » - 9, 14, 19, 22. u preiiiuminismo » - 27, 82. << preromanticismo » - 30, 66, 68,

70, 100-01, 103, 105-06, 145-46, 151-52, 168, 177, 180-81, 185-86, 192-93, 206, 215, 302, 326.

Primo Girolamo - 230. Prina G. - 195. Properzio - 245. a protestantesimo » - 53, 60, 249. Puoti Basilio (1782-1847) - 175-76,

349.

Quadrio Francesco Saverio (e pseud. Andrucci Giuseppe Maria; 1695- 1756) - 18.

u " querele " letterarie )> (oltre alle voci u classicismo », « neoclassi- cismo » e a romanticismo », in particolare nell'ambito europeo): a querela degli antichi e dei mo- derni » - 41-42, 172, 215, 222, 227; (nell'ambito delle lett. ita- liane): « q. col Bouhours » - 10, 15-18; « q. con la Stael » (dal genn. 1816) - 214, 218-27, 287 s e , 291-92.

Querini Angelo - 76.

questione della lingua n (v. lin- gua, questione della »).

Quinault Ph. - 28. Quirini Girolamo - 92.

Rabany Ch. - 124. Racine J. - 16, 28, 37. Radicati Alberto - 64. Raffaello - 328. u Ragunanza degli Arcadi )> (Roma,

5 ott. 1690) - 19-21, 23-24, 26. Ranieri Antonio (1806-1888) - 282,

333. Rasori Giovanni - 230-31. « razionalismo » - 7, 9-13, 15, 22,

28, 30, 37, 41, 43, 60-62, 65-66, 84-85, 90, 95, 121, 135, 151, 168, 188, 217, 221, 249, 276.

Réaumur R. - A. F. de - 60. Redi Francesco (1626-1698) - 9,

20. Regaldi Giuseppe - 306, 308.

ieligiose, letteratura e problema- tica » (v. inoltre « cattolicesi- mo B; per il u giansenismo » e il << protestantesimo W , v. questi) - 8-10, 12, 23, 50, 52-56, 58-59, 78, 115, 135, 183-84, 226, 239, 241, 243-44, 247-49, 253-54, 2 i 7 258. 259-60. 266-67, 271, 285-

~ezzonico Carlo Castone della Tor- re di (1742-1796) - 99-100.

Ricci Angelo Maria (1776-1850) - 183-84.

Riccoboni M. - 120. Rinaldo I d'Este - 54. Ripamonti G. - 262-64. Ripano Eupilino (v. Parini Giusep-

pe). Risorgimento italiano (oltre che

passim nella Parte seconda del testo, in partic.) - 191, 198, 225, 227, 234, 252, 258, 272-73, 292, 313-14, 334-35, 338, 341, 343, 349, 353-54, 356.

Rivoluzione francese - 70, 120, 133, 154-56, 170, 177-78, 185, 226, 231, 272-74.

Page 394: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

La letteratura italiana

Roberti Giambattista (1719-1786) - 104.

Robertson W. - 80. Rocca, marchesi - 41. Rochefort M. - 182. << rococò V - 23, 66, 100, 103, 109, 169.

~ ~ i l i - . ~ a o l o (1687-1765) - 25-27, 109, 169, 173.

Romagnosi Giandomenico . ( l 761- 1835) - 190, 230, 235.

<( romanticismo V - 22. 40. 68. 90.

183; 185, 1'87, i91, 193, 202; 207, 210-11, 213-14, 21540, 241, 248, 251, 25237, 276-78, 286, 287-92, 302, 304-30, 331 sgg., 347 sgg.; letterat. popolare » - 229, 239, 318, 325; letterat. sepolcrale e delle rovine >> - 66, 71, 106, 151, 170, 180, 185, 215, 217, 302; « preromantici- smo » (v. questo); « romantic. francese » - 248; u r. inglese » - 217-18; << r. tedesco P - 151, 216- 217, 218, 228, 238 (e in partic. « Sturm und Drang » - 151, 217); I< secondo romanticismo » - 324-30, 336.

« romanzo storico » - 70-71, 233, 23437, 239, 241, 244, 261-72, 308, 310, 315-16, 33146, 357.

Roncioni Isabella - 194, 206. Rosini Giovanni (1776-1855) - 333. Rosmini A. - 237, 256, 273, 309. Rossari Luigi - 321. Rossetti Cristina - 314. Rossetti Dante Gabriele - 314. Rossetti Gabriele (1783-1854) - 199,

307, 313-14, 356. Rossi Martinetti Cornelia - 194. Rossini G. - 220. Rousseau J.-J. - 61-62, 75, 81, 101.

171. 202. 205. 217. 236. ~ o v a n i ~ i i s e ~ ~ e (1818-1874) - 334,

344-46. Ruceliai G. - 184. Rufini Giovanni (1807-1881) - 334,

348, 353. Russe1 Carolina - 196. Ruysch F. - 299.

Sacchi Defendente - 333. Sacchi Giovanni Antonio - 92, 94. Sa%o - 70, 172, 280, 288, 293,

30 L71.

Sainte-Beuve Ch.-A. de - 277-79. Salfi Francesco Saverio (1759-1832)

- 189, 352. Sallustio - 41, 154, 346. Salvini Anton Maria - 20. Salvioni Margherita - 114. Sarnmartini G. B. - 131. Sanchini Sebastiano, abate - 278. Sannazaro I. - 17475. a satirica, letteratura W - 84, 92-94,

105, 110, 134, 141, 143 sgg., 154-55, 157, 159-61, 185, 213-14, 225, 231, 245, 279-81, 283, 318- 324, 338, 343.

Savioli Fontana Ludovico (1729- 1804) - 102-03, 109, 169.

Savoia. Casa di - 8. 326. ~avonarola G. - 335. Scalvini Giovita (1791-18431 - 193.

202, 236, 239,'304, 310-il, 351: u Scapigliatura W (mov. letter.; Mi-

lano, Torino, 1860 sgg.) - 344, 346.

<< scetticismo P (v. filosofia »). Schelling F. W. J. - 218. Schettini Pirro (1630-1678) - 8. Schiavo Biagio (1675-1750) - 16,

24. 88. ~chilier F. - 171, 218, 226-27, 231. Schlegel A. W. - 150, 217-18. 223. . .

236: Schlegel F. - 217-18. Schopenhauer A. - 277. « scientifica, letteratura » (v. inol-

tre sotto la voce u tillosofia W per le correnti del pensiero scien- tifico) - 7-9, 11, 23-24, 4344, 60-61, 74, 78, 82, 86, 98-99, 104-05, 14041, 190, 223, 329- -5 30.

. ,

333. Scrofani Saverio (1756-1835) - 100.

scuola romana, csd. W (poet. otto- centesca) - 330.

Secchi Pietro (1734-1816) - 69. Seperi Paolo (1624-1694) - 137. Segneri Paolo junior - 56.

Page 395: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Indice analitico

Seneca - 54, 163. << sensazionalismo » (v. N filosofia D). N sensismo (v. << filosofia P). << sepolcrale, letteratura » (v. << ro-

manticismo P: N letter. sepolcrale e delle rovine P).

Serbelloni, duchi - 131, 243. Serbelloni Gabrio - 131. Serbelioni Gian Galeazzo - 131. Serbelloni Maria Vittoria - 131,

243. Serristori Luigi - 230. Settembrini Luigi (1813-1877) -

348-49, 352. Sforza Giovanni - 262. Shaftesbury A. A. C. of - 62. Shakespeare W. - 16, 37-38, 70,

90. 161, 171. 186, 217, 226, 242, 308.

Simonide - 280-81. Sismondi J.-Ch.-L. S. de - 150, 223,

230. Soave Francesco, padre (1743-1806)

- 173, 244, 248. Socini Lelio e Fausto - 60. Sofocle - 21, 172. Soresi Domenico - 137. Southey R. - 288. Spallanzani Lazzaro (1729-1799) -

60, 99. Spathys Diamantina - 193. << sperimentalismo» (v. << filosofia P). Spettatore, Lo (period.; Milano) -

223. Spinelli Paolo - 115. Spinoza B. - 52. Spolverini Giambattista (1695-

1762) - 104. Stael Holstein A.-L.-G. de - 171,

214, 218-23, 225, 230-31, 291. Stampa Teresa - 263, 274. Stampiglia Silvio - 19-20. Starita, edit. - 283, 295. Steele R. - 230. Stella Antonio Fortunato, edit. -

Stendhal - 203, 223, 343. Sterne L. - 195, 213-14, 219, 225,

348. Stolberg d'Albany Luisa - 153, 155,

158. << storiografia - 15, 40, 42, 44-52,

55-58, 63, 71-72, 75, 86, 97, 156, 178, 186, 187-90, 196, 225-26, 237, 254, 259-61, 264, 268-69, 272-73, 274, 308, 314, 316, 326, 346, 352-58; << dramma storico » (V. teatro'»); << romanzo stori- co » (v. questo).

<< storiografia letteraria (v. inol- tre critica letteraria ») - 14, 18, 56,75,83,86,89, 100, 189, 196, 199, 218, 352, 357.

Strassoldo Giulio Giuseppe - 231. Strocchi Dionigi - 185. << Sturm und Drang » (v. roman-

ticismo »: N r. tedesco »). Suarez Francesco - 40.

Tabarrini Marco - 353. Tacito - 41-42, 44, 190. Taja Agostino Maria - 20. Tanucci Bernardo, marchese - 77. Tanzi Carlantonio (1710-17621 - - . - -

106, 107, 138. Tarchetti Iginio Ugo (1839-1869) -

346. ~ a i g k n i Tozzetti Fanny - 282, 301-

302. Tasso T. - 10. 12. 29. 34, 84. 107.

139, 159, '196; 199, 238,' 293; 299, 309.

<< teatro n 14. 16. 24. 27-39. 58. 70-

34647, 350-51; << Ckmédi'e Ita- lienne » - 119, 127; << commedia » - 24, 37, 38-39, 79, 92-93, 98, 114 sgg., 155, 159-61, 350-51; « C . dell'arte » - 38-39, 11617, 119. 124; <<C. di ambiente » - 115, 117; «i. di caratteri » - 115, 117-18; << dramma musicale D -

26, 98, 115, 117; << d. storico » - 351; << melodramma » - 27-37, 98, 124, 127, 132, 178; teatro classico >p - 37-38, 90; << t. del '500 » - 38, 161; << t. francese » - 16, 37-38, 90, 161, 237, 291,

Page 396: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

400 La letteratura italiana

325; « t. inglese n - 90, 161; Teatro Ducale di Milano - 132; T. San Carlo di Napoli - 314; T. San Luca di Venezia - 118; T. San Samuele di Venezia - 119; T. Sant'Angelo di Vene- zia - 118: << tragedia » - 14. 24, 37-38, 70L71, 8 4 101, 105,.117; 127-28, 148-51, 153-54, 158-59, 16145, 172, 177, 186, 193-95, 208, 236-37, 241-42, 253-54, 259- 261, 269, 271, 279, 307, 339, 350; « tragicommedia n - 94, 127.

Tedaldi-Fores Carlo (1793-1829) - 224, 234.

Telesio B. - 41, 108, 312. Temple W. - 16. Tenca Carlo (1816-1883) - 351-52. - .--- -

Teocrito - 139, 172. Teofrasto - 91. Terenzio - 21, 155. Tesauro E. - 8. Thompson J. - 151. Thomson T. - 103. Tibuilo - -245. Tiepolo G. - 169. Tiraboschi Girolamo (1731-1794) -

83. 148. ~ i r s o de Molina - 94. Tommaseo Niccolb (1802-1874) - 149, 224, 236, 239, 242-43, 251, 277, 304, 306, 308, 310-13, 315- 318, 333, 343, 351, 353, 357-58.

Tommaso d'Aquino, san - 115. Torelli P. - 37. Torlonia Giovanni - 330. Tornieri Arnaldo I Arnaldi - 173. Tornieri Arnaldo I1 - 173. Tornieri Lorenzo - 173. Torti Giovanni (1774-1852) - 309, 318.

<< traduzioni >>: dai classici n - 9, 54, 83, 106, 154-55, 159, 171-74, 177, 179, 182, 186, 196, 208, 212-13, 220, 244, 245, 279, 294; << dai moderni » - 26, 70, 95-97, 151, 171-74, 185, 195, 212, 213- 214. 215. 219-20. 225-26, 228,

, .

« tragedia » (v. << teatro P). tragicommedia n (v. u teatro »).

Trapassi Leopoldo - 30.

Trapassi Pietro (v. Metastasio Pie- tro).

Trissino G. G. - 28. Tron Cecilia - 141. Troya Carlo (1784-1858) - 355,356. Tucidide - 172. Turgot R.-J. - 61.

Ueber Kunst und Alterthum (pe- riod. tedesco) - 241.

Ugoni Camillo - 200, 352. << umanesimo n (antico e moderno)

- 8, 22, 103-04, 171-72, 245, 354. UniversitA: di Bonn - 282; di

Ferrara - 177; di Modena - 115; di Napoli - 41, 45, 78, 80, 184, 349; di Padova - 95, 115, 316, 329, 341; di Palermo - 107, 309; di Parma - 132; di Pavia - 104, 140, 178, 195, 198-99, 218, 354; di Pisa - 323.

Valadier G. - 170. Valletta Giuseppe - 12. Vallisnieri Antonio - 59. Valperga di Caluso Tommaso - 221. Vannetti Clementino - 103. Vannucci Atto (1810-1883) - 353. Varano Alfonso (1705-1788) - 101. Varese Carlo - 333. Vasco Dalmazzo Francesco (1732- 1794) - 76.

Vasco Giambattista (1733-1796) . 76.

Vendramin, fratelli - 118. Venini Francesco - 245. Verga G. - 341. Verri Alessandro ( 1741-1816) - 69.

70-72, 73, 95, d4, 106, 331. '

Verri Gabriele - 68. Verri Giovanni - 243. Verri Pietro (1728-1797) - 66, 68-

70, 72-73, 80, 87, 90, 95, 104, 106, 129, 131, 134, 136-37, 148, 151, 176, 243, 344.

viaggio, letteratura di P - 98, 99- 100, 103, 311.

Vicinelli Iacopo - 20. Vico Gennaro - 45. Vico Giambattista (in Arcad. Lan-

Page 397: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Indice analitico

filo Terio; 1668-1744); - 13, 17, 40-51, 62, 80-81, 87, 187-88, 202, 215, 223, 228, 235-36, 276, 355.

Vieusseux Giampietro (1779-1863) - 187, 196, 234, 281, 316, 357.

Virgilio - 21, 32, 41, 83-85, 91, 139, 155. 159. 168. 171-75. 184. 244- , , 245; 279; 296 294.

Visconti Ennio Quirino ( 1751-1818) - 71, 220.

Visconti Ermes (1784-1841) - 216, 225-27. 230. 253-56. 262.

Visconti,'f&iglia - 332-33, 336-37. Viti Paolo Antonio - 20. Vittoreiii Iacopo Andrea (1749-

1835) - 102, 103, 109, 185. Vittorio Amedeo I1 (re di Sarde-

gna) - 74. Vittorio Amedeo I11 (re di Sar-

degna) - 75. Vittorio Emanuele I1 (re d'Italia)

- 274. Vocabolario della Crusca - 95, 175-

176. Volney C.-F. - 71. Volta A. - 190.

Voltaire - 61-63, 75, 87, 90, 104, 161, 171, 178, 248, 348.

Voss J. H. - 220.

Webb D. - 169. Werner Z. - 348. Winckelmann J. J. - 71, 103, 169. Wordsworth W. - 218.

Young E. - 66, 71, 101, 151, 215, 217.

Zaiotti Paride - 224, 227, 233. Zanella Giacomo (1820-1888) - 329-

330. Zanotti Francesco Maria (1692-

1777) - 24, 82. Zanotti Giampietro (1674-1765) -

24. Zappi Giambattista Felice (1667-

1719) - 20, 24-25, 169. Zeno A~ostolo (1668-1750) - 20.

Page 398: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo
Page 399: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

Parte Prima ARCADIA E ILLUMINISMO (d i D. Consoli)

I. TRA SEI E SETTECENTO . . . . . . . . . . W&! 7 La crisi del barocco, 7 - ~a nuova cultura: teorici, critici, trattatisti, 10.

11. L'EPOCA ARCADICA . . . . . . * 19 L'Arcadia, 19 - Aspetti e motivi deila'lirica'arcadica, 23 - I1 melodramma e il Metastasio, 27 - La tragedia e la commedia, 37.

111. DALL'ARCADIA ALL'ILLUMINISMO: FILOSOFIA, STORIO- GRAFIA, ERUDIZIONE . » 40 Vico, 40 - Giannone, 5i - '~"raior;, 5'3 ~ a i e i , '58:

IV. L'EPOCA ILLUMINISTICA . . . . . . . . . » 60 Genesi, carattere, . motivi del pensiero illuministico, 60 - L'Illuminismo in Italia, 64 - Illuminismo lombar- do, 67 - Illuminismo piemontese, veneziano, toscano, 74 - Illuminismo napoletano, 77 - La nuova lettera- tura, la riflessione sulla poesia, la critica, 81 - I due Gozzi, 90 - La crisi linguistica del Settecento, 94 - Letteratura minore: teatro, scritti autobiografici e scientifici, racconti di viaggi, 98 - La lirica e altre for- me di poesia del secondo Settecento, 100.

Parte Seconda DAL GOLDONI AI ROMANTICI (d i G. Petrocchi)

. . . . V. CARLO GOLDONI . . . . . 113 La vita e l'opera teatrale, 114 - arte del Goldoni, 120 - Stile e comicità del Goldoni, 122 - I personaggi goldoniani, 124.

VI. GIUSEPPE PARINI . . . . . . . . . . W 129 La vita, 131 - Parini e 1'1lluminismo~ l33 - Estetica e linguistica pariniana, 137 - Ripano Eupilino, 139 - Le u Odi », 140 - La poesia del Giorno », 143.

Page 400: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

h letteratura italiana

VIII.

IX.

X.

XI.

XII.

XIII.

XIV.

xv.

Bibliogr

Indice

VITTORIO ALFIERI . . . . . . . . . pag. 148 I1 mito dell'Alfieri, 148 - Alfieri tra Settecento e 0 t - tocento, 150 - Biografia dell'Alfieri, 152 - Gli scritti politici, 155 - Le u Rime n, 157 - L'Alfieri minore, 159 - Le tragedie, 161 - La poetica alfieriana, 166.

IL NEOCLASSICISMO E IL MONTI . . . . . . . » 168 I neoclassici e la letteratura antica, 170 - La que- stione deiia lingua, 175 - I1 Mpnti, 177 - I1 Monti letterato e poeta, 179 - La poesia neoclassica, 182 - I1 Pindemonte, 185 - Prosatori neoclassici, 186.

. . . . . . UGO Fosco~o . . . . . . m 1 9 2 Vita e opere, 193 - ~a personalità del Foscolo, 197 - Foscolo critico, 198 - L'« Ortis N, 202 - Storia della poesia foscoliana, 205 - Foscolo traduttore, 212.

ALESSANDRO MANZONI . . . . . . . . N 241 Manzoni nel suo tempo, 241 '- ~a giovinezza lettera- ria, 243 - La conversione religiosa, 249 - Manzoni e il Romanticismo, 252 - Gli << Inni Sacri » e le Odi », 257 - Le tragedie, 259 - << I Promessi Sposi »: storia della composizione, 261 - L'arte dei u Promessi Sposi », 264 - Scritti storici e linguistici, 272.

GIACOMO LEOPARDI . . . . . . . . . . . . N 276 Leopardi nel suo tempo, 276 - L'attività letteraria e la vita, 278 - I1 pensiero leopardiano, 283 - I1 Leo- pardi e le polemiche romantiche, 287 - Le << Canzoni », 292 - Dagli u Idilli » ad << Aiia sua donna », 294 - Le << Operette morali », 297 - I grandi canti del 1828-30, 299 - La stagione fiorentina, 301 - L'ultimo Leopardi, 302.

I POETI ROMANTICI . . . . . . » 304 I minori, 304 - Niccolò ~ommaseo, 315 - 'Cailo 'porta, 318 - Giuseppe Gioacchino Belli, 321 - Giuseppe Giu- sti, 323 - I secondi romantici, 324 - Giovanni Prati, 326, - Aleardo Aleardi, 328 - Giacomo Zaneila, 329.

IL ROMANZO STORICO . . . . . . . . . ~ 3 2 1 Francesco Domenico ~uerrazzi , 338 - polito Nievo, 340 - Giuseppe Rovani, 344.

PROSATORI, DRAMMATURGHI E SCRITTORI POLITICI . . » 347 Il teatro, 350 - La critica letteraria, 351 - Scrittori p litici e storici, 352.

analitico . . . . . . . . . . . . . . . . » 385

Page 401: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

PIANO GENERALE DELL' ENCICLOPEDIA

6 Le letterature del mondo » è una collana organica di storie letterarie articolata in cinquanta volumi. L'opera costituisce un punto di riferi- mento fondamentale per la conoscenza dell'immenso patrimonio letterario accumulato dall'umanità nel corso dei secoli.

* Sono segnati con asterisco i volumi già usciti

Le letterature dell'Europa * 1. SALVATORE BATTAGLIA (pia

deli'università di Napoli), La letteratura italiana, Medio- evo e Umanesimo (tomo I ) ; S. BATTAGLIA, GIANCARLO MAZZACURATI, Rinascimento e Barocco (tomo 11)

* 2. D. CONSOLI (dell'università di Macerata), GIORGIO PE- TROCCHI (dell'università di Roma), La letteratura italiana, Arcadia, Illuminismo, Roman- ticismo (tomo 111); GIAN- FRANCO CONTINI (dell'univer- sità di Firenze), Il Novecento (tomo IV ì

* 3. ANTONIO VISCARDI (dell9Uni- versità di Milano e deli'Ac- cademia dei Lincei), Le let- terature d'Oc e d'Oeil

* 4. GIOVANNI MACCHIA (dell'uni- versita di Roma e dell'Acca- demia dei Lincei), tomo I , La letteratura francese dal tramonto del Medioevo al Rinascimento; tomo 11, Dal Rinascimento al Classicismo

* 5. GIOVANNI MACCHIA, LUIGI DE NARDIS (deli'università di Milano), MASSIMO COLE- SANTI (dell'Università di Ro- ma), La letteratura francese dall'Illuminismo al Romanti- cismo (tomo 111); GIOVANNI MACCHIA, MASSIMO COLE- SANTI, Il Novecento (tomo IV)

* 6. CARMELO SAMONÀ (dell'uni- versità di Roma), ALBERTO VARVARO (dell'università di Napoli), La letteratura spa- gnola dal Cid ai Re Cattolici

* 7. CARMELO SAMONÀ, GUIDO MANCINI, FRANCESCO GUAZ- ZELLI, ALESSANDRO MARTI- NENGO, La letteratura spa- gnola, I secoli d'oro (tomo 11); MARIO DI PINTO (del- l'università di Napoli), Ro- SA ROSSI (dell'università di Catania), Dal Settecento a og- gi (tomo 111)

* 8. FRANCESCO PICCOLO (dell'uni- versità di Roma), La lettera- tura portoghese

* 9. GINO LUPI (già deUIUniver- cita di Milano), La lettera- tura romena

* 10. GUIDO CALGARI (del Politec- nico di Zurigo), Le quattro letterature della Svizzera

* 11. ANTONIO MOR (dell1Universi- tà di Genova) e JEAN WEIS- GERBER (deli'università di Bruxelles), Le letterature del Belgio

* 12. J. C. BRANDT CORSTIUS (del- l'università di Utrecht) e GERDA VAN WOUDENBERG (dell'università di Roma), La letteratura olandese

* 13. CARLO GRUNANGER (dellPUni- versità di Firenze), La lette- ratura tedesca medievale

Page 402: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

* 14. VITTORIO S A N ~ L I (dell'Uni- versittì di Firenze), La lette- ratura tedesca moderna con un'analisi della letteratura contemporanea di Marianel- lo Marianelli

* 15. MARIO PRAZ (dell'Universittì di Roma e dell'Accademia dei Lincei), La letteratura in- glese dal Medioevo all'lllumi- nismo

* 16. MARIO PRAZ, L<I letteratura inglese dai romantici al No- vecento

* 17. MARIO GABRIELI (delllIsti- tuto Universitario Orientale di Napoli), Le letterature del- la Scandinavia (danese-norve- gese-svedese-islandese)

* 18. LAVINIA PICCHIO BORRIE- RO (dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli), La let- teratura bulgara con un pro- filo della letteratura paleo- slava

* 19. RICCARDO PICCHIO (dellBUni- versità di Roma), La lettera- tura russa antica

* 20. ETTORE LO GATTO (del19Uni- versittì di Roma e dell'Acca- demia dei Lincei), La lette- ratura russa moderna

* 21. ETTORE LO GATTO, La lette- ratura russo-sovietica

* 22. MARINA BERSANO BEGEY (del- l'università di Torino), La letteratura poiacca

* 23. BRUNO MERIGGI (dell'uni~er- sittì di Milano), Le letterature ceca e slovacca con un profilo della letteratura serbo-lusa- ziana

* 24. BRUNO MERIGGI, Le lettera. ture della Jugoslavia

* 25. F o ~ c o TEMPESTI (dell'Uni- versith di Torino), La lette- ratura ungherese

* 26. Le letterature dei Paesi Bal- tici (Finlandia, Estonia, Let- tonia, Lituania) sotto la di- rezione di GIACOMO DEVOTO (dell'Universittì di Firenze e deli'Accademia dei Lincei)

* 27. BRUNO LAVAGNINI (dell'Uni- versittì di Palermo e dell'Ac- cademia dei Lincei), La lette- ratura neoellenica

Le letterature dell'Asia e d ell'A f rica

* 28. SERGIO DONADONI (dell'uni- versittì di Roma), La lettera- tura egizia

* 29. GIOVANNI RINALDI (dell9Uni- versità di Trieste), Le lette- rature antiche del Vicino Oriente (sumerica, assira, ba- bilonese, ugaritica, ittita, fe- nicia, aramaica, nord e sud arabica)

* 30. ENRICO CERULLI (dell'Acca- demia dei Lincei), La lette- ratura etiopica con un profi- lo delle letterature dellJOrien- te cristiano

* 31. FRANCO MICHELINI TOCCI (dell'università di Venezia), La letteratura ebraica

* 32. FRANCESCO GABRIELI (del- 1'Universittì di Roma e del- l'Accademia dei Lincei), La letteratara araba

* 33. ALESSIO BOMBACI (deiilIsti- tuto Universitario Orientale di Napoli), La letteratura tur- ca con un profilo della lette- ratura mongola di L. Hambis

* 34. ANTONINO PAGLIARO (del19Uni- versittì di Roma e deU'Acca- demia dei Lincei), ALESSAN-

Page 403: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

DRO BAUSANI (dell'Istituto Universitario Orientale di Na- poli e dell1Accademia dei Lin- cei), Lo letteratura persiana

* 35. ALESSANDRO BAUSANI, Le let- terature del Pakistan (urdu, panjabi, sindhi, beluci, benga- li-pakistana) . Lo letteratura afgana (pasc'to)

* 36. VITTORE PISANI (dell1Univer- sità di Milano). L. P. MISHRA (del19~ni;ersità di Venezia). Le letterature del- l'India con un profilo della letteratura del Tibet di Giu- seppe Tucci (presidente del- 1'Is.m.e.o.)

* 37. ALESSANDRO BAUSANI, Le let- terature del Sud-Est Asia- tico (birmana, siamese, lao- tiana, cambogiana, vit+tnamita, giavanese, malese-indonesiana, filippina)

* 38. MARCELLO MUCCIOLI (del- l'Istituto Universitario Orien- tale di Napoli), Lo letteratu- ra giapponese. Lo ietteratura coreana

* 39. GIULIANO BERTUCCIOLI (già Research Feiiow all'univer- sità di Hong Kong), Lo let- teratura cinese

Le letterature delle Due ;clrneriche

* 40. CARLO IZZO (deiiPUniversità di Bologna), La letteratura nord-americana

* 41. GIUSEPPE BELLINI (dell9Uni- versità di Venezia), Lo lette-

ratura ispano-americana dalle letterature precolombiane ai nostri giorni

* 42. LUCIANA STEGAGNO PICCHIO (dell'università di Roma), La letteratura brasiliana

Le letterature classiche * 43. RAFFAELE CANTARELLA (del-

l'università di Milano e del- l'Accademia dei Lincei), Lo letteratura greca classica

* 44. RAFFAELE CANTARELLA, La letteratura greca dell'etd elle- nistica e imperiale

45. SALVATORE IMPELLIZZERI (del- l'università di Bari), Lo let- teratura birantina

* 46. ETTORE PARATORE (dell'uni- versità di Roma e dell'Acca- demia dei Lincei), Lo lette- ratura latina dell'etd repub- blicana e augurtea

* 47. ETTORE PARATORE, La lette- ratura latina dell'etd impe- riale

48. LUIGI ALFONSI (dell'univer- sità di Pavia), Lo letteratura latina medievale

* 49. MANLIO SIMON~TTI (dellVUni- versità di Roma), La lettera- tura cristiana antica greca e latina con una introduzione di Giuseppe Lazzati

Letterature varie * 50. FAUSTA GARAVINI (dell'uni-

versità di Bologna), Lo lette- ratura occitanica moderna

Completa l'opera un volume di indici

Page 404: Letteratura Italiana Arcadia Illuminismo Romanticismo

LETTERATURE DEL MONDO 2*

Enciclopedia universale delle letterature diretta da Riccardo Bacchelli Giovanni Macchia Antonio Viscardi

Dornenico Consoli è nato a Palermo La materia di questo terzo tomo tratta nel 1923. Professore d i Letteratura d'uno dei periodi più notevoli della italiana nella Facoltà d i Lettere civiltà moderna, e trova nel Parini e dell'Università d i Macerafa, è autore nell'Alfieri i suoi più rilevanti nova- di commenti alle opere pariniane e . tori. I due mondi dell'Arcadia e del- ai Canti di Leopardi, e d i s fud i e 1'1lluminism0, pur rimanendo distinti saggi. critici, fra i quali nelle loro caratterizzazioni ideologiche Realtà e fantasia nel classicismo di e di gusto, si rivelano ormai comple- G. V. Gravina (1970)) 11 canto XXXII mentari sulla linea d i sviluppo verso del Purgatorio (1970), I1 canto una letteratura ' razionalmente ' chia- XXVII del Paradiso (1 972), ra e stilisticamente eletta, sensibile al- Dall'Arcadia all'Illuminismo (1 972). l'influsso della tradizione classicistica

prima, e poi ' sensisticamente ' attrat- Giorgio Petrocchi, nato a Tivoli nel ta dai problemi della realtà, in una 1921, è ordinario di Letferatura ifaliana vasta cornice di cultura europea, e nella facoltà di Magistero d i Roma. sempre più incline a moduli linguistici È autore d i varie edizioni critiche, sciolti e vivi, aderenti alle esigenze Ira cui quella della Commedia d i della nuova classe borghese in ascesa, Dante (1966-1967), e d i $fudi e saggi già preludenti alla rivoluzione roman- critici, tra i quali tica, la quale si sviluppa lungo una La formazione letteraria di Giovanni l inea sempre crescente d'impegni socio- Pascoli (1953), Ascesi e mistica politici e stilistico-linguistici, e vede trecentescz (1957), La tecnica nel severo rigore formale del Foscolo, manzoniana del dialogo (19>9), nella grande lezione morale e artistica Poesia e tecnica narrativa (1962), del Manzcni, nell'alta ispirazione poe- Itinerari danteschi (1969), Manzoni. tica e nel travaglio ideologico del Letteratura e vita (1971), I fantasmi pardi verso tutti i problemi di Tancredi (1972). letterari e civili della società

con temporanea. . -

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