Leopardi Prosatore

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Leopardi prosatore:le Operette morali

Genesi e progetto letterario delle Operette nell'Europa romantica, individuarne i modelli di scrittura (classici e moderni), favorendone una buona intelligenza dell'ironia e del comico forte leopardiano.

Nato da nobile famiglia, il padre era il conte Monaldo e la madre la duchessa Adelaide Antici, visse la fanciullezza e la prima giovinezza nel nato borgo selvaggio di Recanati, confortato solo dalla presenza del fratello Carlo e della sorella Paolina, ma soprattutto dagli studi. Egli stesso scriver nello Zibaldone di aver trascorso "sette anni di studio matto e disperatissimo". I campi di interesse per lui furono svariati : redasse traduzioni dai greci e dai latini, scrisse opere di erudizione e di filologia, tra i pi importanti:Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica.Sul piano delle idee venne influenzato da letture sulla civilt e la letteratura francese, dalla funzione mediatrice degli scritti di Madame de Stael, che fecero conoscere a Leopardi il romanticismo ed il Rousseau. Si accost anche ai pensatori che favorirono e consolidarono il suo materialismo. Fra i classici sono da citareLuciano, Epitteto, Lucrezio, che influenzarono la sua visione dolorosa e combattiva della vita. Tra i modelli da ricordare vi sono anche:Petrarca, Dante, Tasso, l'Alfieri e il Parini.Mentre scriveva poesie, bisogna tenere a mente la sua corrispondenza epistolare con grandi letterati, comePIETRO GIORDANI,iniziata nel 1817,econ intellettuali stranieri. Due volte Leopardi tent di intervenire nel dibattito contemporaneo sul Romanticismo, in difesa del Classicismo; purtroppo i suoi testi non vennero accolti n dalla Biblioteca Italiana n dallo Spettatore italiano, rimanendo inediti fino al 1906.

Del 1816 laLettera ai Sigg. compilatori della Biblioteca Italiana, che risponde al saggio di Madame de StalSulla maniera e lutilit delle traduzioni, nel quale si invitavano gliItalianiad aprirsi alle moderne letterature europee: vanissimo consiglio, per Leopardi, visto che laletteratura italiana la pi vicina alle uniche letterature universalmente valide: la greca e la latina. Nel 1818 Leopardi approfond la sua riflessione poetica ed estetica componendo (tra gennaio e agosto) ilDiscorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, polemica in risposta alleOsservazioni del Cavalier Lodovico di Breme sulla poesia moderna, pubblicate nello Spettatore italiano del gennaio. Qui Leopardi esprime idee capitali per la propria esperienza speculativa e poetica: in particolare, la fondamentale opposizione tra i concetti di natura e civilizzazione, ai quali si legano da una parte quelli di antichit e fanciullezza (perch quello che furono gli antichi, siamo stati noi tutti ... dico fanciulli), dallaltra quelli di modernit e ragione; inpoesia, la polarit si riscontra tra i Classicisti e i Romantici: se i primi ricercano una poesia vicina alla natura e alleillusioni, semplice, che si esprima con la celeste naturalezza degli antichi (il poeta deve illudere, e illudendo imitar la natura, e imitando la natura dilettare), i secondi sono duramente condannati da Leopardi (vicino alle posizioni dei Romantici europei, non di quelli italiani, progressisti e spiritualisti) perch ricercano unarte attuale, utile, intellettualistica, psicologica, sentimentale e patetica. Alle tesi romantiche sostenitrici di una nuova poesia, svincolata dalle favole degli antichi Leopardi ribatte che la vera poesia pu essere solo il prodotto della fantasia, come era appunto quella degli antichi, la cui condizione naturaleognuno di noi ha sperimentato nellet dellinfanzia.

Il poeta moderno, non riuscendo pi a parlare con la natura, avr il grave compito non di imitarla, ma di manifestarla, ossia di liberarla dalle sovrastrutture della ragione: Lufficio del poeta imitar la natura, la quale non si cambia n incivilisce; che quando la natura combatte colla ragione, e forza che il poeta o lasci la ragione, o insieme colla natura, lufficio e il nome di poeta; che questi pu ingannare, e per tanto deve collarte sua quasi trasportarci in quei primi tempi, e quella natura che ci sparita dagli occhi, ricondurcela avanti, o pi tosto svelarcela ancora presente e bella come in principio, e farcela vedere e sentire, e cagionarci quei diletti soprumani di cui pressoch tutto, salvo il desiderio, abbiamo perduto, onde sia presentemente lufficio suo, non solamente imitar la natura, ma anche manifestarla, non solamente dilettarci la fantasia, ma liberarcela dalle angustie, non solamente somministrare, ma sostituire;. Il poeta continua tracciando progressivamente le differenze tra classici e romantici: Perch in somma una delle principalissime differenze tra i poeti romantici e i nostri(i classicisti), nella quale si riducono e contengono infinite altre, consiste in questo: che i nostri cantano in genere pi che possono la natura, e i romantici pi che possono lincivilimento, quelli le cose e le forme e le bellezze eterne e immutabili, e questi le transitorie e mutabili,quelli le opere di Dio, e questi le opere degli uomini(il progresso).La qual differenza e riluce abbondantemente nei soggetti e nelle descrizioni e nelle immagini e in tutta la suppellettile e il modo e lelocuzione poetica, e in tutto il complesso della poesia, ed chiara, fra le altre cose, per portare un esempio pratico, nelle similitudini, le quali i nostri procurano comunemente di pigliare dalle cose naturali, onde avviene che quelle presso loro sveglino ad ogni poco nella fantasia de lettori mille squisitissime immagini con maraviglioso diletto, ed stato gi notato che le similitudini de sommi poeti sono per lo pi tratte dalle cose campestri; ma i romantici con altrettanto studio singegnano di cavarle dalle cose cittadinesche, e dai costumi e dagli accidenti e dalle diverse condizioni della vita civile, e dalle arti e dai mestieri e dalle scienze e fino dalla metafisica, e fino (quando pare che la similitudine debba fare in certo modo pi chiara la cosa assomigliata) arrivano a paragonare oggetti visibili a questo o a quellarcano del cuore o della mente nostra; perch in sostanza pi chiaro del sole che i nostri cercano a tutto potere il primitivo, anche trattando cose moderne, e i romantici a tutto potere il moderno, anche trattando cose primitive o antiche. Alle differenze contenutistiche, si associano quelle RETORICHE: importante il diverso uso della SIMILITUDINE, forma retorica molto usata a partire dalla poesia diOmero.Le similitudinidei poeti classici sono diverse dalle similitudini dei poeti moderni: [] nelle similitudini, le quali i nostri procurano comunemente di pigliare dalle cose naturali [] ed stato gi notato che le similitudini de sommi poeti sono per lo pi tratte dalle cose campestri; ma i romantici con altrettanto studio singegnano di cavarle dalle cose cittadinesche, e dai costumi e dagli accidenti e dalle diverse condizioni della vita civile, e dalle arti e dai mestieri e dalle scienze e fino dalla metafisica, e fino (quando pare che la similitudine debba fare in certo modo pi chiara la cosa assomigliata) arrivano a paragonare oggetti visibili a questo o a quellarcano del cuore o della mente nostra; perch in sostanza pi chiaro del sole che i nostri cercano a tutto potere il primitivo, anche trattando cose moderne, e i romantici a tutto potere il moderno, anche trattando cose primitive o antiche. Laonde le similitudini di questi tali, e parimente di quasi tutti i poeti inglesi e tedeschi, nella gente che noi chiamiamo di buon gusto, cio naturale, fanno per la pi parte un senso come grossolano cos spiacevolissimo, che mentre ella leggendo saspetta e desidera di scordarsi dellincivilimento, a ogni tratto se lo vede ficcare avanti agli occhi; giacch presso quei poeti che ho detto, in cambio di montagne e foreste e campi e spighe e fiori ed erbe e fiumi e animali e venti e nuvole, troverete del continuo castelli e torri e cupole e logge e chiese e monasteri e appartamenti e drappi e cannocchiali e strumenti manifatture officine dogni sorta, e cose simili. Importante anche il tema della PERSONIFICAZIONE DELLA NATURA dei classici che i romantici non accettavano. I poeti romantici sostenevano, al contrario, che nella natura c' una vitalit, ma non si devono personificare le cose della natura, perch esse hanno una vita AUTONOMA.Leopardi risponde: - Ma come possiamo immaginare una vita diversa dalla nostra?.

Torna cos al valore della Mitologia e al valore della personificazione della natura. Con queste argomentazioni, Leopardi si avvicina inconsapevolmente al dibattito estetico dei grandi poeti inglesi e tedeschi suoi contemporanei. Sempre nel 1817, tra luglio e agosto, e quindi nel pieno della'conversione letteraria' - cio il passaggio dalla pura erudizione filologica alla poesia e al bello, avvenuta nel 1815 -Leopardi scrive le prime note di un privato diario intellettuale. Non sono che appunti, impressioni della realt, destinati forse, come alcuni abbozzi successivi, a composizioni poetiche di genere idillico o bucolico. Un'opera senza nome, e a cui solo molti anni dopo, sar attribuito il non-titolo di ZIBALDONE: in quest'opera, attraverso lo studio delle carte Leopardiane, sono stati individuati ad opera della Cacciapuoti, dei progetti di trattati (trattati sulla letteratura, sulle passioni ecc.). Lo Zibaldone ha la funzione di un'opera letteraria che ci aiuta a comprendere I Canti e Le operette morali. Leopardi, studioso della letteratura greca, aveva apprezzato molto il genere del frammento; definiamo quindi lo Zibaldone opera letteraria anche perch contiene frammenti. Per Leopardi esso un grande magazzino di idee, collegate tra loro da una trama nascosta, cui attingere per la scrittura di altre opere; il poeta compie cos un'opera di organizzazione 'tematica'.Il Leopardi poetautilizza due metodi di scrittura: il primo quello di procedere attraverso gli abbozzi, il secondo quello di appuntare. Nella contemplazione della natura (LA POESIA E' IMITAZIONE DELLA NATURA), egli prendeva coscienza del fatto che il poeta nella sua poesia dovesse MANIFESTARE la natura, non descriverla. Questi appunti vennero utilizzati per la stesura dei 'Canti' e degli 'Idilli Giovanili', ma anche per 'Gli Idilli della maturit'. Gli appunti verranno utilizzati, quindi, anche nella seconda stagione poetica (non sono semplici appunti, ma un metodovero e proprio). Questa metodologia viene applicata anche allo Zibaldone. Non bisogna, inoltre, tralasciare la grandezza delle fonti che il poeta utilizza; per gli Idilli, Leopardi si ispira a Teocrito e Mosco, importanti continuatori del genere bucolico. Il poeta ne interiorizza il quadro dell'Idillio e il concetto della contemplazione della natura. Riflettendo per sull'impostazione dell'idillio tradizionale, si rese conto dell'esigenza di una revisione della struttura dell'idillio greco-antico, data l'eccessiva descrittivit. Leopardi afferma che la natura debba essere colta nel suo concreto manifestarsi, eliminando l'eccesso descrittivo-dialogico. La funzione dell'idillio quella di permettere al poeta di esprimere il proprio IO INTERIORE, il proprio sentimento, le proprie percezioni, quello che lui chiama 'il proprio mondoINTERIORE EMORALE'; una riflessione che non sterile, che caratterizza l'uomo come essere dotato d'immaginazione, di sensibilit, di fantasia e RAGIONE. Il poeta non pu restare al di fuori del quadretto descrittivo, ma deve inserirsi all'interno del quadro dell'idillio, in modo che il lettore possa individuare il poeta PRESENTE, un poeta che vive quello che accade contemplando la natura (Processo di interiorizzazione della scrittura). L'ora prediletta della contemplazione l'ora notturna. Da dove contempla il primo Leopardi? Dal borgo nato di Recanati; si tratta cos di un notturno concreto e non astratto. Mosco e Teocrito gli insegnano a contemplare la natura, attraverso un metodo concreto che si basa sull'esperienza della realt. Leopardi nel 'discorso sopra Mosco', esprime la superiorit soggettiva di Mosco rispetto Teocrito. Mosco colui che oltre a tenere il contatto con la natura riuscito ad intervenire sulla stessa attraverso l'arte (Riflessione sul binomio ARTE-NATURA, rapporto che sar molto elaborato nel discorso diUn italiano intorno alla poesia romantica,del 1818, periodo nel quale Leopardiapprofondir il concetto di imitazione della natura: i romantici imitavano IL PROGRESSO, non esercitando pi quella sensibilit che afferrava la natura attraverso l'immaginazione). Mosco coglie la delicatezza, un rapporto con la natura accoppiato all'arte dello studio retorico. Teocrito ha un approccio alla natura pi rozzo. Io preferisco le graziose e colte poesie di Mosco, 'gratioso' un aggettivo di grande importanza (Oh 'gratiosa' luna), che ricorre spesso nella produzione Leopardiana. Di Teocrito descrive un'apparente trascuratezza, bella negligenza. Un poeta che voglia arrivare alla perfezione, non costruisce nulla di buono. Leopardi mirer ad un idillio che sar delicato, ispirato al modello di Mosco; Teocrito ha nascosto l'arte. Ecco il rapporto ARTE-NATURA: bisogna che l'arte sia dominata dalla natura, ma bisogna conoscere l'ars retorica. Manifestare/dipingere la natura il fattore fondamentale: Mosco la lascia trasparire in un modo che fa gustare ma non sazia, che fa desiderare di vedere ancora di pi la profondit della natura stessa. Mosco diventa il modello della composizione degli Idilli, i quali vengono scritti tra il 1818/1819 e 1821. Sono sei Idilli, tra cui L'infinito. Contemporaneamente agli Idilli scrive le Canzoni, fino al 1823. Dal 1824 Leopardi come poeta tace, dedicandosi alla stesura delle OPERETTE MORALI e ad intensificare le pagine di prosa dello Zibaldone (le pagine dello Zibaldone di questo periodo sono molto importanti perch vengono scritte in contemporanea alle Operette Morali; gli studiosi hanno verificato che l'inchiostro utilizzato per le due opere lo stesso). Leopardi ha introdotto il concetto della poesia come imitazione della natura, dunque pi che imitare gli altri poeti bisogna imitare la natura; egli non infatti un imitatore CIECO di Teocrito e Mosco, ma si profila come un contemplatore della natura stessa.

Gi Petrarca, prima di Leopardi, aveva ampiamente espresso il disegno della contemplazione. Lo spazio in Petrarca1Leopardi per una poesia semplice, naturale e Petrarca risponde a questi suoi principi diestetica in poetica: Forse in Petrarca rispetto ai classici c' una maggiorefamiliarit. Negli Idilli classici Leopardi non sente il cuore, mentre nelle poesie di Petrarca egli sente il cuore del poeta che parla: egli l'unico poeta che fa parlare il cuore, non analizza il cuore come fanno i poeti romantici ma il cuore a raccontare (Zibaldone 112-113). Leopardi afferma che Petrarca stato imitato in modo sbagliato, a parte che per il lavoro d'imitazione Petrarchesco svolto daTasso, Leopardi stesso, Alfieri e Ungaretti ecc. Si tratta un poeta malinconico: appare cos gi nelSecretum,la sua poesia animata dall' INDEFINITO POETICO.

subisce un analogo processo di interiorizzazione. Il riferimento alla natura gi presente nella lirica cortese. Untoposdella poesia trobadorica quello dellaprimavera, che ha la funzione di manifestare, per analogia o contrasto, lo stato d'animo del poeta. La poesia stilnovista sviluppa il ricorso al mondo della natura, sfruttando la scienza dei bestiari, dei lapidari, dell'astrologia, per costruire similitudini tese a sottolineare la naturalit delle leggi dellamore. La bellezza della donna viene pure esaltata attraverso l'elencazione delle bellezze naturali. In certe canzoni di Dante la natura ispira ampi quadri che stabiliscono, attraverso la figura della similitudine, una comparazione tra il paesaggio esterno e il sentimento del poeta.La natura pu offrire termini di confronto, ma il dualismo del rapporto io-natura resta indiscusso. Anche in Petrarca troviamo lirichestrutturate in modo simile, ma l'interiorit tende a crescere e ad imporsi, invadendo e riducendo lospazio del paesaggio. Anche nel sonettoZephiro torna, e 'l bel tempo rimenala classica contrapposizione tra la rinascita primaverile e il deserto del proprio animo ripresa con un sentimento acuto del contrasto tra lintimo desiderio di amore, che trovaespansionenel paesaggio circostante, e la sua frustrazione.Ilpaesaggio nelCanzoniere sempre compenetrato della presenza umana: c una corrispondenza immediata, addirittura contiguit e trasmigrazione di vita tra le parti del corpo di Laura e gli elementi della natura. Le belle membra sono immerse nelle acque, il tronco faal fianco colonna, i fiori cadono nel grembo e sulle trecce bionde fino ad arrivare alla sostituzione affettiva: Da indi in qua mi piace / questherba s, ch'altrove non pace (Chiare, fresche et dolci acque).2*No ti amo come, nell'uso delle parole poetiche, Leopardi si rifaccia a Petrarca. Le parole che indicano moltitudine, copia, grandezza, lunghezza, larghezza, altezza, vastit ec. ec. sia in estensione, o in forza, intensit ec. ec. sono pure poeticissime, e cos le immagini corrispondenti.Come nelPetrarca(P.1826, Zibaldone). Te solo aspetto, e quel chetantoamasti, E laggiuso rimaso, il mio bel velo. Quel che tanto amasti una perfetta rappresentazione della poetica dell'indefinito di Petrarca.

Ilpaesaggio anche funzione del desiderio del poeta di rivedere la donna amata: ed ecco la disseminazione del volto di Laura negli elementi della natura, dove l'immaginazione del poeta li proietta come miraggi (Dipensiero in pensier, di monte inmonte).Ilpaesaggio nelCanzonierediventa espressione dello stato d'animo del poeta. testimone, scena di avvenimenti interiori, perci indeterminato e scandito da un ritmo cheriproduce il percorso interiore dei pensieri e degli affetti che agitano il poeta. Un'esemplare conferma di questa identificazione tra l'io e la natura offerta dal sonetto Solo etpensoso ipi deserti campi, in cui tutte le tappe del monologo del poeta si traducono in gesti del corpo, nel camminare, alla ricerca di una natura solitaria che offra scampo e protezione all'interno affanno. Ma invano, perch anche la natura non pu essere d'aiuto: nella natura egli incontra se stesso e l'amore a cui vuole sfuggire.

Condizione psicologica, atteggiamento corporeo, paesaggio sono in completo accordo fra di loro, ed difficile a dirsi che cosa si imprima pi profondamente nella memoria, se il passo misurato o lo stanco conforto, perch ambedue sono una cosa sola ed esprimono quella compenetrazione di anima e oggetto che un privilegio della lirica (H. Friedrich,Epochedella lirica italiana, Mursia, Milano 1974, I, p. 216). L'ufficio del poeta, dice Leopardi, imitare la natura3Il rapporto natura-arte percorre tutta la poetica Leopardiana, tanto che egli sar un attento critico di chi non imita la natura con naturalezza, insistendo sulla cattiva imitazione di essa stessa: Ovidio, ad esempio, soggetto a una forte critica. Il poeta antico colpevole di una forte esuberanza descrittiva, per cui ci mette sotto gli occhi cose letterariamente compiute; la poesia deve essere, al contrario, indefinita affinch il lettore possa completarne il quadro attraverso la fantasia. Il vero poeta colui che con uno sguardo unico coglie le cose della natura, in modo determinato e definito. Ovidio da delle descrizioni troppo analitiche e particolareggiate che finiscono per appesantire la natura delle sue opere.

, la quale non si cambia e non si incivilisce. E il poeta stesso deve quasi rapportarci a quei primi tempi, a quella natura che sparita e ricondurcela davanti gli occhi o piuttosto svelarcela. Le Operette Morali vengono scritte nel 1814, dopo la prima stagione poetica di Leopardi che si compone di sei Idilli e dieci Canzoni Civili e Patriottiche. La canzone, per quanto Leopardi cercher di renderla libera, comunque animata da una struttura: le strofe. La sintassi degli Idilli una sintassi paratattica, quella delle Canzoni ipotattica: ricca di subordinata. Importante notare le differenze che intercorrono tra i due generi: le fonte d'ispirazione degli Idilli la natura e i modelli Teocrito e Mosco, insieme a Virgilio e Petrarca. Per quanto riguarda i modelli civili e patriottici, il modello Petrarca e la sua ELOQUENZA, un'eloquenza cauta (componimenti poetici pi semplici e componimenti poetici pi complessi).

Il tema patriottico domina, ma oltre l'inizio celebrativo, e l'esortazione alla ripresa morale e civile degli Italiani, sull'esempio di Dante, Petrarca, Colombo, Ariosto, Tasso, Alfieri, si fa strada il pessimismo nei confronti della storia dell'umanit, passata dalla felicit naturale alla conoscenza del vero, del nulla universale, e quindi alla distruzione della fantasia, all'infelicit e alla noia. La virt pu essere quindi esaltata solo per se stessa, come modello di vira, anche se in un contesto privo di significato (Importante la canzoneAd Angelo Mai (III, 1820), composta in occasione della scoperta del De Republica di Cicerone).All'inizio del 'blocco degli idilli' fa la sua comparsa il fondamentale contrasto fra Io e mondo (di matrice petrarchesca), in una dense rete di corrispondenze poetiche. Un 'paesaggio sonoro' segnaLa sera del d di festa (XIII,1820),idillio di strofe libere in cui il poeta innamorato, pensando alla sua donna addormentata, medita la propria condizione di 'esclusione' tragica, e sull'universale condizione di dolore, e di sensazione di vuoto alla fine del giorno festivo. Il solitario canto/ dell'artigian (vv. 25-26) riecheggia solo nella memoria di un canto che s'uda per li sentieri / lontanando morire a poco a poco (vv. 40-41). Mirabile l'incipitdel notturno lunare: Dolce e chiara la notte e senza vento4Rif.Chiare, fresche et dolci acque, Petrarca.

.Duesono qui igrandi temiaffrontati: l'infelicitdel poeta e il suosenso di esclusionealle gioie della giovinezza; il distruttivopassare del tempoche annienta ogni opera umana. La poesia si apre con la descrizione di un tranquillopaesaggio notturno(vv. 1-4) di stampo classico, che ricorda quelle di poeti greci e latini (per esempio Omero e Virgilio) ePetrarca.Il ritmo rallentato dall'uso di congiunzioni, e da una serie di aggettivi che anticipano il sostantivoa cui si riferiscono. Gi daquesti primi versi emerge unsenso di indeterminatezza, che caratterizza tutta la poetica degliIdilli.

Nei versi successivi dalla serenit del paesaggio Leopardi passa a descrivere il sonno delladonna amata, indifferente alle sofferenze del poeta, a cui si rivolge con un'apostrofe, anche questo motivo tipico della tradizione letteraria. Viene, infatti, usato il linguaggio della poesia amorosa, come al v. 10 la parola piaga. Evidente la comunanza, anche lessicale, tra il paesaggio e il sonno della donna (v. 2 queta e v. 8 chete).La donna amata porta il poeta a sviluppare iltema della delusione e della sofferenza d'amore,che induce Leopardi a considerare la sua infelicit impostagli dallaNatura, che lo esclude dalle gioie della vita: "A te la speme5La poesia esprime soprattutto il dolore e linfelicit che la natura ha imposto al poeta. Si pu dire cos che Leopardi il poeta del dolore, il poeta che grida, protesta e si ribella contro la natura per lingiustizia gratuita ed inutile che deve subire e dovr patire per tutta la vita. Da questa infelicit scaturisce la sua carica esistenziale, sovversiva ed eversiva, contro la vita, contro la natura e spiega il perch del suo desiderio di morire. Secondo Ugo Dotti, Leopardi estrinseca la sua disperazione e la sua convinzione di quel momento e cio del tutto. Sempre Ugo Dotti scrive: (da Giacomo Leopardi Canti Feltrinelli Editore Pag. 58).

| Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro | Non brillino gli occhi tuoi se non di pianto" (vv. 14-16), con un forteenjambementtra v. 14 e v. 15, utile per evidenziare la negazione (Nego) della speranza (speme) attuata dalla Natura. Questa riflessione interiore e personale, tipica della fase delpessimismo storico, in cui il dolore non accomuna ancora tutti gli uomini. Con unaclimaxascendente(e cio con una progressione evidente dei verbi tra i vv. 22-23: "A terra | Mi getto, e grido, e fremo") il poeta esprime la propria disperazione, che si chiude con la comparsa di un elemento uditivo esterno: "il solitario canto |Dell'artigian, che riede a tarda notte, | Dopo i sollazzi, al suo povero ostello (vv. 25-27).

unostimolo sensorialeche induce il poeta, come avviene nellInfinito, a riflettere sulla caducit delle cose umane (vv. 27-28: mi si stringe il core, a pensar come tutto al mondo passa, eL'infinito,vv. 8-13: E come il vento | Odo stormire tra queste piante, io quello | Infinito silenzio a questa voce | Vo comparando: e mi sovvien leterno, | E le morti stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei ). Una tragica considerazione sulpotere distruttivodel tempo,che nel suo inesorabile passaggio conduce all'oblio le grandi imprese dell'uomo.Ci che rimane alla fine pace e silenzio, termini che richiamano la situazione iniziale del paesaggio notturno e che ricordano a Leopardi un episodio dell'infanzia, collegato alla situazione presente: un canto notturno che aveva suscitato nel poeta la stessa sofferenza che prova ora, udendo il canto dell'artigiano (vv. 40-46), versi caratterizzati dallarimembranza, motivo tipico della poesia leopardiana.La lirica sembra essere stata sviluppata da un passo delloZibaldone, in cui viene presentata la riflessione leopardiana sulloscorrere del tempo:Dolor mio nel sentir a tarda notte seguente al giorno di qualche festa il canto notturno de villani passeggeri. Infinit del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani cos caduti dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati chio paragonava dolorosamente con quella profonda quiete e silenzio della notte, a farmi avvedere del quale giovava il risalto di quella voce o canto villanesco (Zibaldone, dicembre 1818 - gennaio 1820).

Il notturno lunare6Leopardi parla della POETICITA' del notturno lunare. Le parole del notturno sonopoeticissime(Rif.. Zibaldone).

sembra tornare nel breve idillio Alla luna (XIV, 1819), e poi la Vita Solitaria (XVI, 1821), che ricorda l'anacreontica ode latina ode latina del 1816, nella ripetuta invocazione O gratiosa luna, o mia diletta luna.

Segue la vita rustica in una serie di 'quadretti' nell'arco temporale di una giornata (alba, meriggio, notte), memorabile per l'ultima consonanza con la Natura nella sua manifestazione di potenza panica ma benefica, momentaneo ritorno all'illusione dell'immaginazione. Il passaggiodiLeopardida una concezione positiva e benefica della Natura a quella contraria di Natura matrigna, crudele e indifferente viene evidenziato, per la prima volta in un dialogoscritto nel 1824 e che compare nella prima edizione delle Operette moralinel 1827:"DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE7Il tema dell'infelicit centrale in Dialogo della Natura e di un Islandese. L'Islandese ha fuggito tutta la vita la Natura, convinto che essa perseguiti gli uomini rendendoli infelici; ma comunque perseguitato da essa. Infine si imbatte proprio nella Natura, una figura gigantesca di donna. Nel dialogo tra i dueemerge la completa indifferenza della Natura al bene e al male degli uomini. Ed la Natura stessa ad affermare le leggi di un rigoroso materialismo: la scomparsa di questo o quell'individuo, di questa o quella specie (umanit inclusa) non tocca l'interesse della Natura, volta solo a perseguire la durata dell'esistenza in un "perpetuo circuito di produzione e distruzione". Il dialogo mozzato sulla disperata richiesta di significato rivolta dall'Islandese alla Natura, e resta dunque senza risposta: Leopardi si avvia a fondare una ricerca di senso la cui responsabilit ricade per intero sulle domande. Lo stile si fonda sulla tecnica dell'accumulo, soprattutto dell'accumulo di sofferenze dell'islandese. Dall'esperienza, questi passa poi all'accusa alla natura. Per descrivere l'esperienza della vita umana, Leopardi non sceglie un personaggio importante come in altre operette ma un uomo comune, definito solo dalla propria nazionalit e chiamato a rappresentare un punto di vista medio, obiettivo, fondato sull'esperienza. E' in qualche modo una tecnica simile a quella a cui Leopardi ricorrer nel Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, in cui affider al punto di vista ingenuo e diretto del pastore le domande sul senso dell'esistenza.

".Prendendo spunto da un'opera del filosofo illuminista francese,VoltaireStoria di Jenni o il saggio e lateo(1775),in cui il filosofo parla delle minacce naturali, quali gelo e vulcani, a cui sono sottoposti gli islandesi, Leopardi sviluppa l'idea di un Islandese che viaggia, fuggendo la Natura. Ma giunto in Africa, in un luogo misterioso ed esotico, incontra proprio colei che stava evitando, con la forma di unadonna gigantescadall'aspetto "tra bello e terribile". La Natura interroga l'Islandese sulle ragioni della sua fuga. La spiegazione dell'uomo unlungo monologoin cui egliripercorre le sue concezioni sulla condizione umana: un'articolata riflessione che lo porta a comprendere l'ineliminabile infelicit dell'esistenza.

Inizialmente ritiene che la sofferenza nasca dairapporti umani, spesso violenti. Ma il dolore pu nascere anche dall'esterno, quindi inizia a credere che l'individuo soffra perch valica i limiti assegnati dalla Natura. Infine comprende che lasofferenza insita nell'uomo, caratterizzato da un piacere mai realizzabile del tutto, e non pu essere eliminata. La vera causa dell'infelicit la Natura, che crea e poi tormenta gli esseri viventi. Questa ha assegnato all'uomo ildesiderio insaziabiledi piacere che non solo irraggiungibile nel corso di una vita intera, ma a volte anche dannoso e debilitante:

Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando che tu ci abbi infuso tanta e s ferma e insaziabile avidit del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ci che ella desidera naturalmente, cosa imperfetta: e da altra parte abbi ordinato che luso di esso piacere sia quasi di tutte le cose umane la pi nociva alle forze e alla sanit del corpo, la pi calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la pi contraria alla durabilit della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi quasi sempre e totalmente da ogni diletto, io non ho potuto fare di non incorrere in molte e diverse malattie: delle quali alcune mi hanno posto in pericolo della morte.E come afferma in un passo precedente a questo,l'esistenza sempre in pericolo e si vive costantemente nella paura. Conclude il discorso poi citando leNaturales Quaestionesdi Seneca: "tanto che un filosofo antico non trova contro al timore, altro rimedio pi valevole della considerazione che ogni cosa da temere". Dopo il lungo monologo dell'Islandese interviene la Natura, cheribaltala posizione dell'uomo: questa totalmente insensibileal destino degli esseri da lei creati, ma agisce meccanicisticamente secondo un processo dicreazioneedistruzione, che coinvolge direttamente tutte le creature. Quella dell'Islandese unavisione antropocentrica- e per tal motivo errata e parziale della realt.

Con la conclusione di questo dialogo viene superata la concezione dell'uomo come elemento centrale dell'universo, ma rimanesenza rispostala domanda dell'Islandese: "a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?".Il dialogo come si detto in realt un monologo dell'Islandese, e solo all'inizio e alla fine interviene la Natura con poche e dure battute.Le parole dell'Islandese sono aspre ed accese, e ripercorrono le sue diverse riflessioni sulla sofferenza. Il protagonista accusa la Natura di esserecrudeleeingiusta. Ma questa appare del tutto insensibile alle critiche, le sue parole sono ancora pi dure: essa non agisce per assecondare l'uomo, ma del tutto indifferente e insensibile davanti agli esseri da lei creati.Ed qui che si evidenzia la volutacontraddittorietdella Natura8L'Infinito l'espressione poetica di questa tensione, un'esperienza di fuga dalla razionalit alla ricerca del piacere che solo all'attivit immaginativa consentito raggiungere. Un ostacolo materiale (la "siepe") impedisce lo sguardo ed attiva l'immaginazione che altrettanto materialmente disegna nella mente del poeta ("mi fingo") "interminati/ spazi... sovrumani/ silenzi e profondissima quiete".: la reazione non pu che essere quella del primitivo o del fanciullo di fronte all'ignoto, ed reazione, la paura, che prescinde dall'attivit razionale. La scoperta dell'infinito conquista dei sensi (si considerino la visione ostacolata, i riferimenti all'udito, gli aggettivi dimostrativi "questo/ quello"), non del logos, anzi l'excessus mentis, la morte della ragione, espressa nello spaurirsi del cuore, condizione imprescindibile. Il pensiero si "annega" completamente nel "mare" delle sensazioni, il fantasticare consente allora di conseguire il piacere ("m' dolce") e ogniqualvolta il poeta potr perdere se stesso ("naufragare") di fronte a un limite materiale (la "siepe") ripeter l'esperienza piacevole ("sempre caro").

leopardiana:

Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me navveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.

E nello stesso modoamaroetragicosi conclude loperetta con la notizia, riportata dal narratore, della probabile morte dellIslandese:

fama che sopraggiungessero due leoni, cos rifiniti e maceri dallinedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quellIslandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che lIslandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edific un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale citt di Europa.

Passiamo alla seconda stagione poetica, parafrasando alcuni versi della la liricaA Silviacomposta a Pisa nel 1828, che inaugura la stagione dei cosiddetti grandi idilli: Contemplavo il cielo sereno, le vie illuminate dal sole e i giardini e da una parte il mare da lontano, dallaltra la montagna. Le parole di un uomo non possono esprimere ci che io provavo nel cuore.Che pensieri stupendi, che speranze, che sentimenti, o mia Silvia! Come ci sembravano allora la vita umana e il destino! Quando mi ricordo di una speranza cos grande, mi opprime un sentimentoinsopportabile e sconsolato, e mi torno a rattristare per la mia sfortuna.Natura, natura, perch non restituisci dopo quello che hai promesso prima? Perch inganni cos tanto i tuoi figli?Leoparditorna alla poesia, dopo lintervallo di sei anni delleOperette morali. Queste poesie, a differenza degli idilli giovanili, sono pervase dalla consapevolezzadell' arido vero, causata dalla fine delle illusioni giovanili.La Silvia che protagonista della lirica stata tradizionalmente identificata con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casaLeopardi, morta giovanissima di tubercolosi circa dieci anni prima. Il nome Silvia, oltre che per il gioco fonico che forma con salivi,ultima parola della prima strofa, significativo anche perch il nome della protagonistadellAmintadi Tasso. Comunque, al di l dellidentificazione biografica, importante soprattutto notare che Silvia diventa il simbolo della giovinezza, dellamore, delle trepidanti attese, del vago fantasticare, interrotti troppo presto dalla morte, che fa cessare miseramente tutte le illusioni. Infatti, ci che la unisce al poeta non una vera e propria storia damore, bens la comune condizione giovanile, fatta di speranze e sogni destinati ad essere ben presto delusi. La morte di Silvia, il suo cadere rappresentano anche la morte di ogni speranza ed illusione giovanile del poeta. Per questo, si scaglia contro la natura, incapace di mantenere le promesse fatte; alla fine, resta solo la fredda morte a spegnere ogni immagine di vita.Tutto il componimento pervaso dalla vaghezza e dal senso di indefinito che, perLeopardi, sono massimamente poetici: infatti non vi sono descrizioni, la figura femminile non presenta dettagli concreti.

Gli elementi fisici e realistici sono solo un punto di partenza: lunico particolare concreto cui si accenna lo sguardo ridente, luminoso e al tempo stesso pudico che illumina la figura di Silvia e ne sottolinea latteggiamento spensierato, felice ma anche riflessivo; anche lambiente circostante rarefatto e caratterizzato solo da pochi aggettivi evocativi: quiete, odoroso, sereno, dorate. La poesia resa possibile soltanto dal filtro del ricordo, che, come il filtro fisico rappresentato dalla finestra del paterno ostello, rende le immagini sfocate, quindi vaghe e indefinite. La finestra, come la siepe deLinfinito, infatti, limita il contatto con il reale, scatenando limmaginazione. Inoltre il filtro del ricordo concorre in maniera determinante a spegnere le illusioni, che non possono essere vissute ingenuamente come nella giovinezza, bens sono interrotte dalla consapevolezza del vero. Tuttavia, anche se la poesia si chiude con limmagine lugubre della morte, tutta pervasa da immagini di vita e di gioia, poichLeopardivuole levare un grido di protesta contro la natura matrigna che ha negato queste cose belle alluomo: non si rassegna al dolore, ma, pur nella disperazione, non rinuncia mai a rivendicare il diritto alla felicit.Netta la contrapposizione anche nelluso dei tempi verbali: limperfetto caratterizza le strofedel ricordo indefinito degli anni giovanili e domina le strofe 1, 3 e 5, il presente quelle dellamara constatazione del dolore, la 4 e la 6. Nelle strofe del ricordo, la sintassi piana e limpida, in quelle di riflessione pi mossa e tesa, ricca di interrogative retoriche e di esclamazioni. Molte sono le parole appartenenti al linguaggio del vago e indefinito: fuggitivi, quiete, perpetuo, vago, odoroso, lungi, dolce.Con la 'conversione filosofica', l'adesione radicale a una concezione materialistica della vita comporta il rovesciamento di tutte le illusioni che reggono la vita degli uomini, il desiderio di gloria e di felicit. Il rovesciamento, il paradosso rende possibile lo stile comico, satirico, tale da suscitare il riso: ma un riso amaro, che non comporta la perdita delle illusioni. Gi nel 1819 Leopardi progetta alcuni Dialoghisatirici alla maniera di Luciano,ed inizia l'anno successivo certe prosette satiriche.LeOperettesi presentano in forma di dialogo (tra personaggi mitologici, allegorici o storici, o personificazioni di elementi naturali), oppure di apologo, secondo un modello che risaliva allo scrittore greco Luciano, gi ripresto nell'umanesimo, ad esempio nelle Intercoenales dell'Alberti; ma anche ad altri filosofi e moralisti greci, a Plutarco, al filone paradossale, a Machiavelli e ai moralisti francesi moderni. La prosa rappresenta il felice tentativo di creare una moderna lingua letteraria, n purista n francesizzante, ma ricca di tutte le possibilit espressive della tradizione italiana, e adatta ad esprimere un'altezza di pensiero talvolta abissale, con una leggerezza prima intentata. Ricorrenti sono le tematiche filosofiche, le stesse affrontate nello Zibaldone: il contrasto irrisolto fra illusione-felicit e verit-sofferenza, cui assiste una Natura matrigna, o ancor peggio indifferente. Ma lo Zibaldone non era unopera destinata alla pubblicazione. impensabile studiare le Operette morali trascurando lo Zibaldone. Quando nel 1837 Leopardi mor, lasci, insieme ad altri, un voluminoso manoscritto, una specie di diario, in custodia ad Antonio Ranieri, suo amico. Ranieri lo lasci, alla sua morte, alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Per i litigi degli eredi la raccolta di pensieri fu pubblicata solo tra il 1898 e il 1900. Una Commissione governativa, che cur i manoscritti di Leopardi ne diede la seguente descrizione: una mole di 4523 facce lunghe e larghe mezzanamente, tutte vergate di man dellautore, duna scrittura spesso fitta, sempre compatta, eguale, accurata, corretta.

Contengono un numero grandissimo di pensieri, appunti, ricordi, osservazioni, note, conversazioni, discussioni, per cos dire, del giovine illustre con s stesso, su lanimo suo, la sua vita, le circostanze; a proposito delle sue letture e cognizioni; di filosofia, di letteratura, di politica; su luomo, su le nazioni, su luniverso; materia di considerazioni pi larga e variata che non sia la solenne tristezza delle operette morali; considerazioni poi liberissime e senza preoccupazioni, come di tale che scriveva di giorno in giorno per s stesso e non per gli altri, intento, se non a perfezionarsi, ad ammaestrarsi, a compiangersi, a istoriarsi. [...] Quasi ogni articolo di quella organica enciclopedia segnato dellanno e del mese, e tutta insieme va dal luglio del 1817 al dicembre del 1832 [...] Nello Zibaldone troviamo lidea e la materia di molte opere e poesie e soprattutto le Operette morali vi trovano le loro origini. indubbio [...] lo stretto rapporto fra le meditazioni filosofiche fissate sulle pagine del diario e la loro elaborazione fantastica e artistica nelle Operette, per ognuna delle quali infatti possibile citare diversi passi dello Zibaldone come premesse speculative del poeta []. Abbiamo allora spiegato limportanza di questo libro sia per la migliore comprensione di Leopardi sia per lo studio delle Operette morali che rappresentano espressione letteraria delle idee registrate nel diario. Marco Antonio Bazzocchi dice questo: A monte della composizione delle Operette morali sta una serie di dichiarazioni molto esplicite di Leopardi sulla necessit di una letteratura satirica e sul bisogno di dare allItalia una prosa filosofica moderna.

Nel 1824, lanno in cui furono composte le prime venti Operette, Leopardi scrisse anche il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, dove, secondo Bazzocchi, esprime lopinione che in Europa sono cos scarsi la vita, limmaginazione, e nella letteratura,loriginalit e novit che tutte le nazioni vanno forsennatamente alla ricerca di materiali da ardere onde riparare alla freddezza che occupa generalmente la vita moderna e civile. A questo proposito non da trascurare che dal 1820 in poi sono pi frequenti, nellepistolario col Giordani e nello Zibaldone, i riferimenti ad una forma nuova di scrittura, che manca alla tradizione letteraria italiana ed alla quale il Leopardi vuole gettare le basi, nel tentativo di rifondare dallorigine lintero sistema letterario nazionale, intendendo con letterario anche la meditazione filosofica e quellaspetto centrale della filosofia che appunto la morale. quando scrive nello Zibaldone: Nemiei dialoghi io cercher di portar la commedia a quello che finora stato proprio della tragedia, cio i vizi dei grandi, i principii fondamentali delle calamit e della miseria umana, gli assurdi della politica, le sconvenienze appartenenti alla morale universale, e alla filosofia, landamento e lo spirito generale del secolo. Bisogna premettere che l'esperienza del prosatore viene a confluire con il Leopardi poeta della seconda stagione, autore dei Canti. Canti il titolo dato alla raccolta delle poesie del Leopardi, apparsa in tre diverse edizioni, a Firenze nel 1831, a Napoli nel 1835, e nell'edizione Le Monnier del 1845, curata dall'amico Antonio Ranieri e completa delle ultime due composizioni. Nel componimento del 1827 che si chiama Risorgimento, Leopardi ci introduce alla seconda stagione poetica.

Il canto Il Risorgimento ha una importanza particolare allinterno dellintera raccolta poetica di Leopardi. Leopardi scrisse Il Risorgimento a Pisa dal 7 al 13 aprile del 1828 e lo pubblic nella prima edizione de I Canti del 1831 proprio quando sent risorgere in s la rinascita della poesia. Il titolo stesso del canto indica, con una sola parola, il risorgere della poesia nellanimo del poeta e la felicit che Leopardi prov dentro di se e quindi il conseguente sentirsi rivivere alla vita dopo sei anni di aridit poetica. Limportanza di questo canto, scritto per la ritrovata vena, descritta molto bene da Ugo Dotti: Il risorgimento costituisce un canto cardine: riassuntivo di una esperienza trascorsa e insieme momento basilare della poesia futura. Occorrer ora riflettere sulla particolarissima scelta del metro usato come abbiamo detto della strofetta metastasiana (da Giacomo Leopardi Canti A cura di Ugo Dotti Feltrinelli Editore Pag. 75).Leopardi inizia il canto con un flashback dal quale poi ripercorre tutto il suo passato che divide in tre grandi periodi e per questo motivo anche il canto diviso in tre parti:
1.La prima parte comprende i versi da 1 a 40 e ripercorre la prima giovinezzadel poeta (1818 1822);2.La seconda parte comprende i versi da 41 a 80 e ripercorre la giovinezza matura di Leopardi (1823 1828);3.La terza parte comprende i versi da 81 a 160 e ripercorre il periodo che va dallultima parte del 1827 al mese di aprile del 1828 quando appunto Leopardi avverte dentro di se il ritorno impetuoso ed irrefrenabile della poesia.

Il ritorno della poesia per il poeta per un fatto inaspettato ed inspiegabile, e per questo fonte di ancora maggiore gioia, perch Leopardi credeva che la vena poetica fosse in lui ormai inaridita e secca. Il canto Il Risorgimento dunque esprime e ripercorre in se tutta lesperienza e la vita passata del poeta; ma Leopardi riesce a riordinare il passato e a dispiegarlo in modo ordinato e pulito con una calma interiore ed una serenit quasi stoica. Ovviamente Leopardi non conosce, anche se lo presagisce, tutto il suo travagliato, affannoso e doloroso scompiglio amoroso futuro che prover a causa dellinfelice innamoramento verso la signora Fanny Targioni Tozzetti. Ma ci che pi conta per Leopardi , nella primavera del 1828, la rinascita della vena poetica e la riconquista della poesia che costitu per lui certamente uno dei pochi momenti di felicit che prov in tutta la sua vita. Questo momento di euforia e gioia molto bene descritto da Ugo Dotti: Il Risorgimento, il miracolo del risorgimento della poesia dopo tanti anni di silenzio e di gelo filosofico; il rinnovamento del palpito del cuore dopo tanto speculare sull'acerbo vero; la rinascita, insomma: la meraviglia della rinascita e la sua estatica contemplazione. Il brioso ritmo settecentesco della strofetta metastasiana riesce a meraviglia in questo proposito; lo fissa come un momento capitale nella carriera artistica del poeta e ne fa un episodio decisivo. (da Giacomo Leopardi Canti A cura di Ugo Dotti Feltrinelli Editore Pag. 76). Ma il componimento Il Risorgimento esprime anche, accanto alla rinascita poetica, anche la delusione per la mancanza dellamore; infatti, il poeta, esprime tutto il suo rammarico per la sua infelice condizione umana che lo ha portato a cercare negli anni passati disperatamente una donna con la quale soddisfare il suo bisogno damore.Purtroppo per Leopardi, la sua vita fu solo una collezione di cocenti delusioni in amore tra le quali quella provata per la contessa Teresa Carniani Malvezzi a Bologna nel 1826 e quindi ancora viva nel suo animo al momento della stesura de Il Risorgimento. Infatti diversi critici letterari, tra cui Luigi Russo, vedono e intravedono nei versi 133 144 uno sfogo e un rimprovero per questoamore non corrisposto dalla contessa. A conferma di questa tesi, il critico Luigi Russo riporta un noto episodio accaduto tra la contessa ed il poeta: A me pare evidente qui lallusione allidillio letterario, tessuto con la Carniani Malvezzi. Per quellamore con la Malvezzi, ha avuto corso il famoso aneddoto che egli si gettasse in ginocchio davanti a lei e la donna avrebbe chiamato il servo perch il signor conte aveva bisogno di un bicchiere dacqua (da I Classici Italiani Vol. III Lottocento a cura di Luigi Russo e Riccardo Rugani Sansoni Editore - pag. 744). Pi Leopardi si lamenta della sua vita infelice e drammatica e dei suoi amori infelici, pi noi lettori apprezziamo e capiamo limportanza capitale dellamore cos come ben descritto dal poeta nei versi 57 63. Io credo che la bellezza del canto risieda nelluso magistrale delle strofette metastasiane e soprattutto nel fatto che Il Risorgimento costituisce uno dei pochi canti in cui Leopardi. oltre ad esprimere in breve il suo pessimismo e diniego verso la vita, esprime anche la sua felicit per il ritorno della vena poetica e per la ripresa dellentusiasmo verso la vita. Questo stesso giudizio anche confermato da Mario Andrea Rigoni che cos scrive: Ma, come notevole per la tersa eleganza formale, cos il componimento lo anche per laffermazione del solitario e irriducibile valore del cuore, che irradia qui una delle rarissime conclusioni fiduciose riscontrabili in tutta lopera leopardiana. (da Giacomo Leopardi Poesie e prose Vol . I a cura di Mario AndreaRigoni Serie I MeridianiArnold).Leopardi nei suoi versi, credendo di individuare come capro espiatorio dei suoi problemi lanatura matrigna, esprime con piena forza, tutta la sua volont per conquistarsi una vita sana, serena, soddisfatta, piena di fascino e di gloria.Il 1823 anche l'anno della lettura di Platone al cui idealismo Leopardi fu avverso(punto di collegamento con le Operette Morali).Ma Leopardi apprezzava lo stile non ispirato della prosa platonica e, soprattutto, il tono ironico-fantastico dei dialoghi. Nel 1825 traduce Epitteto9.Agli uomini non resta che il coraggio di accettare la propria condizione con saggezza e distacco: un atteggiamento in cui si riconosce lo stesso Leopardi e che ritrova anche nel Manuale, da lui tradotto, del filosofo stoico Epitteto (II I secolo D. C.). Questo eroismo della verit sostenuto dal senso dellanimo: un sentimento di compassione e di fratellanza nei confronti degli altri uomini, compagni di sofferenze.

e dalla lettura dei filosofi ellenistici Leopardi deriva negli anni 1823-27 la saggezza rassegnata di alcuni motivi delleOperette morali. La ferma consapevolezza materialistica accompagnata (dal 1823 al 1829) a un diminuito interesse politico. Il progressismo politico-sociale di Leopardi pi vivo nel momento del pessimismo storico (democrazia repubblicana classica collegata con la credenza nella natura incorrotta, patriottismo come titanismo e risorgimento di virt nelle canzoni patriottiche) mentre l'infelicit radicale di tutti gli esseri rende meno importante la necessit del progressismo. Si tratta di una relativa e temporanea atarassia (la morale di Epitteto e degli ellenistici) che trova il tono artistico nel pianoironico-lirico nelleOperette.

Queste prose sono intimamente legate al cammino mentale e biografico di Leopardi, espressione esplicita e artisticamente controllata del pessimismo e del materialismo radicali.Quasi tutte leOperette10Il titolo dellopera, ripreso dal retore greco Isocrate (V- IV secolo A. C.), ne riassume il carattere filosofico (la morale il ramo della filosofia che si occupa dei temi relativi alla vita ed al comportamento umano) e insieme satirico, data la connotazione comica conferita allaggettivomoralidal diminutivooperette.

sono dialoghi alla maniera di quelli greci di Luciano(venti furono scritte nel 1824, una nel '25, due nel '27, le ultime due nel '32; ventiquattro sono nell'edizione definitiva curata dallo scrittore). Proseguendo lapprofondimento dei temi dellesperienza esistenziale umana e dei perch che affannano luomo sin dalla sua nascita, riprende un progetto di cui parla gi nel settembre1820 in una lettera al Giordani:In questi giorni, quasiper vendicarmi del mondo, e quasi anche della virt, ho immaginato e abbozzato certe prosette satiriche;labbozzo (metodologico) diventer pi chiaro nei mesi seguenti, tanto che da Recanati l11 maggio 1821 scriver, riferendosi aPietro Giordani, a Pietro Brighenti a Bologna:sto preparando un'operetta in prosa, che forse non gli sar discaro (non caro, sgradito) di vedere. Leopardi vuole combattere la negligenza degli italiani con tre strumenti: RAGIONE- PROGETTI RISO. Gli italiani hanno perso il senso patriottico; l'Italia avvolta da un'inattivit dell'azione e della mente. Oltre all'eloquenza (rif. Petrarca) e alla ragione aggiunge il riso, che chiama arma del ridicolo.In una lettera del 1825 a Pietro Giordani, il nostro poeta parla dello stato d'animo che ispir le Operette morali: come sono mutato da quello che io fui [] ogni cosa che tenga di affettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo e fanciullaggine. Si annoia della poesia, di cosa si compiace allora? Mi compiaccio sempre meno di toccare con mano la miseria degli uomini.

Leopardi nega speranze e illusioni, la possibilit di trovare la ragione dell'infelicit e per mezzo di miti e immaginazioni, allontana temi e personaggi in modo da dare l'impressione di un pensiero oggettivo variato con l'ironia-lirica che svela l'indifferenza dell'universo e la piet dell'autore per la sorte amara degli uomini. Il tema antichi-moderni (felicit del primitivo, razionalismo eccessivo della civilt) veduto ormai come piena sfiducia nella felicit degli antichi e i filosofi e i poeti-filosofi della Grecia antica sono ricordati nelleOperetteper mettere in risalto non la differenza ma la sostanziale identit della condizione umana nell'evo antico e nel moderno (Timpanaro).LaStoria del genere umano una storia di infelicit (ciascheduno odier tutti gli altri, amando solo, di tutto il suo genere, se medesimo e gli uomini diventano non meno vili che miseri e incapaci di rifiutare la vita infelice); nelDialogo d'Ercole e d'Atlantela terra diventata leggera e inerte per l'inerzia degli uomini (al tempo mio combattevano a corpo a corpo coi leoni e adesso colle pulci); nelDialogo di Malambruno e FarfarelloLeopardi denuda al massimo la teoria del piacere: l'amore di se stesso, che amore di felicit massima, non potendo essere soddisfatto, genera l'infelicit la quale non pu cessare per spazio, non che altro, di un solo istante (sicch il non vivere sempre meglio del vivere); ilDialogo della Natura e di un'anima un corollario del precedente: il tema quello della maggiore infelicit delle anime grandi e un'anima destinata a essere grande e infelice (Tutto questo contenuto nell'ordine primigenio e perpetuo delle cose create appunto perch la maggiore intensione della vita genera maggior dolore) chiede alla Natura di accelerarle, invece, la morte il pi che si possa; le ferree leggi della Natura-materia coinvolgono anche l'uomo nelDialogo della Natura ed un Islandesein cui la Natura (forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi) disinganna l'uomo dicendogli che tutte le forme di vita sono soggette a leggi di produzione e distruzione, collegate ambedue tra s di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il qual sempre che cessasse l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione (la Natura cos indifferente a ci che accade se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei che mentre l'islandese parla con lei due leoni affamati mangiandosi l'uomodanno dimostrazione delle leggi della Natura): nelDialogo di Federico Ruysch e delle sue mummiesulla base del sensismo Leopardi afferma che, essendo piacere la cessazione di un dolore, la morte non pu non essereun piacere; scende in se stesso Leopardi nelDialogo di Timandro ed Eleandroin cui Eleandro-Leopardi, dopo aver costretto Timandro ad ammettere la verit delle ragioni intorno all'infelicit degli uomini, rivendica a s il coraggio di dire la verit, il misero e freddo vero, e si dimostra scettico sulla perfettibilit degli uomini. NelleOperetteLeopardi distrugge l'umanesimo che ha posto al centro del mondo un uomo borioso e incapace di scoprire e di capire ci che ha sotto gli occhi, le leggi della natura, la propria debolezza, la materia che si rinnova trasformandosi; distrugge altres quel che sia provvidenza o teodicea.Un'operetta del 1827,Dialogo di Plotino e di Porfirio, la difesa del suicidio contro coloro che lo condannavano come contrario alla legge naturale e religiosa. Gi nelBruto minoreLeopardi aveva esaltato il suicidio eroico come sfida contro gli uomini e la divinit; nel dialogo Porfirio afferma che la noia l'elemento reale della vita umana, che la fede platonica nella felicit ultraterrena inefficace dato che l'uomo sulla terra non pu raggiungere la felicit e, infine, Platino pur riconoscendo la validit razionale del suicidio sostiene la necessit della fraternit degli uomini. Ha termine cos la parentesi saggia di Leopardi il quale, dopo il risorgimento poetico dei canti pisani e recanatesi (1828-29), a contatto con l'ambiente moderato e cattolico-liberale soddisfatto e ottimista di Firenze e Napoli, risorge reagendo contro l'ideologia politico-religiosa romantica. Il pensatore che aveva oltrepassato il reazionarismo gesuitico-monaldesco nella prima giovinezza rifiuta adesso polemicamente l'ideologia di una egemonia moderata guidata dalla borghesia cattolica: Leopardi vede in questa ideologia l'ipotesi di una barbarie medievale, di un movimento non legato a una visione razionale e scientifica ma, anzi inglobante in uno pseudoprogressismo borghese masse infelici per natura e ottenebrate dall'oscurantismo.

L'ultimo Leopardi riprende antagonisticamente contro il moderatismo pseudo progressista i terni illuministici e materialistici affermandoli nella polemica antidogmatica, antireligiosa, antimitica.Individua nel progetto di un'organizzazione borghese moderata e liberale (affaristica, egoistica, mercificatrice dei valori, falsoumanitaria, pronta alle guerre di rapina e di concorrenza) l'ostacolo a un illuminismo per tutti (senza che giunga, per, all'idea di una rivoluzione sociale n alla divisione della societ in classi n al rapporto borghesia-proletariato) ma la nemica prima la Natura contro la quale invoca la fine delle lotte fratricide e il sodalizio di tutta l'umanit alleata. I principali documenti di questa lotta contro la Natura (intesa dal sensista-edonista Leopardi, cos Timpanaro, come realt fisico biologica) sono soprattutto ilDialogo di Tristano e di un amico(1832), iParalipomeni, laPalinodia al marchese Gino Capponi(1835) eLa ginestra(1836). In questa fase estrema della sua vita Leopardi nega ogni provvidenza e indica come solo progresso la lotta contro il nemico supremo ma solamente se gli uomini hanno scartato per sempre ogni ricorso a quelle speranze e a quei poteri (natura e provvidenza) e hanno riconosciuto nella loro crudele potenza il primo loro nemico e il primo fondamento polemico della loro unit nella lotta e nella protesta (Binni). IlDialogo di Tristano e di un amico una sorta di testamento anzitutto intellettuale e morale di Leopardi, di documento dell'eroismo virile dell'uomo che non si aspetta nulla da persona o cosa e si oppone al destino che lo condanna (e non per sofferenze personali) all'infelicit. Nello stesso anno in cui componeva questo dialogo Leopardi rispondeva in una lettera al De Sinner alla critica (di tedeschi) che attribuiva il pessimismo delleOperettealle infermit dell'autore (ci si ostina ad attribuire alle mie condizioni materiali ci che si deve solo al mio impegno intellettuale).Nel dialogo Tristano-Leopardi rifiuta le illusioni con cui i non ragionanti si consolano del mali ma rifiuta soprattutto la pedagogia dell'illuminismo spiritualistico che induce a vivere di credenzefalse, cos gagliarde e ferme, come se fossero le pi vere e le pi fondate del mondo (rifiuto ogni consolazione e ogn'inganno puerile, ed ho il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimularsi nessuna parte dell'infelicit umana, ed accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera). Basilari elementi del pessimismo radicale di Tristano sono il pessimismo degli antichi (a cui il secolo decimonono oppone la sua falsa felicit della vita) e la debolezza della macchina fisica e biologica dell'uomo (E il corpo l'uomo [] tutto ci che fa nobile e viva la vita, dipende dal vigore del corso, e senza quello non ha luogo. Uno che sia debole di corpo, non uomo, ma bambino; anzi peggio; perch la sua sorte di stare a vedere gli altri che vivono, ed esso al pi chiacchierare, ma la vita non per lui. E per anticamente la debolezza del corpo fu ignominiosa, anche nei secoli pi civili). Alla filosofia spiritualistica dei moderati Leopardi oppone ancora la propria concezione materialistica e la propria lucida consapevolezza razionale sulla realt dell'uomo: io non mi sottometto alla mia infelicit, n piego il capo al destino, e vengo seco a patti, come fanno gli altri uomini [] Invidio i morti [] N in questo desiderio la ricordanza dei sogni della prima et, e il pensiero d'esser vissuto invano, mi turbano pi, come solevano. Se ottengo la morte morr cos tranquillo e cos contento, come se mai null'altro avessi sperato n desiderato al mondo. Questo di Leopardi era il pi netto antagonismo del tempo all'ideologia della borghesia moderata che cercava di conciliare tradizione e progresso; Leopardi afferma, invece, che la vera cultura con la quale occorre fare i conti quella dell'illuminismo il sensismo e il materialismo, che dinanzi ai problemi scoperti dagli illuministi inutile chiudere gli occhi proponendo spiritualistici trionfimentre il corpo l'uomo, miserabile e caduco per forza di una natura contro la quale necessario unirsi nella lotta. L'ironia indubbiamente uno dei tratti peculiari e salienti delleOperette morali, il cui progetto attinge a fonti classiche cos come alle moderne forme di scrittura filosofico-letteraria settecentesche. Il ricorso all'ironia, lungi dall'essere mero artificio retorico, acquista un ruolo cruciale per la comprensione stessa del testo, descritto da Leopardi come un libro di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico, bench scritto con leggerezza apparente (lettera 494 a A. F. Stella). La tonalit ironica si esplica pienamente nel tentativo di una riscrittura conflittuale dell'esistente, colto da inediti tagli prospettici, e prende forma come apertura alla possibilit di sempre nuove ri-descrizioni della natura umana e sociale. Tale istanza ironico-satirica, nel suo valore pienamente filosofico, condivide con le manifestazioni letterarie illuministiche settecentesche svariati aspetti. In primo luogo manifesta la consapevolezza del valore dell'approccio estetico, come alternativa e integrazione al discorso logico-sistematico. In tal senso, Leopardi si pone sulla scia delle scelte comunicative illuministiche, che avevano individuato nel racconto (conte philosophique) un mezzo comunicativo adatto per stimolare un pubblico colto, ma non specialistico, all'accoglimento di problematiche squisitamente filosofiche. In secondo luogo, Leopardi ricorre all'ironia per realizzare una forma di relazione dialogica con il lettore, continuamente sollecitato alla rielaborazione attiva delle idee e alla riflessione sulle istanze aporetiche che emergono nel testo. LeOperette moralicondividono inoltre l'apertura alla multiprospetticit della rappresentazione, posta in atto mediante inedite inquadrature dei personaggi, e una continua teatralizzazione di idee. Infine, presente nel testo un chiaro intento critico-demistificatorio, tratto caratteristico dei racconti illuministici e delle opere parodistico-satiriche settecentesche (Pope, Swift, Sterne), volto ad una lucida analisi delle storture della civilt contemporanea. Al di l delle ascendenze illuministiche, e delle affinit con le forme di scrittura ironica analizzate, esistono tuttavia tratti peculiari della tonalit ironica leopardiana, totalmente inediti e non ascrivibili ai generi sopra menzionati. NelleOperette moraliinfatti,alla derisione satirica, alla deformazione grottesca, alla distanza ironicasi accompagna costantemente l'accento sofferto insito nella scelta di mettere comicamente in scena una verit tragica, che accomuna universalmente l'umanit.NelleOperettenon rintracciabile quello sguardo sardonico, acre di denuncia e irrisione, che compare in molti romanzi illuministici, e ancor pi nelle opere parodistiche settecentesche, volte a mettere impietosamente a nudo i tratti salienti e contraddittori della modernit. L'ironia di Leopardi, proprio perch nasce dalla tragica consapevolezza del comune destino umano e cosmico, conforme al modello ravvisato dal socraticoFilippo Ottonieri:La mia ironia non fu sdegnosa e acerba, ma dolce e riposata.Si tratta, in ultima analisi, di una sofferta modalit di riflessione che, attraverso le armi dell'ironia, ambisce a proporre un'aperta e rinnovata problematizzazione intorno alla tragica condizione etica ed esistenziale dell'uomo, come singolo ed in relazione alla societ. Linfelicitstorica legata soprattutto allet moderna, perch in questo tempo il prevalere delle leggi e della ragione sullindividuo essenziale e porta inevitabilmente aldolore, contro il quale si erge la volont di costruire un mondo di affetti generosi di eroismo e di solidale piet per luomo da opporre allaNatura, indifferente al suo dolore, anzi creatrice della sua infelicit. Leopardi con le operette morali vuole condividere un messaggio di filosofia pratica, egli accenna ai testi pratici dei classici, contrapponendoli ai testi di filosofia teorica dei moderni. Leopardi prende come punto diriferimento pratico-morale Epitteto,egliaveva preparato, nel 1825, per il suo editore, il tipografo Stella di Milano, una traduzione delManualediEpitteto che non fu mai pubblicata (nel 1830 leditore restitu il manoscritto a Leopardi), se non postuma, nel 1845. Il poeta aveva premesso alla traduzione unPreambolo del volgarizzatore. La filosofia consolatoria di Epitteto ci sembra molto lontana dallo spirito forte di Leopardi. Il poeta non vuole certorinunciare alla felicit(anche se in questo senso egli leggelinsegnamento di Epitteto, ma dopo molti travagli dellanimo e molte angosce, ridotto quasi mal mio grado a praticare per abito il predetto insegnamento, ho riportato di cos fatta pratica e tuttavia riporto una utilit incredibile).Lo stoicismo appare a Leopardi lextrema ratiodopo il fallimento nella ricerca della felicit, una risposta a un dolore invincibile. Linvito di Leopardi al lettore di mettere in atto gli insegnamenti di Epitteto appare, tra le righe, come invito a non rinunciare alla felicit, anche se la non rinuncia implica molti travagli e molte angosce. Ora la utilit di questa disposizione [lo stato danimo libero da passione, il non darsi pensiero delle cose esterne, la freddezza o indifferenza], e della pratica di essa nelluso del vivere, nasce solo da questo, che luomo non pu nella sua vita per modo alcuno n conseguir la beatitudine n schivare una continua infelicit. [...] proprio degli spiriti grandi e forti [...] il contrastare, almeno dentro se medesimi, alle necessit, e far guerra feroce e mortale al destino, come i sette a Tebe di Eschilo, e come gli altri magnanimi degli antichi tempi. Proprio degli spiriti deboli di natura [...] il ridursi a desiderare solamente poco, e questo poco ancora rimessamente; anzi, per cos dire, il perdere quasi del tutto labito e la facolt, siccome di sperare, cos di desiderare. E dove che quello stato di inimicizia e di guerra con un potere incomparabilmente maggior dellumano non pu aver alcun frutto, e dallaltro lato pieno di perturbazione, di travaglio, dangoscia e di miseria gravissima e continua; per lo contrario questo altro stato di pace, e quasi di soggezione dellanimo, e di servit tranquilla, quantunque niente abbia di generoso, pur conforme a ragione, conveniente alla natura mortale e libero da una grandissima parte delle molestie, degli affanni e dei dolori di che la vita nostra suole essere tribolata. Ed io, che dopo molti travagli dellanimo e molte angosce, ridotto quasi mal mio grado a praticare per abito il predetto insegnamento, ho riportato di cos fatta pratica e tuttavia riporto una utilit incredibile, desidero e prego caldamente a tutti quelli che leggeranno queste carte, la facolt di porlo medesimamente ad esecuzione.(G. Leopardi,Preambolo del volgarizzatore, in Epitteto,Manuale, Rizzoli, Milano, 1996, pagg. 99-101).

Certe prosette satiriche, quasi per vendicarsi del mondo e quasi anche della virt(Epistola 1820 a Pietro Giordani). Interessante la frase per capire lo stato danimo dironia, di satira, di ribellione con cui le Operette Morali sono state concepite.

Nei miei dialoghi miei dialoghi cercherdi portar la commediaa quello che finora stato proprio della tragedia, cio i vizi dei grandi, i principi fondamentali delle calamit e della miseria umana, gli assurdi della politica, le sconvenienze appartenenti alla morale universale e alla filosofia, landamento e lo spirito generale del secolo, la somma delle cose, della societ, delle civilt presenti.La riflessione sul riso assai ricca in Leopardi. Fra i molti testi che si potrebbero citare, non si possono scordare lOperettaElogio degli uccellie il suo protagonista Amelio, filosofo solitario che progetta di comporre una storia del riso, privilegio delluomo e non degli altri animali: e perci pensarono alcuni che siccome luomo definito per animale intellettivo orazionale, potesse non meno sufficientemente essere definito per animale risibile; e lOperettaDialogo di Timandro e di Eleandro, in cui Eleandro (colui che commisera luomo, alter-ego di Leopardi) afferma: Ridendo dei nostri mali, trovo qualche conforto; e procuro di recarne altrui nello stesso modo.Largamente riprese e rielaborate nei tardiPensieri, le pagine delloZibaldonesul riso dimostrano lattenzione che Leopardi riserv a questo tema: Il riso delluomo sensitivo e oppresso da fiera calamit segno di disperazione gi matura il riso vuoto e stupido frequente nei pazzi, ma anche nei savi completamente disperati della vita facile scherzare sulle cose fuori del comune o suidifetti corporei, il difficile muovere a riso sulle cose ordinarie quanto pi si capaci di ridere tanto pi si graditi nella conversazione e nella vita in questo mondo Tutto degno di riso fuorch il ridersi di tutto crescendo lesperienza, e quindi linfelicit, luomo diviene facile alriso e incapace di pianto in una conversazione, ridere franco e forte con una o due persone provoca il rispetto degli altri, e toglie loro la baldanza e la superbia: In fine il semplice rider alto vi d una decisa superiorit sopra tutti gli astanti o circostanti, senza eccezione.Terribile la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, padrone degli altri, come chi ha il coraggio dimorire.Nella Ginestra, al verso 201, Leopardi parla del Vesuvio e di come esso minaccia le nostre rovine, invitando l'umanit a vedere ci che accade, rispetto ai 'miseri mali' di cui l'umanit stessa si cruccia. Trattando quest'argomento egli dice: Non so se provare riso o piet per voi. (Collegamento fondamentale con il Diaologo di Timandro e di Eleandro). Attraverso l'ironia Leopardi distrugge la posizione dei contemporanei con il ridicolo degli antichi comici greci e latini e quello moderno francese. Leopardi distingueva i due: il ridicolo degli antichi era un riso solido, quello dei moderni un riso fugace. Il riso11Collegamenti esterni:Pirandello, Saggio sull'umorismo (Debitore a Leopardi)Samuel Beckett, il quale definisce il riso come uno scorticamento dell'intelletto,lo esamina in tre aspetti differenti:Amaro: sorriso amaro di natura etica (Sorrido per una cosa sbagliata)

Sordo:sorriso intellettuale (Capisco/Sento il falso, senza contestare nulla all'interlocutore)

Cupo (Nelle Op. Morali parla di un riso alto. Il riso sordo e quello cupo si trovano nello Zibaldone. [Rif. Dialogo di Timandro e di Elandro].

delle Operette Morali costante, solido, pieno di immagini che esprimono concetti come la noia, il dolore, ecc.

LoscrittoreEleandro incalzato in una discussione dalcriticoTimandro, che lo riprende per i suoi scritti poco edificanti:non si giova coi libri che mordono continuamente l'uomo in generale.Conformemente alla moda, lo invita a mutare animo e aprocurar di giovare alla [sua] specie.Eleandro che non ama e non odia gli uomini, non sente la necessit di procurar loro alcun elogio, ritenendo unico rimedio al comune destino di infelicit, ilrisolenitivo. Anche se i suoi scritti affrontanoverit dure e triste, non smettono di incitare gli uomini adazioni nobili e virtuose, al cultodelle immaginazionie degli errori antichi, mentre deplorano il misero e freddo vero della filosofia e della civilt moderna.Dicono i poeti che la disperazione ha sempre nella bocca un sorriso. Non dovete pensare che io non compatisca all'infelicit umana. Ma non potendovisi riparare con nessuna forza, nessuna arte, nessuna industria, nessun patto; stimo assai pi degno dell'uomo, e di una disperazione magnanima, il ridere dei mali comuni; che il mettermene a sospirare, lagrimare e stridere insieme cogli altri, o incitandoli a fare altrettanto. [...] io desiderio quanto voi, e quanto qualunque altro, il bene della mia specie in universale; ma non lo spero in nessun modo; non mi so dilettare e pascere di certe buone aspettative, come veggo fare a molti filosofi in questo secolo; e la mia disperazione, [...], non mi lascia luogo a sogni e immaginazioni liete circa il futuro, n animo d'intraprendere cosa alcuna per vedere di ridurle ad effetto.Il dialogo sviluppa le sue argomentazioni su due percorsi, uno strettamente morale, l'altro metafisico. Evocando in felici battute pensieri gi ampiamente affrontati in molti passi dello Zibaldone, l'operetta affronta diversi argomenti cari al Nostro. Torna la questione deilibrie deilettori,gi nell'Ottonierie soprattutto nelParini: l'importanza della scrittura vista oggi come un passatempo e i sentimenti che animano lo spirito, dopo una lettura, non portano l'uomo a compiere grandi azioni. Questa tendenza non deve far dimenticare il valore di un testo, che pu restare significativo anche se nonpersuasivo. La mancanza distimaneiconfronti dell'umanit poggia, per Eleandro, su unprogressoirreversibile dello spirito e del pensiero umano.

Tutti i savi si ridono di chi scrive latino al presente, che nessuno parla quella lingua, e pochi la intendono. Io non veggo come non sia parimente ridicolo questo continuo presupporre che si fa scrivendo e parlando, certe qualit umane che ciascun sa che oramai non si trovano in uomo nato, e certi enti razionali o fantastici, adorati gi lungo tempo addietro, ma ora tenuti internamente per nulla e da chi gli nomina, e da chi gli ode a nominare.

Nei suoi scritti egli nonmorde la sua speciema si duole delfato, a cui si pu opporre come rimedio solo ilriso. In parallelo il testo pone all'attenzione del lettore anche rispostemordacisul piano speculativo: la perfezione dell'uomo, immagine simbolo della filosofia del secolo moderno, consiste nella conoscenza del vero, mentre tutti i suoi mali provengono dalle opinioni false e dall'ignoranza. Eleandro sostiene che nei fatti questeveritdevono essere dimenticate ed estirpate da tutti gli uomini, perch, sapute, non possono altro che nuocere: la filosofia, infatti, non solo inutile alla felicit dell'uomo ma dannosissima. Nei suoi scritti ha sempre esaltato gli errori degli antichi perch giovano alle nazioni moderne, tuttavia, dove un tempo simili opinioni nascevano dall'umile ignoranza, oggi provengono dalla ragione e dal sapere: il piacere generato pi efficace nello spirito che nel corpo, nelle opere letterarie pi che nelleazioni, e risulta un sentimento piripostoedintrinsecorispetto al passato.[...]non molto dopo sollevati da una barbarie, ci hanno precipitati in un'altra, non minore della prima; quantunque nata dalla ragione e dal sapere, e non dall'ignoranza; e per meno efficace e manifesta nel corpo che nello spirito, men gagliarda nelle opere, e per dir cos, pi riposta ed intrinseca. [...]

Posto a conclusione delle Operette nell'edizione Stelladel 1827, il dialogo, nelle intenzioni dell'autore, doveva essere nel tempo stesso una specie di prefazione, ed un'apologia dell'opera contro i filosofi moderni.Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare (1824)Accorato dialogo in cui l'autore rinnova la sua incondizionata reverenza. Nei confronti delsuopoeta preferito, sentito vicino, nel dramma della vita privata, alla sua condizione personale di infelicit. Il tono pacato, i ragionamenti pazienti e dimessi riproducono l'immagine del sognocondizione principe che mette l'essere umano nelle condizioni di rivivere sentimenti profondi e vicini all'assoluto. L'immagine della donna amata sublimata nel ricordo, nelle visioni vaghe e incerte della memoria, a differenza del mondo reale in cui vive l'oggetto del desiderio e della passione. Solo la speranza di rivedere un giorno l'amata sono perTasso, l'unico piacere concessogli dal suo stato di prigionia. Il fantasma, come un caro vecchio amico, lo consola:[...] Sappi che dal vero al sognato, non corre altra differenza, se non che questo pu qualche volta essere molto pi bello e pi dolce, che quello non pu mai.La struttura tripartita del Dialogo simmetricamente scandita da tre domande specifiche che sul piano filosofico individuano tre concetti importanti del pensiero leopardiano:1)Che cosa il vero?2) Che cos' il piacere?3) Che cos' la noia?La riflessione sul ricordo/sogno risponde alla prima domanda in favore dell'immaginazione che supera comunque e sempre l'arido vero. Il sogno incomparabilmente pi bello e pi emozionante. Tasso stesso lo testimonia quando racconta che la sua donna sembra una dea e non una semplice bella donna quando dorme e la sogna. Ilpiacerenon una cosa reale ma solo oggetto di speculazione; un desiderio e non un fatto, perch impossibile da conseguire in vita; un pensiero che l'uomo concepisce ma non prova. Ritornano le pagine dello Zibaldone con tante immagini sull'oggetto del piacere reale e del piacere immaginato.Lanoianon altro che il desiderio puro della felicit che occupa tutti gli intervalli di tempo tra il piacere (fievolissimo, provato soltanto rare volte in sogno) e il dispiacere (la totalit del tempo) e quindi ildolore, rimedio alla noia. Le considerazioni finali riguardano l'assuefazione alla prigionia che rendono l'uomo pi forte per affrontare la societ.[...] l'uomo,[...] chiarito e disamorato delle cose umane per l'esperienza; a poco a poco assuefacendosi di nuovo a mirarle da lungi, donde elle paiono molto pi belle e pi degne che da vicino, si dimentica della loro vanit e miseria; torna a formarsi e quasi crearsi il mondo a suo modo; [...] e desiderare la vita; delle cui speranze, [...], si va nutrendo e dilettando, come egli soleva suoi primi anni. [...] e rimette in opera l'immaginazione, []Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere (1832).Unpasseggereincontra casualmenteun venditore d'almanacchi e lunari: la scena sisvolgeprobabilmente lungo una strada o uncrocevianel centro di una comune citt. il pensatore a colloquio con l'uomo incolto.Pur trattandosi in definitiva di unmonologodel passeggere, presenta uno scambio di battute argomenti cardine del pensiero leopardiano.12A un venditore di almanacchi (o lunari) un passante (nel quale possiamo vedere lo stesso Leopardi) chiede se pensa che l'anno nuovo possa essere felice . Alla risposta affermativa del popolano il passeggero domanda se fosse contento di tornare a rifare la vita passata, a patto per di viverla n pi n meno quale la prima volta, con tutti i piaceri e i dispiaceri provati. Il venditore risponde negativamente, precisando che per lui va bene una vita cos, come dio la manda, senza altri patti. Se dunque - conclude il passeggero - nessuno vuole tornare indietro, segno che il caso, fino a tutto quest'anno ha trattato male tutti, e che ciascuno d'opinione che sia stato pi e di pi peso il male che gli toccato che il bene. Quella vita che una bella cosa , non n la vita che si conosce, ma quella che non si conosce , non la vita passata , ma la futura.

Il concetto del dialogo contenuto in questo passo delloZibaldone:[...] nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiamo provato pi male che bene; e se noi ci contentiamo ed anche desideriamo di vivere ancora, ci non che per l'ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la quale illusione o ignoranza non vorremmo pi vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti.(Giacomo Leopardi,Zibaldone di pensieri, pp. 42-83, 229-30)Dialogo della Terra e della Luna (1824).Nello spazio silenzioso unaTerrache scoppia di noia perch i suoi negozi sono ridotti a poca cosa comincia un dialogo con laLuna, da sempre sua compagna di viaggio e amica del silenzio. L'inizio del dialogo, che rimanda al commovente e ininterrotto colloquio del poeta col nostro satellite, ricorda la felice apertura dell'idillioAlla lunadel1819. La Terra, dopo aver ricordato la sua natura armonica, divina e genitrice, in ossequio alla tradizione classica dei pi antichi poeti greci, domanda alla Luna che tipo di abitanti la popolano, e di che natura la societ radicatasi sulle sue lande. La sua umile suddita risponde di non essere in nulla conforme alla sua Signora, e che in errore se crede che tutto, nell'universo, Madre Natura, abbia creato simile a lei e all'umanit.Perdona, monna Terra, [...]. Ma in vero che tu mi riesci peggio che vanerella a pensare che tutte le cose di qualunque parte del mondo sieno conformi alle tue; come se la natura non avesse avuto altra intenzione che di copiarti puntualmente da per tutto.La Terra di pasta grossa e cervello tondo, da sempre impegnata ad allungare le sue corna che gli uomini chiamano monti e picchi per vedere cosa accade su quelle terre vicine, non si capacita di quello che si sente rispondere, non comprendendo una verit naturale.Nessuna delle cose perdute dagli uomini si trova nascosta su i suoi lidi, come l'amor patrio, la virt, la gloria o larettitudine. Altre cose, invece, sono presenti come sulla Terra, sono i mali: vizi, misfatti, infortuni, dolori, vecchiezza.Oh cotesti s che gl'intendo; e non solo i nomi, ma le cose significate, le conosco a maraviglia: perch ne sono tutta piena, [...][...]il male cosa comune a tutti i pianeti dell'universo, nessuna eccezione. La radicalit della tesi assunta il primo segnale di quel dolore cosmico che sar sviscerato nei dialoghi successivi riguardanti la Natura.La Luna non cambierebbe il suo stato con l'abitante pi fortunato delle sue lande e dubita che ci sia speranza per loro. Anche la Terra riconosce che l'unico conforto che sembrano avere gli uomini sia il sonno che ora avvolge una parte di essi, l'emisfero non illuminato. I pianeti si salutano con una battuta ironica a suggellare l'amarezza del tono complessivo del dialogo. Curatissimo il lavoro di citazione di che va da illustri fisici e astronomi,alla battute sulla mitologia classica fino ad un accenno alla tradizione religiosa islamica. Immancabile la fonte letteraria che celebra l'Ariosto, il poeta italiano autore dei passi pi fantasiosi legati alla parte nascosta del nostro satellite.

Dialogo di un fisico e un metafisico (1824)Primodialogoin cui compaiono gli stereotipi di due personaggi reali non appartenenti al mondo del mito, della natura o della fantasia popolare.Ad interrogarsi sulle questioni fondamentali della vita sono stavolta un fisico,scopritore e sostenitore dell'arte di vivere lungamentee un metafisico, che reputa quella scoperta pericolosa per il genere umano se non affiancatadall'arte di vivere felicemente.Il fisico si fa portavoce della prima teoria macrobiotica chepoggia sulla tesi dell'umanit, per natura, desiderosa di vivere in eterno.In realt, ci che distingue gli uomini da tutte le altre creature, obietta il metafisico, il loro desiderio di felicit: sempre pi spesso, quando viene meno, li spinge al suicidio.Per rendere giustizia alle sue tesi, il metafisico ricorre alla saggezza degli antichi, espressa sotto forma di mito, proponendo esempi di personaggi che ricevettero come sommo bene la morte invece della vita.Dopo aver accostato la brevit dell'esistenza di alcune popolazioni a quella del ciclo vitale di alcuni insetti,il dialogo svolge il concetto che la vita degli uomini tanto meno infelice, quanto pi fortemente agitata e occupata, quindi libera dal tedio.Il divario tra i due si fa pi grande nel finale quando il metafisico dichiara di preferire solo i giorni felici che la natura concede all'uomo (anche se pochi), mentre il fisico vorrebbe aggiungere (conformemente alla sua scoperta) altri giorni, anche infelici, perch ci che conta vivere di pi.Il dialogo si conclude sulle parole del metafisico:[...]Ma se tu vuoi, prolungando la vita, giovare agli uomini veramente; trova un'arte per la quale siano moltiplicate di numero e di gagliardia le sensazioni e le azioni loro. Nel qual modo, accrescerai propriamente la vita umana, ed empiendo quegli smisurati intervalli di tempo, nei quali il nostro essere piuttosto durare che vivere, ti potrai dar vanto di prolungarla.Anche in questa operetta sono molto curate le citazioni dotte. In particolare, troviamo un riferimento alla terra degli Iperborei: essi incarnano la prospettiva di noia della vita eterna; se ne privano volontariamente una volta che questa non ha pi nulla da offrire. Dopo aver citato ilCagliostro, altri due miti ironizzano sul desiderio di immortalit, il massimo dono che gli dei possono concedere agli uomini. Ben pi visibile l'ironia che riveste le citazioni riguardanti alcuni scienziati moderni. IlLeeuwenhoekattribuiva ad alcuni pesciuna vita lunghissima. IlMaupertuissosteneva diritardare o interrompere la vegetazione del nostro corpoper allungare la vita degli uomini. citato indirettamente anche il naturalistaBuffonil quale racconta degli uomini che vivono inGuineao inDecanuna vita pari alla met di quella europea, ma pi intensa econcentrata. Dialogo della Natura e di un anima (1824).Va, figliuola mia prediletta, [...] Vivi, e sii grande einfeliceIn un luogo impossibile da definire, assistiamo all'incontro tra un'anima, destinata a grandi cose, e una Madre Natura, orgogliosa di dare i natali ad un figliuola tanto illustre. Prima della nascita, la Natura predice all'animal'infelicit, che sar direttamente proporzionale alla sua grandezza: oggetto di lodi e di invidia presso gli uomini, vivr unamemoria imperitura. Dopo una serie di esempi storici e considerazioni sulla vita degli uomini, l'Anima rinuncia alle sue qualit rare e chiede, in cambio dell'immortalit, di esserealluogatanell'essere pi umile e semplice e di essere, quanto prima, raggiunta dalla morte.Lo scopo di ogni anima la felicit, la beatitudine:Madre mia, non ostante l'essere ancora priva delle altre cognizioni, io sento tuttavia che il maggiore, anzi il solo desiderio che tu mi hai dato, quello della felicit.L'essere umano eccellente pi cerca questa condizione pi s'accorge di quanto sia impossibile raggiungerla e le avversit che costellano il suo cammino, portano ineluttabilmente al dolore e alla sofferenza. L'infelicit, quindi propria di tutti gli uomini, ma maggiore in quelli grandi, nei magnanimi, coloro che sentono fortemente la vita in ogni sua manifestazione, nelle anime pi sensibili.Figliuola mia; tutte le anime degli uomini, come io ti diceva, sono assegnate in preda all'infelicit, senza mia colpa. Ma nell'universale miseria della condizione umana, e nell'infinita vanit di ogni suo diletto e vantaggio, la gloria giudicata dalla miglior parte degli uomini il maggior bene che sia concesso ai mortali, e il pi degno oggetto che questi possano proporre alle cure e alleazioni loro.Onde, non per odio, ma per vera e speciale benevolenza che ti avea posta, io deliberai di prestarti al conseguimento di questo fine tutti i sussidi che erano in mio potere.Altro dialogo cardine del pensiero Leopardiano, che torner prepotentemente nei dialoghi e novelle sulla vanit dellagloriae sul meccanicismo naturale. Due ipoeti illustri citati (Cames e Milton), presi ad esempio di gloria postuma e sofferenza in vita. Torna il taglio ironico, mentre il riferimento alsuicidiosi fa pi esplicito.Detti memorabili di Filippo Ottonieri (1824).IDettiMemorabilidiFilippoOttonierisonounaraccoltadiaforismi,iqualiesprimonoilpensierodelloscrittore.FilippoOttonieriunpersonaggioinventatodaLeopardinatoevissutoaNubiana,nellaprovinciadiValdivento,entrambipostifantastici.QuestopersonaggioilritrattodellautoredelleOperette:descrittoinfatticomeunapersonaodiatadaisuoiconcittadiniperchavevagustidiversidaquesti.Sicredevachefosseunfilosofononsoloneipensierimaanchenellavitapratica.SiprofessavaepicureononostantecondannasseEpicuroinquantoconsideravachelasuateoriafosseadattaalletmodernaenonaquellaantica.GlipiacevaessereconsideratounsocraticoesicomportavaspessocomeSocrate,inquantosintrattenevafilosofeggiandooraconunooraconunaltroapropositodiqualsiasiargomentoesoprattuttoparlavainmodoironicomainrealteramoltodiversodalfilosofoatenieseperchnonragionavanellamanierasocraticanconversavaconlepersonesemplicieumili.EvocandolafiguradiSocrate,Leopardivuolesottolineareilcompitodelrisosocratico,dellironiasocraticanelleOperettemorali,ecioquellodipermettereunanalisiliberaespregiudicatadelmondoedellesueopinioni.Lafilosofiaironica,tantonelcasodiSocratequantoinquellodell'OttonieriediLeopardi,nascecomeunasortadireazioneallageneraleinsensibilitdelmondo,dalvedersiquestipersonaggirespintidallasocietperlaloroincapacitdicondividerepropositiesistemi.