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1 LE FORME DI GOVERNO DELLA SANITÀ IN TOSCANA ESAME CRITICO E PROPOSTE Centro Promozione per la Salute “Franco Basaglia” - Arezzo Istituzione della

LE FORME DI GOVERNO DELLA SANITÀ IN TOSCANA · 4 compito di determinare il ruolo di governo degli Enti locali nel SSN e allo stesso tempo bisogna riconoscere che solo poche Regioni,

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LE FORME DI GOVERNO DELLA SANITÀ IN TOSCANA

ESAME CRITICO E PROPOSTE

Centro Promozione per la Salute“Franco Basaglia” - Arezzo

Istituzione della

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1. L’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale

1.1. La legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, ha sancito un sistema sanitario conformato ai principi di equità (per cui tutti contribuiscono alla spesa sanitaria secondo le proprie possibilità economiche e non in ragione del proprio stato di salute), universalità (chiunque può utilizzare il SSN senza essere discriminato in base al reddito, l’età, la condizione culturale e sociale) e globalità (la copertura del SSN non riguarda la sola cura, ma eroga prestazioni che vanno dalla prevenzione alla riabilitazione) che rappresenta an-cora oggi una conquista avanzata e di grande civiltà.

1.2. La successiva riforma operata con i decreti legislativi n. 502/1992 e n. 517/1993 (riforma De Lorenzo) ha inteso fronteggiare l’aumento dei costi e l’espansio-ne incontrollata della spesa emersa negli anni ’80 non tanto o non soltanto nel comparto della sanità, ma a seguito di un’economia drogata dall’espansione del debito pubblico che aveva superato il valore del Prodotto interno lordo (PIL). L’organizzazione del sistema è stata pertanto ridisegnata per renderla più con-forme ai principi di efficienza ed economicità con l’intento di rendere possibile l’abbattimento dei costi senza comprimere il livello delle prestazioni.

1.3. La regionalizzazione della spesa, la creazione di Aziende Sanitarie Locali (ASL) a dimensione provinciale in competizione fra loro e con le strutture private ac-creditate, l’introduzione del sistema di rimborso a tariffa (DRG) – per citare solo gli elementi più innovativi che hanno avuto un forte impatto sull’organizzazione originaria del SSN – sono alcuni degli strumenti utilizzati per riordinare l’orga-nizzazione pubblica del sistema in modo da conformarla ai principi di produtti-vità e efficienza propri dei sistemi di mercato.Tuttavia i meccanismi di finanziamento di questo nuovo assetto, con la loro am-biguità e contraddittorietà, finivano per rappresentare una minaccia alla tenuta dei valori originari del sistema. Infatti l’ammontare del Fondo sanitario nazio-nale veniva stabilito non in base ai livelli di assistenza a carico del SSN, bensì sulla scorta delle disponibilità del bilancio dello Stato. Ne risultava una sorta di controriforma che segnava il passaggio da un diritto alla tutela della salute costi-tuzionalmente garantito a un diritto finanziariamente condizionato.Nella legge n. 833 del 1978, istitutiva del SSN, infatti, i bisogni rappresentava-no la variabile indipendente e la spesa era concepita come variabile dipendente (determinata cioè dal grado di soddisfacimento di quei bisogni). A partire dalla riforma del 1992 la spesa diventa, invece, una variabile indipendente (stabilita annualmente dal Governo in funzione delle compatibilità economiche e finanzia-rie del Paese), mentre i bisogni di salute rappresentano una variabile dipendente.

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Alle nuove ASL viene affidato il compito di garantire il pareggio del bilancio, a prescindere dal risultato di salute degli assistiti. Ciò nonostante il metodo delle risorse definite ex ante produce una inevitabile e costante riduzione dei fondi a disposizione e il finanziamento pubblico risulta decisamente sottostimato rispet-to al fabbisogno (anche per un vizio di origine nella stima del Fondo sanitario nazionale che è effettuata sulla base della spesa storica stimata e non quella rea-le, di tal ché si ha il problema di gestire un disavanzo non calcolato).Altri elementi di “controriforma” rispetto al modello originario si possono ri-scontrare da un lato nell’eliminazione degli Enti locali territoriali da ogni fun-zione e responsabilità nel governo del sistema sanitario (le Conferenze dei Sin-daci sono un palliativo che non conferisce alcun effettivo potere) e dall’altro nella separazione dell’organizzazione sanitaria da ogni funzione di assistenza sociale cosicché essa tende inevitabilmente a privilegiare le strutture ospedaliere piuttosto che la prevenzione, la medicina di base, la riabilitazione e più in gene-rale tutti i servizi territoriali (salute mentale, cura tossicodipendenze, consultori familiari, assistenza a persone portatrici di handicap, ecc.)

1.4. A tutto ciò ha inteso porre rimedio il Decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (riforma Bindi).Sul piano istituzionale, viene completato il processo di regionalizzazione av-viato in modo confuso nel 1992. In armonia con l’evoluzione federalista dello Stato, il SSN è definito come il sistema delle funzioni e dei servizi propri dei Servizi sanitari regionali. L’elemento unificante, grazie al quale il Servizio sani-tario mantiene il suo carattere “nazionale” è rappresentato dai Livelli essenziali e uniformi di assistenza. “Essenziali” e non “minimi” perché rispondono in modo uniforme ed appropriato, ovvero clinicamente efficace ed economicamen-te conveniente, alle necessità assistenziali dei pazienti. Sono individuati nel Pia-no sanitario nazionale, lo strumento della programmazione sanitaria (il processo di programmazione sanitaria introdotto dalla riforma è circolare: da un lato le Regioni concorrono alla definizione del Piano nazionale e dall’altro il Ministero della Sanità verifica che i singoli Piani regionali siano compatibili con esso).I poteri delle Regioni sono bilanciati da nuove responsabilità degli Enti locali chiamati a partecipare a tutti i livelli della programmazione. I sindaci vengono coinvolti sia nel momento della programmazione sia in quello della verifica dei risultati conseguiti dalle ASL, al fine di garantire un più stretto rapporto tra il SSN e il cittadini. Ne deriva un disegno federalista cooperativo e solidale che valorizza il sistema delle autonomie senza spezzare l’unitarietà del sistema, dal momento che al Ministero sono affidati oltre ai compiti di indirizzo, verifica e monitoraggio, anche quelli di garanzia che i Livelli essenziali di assistenza siano effettivamente erogati a tutti i cittadini con la stessa qualità.Bisogna dire che l’articolo 2-quinquies della riforma-ter affida alle Regioni il

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compito di determinare il ruolo di governo degli Enti locali nel SSN e allo stesso tempo bisogna riconoscere che solo poche Regioni, per di più in forme molto diverse, si sono cimentate con il disposto della legge quadro, di modo che l’au-toreferenzialità del sistema sanitario resta una negatività irrisolta. Sul piano organizzativo la riforma Bindi conferma il principio della azienda-lizzazione, ma precisa il ruolo delle ASL rafforzandone le finalità pubbliche; definisce i rapporti fra pubblico e privato sostituendo alla logica della concor-renza quella del fabbisogno e dell’integrazione attraverso un sistema di accredi-tamento che pone le strutture pubbliche e private sullo stesso piano in modo da competere non per produrre maggiori prestazioni, spesso anche inutili, ma più qualità.; valorizza l’assistenza primaria e territoriale con la creazione dei Distret-ti chiamati a garantire, in un contesto che integra gli ospedali con il territorio, la continuità assistenziale e l’integrazione fra i servizi sociali e sanitari.Per quanto riguarda il finanziamento esso resta saldamente ancorato alla fiscali-tàgenerale e le sue modalità rientrano nel cosiddetto federalismo fiscale, che ri-conosce piena autonomia finanziaria alle Regioni pur mantenendo salda una cornice di parità e uniformità, attraverso un Fondo nazionale perequativo. La definizione del fabbisogno complessivo e la verifica della sua compatibilità con la finanza pubblica avvengono con il documento di programmazione economi-co-finanziaria (DPEF).La riforma opera pertanto una profonda discontinuità con l’impianto del 1992. Si prevede infatti la “contestualità” fra l’identificazione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), i servizi e le prestazioni che le Regioni devono garantire in modo uniforme con risorse pubbliche, e la determinazione del fabbisogno finan-ziario nel rispetto delle compatibilità definite a livello nazionale. Viene meno il metodo centralistico di fissare le risorse prima di avere individuato il “fabbiso-gno di salute”, e, al suo posto, acquista un ruolo centrale la programmazione, nazionale e regionale, quale strumento che rende possibile l’incontro virtuoso fra domanda ed offerta.

1.5. Tuttavia la riforma Bindi non è stata attuata, se non in modo parziale e solo in alcune Regioni e d’altro canto la sottostima del finanziamento pubblico che ha caratterizzato la politica sanitaria dei governi per molti anni ha determinato una progressiva fuoriuscita dal sistema universalistico cosicché si è aggravata la diversificazione regionale del sistema sia sul piano finanziario (alcune regio-ni registrano deficit molto pesanti), sia sul piano della qualità dei servizi (basti pensare alle difficoltà di molte Regioni ad attuare il processo di accreditamen-to previsto dalla riforma: esse non solo non hanno deliberato standard propri, ma hanno dilazionato nel tempo con continue proroghe, il raggiungimento degli standard di qualità).

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In un contesto siffatto è intervenuta la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione che ha conferito alle Regioni potestà legislativa in materia di tutela della salute salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato.

Se i principi generali non vengono chiaramente determinati e se essi non co-stituiscono le “regole comuni” cui si ispirano le Istituzioni in tutte le fasi del governo del Servizio sanitario nazionale, é ragionevole supporre che tale riforma tenderà ad aumentare le differenze tra Regioni anche in relazione ai servizi ero-gati. Non a caso autorevoli Centri di osservazione affermano che le disuguaglianze sociali nella salute in Italia si presentano intense, sistematiche e in crescita ed investono, dopo la riforma costituzionale, anche le architetture istituzionali del sistema sanitario dal momento che le Regioni stanno sperimentando una pluralità di soluzioni organizzative che si fondano su scelte significativamente diverse in relazione a profili rilevanti quali: gli assetti istituzionali e organizzativi delle unità di erogazione dei servizi; la separazione delle funzioni di acquisto ed erogazione e le conseguenze sul meccanismo finanziario; le modalità di finanziamento delle aziende territoriali; la natura e l’assetto del sistema di regolazione; i meccanismi di programmazione e di controllo; i servizi in convenzione (Cfr. “Manifesto per l’equità nella salute e nella sanità in Italia”; Rapporti Osservasalute; Confedera-zione Associazioni Regionali di Distretto).In questo quadro anche gli aspetti più rilevanti della riforma Bindi, quali la parte-cipazione degli Enti locali alla regolazione e al controllo delle ASL, rischiano di essere sacrificati sull’altare di un malinteso federalismo sanitario.Infatti in mancanza di una legge che includa la partecipazione degli Enti locali territoriali al governo del SSN fra i principi fondamentali, le Regioni possono attuare modelli organizzativi dei propri servizi regionali di impronta esclusiva-mente aziendalistica.

2. Il modello toscano

2.1. La Regione Toscana, rappresenta nel contesto degli ordinamenti regionali, un modello “virtuoso”: nessun disavanzo e piena attuazione dei principi della “ri-forma Bindi”.Con la legge regionale 8 marzo 2000, n. 22, infatti, l’ordinamento sanitario to-scano è stato articolato in :1) 10 aziende pubbliche a dimensione provinciale dotate di autonomia negoziale e articolate ciascuna in zone distretto (per un totale di 34 zone-distretto);2) 2 aziende pubbliche a dimensione sub-provinciale;3) 4 aziende ospedaliero-universitarie;

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nonché, ovviamente, le istituzioni sanitarie pubbliche e private convenzionate.L’aziendalizzazione del sistema è stata finalizzata al raggiungimento degli obiet-tivi stabiliti dal Piano sanitario regionale e regolata da un sistema di programma-zione al quale concorrono, a livello provinciale, la Conferenza dei Sindaci e, a livello di Distretto, le articolazioni distrettuali della Conferenza provinciale dei sindaci.

2.2 Recentemente la legge regionale n. 22/2000 è stata sostituita da una nuova disci-plina approvata con legge regionale 24 febbraio 2005, n. 40 che ha apportato modifiche rilevanti all’assetto istituzionale ed organizzativo delle ASL, peraltro già introdotte in via sperimentale dal Piano sanitario 2002-2004.Le modifiche investono sia l’inclusione delle ASL nell’Area vasta, che l’assetto delle loro funzioni, con la costituzione degli Enti per i servizi tecnico-ammini-strativi di area vasta (ESTAV).

L’ Area vasta è definita come la dimensione operativa a scala interaziendale, individuata come livello ottimale per la programmazione integrata dei servizi e per la gestione in forma unitaria di specifiche attività tecnico amministrative delle aziende sanitarie.Ne vengono istituite tre:

a) Area vasta nord-ovest, comprendente le Aziende unità sanitarie lo-cali 1 di Massa Carrara, 2 di Lucca, 5 di Pisa, 6 di Livorno e 12 di Viareggio, nonché l’Azienda ospedaliero-universitaria Pisana;

b) Area vasta centro, comprendente le Aziende unità sanitarie locali 3 di Pistoia, 4 di Prato, 10 di Firenze e 11 di Empoli, nonché le Aziende ospedaliero-universitarie Careggi e Meyer di Firenze;

c) Area vasta sud-est, comprendente le Aziende unità sanitarie locali 7 di Siena, 8 di Arezzo e 9 di Grosseto, nonché l’Azienda ospedaliero universitaria Senese.

In corrispondenza alle tre aree vaste vengono costituiti tre ESTAV con compe-tenze rilevantissime: approvvigionamento di beni e servizi; gestione dei ma-gazzini e della logistica; gestione delle reti informative e delle tecnologie in-formatiche, con particolare riguardo alla integrazione e alla organizzazione del Centro unificato di prenotazione (CUP); gestione del patrimonio per le funzioni ottimizzabili in materia di manutenzione, appalti e alienazioni; organizzazione e gestione delle attività di formazione continua del personale; gestione delle pro-cedure concorsuali per il reclutamento del personale; gestione delle procedure per il pagamento delle competenze del personale.In ciascuna area vasta è costituito un comitato composto dai direttori genera-li delle aziende sanitarie facenti parte dell’area e dal direttore dell’ESTAV. Al comitato è affidato il compito di governare il processo di integrazione intera-

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ziendale. E’ questo organismo infatti che elabora le proposte del piano di area vasta ed approva le intese e gli accordi delle aziende sanitarie in attuazione della programmazione regionale.Un’altra rilevante modifica, anch’essa già prevista dal Piano sanitario regionale 2002-2004 riguarda la sperimentazione delle Società della salute, mentre so-stanzialmente invariato è rimasto il sistema di regolazione e controllo al quale sono chiamati a partecipare gli Enti locali.Pertanto, appare opportuno richiamare, sia pure in forma non eccessivamente analitica, i tratti salienti della nuova disciplina dettata dalla L.R. n.40/2005 met-tendone in evidenza sia i punti di forza che i punti deboli ai fini dell’effettiva attuazione dei principi costitutivi del servizio sanitario regionale che si ispirano ad una concezione del welfare imperniata sulla centralità della persona, quale titolare del diritto costituzionale alla salute, e su un modello organizzativo fina-lizzato a garantire universalità e parità di accesso ai servizi sanitari per tutti gli assistiti.Un Servizio sanitario aperto alla partecipazione ed al coinvolgimento degli enti locali e delle parti sociali nella programmazione degli obiettivi e delle presta-zioni e nella valutazione della qualità dei servizi (cfr.art.3 L.R. n.40/2005) con una finalizzazione di tutta l’organizzazione sanitaria, comprensiva dei servizi sanitari della zona-distretto e di quelli ospedalieri in rete, “allo scopo di garanti-re all’assistito la fruizione di un percorso assistenziale appropriato, tempestiva-mente corrispondente al bisogno accertato, secondo i principi della qualificazio-ne delle prestazioni erogate e della compatibilità con le risorse disponibili” (cfr.art.4,comma 1, L.R.n.40/2005).

3. La regolazione del servizio sanitario regionale.

3.1.Gli atti di regolazione.Lo strumento che la legge regionale n.40/2005 individua per regolare la gestione del S.S.R. è la programmazione sanitaria (e segnatamente il piano sanitario re-gionale ed i relativi strumenti di attuazione) che, in coerenza col piano sanitario nazionale, deve assicurare lo sviluppo dei servizi di prevenzione collettiva, dei servizi ospedalieri in rete, dei servizi territoriali di zona distretto e la loro inte-grazione con i servizi di assistenza sociale.Poiché la gestione è articolata in aziende a dimensione provinciale e sub-provin-ciale sono previsti due livelli di programmazione: a) regionale attraverso:

1) il piano sanitario regionale ed i relativi strumenti di attuazio-ne;

2) i piani di area vasta;

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b) locale attraverso:1) i piani integrati di salute (PIS);2) i piani attuativi delle aziende USL;3) i piani attuativi delle aziende ospedaliero-universitarie;4) le intese e gli accordi stipulati dalle aziende sanitarie in attua-

zione dei piani di area vasta.

3.2. Gli Enti e gli Organi di regolazione.Alla programmazione a livello regionale concorrono sia la Giunta – titolare del potere di proposta – che il Consiglio – titolare del potere di approvazione, ad ec-cezione dei piani di area vasta per i quali la competenza ad elaborare la proposta è attribuita ad un organo tecnico: il Comitato di area vasta composto, come sopra indicato, dai direttori generali delle aziende sanitarie facenti parte dell’area e dal direttore dell’ESTAV.La programmazione a livello locale è attribuita ai comuni che fanno parte degli ambiti territoriali dell’azienda unità sanitaria locale mediante la costituzione del-la Conferenza dei sindaci , organo a cui compete il potere di approvare il piano attuativo locale adottato dal Direttore generale della azienda USL. All’interno della conferenza dei sindaci sono costituite le articolazioni zonali della confe-renza di cui fanno parte tutti i sindaci dei comuni ricompresi in ciascuna zona-distretto con il precipuo compito di individuare, con riferimento alle attività sa-nitarie territoriali e per quelle socio-sanitarie integrate gli obiettivi di salute che le aziende sanitarie debbono perseguire con il programma annuale di attività, nonché di avviare il processo di realizzazione del Piano integrato di salute e di approvarlo al termine dell’iter di formazione disciplinato dall’art. 21 della legge regionale n. 40/2005.La Provincia partecipa all’articolazione zonale della conferenza dei sindaci per l’integrazione con i programmi e gli interventi specifici di propria competenza.Il funzionamento della conferenza è disciplinato da un apposito regolamento adottato dalla Conferenza stessa. L’art. 12 della legge regionale n.40/2005 di-sciplina inoltre le modalità costitutive della struttura amministrativa di supporto alla Conferenza che risulta tributaria quasi completamente dal soggetto rego-lato. E’ l’azienda USL infatti che mette a disposizione sia idonei locali per le conferenze dei sindaci e le articolazioni zonali, sia il personale della segreteria incaricata dell’assistenza tecnica che si affianca a quello messo a disposizione da comuni e, per quanto di loro competenza, dalle province.Per l’esercizio dei propri poteri di regolazione la Giunta regionale si avvale del-la Conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria con funzioni consultive. Essa infatti esprime parere: sulla proposta di piano sanitario regio-nale; sulla proposta di piano integrato sociale regionale; sulle proposte di legge e di regolamento in materia sanitaria e sociale; sulle proposte di piani di area

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vasta; sulle proposte di piani attuativi delle aziende ospedaliero-universitarie e sulle relative relazioni aziendali. Ai fini dell’espressione dei pareri su questi due ultimi provvedimenti la conferenza organizza il proprio funzionamento in tre articolazioni che assumono la denominazione di Articolazioni di area vasta della conferenza.Membri di diritto della conferenza permanente sono i presidenti delle conferenze dei sindaci e i presidenti delle relative articolazioni zonali ai quali si affiancano sei membri di nomina della giunta regionale, quattro in rappresentanza dell’AN-CI, uno dell’URPT e uno dell’UNCEM.Le articolazioni di area vasta della conferenza sono a loro volta composte dai presidenti delle conferenze dei sindaci delle aziende USL ricompresse nell’area vasta e dai presidenti delle articolazioni zonali delle medesime conferenze, ov-vero dai presidenti degli organi di governo delle Società della salute disciplinate dall’art.65 della legge n.40/2005.

4. L’azione di controllo del regolatore sulla gestione del S.S.R.

Anche per quanto riguarda la funzione di controllo sulla gestione del servizio sanita-rio regionale non vi è una netta distinzione fra le competenze del regolatore e quelle dell’Azienda unità sanitaria locale.La legge regionale n.40/2005 individua due atti tipici attraverso i quali vengono ef-fettuati le valutazioni e il monitoraggio della programmazione sanitaria regionale:

a) la relazione sanitaria regionale;b) la relazione sanitaria aziendale.

La relazione sanitaria regionale esprime, anche sulla base delle risultanze delle rela-zioni sanitarie aziendali, valutazioni sui risultati raggiunti in rapporto agli obiettivi definiti dal piano sanitario regionale, nonché valutazioni epidemiologiche sullo stato di salute della popolazione. La relazione è elaborata ogni tre anni dalla Giunta regio-nale in collaborazione con l’Agenzia regionale di sanità, mentre ogni anno Giunta e Agenzia elaborano un documento di monitoraggio e valutazione relativo allo stato di attuazione della programmazione regionale ed ai risultati raggiunti in merito a specifici settori e obiettivi di salute.La relazione sanitaria aziendale è definita dalla legge “lo strumento di valutazione e di monitoraggio dei risultati raggiunti in rapporto agli obiettivi definiti dalla pro-grammazione sanitaria regionale e aziendale; essa costituisce pertanto strumento ri-levante per la programmazione sanitaria e regionale”. Fra l’altro è proprio attraverso le relazioni sanitarie aziendali che la Giunta Regionale “verifica la corrispondenza dei risultati raggiunti con i risultati attesi previsti dai piani attuativi” (cfr. art. 10 comma 3 lett.f) della legge regionale n.40/2005). In base a tale qualificazione ne dovrebbe discendere l’attribuzione della competenza della sua adozione e approva-

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zione ai soggetti e agli organi preposti all’attività di regolazione della gestione del S.S.R. Invece la sua adozione è ascritta alla competenza del Direttore generale e le conferenze dei sindaci e le articolazioni di area vasta della conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria esprimono solo valutazioni che vengono tra-smesse alla Giunta regionale. L’azione di controllo della Giunta regionale si esplica anche sotto i profili della tu-tela dei diritti dell’utenza con la verifica degli standard di qualità di cui all’art.14, comma 1 del decreto delegato, con il rispetto delle carte dei servizi, con le risultanze delle conferenze dei servizi e con l’approntamento dei protocolli d’intesa (cfr. art. 16 L.R.n.40/2005)

5. Le Società della salute

La Regione Toscana ha sempre valorizzato il ruolo di governo degli Enti locali nella sanità anche quando la legislazione nazionale non lo consentiva. Solo in Toscana, infatti, la Conferenza dei sindaci aveva ed ha il potere di approvare il Piano attuativo locale (Pal) dell’Azienda sanitaria locale.La Regione Toscana ha inteso fare un ulteriore passo in avanti nel governo dei Co-muni nella sanità, nonostante l’ambiguità e la debolezza del quadro normativo na-zionale.L’art.65 della L.R.n.40/2005 prevede infatti che gli enti locali e le aziende unità sanitarie locali abbiano la possibilità di dar vita, sulla base degli indirizzi regionali, a modelli sperimentali per la gestione dei servizi sanitari territoriali della Zona-di-stretto mediante la costituzione di appositi organismi consortili denominati Società della salute che hanno lo scopo di assicurare – in deroga al modello organizzativo ordinario previsto dalla legge – “la partecipazione degli enti locali al governo, alla programmazione e, eventualmente, alla gestione dei servizi”.Un passo avanti, certamente, ma non risolutivo della questione cruciale della autore-ferenzialità delle Aziende sanitarie localiIl modello organizzativo, infatti, non ha efficacia permanente ed estesa a tutto il ter-ritorio regionale e non incide sul carattere monocratico delle Aziende sanitarie locali e sulle Aziende ospedaliere.La disciplina legislativa,poi, si limita a dettare disposizioni generiche in ordine alle funzioni attribuite a questi organismi consortili e precisa che, laddove vengano co-stituiti, l’organo di governo delle Società della salute assume le funzioni e le compe-tenze attribuite dalla legge alle articolazioni zonali della Conferenza dei sindaci. Ogni altro aspetto è demandato agli indirizzi regionali cosicché, nella sostanza, la disciplina di questo modello organizzativo cosiddetto sperimentale, ma destinato a configurare giustamente un nuovo potere giuridico nell’impianto dei servizi sanitari territoriali della Zona-distretto, è pressoché integralmente delegificata.

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Eppure quando la legge regionale è stata approvata, la sperimentazione era in pieno svolgimento. Infatti, come già accennato, la previsione di una innovazione siffatta era già contenuta nel Piano sanitario regionale 2002-2004 e il Consiglio Regionale con deliberazione 24 settembre 2003, n. 155 aveva già emanato l’atto di indirizzo per l’avvio della sperimentazione delle Società della Salute e la Giunta regionale, con deliberazione 22 marzo 2004, n. 269, aveva già autorizzato 18 zone socio-sa-nitarie (secondo la denominazione ex L.R. n.22/2000 delle attuali zone-distretto) a dar vita alla costituzione di tali società con le modalità previste dall’atto di indirizzo consiliare che specifica la natura giuridica di soggetto pubblico di tali organismi che debbono assumere le forme del consorzio pubblico secondo le norme del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).E’ dunque l’atto di indirizzo del Consiglio regionale e non la legge che disciplina non solo obiettivi e modalità di accesso alla sperimentazione, ma anche profili sostanzia-li delle Società della salute quali ruolo e funzioni; assetto giuridico e organizzativo; finanziamento; stato giuridico del personale; forme di partecipazione.

6. I punti critici del sistema

Dall’analisi della disciplina legislativa emergono dunque alcuni nodi critici che in-vestono sia il sistema di governo che l’organizzazione del servizio sanitario. C’è innanzitutto una criticità che investe l’architettura generale del sistema per quan-to attiene alla sua articolazione nei tre ambiti territoriali: provinciale, zonale e di area vasta.

1) L’ambito provinciale.E’ evidente infatti l’asimmetria fra Aziende USL preposte alla gestione del Servizio e all’erogazione delle prestazioni sanitarie e le Conferenze dei Sin-daci preposte alla regolazione della gestione mediante l’approvazione di atti di programmazione e di monitoraggio. Siamo quasi di fronte alla “pul-ce e l’elefante”. Nel senso che è palese l’estrema fragilità amministrati-va che fa da supporto alle competenze attribuite alla Conferenza dei Sinda-ci la quale è, per così dire, “un Organo senza istituzione” cosicché, in prati-ca, il suo funzionamento, così rilevante per il governo democratico del siste-ma, è totalmente dipendente dalla struttura amministrativa dell’Azienda USL.L’asimmetria è ancor più accentuata dal fatto che il procedimento di formazione degli atti di regolazione è attivato dallo stesso soggetto – il Direttore generale dell’Azienda USL – che è responsabile della gestione e dei suoi risultati. E ciò non a caso. La confusione fra programmazione e gestione è stabilita, infatti, nello stesso art. 32 comma 2 L.R. n.40/2005 che definisce i compiti delle aziende unità

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sanitarie locali e così dispone: “2. Le aziende unità sanitarie locali provvedono:

a) alla programmazione ed alla gestione delle attività definite nei livelli uniformi ed essenziali di assistenza, comprese quelle socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui all’articolo 3-septies, comma 3, del decreto delegato;b) alla programmazione ed alla gestione delle prestazioni a rilevanza sociale, di cui all’articolo 3-septies, comma 1, lettera a), del decreto delegato, garantendone l’erogazione contestualmente agli interventi sociali correlati, secondo gli indirizzi della programmazione regionale e locale;c) alla gestione delle attività di assistenza sociale delegate dagli enti locali, che provvedono alla copertura dei relativi oneri ai sensi dell’ar-ticolo 3, comma 3, del decreto delegato.”

Dalla citata disposizione si evince dunque; a) che programmazione e gestione sono due funzioni distinte (per cui non sia-

mo in presenza di una programmazione, per così dire, interna alla gestio-ne come modalità per realizzare una conduzione efficiente di un apparato amministrativo, bensì ciò di cui si parla è proprio la programmazione nella sua accezione di attività di regolazione che pone obiettivi ad una struttura gestionale in corrispondenza a bisogni da soddisfare);

b) che ad entrambe le funzioni deve provvedere l’Azienda USL.Qual’è allora il compito della Conferenza dei sindaci?In base all’art. 12 L.R.n.40/2005 essa esercita “funzioni di indirizzo, verifica e valutazione”. In pratica l’esercizio di tali funzioni si sostanziano nel potere di approvare un unico provvedimento: il Piano attuativo locale (PAL) che resta tuttavia un atto di programmazione la cui titolarità è posta dalla legge in capo all’azienda USL.Infatti l’art. 22, comma 1, L.R.n.40/2005 così definisce i PAL:

“Il piano attuativo locale è lo strumento di programmazione con il quale, nei limiti delle risorse disponibili, nell’ambito delle disposizioni del piano sanitario regionale, del piano di area vasta e degli indirizzi impartiti dal-le conferenze dei sindaci, le aziende unità sanitarie locali programmano le attività da svolgere recependo, per le attività sanitarie e socio-sanita-rie territoriali, i PIS di zona-distretto; il piano attuativo locale ha durata triennale e può prevedere aggiornamenti annuali”.

Anche alla luce di tale disposizione resta dunque confermata l’inconsistenza del ruolo di governo attribuito alla Conferenza dei sindaci privo di pienezza di poteri e di strutture adeguate per consentirne un autorevole esercizio.

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2) Le zone-distretto.Analoghe osservazioni possono essere svolte per quanto concerne le 34 zone –di-stretto nelle quali è suddiviso il territorio delle Aziende unità sanitarie locali.In ciascuna zona distretto a fronte dei presìdi distrettuali e dei servizi sanitari territoriali attraverso i quali vengono erogate le prestazioni del servizio sanitario regionale sono poste le articolazioni zonali della conferenza dei sindaci di cui fanno parte tutti i sindaci dei comuni ricompresi in ciascuna zona-distretto.In questi ambiti territoriali, si procede alla sperimentazione della Società della salute, con i problemi di definizione legislativa delle competenze e delle relazioni con l’insieme del sistema sanitario, ma resta in piedi, in una lunga convivenza, una forma “debole” di associazionismo, la conferenza dei sindaci, priva di appa-rati adeguatamente strutturati per potere esercitare in maniera autonoma indagini, rilevazioni, accertamenti dei bisogni sanitari e sociali delle popolazioni e valu-tazioni sull’efficacia dei servizi sanitari e sociali di zona, quale condizione ne-cessaria per potere dettare indirizzi alle Aziende USL per la predisposizione del Programma delle attività territoriali (Pat, che è un articolazione spaziale del PAL) e del piano integrato di salute (PIS) che “è lo strumento partecipato di program-mazione integrata delle politiche sociali e sanitarie a livello di zona-distretto, che si coordina, attraverso i suoi progetti, con gli strumenti di programmazione e di indirizzo locali e con gli strumenti amministrativi di competenza dei comuni nei settori che incidono sulle condizioni di benessere della popolazione.” (cfr. art. 21 L.R.n.40/2005).Permane inoltre, anche a questo livello di programmazione, la confusione di fun-zioni per cui al “gestore” USL di zona-distretto è attribuito il compito di “valutare i bisogni sanitari e sociali della comunità e definire le caratteristiche qualitative e quantitative dei servizi necessari a soddisfare i bisogni assistenziali della popo-lazione di riferimento” (cfr. art. 64 comma 1 lettera a) L.R.n.40/2005). Funzioni che ineriscono più propriamente alla sfera di attribuzioni tipica dell’attività di un “regolatore”.

3) L’ambito di area-vasta. L’area vasta è definita dalla legge “la dimensione operativa a scala interaziendale, individuata come livello ottimale per la programmazione integrata dei servizi e per la gestione in forma unitaria di specifiche attività tecnico amministrative delle azien-de sanitarie” (cfr. art. 2 comma 1 lettera a) L.R.n.40/2005).La definizione contempla esclusivamente modalità operative per la gestione ottimale delle aziende sanitarie senza alcun riferimento a specificità del territorio.Ed infatti le tre aree vaste stabilite dalla legge sono configurate come una sorta di bacino d’utenza delle Aziende ospedaliero-universitarie.Si tratta dunque di una delimitazione in cui prevalgono gli aspetti tecnico-operativi e funzionali della gestione del S.S.R. più che il legame col territorio.

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Di conseguenza la programmazione di area vasta è inserita, accanto al Piano sanita-rio regionale, fra gli strumenti della programmazione sanitaria a livello regionale.Agli Enti locali territoriali è riservato solo un potere consultivo.Le articolazioni di area vasta della conferenza permanente per la programmazione socio-sanitaria – che, come sopra ricordato, sono composte dai presidenti delle con-ferenze dei sindaci delle aziende unità sanitarie locali ricompresse nell’area vasta e dai presidenti delle articolazioni zonali delle medesime conferenze – esprimono infatti un parere sia sulle proposte di piani di area vasta che sulle proposte di piani attuativi delle aziende ospedaliero-universitarie e sulle relative relazioni aziendali.

6.1. Un ruolo debole degli Enti locali territoriali.Gli aspetti critici sopra analizzati inducono a ritenere che la partecipazione dei comuni al sistema di regolazione del servizio sanitario regionale – soprattutto per le modalità con le quali è stata strutturata - non sia sufficiente non solo a garanti-re il governo democratico del sistema, ma anche soltanto a mitigare una sorta di regionalismo “strisciante” che traspare dal modello organizzativo delineato dalla normativa regionale e che scaturisce in modo ancor più evidente dalle innovazio-ni organizzative relative alle aree vaste e all’ESTAV.Non si vede pertanto come un modello siffatto possa assicurare quella governan-ce necessaria per promuovere un Patto di solidarietà per la salute e per garantire ai cittadini il diritto al ben-essere psicofisico e sociale.

6.2. La Società della salute: luci ed ombre.Il fatto che la Regione Toscana si proponga di costituire in ogni Zona-distretto un Governo unico dei Comuni dotato di personalità giuridica è certamente una decisione condivisibile, da generalizzare e da rendere irreversibile.Il problema tuttora aperto è quello della configurazione delle competenze di questo organismo, in modo da valorizzare tutte le risorse finanziarie e uma-ne disponibili, tutte le potenzialità democratiche, senza mettere in discussione l’unitarietà del servizio sanitario nazionale.Né può essere considerata un rimedio all’autoreferenzialità delle Aziende la costi-tuzione delle Società della salute anche se, per il legislatore regionale, esse hanno lo scopo di assicurare la partecipazione degli enti locali al governo, alla programma-zione e, eventualmente, alla gestione dei servizi nell’ambito delle zone-distretto.Infatti dall’esame delle fonti che disciplinano la Società della salute – art. 65 L.R.n.40/2005 e atto di indirizzo di cui alla deliberazione del C.R. 24 settembre 2003, n. 155 – emerge una configurazione di questi organismi tale da far ritenere che essi non solo non sciolgano i nodi sopra evidenziati, ma aprono inevitabili problemi di coerenza istituzionale che devono trovare rapida composizione.

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6.2.1. Natura giuridica delle Società della salute.L’atto di indirizzo definisce la natura di soggetto pubblico della società della sa-lute che deve essere costituita secondo le norme che disciplinano la costituzione dei consorzi ai sensi dell’art. 31 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).Tuttavia con essa non si dà vita ad una forma associata obbligatoria che sosti-tuisca in tutte le 34 zone-distretto la Conferenza dei sindaci con un Consorzio pubblico così da rendere i comuni effettivi protagonisti dell’azione di program-mazione e di controllo dell’efficacia dei servizi socio-sanitari di zona.Il problema non nasce tanto dalla volontà della Regione Toscana quanto dalla rinuncia del legislatore nazionale a dare seguito a quanto affermato al punto 7 dell’articolo 31 della legge n. 267/2000 che afferma ”In caso di rilevante in-teresse pubblico, la legge dello Stato può prevedere la costituzione di consorzi obbligatori per l’esercizio di determinate funzioni e servizi.La stessa legge ne demanda l’attuazione alle leggi regionali”Questo spiega la difficoltà e la precarietà che accompagnano l’innovazione or-ganizzativa affidata alle Società della salute.Infatti, la costituzione di Consorzi volontari fra comuni e azienda unità sanitaria locale è consentita solo in quelle zone-distretto che vengono autorizzate ad ac-cedere alla sperimentazione (alla data di entrata in vigore della L.R.n.40/2005 erano 18 su 34) ed ha lo scopo di integrare il sistema sanitario con quello socio-assistenziale che è attribuito alla competenza dei comuni. Infatti la legge dispo-ne che nel caso di sperimentazione delle Società della salute il Piano integrato di salute (PIS) costituisca l’unico strumento di programmazione socio-sanitaria di zona-distretto, mentre nel modello ordinario i Programmi delle attività terri-toriali (Pat) coesistono e si integrano con i Piani sociali di Zona.Se è vero dunque che la costituzione di consorzi rafforza il ruolo dei comuni perché incardina le loro funzioni in enti dotati di personalità giuridica pubblica che possono adottare atti con efficacia esterna, mentre le deliberazioni delle Conferenze dei sindaci hanno effetti solo all’interno dei procedimenti che ne prevedono la competenza, è altrettanto vero:- che le società della salute saranno costituite solo in alcune zone-distretto;- che si tratta di un consorzio volontario per cui taluni comuni possono non

farne parte al momento della costituzione (l’atto di indirizzo prevede che per costituire la società della salute i comuni debbano rappresentare almeno l’80% della popolazione della zona) ovvero possono recedervi in qualsiasi momento (ma quid ius se la facoltà di recesso di uno o più comuni fa ab-bassare la soglia di rappresentatività al disotto dell’80% della popolazione rappresentata? Il consorzio si scioglie ope legis?);

- ai comuni, pochi o tanti che siano, che non aderiscono al Consorzio si appli-ca comunque la disciplina ordinaria relativa ai poteri e funzioni delle Confe-

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renze dei sindaci per cui occorre un atto che disciplini i rapporti fra società della salute e comuni che non ne fanno parte, con evidente complicazione organizzativa;

- non è prevista la costituzione di un consorzio di soli comuni: la presenza dell’Azienda USL è necessaria per dare vita alla Società della salute cosic-ché permane anche in questo modello organizzativo la confusione fra attivi-tà di regolazione e di gestione sopra evidenziata. Anzi essa è accentuata dal fatto che nel modello ordinario si riscontra una uguaglianza di funzioni in capo a due soggetti distinti, in quello sperimentale il gestore Azienda USL partecipa coessenzialmente e organicamente all’attività di regolazione;

- questa particolare modalità costitutiva del consorzio (comuni + Azienda USL) può produrre, inoltre, una sorta di “sanitarizzazione” dei servizi so-ciali la cui titolarità è stabilita dalla legge esclusivamente in capo ai Comuni con il rischio che vengano indebolite le politiche sociali che attengono a servizi che non sono integrabili con quelli sanitari.

6.2.2. Ruolo e funzioni.L’atto di indirizzo disciplina in dettaglio ruolo e funzioni della Società della salute che è chiamata a governare sia l’offerta di servizi sociali e sanitari territo-riali direttamente gestiti nella zona distretto da comuni e Azienda unità sanitaria locale, sia il governo della domanda complessivamente espressa nel territorio di competenza, cioè di quella domanda che pur riferendosi ad attività di com-petenza della S.dS. tuttavia non trova risposta esclusiva nei servizi direttamente gestiti dall’Azienda unità sanitaria locale e dai comuni (come le prestazioni sanitarie farmaceutiche, specialistiche, diagnostiche, riabilitative), così come la domanda di servizi non di competenza diretta della SdS (ospedali). (cfr. para-grafi 2 e 6 dell’atto di indirizzo).Tuttavia l’atto di indirizzo prescrive che la sperimentazione debba svilupparsi con la necessaria gradualità. L’avvio della sperimentazione – di durata biennale - dovrà riguardare pertanto solo le funzioni di governo del sistema sociale e sanitario e di orientamento del-la domanda e solo successivamente, previa nuova autorizzazione della Giunta regionale, può essere estesa all’esercizio delle funzioni di gestione dei servizi.Nella fase sperimentale è fatto dunque divieto al Consorzio pubblico denomi-nato Società della salute di gestire direttamente i servizi sanitari. Giusto, ma non è chiaro se tale limitazione comprenda anche quelli socio-assistenziali.Questa duplicità di ruoli che si succedono nel tempo – prima il governo e la programmazione, successivamente anche la gestione dei servizi – non è senza effetti sugli atti costitutivi del Consorzio-società della salute e sulla sua struttu-ra organizzativa.In base al Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali infatti, se un

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consorzio si limita a gestire funzioni amministrative, è cioè un mero consorzio di funzioni, non è necessario che venga costituita un’azienda speciale consor-tile. Quest’ultima invece è obbligatoria quando il consorzio debba gestire un servizio pubblico locale. Dunque, nel nostro caso, nella prima fase, quella di avvio della sperimentazio-ne, siamo in presenza di un consorzio di funzioni al quale non si applicano le norme previste per le aziende speciali, ma quando e se le Società della salute sa-ranno autorizzate alla gestione dei servizi, gli atti costitutivi dei consorzi (con-venzioni e statuti) dovranno essere modificati per dar vita all’Azienda speciale consortile che come è noto è un ente strumentale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto ovvero, qualora la gestione riguardi esclusivamente servizi sociali, all’ente strumentale Istituzione.Queste trasformazioni non rappresentano solo modifiche formali della ragione sociale del Consorzio-S.d.S., ma hanno effetti sostanziali che riguardano, per esempio, anche lo stato giuridico ed economico del personale poiché i contratti di riferimento non saranno solo quelli dei comuni e delle Aziende USL, ma an-che il contratto vigente nelle aziende municipalizzate.Ma al di là di questi aspetti, effetti rilevanti riguarderanno anche i profili eco-nomico-finanziari poiché la Società della salute opererà nel mercato dei servizi sanitari e sociali e dovrà acquistare prestazioni sia dall’Azienda USL che dai comuni che non abbiano delegato ad essa la gestione dei servizi sociali, nonché le prestazioni che gli assistiti godono presso strutture ubicate in altre zone.Comunque, data la natura e la rilevanza dei problemi che la gestione dei servizi da parte delle Società della salute comporta, appare inimmaginabile che la di-sciplina di un siffatto cambiamento resti affidata alla debole efficacia di un atto amministrativo.

7. Sintesi dei punti critici

Dalle considerazioni sopra espresse appare evidente che i punti di forza del servizio sanitario regionale, rappresentati da un lato da un sistema di gover-nance teso ad integrare il sistema delle prestazioni sanitarie in conformità agli obiettivi di Piano e dall’altro da un assetto del sistema di regolazione che coin-volge nella programmazione gli Enti locali territoriali, non sono tali da elimi-nare punti deboli quali:

a) la programmazione aziendale e locale affidata alla Conferenza dei Sinda-ci, organismo privo di potestà giuridica; b) la confusione di competenze nella funzione di programmazione attribuita sia ai Comuni che alle Asl;c) una mappa delle 34 Zone-distretto nelle quali si registra una diversa con-

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figurazione dei poteri dei Comuni che si protrae per troppo tempo;che rappresentano altrettanti punti critici che non consentono agli Enti locali territoriali di superare la loro subalternità politica al potere monocratico del Direttore generale delle Asl.

Da qui la necessità di un ripensamento complessivo del sistema di governo del S.S.R. con soluzioni capaci di convertire effettivamente il governo tecnocratico del sistema in un governo democratico, pur in presenza di assetti organizzativi orientati fortemente all’efficienza e all’economicità.

8. Proposte di modifica

A tale scopo occorre che il ripensamento critico investa innanzitutto la Conferen-za dei sindaci.

La Conferenza dei sindaci a livello aziendaleAnche se non è stato prodotto uno studio e con esso una valutazione complessiva sui risultati dell’esperienza delle Conferenze dei sindaci in Toscana, dopo dieci anni di vita di questo organismo, bisogna riconoscere che l’obiettivo di democratizzare il governo della Aziende sanitarie non è stato raggiunto.Se è vero che le Società della salute possono promuovere dal basso un governo democratico nelle aree distrettuali, non può sfuggire a nessuno il persistere di un corposo autoreferenzialismo delle Aziende sanitarie, così come é sotto gli occhi di tutti il vuoto della programmazione sanitaria a livello aziendale.I Piani attuativi locali (Pal), previsti e disciplinati dalle leggi regionali, sono fermi all’anno 2001.Questo non significa che l’esperienza delle Conferenze dei sindaci sia priva di risul-tati, soprattutto se comparata con altre realtà regionali che hanno ignorato, di diritto e di fatto, il ruolo dei Comuni nella sanità.In Toscana, i cittadini hanno potuto influire, tramite i Sindaci, sulle scelte della Re-gione Toscana e delle rispettive Aziende sanitarie e ospedaliere, in particolare hanno accompagnato il riordino della rete ospedaliera della Regione, con la chiusura di oltre 40 stabilimenti ospedalieri, e la realizzazione di una estesa rete territoriale dei servizi sociosanitari cui la Regione ha destinato il 50% del Fondo sanitario regiona-le.E’ doveroso riconoscere, però, che gli obiettivi principali non sono stati ancora rag-giunti e che la spinta politica iniziale non si è tradotta in un assetto giuridico dei poteri locali nella sanità.Le Aziende sanitarie hanno mantenuto una separazione rispetto ai poteri democrati-ci, un rapporto esclusivo con la Regione; la programmazione territoriale, come Patto di solidarietà per la salute, non è decollata; la partecipazione dei cittadini al progetto per la salute, come vuole il Piano sanitario regionale, è un obiettivo da raggiunge-

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re.E’ venuto meno, in sostanza, il valore aggiunto della programmazione della salute.Il volontarismo non regge alla distanza ed è anche per questo che servono Istituzioni rappresentative, dotate di poteri e di mezzi, che rispondono per mandato elettorale ai cittadini.

Andare a fondo nell’esame criticoDi fronte ai limiti evidenti della Conferenza dei sindaci sono state avanzate spiega-zioni che chiamano in causa aspetti funzionali e organizzativi.L’esame critico è stato portato anche sulla legge regionale n. 22/2000, prima, e sulla legge regionale n. 40/005, poi, per trovare lì le ragioni delle insufficienze registrate. Cosa certamente vera, almeno per quanto riguarda la separazione tra Pal e Bilancio pluriennale e di esercizio, tra scelte e impegni di spesa.Ma tutte queste spiegazioni non rendono ragione dei limiti registrati e soprattutto non consentono di far fronte, oggi, alla proposta del Piano sanitario regionale che giustamente intende impegnare gli Enti locali nelle funzioni di programmazione del-le scelte e nell’assunzione di responsabilità nell’impiego delle risorse.A questo punto, per ricercare soluzioni innovative, è necessario sviluppare in tutta la Regione, con tutti i possibili interlocutori, una riflessione radicale, senza tabù, e porre la questione preliminare se cioè la Conferenza dei Sindaci sia in grado, per la sua stessa conformazione, di presiedere alla elaborazione, alla approvazione e al controllo del Piano attuativo locale, a mantenere attivi e sinergici i rapporti con la Regione e soprattutto a garantire una direzione democratica alla gestione delle attività sanitarie.Ora, appare evidente che un consesso di Sindaci, spesso pletorico, composto da rap-presentanti di Comuni grandi e piccoli, urbani e rurali, con competenze ed esperien-ze circoscritte all’ambito municipale, rappresentanti di interessi che spesso si pre-sentano diversi, trova difficoltà oggettive a portarsi alla dimensione programmatica propria delle Aziende sanitarie e ad assumere le responsabilità anche finanziarie derivanti dalle scelte di programmazione di area provinciale o sub provinciale.C’è da aggiungere che per una concertazione con Istituzioni e soggetti sociali a di-mensione provinciale o sub provinciale ( Provveditorato agli studi, Camera di com-mercio, Sindacati di lavoratori e di imprese, Aziende di trasporto, Aziende turistiche, ecc…) la Conferenza dei sindaci, per la sua stessa costituzione, come somma di Isti-tuzioni, non è in grado di realizzare ordinariamente tutte quelle relazioni e sinergie che danno continuità al progetto per la salute.La dimensione provinciale non è o non è detto che sia alla portata di chi compie la propria esperienza di governo in ambiti diversi, istituzionalmente più delimitati.In realtà, alla programmazione sanitaria di ambito provinciale non corrisponde un Ente locale adeguato, dotato di personalità giuridica, investito di competenze e di responsabilità di cui risponde a cittadini.

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La responsabilità deve essere chiara, tanto chiara e netta da non consentire il disim-pegno e tanto meno lo scaricabarile.La Conferenza dei sindaci, un organismo non previsto dall’Ordinamento degli Enti locali, espressione di una transizione pur importante, ha esaurito ormai il suo ruo-lo.Oggi è possibile innovare.

Il federalismo e la legge n. 229 del giugno 1999Come è noto, è aperta in Italia la fase politico-istituzionale del federalismo. Il fede-ralismo che sposta poteri sulle Regioni e sugli Enti locali è necessario al Servizio sanitario che ritrova i luoghi e i soggetti della salute e può finalmente superare il centralismo, il settorialismo e la separatezza. Il punto da cui è necessario ripartire, oggi, è il nuovo articolo 118 della Costituzione che afferma “1. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Sta-to, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.2. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni ammini-strative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispet-tive competenze.”

Per venire al problema del ruolo delle Autonomie locali nella sanità, bisogna dire che il Decreto legislativo n. 112 del 1998 non ha previsto competenze dirette degli Enti locali in materia di sanità, lasciando alla legge di settore il compito di definire le competenze istituzionali.La legge n.229/’99 adempie a questo compito.Infatti l’articolo 2-quinquies afferma “la legge regionale disciplina il rapporto tra programmazione regionale e programmazione attuativa locale, definendo in par-ticolare le procedure di proposta, di adozione e approvazione del Piano attuativo locale e le modalità della partecipazione ad esse degli Enti locali interessati. Nelle aree metropolitane il Piano attuativo metropolitano è elaborato dall’organismo di cui al comma 2-quater, ove costituito”La legge n. 229/’99 compie una svolta rispetto alla legge n. 502/’92 perché non ri-chiama la Conferenza dei Sindaci, ma impegna le Regioni a

1. prevedere la Programmazione attuativa locale (Pal), come necessaria articola-zione e sviluppo del Piano sanitario regionale;2. disciplinare il ruolo degli Enti locali nella programmazione sanitaria, quindi della Provincia, del Comune singolo o associato e della Città metropolitana.

A differenza della fase politica degli anni novanta, dunque, la Regione oggi ha piena potestà legislativa nel conferire le competenze della programmazione sanitaria agli

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Enti locali nel rispetto dei criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.Bisogna precisare, però, che la Regione non ha la facoltà di istituire Enti locali che sono quelli previsti dalla Costituzione o che si costituiscono con le procedure previ-ste dalla legge n. 267/2000 che, nello specifico, è legge quadro per l’Ordinamento delle Autonomie locali. Questo nuovo quadro legislativo consente di ripensare l’organismo di governo degli Enti locali nella sanità, in modo da assicurare una direzione democratica, stabile ed efficace, alle Aziende sanitarie locali. Senza perdere l’apporto delle esperienze dei Comuni, ma ricercando con essi nuove forme di coordinamento, è oggi possibile impegnare nelle responsabilità di governo delle Aziende sanitarie locali, quindi nella programmazione e nel controllo, le Province toscane che corrispondono alla stessa dimensione territo-riale.Naturalmente diverse possono essere le forme di un rapporto dialettico ma or-ganico tra il sistema delle Autonomie locali nel governo della sanità, così come graduali possono essere le soluzioni da inserire nell’ordinamento legislativo re-gionale.

Perché la ProvinciaLe ragioni che militano a favore di una competenza e responsabilità della Provincia nella programmazione sanitaria aziendale sono molte, senza che se ne ravvisino di contrarie.Infatti:1. La Provincia è un Ente locale a competenza globale previsto dalla Costituzione, è

eletta a suffragio universale dai cittadini e ad essi risponde, opera con organi defi-niti e disciplinati dalla legge: il Presidente, la Giunta e il Consiglio provinciale.

2. La Provincia corrisponde perfettamente all’ambito della programmazione sani-taria aziendale, è riconosciuta dall’articolo 3 della legge n. 267/2000 come “ Ente intermedio tra Regione e Comuni” e dispone già, per i compiti istituzionali direttamente conferiti dagli articoli 19 e 20 della legge n. 267/’00, della struttura e degli strumenti di programmazione, cosicché può agevolmente aggiungere, per attribuzione della Regione, la funzione unitaria della programmazione sanitaria senza ricorrere ad apparati artificiosi

3. La Provincia, per lo svolgimento delle sue funzioni, intrattiene rapporti costanti con i soggetti istituzionali e sociali che operano nell’ambito del territorio provin-ciale e pertanto è il referente appropriato per la programmazione concertata e/o negoziata di area provinciale.

4. La Provincia può svolgere una funzione unitaria di supporto ai Comuni per la programmazione nei distretti-zone, tenuto conto delle competenze che ad essa sono state assegnate direttamente dall’articolo 7 della legge n. 328/’00 per con-correre

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a. alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, b. alla rilevazione dei bisogni sociali e il sistema informativo, c. alla conoscenza e all’analisi dell’offerta assistenziale, d. al coordinamento degli interventi territoriali, e. all’aggiornamento e alla formazione degli operatori sociosanitari, in colla-

borazione con la Regione e con i Comuni,f. alla verifica dei risultati della gestione

5. La Provincia è l’Ente adeguato anche per la valutazione dei Piani delle Aziende ospedaliere e per il rapporto tra il Piano attuativo ospedaliero ( Pao) e il Piano attuativo locale ( Pal)

6. Le Province possono essere referenti e interlocutori idonei per la Regione nelle politiche di programmazione di Area vasta.

7. Le Province, sulla base di Atti di indirizzo della Regione e tramite l’URPT, pos-sono svolgere un efficace e tempestivo coordinamento tra le diverse realtà pro-vinciali

La Provincia e il Piano attuativo localeIl Piano attuativo locale resta confermato nella legge n. 40/2005 e nella proposta di Piano sanitario regionale per gli anni 2005-2007. La proposta di realizzare nelle aree distrettuali le Società della salute e l’introdu-zione delle Aree Vaste come livello di programmazione interaziendale sono innova-zioni fondamentali che richiedono, però, una nuova definizione delle funzioni delle Aziende sanitarie locali ed ospedaliere ed insieme la configurazione di un nuovo ruolo strategico dei PAL, come cerniera di raccordo tra i Piani integrati di salute (Pis) e i Piani di Area Vasta, oltre che come strumento di partecipazione dei soggetti sociali, di regolazione e di unitarietà dell’attività sanitaria aziendale. La Provincia, non da sola ma con forme di coordinamento con i Comuni, è l’Ente locale intermedio tra Comuni e Regione che risulta il più adeguato a quel livello di programmazione, di coordinamento e di controllo. Regione, Province e Comuni sono i soggetti istituzionali competenti e responsabili, ciascuno al proprio livello, delle politiche sanitarie e sociali.Si tratta di una svolta che ridisegna il complesso sistema di rapporti tra le Istituzioni nella sanità e nel welfare, che richiede modifiche legislative ispirate da un progetto politico e democratico da realizzare con confronti, consensi, disponibilità, assun-zione di responsabilità e innovazione culturale e organizzativa da parte di tutte le Istituzioni locali.

La Provincia, il Pal e il BilancioNon si porrà mai fine alla estraneità e al disimpegno degli Enti locali nel governo della sanità se Comuni e Province, ciascuno per il livello di programmazione rico-

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nosciuto e attribuito dalla Regione, non saranno responsabilizzati nell’approvazione dei Bilanci pluriennali e di gestione.Nella nuova situazione determinata dal federalismo istituzionale, non è più pos-sibile, se mai lo è stato, tenere separato il Piano attuativo locale dal Bilancio pluriennale e di esercizio dell’Azienda sanitaria locale.I due strumenti devono procedere congiuntamente nell’iter di approvazione, alla stessa maniera dei Programmi e dei bilanci degli Enti locali. Ad ogni impegno pro-grammatico deve corrispondere un impegno di spesa e il complesso delle decisioni contenute nel Pal devono obbligatoriamente essere comprese entro le assegnazioni stabilite dalla Regione.E’ evidente che questa assunzione di responsabilità dell’Ente locale nell’approvazio-ne del Pal richiede una sua preliminare compartecipazione a livello regionale nella quantificazione del budget regionale per la sanità e nella definizione dei parametri di accesso delle Aziende sanitarie locali e ospedaliere al Fondo sanitario regionale o comunque al capitolo di spesa. Garantite queste condizioni preliminari, deve essere chiaramente stabilito che un eventuale superamento delle disponibilità finanziarie derivanti dalla asse-gnazione regionale deve essere posto a carico dell’Ente locale che approva sia il Pal che il bilancio pluriennale e il bilancio di esercizio. Da qui l’importanza fondamentale del soggetto istituzionale che presiede alla definizione, alla approvazione e al controllo del Piano attuativo locale ( Pal); da qui anche l’esigenza di una distinzione di ruoli tra gli stessi Enti locali rappor-tata ai diversi livelli di programmazione.Probabilmente ci sarà bisogno di una nuova legge di contabilità regionale che tenga conto delle novità introdotte con le Società della salute, con le Aree Vaste in modo da configurare con chiarezza e trasparenza un bilancio aziendale che abbia disponi-bilità, unitarietà e flessibilità di impiego delle risorse finanziarie.

Il Governo democratico nelle Aree VasteLa Regione Toscana ha introdotto nella programmazione sanitaria il livello di Area Vasta, presidiato direttamente dalla stessa Regione, nel senso che i programmi ela-borati a quel livello devono essere valutati ed approvati dal Consiglio regionale.Si tratta di un livello di programmazione che deve assicurare qualità ed efficienza al sistema sanitario e che deve coinvolgere e impegnare nella definizione delle scelte e nel controllo degli esiti gli Enti locali di ciascuna delle tre Aree Vaste.Al coordinamento tecnico garantito dai direttori generali delle Aziende sanitarie ed ospedaliere interessate, deve corrispondere un coordinamento degli Enti locali che sono stati investiti della competenza della programmazione e del controllo azien-dale.Le Province sono il riferimento per questa funzione di programmazione, coordina-mento e controllo, naturalmente sulla base di una regolamentazione che ne disci-

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plini il funzionamento e il rapporto con i Comuni e con i soggetti sociali, con forme obbligatorie di consultazione.

La specificità di FirenzeDiscorso a parte merita l’area fiorentina per il suo rilievo storico-geografico, per le sue dimensioni e per il fatto che l’articolo 22 del T. U. n. 267/2000 include Firenze tra le aree metropolitane cui la legge quadro riserva una specifica forma di governo istituzionale.La complessa procedura prevista per la realizzazione della Città metropolitana ri-chiederà certamente un certo lasso di tempo per cui sarà inevitabile dar vita a forme di governo di transizione che non possono e non devono contraddire l’impianto isti-tuzionale previsto per l’area con la posizione centrale del Comune di Firenze con effetti anche per quanto riguarda l’Area Vasta.

Il governo democratico nella Zona-distrettoLa Regione Toscana, almeno per ora, è l’unica Regione che abbia aperto un vero e proprio laboratorio per rimettere i Comuni nel governo della sanità a livello distret-tuale.Quella intuizione e quel progetto istituzionale ha bisogno, comunque, di sviluppi a livello nazionale ed è auspicabile che la volontarietà dei consorzi sia superata dando attuazione al comma 7 dell’articolo 31 della legge n. 267/2000.Il welfare locale è troppo importante per i diritti dei cittadini e per la qualità dello sviluppo del Paese per essere affidato alle discrezionalità degli oltre ottomila Comu-ni italiani!Comunque sia, la Società della salute ha bisogno di una normativa legislativa per dare certezza e stabilità alle forme di governo istituzionale, per articolare democra-ticamente il Servizio sanitario pubblico senza spezzarne l’unitarietà, per trovare i giusti rapporti tra sistema sanitario e sistema sociale, senza separazioni e senza fu-sionismi riduttivi. Bisogna aggiungere, ai fini di una rassegna delle diverse soluzioni al problema, che in base alla legge n. 267/2000, un governo unico dotato di personalità giuridica può realizzarsi negli ambiti distrettuali e zonali con soluzioni diverse e tutte vali-de: nella forma del Comune singolo, delle Circoscrizioni o dei Municipi, quando l’ambito coincide con i confini comunali, della Comunità montana, del Consorzio e dell’Unione di Comuni, quando l’ambito comprende più Comuni. In tutti questi casi, la Regione dovrebbe prevedere un Accordo di programma vincolante tra l’Azienda sanitaria locale e i Comuni associati per l’integrazione sociosanitaria.

Per intanto….Le riflessioni e le soluzioni possibili avanzate per dare una soluzione sistematica e stabile al ruolo di governo degli Enti locali nella sanità e nelle politiche sociali hanno

Page 25: LE FORME DI GOVERNO DELLA SANITÀ IN TOSCANA · 4 compito di determinare il ruolo di governo degli Enti locali nel SSN e allo stesso tempo bisogna riconoscere che solo poche Regioni,

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bisogno di un tempo di confronto e di realizzazione.Nel frattempo non possono essere consentiti vuoti di governo, perché i cittadini non possono attendere ciò che loro è dovuto.E’ necessario, pertanto, che la Regione svolga una funzione di promozione, di soste-gno e di verifica dell’attività svolta dalle Associazioni di Enti locali attualmente in essere per esigere il rispetto e l’applicazione delle leggi regionali.

Considerazioni finaliLe argomentazioni prodotte vogliono essere uno spunto per una riflessone collettiva sullo stato dei poteri locali nel welfare toscano e sulla qualità della programmazione e gestione delle attività sanitarie e sociali.Nello spirito che anima il Centro Franco Basaglia, queste Note vogliono essere an-che un insieme di proposte aperte e da valutare per fare avanzare soluzioni idonee a risolvere un problema che ormai, e a questo punto, appare ineludibile. A questo Documento il Centro Franco Basaglia farà seguire, per il prosieguo della discussione, occasioni di confronto nelle quali saranno coinvolte le Istituzioni tosca-ne e i soggetti sociali impegnati nella riforma del welfare.Quello che serve e quello che il Centro Franco Basaglia auspica e sollecita è uno spirito costruttivo che parta dai problemi tuttora aperti nel progetto sociale toscano, con l’impegno esplicito alla innovazione democratica del sistema, rivolto a trovare le soluzioni che meglio possono declinare le potenzialità del progetto di riforma so-ciale promosso dalla Regione Toscana.

Luglio 2006 Centro Franco Basaglia Arezzo