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10 La prospettiva: cenni storici PREISTORIA Le prime manifestazioni espressive compaiono nel paleolitico superiore, circa 30 000 anni fa. Le grotte sono i luoghi della vita quotidiana, dove le prime comunità umane esprimono la propria creatività attraverso la rappresentazione del mondo animale; le scene di caccia sono strumenti di magia atti a propiziare il dominio dell’uomo sulla natura. ARTE PALEOLITICA, Pitture rupestri di Lascaux, 15 000- 14 500 a.C., Francia. ARTE PALEOLOTICA, Bisonte, grotta di Altamira, 21 000-13 000 a.C., Spagna. Le immagini sono delineate in vari modi: con la punta di un dito intinta nel colore, con aculei di porcospino o con punte di legno o di penna. Il supporto , in genere, è la nuda parete che, a volte, viene tamponata con l’argilla. Nella pittura ad imbratto viene utilizzato muschio o pelo di animale imbevuto di colore e , in certi casi, il colore è spruzzato direttamente con la bocca. I pigmenti usati per questi dipinti sono principalmente il carbone, la polvere di argilla, le terre, i coloranti vegetali e minerali. La funzione magica e propiziatoria dei dipinti era sostenuta da una esigenza di rappresentazione fulminea, legata al rapido agire della caccia e da una perizia tecnica istintiva che, verso la fine del Paleolitico, mostra già le prime impressioni prospettiche nell’uso del colore e del segno.

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La prospettiva: cenni storici

PREISTORIA

Le prime manifestazioni espressive compaiono nel paleolitico superiore, circa 30 000 anni fa. Le grotte sono i luoghi della vita quotidiana, dove le prime comunità umane esprimono la propria creatività attraverso la rappresentazione del mondo animale; le scene di caccia sono strumenti di magia atti a propiziare il dominio dell’uomo sulla natura.

ARTE PALEOLITICA, Pitture rupestri di Lascaux, 15 000- 14 500 a.C., Francia.

ARTE PALEOLOTICA, Bisonte, grotta di Altamira, 21 000-13 000 a.C., Spagna.

Le immagini sono delineate in vari modi: con la punta di un dito intinta nel colore, con aculei di porcospino o con punte di legno o di penna. Il supporto , in genere, è la nuda parete che, a volte, viene tamponata con l’argilla. Nella pittura ad imbratto viene utilizzato muschio o pelo di animale imbevuto di colore e , in certi casi, il colore è spruzzato direttamente con la bocca. I pigmenti usati per questi dipinti sono principalmente il carbone, la polvere di argilla, le terre, i coloranti vegetali e minerali. La funzione magica e propiziatoria dei dipinti era sostenuta da una esigenza di rappresentazione fulminea, legata al rapido agire della caccia e da una perizia tecnica istintiva che, verso la fine del Paleolitico, mostra già le prime impressioni prospettiche nell’uso del colore e del segno.

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L’uomo del Neolitico, invece, ha una visione del mondo statica , poiché svolge attività di pastorizia e di agricoltura in un luogo fisso: il disegno diventa simbolo dell’oggetto e assume il valore delle cose a cui si associa. CIVILTA’ ANTICHE Tra le prime civiltà antiche, quella cretese ha lasciato interessanti segni della propria cultura. L’arte pittorica cretese, di cui abbiamo alcuni esempi nel Palazzo di Cnosso e in alcune ville risalenti al XVII - XV secolo a.C., evidenzia una raffinatezza estetica dovuta ai tratti del segno molto vivaci, fantastici e guizzanti ed ai colori di un cromatismo molto intenso.

ARTE CRETESE, Il Principe dei Gigli, affresco proveniente dal Palazzo di Cnosso, XVII – XV secolo a.C., Heraklion, Museo Archeologico. ARTE CRETESE, Dame della Corte,affresco proveniente dal Palazzo di

Cnosso, XVII – XV secolo a.C. (Heraklion, Museo Archeologico).

La tecnica, a differenza delle pitture preistoriche e di quelle egiziane, che erano eseguite a secco, è molto simile a quella dell’affresco: si iniziava stendendo i colori chiari e vivaci su un supporto di stucco bianco ancora fresco. I risultati estetici sono di evidente bellezza, funzionali ad una precipua esigenza ornamentale; le immagini sono bidimensionali e non c’è ancora una volontà di ricerca della profondità.

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CIVILTA’ CLASSICHE

Nel V secolo a.C. compare una prima indagine prospettica elaborata da Polignoto di Taso, che operò soprattutto a Delfi e ad Atene. Egli si distacca dalla tradizione e crea nuove regole per la rappresentazione delle figure nello spazio. I personaggi sono disposti su diversi livelli, nel tentativo di far percepire vari piani prospettici; l’ambiente su cui si muovono è accennato da brevi e semplici tratti che differenziano le scene. Della pittura di questo artista purtroppo non è rimasto nulla. Le sue opere sono descritte in alcune fonti letterarie antiche e sono riconoscibili nelle pitture vascolari di autori che ricopiavano i soggetti dei suoi dipinti; ciò ha permesso di custodire e tramandare l’originale creatività di questo artista. Pittore dei Niobidi, Cratere di Orvieto (detto dei Niobidi), 460-450 a.C.,

Parigi, Musée du Louvre.

Il lato secondario del cratere descrive la discesa agli Inferi, dipinta anche da Polignoto nella Stoà Poikile di Atene. Questa scena di quiete ci richiama il maestro di Taso.

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Della civiltà romana ci sono giunti numerosi affreschi ben conservati. Questi denunciano una conoscenza parziale della prospettiva lineare: osservando tali dipinti ci si rende conto che non tutte le rette perpendicolari al quadro finiscono in un’unica

fuga. Pertanto è difficile stabilire se i Romani fossero in possesso di leggi prospettiche o se si lasciassero, di volta in volta,trasportare dal caso.

Stucco dipinto, 55-79, Pompei, casa di Meleagro (foto e mia

ricostruzione prospettica).

Fig. 5.

ARTE RAVENNATE

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel volgere di pochi decenni, i valori trascendenti si affiancano e sostituiscono quelli naturalistici; la ricerca prospettica viene trascurata e se ne perde la tecnica. Soprattutto a Ravenna è evidente questo passaggio: nell’abside della chiesa di Sant’Apollinare in Classe troviamo uno stupendo mosaico di tipo naturalistico, mentre in Sant’Apollinare Nuovo i mosaici sono di tipo bizantino, con fondi dorati. La vita spirituale si sovrappone alla certezza del vivere che le leggi dello Stato tutelavano. La realizzazione di queste opere è della metà del VI secolo.

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La Chiesa si sostituisce ad uno Stato indebolito dagli sconvolgimenti politico-sociali ed economici: la vita è più insicura e le leggi civili sono sempre meno rispettate.

Sant’Apollinare in Classe, mosaico dell’abside, metà VI secolo.

Sant’Apollinare Nuovo, Cristo in trono

fra gli angeli, metà VI secolo.

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MEDIOEVO

Durante questo periodo molte conquiste umane vengono perdute e si smarriscono anche i primi rudimenti di prospettiva. La dimensione dei soggetti rappresentati nei dipinti è deformata in base all’ importanza morale, politica o socio-economica, come accadeva nell’arte egizia.

In controtendenza, l’ottica viene studiata e vengono pubblicati numerosi trattati. Lo studioso arabo Alhazém (950 d.C.) stabilisce che l’irradiamento luminoso avviene dai corpi verso l’occhio e non viceversa come fino allora si pensava. Questa teoria sarà la base degli studi prospettici che dal Rinascimento rivoluzioneranno la tecnica pittorica.

L'imperatore Ottone II circondato dalle personificazioni delle province del regno, Registrum Gregorii, 984 ca., Chantilly, Musée Condé.

PITTURA AD OLIO La pittura ad olio veniva utilizzata fin dall’antichità; Vitruvio, architetto romano dell’età di Augusto, ne parla nel suo trattato in dieci volumi “De architectura”. Altre tracce storiche si trovano nel Medio Evo: l’olio doveva essere cotto insieme ad un po’ di calce e seguire un certo procedimento, ricordando che “più diventava vecchio e più era buono per dipingere”. La pittura ad olio si diffuse nelle regioni del nord Europa, soprattutto nelle Fiandre, dove, a causa del clima umido, non era possibile dipingere “a fresco”. Per secoli in queste zone si coltivò la miniatura e la pittura ad olio, la cui caratteristica principale era data dalla trasparenza e dalla brillantezza dei colori.

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VERSO IL RINASCIMENTO Nella seconda metà del ‘200, con la nascita dei Comuni e con l’avvento di una politica socio-economica rinnovata, grazie anche ad una borghesia facoltosa, aumenta la richiesta di opere e, di conseguenza, una più dinamica ricerca pittorica. L’arte figurativa comincia a riappropriarsi di quegli spazi naturali di cui aveva perso il ricordo. I primi passi in questa direzione sono compiuti da Duccio di Boninsegna e Cimabue; ma è con Giotto, pittore fiorentino e con il Cavallini, pittore romano, coetanei, che la pittura si riapre al mondo della natura.

Duccio di Boninsegna, Il congedo da San Giovanni, 1308-11, tempera su tavola, 41,5x54 cm, Siena, Museo dell’Opera del Duomo (con mia

costruzione prospettica).

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Giotto e i pittori citati non dipingono ad olio, ma continuano l’uso delle tempere. Il nuovo linguaggio pittorico basato sulle immagini naturali spinge gli artisti a studi di ricerca sull’arte greco-romana e sugli antichi testi.

Si riscopre la prospettiva del periodo classico e ci si avvicina lentamente ad una costruzione sempre più naturalistica delle proprie rappresentazioni. Più tardi, col passare dei decenni, le opere si arricchiranno di ombre portate, di chiaroscuri, di spazi sempre più armonici e le anatomie acquisiranno un valore più reale. Tutto ciò avverrà senza fermare lo spirito inventivo e l’idealizzazione delle forme.

Giotto, Madonna di

Ognissanti, Firenze, Uffizi (con mia costruzione prospettica).

RINASCIMENTO A Filippo Brunelleschi (1377 – 1446) si deve il merito di avere stabilito per primo l’unicità del punto di vista e di avere fissato alcuni metodi empirici per individuare la distanza dell’osservatore da questo punto. Leon Battista Alberti (1404 – 1472) segue gli stessi principi, ma sposta l’attenzione da una visione binoculare ad una “particolare” ottenuta guardando con un solo occhio immobile, a distanza fissa. Questo determina una visione diversa da quella reale, ma permette una concreta applicazione.

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La visione prospettica è data dalla sezione con il quadro-finestra prospettico dei raggi visuali che, partendo dall’oggetto, concorrono nel nostro occhio. Sviluppando questi nuovi principi e facendo esperimenti attraverso un vetro o una finestra, l’Alberti giunge all’intuizione sia della finestra prospettica che del “velo”, la cosiddetta griglia ancora oggi utilizzata per riportare i disegni. Il quadro-finestra nella sperimentazione del Brunelleschi e dell’Alberti, in una

incisione di Albrecht Dürer.

Nella prima metà del ’400, l’area fiamminga era da tempo attraversata da fermenti innovativi in senso “naturalistico”. Uno dei più acuti studiosi italiani di Jan van Eyck, Giorgio T. Faggin, così scriveva nel 1965: “Jan van Eyck ha in comune con pochi altri artisti di genio – Giotto e Giorgione, Rembrandt e Picasso – una posizione rivoluzionaria nel campo della pittura […] egli rinnovò fin dalle fondamenta il modo di vedere artistico della realtà”.

In Jan van Eyck, il fondatore della pittura fiamminga, troviamo già dal 1425 una prospettiva matura sia lineare che aerea; infatti nelle sue opere si ha il trionfo della luce e del colore.

Jan van Eyck, Annunciazione, 1434-1436, Washington. National Gallery of Art.

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Masolino da Panicale (Panicale in Val d’Elsa 1383 ? – 1447 ?) e Paolo Uccello (Firenze 1397 – 1475) sono tra i primi pittori in Italia ad applicare, dal 1435 in avanti, la prospettiva lineare in modo corretto. Prima del 1482 Piero della Francesca pubblica il suo studio sulla prospettiva, il “De prospectiva pingendi”, che ancora oggi fa testo in materia. Anche Leonardo da Vinci compie studi sul “quadro-finestra” e teorizza la prospettiva aerea che tiene conto della luce, del colore e della qualità dell’atmosfera. Leonardo da Vinci, Prospettigrafo, Codice Atlantico, 5 r., Milano,

Biblioteca Ambrosiana

Nell’autunno del 1494 Albrecht Dürer (Norimberga 1471 – 1528) si mette in viaggio e giunge in Italia “per impadronirsi di tecniche meravigliose, come la prospettiva e la raffigurazione proporzionata del corpo umano”, come lui stesso scrive. Tornato in patria studia e costruisce alcuni congegni atti a facilitare la resa corretta delle proporzioni e della prospettiva.

Albrecht Dürer, Disegnatore che ritrae una donna in prospettiva, 1525, New York, Metropolitan Museum of Art, dono di Felix M. Warburg, 1918.

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Dal 1500 la prospettiva diviene patrimonio comune e viene studiata in tutti i suoi aspetti; tra questi vi è l’anamorfosi che si basa sull’uso dello scorcio prospettico per creare delle immagini che, viste da particolari punti, appaiono nel loro vero aspetto. L’artista che, tra i primi, si avvale di questa tecnica è Holbein il Giovane (Augusta, 1497/98 – Londra 1543), che ha lasciato un’opera emblematica nella storia dell’arte. Holbein il Giovane, Gli ambasciatori Jean de Dinteville e Georges de Selve, 1533, tempera su tavola, 206 x 209 cm, Londra,

National Gallery

Fig. 6. L’oggetto misterioso che appare ai piedi dei due personaggi è un’immagine anamorfica, un’immagine interpretata, cioè, secondo una prospettiva che allunga la rappresentazione: questa ritrova le giuste proporzioni solo se vista di scorcio, come abbiamo sintetizzato nel disegno.