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Cenni storici I dotti dell'antica Grecia si dedicarono con interesse allo studio dell'atmosfera. Già nel IV secolo a.C. Aristotele aveva scritto un trattato dal titolo “Meteorologica”, che si occupava dello "studio delle precipitazioni"; da questo lavoro, circa un terzo del quale è dedicato ai fenomeni atmosferici, è stato tratto il termine moderno meteorologia. Nel corso della storia, molti dei progressi che hanno condotto alla scoperta di leggi fisiche e chimiche sono dovuti alla curiosità per i fenomeni atmosferici. Pochi passi avanti, comunque, sono stati compiuti fino al XIX secolo, fin quando cioè gli sviluppi nei campi della termodinamica e della meccanica dei fluidi hanno permesso di porre le basi teoriche della meteorologia. Poiché precise misurazioni dei parametri atmosferici sono della massima importanza in meteorologia, i grandi progressi di questa scienza sono stati possibili solo dopo l'invenzione e la messa a punto di strumenti adeguati e, più di recente, dopo la creazione di reti per la raccolta dei dati meteorologici. Le registrazioni di dati meteorologici in singole località venivano effettuate già nel XIV secolo, ma fino al XVII secolo mancavano osservazioni sistematiche eseguite su aree estese. In passato lo sviluppo delle previsioni del tempo è stato frenato dalla lentezza delle comunicazioni: si dovette attendere fino all'invenzione del telegrafo, alla metà del XIX secolo, per riuscire a trasferire rapidamente i dati meteorologici raccolti in un'intera nazione a un sito centrale, in modo da poter effettuare correlazioni e previsioni. Prima dell'avvento dell'informatica, le previsioni del tempo venivano condotte manualmente su basi empiriche e l'analisi delle posizioni e delle intensità delle perturbazioni avveniva su osservazioni riportate su carte, utilizzando procedure soprattutto grafiche e qualitative. In tali condizioni era particolarmente difficile prevedere dove si sarebbero formati nuovi sistemi di perturbazione; cosicché, mentre le previsioni a 24 ore potevano dirsi pressoché accurate, spingendosi oltre, la qualità e l'accuratezza rapidamente diminuivano. Il metodo più affidabile per la produzione di previsioni meteorologiche è quello dell'elaborazione numerica (o NWP, Numerical Weather Prediction). Esso si basa su un insieme di equazioni che descrivono il comportamento dell'atmosfera e sono organizzate in un complesso modello matematico da applicare alle osservazioni dell'atmosfera reale. Il primo tentativo di NWP, effettuato nel 1922 da Lewis Fry Richardson, non ebbe successo a causa dell'insufficienza dei dati e della potenza di calcolo, ma provò la fattibilità di previsioni riferite a un intervallo di tempo superiore alle 24 ore. La prima previsione sperimentale completa fu realizzata nel 1950 alla Princeton University impiegando un insieme semplificato di equazioni e riferendole a un'atmosfera ideale di un solo strato. I successivi miglioramenti nella formulazione matematica delle equazioni e gli straordinari incrementi della potenza di calcolo dei computer hanno fatto sì che la NWP divenisse la base dei metodi di previsione meteorologica in tutto il mondo. Lo studio delle condizioni atmosferiche e dei fattori che le determinano ha vari fondamenti teorici. Tra le leggi fondamentali vi sono i principi di conservazione della quantità di moto, della massa e dell'energia; le leggi che regolano il moto dei fluidi su una sfera in rotazione;

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Cenn i s t o r i c i I dotti dell'antica Grecia si dedicarono con interesse allo studio dell'atmosfera. Già nel IV

secolo a.C. Aristotele aveva scritto un trattato dal titolo “Meteorologica”, che si occupava dello "studio delle precipitazioni"; da questo lavoro, circa un terzo del quale è dedicato ai fenomeni atmosferici, è stato tratto il termine moderno meteorologia. Nel corso della storia, molti dei progressi che hanno condotto alla scoperta di leggi fisiche e chimiche sono dovuti alla curiosità per i fenomeni atmosferici. Pochi passi avanti, comunque, sono stati compiuti fino al XIX secolo, fin quando cioè gli sviluppi nei campi della termodinamica e della meccanica dei fluidi hanno permesso di porre le basi teoriche della meteorologia. Poiché precise misurazioni dei parametri atmosferici sono della massima importanza in meteorologia, i grandi progressi di questa scienza sono stati possibili solo dopo l'invenzione e la messa a punto di strumenti adeguati e, più di recente, dopo la creazione di reti per la raccolta dei dati meteorologici. Le registrazioni di dati meteorologici in singole località venivano effettuate già nel XIV secolo, ma fino al XVII secolo mancavano osservazioni sistematiche eseguite su aree estese. In passato lo sviluppo delle previsioni del tempo è stato frenato dalla lentezza delle comunicazioni: si dovette attendere fino all'invenzione del telegrafo, alla metà del XIX secolo, per riuscire a trasferire rapidamente i dati meteorologici raccolti in un'intera nazione a un sito centrale, in modo da poter effettuare correlazioni e previsioni.

Prima dell'avvento dell'informatica, le previsioni del tempo venivano condotte manualmente su basi empiriche e l'analisi delle posizioni e delle intensità delle perturbazioni avveniva su osservazioni riportate su carte, utilizzando procedure soprattutto grafiche e qualitative. In tali condizioni era particolarmente difficile prevedere dove si sarebbero formati nuovi sistemi di perturbazione; cosicché, mentre le previsioni a 24 ore potevano dirsi pressoché accurate, spingendosi oltre, la qualità e l'accuratezza rapidamente diminuivano.

Il metodo più affidabile per la produzione di previsioni meteorologiche è quello dell'elaborazione numerica (o NWP, Numerical Weather Prediction). Esso si basa su un insieme di equazioni che descrivono il comportamento dell'atmosfera e sono organizzate in un complesso modello matematico da applicare alle osservazioni dell'atmosfera reale. Il primo tentativo di NWP, effettuato nel 1922 da Lewis Fry Richardson, non ebbe successo a causa dell'insufficienza dei dati e della potenza di calcolo, ma provò la fattibilità di previsioni riferite a un intervallo di tempo superiore alle 24 ore. La prima previsione sperimentale completa fu realizzata nel 1950 alla Princeton University impiegando un insieme semplificato di equazioni e riferendole a un'atmosfera ideale di un solo strato. I successivi miglioramenti nella formulazione matematica delle equazioni e gli straordinari incrementi della potenza di calcolo dei computer hanno fatto sì che la NWP divenisse la base dei metodi di previsione meteorologica in tutto il mondo.

Lo studio delle condizioni atmosferiche e dei fattori che le determinano ha vari fondamenti teorici. Tra le leggi fondamentali vi sono i principi di conservazione della quantità di moto, della massa e dell'energia; le leggi che regolano il moto dei fluidi su una sfera in rotazione;

le leggi della termodinamica; le leggi che riguardano i corpi radianti e quelle dei gas. Sono naturalmente da considerare anche le dimensioni della Terra, la sua velocità di rotazione, la geografia e la topografia, come pure le variazioni diurne e stagionali dell'energia solare incidente.

Altri fattori influenti sono la riflettività delle superfici (albedo), la fusione dei ghiacci, l'evaporazione, la nuvolosità, la pioggia, l'attrito, le temperature del mare; molti di questi fattori presentano una variabilità pressoché continua e devono essere costantemente corretti di conseguenza. La perfezione dei modelli, la completa conoscenza dello stato iniziale dell'atmosfera e una capacità di calcolo a prova di errore non consentono comunque di effettuare previsioni del tempo che vadano oltre una-due settimane. In altre parole, l'atmosfera è intrinsecamente instabile nei particolari di piccola scala: è un cosiddetto sistema caotico.

I progressi nelle tecniche di previsione meteorologica saranno possibili solo in seguito a una maggiore conoscenza dei fenomeni che hanno luogo nell'atmosfera, a un raffinamento dei modelli numerici e a un ulteriore incremento della potenza di calcolo. Sarà inoltre essenziale disporre di osservazioni a scala globale di più elevata qualità.

Lancio di un pallone sonda meteorologico in Antartide

L ’ a tmo s f e r a La vita sulla Terra non potrebbe esistere se non ci fosse l’atmosfera che la circonda;

essa è uno strato di gas, prevalentemente azoto e ossigeno, che può essere suddiviso in varie zone, ognuna con caratteristiche diverse. Queste zone sono : la troposfera, strato che va dalla superficie della Terra fino 10 km di altezza sui poli e fino a 16 sull’equatore; la stratosfera, che arriva a 50 km e che contiene uno spesso strato di ozono che ci protegge dalla radiazioni spaziali nocive; la mesosfera, dai 50 agli 80 km e infine la termosfera , dagli 80 fino ai 130 km.

La troposfera tuttavia, strato più basso e limitato dell'atmosfera terrestre, contiene l'80% dell’aria e il 99% di tutto il vapore acqueo. In essa, pertanto, ha luogo la formazione delle nubi e tutta la serie di processi che sono oggetto di studio della meteorologia.

Nella troposfera la temperatura diminuisce di circa 5,5 °C per chilometro, per cui al limite estremo (chiamato tropopausa) avremo una temperatura fra -60 e -80°C.

I fenomeni meteorologici sono determinati dall’interazione di tre fattori :

• · Temperatura • · Pressione • · Umidità

L a t empe r a t u r a Il calore si propaga in tre modi diversi: per conduzione, convezione o irraggiamento. La

conduzione avviene per contatto tra corpi solidi, ed è responsabile del fenomeno per cui il calore trasmesso dal fuoco alla punta di un attizzatoio giunge fino al manico. La convezione riguarda la diffusione del calore nei fluidi e avviene con trasporto di materia: è per la convezione che l'acqua di una pentola si riscalda uniformemente, pur essendo solo inferiormente a contatto con la fonte di calore. L'irraggiamento infine consiste nella propagazione a distanza di energia termica sotto forma di onde elettromagnetiche (infrarossi) : è per l'irraggiamento che sentiamo il calore di una stufa o del Sole.

Questo calore in piccola parte viene assorbito (perché suolo e mare sono cattivi conduttori) e in gran parte viene riflesso per irraggiamento, riscaldando così l’aria. Ovviamente gli strati più bassi risulteranno anche i più caldi perché sono i più vicini alla crosta terrestre da cui il calore viene irradiato; procedendo verso gli strati più elevati si avrà invece una diminuzione della temperatura, come sopra accennato. Tutto ciò rimanendo all’interno della troposfera poiché negli altri strati dell’atmosfera vigono leggi differenti. Nella troposfera il valore di questo raffreddamento è costante (5,5°C per Km) e si chiama gradiente termico verticale.

Nel meccanismo della convezione, quando un liquido o gas viene riscaldato, diventa meno denso e tende a salire verso l’alto, mentre la parte più fredda, più densa e quindi più pesante, tende a scendere verso il basso.

Un’altra legge fisica ci insegna che ogni corpo riscaldato tende a distribuire il calore in tutta la sua massa per raggiungere l’equilibrio termico.

L’atmosfera e l’acqua degli oceani, riscaldate dal Sole e dalla Terra per riflesso, tendono a dirigersi per convezione verso l’alto, come abbiamo accennato sopra, ma anche verso i Poli, dove a causa dell’inclinazione dell’incidenza dei raggi solari, il riscaldamento è minore.

La causa di tutti i moti interni dell'atmosfera è l'ineguale riscaldamento della superficie terrestre a opera della radiazione solare: le zone equatoriali sono infatti sottoposte a un riscaldamento assai più prolungato e intenso di quello a cui sono soggette le regioni polari. In risposta alle differenze di temperatura che risultano da questa disparità di insolazione del globo, l’atmosfera è interessata da un continuo e complesso meccanismo di circolazione che tende a trasferire calore dalle basse latitudini verso i poli.

Il termometro è lo strumento utilizzato per effettuare misurazioni di temperatura. Il tipo più comunemente usato è quello a mercurio, costituito da un tubo capillare di vetro, a diametro costante, che reca a una estremità un bulbo riempito del metallo liquido, sigillato e sotto vuoto. Se la temperatura aumenta, il mercurio si dilata e sale nel capillare: il livello raggiunto fornisce una misura indiretta di temperatura, che viene letta su una scala graduata propriamente tarata.

Sono oggi in uso diverse scale termometriche: la scala Celsius o centigrada, la scala Fahrenheit, la scala Kelvin, la scala Rankine e la scala internazionale delle temperature termodinamiche. La scala Celsius, che fissa a 0 °C la temperatura del ghiaccio fondente e a 100 °C il punto di ebollizione dell'acqua a pressione normale, è quella più usata in tutto il mondo, in particolar modo in campo scientifico. La scala Fahrenheit, usata soprattutto nei paesi anglosassoni, fissa la temperatura del ghiaccio fondente a 32 °F e quella dell'acqua bollente a 212 °F. Le altre scale vengono usate per misurazioni scientifiche di altissime temperature.

L a p r e s s i o n e La pressione atmosferica non è altro che il peso dell’aria che sovrasta la crosta

terrestre.

All'aumentare dell'altitudine, si riduce l'altezza della colonna d'aria che esercita il proprio peso sul suolo: di conseguenza, il valore della pressione atmosferica passa da un valore medio di 1013 mb (millibar), al livello del mare, all'89% di questo valore a un 1000 m di altezza, per scendere fino al 26% a 10 km di altezza. Un simile andamento è facilmente comprensibile osservando la figura 1 :

Fig.01

La figura osservata facilita l’introduzione del concetto di area di alta o bassa pressione (dette anche, rispettivamente, area anticiclonica e area ciclonica).

Nelle carte meteorologiche tali aree sono indicate con le isobare (linee che delimitano le zone in cui la pressione ha lo stesso valore). Un esempio nella fig.2 :

Fig. 02

Questa immagine ci informa che nel Mediterraneo ci sono due aree con pressione differente : l’una alta (A) e l’altra bassa (B). Nella prima il valore massimo sarà evidenziato nel nucleo centrale e andrà decrescendo verso l’esterno, mentre nella seconda i valori decresceranno procedendo verso l’interno, dove sarà localizzato il minimo.

Utile osservare che le linee isobare vengono evidenziate per intervalli di 4 millibar, partendo dal nucleo centrale.

Il riferimento al valore normale di 1013 mb è però indicativo ma non determinante. Se per esempio si rileva una pressione di 1026 mb sulla Sardegna e una di 1016 sulla Sicilia, si può stare certi che si verificheranno perturbazioni, anche se sono entrambe pressioni più alte rispetto

alla norma. Ciò che conta, quindi è il fatto che ci siano vicine due zone che presentano condizioni differenti che tendono ad equilibrarsi.

Lo strumento di misura della pressione atmosferica è il barometro.

Un normale barometro a mercurio è costituito da un tubo di vetro alto circa 1 m, chiuso all'estremità superiore e aperto a quella inferiore. Quando il tubo è riempito di mercurio e l'estremità aperta è immersa in un contenitore riempito con lo stesso liquido, il livello scende a un'altezza di circa 760 mm (rispetto al contenitore), lasciando un vuoto quasi perfetto nella parte superiore del tubo. Variazioni della pressione atmosferica fanno salire o scendere il liquido di poco, raramente sotto ai 737 mm o sopra ai 775 mm a livello del mare. Il risultato ottenuto con un barometro a mercurio, preciso entro un errore di circa 0,1 mm, deve sempre essere corretto per tener conto delle variazioni della forza di gravità con l'altitudine e la latitudine.

Altrettanto usato è il barometro aneroide, in cui la pressione atmosferica incurva la parete elastica di un tubo metallico in cui è fatto il vuoto totale; dalle variazioni della forma del tubo è possibile risalire al valore della pressione esterna (fig. 3). Poiché la pressione diminuisce rapidamente con l'aumentare dell'altitudine, questo strumento è spesso usato come altimetro (strumento atto a misurare l'altitudine).

L'uso del barometro è fondamentale per formulare previsioni meteorologiche accurate. Oltre a quanto sopra bisogna dire che è necessario tenere in gran conto il tempo in cui si manifesta una variazione del livello barometrico : un calo di 4 mb in un periodo di 4 ore va tenuto d’occhio, ma un calo di 3 mb in una sola ora prelude certamente a una burrasca.

Nota : per una misurazione più corretta si dovrebbe tenere conto del fatto che la pressione atmosferica, come la temperatura, subisce regolari variazioni nel corso della giornata; aumenta gradatamente dalle ore 4 alle 10, diminuisce tra le 10 e le 16, torna ad aumentare dalle 16 fino alle 22 ed è di nuovo in diminuzione dalle 22 alle 4 del mattino. Alle medie latitudini queste variazioni sono di circa un millibar, pertanto sono trascurabili, ai tropici però raggiungono i 3 mb, e sarà necessario prenderle in seria considerazione.

Fig. 03

L ’ um i d i t à L’acqua si trova nell’aria o sotto forma gassosa e quindi invisibile (vapore acqueo), o sotto

forma liquida e solida visibile : le nubi sono costituite da goccioline d’acqua o anche cristallini di ghiaccio.

Finora abbiamo quindi rilevato che l’aria non solo contiene umidità, ma ha anche una sua temperatura e una sua pressione. Quando varia una di queste tre variabili, variano anche le altre. Da ciò ne viene che, in determinate condizioni di temperatura e pressione, l’aria può contenere vapore acqueo solo fino ad una certa quantità, raggiunta la quale si arriva alla saturazione; se l’umidità aumenta ulteriormente, ad esempio una massa d’aria che passi su un lungo tratto di mare, quella in eccedenza si condensa sotto forma di goccioline, originando una nube.

Allo stesso modo si raggiunge la saturazione se cambiano le condizioni delle altre variabili. Un cambiamento di temperatura comporta anche un cambiamento di pressione e quindi un cambiamento sull’umidità. Ad esempio a livello del mare, pressione di 1000 mb e temperatura di 20°C, l’atmosfera può contenere sino a 15 grammi di vapore acqueo per ogni chilogrammo di aria secca, mentre a 0°C ne può contenere al massimo 4. Immaginiamo ora di avere dell’aria alla pressione di 1000 mb e alla temperatura di 20°C con un contenuto di vapore acqueo di 14 grammi (quindi non satura) che, per una ragione qualsiasi si raffredda : è ovvio che raggiungerà subito la saturazione con conseguente condensazione. Se si dovesse raffreddare fino a 0°C i 10 grammi di vapore in eccedenza (14- 4 = 10) si trasformerebbero in gocce d’acqua (formazione di nubi e/o pioggia).

Il peso del vapore acqueo contenuto in un dato volume d'aria è detto umidità assoluta, e si misura in grammi di vapore acqueo per metro cubo. L'umidità relativa, fornita dai bollettini meteorologici, è il rapporto fra il contenuto effettivo di vapore acqueo nell'aria e quello che sarebbe necessario alla stessa temperatura per raggiungere la saturazione. Se la temperatura atmosferica sale e non vi sono nuovi apporti di vapore acqueo, l'umidità assoluta rimane invariata, ma quella relativa scende. Viceversa, un calo di temperatura, a parità di umidità assoluta, comporta un aumento di umidità relativa. Quando si supera il punto di saturazione si produce rugiada. Per fare un esempio, si può dire che in media sul mare l’umidità relativa (U.R.) è del 90% (abbastanza vicini al punto di saturazione che è il 100%), mentre nelle aree desertiche è del 5-10%. L'umidità si misura per mezzo di opportuni strumenti detti igrometri.

Un semplice modello di igrometro, detto ad assorbimento e usato in abitazioni e uffici, sfrutta le variazioni di lunghezza di una fibra naturale (ad esempio un capello umano) provocate dall'umidità assorbita. L'allungamento della fibra provoca il movimento di una lancetta, che indica una percentuale di umidità relativa. Questo tipo di strumento fornisce un'indicazione approssimata dell'umidità, e non viene usato per accurate determinazioni quantitative. Un dispositivo recentemente messo a punto per la misurazione di questa grandezza si basa sul fatto

che la resistività elettrica di alcune sostanze (la grandezza che quantifica la tendenza di un materiale ad opporsi al fluire della corrente) varia al variare delle condizioni di umidità.

L a c i r c o l a z i o n e a t m o s f e r i c a

Alle medie e alte latitudini la circolazione atmosferica è caratterizzata da cicloni e anticicloni migranti. Questa circolazione, quasi ovunque, procede da ovest a est (per questo si parla di venti occidentali): la sua velocità aumenta con la quota, fino a raggiungere un massimo intorno a 13 km di altitudine, con velocità medie che superano i 160 km/h. La pressione al livello del mare diminuisce procedendo verso nord da 30° a 60° di latitudine, dove si localizza un minimo; continuando verso nord oltre i 60° di latitudine, si sviluppa un anticiclone (zona di alta pressione) con prevalenza di venti da est (venti polari orientali).

La circolazione media a nord dei 30° di latitudine tende a essere più forte durante l'inverno, quando si hanno le massime differenze di temperatura fra alte e basse latitudini. Le fasce di bassa e alta pressione rispettivamente a 30° e a 60° di latitudine si spostano leggermente con le stagioni, in modo da seguire l'andamento del Sole verso nord e verso sud. Anche i continenti esercitano un effetto sulla circolazione, e ciò è particolarmente evidente alle alte latitudini dell'emisfero settentrionale, dove è maggiore la percentuale di superficie occupata da masse continentali. Durante l'inverno si sviluppano anticicloni molto freddi sopra il Nord America e l'Asia, mentre in estate, al di sopra di queste aree, tendono a dominare basse pressioni. I sistemi stagionali di venti associati a queste distribuzioni di pressioni si chiamano monsoni, e sono particolarmente intensi in India e nel Sud-Est asiatico.

Un aspetto rilevante della circolazione da ovest alle medie e alte latitudini è la presenza di vortici ad andamento ciclonico e anticiclonico, che si spostano da ovest a est e causano cambiamenti del tempo atmosferico da un giorno all'altro. I vortici ad andamento antiorario sono detti cicloni extratropicali, e la loro intensità tende a essere massima in inverno, quando i contrasti di temperatura sono più accentuati.

Nella fascia dei venti occidentali si trova la corrente a getto, una stretta banda di flusso atmosferico ad alta velocità che segue un percorso ondulato da ovest a est, trascinando correnti di zona alle medie latitudini. La corrente a getto si trova a una quota media di oltre 12.000 m in inverno e quasi 14.000 m in estate, e la sua velocità può superare i 400 km/h.

Mas s e d ’ a r i a e f r o n t i Attorno alla Terra, a circa 30° di latitudine nord e sud e in inverno al di sopra dei

continenti, tende a dominare un regime di alte pressioni e di venti deboli. In tali regioni i venti si disperdono lentamente in orizzontale, e aria fredda discende da quote superiori per

compensazione. Dato il riscaldamento associato alla compressione dell'aria in discesa, gli anticicloni corrispondono in generale a condizioni di tempo sereno, tranne che in situazioni locali nelle quali l'aria a contatto con superfici fredde produce nebbie o nubi di bassa quota.

Gran parte delle regioni in cui tendono a prevalere gli anticicloni presenta caratteristiche di uniformità superficiale, e di conseguenza, in concomitanza con i lenti moti divergenti, si generano grandi masse d'aria con caratteristiche uniformi.

Le masse d'aria tropicali marittime si formano al di sopra degli oceani a 30° di latitudine nord e sud, e possono essere successivamente trasportate a migliaia di chilometri dalla loro origine. Queste masse, molto ricche di umidità, alimentano le precipitazioni alle medie e alte latitudini. Masse d'aria polari continentali, situate in inverno al di sopra delle estensioni innevate del Nord America e dell'Asia, raggiungono temperature estremamente basse, tra i 60 e i 70 °C sotto zero. Quando le masse d'aria si incontrano, si producono zone di forte contrasto termico. Tali regioni, particolarmente studiate dai meteorologi norvegesi già durante la prima guerra mondiale, sono denominate fronti e rappresentano strette zone di forte variabilità del tempo atmosferico. I fronti più cospicui tendono a essere situati in inverno in prossimità della costa orientale del Nord America e, analogamente, al largo delle coste asiatiche nel Pacifico. Le masse d'aria continentale polare affondano e si espandono al di sotto delle calde masse di aria tropicale marittima: le masse calde vengono pertanto spinte al di sopra delle masse d'aria polare lungo il fronte, si raffreddano per espansione e formano una depressione (ciclogenesi). Il raffreddamento può fare condensare rapidamente l'umidità in esse contenuta, provocandone la precipitazione.

I s i s t em i n u v o l o s i Il primo studio scientifico delle nubi risale al 1803, quando il meteorologo britannico

Luke Howard mise a punto un metodo di classificazione delle formazioni nuvolose. Nel 1887 fu pubblicato un sistema di classificazione destinato a costituire la base per la realizzazione dell'Atlante Internazionale delle Nubi (1896), uno strumento di consultazione e di riferimento, che da allora viene costantemente aggiornato e utilizzato dai meteorologi.

Le nubi vengono generalmente classificate, a seconda dell'altitudine, in quattro categorie: nubi alte, nubi medie, nubi basse e nubi a sviluppo verticale. Le quattro famiglie vengono ulteriormente suddivise in generi, specie e varietà, a seconda dell'aspetto e del processo che conduce alla loro formazione. Si possono distinguere oltre cento tipi differenti di nubi. Qui si descriveranno solo le quattro suddivisioni primarie e i generi più importanti.

Nub i a l t e Sono costituite da particelle di ghiaccio e si trovano alla quota media di 8 km al di sopra

della superficie terrestre. Comprendono tre generi principali: cirri, cirrostrati e cirrocumuli. I cirri sono isolati, con aspetto di piume o merletti disposti in bande. I cirrostrati appaiono come sottili veli biancastri; talvolta presentano una struttura fibrosa e, quando sono interposti fra un osservatore e la Luna o il Sole, causano il fenomeno degli aloni. I cirrocumuli sono nubi in banchi sottili, trasparenti e biancastri, con struttura granulosa e disposti in gruppi o in file.

Cirri

Nub i m e d i e Sono costituite da acqua liquida e si trovano ad altitudini comprese fra i 3 e i 6 km. La

famiglia comprende i due generi principali degli altostrati e degli altocumuli. I primi appaiono come spessi strati di colore grigio o bluastro, attraverso i quali il Sole o la Luna possono essere visti solo confusamente, come attraverso un vetro coperto da brina. Gli altocumuli hanno invece l'aspetto di masse rotondeggianti, biancastre o grigie, talvolta simili a batuffoli di cotone; quando sono particolarmente fitte, danno luogo al cosiddetto "cielo a pecorelle".

Altocumuli

Nub i b a s s e Costituite da acqua liquida, si trovano di norma ad altitudini inferiori ai 1500 m. In

questo gruppo sono comprese tre forme principali: stratocumuli, nembostrati e strati. Gli stratocumuli consistono in grosse masse arrotondate, di colore grigio e di aspetto soffice, che spesso coprono tutto il cielo, lasciando solo pochi squarci di azzurro. I nembostrati sono spessi, scuri e privi di forma ben definita: sono le tipiche nubi da precipitazione, che danno quasi sempre origine a pioggia o neve. Gli strati sono distese grigie di spessore variabile che possono dar luogo a pioggia sottile o a nevischio.

Stratocumuli

Nub i a s v i l u p p o v e r t i c a l e Si sviluppano nello strato di atmosfera compreso tra i 1500 m e i 12.000 m. In questo

gruppo sono comprese le due forme principali dei cumuli e dei cumulonembi. I cumuli, a forma di cupola o torre, appaiono per lo più nella seconda parte della giornata, quando il riscaldamento del Sole produce forti correnti ascensionali. Tali nubi hanno di solito basi appiattite e sommità arrotondate, a cavolfiore. I cumulonembi sono scuri, dall'aspetto pesante, e si ergono come montagne, spesso sormontate da un falso cirro a forma di incudine, costituito da cristalli di ghiaccio. Si tratta di nubi temporalesche, che portano generalmente intensi e improvvisi acquazzoni.

Cumulonembi

I l v e n t o E’ il flusso d'aria parallelo al suolo, che prende origine in modo naturale nell'atmosfera,

per effetto di differenze di pressione atmosferica tra due zone geografiche; i movimenti verticali dell’aria, invece, non sono classificati come venti, ma come correnti. Le differenze di pressione da cui si originano i venti sono, come abbiamo già detto in precedenza, da ricondurre a gradienti di temperatura (cioè differenze termiche) causati da una diversa insolazione o da differenti proprietà termiche delle superfici raggiunte dalla radiazione solare (per esempio tra continenti e oceani).

Il vento quindi soffia dalle zone di alta pressione verso le zone di bassa pressione e la sua intensità, cioè la velocità che può raggiungere è determinata da due fattori :

1. la differenza di pressione fra le zone interessate;

2. la distanza fra le zone di differente pressione.

Quanto sopra è espresso dalla formula del gradiente barico :

I = (Pa - Pb ) / d

in cui I è l’intensità del vento che è direttamente proporzionale alla differenza di pressione fra le due zone Pa e Pb e inversamente proporzionale alla loro distanza d .

Le aree caratterizzate da pressione atmosferica alta rispetto alla zona circostante si chiamano anticicloni. Un anticiclone è costituito da una massa d’aria che, per effetto della forza di Coriolis, tende a ruotare in senso orario nell’emisfero settentrionale e in senso antiorario in quello meridionale. Si distinguono due principali tipi di anticiclone: quelli termici e quelli dinamici.

Gli anticicloni termici si formano per raffreddamento dell'aria a contatto con il suolo freddo. L'aria fredda, pesante e densa, si concentra nella parte bassa della colonna e, ruotando lentamente, determina un innalzamento della pressione fino a circa 2.000 metri da terra. Questo tipo di anticiclone è presente, durante l'inverno, sulle grandi distese continentali a latitudini alte e medie. L'esempio più classico è costituito dall'anticiclone della Siberia. I ghiacci perenni della calotta boreale, come le distese di ghiaccio della Groenlandia e dell'Antartide sono all'origine di anticicloni termici quasi permanenti.

Gli anticicloni dinamici sono masse d'aria in rotazione in senso anticiclonico. L'innalzamento della pressione interessa l'intera colonna d'aria che va da 6000-7000 m di quota fino al suolo. Perdendo quota, l'aria si comprime e si riscalda; di conseguenza, al livello del suolo l’aria risulta calda e secca. Gli anticicloni dinamici sono causati dalla circolazione dell'atmosfera e sono permanenti. Alle latitudini tropicali di entrambi gli emisferi si trovano le più note cellule anticicloniche (ad esempio, l'anticiclone delle Azzorre e quello dell'isola di Pasqua).

Alla deviazione dovuta all’effetto Coriolis si aggiunge anche quella dovuta all’attrito con la superficie terrestre. Tali deviazioni sono dirette verso destra nell’emisfero settentrionale e verso sinistra nell’emisfero meridionale e variano secondo l’altitudine. Alle alte quote il vento soffia praticamente parallelo alle isobare e questa deviazione massima diminuisce avvicinandosi alla superficie terrestre a causa dell’attrito. L’influenza dell’attrito è differente , sul mare determina una variazione di 10°/20°, mentre sul suolo i valori salgono a 30°/40°.

A causa dell’interazione di queste forze possiamo osservare che , nel nostro emisfero, il vento tende ad entrare nelle aree di bassa pressione con direzione antioraria, mentre tende ad uscire dalle aree di alta pressione con direzione oraria, così che il movimento delle masse d’aria risulta quello raffigurato nella figura qui appresso

I venti sono classificati in dominanti, stagionali, locali e ciclonici; questi ultimi comprendono cicloni, uragani e tornado.

Ven t i d om i n an t i A cavallo dell'equatore si ha una zona interessata stabilmente da basse pressioni

atmosferiche: la cosiddetta fascia delle calme equatoriali, compresa fra 10° di latitudine nord e 10° di latitudine sud. Entro questa fascia l'aria è molto calda e umida. A circa 30° dall'equatore, in entrambi gli emisferi, sono invece stabilmente presenti fasce di alta pressione subtropicali. L'aria in prossimità del suolo, spostandosi dalle fasce di alta pressione verso la fascia delle calme, produce gli alisei, i venti dominanti delle basse latitudini. Nell'emisfero settentrionale, il vento che spira da nord verso l'equatore viene deviato dalla rotazione terrestre così da diventare un vento di nord-est. Nell'emisfero meridionale, il vento da sud, deviato in modo analogo, diviene un vento di sud-est.

Sul lato di maggiore latitudine delle fasce di alta pressione subtropicali, in entrambi gli emisferi, le aree di bassa pressione delle medie e alte latitudini richiamano aria, originando venti che vengono deviati verso est dalla rotazione terrestre. Dato che i venti vengono identificati in base

alla direzione da cui spirano, le correnti orizzontali delle medie latitudini sono classificate come venti dominanti da ovest. Essi sono fortemente condizionati da perturbazioni cicloniche e anticicloniche che ne modificano la direzione di giorno in giorno.

Le regioni più fredde, in prossimità dei poli, sono, come abbiamo visto sopra, centri di alta pressione, particolarmente nell'emisfero meridionale, e i venti che soffiano da queste aree vengono deviati in venti polari provenienti da est.

Salendo in quota, i venti da ovest diventano più veloci, e si amplia la loro estensione in latitudine sia verso l'equatore, sia verso i poli. Gli alisei e i venti polari spirano quindi solo in uno strato dell’atmosfera piuttosto sottile, in diretta prossimità del suolo, mentre, a poche migliaia di metri di quota, sono sostituiti dai venti da ovest. I più forti venti da ovest si riscontrano a quote comprese fra 10 e 20 km formano, come abbiamo già visto in precedenza (cfr.Circolazione atmosferica), la cosiddetta corrente a getto, con velocità del vento oltre i 400 km/h.

Ven t i s t a g i o n a l i L'aria che sovrasta la terraferma è in estate più calda e in inverno più fredda di quella

che si trova a contatto con la superficie del mare. Durante l'estate i continenti tendono quindi a divenire sede di basse pressioni e i venti tendono a spirare dal mare verso terra; al contrario, in inverno, i continenti sono sede di alte pressioni, e pertanto i venti spirano da terra verso il mare. L’esempio più classico di venti stagionali è costituito dai monsoni, venti che interessano le regioni sud-orientali dell’Asia. Così, da novembre a marzo, i monsoni soffiano da nord-est, mentre per il resto dell’anno spirano nella direzione opposta, da sud-ovest. Questi ultimi, sono di solito accompagnati da intense piogge nell'India e in tutto il Sud-Est asiatico e costituiscono la principale caratteristica del clima di quelle regioni.

Ven t i l o c a l i o b r e z z e In scala minore rispetto alle variazioni stagionali di pressione e temperatura, si verificano

analoghi cambiamenti diurni, dagli effetti simili ma più limitati nello spazio. Particolarmente in estate, la terra è relativamente più calda del mare durante il giorno e più fredda durante la notte. Le differenze di pressione che si producono in questo modo instaurano un sistema di brezze diretto verso terra durante il giorno e verso mare durante la notte. Queste brezze possono raggiungere una distanza di 50 km dalla costa, sia nell'entroterra sia in mare aperto. (vedi figure esplicative qui sotto)

La rosa dei Venti

A seconda della direzione da cui proviene il vento, rispetto ai punti cardinali, esso prende nomi diversi : Nord o Tramontana, Nord-Est o Grecale, Est o Levante, Sud-Est o Scirocco, Sud o Mezzogiorno, Sud-Ovest o Libeccio, Ovest o Ponente e Nord-Ovest o Maestrale

I V e n t i n e l Med i t e r r a n e o

Scala eolica di Beaufort

Questa scala viene utilizzata da marinai e meteorologi per indicare la velocità del vento. Fu definita nel 1805 dall'idrografo irlandese Francis Beaufort e modificata in seguito; la scala usata attualmente è mostrata nella seguente tabella.

Lo strumento che serve per misurare la velocità del vento si chiama anemometro. In genere sono costituiti da coppe rotanti (tre o quattro) vincolate a un perno. Indipendentemente dalla direzione, più forte spira il vento, più velocemente ruotano le coppe. La velocità del vento viene determinata dal numero di giri che le coppe compiono in un determinato intervallo di tempo. Spesso l’asse è collegato ad una dinamo che fa funzionare un indicatore tarato in base alla velocità del vento.

Gradi Beaufort

Denominazione Velocità nodi km/h

Stato del mare Altezza onde mt.

0 Calma 0-1 0-1 Piatto 0 1 Bava di vento 1-3 1-5 Piccole increspature 0,1 2 Brezza leggera 4-6 6-11 Increspature più evidenti 0,2-0,3 3 Brezza tesa 7-10 12-19 Onde piccole, rari marosi 0,6-1 4 Vento moderato 11-16 20-28 Diversi marosi 1-1,5 5 Vento teso 17-21 29-38 Onde lunghe, ovunque marosi 2-2,5 6 Vento fresco 22-27 39-49 Onde più grandi, spruzzi 3-4 7 Vento forte 28-33 50-61 Schiuma soffiata via dal vento 4-5,5 8 Burrasca 34-40 62-74 Grosse onde, banchi di schiuma 5,5-7 9 Burrasca forte 41-47 75-88 Grosse onde, visibilità scarsa 7-9 10 Tempesta 48-55 89-102 Grosse onde, mare tutto bianco 10-12,5 11 Tempesta forte 56-63 103-117 Enormi onde,raro in Mediter. 12-15 12 Uragano 64 e più 118 e più Devastazioni ovunque 15-17,5

S t r u m e n t i e f o n t i d i i n f o r m a z i o n e p e r l e p r e v i s i o n i m e t e o r o l o g i c h e

Sapere che tempo farà può essere particolarmente importante per chi viaggia per mare, ma purtroppo non è facile prevedere le condizioni future perché occorre tenere presenti troppi fattori. Tuttavia la corretta interpretazione dei bollettini meteorologici aggiunte alla personale osservazione delle manifestazioni atmosferiche del luogo in cui ci si trova possono consentire di formulare previsioni abbastanza affidabili. Chi naviga sa bene quante siano le difficoltà legate alla previsione del tempo e quanto spesso i bollettini meteo si rivelino insufficienti per la valutazione dei fenomeni locali. Risulta pertanto necessario organizzarsi autonomamente usando l’indispensabile strumentazione.

L a s t r u m e n t a z i o n e d i b o r d o

• ricetrasmittente VHF, già presumibilmente presente a bordo per le comunicazioni via radio su banda marina. Con questo strumento si può ricevere il bollettino METEOMAR, trasmesso dalle stazioni radiotelefoniche costiere delle PP.TT.(Poste e Telecomunicazioni), nella nostra zona sul canale 68, in italiano ed in inglese, ogni mezz’ora.

• radio, con un normale apparecchio radiofonico è possibile ricevere i Bollettini del Mare, trasmessi giornalmente dal secondo programma RAI alle ore 7.00, 15,35 e 22.35. Le informazioni trasmesse ricalcano quelle del bollettino METEOMAR, descritto più avanti, con l’esclusione della parte relativa alle osservazioni locali.

• barometro, termometro e igrometro, per misurare rispettivamente pressione, temperatura ed umidità dell’aria. Questi strumenti costituiscono un trio inseparabile per la misurazione delle variabili fondamentali che entrano in gioco. Utile osservare che la collocazione di questi apparecchi sottocoperta rendono le misurazioni inattendibili in certe condizioni : l’igrometro risentirà dei vapori emessi da una pentola sul fuoco della cucina, mentre il termometro segnerà la temperatura interna, non quella esterna.

• orologio, il tener conto dell’arco di tempo nel quale i fenomeni avvengono può dare preziose informazioni (abbiamo visto che un calo o un aumento di pressione ha significati differenti a seconda dell’intervallo di tempo in cui si manifesta).

• anemometro, strumento molto diffuso per misurare l’intensità del vento che abbiamo già visto nel capitolo descrittivo dei venti.

• ricevitore meteo-fax, si tratta di uno strumento piuttosto costoso e per questo non ancora molto diffuso. Esso riceve le informazioni trasmesse via radio dal servizio meteo nazionale e le traduce in carte di analisi meteo con la posizione delle perturbazioni, lo spostamento previsto e lo stato del mare nel Mediterraneo.

Bo l l e t t i n o METEOMAR E’ il bollettino più importante ed il più seguito.

I dati trasmessi provengono dalle elaborazioni dei centri meteorologici dell’aeronautica e vengono aggiornati ogni 6 ore. Sono facilmente reperibili prospetti che elencano le stazioni emittenti e, per ciascuna di esse, l’ora di diffusione, il canale VHF e la frequenza in kHz.

Le informazioni trasmesse sono raggruppate come segue :

Avvisi ; relativi a burrasche o temporali previsti o in corso.

Situazione; descrizione delle perturbazioni, provenienza e direzione stimata, localizzazione ed evoluzione delle aree di bassa ed alta pressione, ecc.

Previsione e tendenza; descrive cosa accadrà come conseguenza della situazione; la previsione è valida per 12 ore a partire dal momento in cui sono stati rilevati i dati, mentre la tendenza riguarda l’evoluzione nelle 12 ore successive.

Avvisi ai naviganti; informazioni su tutto ciò che può riguardare la sicurezza della navigazione, come per esempio fari temporaneamente inattivi, interdizione per svolgimento manovre militari, relitti pericolosi, ecc.

Osservazioni meteo; riguardano le condizioni locali, rilevate dalle stazioni costiere.

Oltre a quelle già citate, ci sono numerose altre fonti di informazione disponibili in Italia, dai bollettini dei vari quotidiani a quello della Telecom, ed altri, trasmessi in radiotelegrafia (SYNOP,SHIP,IDQ,ecc.) e ricevibili solo da appositi apparecchi.

Ovviamente le altre nazioni hanno ciascuna il loro bollettino, in genere viene trasmesso quasi sempre anche in lingua inglese.

P r e v i s i o n e d e i f e n o m e n i p e r i c o l o s i Il limite principale dei bollettini meteo è costituito da due fattori : lo scarto di tempo fra

l’osservazione e la previsione, che diventa penalizzante nel caso di evoluzioni molto rapide (ad esempio, un bollettino trasmesso alle ore 7.00 viene elaborato in base ad osservazioni effettuate alle ore 1.00), ed il fattore, molto più importante, che le previsioni trasmesse si riferiscono a zone molto vaste; esse non forniscono indicazioni precise sull’intensità che può assumere un determinato fenomeno localmente.

E’ qui che interviene la capacità di interpretazione personale attraverso lo studio del bollettino, unito all’osservazione del cielo per identificare la tipologia di nubi, e soprattutto dalla corretta valutazione del barometro.

A volte la rapidità con cui si sviluppano le tempeste rende difficile la loro previsione. Si spostano troppo velocemente perché la mareggiata le possa precedere. Lo stato del cielo fa prevedere indubbiamente l’arrivo del maltempo, ma non consente di sospettarne l’intensità. In definitiva, solamente le indicazioni del barometro possono preannunciarle.

Si può prevedere che accadrà un fenomeno pericoloso quando si fanno una o più delle seguenti constatazioni :

• il barometro scende rapidamente, da 4 a 5mB in tre ore o meno; • il barometro indica una pressione inferiore al minimo del centro di depressione

comunicato dal bollettino. Ciò significa che la depressione ha accelerato il suo spostamento, oppure che si è approfondita, o entrambe le cose.

• Il barometro indica una pressione molto bassa mentre il vento rimane orientato da SE, quindi in centro della depressione è ancora lontano.

Da ciò si comprende quanto sia importante avere un barometro tarato con esattezza, perché è essenzialmente il confronto fra la pressione comunicata e quella rilevata che può allarmare.

Si deve particolarmente diffidare quando ci si trova in una situazione temporalesca. In questi casi tutto può accadere. Per esempio : il vento è debole, di forza da 1 a 2, passano delle grosse nubi che danno rovesci intensi senza raffiche di vento notevoli, e improvvisamente, quando meno lo si aspettava, arriva un groppo di forza 6 o più.

In realtà occorrono anni di esperienza per giungere a risultati validi nel campo delle previsioni. In mare la previsione è frutto di osservazioni continue, ed è grazie a queste che, giorno dopo giorno, si acquista l’abitudine di “sentire” il tempo, le variazioni di temperatura, le sfumature di luce e di colore dell’acqua, le pulsazioni del vento. Percezioni ed esperienze che nessuno strumento esterno potrà mai sostituire.