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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 4-2004 1 T utto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste... (Gv 1,3) Per mezzo della Parola Dio ha fatto ogni cosa. Ogni creatura viene all’esi- stenza per rivelare e esprimere la bel- lezza del volto del Creatore. Giovanni nel prologo del suo Vangelo riassume in modo mirabile tutto questo nell’in- no al Verbo di Dio che si fa carne, ov- vero alla Parola eterna di Dio che, pri- ma nella creazione e poi nella reden- zione, rivela il Mistero di salvezza. La parola ha una sua dinamica co- stante: deve sempre essere pronuncia- ta, quindi ascoltata e compresa, per poi tramutarsi in azione pratica in quanto è proprio della parola sortire un effetto e, per quanto riguarda la Parola di Dio, l’effetto è sempre crea- tivo e soprannaturale. La Parola pronunciata Fin dall’eternità, nel cuore della Tri- nità, il Verbo eterno è pronunciato dal Padre in un atto di ineffabile Amore. Tutto il pensiero del Padre si esprime nel Figlio e in questa genera- zione eterna lo Spirito Santo è il divi- no soffio sulle cui ali si realizza un ineffabile dialogo d’amore tra il Padre e il Figlio, una comunicazione infinita- mente profonda che eternamente coinvolge nel suo vortice d’amore le tre persone divine. Senza la forza del- l’Amore increato il Figlio non viene generato e il Padre non genera, così come senza il Figlio, Verbo eterno, il Padre non avrebbe parola e Dio sareb- be muto, e senza Padre non ci sarebbe né Parola, né Amore. La vita stessa della Trinità ruota intorno alla gene- razione eterna del Verbo e gioisce in- finitamente del reciproco amore. Quando Dio volle creare attinse al- l’infinita potenza della sua Parola e volle allargare la sua eterna gioia fa- cendovi partecipi le creature. E tutto ciò che esiste fu fatto per mezzo del Verbo affinché riflettesse le perfezioni di Dio e le manifestasse, le rivelasse portando in sé l’impronta luminosa del suo Autore. Il Padre creò per mez- zo della sua Parola ogni cosa e lo Spi- rito diede ad ogni creatura la vita e la gloria, quello splendore che solo il volto di Dio può donare. Ogni creatu- ra ebbe origine in questo modo, dive- nendo riflesso del sorriso di Dio e ri- mandando a lui come ogni opera ri- manda al suo autore e come ogni ca- polavoro rimanda al suo artista. Nel cuore di ogni creatura ci sono il volto di Dio e l’analogia con il suo Creatore, in ognuna si può udire la voce della Parola che rivela, racconta, canta. I cieli narrano la gloria di Dio e l’o- pera delle sue mani annunzia il firma- mento. La Parola che si fa carne di mons. Marco Frisina

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 4-2004 1

Tutto è stato fatto per mezzo di lui,e senza di lui niente è stato fattodi tutto ciò che esiste... (Gv 1,3)

Per mezzo della Parola Dio ha fattoogni cosa. Ogni creatura viene all’esi-stenza per rivelare e esprimere la bel-lezza del volto del Creatore. Giovanninel prologo del suo Vangelo riassumein modo mirabile tutto questo nell’in-no al Verbo di Dio che si fa carne, ov-vero alla Parola eterna di Dio che, pri-ma nella creazione e poi nella reden-zione, rivela il Mistero di salvezza.

La parola ha una sua dinamica co-stante: deve sempre essere pronuncia-ta, quindi ascoltata e compresa, perpoi tramutarsi in azione pratica inquanto è proprio della parola sortireun effetto e, per quanto riguarda laParola di Dio, l’effetto è sempre crea-tivo e soprannaturale.

La Parola pronunciata

Fin dall’eternità, nel cuore della Tri-nità, il Verbo eterno è pronunciatodal Padre in un atto di ineffabileAmore. Tutto il pensiero del Padre siesprime nel Figlio e in questa genera-zione eterna lo Spirito Santo è il divi-no soffio sulle cui ali si realizza unineffabile dialogo d’amore tra il Padree il Figlio, una comunicazione infinita-mente profonda che eternamentecoinvolge nel suo vortice d’amore le

tre persone divine. Senza la forza del-l’Amore increato il Figlio non vienegenerato e il Padre non genera, cosìcome senza il Figlio, Verbo eterno, ilPadre non avrebbe parola e Dio sareb-be muto, e senza Padre non ci sarebbené Parola, né Amore. La vita stessadella Trinità ruota intorno alla gene-razione eterna del Verbo e gioisce in-finitamente del reciproco amore.

Quando Dio volle creare attinse al-l’infinita potenza della sua Parola evolle allargare la sua eterna gioia fa-cendovi partecipi le creature. E tuttociò che esiste fu fatto per mezzo delVerbo affinché riflettesse le perfezionidi Dio e le manifestasse, le rivelasseportando in sé l’impronta luminosadel suo Autore. Il Padre creò per mez-zo della sua Parola ogni cosa e lo Spi-rito diede ad ogni creatura la vita e lagloria, quello splendore che solo ilvolto di Dio può donare. Ogni creatu-ra ebbe origine in questo modo, dive-nendo riflesso del sorriso di Dio e ri-mandando a lui come ogni opera ri-manda al suo autore e come ogni ca-polavoro rimanda al suo artista.

Nel cuore di ogni creatura ci sono ilvolto di Dio e l’analogia con il suoCreatore, in ognuna si può udire lavoce della Parola che rivela, racconta,canta.

I cieli narrano la gloria di Dio e l’o-pera delle sue mani annunzia il firma-mento.

La Parola che si fa carnedi mons. Marco Frisina

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2 Culmine e Fonte 4-2004

Non è linguaggio, non sono paroledi cui non si oda il suono, per tutta laterra si diffonde la loro parola. (Sal 18)

La creazione giubila innanzi al suoCreatore perché vede realizzarsi in lei labellezza di Dio e perché può proclama-re le sue perfezioni. La bellezza dellacreazione è tutta in questo canto mira-bile a Dio che l’insieme rivela. Nel crea-to l’uomo occupa un posto del tutto ec-cezionale in quanto egli è il custode el’interprete di ciò che Dio ha creato,perché solo lui è capace di comprende-re la Parola e di amare Colui che ci par-la. Egli è creato a “immagine e somi-glianza” di Dio in quanto è personacon una sua capacità intellettiva eamante, è colui a cui tutta la creazioneè rivolta, per cui tutto è stato fatto, acui tutto è dedicato e verso cui tuttoconverge, ma è anche colui che tuttodeve custodire e proteggere, colui permezzo del quale le cose tornano al lorocreatore come omaggio d’amore e of-ferta dell’uomo, l’unico capace di com-prendere il messaggio d’amore che essenascondono e di ricambiarlo nei con-fronti di Dio.

L’uomo è così l’interprete e l’erme-neuta della parola che “narra la glo-ria” del Creatore. Egli può ascoltaredella bellezza di Dio e può a lui innal-zare il suo inno di lode.

La Parola ascoltata

È proprio della Parola dunque essereascoltata ma solo l’uomo può averequesto privilegio perché le altre creatu-re obbediscono ma non sanno ascolta-re, ovvero non hanno la capacità di por-gere l’orecchio e liberamente accogliere

nel proprio cuore ciò che Dio dice.Per ascoltare occorre compiere un

atto di libertà e d’amore, bisogna pre-stare ascolto con fiducia e accoglienza achi ci parla. Se noi siamo distratti e nonci poniamo con attenzione a cogliere ilmessaggio che riceviamo corriamo il ri-schio di non comprenderlo oppure ad-dirittura di fraintenderlo. Bisogna met-tersi nella “giusta lunghezza d’onda”per cogliere la voce di Dio.

Ascoltare significa quindi accoglie-re con tutte le proprie forze e obbedi-re non è altro che mettere in praticaciò che si è ascoltato. Ma per ascoltarebisogna “aprire l’orecchio”, ovverovolerlo fare, disporsi all’ascolto.

Il peccato originale è stato un pec-cato di disobbedienza ovvero di “nonascolto”. La menzogna del diavolo hasedotto l’uomo e la donna ponendolinella via dell’errore, del dubbio, dellachiusura nei confronti di Dio, dell’indi-sponibilità alle sue parole. Il peccato èproprio in questo porre ostacoli allaParola che Dio pronuncia per noi, il“chiudere l’orecchio”, divenendo sordialla Verità per accogliere la menzo-gna. Essendosi posto su questa strada,l’uomo smarrì la verità e la compren-sione di essa indebolendo le propriecapacità conoscitive e quindi non riu-scendo più ad amare in modo correttoe positivo. L’uomo aveva usato della li-bertà non per disporsi verso Dio maper voltargli le spalle, non per farsi suocollaboratore nel custodire la creazio-ne ma per rendersi suo antagonista so-vrapponendo alla Parola le sue parole.

Per guarire questa situazione, incui la Parola sembrava farsi incom-prensibile e misteriosa agli orecchidell’uomo, Dio cominciò quella che

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definiamo storia della salvezza e chepossiamo chiamare “ri-creazione”. Macome fare tutto ciò se non attraversoil Verbo per cui “tutto è stato fatto”?E infatti la Parola di Dio ricomincia arivelarsi e a chiamare l’uomo per con-durlo alla comprensione del Misterodi salvezza. Il Verbo rivela Dio parlan-do in modo umano, sempre più uma-no, sempre più comprensibile. Si piegaalla nostra povertà per innalzarci allesue sublimi altezze, scende tra noi perelevarci fino a lui. L’Incarnazione di-viene lo stile di Dio, la maniera con cuiegli decide di salvarci e con cui vuoleinnamorare l’uomo della sua bellezza.

Dio chiama Noè, Abramo e tutti ipatriarchi, Dio proclama la sua Legge,le sue Dieci Parole, ma soprattuttocompie un’Alleanza con gli uomini,stringe un Patto d’amore per rivelaresempre più il suo cuore divino e ricon-durre a sé la creazione smarrita.

L’uomo deve imparare ad ascoltare enuovamente abituarsi a dialogare con ilsuo Creatore, deve riconquistare la capa-cità di vedere nelle creature l’analogiacon il loro Creatore e con loro innalzarel’inno di lode. Dio giunge a mettere sul-la bocca degli uomini la sua stessa Paro-la, a suggerire le sue preghiere e i suoicanti, si nasconde nelle pieghe della sto-ria per condurre dolcemente ma decisa-mente il mondo al suo fine glorioso.

Ma l’uomo ha ancora difficoltà nelcomprendere: ha imparato ad ascoltare,ma come penetrare il Mistero nascosto?

La Parola compresa

“Dio, che aveva già parlato neitempi antichi molte volte e in diversi

modi ai padri per mezzo dei profeti,ultimamente, in questi giorni, ha par-lato a noi per mezzo del Figlio, che hacostituito erede di tutte le cose e permezzo del quale ha fatto anche ilmondo”. (Eb 1,1-2)

Il Verbo, per potersi rivelare piena-mente e soprattutto per rendersi ac-cessibile a tutti gli uomini, decide, nel-la pienezza dei tempi, di farsi creaturae, nello stupore di tutta la creazione,“il Verbo si fece carne e pose la suaabitazione in mezzo a noi” (Gv 1,14).

Non più per sentito dire, non piùper immagine, ma attraverso la no-stra stessa natura, con parole di uomi-ni, con il volto di uomo Dio parla e ri-vela. Non solo, ma prendendo su di séla realtà decaduta della nostra naturaumana la conduce alla gloria con sé,alla destra del Padre, in una comunio-ne impensabile tra Creatore e creatu-ra e in una comprensione ineffabiledel Mistero di Dio attraverso la comu-nicazione dell’unico Spirito. Tuttoquesto coinvolge la creatura nell’uni-co vortice che conduce fin nel cuoredel Padre, rendendola capace diascoltare e comprendere la Parola, equindi di viverla.

La Scrittura diviene per noi il per-corso tracciato per poter giungere aCristo, Parola del Dio vivente, Verbofatto carne. Non più solo un profeta:Colui che ci parla è la Parola stessafatta carne, ovvero divenuta uno dinoi. Se l’accogliamo possiamo diven-tare una sola cosa con lui, anche noiParola vivente. Nei santi la Parola èviva e illumina, esorta, gioisce e addi-rittura crea. Nell’unico respiro di Diol’uomo spirituale partecipa di ciò che

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il Figlio possiede per natura e, dive-nendo figlio egli stesso, possiede pre-rogative impensabili per mezzo dellagrazia che ci fa comunicare allo Spiri-to Santo, Vita di Dio. Anche noi po-tremo allora dire: “il Verbo s’è fattocarne ed è venuto ad abitare in me”.

La Parola attuata

A questo punto il cristiano non puònon rivelare ciò che è, perché la Parolache vive in lui tende a realizzare effica-cemente la sua potenza. Solo il peccatopuò tornare ad ostacolarla, solo l’osta-colo positivo da noi posto alla potenzadella parola di Dio può renderci sordialla voce prepotente dello Spirito, chein noi vuole gridare il Verbo di Dio.

I santi hanno vissuto con passionequesto ruolo di portatori del Verbo, disuoi annunciatori, di Apostoli della Ve-rità, di rivelatori dell’Amore. Questainestimabile ricchezza è posta nel no-stro cuore. Non si tratta semplicementedi leggere la Bibbia, ciò non sarebbe es-sere ancora cristiani, bisogna divenireParola vivente. “Non più io vivo, ma Cri-sto vive in me”: così Paolo sentiva l’ur-genza della persona stessa del Salvatorein lui che lo spingeva a farsi Parola, a ri-velare e “ri-creare” il mondo attraversola potenza trasformante della grazia.

Facciamoci dunque, senza alcun ti-more, missionari e apostoli di questaParola divina capace di cambiare il no-stro cuore e l’intero universo per ren-derlo canto alla gloria di Dio nell’uni-co respiro del suo Santo Spirito.

Evangeliario delle Chiese d’Italia

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Confrontando la celebrazione attua-le della liturgia con quella che sisvolgeva prima del Concilio, saltano

subito agli occhi alcuni cambiamenti, co-me quello della lingua, da cui è derivatauna maggiore e più facile partecipazionedell’assemblea. Non tutti però danno ilgiusto rilievo a quella che forse è la novitàpiù importante: la sovrabbondante ric-chezza della Parola di Dio nella liturgia.

La Costituzione liturgica Sacrosanc-tum Concilium (= SC) – che stiamo rileg-gendo a 40 anni dalla sua promulgazio-ne – pone i principi che hanno portato ilConsilium (quella speciale commissioneche ha preparato la riforma della litur-gia) a tale felice innovazione. Leggiamogli articoli che ci interessano:

Art. 24: “Nella celebrazione liturgicala sacra Scrittura ha una importanzaestrema. Da essa infatti si attingono leletture che vengono poi spiegate nell’o-melia e i salmi che si cantano; del suo af-flato e del suo spirito sono permeate lepreghiere, le orazioni e i carmi liturgici;da essa infine prendono significato leazioni e i simboli liturgici”.

Art. 25: “I libri liturgici siano rivedutiquanto prima, servendosi di personecompetenti e consultando vescovi di di-versi paesi del mondo”

A queste norme generali sulla futurariforma fanno eco le “norme derivantidalla natura didattica e pastorale della li-turgia”, per cui all’art. 35 leggiamo:“Nelle sacre celebrazioni si restaureràuna lettura della sacra Scrittura più ab-bondante, più varia e meglio scelta”.Parlando poi specificatamente della cele-

brazione eucaristica, all’art. 51, si precisa:“Affinché la mensa della Parola di Diosia preparata ai fedeli con maggiore ab-bondanza, vengano aperti più larga-mente i tesori della Bibbia in modo che,in un determinato numero di anni, silegga al popolo la maggior parte dellasacra Scrittura”.

Tale sollecitazione ha avuto, da noi inItalia, un’accoglienza così pronta, chesiamo stati spinti a preparare una serie dilezionari provvisori e sperimentali, primache, nel 1969, fosse promulgato l’OrdoLectionum Missae (OLM), sulla cui base siprepareranno i vari lezionari1. Oggi ab-biamo diversi volumi di letture per lamessa: 1. Lezionario domenicale e festi-vo Anni A B C ); 2. Lezionario feriale (an-no I e II); 3. Lezionario dei santi; 4. Lezio-nario delle messe rituali; 5. Lezionariodelle messe votive e per varie circostan-ze. Ma osserviamo che in testa al fronte-spizio di ogni volume è riportato il titolo“Messale Romano”. Si tratta infatti di te-sti biblici per la Messa.

Fino al Concilio, per la celebrazioneeucaristica avevamo solo un libro, il“Messale” appunto, che in un unico vo-lume conteneva tutti i testi, preghiere,letture e canti. Era perciò chiamato dagliesperti “Messale plenario” o “Messalemisto”. È evidente che il numero delleletture non era così grande come oggi.Ogni Messa aveva le sue letture (sempredue, tranne alcuni giorni particolari nel-l’anno, come le “Quattro tempora” o laPasqua). Non c’erano letture per i giorniferiali, tranne che in Quaresima, e si ripe-tevano sempre quelle della domenica

Dal messale plenario al messale-lezionariodi p. Ildebrando Scicolone, osb

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precedente. Così un solo libro bastava.I nuovi libri per la Messa sono oggi

tre: l. Il Messale propriamente detto, checontiene solo le preghiere che sono dicompetenza del sacerdote2 ; 2. Il Lezio-nario, che contiene le letture e i canti in-terlezionali, di competenza del diacono,del lettore o del salmista3; 3. Il libro deicanti, di competenza del coro o dell’as-semblea.

La divisione dei libri non è solo prati-ca o funzionale: essi non sono distinti eseparati solo perché – essendo così estesii vari elementi – non possono essere con-tenuti in un solo libro, ma perché si notianche la diversa ministerialità. Ciò ri-sponde a un altro dettato conciliare,espresso in SC 28: “Nelle celebrazioni li-turgiche ciascuno, ministro o semplice fe-dele, svolgendo il proprio ufficio, si limitia compiere tutto e soltanto ciò che, se-condo la natura del rito e le norme litur-giche, è di sua competenza”.

Il cambiamento dei libri mette in luceil rinnovato modo di intendere e viverela celebrazione. Mentre il Messale plena-rio era visto come il libro del “prete”,ora tutti questi libri distinti sono come “illibro” dell’assemblea. Le celebrazionitornano ad essere “comunitarie” di dirit-to e di fatto, come è nella loro natura,perché “tali azioni appartengono all’in-tero corpo della Chiesa, lo manifestano e

lo implicano; ma i singoli membri vi sonointeressati in diverso modo, secondo ladiversità degli stati, degli uffici e dellapartecipazione effettiva” (SC 26).

Così facendo, siamo in parte tornatialla situazione che si era creata nei secolidella liturgia romana “classica”, nei seco-li V-VIII. Allora il celebrante aveva il suolibro, detto “sacramentario”, che conte-neva solo le preghiere per la celebrazio-ne dei sacramenti4; il diacono aveva l’e-vangeliario, che era distinto dal libro del-le altre letture, cioè l’epistolario, che erail libro del lettore (o del suddiacono); laschola (o coro) aveva l’antifonario o an-tifonale, per i canti.

È evidente che la celebrazione richie-deva tale varietà di ministri e di azioni,per cui era comunitaria, nel più vero sen-so della parola. La successiva e crescentemoltiplicazione delle messe nella stessachiesa e nella stessa ora (si pensi a tantialtari laterali nelle chiese barocche), haportato alla messa “bassa”, detta tuttadal solo sacerdote e sottovoce, per nondisturbare il collega vicino, e alla conse-guente contrazione e “con-fusione” ditutti i libri in uno5.

Senza far molto rumore, la riformadei libri liturgici ha fatto recuperare il va-lore comunitario della celebrazione, e ri-scoprire il senso della ministerialità e del-la partecipazione rituale.

1 Una seconda edizione, con pochi testi mutati, ma con le “Premesse” interamente rinnovate,sviluppate e approfondite, sarà pubblicata nel 1981.

2 Vi sono presenti anche le antifone d’ingresso e di comunione, che sono dei canti, che quindi spet-tano al coro o all’assemblea. Il Messale le riporta perché, nel caso in cui nessuno le canti o le reciti,deve “supplire” il sacerdote. Ecco perché sono scritte con caratteri diversi rispetto alle preghiere.

2 Secondo la diversità dei ministri, si richiederebbe una diversità di libro, come era in antico. Ildiacono dovrebbe avere l’Evangeliario. La CEI lo ha realizzato, ma non tutte le Chiese lo hannoo lo utilizzano. Il salmista dovrebbe avere il libro dei canti (salmo responsoriale e Alleluia). Ma,per quel che riguarda i libri dei canti, siamo ancora in fase di creatività e di sperimentazione.

3 “Preghiera” in greco si dice euché, per cui i testi delle preghiere sono detti testi “eucologici”.4 Qualcosa di simile è avvenuto per i vari libri dell’Ufficio divino, quali il Salterio, l’Innario, l’Antifo-

nale, il Responsoriale, il Lezionario, l’Orazionale e altri, che si sono ridotti a un solo libro, chiama-to “Breviario”.

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“Nella celebrazione liturgica laSacra Scrittura ha un’impor-tanza estrema. Da essa in-

fatti si attingono le letture che vengonopoi spiegate nell’omelia e i salmi che sicantano; del suo afflato e del suo spiritosono permeati le preghiere, le orazionie i carmi liturgici; da essa infine prendo-no significato le azioni e i simboli litur-gici”1.

Se quest’affermazione del Conciliorisulta evidente, importante e familiare,dopo 40 anni dalla promulgazione dellaCostituzione Sacrosanctum Concilium, èanche e soprattutto grazie all’enormelavoro scientifico e applicativo attuatocon la preparazione e pubblicazionedell’Ordo Lectionum Missae, documen-to che introduce, spiega e indica le mo-dalità di attuazione del rapporto tra Pa-rola di Dio e Liturgia. Lo scopo di un ta-le documento è anzitutto “pastorale”2:tale, cioè, da rendere comprensibili eapplicabili le norme conciliari per guida-re il popolo di Dio – ministri e fedeli – aquel “gusto saporoso e vivo della SacraScrittura” così necessario “per promuo-vere la riforma, il progresso e l’adatta-mento della liturgia”3.

La commissione incaricata iniziò l’ela-borazione di questo documento conuna paziente opera di revisione e con-fronto, a partire dai tempi nei quali do-cumenti di qualche genere potevanofar pensare all’esistenza di un “ordina-mento” dei brani della Parola nel corsodelle celebrazioni eucaristiche. Inizian-

do dall’esame dei manoscritti sulla litur-gia latina dal secolo VI al secolo XII, con-frontati con diversi riti orientali e con ilezionari in uso tra i fratelli separati, sigiunse alla stesura di un primo Ordina-mento delle Letture per le domeniche,le ferie e le feste dei Santi, pubblicatocome manoscritto, che venne inviato apiù di 200 esperti delle Conferenze Epi-scopali e ai partecipanti al primo Sinododei vescovi. Con le opportune osserva-zioni e integrazioni, la prima pubblica-zione dell’Ordo Lectionum Missae, data-ta 1969, si è arricchita, nel 1981, dellePremesse (Praenotanda), elaborate in ri-sposta a molti pastori d’anime che chie-devano aiuto nell’interpretazione diquanto sottolineato e indicato dal Con-cilio e da vari documenti della riformaliturgica circa la relazione tra la celebra-zione liturgica e la Parola di Dio4.

Dal punto di vista strutturale definia-mo Premesse i primi tre capitoli dell’Or-do Lectionum Missae, che affrontano inparticolare: principi generali per la Cele-brazione Liturgica della Parola di Dio; laCelebrazione della Liturgia della Parolanella Messa; uffici e ministeri nella Cele-brazione della Liturgia della Parola du-rante la Messa. Si tratta, in pratica, di“principi metodologici che hanno rettola scelta delle pericopi e principi fonda-mentali che reggono l’uso della Paroladi Dio nella celebrazione”5. Principi,cioè, che consentano la messa in atto diuna celebrazione della Parola nell’Euca-ristia, tale da approfondire una sorta di

La via della Parola Valore formativo e spirituale delle Premesse all’Ordo Lectionum Missae

di don Santo Marcianò

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“esegesi liturgica” della Parola di Dio edi guidarne le modalità di attuazionenella vita del popolo6.

Dopo 40 anni dalla SacrosanctumConcilium, l’Ordo Lectionum Missaeconserva ancora un sorprendente valoredi approfondimento e di applicazione erivela una preziosa ricchezza pedagogi-ca e spirituale nel tracciare una “via del-la Parola” lungo il cammino di fede delpopolo di Dio e degli stessi presbiteri.

Parola e comunione

Ogni volta che parliamo di Dio o chedi lui scriviamo, ogni volta che ci sforzia-mo o ci sorprendiamo a volerlo comuni-care, avvertiamo inevitabilmente l’ina-deguatezza della nostra parola. Ma necogliamo, con altrettanta indiscutibileevidenza, la necessità. Tanto più questoaccade se non solo cerchiamo di parlaredi Dio ma, addirittura, della sua Parola.

Sì, perché proprio in questa parolaumana che noi sperimentiamo insuffi-ciente e necessaria, che avvertiamo peri-colosa e ricchissima, Dio - in qualchemodo - è entrato, per rivolgersi a noi.L’Ordo Lectionum Missae, nella sua ric-chezza di contenuti teologici e di detta-gli tecnici parte, in fondo, da un’osser-vazione conciliare tanto semplice quan-to essenziale : “Nella Liturgia… Dio par-la al suo popolo7”. Questa certezza ac-compagna con crescente consapevolez-za la Chiesa, chiamata a essere luce del-la Parola di Dio nel mondo, a dare unannuncio che diventa vera e propria tra-smissione della Parola “viva edefficace”8, nella quale è sempre presen-te il Cristo9.

Dio ha scelto la strada della parolaumana per la sua Rivelazione, per mani-festare il suo amore operante10. Ma Dio

ha scelto di farsi Parola, Verbo11. Ha scel-to la “via della Parola” non solo per di-re, ma per dare se stesso. Per “comuni-carsi”. Pur nel suo comunicarsi, Egli ri-mane Dio e la sua Parola non è sempliceespressione umana: è azione, evento,opera; “è l’atto con cui Dio entra nelmondo”12. Dio parla e agisce, annunziae compie, con una modalità fecondache appartiene solo alla sua Parola13.

Potremmo dire che la logica della Pa-rola segue la logica dell’Incarnazione.Dio entra nella parola umana così comeassume la carne umana: e “la Chiesa hasempre venerato le Divine Scritture co-me ha fatto per il Corpo stesso di Cri-sto”14.

Fatta per creare relazione tra le per-sone, la Parola, in Dio, è già questa rela-zione messa in atto. In realtà, la Parolasperimenta un venire all’uomo nonsempre seguito da accoglienza15 ma, no-nostante ciò, Dio continua a parlare alsuo popolo. Lo ha fatto “molte volte ein diversi modi… per mezzo deiprofeti”16; lo ha fatto e lo continua a fa-re nella pienezza del tempo, pronun-ciando in pienezza la sua Parola che è ilFiglio17. Con Cristo e in Cristo, la Parolanon è più soltanto un enunciato, sia pu-re autorevole; non è soltanto una gui-da, sia pure indispensabile; non è sol-tanto un’opera, sia pure bellissima. Enon è soltanto uno strumento che rivelaDio e la sua volontà. In Cristo la Parola –incarnata – è possibilità di incontro per-sonale e personificato con il Dio Viven-te.

Il Cristo, Verbo di Dio, è Dio stessoche si dona nella Parola; il Cristo, Re-dentore dell’uomo, rende l’uomo final-mente capace di accogliere questa Paro-la e di donarsi a essa. Questo Mistero di

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redenzione pervade tutta la vita del cri-stiano, ma si rende particolarmente pre-sente nei sacramenti, soprattutto nel-l’Eucaristia. In Gesù, fatto Carne, la Pa-rola è il “luogo” della rivelazione del-l’Essere di Dio e della relazione che Eglistabilisce con il suo popolo. Questo Esse-re e questa relazione hanno un uniconome: l’amore, la comunione.

Alla luce del significato profondodella comunione si può rileggere tutto ilrapporto tra Parola e celebrazione chel’Ordo Lectionum Missae, particolar-mente nelle Premesse, ci invita a ritrova-re e rispettare. La comunione comeprofonda esperienza antropologica e li-turgica, come realtà di valenza umana esacramentale, come orizzonte e cuoredi quell’incontro che ogni fedele vive –meglio, deve essere consapevole di vive-re – con il Dio fatto Parola e fatto Euca-ristia. La comunione, infine, come stra-da e meta nell’utilizzo di questo docu-mento nella formazione del presbiteroche è a un tempo ministro della parolae dei sacramenti, “trattandosi di sacra-menti della fede, la quale nasce e si ali-menta con la parola”18.

Parola e vita

L’importanza della comunione perso-nale con il Signore e con la sua Parolanon deve tuttavia indurre all’equivocodel relativismo o della libera interpreta-zione. In tal senso, la dimensione “eccle-siale” della comunione conserva al rap-porto con la Parola le caratteristiche diun incontro intimo ma non intimistico,personale ma non individualistico. D’al-tra parte, la Parola di Dio vive nellaChiesa, è viva solo nella Chiesa: perchéla Chiesa “si identifica col Cristo, ne è lacontinuazione; ed è animata dal suo

Spirito. Dovunque c’è la Chiesa, là c’è ilCristo, là c’è la sua Parola viva”19. Ognitentativo di sottrarla al mistero dellaChiesa farebbe anche della Sacra Scrit-tura un semplice documento storico o,addirittura, una “lettera che uccide”20.

“Fonte e culmine” della vita e dell’o-pera stessa della Chiesa è la Liturgia,nella quale si annuncia e si attua a untempo il mistero della salvezza - e cioèl’opera della redenzione - nella sua di-mensione discendente e ascendente:“santificazione degli uomini e glorifica-zione di Dio”21.

Nell’Eucaristia, annuncio e attuazio-ne, parola ed evento, sono intimamenteconnessi: il dono della Parola di vita edil dono della Vita nuova convergononell’unico dono che Cristo fa di sé al Pa-dre e al mondo. La Parola come relazio-ne di comunione è incarnata nel Verboche si offre, si dona.

La centralità del Cristo e della suapresenza, evidente nella Liturgia Eucari-stica, va riaffermata anche attraversoun’adeguata celebrazione della Liturgiadella Parola. A questo scopo è finalizza-ta la revisione dei lezionari e lo stessoordinamento delle letture bibliche,orientate a offrire una panoramica dellastoria della salvezza che ha il suo culmi-ne nel Vangelo di Gesù22. Si tratta di unosguardo alla storia che si offre in ognisingola celebrazione – in essa le letturesi richiamano a vicenda – e nello svol-gersi dei tempi dell’anno liturgico23.

Dio si dona nella storia e la storiadell’uomo diventa luogo per conosceree accogliere la stessa fecondità della Pa-rola. La celebrazione dell’Eucaristia èun’attualizzazione storica, un particola-re frammento della storia che dice, a untempo, memoriale e profezia: ripresen-

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FORMAZIONE LITURGICA

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tazione di quanto accaduto nel Cenaco-lo 2000 anni fa e inserimento in un’eter-nità di vita possibile solo grazie alla co-munione con il Cristo Risorto, viventenel suo Corpo e nella sua Parola. “Lastessa parola di Dio, proclamata nellacelebrazione dei divini misteri, non si ri-ferisce soltanto alla presente situazioneche stiamo vivendo, ma rievoca il passa-to e fa intravedere il futuro, ravvivando-ne in noi il desiderio e la speranza, per-ché tra il vario fluire delle umane vicen-de, là siano fissi i nostri cuori dov’è lavera gioia”24.

Alla vivificazione della Parola nellacelebrazione eucaristica contribuiscenon poco il valore della proclamazione:non una semplice lettura, ma un annun-cio solenne, rivelatore25; che richiede inchi lo pronuncia convinzione e adesio-ne, preparazione contenutistica e tecni-ca, diventando un vero atto di culto. Unvero e proprio ministero, quello di pro-clamare la Parola, sul quale l’Ordo Lec-tionum Missae si sofferma con detta-glio, indicando chiare direttive per la ce-lebrazione e la formazione26.

Nella dinamica relazionale-comunio-nale, l’altro volto della proclamazione èl’ascolto. L’ascolto è ciò che definisce ericapitola, nella Liturgia, l’atteggiamen-to dei fedeli, la loro partecipazione e ri-sposta alla proclamazione della Parola.“Quando Dio rivolge la sua Parola sem-pre aspetta una risposta, la quale è unascolto e un’adorazione in spirito e ve-rità”; traspare dall’”atteggiamento delcorpo, i gesti e le parole”; “si attua poianche nella vita”27. L’ascolto che si rea-lizza nella celebrazione eucaristica haun profondo valore “umano e teologi-co” ma anche “comunitario: si è mem-bri di una comunità convocata nell’a-

scolto e in ascolto della Parola”28.Anche l’ascolto è culto vivificante.

Come il seme nel grembo della terra,come il bambino nel grembo della ma-dre, così anche la Parola: se non è accol-ta, muore. Ma, se è accolta, trasforma.La Parola Vivente, entrando nel cuore diogni fedele, ne trasforma la vita e cosìtrasforma la vita dell’intera comunitàecclesiale: “nell’ascolto della Parola diDio si edifica e cresce la Chiesa”29. Inquesta relazione reciproca la Parola diDio è vivificante e vivificata, cresce e facrescere: nutre i fedeli e ne porta a ma-turazione la vita30. Occorre pertantoeducare a un tale ascolto della Parola: ecertamente l’Ordo Lectionum Missaepotrebbe rappresentare un aiuto peda-gogico da riscoprire31.

L’ascolto esige e alimenta un impor-tante “clima celebrativo”32, favorito dal-la preparazione della Liturgia, dai gestie dai segni (l’ambone, i libri…), ma cheoltrepassa i tempi della stessa celebra-zione: li prepara e li prolunga grazie aquel rapporto tra vita e Parola che è lapreghiera33. La preghiera personale nonsi colloca certo in antitesi con la pre-ghiera comunitaria, anzi “la suppone edesige”34. La preghiera è mistero di unio-ne sempre più profonda con Dio e conla sua Parola: che suscita e accresce, nel-la singola persona e nella Chiesa tutta, ildesiderio di “mangiare” la Parola e ilCorpo del Signore; che rende la singolapersona e la Chiesa tutta capace di ri-spondere fedelmente, in ogni Eucari-stia, lo “stesso Amen” di Cristo35 .

Parola e formazione

Il legame profondo tra celebrazioneeucaristica e elebrazione della Parola ri-manda in modo speciale al mistero e al

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 4-2004 11

ministero del sacerdote: alla figura e aicompiti di colui che presiede, l’OrdoLectionum Missae dedica una grandeattenzione36, rivelandosi uno strumentodi grande valore pedagogico non soloper i fedeli – come abbiamo preceden-temente affermato – ma anche per laformazione dei futuri presbiteri.

Il seminario è una comunità del tuttospeciale, anche dal punto di vista dellestesse celebrazioni liturgiche. Quella deiseminaristi, infatti, è una comune assem-blea di fedeli ma anche un’assemblea difuturi pastori: è questa una sorta di posi-tiva ambivalenza che, in realtà, complicae allo stesso tempo arricchisce tutto ilcammino formativo del seminario.

La Sacrosanctum Concilium puntua-lizza in modo chiaro la centralità dellaformazione liturgica dei chierici e dellaloro crescita spirituale, sottolineandol’importanza dell’insegnamento scola-stico della sacra liturgia37 e della parteci-pazione ai sacri misteri38.

Affrontando il tema della formazio-ne spirituale, Giovanni Paolo II ricordacome il concilio connoti “l’intima comu-nione dei futuri presbiteri con Gesù conla sfumatura dell’amicizia. Non è questa– aggiunge il Papa – un’assurda pretesadell’uomo. È semplicemente il dono ine-stimabile di Cristo, che ai suoi apostoliha detto: «Non vi chiamo più servi maamici perché tutto ciò che ho udito dalPadre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv15,15)”39. L’amicizia di Gesù è motivata equasi dimostrata dalla conoscenza dellaParola del Padre trasmessa ai suoi. UnaParola che Gesù per primo, e prima ditrasmetterla, ha “udito” Egli stesso dalPadre. Il seminario è tempo privilegiatoper questo sacerdotale ascolto della Pa-rola del Padre, in un contesto di amici-

zia con Gesù e con la sua Parola, di gra-duale conformazione a lui. Da questoscaturirà l’autenticità di una sacerdotaledonazione della Parola stessa.

Oltre allo studio della sacra Liturgia,e pertanto anche allo studio dell’OrdoLectionum Missae, del quale “colui chedeve presiedere la celebrazione” è te-nuto a conoscere “a perfezione la strut-tura”40, un particolare “clima celebrati-vo” deve pervadere le liturgie e la stessa“regola di vita” di questa particolare co-munità.

Come Gesù, anzitutto, il sacerdotedeve essere uomo capace di ascoltareDio: “elemento essenziale della forma-zione spirituale è la lettura meditata eorante della parola di Dio (lectio divi-na), è l’ascolto umile e pieno di amoredi colui che parla”41. Il seminario, però,deve saper educare a tutto uno stile diascolto: il “grande ascolto dell’Eucari-stia”, cioè, si prepara con la meditazio-ne personale ma anche con l’ascoltodell’altro, del compagno, del superio-re… si matura nella docilità e umiltà dichi gradatamente apprende a far tacereil proprio io; si sostiene con l’obbedien-za: ascoltare è “ob-audire”, appunto.L’ascolto, come culto della Parola e dellaPresenza, non è atteggiamento di im-provvisata concentrazione all’inizio diuna Liturgia. È la maturazione del cuorea immagine del Cuore di Cristo; è l’aper-tura del cuore che si dona, e che perse-vera anche dinanzi a una Parola che sifa dura o incomprensibile. La Parola,per certi versi, è “il soggetto” dell’ascol-to: ne è la motivazione profonda e l’ani-ma. Ne è la vita.

Il seminario è una comunità che, alsuo interno e nell’ambito della Chiesaparticolare, deve sapersi proporre come

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FORMAZIONE LITURGICA

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“scuola di Parola” e perciò come “scuo-la di preghiera”: è la preghiera, infatti,“la prima e fondamentale forma di ri-sposta alla Parola” che “costituiscesenz’alcun dubbio un valore e un’esi-genza primari nella formazione spiri-tuale”42.

La centralità della Parola forma eeduca alla centralità della “ricerca di Cri-sto”, che inizia negli anni di seminarioma che continua sempre nella vita delsacerdote: “dovrà continuare questocercare il Maestro, in ordine ad additarloagli altri, meglio ancora a suscitare neglialtri il desiderio di cercare il Maestro”43.

Nella relazione di amicizia tra il pretee Gesù, la Parola del Maestro è il “sog-getto” dell’ascolto e il “soggetto” del-l’annuncio: questa relazione diventa, al-la fine, l’anima della stessa predicazio-ne. Tornando all’Ordo Lectionum Mis-sae, vi leggiamo che l’omelia è “partico-larmente raccomandata come parte del-la Liturgia della Parola” e che deve esse-re “ben preparata” e “frutto di medita-zione”44. La capacità di predicazionenon è solo preparazione tecnica ma sinutre di una familiarità con la Parolaimpostata negli anni di seminario e nu-trita nella crescita del sacerdote. Si trat-ta di fare spazio alla Parola nel propriocuore e nella propria vita: solo così “co-lui che presiede” traduce e trasmette laconsapevolezza della centralità di Cristopresente nella Parola, nella Liturgia,nell’esistenza dell’uomo.

“La religione cristiana… è «miste-ro», è l’evento del Figlio di Dio che si fauomo e dà a quanti l’accolgono il «po-tere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12),è l’annuncio, anzi il dono di un’alleanzapersonale di amore e di vita di Dio conl’uomo. Solo se i futuri sacerdoti, attra-

verso un’adeguata formazione spiritua-le, avranno fatto conoscenza profondaed esperienza crescente di questo<mi-stero>, potranno comunicare agli altritale sorprendente e beatificante an-nuncio”45.

È dunque ancora il significato dellacomunione con il Signore Gesù a gui-darci. E questo anche nel considerarel’importanza della preparazione e strut-turazione delle celebrazioni all’internodella comunità del seminario: la bellez-za e la cura della cappella; il decoro deiparamenti e dei libri sacri; la delicatezzadi coloro che sono chiamati al serviziostesso del Parola e del canto; la sensibi-lità liturgica dei superiori... tutto èorientato al Signore Gesù.

“L’educazione liturgica” è “inseri-mento vitale nel mistero pasquale diGesù Cristo morto e risorto, presente eoperante nei sacramenti della Chiesa”.Nel cammino formativo del sacerdote,la santa messa deve veramente diventa-re il “momento essenziale della giorna-ta”, il luogo nel quale far crescerenell’”atteggiamento oblativo” che fadella vita un’offerta inserita nell’offertapasquale di Cristo46.

È un’offerta alla quale partecipa co-me fedele colui che un giorno agirà inpersona Christi! È a lui che spetta acco-gliere l’offerta della Parola “viva ed effi-cace”47 che il Signore pronuncia nell’og-gi di una celebrazione: è imparare a of-frirsi a lui, come risposta a quella Parolae in quel sacrificio eucaristico, per pote-re, un giorno, offrire a lui i fratelli.

Le modalità con cui la liturgia dellaParola nella celebrazione eucaristica siprepara, si vive, si propone all’internodella comunità del seminario è segnoed espressione di una reale e sempre

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 4-2004 13

più matura coscienza oblativa. L’offertadi sé può esistere solo se l’uomo è inse-rito nel mistero pasquale di Cristo, nellaredenzione da lui operata. Nella litur-gia della Parola e nella celebrazionedella santa messa “si realizza un’unitàinscindibile fra l’annunzio della morte erisurrezione del Signore, la risposta delpopolo in ascolto e l’oblazione stessacon la quale Cristo ha confermato nelsuo sangue la Nuova Alleanza: oblazio-ne a cui si uniscono i fedeli sia con le lo-ro preghiere sia con la ricezione del sa-cramento”48.

Parola e silenzio

Nella celebrazione, la Parola “fa il sa-cramento”49 e “si fa sacramento”50: que-sto ce ne dice la potenza e l’efficacia, cene comunica la grazia trasformante, cene conferma l’adorazione dovuta. Equesto avviene “sotto l’azione dello Spi-rito Santo” 51.

Lo Spirito Santo, che ha ispirato lascrittura dei testi sacri52, agisce nei sacra-menti e nel sacramento della Parola, vi-vificandola. Lo Spirito dà la vita, anchealla parola. L’azione dello Spirito Santonella relazione tra Parola ed Eucaristia èun evento centrale del quale ogni fede-le, soprattutto il ministro, deve prende-re atto.

Nella santa messa, lo Spirito dà la vi-ta a una Parola che giunge ai cuori deifedeli i quali, a loro volta, sono prepara-ti dallo stesso Spirito ad accoglierla eper i quali “la Parola di Dio diventa fon-damento dell’azione liturgica e norma esostegno di tutta la vita”53. Lo Spirito,nella Parola e attraverso la Parola, con-sola, insegna e ricorda54: Egli guida allaverità di una Parola che si compie nel-l’oggi dell’Eucaristia, portando in sé e

con sé l’annunzio delle cose “udite” edelle cose “future”55.

Lo Spirito Santo, che la Chiesa invocae accoglie, “previene, accompagna eprosegue tutta l’azione liturgica”56 e do-na alle menti, ai cuori e alla vita dei fe-deli il discernimento e la forza per ope-rare quanto hanno udito. Egli rende ilcuore dell’uomo un terreno adatto e lofeconda con la Parola viva, per farla vi-vere in esso.

Ma l’azione dello Spirito si svolge nelsilenzio. Il silenzio è dunque parte inte-grante della celebrazione eucaristica:favorisce l’ascolto della Parola, la medi-tazione, il raccoglimento; aiuta l’interio-rizzazione e la risposta della preghiera57.

Il silenzio è perciò il “clima celebrati-vo” che deve accompagnare la Liturgiaperché è nel silenzio che la Parola vieneall’uomo58. Il silenzio permette l’ascoltoe prepara la risposta, esprime la docilitàdel far tacere se stessi e dell’accoglierela volontà del Padre; il silenzio dice ado-razione e culto.

Anche l’educazione al silenzio è ele-mento indispensabile nella maturazioneumana e spirituale, nella formazione li-turgica del cristiano e soprattutto delsacerdote. Il silenzio è l’unica parola chepossiamo autenticamente pronunciaredinanzi al Signore che parla, perchéesprime al meglio la nostra condizionedi creature chiamate allo stupore e allagratitudine eucaristica. Il silenzio, parti-colarmente per il presbitero, è solitudi-ne accolta dinanzi all’Altissimo, che af-ferma l’unicità di Dio.

Soprattutto, il silenzio è la presenzadello Spirito Santo nella celebrazione:per questo, il silenzio è autenticamentepienezza della Parola. La Parola si com-pie nel silenzio, in esso si “consuma” e

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FORMAZIONE LITURGICA

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diventa vita: comunione, appunto, conla Vita.

Il silenzio conferma e convince chela “via della Parola” è l’amore, la co-munione.

Nella celebrazione dell’Eucaristia laChiesa, dinanzi alla Parola, rivive il si-lenzio di Maria. La Chiesa guarda a leiper imparare il segreto di un’esistenzaspesa nella comunione con la Parola e

con il Corpo del Signore. La Chiesacammina con lei, per essere condottaverso la pienezza di comprensione eannuncio della Parola. La Chiesa si affi-da a lei che, nell’ascolto verginale enell’accoglienza materna, ha dato vitaalla Parola, offrendo “eucaristicamen-te” la propria vita affinché la Paroladel Signore si compisse in lei e “diven-tasse” Eucaristia.

1 Concilio Ecumenico Vaticano II Costituzione sulla sacra Li-turgia Sacrosanctum Concilium, 24.

2 Ordo Lectionum Missae, 58.3 Concilio Ecumenico Vaticano II Costituzione sulla sacra Li-

turgia Sacrosanctum Concilium, 24.4 Cf M. Lessi Ariosto, Parola di Dio, pane di vita. Ordina-

mento delle Letture della Messa - Paoline, Cinisello Balsa-mo 1986, pp. 18-19.

5 A. M. Triacca In margine alla seconda edizione dell’OrdoLectionum Missae in “Notitiae”, 18 (1982), p. 247.

6 Cf. ibid., p. 245.7 Concilio Ecumenico Vaticano II Costituzione sulla sacra Li-

turgia Sacrosanctum Concilium, 33.8 Eb 4, 12.9 Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II Costituzione sulla sa-

cra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 7.10 Cf. Ordo Lectionum Missae, 4.11 Cf. Gv 1, 1.12 M. Magrassi, Vivere la Parola – La Scala, Noci 1979, p. 104.13 Cf Is 55, 10-11.14 Concilio Ecumenico Vaticano II Costituzione dommatica

sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 21.15 Cf Gv 1, 11.16 Eb1, 1.17 Cf Gal 4, 4: Eb 1, 2.18 Concilio Ecumenico Vaticano II Decreto sul ministero e la

vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 4.

19 M. Magrassi Vivere la Parola – La Scala, Noci 1979, p. 195.20 Cf. ibidem.21 Concilio Ecumenico Vaticano II Costituzione sulla sacra Li-

turgia Sacrosanctum Concilium, 10; cf anche A. M. TriaccaIn margine alla seconda edizione dell’Ordo LectionumMissae in “Notitiae”, 18 (1982), p. 253.

22 Cf Giovanni Paolo II, Lettera apostolica nel XL Anniversariodella Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra Litur-gia, 7; 8. Ordo Lectionum Missae, 13; 17; 56; 60; 61; 63.

23 Cf. Ordo Lectionum Missae, 66; 67.24 Ordo Lectionum Missae, 7.25 Cf. A. M. Triacca, In margine alla seconda edizione del-

l’Ordo Lectionum Missae in “Notitiae”, 18 (1982), p. 253. R. Falsini, Proclamazione e ascolto in “Rivista di PastoraleLiturgica”, 1 (2000), 218, p. 19.

26 Cf. Ordo Lectionum Missae, 49-57.27 Ordo Lectionum Missae, 6.

28 R. Falsini, Proclamazione e ascolto in “Rivista di PastoraleLiturgica”, 1 (2000), 218, p. 21.

29 Ordo Lectionum Missae, 7.30 Cf. Ordo Lectionum Missae, 10; 45; 47. M. Lessi Ariosto,

Parola di Dio, pane di vita. Ordinamento delle Letturedella Messa - Paoline, Cinisello Balsamo 1986, p. 86.

31 Cf U.M. Ottolini, Educare all’ascolto in “Rivista di PastoraleLiturgica”, 1 (1991), 164, p. 66.

32 M. Lessi Ariosto, Parola di Dio, pane di vita. Ordinamentodelle Letture della Messa - Paoline, Cinisello Balsamo1986, p. 80.

33 Cf. Ordo Lectionum Missae, 28; 44; 48.34 Giovanni Paolo II, Lettera apostolica nel XL Anniversario

della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra Li-turgia, 14. Cf Concilio Ecumenico Vaticano II Costituzionesulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 12; 90.

35 Cf. Ordo Lectionum Missae, 4.36 Cf. Ordo Lectionum Missae, 38-43.37 Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II Costituzione sulla sacra

Liturgia Sacrosanctum Concilium, 15; 16.38 Cf. ibidem, 17.39 Giovanni Paolo II Esortazione apostolica Pastores dabo

Vobis, 46.40 Ordo Lectionum Missae, 39.41 Giovanni Paolo II Esortazione apostolica Pastores dabo

Vobis, 47.42 Ibidem.43 Ibidem, 46.44 Ordo Lectionum Missae, 24. Cf. anche Concilio Ecumenico

Vaticano II Costituzione sulla sacra Liturgia SacrosanctumConcilium, 35; 52.

45 Giovanni Paolo II Esortazione apostolica Pastores daboVobis, 46.

46 Ibidem, 48.47 Eb 4, 12.48 Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sul ministero e la

vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 4.49 Affermava sant’Agostino, nel commento al Vangelo di

Giovanni, che “la parola si unisce all’elemento, e si ha ilsacramento”. Trattato 80, 3 (Patrologia Latina 35, 1840).

50 Ordo Lectionum Missae, 41.51 Ibidem.52 Cf. ibidem, 2.53 Ibidem, 9.54 Cf. Gv 14, 26.

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 4-2004 15

Il Concilio Vaticano II nella Costituzio-ne sulla Sacra Liturgia esprime la vo-lontà che: «la mensa della Parola di

Dio sia preparata ai fedeli con maggioreabbondanza, vengano aperti più larga-mente i tesori della Bibbia, in modo chead un determinato numero di anni, sileggano al popolo le parti più impor-tanti della sacra Scrittura» (SC 51). La la-boriosa opera di attuazione della vo-lontà conciliare ha prodotto una serie diLezionari:1 Domenicale e festivo, Feria-le, per la Celebrazione dei Santi, per leMesse rituali, per le Messe “ad diversa”e votive, per la Messa dei fanciulli.

Il Lezionario domenicale e festivo

«E’ dunque una disposizione delle let-ture bibliche che offre ai fedeli unapanoramica di tutta la parola di Dio inbase a un criterio di armonico svilup-po. Nel corso di tutto l’anno liturgico,ma specialmente nei Tempi di Pasqua,Quaresima e Avvento, la scelta delleletture e il loro ordinamento hanno loscopo di portare i fedeli a rendersiconto gradualmente della fede cheprofessano e ad approfondire la cono-scenza della storia della salvezza».2

Un uso imponente di Parola di Dio percui si sono distribuite le letture su treanni3 per consentire ai fedeli di conosce-re i brani più importanti della Bibbia.Lo scopo dichiarato dall’ OLM n. 58per questa distribuzione delle letture

è di ordine “pastorale”.«Per le domeniche e i giorni festivi so-no proposti i testi di maggior rilievo,in modo che dinanzi all’assemblea deifedeli si possano leggere, in un con-gruo spazio di tempo, le parti più im-portanti della parola di Dio»4.

Tempo di Avvento

I DOMENICAIl Vangelo sviluppa il tema del Veglia-re in attesa del ritorno del Figlio del-l’uomo (Mt 24,37-44 per anno A; Mc 13,33-37 per anno B; Lc 21,25-28.34-35 per anno C).I profeti della prima lettura, Isaia eGeremia, presentano i popoli radunatiin attesa (Is 2,1-5 per anno A) che in-vocano il ritorno del Signore (Is 63,16-19; 64,1-3-8 per anno B) il quale con-cederà che spunti un Germoglio (Ger 33,14-16 per anno C).L’apostolo, nella seconda lettura, ci ri-corda che il giorno in cui il Signoreverrà è vicino (Rm 13,11-14 per annoA; 1 Cor 1,3-9 per anno B; 1 Ts 3,12-4,2per anno C).

II DOMENICAIl Vangelo presenta Giovanni Battistache invita a preparare le vie al Signoreche viene (Mt 3,1-12 per anno A; Mc 1,1-8 per anno B; Lc 3,1-6 per anno C);Nella prima lettura il profeta ci pre-senta il Messia, germoglio di Iesse, su

Temi del Lezionariodi Antonio Cappelli, diacono

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cui riposa lo Spirito che giudicheràcon giustizia (Is 11,1-10 per anno A);occorre accoglierlo preparando la viaal Signore (Is 40,1-5.9-11 per annoB), ma Dio stesso spianerà le strade(Bar 5,1-9 per anno C).Nella seconda lettura gli apostoli ci ri-cordano che il giorno in cui il Signoreverrà (Fil 1,4-6.8-11 per anno C) le pro-messe saranno compiute in Gesù (Rm15,4-9 per anno A) e avremo cieli nuovie terra nuova (2 Pt 3,8-14 per anno C).

III DOMENICAIl Vangelo insiste sulla figura di Gio-vanni Battista che invita a guardare leguarigioni come segni dei tempi mes-sianici (Mt 11,2-11 per anno A) inau-gurati dalla presenza del Messia inmezzo a noi (Gv 1,6-8.19-28 per annoB) e che ci indica anche gli atteggia-menti da assumere per accogliere ilMessia (Lc 3,10-18 per anno C).

IV DOMENICA Il Vangelo ci prepara alla venuta delSignore Gesù nella carne attraversouna serie di “annunci”: a Giuseppe(Mt 1,18-24 per anno A), a Maria (Lc 1,26-38 per anno B), ad Elisabetta(Lc 1,39-48 per anno C).Anche i profeti fanno risuonare i loro“annunci” in vista del Messia: unavergine concepirà e partorirà un fi-glio (Is 7,10-14 per anno A), la stirpedavidica, da cui nascerà il Messia, saràresa salda per sempre dal Signore (2Sam 7,1-5.8-12.14.16 per anno B), dal-la città di Betlemme uscirà il domina-tore di Israele (Mic 5,1-4 per anno C).La seconda lettura ci presenta il Mes-sia obbediente al Padre che dice: Ec-comi (Eb 10,5-10 per anno C) e, na-

scendo da Maria secondo la carne(Rm 1,1-7 per anno A), rivela final-mente il mistero taciuto per secolieterni (Rm 16,25-27 per anno B).

Tempo di Natale

VIGILIA DI NATALEIl Vangelo con la genealogia di Gesùci mostra il progressivo avvicinarsi delSignore negli eventi della storia (Mt 1,1-25) mentre il profeta Isaia mo-stra come Dio si compiace di Gerusa-lemme, immagine della sposa divenu-ta realtà nuova per effetto della Incar-nazione. Paolo testimonia ancora unavolta che Cristo è figlio di Davide.

NATALEIl Vangelo, nei tre momenti celebrativi(notte-aurora-giorno), ci fa rivivere nelmistero quanto avvenuto nella storia:il Salvatore è nato (Lc 2,1-14 per lanotte) e con i pastori troviamo Mariae Giuseppe e il bambino deposto inuna mangiatoia (Lc 2,16-20 per l’auro-ra); siamo invitati a contemplare ilVerbo fatto carne venuto ad abitare inmezzo a noi (Gv 1,1-18 per il giorno).Il profeta ci ricorda che era già vatici-nato che il Signore arriva come Salva-tore (Is 62,11-12 per l’aurora) e che ilmondo intero vedrà la salvezza del Si-gnore (Is 52,7-10 per il giorno) in unFiglio che ci sarà donato (Is 9,1-6 perla notte).

SANTA FAMIGLIAIl Vangelo ci ripresenta l’esperienzadella santa Famiglia costretta a fuggirein Egitto per salvare il bambino Gesù(Mt 2,13-23 per anno A), un bambino

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che cresceva in sapienza e grazia (Lc2,22-40 per anno B) e che, ritrovato neltempio, rivela la sua missione: occupar-si delle cose del Padre (Lc 2,41-52).La prima lettura propone un modellodi figlio che teme il Signore e perquesto onora i genitori (Sir 3,2-6.12-14 per anno A) un figlio che è l’erede(Gn 15,1-6; 21,1-3 per l’anno B) e cheè consacrato al Signore (1 Sam 1,20-22.24-28 per anno C).La seconda lettura ci presenta unesempio di vita familiare cristiana cheha come fondamento il comandamen-to dell’amore (Col 3,12-21 per anno A)nella fede (Eb 11, 8.11-12.17-19 peranno B), in cui tutti si è realmente figlidi Dio (1 Gv 3,1-2.21-24 per anno C).

MARIA MADRE DI DIO – 1 GENNAIOIl Vangelo ci fa conoscere la missione delbimbo donato e nato per noi: essa è ma-nifestata dal nome: Gesù (Lc 2,16-21).La prima lettura ci dice che invocandoquesto nome saremo benedetti dal Si-gnore (Nm 6,22-27).Paolo ci ricorda che Dio ha mandato ilsuo Figlio, nato da una donna, per esse-re resi figli anche noi in Lui (Gal 4,4-7).

II DOMENICA DOPO NATALEDi nuovo, a chiusura del ciclo natali-zio, con il Vangelo contempliamo l’e-vento straordinario dell’incarnazionedel Verbo venuto in mezzo a noi (Gv 1,1-18).La prima lettura afferma che quelBimbo nato è la sapienza di Dio venu-ta in mezzo a noi (Sir 24,1-4.8-12).La seconda lettura afferma che noisiamo predestinati da Dio a esseresuoi figli adottivi per opera di Gesù(Ef 1,3-6.15-18).

Tempo di Quaresima

I e II DOMENICA DI QUARESIMAIl Vangelo per le prime due Domeni-che di Quaresima presenta in tutti etre i cicli la narrazione evangelica del-la tentazione di Gesù (Mt 4,1-11 per ilciclo A; Mc 1,12-15; Lc 4,1-13) e dellasua trasfigurazione (Mt 17,1-9 per ilciclo A; Mc 9,2-9 per il ciclo B; Lc 9,28-36 per il ciclo C). Si narra cioè la storiadella nostra vittoria e della nostra tra-sfigurazione nel Cristo, processo resopossibile dalla celebrazione dei sacra-menti dell’iniziazione cristiana (Batte-simo, Cresima, Eucaristia) per i catecu-meni accompagnati nel loro itinerariodalla comunità, specialmente in que-sto tempo privilegiato di ascolto dellaParola e di preghiera.La prima lettura ripercorre il cammi-no dell’uomo dalla creazione alla ca-duta e alla vocazione di Abramo (Gn 2,7-9; 3,1-7; Gn 12,1-4 anno A). Ilciclo B presenta il tema del diluvio edell’alleanza (Gn 9,8-13) e Abramochiamato a sacrificare il figlio (Gn22,1-2.9a.10-13, 15-18). La fede delpopolo d’Israele e la fede di Abramo(Dt 26,4-10 e Gn 15,5…18) è il temaper il ciclo C.L’Apostolo (seconda lettura) parla delrapporto tra peccato e redenzione(Rm 5,12-19 anno A) e della nostra vo-cazione (2Tm 1,8-10 anno A), il diluvioè visto da Pietro come figura del bat-tesimo attraverso acque che danno vi-ta (1 Pt 3,18-22 anno B), mentre Paoloci ricorda che Dio ha dato il suo Figlioper noi (Rm 8,31-34 anno B). Il temadella fede ritorna nel ciclo C. Occorrefare la nostra professione di fede inCristo per essere salvati (Rm 10,8-13) e

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allora Cristo ci trasfigurerà nel suocorpo glorioso (Fil 3,17-4,1)

III DOMENICA DI QUARESIMADa questa domenica i Vangeli diver-gono notevolmente, in quanto il cicloA risente della sua strutturazione perl’accompagnamento dei catecumeni.Infatti il Vangelo di questo ciclo pre-senta la figura della Samaritana a cuiGesù si propone come sorgente di ac-qua che zampilla per la vita eterna(Gv 4,5-42) mentre il ciclo B presentaGesù che parla di sé come del tempioche anche se distrutto, verrà riedifica-to in tre giorni (Gc 2,13-23). Sempresul tema della fede l’anno C ci presen-ta Gesù che invita alla conversione pernon perire (Lc 13,1-9).La prima lettura fa riferimento all’ac-qua ricordando la sete di Israele sod-disfatta dall’acqua scaturita dalla roc-cia (Es 17,1-7 anno A). La legge è dataal popolo per mezzo di Mosè (Es 20,1-17 anno B); davanti alla possibilità diperire Dio interviene e libera il suopopolo (Es 3,1-8a.13-15 anno C).La seconda lettura dell’anno A mo-stra come lo Spirito del Signore è ri-versato nei nostri cuori come un tor-rente di acqua (Rm 5,1-2.5-8). Il Cristocrocifisso è la sapienza di Dio anchese a noi sembra stoltezza (1 Cor 1,22-25 anno B). La difficile strada del po-polo con Mosè nel deserto è un am-maestramento per noi (1 Cor 10,1-6.10-12).

IV DOMENICA DI QUARESIMAIl Vangelo del ciclo A presenta la se-conda delle grandi figure del battesi-mo: la guarigione del cieco nato (9,1-41), mentre il ciclo B ci presenta Gesù

figlio di Dio mandato dal Padre persalvare il mondo (3,14-21). Il ciclo Cpresenta invece la figura del padrebuono e del figliol prodigo quale svi-luppo del tema della riconciliazione.Nella prima lettura dell’anno A si pre-senta l’unzione regale di Davide (1 Sam 16,1-13) ai catecumeni che nel-la notte di pasqua verranno unti con ilsanto crisma. L’ira e la misericordia diDio si manifesta nell’esilio e nella libe-razione del popolo (2 Cr 36,14-16.19-23, anno B). La celebrazione della Pa-squa nella terra promessa è segno del-la riconciliazione tra Dio e il popolo(Gs 5,9a.10-12 anno C).L’epistola di questa domenica dell’an-no A invita i catecumeni a ridestarsidai morti uscendo dalle tenebre co-me il cieco del Vangelo, per mezzodel Battesimo (Ef 5,8-14). Come il po-polo schiavo è liberato, così noi mortiper il peccato, siamo richiamati a vita(Ef 2,4-10 anno B). Il tema della ri-conciliazione è ripreso da Paolo perl’anno C nell’affermazione che noisiamo riconciliati con Dio nel Cristo (2Cor 5,17-21).

V DOMENICA DI QUARESIMALa terza grande figura presentata dalVangelo dell’anno A è quella della ri-surrezione di Lazzaro (Gv 11,1-43).Morire al peccato produce vita comeun chicco di grano che seminato pro-duce molto frutto (Gv 12,20-33 annoB). Come l’adultera è perdonata cosìsarà per noi se ci convertiremo (Gv8,1-11 anno C).La nostra chiamata alla resurrezioneera già presente nell’Antico Testamen-to, quando Dio promette di aprire le tombe e risuscitare i morti (Es 37,12-

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14 anno A). Il peccato Dio lo dimenti-cherà facendo una nuova alleanza (Ger 31,31-34 Anno B). Dio non ricordapiù le cose passate (Is 43,16-21 anno C).Lo Spirito abita in noi (Rm 8,8-11 an-no A). L’obbedienza di Cristo è causadi salvezza (Eb 5,7-9). Conformandocialla morte di Cristo con lui risorgere-mo (Fil 3,8-14).

Triduo Pasquale

GIOVEDI’ SANTOL’amore fino alla morte vissuto da Ge-sù (Gv 13,1-15) è continuamente pro-clamato mangiando il pane e bevendoil calice (1 Cor 11,23-26); la pasquadei Giudei ne è figura (Es 12,1-14).

VENERDI’ SANTOIl racconto della Passione del Signore

(Gv 18,1-19,42) ci ricorda che Gesù si èreso obbediente fino alla morte per lanostra salvezza (Eb 4,14-16; 5,7-9). Ilservo trafitto per i nostri peccati ne èl’anticipazione (Is 52,13-53, 12).

SABATO SANTOIl Cristo risorto (Mt 28,1-10 anno A;Mc 16,1-8 anno B; Lc 24,1-12 anno C)non muore più (Rm 6,3-11).

DOMENICA DI PASQUALa resurrezione di Gesù (Gv 20,1-9; Mt28,1-10 anno A; Mc 16,1-8 anno B; Lc24,1-12 anno C; Lc 24,13-35 messa Ve-spertina) ci invita a cercare le cose dilassù, dove lui è (Col 3,1-4), a trasfor-marci in pasta nuova (1 Cor 5,6-8) e afare oggi l’esperienza di lui mangian-do e bevendo con lui risorto (At 10,34-.37-43) come fecero i discepoli.

Tempo di Pasqua

II DOMENICA DI PASQUAGesù appare la sera della Domenica esi manifesta a Tommaso dubbioso (Gv 20,19-31) e la prima lettura ci narradella comunità di quelli che credononel Signore risorto (At 2,42-47 anno A)che sono un cuor solo e un’anima sola(At 4,32-35 anno B) comunità che cre-sce continuamente (At 5,12-16 anno C).Gesù risorto è nostra rigenerazione (1 Pt 1,3-9 anno A), è Colui che ha vin-to il mondo (1 Gv 5,1-6 anno B), egli èvivo per sempre (Ap 1,9-19 anno C).

III DOMENICA DI PASQUACristo risorto appare ai suoi, che lo ri-conoscono nello spezzare il pane (Lc24,13-35 anno A), mentre mangia delpesce (Lc 24, 35-48) e costituisce Pietropescatore e pastore (Gv 21,1-19). Laprima lettura ci presenta parti del di-scorso di Pietro che presenta il Cristo:risuscitato (At 2,14.28 anno A); mortoe risuscitato (At 3,13-15.17-19 anno B)e gli apostoli ne sono testimoni (At 5,27-41 anno C). Gesù è la vittimadei nostri peccati (1 Gv 2,1-5 anno B) èl’Agnello immolato che riceve ricchez-za e potenza (Ap 5,11-14 anno C), èdal sangue di questo Agnello che sia-mo liberati (1 Pt 1,17-21 anno A).

IV DOMENICA DI PASQUAIl Cristo porta delle pecore (Gv 10, 1-10 anno A) è il buon pastore che dà lavita per esse (Gv 10, 11-18 anno B) edona loro la vita eterna (Gv 10, 27-30anno C). Nella prima lettura prosegueil discorso di Pietro che presenta Cristorisorto e glorioso (At 2, 14-41 anno A);al di fuori di lui non vi è salvezza (At

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lo ci ricorda che Cristo morto e risorto èla nostra speranza (1 Pt 3,15-18 anno A)e che è stato mandato dal Padre perchéci ha amato (1 Gv 4,7-10 anno B).

ASCENSIONEIl Cristo portato verso il cielo (Lc 24,46-53 anno C) è colui al quale èstato dato ogni potere in cielo e in terra(Mt 28,11-20 anno A) ed è seduto alladesta del Padre (Mc 16,15-20 anno B).

VII DOMENICA DI PASQUAIl Vangelo ci presenta la preghiera diGesù al Padre per la sua glorificazione (Gv 17,1-11 anno A) per la consacrazio-ne dei discepoli nella verità (Gv 17,11-19 anno B) e per la loro unità (Gv 17,20-26 anno C). La narrazione degli avveni-menti nella prima comunità cristiana ciè presentata dalla prima lettura; unacomunità che prega (At 1,12-14 annoA), che elegge Mattia come testimonedella resurrezione (At 1,15-26 anno B)ed è provata con il martirio (At 7,55-60anno C). I discepoli insultati per il nomedi Gesù (1 Pt 4,13-16 anno A) restanosaldi nell’amore di Dio ( Gv 4,11-16 an-no B) e invocano il ritorno del Cristo(Ap 22,12-20 anno C).

PENTECOSTEGesù dona lo Spirito ai discepoli e li in-via in missione (Gv 20,19-23 anno A)guidati alla verità intera dallo Spirito(15,26-27; 16,12-15 anno B) che inse-gnerà loro ogni cosa (Gv 14,15-16.23-26 anno C). Tutti sono ripieni di SpiritoSanto (At 2,1-11 anno A-B-C) e la se-conda lettura ci ricorda che tutti siamobattezzati in un unico Spirito per for-mare un unico corpo (1 Cor 12,3-13 an-no A) e, se ci lasciamo guidare dallo

4,8-12 anno B); la salvezza è propostadagli apostoli ai pagani (At 13,14-52anno C). Guariti dalle piaghe di Gesùsiamo tornati a lui nostro pastore (1 Pt2,20-25 anno A) e siamo diventati figlidi Dio (Gv 3,1-12 anno B). Gesù/Agnel-lo è colui che ci guida alle fonti delleacque (Ap 7,9-17).

V DOMENICA DI PASQUACristo è via, verità e vita (Gv 14,1-12anno A), per portare frutto occorre di-morare in Lui (Gv 15,1-8 anno B) eamarci gli uni gli altri secondo il co-mandamento nuovo (Gv 13,31-35). Laprima lettura ci presenta la struttura-zione ministeriale della Chiesa primiti-va mediante l’elezione dei sette (At6,1-7 anno A), la presentazione di Pao-lo alla comunità da parte di Barnaba(At 9,26-31 anno B) e la costituzionedegli anziani da parte di Paolo e Bar-naba (At 14,21-27). Costituiti stirpeeletta e sacerdozio regale (1 Pt 2,4-9anno A) dimoriamo in Dio mediantel’amore per i fratelli (1 Gv 3,18-24 annoB): eccoci allora a contemplare la nuo-va Gerusalemme (Ap 21,1-5).

VI DOMENICA DI PASQUAGesù promette di mandare il Consolato-re (Gv 14,15-21 anno A), lo Spirito Santoche insegnerà ogni cosa (Gv 14, 23-29anno C) e che renderà capaci di dare lavita per gli amici come prova di amore(Gv 15,9-17 anno B). Gli Atti nella primalettura ci narrano che lo Spirito vienedonato per mezzo della imposizionedelle mani da parte degli Apostoli (At 8,5-17 anno A) e si effonde anche suipagani (At 10,25-48 anno B) ai quali nonviene imposto nessun obbligo fuori delnecessario (At 15,1-29 anno C). L’Aposto-

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Spirito, allora siamo figli di Dio (Rm 8,8-17 anno C) e godremo dei frut-ti dello Spirito (Gal 5,16-25 anno B).

Tempo Ordinario

I temi sviluppati nei tre cicli sono:

II DOMENICA A La scelta di Dio.B Dio chiama.C Le nozze.

III DOMENICA A L’annuncio della Buona Novella.B Il richiamo alla conversione.C L’annuncio della Parola di Dio a tut-

te le nazioni.

IV DOMENICAA Dio sceglie i poveri.B L’insegnamento di Dio. C Dio parla attraverso i profeti.

V DOMENICAA Essere sale della terra e luce del

mondo.B Dominare le forze del male.C Chiamati ad essere messaggeri di Dio.

VI DOMENICAA L’antica legge superata dalla nuova.B Guariti dalle nostre lebbre.C Le beatitudini sono la vera ricchezza.

VII DOMENICAA Lo specifico cristiano: amare gli al-

tri, anche i nemici.B Il perdono e la remissione dei peccati.C Essere misericordiosi come il Padre.

VIII DOMENICAA Cercare innanzitutto il Regno di Dio.

B Dio è lo sposo del suo popolo.C La bocca parla dalla pienezza del

cuore.

IX DOMENICAA Mettere la volontà del Padre nel

proprio cuore.B Il significato del Sabato.C Per la fede anche lo straniero è

esaudito.

X DOMENICAA Dio apprezza l’amore e non il ritua-

lismo.B Il male è sconfitto.C Dio amante della vita.

XI DOMENICAA Dio sceglie degli uomini per inviarli

alle pecore perdute.B Il Regno cresce.C Il Signore perdona i peccati.

XII DOMENICAA Non temere nel proclamare la vo-

lontà di Dio.B Al Signore dell’universo obbedisco-

no anche gli elementi.C Gesù sofferente è il Salvatore.

XIII DOMENICAA Chi accoglie i suoi messaggeri acco-

glie il Signore.B Dio non ha fatto la morte ma è

l’autore della vita.C Seguire Gesù senza ripensamenti.

XIV DOMENICAA La mitezza e la umiltà sono caratte-

ristiche del Signore.B I profeti non sono accolti.C Gioia e pace, caratteristiche dei

tempi messianici.

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XV DOMENICAA La parola di Dio è efficace. B Scelti per essere inviati.C La legge di Dio è l’amore.

XVI DOMENICAA Dio giudica con mitezza e la sua

giustizia salva.B Le pecore disperse sono radunate

dal pastore.C Dio visita il suo popolo, bisogna ac-

coglierlo nella propria casa.

XVII DOMENICAA Vendere tutto per il vero tesoro.B Il pane di Dio sazia l’uomo.C Pregare senza stancarsi.

XVIII DOMENICAA Dio sazia la fame degli uomini.B Per non avere più fame né sete oc-

corre andare al Cristo.C Le ricchezze, un bene provvisorio.

XIX DOMENICAA Non farsi fermare dagli ostacoli nel-

l’andare al Signore.B Gesù è il pane disceso dal cielo che

ci fortifica.C Tenersi pronti per entrare nella gloria.

XX DOMENICAA La salvezza è per coloro che hanno

fede, anche se sono stranieri.B Per vivere eternamente occorre

mangiare il pane e bere il vino.C Segni di contraddizione.

XXI DOMENICAA La Chiesa edificata sulla roccia.B Il Signore ha parole di vita eterna.C Nel banchetto del Regno gli ultimi

saranno i primi.

XXII DOMENICAA Per servire il Signore è indispensabi-

le rinunciare a se stessi.B Essere fedeli alle leggi del Signore e

non agli usi degli uomini.C Solo chi si umilia trova grazia da-

vanti al Signore.

XXIII DOMENICAA La correzione fraterna.B I “segni” rivelatori dei tempi mes-

sianici.C Per comprendere la volontà del Si-

gnore occorre essere liberi.

XXIV DOMENICAA Perdonare senza limiti. B Le sofferenze del Servo di Dio.C Il Signore perdona e si rallegra per

il peccatore pentito.

XXV DOMENICAA I pensieri di Dio non sono quelli de-

gli uomini.B Il Figlio dell’Uomo è consegnato

nelle mani degli uomini.C Servire Dio e servire il denaro non è

possibile.

XXVI DOMENICAA Per essere salvi occorrono la fede e

il pentimento per le proprie colpe.B Nel nome del Signore si possono

scacciare i demoni e guarire.C Condizione finale del ricco e del po-

vero.

XXVII DOMENICAA La vigna del Signore.B La coppia è una sola carne e l’uomo

non può più dividerla.C La fede dà vita ed è potente.

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XXVIII DOMENICAA Siamo invitati al banchetto di nozze.B Per seguire Gesù occorre lasciare tutto.C Essere grati al Signore.

XXIX DOMENICAA Il servizio di Dio ha il primato su tutto.B Gesù offre la sua vita per la giustifi-

cazione di molti.C La potenza della preghiera fatta

con fede.

XXX DOMENICAA Amore per il prossimo.B La fede opera guarigioni. C La preghiera dell’umile arriva a Dio.

XXXI DOMENICAA La legge e le opere.B Il compendio di tutta la legge: amare.

C Dio ci ama e ci cerca.

XXXII DOMENICAA Vegliare.B Donare quel che si ha, non il superfluo.C Dio dona la vita.

XXXIII DOMENICAA Fedeltà per prendere parte alla

gioia del Signore.B Gli ultimi giorni. C Il Giorno del Signore.

XXXIV DOMENICAA Cristo Re – giudicherà e separerà le

pecore dai capri.B Cristo Re – detiene il potere la glo-

ria e il regno.C Cristo Re – esercita il suo potere

dalla Croce.

1 BUGNINI A., La riforma liturgica (1948-1975), Roma 1997.2 OLM n.60.3 Per le domeniche si ha il ciclo A-B-C, mentre per i giorni feriali si ha il ciclo I e il ciclo II.4 OLM n.65.

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“Se rimanete fedeli alla miaparola, sarete davvero mieidiscepoli.” (Gv 8, 31b)

Queste parole di Gesù sono stateaccolte con grande attenzione dalleprime comunità apostoliche, che nehanno fatto il punto di forza del cam-mino di una fede che si innesta pro-prio sulla Parola.

Coloro che si lasciavano affascinaredall’evangelizzazione che gli apostoliportavano in ogni angolo della terraerano ammirati e convinti dalla sicurez-za che la Parola di Dio non era una sem-plice rappresentazione mentale, perquanto convincente e provocatoria, malo stesso Cristo Signore, secondo le pa-role del prologo di Giovanni: “E il verbosi fece carne e venne ad abitare in mez-zo a noi; e noi vedemmo la sua gloria,gloria come di unigenito dal Padre pie-no di grazia e di verità.” (Gv 1, 14)

Quando gli Apostoli, dopo il gior-no di Pentecoste nel quale ricevetterolo Spirito Santo, iniziarono a fare me-moria, a celebrare la Risurrezione delSignore con riunioni liturgiche che siorganizzavano, si miglioravano e siperfezionavano con una struttura ce-lebrativa sempre più aderente alle ne-cessità concrete delle assemblee cele-branti, si sentì l’urgenza, anche per leesigenze dei nuovi adepti, di narrareepisodi della vita di Gesù e di riporta-re le sue parole.

Era normale che in queste riunioniliturgiche si ricordasse l’affermazione

di Gesù: “Chi ascolta la mia parola ecrede a colui che mi ha mandato, hala vita eterna e non va incontro al giu-dizio, ma è passato dalla morte alla vi-ta.” (Gv 5, 24)

L’ascolto della Parola era dunquecondizione indispensabile per l’avviodi un percorso di fede che iniziava conl’ascolto, cresceva con l’ascolto e simaturava con l’ascolto.

Non un ascoltare generico, ma fi-nalizzato alla conoscenza del Cristo edel suo infinito amore per l’uomo;una risposta coerente e convinta all’a-more di Dio: “Se uno mi ama, osser-verà la mia parola e il Padre mio lo

L’Evangeliario delle Chiese d’Italiadi mons. Cosma Capomaccio

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amerà e noi verremo a lui e prendere-mo dimora presso di lui.” (Gv 14, 23)

Giustino così ricorda le riunioni li-turgiche che erano ormai divenuteusuali nella prime comunità cristiane“E nel giorno del sole tutti quelli cheabitano nelle città e nelle campagne siriuniscono in uno stesso luogo, e sileggono le memorie degli apostoli ogli scritti dei profeti fino a che il tem-po lo permette.” 1

Questo testimone del II secolo“…dà delle indicazioni chiare sulla ce-lebrazione della domenica. Essa è cen-trata sulla liturgia della Parola, pre-ghiere comuni, una preghiera eucari-stica e la comunione”.2

È allora comprensibile che la Dida-scalia degli Apostoli, un’opera scritta ingreco e la cui traduzione in siriaco do-vrebbe essere datata alla prima metàdel IV secolo, afferma con vigore a tut-ti i cristiani ai quali è indirizzata: “In-fatti quale giustificazione potrà pre-sentare a Dio chi non si reca in questostesso giorno in assemblea ad ascoltarela parola di salvezza e a nutrirsi?”3

La domenica, dunque, è il giornodel Signore ed è il giorno privilegiatoper l’ascolto della Parola di Dio (co-me affermano, tra gli altri, Giustino,Origene, la Didascalia).

Il grande amore per l’ascolto dellaParola di Dio, portò, sin dai primi se-coli del cristianesimo, alla somma ve-nerazione per il libro che racchiudevala Parola di Dio e a circondare delmassimo ossequio tale volume: affian-cato da lumi nella processione d’in-gresso veniva portato dal diacono conun gesto solenne di ostensione, poibaciato e deposto sull’altare, nellaprocessione verso l’ambone era prece-

duto dall’incenso e circondato da ceri,veniva incensato prima della procla-mazione e messo in mostra dopo laproclamazione, dopo il bacio con essosi benediceva l’assemblea celebrante.

Questo libro, che contiene la Paro-la di Dio, è denominato Evangeliario.

“L’Evangeliario designava, non soloil libro contenente per exstensum iquattro Vangeli, ma eziandio il testodelle pericopi evangeliche da leggersidurante la Messa, Capitula lectionumevangeliorum, l’elenco delle quali simetteva al principio o in fine del volu-me e si chiamava propriamente Capi-tulare Evangeliorum”.4

Iniziò, pertanto, molto presto aprendere forma di un volume che, rac-chiudendo i quattro Vangeli e venen-do utilizzato per la proclamazionedella Parola di Dio durante le celebra-zioni liturgiche, era il punto di riferi-mento dell’ascolto del Signore risorto,presente nel suo Vangelo.

“L’Evangeliario fu sempre conside-rato nella Chiesa come il simbolo diCristo e perciò fatto segno ad ono-ranze religiose e liturgiche singolari.5

I codici che ne contenevano il testo sivollero, meglio di qualsiasi altro, scrit-ti a caratteri unciali d’oro e d’argen-to, su finissime pergamene purpuree,sontuosamente rilegati e custoditi incapse preziose. Già S. Ambrogio ricor-da la custodia d’oro che racchiudevail codice dei Vangeli: ibi arca testa-menti undique auro tecta, idest doc-trina Christi (Epist. IV,1)”6.

Potremmo presentare tantissimenotizie su codici che sin dal III secolocontengono i Vangeli: come le due ta-volette d’avorio che erano l’antica co-pertura dell’evangeliario della catte-

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drale di Milano del principio del V se-colo o l’evangeliario latino, Codex Pa-latinus 1589, della fine del V secolo;“Fasciato e splendidamente cesellatoin lamina d’oro è l’Evangeliario che laregina Teodolinda offrì alla chiesa di S.Giovanni Battista in Monza (sec. VI)”7.

Sono noti a tutti gli evangeliari im-portanti che i grandi signori e i re-gnanti ambivano possedere o donarealle chiese durante i secoli, ma ancorapiù belli e più eccellenti sono quellieseguiti dopo il secolo XII, quando sisviluppò in modo mirabile l’arte d’al-luminare che abbellì di splendide mi-niature tutti i libri sacri, ma in manie-ra straordinaria gli evangeliari.

“Non meno grande fu la preminen-za d’onore assegnata all’Evangeliarionel campo liturgico. Ai concilii di Efeso(431), di Calcedonia (451), la professio-ne di fede venne letta in presenzadell’Evangeliario; nel IV Concilio di Co-stantinopoli (869), tenuto nella basilicadi S. Sofia, il codice dei Vangeli stavasopra di un trono, insieme colla reli-quia della Croce. Pure su di un tronol’arte antica a Ravenna, a Roma, adAquileia, nelle Chiese e nei Battisteri,volle rappresentato il libro dei Vangeli(Etimasia Evangelii)8, per ricordare aifedeli la maestà di Cristo legislatore ela scena memoranda dell’aperitio au-rium. Fin dal V sec. l’Evangeliario fuposto sull’altare accanto all’Eucarestia,fu letto alla Messa fra lumi, profuma-to d’incenso, onorato in piedi da tuttal’assemblea, baciato, usato nella con-sacrazione dei vescovi, portato in pro-cessione come simbolo di Cristo”.9

Con molta rapidità, purtroppo, tut-ta questa splendida e penetranterealtà teologica, profondamente sim-

bolica, inizia, addirittura dal secolo XIII,a essere sempre meno presente nellacelebrazione eucaristica e tende ascomparire, cosa che di fatto avvienequando diventa ordinaria l’abitudinedi celebrare la messa quotidianamente.

“Dal secolo XIII l’Evangeliario per-de importanza con l’affermarsi delMessale plenario, ossia del libro checontiene ordinati e in successione tuttigli elementi necessari per la celebra-zione dell’Eucaristia a uso del sacerdo-te, giacché ormai egli è divenuto l’ar-tefice unico di una celebrazione chemolto spesso si svolge in assenza deifedeli, ridotti del resto a muti spetta-tori di una azione di cui non compren-dono neppure la lingua.”10

Purtroppo con il sempre più fre-quente uso del messale plenario siandò perdendo a poco a poco l’abitu-dine di utilizzare l’Evangeliario per laproclamazione della Parola di Dio.

Il messale plenario, Missale plenumo Missale completum contiene tutti itesti inerenti alla celebrazione liturgi-ca: non solo le tre orazioni (collecta,secreta, postcommunio), i prefazi e ilcanone a uso del celebrante, ma an-che i pezzi in canto di competenzadella Schola (antiphona ad introitum,graduale, alleluia, offertorium, com-munio), nonché le pericopi delle Epi-stole e dei Vangeli per tutte le messedell’anno.

L’uso del messale plenario, dunque,si incrementò sempre più con la prati-ca di celebrare le messe lette non solonelle grandi chiese di città, ma anchein piccole chiese di piccoli paesi e diborghi con la presenza di un solo sa-cerdote che dovette ridurre al minimol’uso dei vari libri liturgici.

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L’inesorabile fenomeno della gra-duale scomparsa del libro che contene-va i quattro Vangeli si verificò anchenelle comunità monastiche, purtroppo,per il moltiplicarsi delle messe lette ce-lebrate quotidianamente, specialmen-te in suffragio dei confratelli defunti.

Questa abitudine, dunque, dei sa-cerdoti di celebrare con la partecipa-zione di pochissime persone o addirit-tura da soli, fu la definitiva tombadell’uso dell’Evangeliario e, di conse-guenza, della presenza nelle chiesedell’ambone, il luogo privilegiato do-ve si annunzia la Parola di Dio.11

La svolta epocale impressa dal Con-cilio Ecumenico Vaticano II con la Co-stituzione liturgica Sacrosanctum Con-cilium ha restituito alla Chiesa univer-sale tanti valori teologici che attraver-so il tempo, per varie e molteplici vi-cende storiche, di costume e di sem-pre più avvincente spirito devozioni-stico, avevano a volte appannato e avolte eliminato la realtà simbolica cheè la base stessa della vita liturgica.

“La ragion d’essere, l’esigenza esi-stenziale della liturgia è il suo caratte-re simbolico che ha come suoi compo-nenti il tempo e lo spazio; il simbolo,infatti, non può essere tale se non èinserito in uno spazio ed adeguato al-le esigenze di un tempo”.12

L’affermazione di Sartore, che ser-ve a recuperare un concetto fonda-mentale di ordine teologico e ministe-riale, dovrebbe essere letta, assimilatae resa operativa in un contesto cele-brativo vivo ed entusiastico: “La litur-gia cristiana si presenta come un com-plesso di segni e di simboli che lescienze umane possono studiare a di-versi livelli, ma di cui si può avere una

comprensione piena e un’esperienzaautentica solo in un contesto di fede edi appartenenza alla Chiesa”.13

Recuperando, quindi, la pregnanterealtà del simbolo si è riconquistata lapresenza dell’Evangeliario non solonella sua qualità di libro liturgico, manella sua specifica essenza di segnoevidente della presenza del Cristo ri-sorto nell’assemblea che vive la cele-brazione liturgica.

L’importanza della riscoperta delleScritture nella liturgia e nella vita dellaChiesa, di cui è magnifico monumentola Costituzione dogmatica del ConcilioEcumenico Vaticano II Dei Verbum, harestituito la splendida opportunità chei quattro Vangeli, quasi tutti gli scrittidel Nuovo Testamento e le pagine piùsignificative dell’Antico Testamento,vengano proclamate nella liturgia.

La Costituzione conciliare sulla SacraLiturgia, Sacrosanctum Concilium, infat-ti, con attenta e premurosa considera-zione invita tutti a valutare che: “Affin-ché risulti evidente che, nella Liturgia,rito e parola sono intimamente connes-si: 1) nelle sacre celebrazioni, la letturadella Sacra Scrittura sia più abbondan-te, più varia, meglio scelta” (SC 35).

Dopo queste istanze che promuovo-no la consistente presenza della SacraScrittura nella celebrazione liturgica, leChiese d’Italia si sono accorte di nonpossedere, come in passato, un libro li-turgico di pregnante portata teologicacome l’Evangeliario da poter ripropor-re, adoperare, contemplare e venerare,scritto nella lingua contemporanea e,quindi, comprensibile a ogni membrodelle assemblee celebranti.

Per nostra fortuna l’intuizione fa-vorita dallo Spirito e l’amore appassio-

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nato per la liturgia hanno ispirato uo-mini di fede che si sono accinti a pro-gettare e poi a realizzare un’opera co-sì attentamente studiata e appassio-natamente tradotta in realtà per for-nire alle Chiese d’Italia lo splendido,eccellente e prezioso Evangeliario.

Il nostro carissimo e compianto mae-stro e fraterno amico Adrien Nocento.s.b., nella prefazione così scrive: “LeChiese d’Italia sono passate ad unaoperazione consequenziale alla risco-perta della Scrittura proclamata. Il loroEvangeliario è il simbolo di una sortadi risurrezione, frutto di una lunga ma-turazione teologica, liturgica, catecheti-ca. L’ardente e competente animazio-ne del prof. mons. Crispino Valenzianosta alla base di questa risurrezione. Ecome ogni risurrezione, essa è fruttodello Spirito. In Italia c’è finalmente unEvangeliario. Non esiste in nessun altroposto. Anche se altrove ci sono libri cheraccolgono le pericopi evangeliche daproclamare durante la Messa, un Evan-geliario elaborato con le caratteristicheche andiamo a sottolineare, sin qui èunico nella Chiesa universale”. 14

La grande gioia e la prorompenteesultanza che si avvertono in queste pa-role sono una ovvia constatazione diquella reale risurrezione che il ConcilioEcumenico Vaticano II ha operato sianel favorire uno speciale interesse nellariscoperta del dinamismo della Parola diDio proclamata nella Chiesa, sia nel di-chiarare avvenimento indiscutibile il fat-to che il Cristo continua a proclamareancora oggi egli stesso il suo vangelo.

Ci conforta ancora e ci illuminasempre meglio la lucida analisi di No-cent: “Infatti la risurrezione per essererisurrezione, esige severe condizioni.

Poteva essere una risurrezione forma-le, persino bella, sui moduli e sugli stilidel passato e della sua grandezza. L’I-talia è ricca d’esemplari mirabili d’E-vangeliari – come è ricca di meravi-gliosi amboni, dottrinalmente elo-quenti (che C. Valenziano ha studiato,come ha studiato gli Evangeliari, pri-ma di dirigere l’Opera) – basterà cita-re quelli di Aquilea, Bobbio, BresciaCividale, Messina, Perugia, Vercelli,Verona, i preziosissimi di Capua, Chia-venna, Firenze, Milano, Monza, Ra-venna, di Rossano e del Vaticano”.15

Pietro Sorci, che nel gruppo di lavo-ro per la nascita dell’Evangeliario delleChiese d’Italia ha curato l’Introduzionee gli indici, ricorda che: “Tutte questeindicazioni rendevano non più dilazio-nabile la creazione di un Evangeliarioche, rispondendo alla sensibilità delnostro tempo e utilizzando i materialie i mezzi tecnici oggi a disposizione,avesse l’ambizione di competere in de-coro e bellezza con gli splendidi esem-plari trasmessi dall’antichità.” 16

Si costituisce, pertanto, un gruppodi lavoro sotto la presidenza del Car-dinale Salvatore Pappalardo, vescovodi Palermo, e la direzione generale dimons. Crispino Valenziano, presidedella Facoltà Teologica di Sicilia.

Come si legge nel frontespizio “L’O-pera ideata nelle Solennità pasquali1975, Vescovo di Roma S.S. Papa PaoloVI, iniziata nella festa della Trasfigura-zione 1981 presidente della CEI il Card.Anastasio Ballestrero Vescovo di Tori-no, compiuta nella Solennità della In-carnazione del Signore 1987 nell’annoVIII del Pontificato di S.S. Papa Giovan-ni Paolo II, presidente della CEI il Card.Ugo Poletti Vicario di Roma”.

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Per illustrare la mirabile fatturadell’Evangeliario delle Chiese d’Italiatrascriveremo, perché non crediamo dipoterne utilizzare di più incisive ed il-luminanti, le entusiastiche parole cheusa padre Nocent nella Prefazione: “E,finalmente, si apra il libro! Le paginenon sono in pergamena e i caratterinon sono tracciati da amanuensi. No:le parole di Gesù sono scritte sulla no-stra carta d’oggi, ma carta – lo sentitoccandola e vedendola – di materiaeccezionalmente pura; è come lino, haqualcosa del pane, una sorta di “cor-porale” che riceve con suprema devo-zione le sue parole; i caratteri sononobilissimi nella loro semplicità, scelticon il ‘disegno’ di mettere le parole diGesù in condizione d’esprimersi oggiluminosamente”.17

È veramente una strana e avvincen-te sensazione quella che si avverte nelguardare e toccare i fogli che com-pongono questo libro eccezionale,perché ci si accorge che forse mai si èpalpata una materia simile a questa emai la materia è stata veramente in-corporazione vivissima di una straordi-naria trascendenza.

“L’Opera fu stampata su 270 fogli dicarta filigranata in cotone, fabbricatadalla Sicula Carte Speciali su composi-zione tipografica Bertello con miniatiserigrafici Fap e sovraimposta di 2 ar-genti fusi dallo Stabilimento StefanoJohnson”. (Colophon dell’Evangeliario)

La descrizione di Padre Nocent pro-segue: “A servizio della parola scrittagli antichi codici “alluminavano” le pa-gine con ricche miniature. Sfogliamo illibro e contempliamo. È opera d’artefrutto d’artisti di gran fama che hannodisegnato, dipinto, inciso, senza altro

scopo se non quello di catechizzare unmistero del Cristo annunciato nel testo,catechizzarlo nella cultura del nostrotempo resistendo alla tentazione delfacile come deve ogni vera catechesiche non si fa alibi con la pastorale del-l’ovvio. La loro catechesi è analoga aquella degli evangelisti che, ispiratidallo Spirito, scrivono con la loro per-sonalità propria. Ogni evangelista fapassare il messaggio del Cristo nel pro-prio stile personale, in essi il Cristo s’in-carna una seconda volta”.18

Sfogliando, infatti, le pagine dell’E-vangeliario ci si rende conto della pre-senza e del lavoro di grandi artistiche hanno messo la loro arte a servi-zio di un libro specialissimo e che han-no certamente molto letto e ripensatoquelle pagine evangeliche a loro asse-gnate; forse più di qualcuno ha anchepregato e meditato con grande ardo-re per produrre un’opera che rendessemerito alla esuberanza del suo cuoree alla sensibilità della sua mente.

Continua padre Nocent: “A me pareche i nostri artisti hanno superato in ciòla miniatura antica. La quale, malgradoil suo valore inestimabile, è abbastanzaimpersonale, e resa con fattura assai ri-petitiva e con assimilamento che la la-scia statica. Le immagini di questoEvangeliario sono talmente prossime alVangelo, fanno talmente corpo con es-so, da impedire che le si guardi come il-lustrazioni. Come gli evangelisti, perso-nali nell’annuncio del messaggio divinoed eterno, così i nostri artisti hanno di-segnato e dipinto e inciso il divino se-condo il proprio stile, l’eterno secondoche il Vangelo ha percorso la loro men-te e il loro cuore. Poiché ecco un’altrasorpresa aprendo l’Evangeliario: l’unità

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nella diversità, con il solo denominato-re comune d’annunziare fedelmente ilmessaggio evangelico”.19

Sappiamo, per conoscenza perso-nale, che mons. Valenziano ha contat-tato ogni singolo artista, con lui haparlato, discusso e approfondito l’epi-sodio evangelico che doveva essere il-lustrato dalla personale sensibilità ar-tistica dell’interlocutore allo scopo direndere efficace una lettura corretta eimmediata, attraverso la mediazioneraffinata nello stile personalissimo diogni artista.

Non sarebbe corretto fornire il no-me di qualcuno dei diciotto artisti difama nazionale e internazionale chesono stati gli iconografi dell’Evange-liario delle Chiese d’Italia, ma dalla vi-sione delle loro iconografie si avverteimmediatamente che il loro lavoro èveramente frutto di una stupefacenteaderenza al testo scritto da non poterimmaginare un’altra o diversa manife-stazione grafica.

“Presentando le icone, le pagine e lateca – Paschatis Verbi Forma Pulchritu-dinis – Crispino Valenziano (che ritornacosì alla prospettiva a lui cara della viapulchritudinis e della «teologia sponsa-le»20, neanch’egli si rivolge a criticad’arte, ma fa esegesi ed ermeneutica li-turgica; come non scrive da osservatoreesterno ma legge dall’interno della in-teressantissima storia dell’Opera, cheegli ha tessuto con gli artisti, con il bi-blista e il liturgista. Però è lettura ‘nuo-va’ la sua; l’unica lettura dell’immagineliturgica, la quale si lascia penetrarenon come se fosse una immagine trale immagini ma soltanto trascendendo-la, l’immagine, andando oltre il ciclorappresentativo delle «leggende au-

ree» edificanti, oltre le brillanti illustra-zioni catechistiche istruttive, entrandonel clima realmente mistagogico, po-nendosi nell’oggi dell’avvenimento mi-sterico, realizzando la pienezza dell’a-namnesi liturgica. Per leggere così, oc-corre essere adusati a vedere ed ascol-tare normalmente nello spazio e neltempo la Divina Economia.”

La riforma liturgica voluta dal Con-cilio Ecumenico Vaticano II, manifesta-ta attraverso la Costituzione Concilia-re sulla Sacra Liturgia SacrosanctumConcilium, afferma: ”Per realizzareun’opera così grande, Cristo è semprepresente nella sua Chiesa, e in modospeciale nelle azioni liturgiche… Èpresente nella sua Parola, giacché èlui che parla quando nella Chiesa silegge la Sacra Scrittura (SC 7); nella Li-turgia, infatti, Dio parla al suo popoloe Cristo annunzia ancora il suo Vange-lo, il popolo a sua volta risponde aDio con il canto e con la preghiera (SC33); nelle sacre celebrazioni, la letturadella Sacra Scrittura sia più abbondan-te, più varia, meglio scelta (SC 35).

Solo se si possiede una spiccatasensibilità liturgica, solo se si com-prende che tali affermazioni non so-no parole vuote di contenuto mapregne di valore teologico, solo secon grande umiltà interiore ci si ponein ascolto dello Spirito che santifica evivifica la celebrazione della liturgiaeucaristica, solo se si avvertono lestraordinarie vibrazioni dello spiritonell’ascolto della Parola di Dio, solose si comprende che Cristo Parola delPadre è presente e operante nella ce-lebrazione liturgica, solo allora si po-trà apprezzare appieno il grande do-

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no fatto alle Chiese d’Italia di unEvangeliario che contiene in sé tantivalori formali e tecnologicamente ef-ficaci da poter essere lo splendido te-stimone del Signore risorto, re deltempo e della storia.

Come non ricordare le illuminantiparole che, sin dai primi anni dellariforma liturgica, sono state utilizzatenelle varie istruzioni sul corretto eadeguato uso dei libri liturgici e dellemotivazioni teologiche sottese a taliinformazioni?

“Alla lettura del Vangelo si deve ilmassimo rispetto; lo insegna la litur-gia stessa, perché la distingue dalle al-tre letture con particolari onori: sia daparte del ministro incaricato di procla-marla, che si prepara con la benedi-zione o con la preghiera; sia da partedei fedeli, i quali con le acclamazioniriconoscono e professano che Cristo èpresente e parla a loro, e ascoltandola lettura stanno in piedi; sia per mez-zo dei segni di venerazione che si ren-dono al libro dei Vangeli“ (IGMR 35).

Nulla d’intentato si è tralasciatoper convincere e coinvolgere in primapersona specialmente i ministri ordi-nati, di ogni ordine e grado, che pre-siedono le celebrazioni liturgiche, poigli operatori pastorali e, non ultimi, ifedeli che compongono le assembleeliturgiche, sulla impellente e ineludibi-le consapevolezza che la Parola di Dio,e solo questa, sconvolge e coinvolgele coscienze e spinge l’uomo a vivere eprofessare con coraggio e con gioia lafede, non in un’ideologia anche affa-scinante o in un pensiero altresì altissi-mo, ciò nondimeno sempre umano,ma nella presenza stessa della Trinitàsantissima.

“Poiché l’annunzio del Vangelo co-stituisce sempre l’apice della liturgiadella Parola, la tradizione liturgica siaorientale, sia occidentale ha semprefatto una certa distinzione fra i libridelle letture. Il libro dei Vangeli veni-va infatti preparato e ornato con lamassima cura, ed era oggetto di vene-razione più di ogni altro libro destina-to alle letture. È quindi molto oppor-tuno che anche attualmente nelle cat-tedrali e almeno nelle parrocchie echiese più grandi e più frequentate cisia un Evengeliario splendidamenteornato, distinto dall’altro libro delleletture. Non senza ragione lo stessoEvangeliario viene consegnato al dia-cono nella sua ordinazione e nell’ordi-nazione episcopale viene posto e te-nuto aperto sul capo dell’eletto”.(OLM 36)

Se non si comprende a pieno lastraordinaria importanza di questospecialissimo libro, l’Evangeliario, chenon può essere considerato un sempli-ce contenitore dei Vangeli ed, even-tualmente, un pratico strumento perscegliere e usare più comodamente lepericopi evangeliche, non si avvertiràneppure la necessità liturgica e la ric-chezza simbolica di possedere questosegno manifesto della presenza di Cri-sto nella celebrazione.

È quasi scontato che ogni sacerdo-te che cura le celebrazioni liturgichein una chiesa si premuri di possederegli arredi liturgici migliori a secondadelle sue possibilità finanziarie, ma èaltrettanto scontato che è estrema-mente difficile che vi sia la presenza diun Evangeliario, dal momento chespesso lo si ritiene un libro liturgicosuperfluo, anzi addirittura controindi-

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cato e ingombrante perché deve esse-re utilizzato da solo e comporta limitie attenzioni che non sono necessarinell’uso del lezionario.

L’Evangeliario delle Chiese d’Italia,dunque, non è soltanto un dono delloSpirito inviato dal Padre per far senti-re la presenza del Signore risorto al-l’assemblea che celebra e che ascolta ilsuo Signore che ancor oggi continua aparlare al suo popolo, ma è anche laininterrotta epifania di Colui che è ilCristo ieri e oggi, A e Ω, Principio e fi-ne, giorno senza tramonto, il Signoredella Gloria, a lui appartengono iltempo e i secoli, a lui la gloria e il po-tere per tutti secoli in eterno.

Sarebbe davvero interessante seogni cristiano potesse vedere il nostroEvangeliario delle Chiese d’Italia, am-mirarne la teca che lo contiene, guar-

dare e toccare la carta di cui è compo-sto, apprezzare i caratteri usati pertrascrivere la Parola di Dio, restare af-fascinato dalle iconi che adornano iltesto, insomma innamorarsi di questolibro eccezionale e scoprire da tuttociò l’intrinseca bellezza che è segno esimbolo della increata Bellezza.

Ci piace concludere questo nostropalesare ogni aspetto di un’Opera che,grazie a Dio, possediamo e scoprirne,anche per i più disattenti, la squisita,armoniosa e artistica bellezza non finea se stessa, perché: “…via pulchritudi-nis è, invece, l’itinerario che attinge laVerità gustando e vedendo quant’èBuona – conoscendo la Bellezza dell’u-nione e facendo della Bellezza l’unio-ne – poiché quale il mistero è la gloriae del Principio e del Verbo e dello Spi-rito l’Uomo è sponsale epifania”.

1 GIUSTINO, I Apologia, 67, 7, ed. E.J. Goodspeed, Die ältesten Apologeten, Gottingen 1915, 138;trad.it. W.Rordorf, Sabato e domenica nella Chiesa antica, Torino 1979, 137-139.

2 M. ROONEY, La domenica, L’anno liturgico, in Anamnesis, vol. 6, Genova 1988, 81.3 Didascalia, II, 47, 1 - 59, 2, F.X. Funk (ed.), Didascalia et Constitutiones apostolorum, Paderbonae

1905, 143; trad. it. in W. Rordorf, Sabato e Domenica nella Chiesa antica, Torino 1979, 167-169.4 M.RIGHETTI, Storia Liturgica, vol. I, ed.anastatica, Milano 1998, 302.5 San Bonifacio martire, apostolo della Germania, portava sempre con se un codice del Vangelo.

Della sua morte si narra: Cum gladio feriundus esset, sacrum Evangelii codicem capiti suo im-posuit, ut sub eo ictum percussoris reciperet. (Vita S. Bonifacii, II,14 Acta SS Junii).

6 M.RIGHETTI, o.c., 305.7 Loc. cit.8 cfr, Art. Etimasie, in D. A. L. Anche nel Concilio Vaticano II l’Evangeliario era posto su di un tro-

no al centro dell’Assemblea.9 M.RIGHETTI, o.c., 305-306.10 P. SORCI, Haec sunt verba sancta, Evangeliario delle Chiese d’Italia, Introduzione e indici, Paler-

mo 1989, 20.11 C. CAPOMACCIO, Monumentum resurrectionis, Ambone e candelabro per il cero pasquale,

Gaeta 1993, 75.12 C. CAPOMACCIO, Arte liturgica, l’arte che celebra il Mistero, Ferrara-Roma 1998, 38.13 D. SARTORE, Il segno e il simbolo, in Arte e Liturgia, Alba 1993, 139.14 C.VALENZIANO, Paschatis Verbi Forma Pulchritudinis, Evangeliario delle Chiese d’Italia, Le ico-

ni, Palermo 1989, 5-6.15 Loc. cit.16 P. SORCI, o.c., 27.17 C.VALENZIANO, o.c., 7. 18 Loc.cit.

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Un caldo esplicito appello del Pa-pa affinché, nella celebrazioneeucaristica, siano osservate con

grande fedeltà le norme liturgiche ècontenuto nel quinto capitolo dellalettera enciclica Ecclesia de Eucharistia,intitolato “Il decoro della celebrazioneeucaristica”. Infatti tali norme “sonoun’espressione concreta dell’autenticaecclesialità dell’Eucaristia; questo è il lo-ro senso più profondo. La liturgia non èmai proprietà privata di qualcuno, nédel celebrante, né della comunità nellaquale si celebrano i Misteri”.

Il capitolo prende le mosse dal rac-conto dell’istituzione dell’Eucaristia tra-mandatoci dai Vangeli sinottici, permettere in rilievo la semplicità e insiemela “gravità” con cui Gesù, la sera dell’Ul-tima Cena, istituisce il grande Sacramen-to. “C’è un episodio che, in certo senso,fa da preludio: è l’unzione di Betania.Una donna, identificata da Giovannicon Maria sorella di Lazzaro, versa sulcapo di Gesù un vasetto di profumo pre-zioso, provocando nei discepoli – in par-ticolare in Giuda – una reazione di pro-testa, come se tale gesto, in considera-zione delle esigenze dei poveri, costi-tuisse uno spreco intollerabile. Ma la va-lutazione di Gesù è ben diversa. Senzanulla togliere al dovere della carità ver-so gli indigenti, ai quali i discepoli si do-vranno sempre dedicare… Egli guardaall’evento imminente della sua morte edella sua sepoltura, e apprezza l’unzio-ne che gli è stata praticata quale antici-pazione di quell’onore di cui il suo cor-

po continuerà a essere degno anche do-po la morte, indissolubilmente legatocom’è al mistero della sua persona”.

Subito dopo questo episodio, i Van-geli sinottici riportano l’incarico dato daGesù ai discepoli per l’accurata prepara-zione della grande sala necessaria per lacena pasquale e la narrazione dell’istitu-zione dell’Eucaristia, lasciandointravedere in parte il quadrodei riti ebraici. “Fin dalla storiavissuta di Gesù, l’evento delGiovedì Santo porta visibil-mente i tratti di una “sensibi-lità” liturgica, modulata sulla tradizioneantico-testamentaria e pronta a rimodu-larsi nella celebrazione cristiana in sin-tonia col nuovo contenuto della Pa-squa”.

Come la donna di Betania, la Chiesalungo i secoli non ha mai temuto di“sprecare”, ma al contrario ha investitoil meglio delle risorse “per esprimere ilsuo stupore adorante di fronte al donoincommensurabile dell’Eucaristia” e percelebrare tale mistero in un contestodegno. “Il Convito eucaristico è davveroconvito “sacro”, in cui la semplicità deisegni nasconde l’abisso della santità diDio... Il pane che è spezzato sui nostrialtari, offerto alla nostra condizione diviandanti in cammino sulle strade delmondo, è panis angelorum, pane degliangeli, al quale non ci si può accostareche con l’umiltà del centurione del Van-gelo: Signore, non sono degno che tuentri sotto il mio tetto”.

Ecclesia de Eucharistia (6)di Stefano Lodigiani

Testi edocumenti

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La fede della Chiesa nel Mistero eu-caristico si è espressa nella storia non so-lo attraverso un profondo atteggiamen-to di devozione interiore, ma anche conuna serie di espressioni esterne, cheevocano e sottolineano la grandezzadell’evento celebrato. “Nasce da questoil percorso che ha condotto, progressi-vamente, a delineare uno speciale statu-to di regolamentazione della liturgiaeucaristica, e su questa base si è svilup-pato anche un ricco patrimonio di arte.L’architettura, la scultura, la pittura, lamusica, lasciandosi orientare dal mistero

cristiano, hanno trovato nel-l’Eucaristia, direttamente o in-direttamente, un motivo digrande ispirazione.”

In questa prospettiva diun’arte tesa a esprimere, in tutti i suoielementi, il senso dell’Eucaristia secondol’insegnamento della Chiesa, occorreprestare ogni attenzione alle norme cheregolano la costruzione e l’arredo degliedifici sacri. “Ampio è lo spazio creativoche la Chiesa ha sempre lasciato agli ar-tisti. Ma l’arte sacra deve contraddistin-guersi per la sua capacità di esprimereadeguatamente il Mistero colto nellapienezza di fede della Chiesa e secondole indicazioni pastorali convenientemen-te offerte dall’Autorità competente. Èquesto un discorso che vale per le arti fi-gurative come per la musica sacra”.

Basandosi sulla sua esperienza perso-nale, il Papa accenna poi al grande te-ma dell’inculturazione della fede: “Neimiei numerosi viaggi pastorali ho avutomodo di osservare, in tutte le parti delmondo, di quanta vitalità sia capace laCelebrazione eucaristica a contatto conle forme, gli stili e le sensibilità delle di-

verse culture. Adattandosi alle cangianticondizioni di tempo e di spazio, l’Eucari-stia offre nutrimento non solo ai singoli,ma agli stessi popoli, e plasma culturecristianamente ispirate. È necessario tut-tavia che questo importante lavoro diadattamento sia compiuto nella costan-te consapevolezza dell’ineffabile Miste-ro con cui ogni generazione è chiamataa misurarsi. Il “tesoro” è troppo grandee prezioso per rischiare di impoverirlo odi pregiudicarlo mediante sperimenta-zioni o pratiche introdotte senza un’at-tenta verifica da parte delle competentiAutorità ecclesiastiche”.

Il quinto capitolo si conclude con unrichiamo del Santo Padre alla grande re-sponsabilità che hanno, nella Celebra-zione eucaristica, “soprattutto i sacerdo-ti, ai quali compete di presiederla in per-sona Christi”. Purtroppo, soprattutto apartire dalla riforma liturgica post-conci-liare, per un malinteso senso di creati-vità e di adattamento, non sono mancatiabusi: “sento perciò il dovere di fare uncaldo appello perché, nella Celebrazioneeucaristica, le norme liturgiche siano os-servate con grande fedeltà. Esse sonoun’espressione concreta dell’autenticaecclesialità dell’Eucaristia; questo è il lo-ro senso più profondo... Anche nei nostritempi, l’obbedienza alle norme liturgi-che dovrebbe essere riscoperta e valoriz-zata come riflesso e testimonianza dellaChiesa una e universale, resa presente inogni celebrazione dell’Eucaristia… Anessuno è concesso di sottovalutare ilMistero affidato alle nostre mani: esso ètroppo grande perché qualcuno possapermettersi di trattarlo con arbitrio per-sonale, che non ne rispetterebbe il carat-tere sacro e la dimensione universale”.

(continua)

Testi edocumenti

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 4-2004 35

Nel precedente fascicolo di “Cul-mine e Fonte” ho iniziato i mieiinterventi con l’affermazione

«L’ecumenismo, si dice, è in crisi, e for-se è anche un po’ vero», e nel giro didue mesi non ho cambiato idea, o me-glio, non mi sembra che negli ultimidue mesi siano intervenuti nelle rela-zioni inter-ecclesiali eventi di tale por-tata e significato da modificare il qua-dro della situazione, e dunque anche ilmio pensiero e di chi nella vita ha scel-to di occuparsi di tali problemi.

Cupo pessimismo? Niente affatto!Scopo del movimento ecumenico è pro-muovere l’unità dei cristiani e, nei cri-stiani, promuovere la coscienza dell’u-nità che, per quanto imperfetta, già esi-ste a motivo del battesimo, della comu-ne confessione trinitaria e cristologica,e dei sacramenti, dove esiste un consen-so, almeno teorico, sulla dottrina dellasuccessione apostolica, come nel casodelle Chiesa romano-cattolica e delleChiese ortodosse. Se dunque i successinelle relazioni tra le Chiese, o almenocon alcune, sembrano effettivamenteesigui, cresce comunque la coscienzaecumenica che genera un metodo ecu-menico di fare teologia. Ma cosa c’en-tra tutto questo con la liturgia, e con leliturgie della Chiese orientali?

3. La lezione e il metodo del Vaticano II

Nel decreto sull’ecumenismo del Va-ticano II (Unitatis redintegratio, 15) vi è

un enunciato di capitale importanza:«Tutti sappiano che il conoscere, vene-rare, conservare e sostenere il ricchissi-mo patrimonio liturgico e spirituale de-gli orientali è di somma importanzaper custodire fedelmente la pienezzadella tradizione cristiana e per condur-re a termine la riconciliazione dei cri-stiani d’Oriente e d’Occidente».

Un cattolico, ma ci si augu-ra che l’attegiamento sia reci-proco, deve dunque guardarealle liturgie delle Chiese orto-dosse con la stessa venerazio-ne e la stessa stima dovuta al-la propria tradizione occidentale, per-ché comune è l’origine di entrambe ecomune è anche, nella legittima diver-sità, la comprensione della vita liturgi-co-sacramentale. Considerare le litur-gie orientali qualcosa di strano, di di-verso, di inusitato, se non di folkloristi-co, di esotico o di inattuale, non sol-tanto rivela una attitudine cultural-mente povera, ma anche totalmenteestranea a ciò che il Vaticano II e i do-cumenti del Magistero quali l’OrientaleLumen e l’Ut unum sint ormai esigonooggi dai cattolici. Inoltre, in un’Europache stenta a riconoscere le proprie ra-dici cristiane, sostenere, culturalmentee con carità, le Chiese di tradizione co-stantinopolitana, è ormai per chi credeun dovere imprescindibile, che deveesprimersi anzitutto in una sincera ac-coglienza dei loro pastori e fedeli sta-bilitisi nella nostra città, offrendo ocondividendo luoghi dove possano ce-

Le liturgie delle Chiese orientali / IIdi Stefano Parenti

Chiesedell’orientecristiano

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FORMAZIONE LITURGICA

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lebrare con dignità le loro liturgie.Amore e stima per le liturgie orientali,se non sostanziate dalla carità per chile celebra, diventano fatalmente senti-mentalismo sterile.

Eppure esistono ancora tante diffi-coltà, tanti tramezzi culturali, tantiluoghi comuni, dall’una e dall’altraparte, frutto di una lunga separazionee, ancora di più, di una lunga estranea-zione. E bisogna riconoscere che cam-biare atteggiamento è difficile e richie-de un profondo lavoro, anzitutto a li-vello teologico. Uno dei frutti del mo-

vimento ecumenico consisteproprio nell’aver proposto unmodo ecumenico di fare teo-logia, e in particolar modoteologia liturgica.

Il sistema “ecumenico” difare teologia si propone di riconciliarei modi di pensare abbandonando lastrada della confutazione e del domi-nio ideologico. Il suo scopo è quello disottolineare la tradizione comune,senza tuttavia ignorare le differenze.La via ecumenica di fare teologia (chenon ha nulla a che fare con la “teolo-gia ecumenica”) applica alla propriatradizione gli stessi criteri di valutazio-ne che adopera per studiare la tradi-zione dell’altro: in altri temini si pro-pone una metodologia corretta eobiettiva. Lo scopo del metodo ecume-nico non è di cercare un confronto inmodo da raggiungere un consenso, eper questo ogni critica fatta alla pro-pria tradizione viene presa sul serio econ rispetto. Naturalmente tutto que-sto vale per ambedue le parti in dialo-go, altr imenti meglio smettere easpettare tempi migliori. Alla luce delmetodo e dello spirito ecumenico con-

tinuiamo il nostro viaggio ideale nelleLiturgie dell’Oriente cristiano.

4. Caratteristiche generali

Ogni tradizione liturgica cristiana sicaratterizza per un suo particolare “ge-nio” o “spirito” che la fa essere questoe non altro e che la identifica immedia-tamente tra le altre. Qual è dunque,fuori dai consueti luoghi comuni, lo“spirito” delle Liturgie orientali?

Una caratteristica essenziale è quel-la della totale oggettività, nel sensoche il suo svolgersi viene determinatoda una tradizione alla quale l’interacompagine ecclesiale, dal patriarca fi-no al monaco e al laico, riconosce unvalore oggettivo. Vengo a un esem-pio. Per celebrare l’eucaristia si richie-de la presenza del presbitero e di dueo tre persone, ma questa norma nonvale soltanto per i laici, nel senso chenon vi può essere eucaristia senza pre-sbitero, ma vale anche per il presbite-ro, che non può celebrare senza un’as-semblea composta almeno da due otre persone. Così a nessun presbiteroverrà mai in mente di celebrare una“sua” messa per puro scopo devozio-nale o semplicemente per aver accet-tato un’intenzione. E’ l’anno liturgico,una realtà oggettiva dunque, che re-gola il ritmo eucaristico delle singolecomunità. Vi è l’eucaristia ogni dome-nica, e nelle principali feste, ma secon-do i luoghi anche ogni sabato, o an-che tutti i giorni.

La Divina Liturgia eucaristica è sem-pre solenne, anche quando viene even-tualmente celebrata nei giorni feriali,sempre in canto, con l’incenso e la par-

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FORMAZIONE LITURGICA

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tecipazione dei ministri. La solennitàdella messa non viene determinata dalgrado liturgico di un determinato gior-no dell’anno, ma dal suo essere cele-brazione e ripresentazione dei misteridella salvezza, un fatto che di per sestesso è solenne e festivo. Per questanota festiva connaturale all’eucaristia,presso alcune Chiese la celebrazione èinterdetta durante i giorni feriali (lu-nedì-venerdì) di Quaresima, segnati daldigiuno e dalla penitenza.

La Liturgia delle Ore è molto popo-lare. Generalmente i Vespri vengonocelebrati ogni pomeriggio in tutte lechiese parrocchiali, mentre il Mattutino(Vigilia-Lodi) nelle domeniche e neigiorni festivi. Chi partecipa a uno diquesti uffici adempie l’obbligo del pre-cetto festivo. Al contrario non esistenessun obbligo per il clero secolare direcitare privatamente le Ore, e nean-che per i monaci extra chorum. La Li-turgia resta sempre e assolutamenteun atto comunitario, il cui soggetto èl’intera comunità celebrante.

Le forme di partecipazione dei laicialle azioni liturgiche sono varie. Anzi-tutto i pani eucaristici vengono confe-zionati in casa e offerti in chiesa pocoprima dell’inizio della celebrazione,nella quale è così possibile usare sem-pre pane fresco. Si offrono anche vino,candele, olio per le lampade e incenso.Sono i laici che da sempre leggono i

salmi e le letture bibliche, a eccezionedel vangelo, e che cantano nel coroparrocchiale. Ai laici qualificati, previopermesso del vescovo, sempre piùspesso viene anche affidata la predica-zione.

Sempre a seguito dell’impostazioneoggettiva che la caratterizza, nella Li-turgia bizantina il segno mantiene sem-pre la propria importanza ed efficaciaespressiva: l’unzione pre-battesimale èsu tutto il corpo, il battesimo è sempreper immersione, la comunione è sem-pre al pane e al calice, il pane eucaristi-co è sempre quello consacratonel corso della celebrazione.L’assoluta mancanza di una va-lutazione giuridica dei sacra-menti non ha mai reso neces-sario dover quantificare il mi-nimo richiesto per la validitàdell’atto sacramentale. La miturgia èsempre spiritualmente libera e dinami-ca, senza tuttavia doversi affidare al-l’improvvisazione. Il fedele ortodosso siidentifica strettamente con la liturgiadella propria Chiesa, ne ama le formeespressive, ne conosce a memoria i te-sti. L’atmosfera di una chiesa ortodossanon è quasi mai formale, il cristianonon vi si sente mai ospite, ma effettiva-mente come in casa propria. Penso chesi possa affermare con assoluta obietti-vità che molti desiderata della riformaliturgica romana del dopo Vaticano II -ancora tali dopo trenta anni - nell’Orto-dossia sono una realtà da sempre.

Chiesedell’orientecristiano

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Certamente il padre spiritualenon è un rabbino che spiega oapplica la Torah, e non è nem-

meno un mufti, cioè uno specialista inconsigli legali. Per capire il profondosignificato della relazione tra padre efiglio occorre considerare in che modoviene usato nella tradizione cristiana.Dio è nostro Padre e noi siamo figli di

Dio attraverso lo Spirito San-to, lo Spirito del Padre e delFiglio, lo Spirito paterno efraterno, lo Spirito della Pa-ternità e della Figliolanza, loSpirito santificante che ci san-tifica proprio rendendoci figli

di Dio attraverso la nostra partecipa-zione alla natura divina, attraverso laseconda nascita della quale Dio è au-tore. Proprio lo Spirito Santo in noi ciporta a dire “Abbà, Padre” (Rm 8,15).Quando san Paolo scrive ai suoi figlidice: ”… io di nuovo partorisco neldolore finché non sia formato Cristoin voi” (Gal 4,19): lui sa che si sta rife-rendo a una reale paternità, parteci-pazione della paternità divina. Ognipaternità, anche nell’ordine naturale,ma specialmente la paternità spiritua-le, e così ogni maternità, a cominciareda quella della Santissima VergineMaria e da quella della Chiesa, che èMadre Nostra, giustifica il suo nomeattraverso il riferimento ontologico alPadre del Nostro Signore Gesù Cristo.Dobbiamo però prendere in conside-razione che la fruttuosità spiritualenon si manifesta senza dolore. La

Chiesa è nata sul Calvario, dal fiancosquarciato del Signore, e chi è chiama-to a trasmettere la vita dello Spiritonon sarà capace di farlo tranne cheaccettando, così come san Paolo, disoffrire affinché Cristo emerga.

La prima generazione di cristianivisse nella meraviglia dell’amore diDio per la creatura umana. La fede inquesto amore di Dio è sintetizzataspecialmente nel nome “Padre”, che èil titolo proprio del Dio di Gesù Cristo.

Nella Lettera a Diogneto si trovache la prima istruzione che un catecu-meno deve ricevere è la conoscenzadel Padre: “Se anche tu desideri que-sta fede per prima otterrai la cono-scenza del Padre. Dio, infatti ha ama-to gli uomini. Per loro, infatti, creò ilmondo, a loro sottomise tutte le coseche sono sulla terra, a loro diede laparola e la ragione, solo a loro conces-se di guardarlo, lo plasmò secondo lasua immagine, per loro mandò il suoFiglio unigenito, loro annunciò il re-gno nel cielo e lo darà a quelli che lohanno amato. Quando lo avrai cono-sciuto, hai idea di quale gioia saraicolmato? Come non amerai colui chetanto ti ha amato?”.

Prima ancora san Clemente di Ro-ma aveva invitato i Corinti a rifletteresullo stesso argomento: “Ti preghia-mo, Signore, sii il nostro soccorso e so-stegno. Salva i nostri che sono in tri-bolazione, rialza i caduti, mostrati aibisognosi, guarisci gli infermi, ricon-duci quelli del tuo popolo che si sono

Il padre spirituale nella tradizione cristianadi don Giovanni Biallo

InDialogo

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Culmine e Fonte 4-2004 39

allontanati, sazia gli affamati, libera inostri prigionieri, solleva i deboli, con-sola i vili. Conoscano tutte le genti chetu sei l’unico Dio e che Gesù Cristo ètuo figlio e noi tuo popolo e pecoredel tuo pascolo (Sal 119)”.

Anche sant’Ignazio di Antiochiapone nella Lettera ai Romani il Padreal centro della sua fede: “Non vogliopiù vivere secondo gli uomini. Questosarà se voi lo volete. Vogliatelo perchéanche voi potreste essere voluti da lui.Ve lo chiedo con poche parole. Crede-temi, Gesù Cristo vi farà vedere che ioparlo sinceramente; egli è la bocca in-fallibile con cui il Padre ha veramenteparlato. Chiedete per me che lo rag-giunga. Non ho scritto secondo la car-ne, ma secondo la mente di Dio. Sesoffro mi avete amato, se sono ricusa-to, mi avete odiato”.

Nel testo degli Apoftegmi deiPadri, che raccoglie gli insegnamentidei padri del deserto, il termine abbà,padre, è attribuito a tutti coloro le cuiparole e opere sono degne di esseretrasmesse alla posterità. Si tratta dipiccoli racconti che rivelano la profon-dità della relazione possibile con ilproprio padre spirituale e la validitàper il cammino di fede personale.

Alcuni fratelli si recarono da abbàFelice, insieme ad alcuni laici, e lo pre-garono di dire loro qualcosa. Ma l’an-ziano taceva- Tuttavia, poiché lo prega-rono a lungo, egli disse loro: “Voleteudire una parola?”. Gli dissero: “Sì,abbà”. L’anziano allora disse: “Ora nonè più possibile una parola. Quando i

fratelli interrogavano gli anziani e face-vano ciò che essi dicevano, Dio mettevasulla loro bocca ciò che dovevano dire.Ora, invece, poiché chiedono ma nonfanno ciò che si sentono dire, Dio hatolto la grazia della parola agli anzianied essi non sanno che cosa dire, poichénon c’è chi metta in pratica”. E i fratelli,all’udire queste parole, levarono un ge-mito e dissero: “Prega per noi, padre!”.

Dicevano di abbà Isacco che, quan-do stava per morire, si riunirono attor-no a lui gli anziani e dicevano:“Che casa faremo dopo di te,padre?. Ma egli rispose: “Ve-dete in che modo ho cammi-nato davanti a voi; se voleteanche voi seguire e custodire icomandamenti di Dio, egli in-vierà la sua grazia e custodiràquesto luogo. Se invece non li custodi-rete, non rimarrete in questo luogo.Anche noi infatti eravamo tristi quan-do i nostri padri stavano per morire,ma custodendo i comandamenti del Si-gnore e i loro ammonimenti, abbiamopotuto restare a vivere qui, come se lo-ro fossero ancora in mezzo a noi. Fatecosì anche voi e sarete salvati”.

Abbà Poimen raccontò che unavolta un tale aveva chiesto ad abbàPaisio cosa dovesse fare perché la suaanima era insensibile e non aveva ti-mor di Dio; e l’anziano gli aveva ri-sposto: “Va’, unisciti ad un uomo cheabbia timor di Dio e, nello stargli vici-no, imparerai anche tu ad avere ti-more di Dio”.

InDialogo

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La parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

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XVIII domenica del Tempo Ordinario C

1 agosto

Vanità di vanità

PRIMA LETTURA

Dal libro del Qoèlet (1,2;2,21-23)

Ogni lingua possiede delle capacitàespressive che è quasi impossibile tradurre.Il famosissimo ritornello di Qoelet: vanità divanità, è uno di questi casi. La traduzione piùletterale potrebbe essere “soffio di soffio” efar riferimento ad un soffio che l’uomo fauscire dalle labbra spingendolo e sostenen-dolo con il soffio seguente. Un soffio chepoggia su un soffio… è possibile renderemeglio l’idea di una totale mancanza di con-cretezza, di fondamento, di certezza?

Il sapiente anonimo dell’AT chiamatoQoelet, cioè l’uomo che parla davanti all’as-semblea, definisce con questa forte immagi-ne l’assurdità dell’attaccamento ai beni ma-teriali. Fondare la propria vita su questi beniè come fondarla sul vento. Infatti noi nonpossediamo mai veramente le cose, perché lamorte può strapparcele, le uniche ricchezzeche possediamo sono quelle che saranno no-stre per sempre.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di S. Paolo apostolo ai Colos-sèsi (3,1-5.9-11)

Se vogliamo vivere un’esistenza vera,secondo il Vangelo, dobbiamo imparare adirigere i nostri istintivi desideri verso i verivalori, le vere ricchezze del corpo e dellospirito. Si tratta di un distacco dal mondoper dirigersi risolutamente verso Dio e lecose di Dio. Non è un impegno da sottova-

lutare! Così infatti si realizza una vera“morte interiore” che ci apre però alla pie-nezza della vita e così alla fraternità univer-sale. L’umanità così rinnovata è Cristo stes-so che continua a vivere nel mondo, prolun-gamento del Suo corpo, sacramento dellaSua presenza.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (12,13-21)

Il tema del necessario distacco dalle va-nità del mondo è spiegato con chiarezza nelvangelo attraverso una parabola piena di iro-nia amara. La chiave di volta della parabolaè costituita dal confronto tra due espressioniben distinte anche nel greco: “Così è di chiaccumula tesori per sé, e non arricchisce da-vanti a Dio”. Nei confronti della vita e dellepossibilità che ci offre sono possibili due at-teggiamenti: chi cerca di accumulare e chivuol veramente arricchirsi. Da una parte ciòche conta è la quantità, la grandezza, la di-mensione, dall’altra è al qualità, la ricerca dicose che possano “restare per sempre” da-vanti a Dio.

Gesù non ha mai esaltato il disfattismo edil vagabondaggio. Il distacco dalle ricchezzedi cui parla il vangelo, così come la beatitudi-ne della povertà, non sono un invito a nonimpegnarsi per mettere a frutto i doni che Dioci ha dato. Basterebbe citare il comportamen-to del padrone nella parabola dei talenti, perrendersi conto di quanto Gesù ami chi si im-pegna. Nella parabola dell’amministratore di-sonesto Gesù arriva addirittura a lodare l’at-teggiamento dell’amministratore che, pur es-sendo disonesto, dimostra però di impegnarsi,di mettere a frutto il tempo che gli è dato ed idoni di scaltrezza che Dio gli ha comunicato.La ricchezza, il traffico, l’economia, sono una

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occasione importante nella quale l’uomo puòprodurre per sé e per gli altri. Per questo ècorretto che i cristiani vi si impegnino concompetenza, che la riflessione di fede dicauna parola illuminante anche su questi aspettidella vita. Quello che soprattutto risulta conchiarezza in questo ambito è che l’economiaè un territorio pericoloso, nel quale l’uomopuò diventare schiavo dell’accumulo.

L’uomo della parabola ad esempio, nonriesce a pensare ad altro, per l’immediato,che di costruire granai più grandi… poi sidarà alla gioia, ma questo divertimento ri-mandato al futuro tradisce già il suo cuo-re, nel quale la ricchezza è diventata il fi-ne e non un mezzo per raggiungere i finimigliori.

L’attuale cardinale di Parigi ha definito lanostra epoca a partire dal racconto biblico delvitello d’oro. In quel caso il peccato di idola-tria di Israele era soprattutto condizionatodalla attenzione al “vitello”, immagine moltofrequente a quel tempo di una divinità adora-ta dai cananei. L’uomo di oggi non farebbemolta attenzione, nel costruirsi un idolo, sefarlo a forma di vitello o di qualche altro ani-male, ciò a cui farebbe sicuramente attenzio-ne è nel farlo d’oro.

I beni materiali, la ricchezza ed il denaro,in una parola l’oro, sono diventati il nuovoidolo dell’uomo moderno, che affida la suafelicità al listino di borsa o segue con religio-so rispetto, come se si trattasse di una esposi-zione eucaristica, l’estrazione del lotto, ena-lotto, bussolotto o qualsiasi altra cosa cheprometta premi e denaro.

Gesù usa un metodo shock per risvegliareil suo uditorio intorpidito dalla eccessiva at-tenzione al denaro: verrà la morte ed alloratutto quello che hai accumulato di chi sarà?Non è certo un tema di meditazione gradevo-le, ma forse vale la pena di tenerlo presente,

per disintossicarci da una eccessiva esposi-zione al metallo prezioso.

In definitiva, vanità di vanità, soffio disoffi ed ultimo respiro, sono più vicini diquanto si possa pensare.

Trasfigurazione del Signore6 agosto Fu trasfigurato

PRIMA LETTURA

Dal libro di Daniele (7,9-10.13-14)

Il libro di Daniele proietta indietro nellastoria del popolo una condizione di oppres-sione e sfruttamento che i suoi contempora-nei sperimentavano intorno al 165 aC. An-tioco Epifanie perseguitava il popolo giudai-co per imporre anche a loro la cultura grecacome aveva fatto con il resto dei suoi suddi-ti. Il futuro sembrava senza speranza. L’au-tore del nostro libro infonde nuova fiduciasvelando i retroscena della storia. Il malesembra trionfare. Ma in realtà Dio sta giudi-cando il mondo. Questo giudizio si compiesoprattutto per opera di un misterioso perso-naggio, un uomo come gli altri all’apparen-za, questo significa il titolo “figlio dell’uo-mo”; ma tuttavia “celeste”, inviato da Dio ecapace di camminare sulle nubi, una prero-gativa tipica dell’Onnipotente! Questa figuraera trasparente per i lettori del libro di Da-niele: si trattava del Messia, il salvatore atte-so. Dietro un’umanità apparentemente insi-gnificante giungerà la salvezza che sconfig-gerà il male, rappresentato dai mostri terrifi-canti della visione. Il profeta invita il suouditorio a scrutare con fede il presente, i se-gni della presenza di Dio e della sua azionesono ben visibili per chi ha fede.

La parola di Dio celebrata

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SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di Pietro (1,16-19)

L’autore di questa lettera, che in realtà ap-pare come una specie di testamento spiritualedel primo papa, scrive verso la fine del pri-mo secolo e vuol infondere coraggio ad unaChiesa che comincia ad affrontare il rifiuto ela persecuzione. A tutti i delusi sono ricordatii motivi che debbono animare la loro fiducia.Se l’azione divina nella storia sembra nasco-sta ed oscura, sappiano che questa è stata an-che l’esperienza degli apostoli. Per gran par-te della loro vita hanno sperimentato più letenebre del dubbio che la luce della visione,però si sono lasciati guidare dal fulgore in-travisto in un breve istante: sul monte dellatrasfigurazione. In quel momento tutto ap-parve chiaro e luminoso. I cristiani possonofare affidamento sulla loro testimonianza.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (9,28b-36)

Il brano della trasfigurazione ci guida allacontemplazione dei mistero di Gesù vicinissi-mo eppure Figlio di Dio in maniera unica edassoluta. La gloria di Dio si manifesta im-provvisamente in Gesù. I tre discepoli predi-letti, testimoni privilegiati della guarigionedella figlia di Giairo, presenti al fianco di Ge-sù durante l’agonia dell’orto degli ulivi, sonoprescelti per vivere questo momento del tuttoparticolare. Anche qui sono testimoni di unapreghiera accorata di Gesù, un momento incui la sua vicinanza al Padre è talmente forte,che la gloria di Dio risplende in Lui. Mentrestava pregando Gesù viene trasfigurato. Unatrasfigurazione di luce e di gioia, come nel-l’orto degli ulivi una trasfigurazione di doloree di buio, segnata dal sudore di sangue.

Quanta apparente differenza! Eppure è sem-pre lo stesso Gesù: vicinissimo ed obbedienteal Padre. Infatti è la presenza del Padre cheopera in definitiva la trasfigurazione. Tuttal’attesa della storia del popolo eletto, il desi-derio fondamentale che la animava, testimo-niato dalla presenza di Mosè ed Elia, final-mente si compie. Tutto l’Antico Testamentoripete un desiderio: Vedere il volto di Dio. Inquesto momento fugace, ma di primaria im-portanza, i discepoli vedono il volto di Diosul volto umano di Gesù trasfigurato nella lu-ce. Ma il vero volto di Dio non può essere vi-sto guardando solo a questa scena.

Anche il volto umano di Gesù, segnatodalla sofferenza, trasfigurato dal dolore tene-broso dell’orto degli ulivi, è rivelazione delvolto di Dio. Un mistero impenetrabile che

Trasfigurazione del Signore Gesù, icona di R. d’Este, Monastero di Bose

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2004 43

trova comprensione soltanto in ciò che uniscequeste due immagini: l’obbedienza e l’amore.Il volto dell’uomo assomiglia a Dio quando ètrasfigurato dall’amore obbediente: sia nellagloria e nella gioia, che nel buio e nel dolore.

Non è solo la gloria divina che rifulgenella trasfigurazione di Gesù. Questo prodi-gio è anche un annuncio ed una promessa:Gesù infatti lascia scorgere per un momentola gloria alla quale ogni uomo è chiamatonella resurrezione finale. Alla fine, quandotutti verremo risuscitati nella potenza delloSpirito, la nostra intera umanità parteciperàalla gloria di Dio.

La trasfigurazione di Gesù ci permette al-lora di scorgere come saremo quando la vici-nanza del Padre renderà anche i nostri corpimortali luminosi, ad immagine del suo corpoglorioso e saremo pienamente simili a Lui.

Davvero in questo momento luminoso idiscepoli hanno visto il senso della storia e laprofonda azione di Dio all’interno del quoti-diano umano, nel quale spesso le tenebresembrano vincere sulla luce.

XIX domenica del Tempo Ordinario C

8 agosto

Fede e fiducia.

PRIMA LETTURA

Dal libro della Sapienza (18,3.6-9)

Un giudeo di Alessandria d’Egitto, nel pri-mo secolo a.C. scrive il libro della Sapienzaper aprire un dialogo tra la grande tradizionedi fede ebraica ed i circoli intellettuali grecidi quella che era allora una vera e propria fu-cina della cultura del tempo. Egli, rileggendoi grandi avvenimenti della storia del suo po-polo spiega il senso dell’intera storia mondia-

le. Così narrando l’esperienza fondamentaledel popolo eletto, cioè l’Esodo dall’Egitto,sottolinea un aspetto significativo della dot-trina biblica: Dio mantiene sempre le sue pro-messe. L’Esodo costituì per il successivo svi-luppo della fede di Israele un momento fon-damentale proprio per questo. Ai patriarchiinfatti Dio aveva promesso una discendenza,e questi nei loro figli avevano visto l’inizialecompimento di questa promessa; ma il popo-lo libero e forte che da essi sarebbe dovutonascere era ancora un sogno irrealizzato. Sescorriamo la storia sacra notiamo come il li-bro della Genesi si chiuda con un avvenirepromettente: i discendenti di Giacobbe stava-no crescendo di numero in un paese amico,protetti dallo stesso vicerè d’Egitto. Il librodell’Esodo invece si apre con una notazioneterrificante: il faraone vuol distruggere deltutto il popolo che ha iniziato a formarsi. Maicome in questi primi capitoli dell’Esodo lapromessa di Dio sembra irrealizzabile. Solodentro i campi di sterminio nazisti Israele vis-se per la seconda volta, in maniera così netta,la vicinanza della soluzione finale! Eppurequando tutto sembrava perduto e la promessadi Dio appariva irrimediabilmente sconfitta ilmare si aprì, ed il popolo si ritrovò libero esulla strada della terra promessa. Su questifatti si basava la fede del popolo dell’AnticoTestamento nella guida provvidenziale dellastoria da parte di Dio, nella certezza del com-pimento delle sue promesse, in quello sguar-do ottimista verso il futuro, che ha segnato inmaniera caratterizzante tutta la sua storia.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebrei (11,1-2.8-19)

Il messaggio di fede e di speranza propriodel racconto dell’Esodo è ribadito dalla lette-

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La parola di Dio celebrata

ra agli Ebrei con un ritornello ossessivo: lafede è caratterizzata dalla fiducia nel compi-mento delle promesse divine. “Per fedeAbramo, chiamato da Dio, obbedì partendoper un luogo che doveva ricevere in eredità,e partì senza sapere dove andava”. Da Abra-mo in poi, tutti gli antenati del popolo giu-daico erano tesi verso il futuro, alla ricerca direaltà che potevano solo intravedere, soste-nuti però dalla fede incrollabile che Diomantiene sempre le sue promesse.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (12,32-48)

Su questa linea tematica delle incrollabilipromesse divine si apre anche il vangelo, cheperò presenta una nuova promessa fatta daGesù a tutta la Chiesa: “Non temere, piccologregge, perché al Padre vostro è piaciuto didarvi il suo regno”. Già nelle sue parole tra-spare la chiara coscienza di una sproporzioneeclatante: Dio dona il suo stesso Regno, mol-to più di una terra ed una discendenza; e lodona non ad un popolo forte e glorioso, maad un gruppo sparuto e timoroso, che Gesùcon affetto chiama piccolo gregge. Ci sareb-be realmente da temere vedendosi sballottatidai marosi della storia, sentendosi preda dipoteri ben più forti ed organizzati, ma la pro-messa si impone con tutta la sua forza e can-cella nella fede ogni timore, perché è unapromessa divina.

La forza di questa promessa spinge inavanti lo sguardo del credente: egli attendeil ritorno del padrone che sarà ritorno diconsolazione e di festa. Questo ritorno at-teso, fa sì che la notte dell’attesa sembrimeno buia e meno lunga e la fatica dellaveglia appaia meno improba. Sono i mira-coli che compie la fede, che non è capace

di annullare le tenebre o cancellare la fati-ca, ma dà forza straordinaria per affrontarel’una e l’altra prova.

E’ dunque grande il dono delle fede, èuna ricchezza preziosa, un vero tesoro da te-nere stretto; ma è un tesoro impegnativo. “Achiunque fu dato molto, molto sarà chiesto;a chi fu affidato molto, sarà richiesto moltodi più”. E’ l’unica distinzione che Gesù ac-cetta all’interno del piccolo gregge: non unadistinzione basata sul potere, ma sulla re-sponsabilità. Chi riceve da Dio una graziasovrabbondante, perché si faccia guida e te-stimone della fede nei confronti dei fratelli,si vede caricato non di un potere o una ric-chezza supplementari; secondo la logica delmondo, ma piuttosto di una responsabilità edi una missione di servizio alla fede.

Ogni cristiano è per qualche verso costi-tuito amministratore della fede degli altri: ta-li i genitori nei confronti dei figli, gli adultinei confronti dei giovani, quanti hanno fattoun particolare cammino di fede nei confrontidi tutti gli altri. Nessuno può sentirsi esclusoda questa esortazione di Gesù a vigilare sudoni ricevuti per metterli a frutto.

Assunzione della Beata Vergine Maria

15 agosto

Messa vespertina nella vigilia.

Beata colei che ascolta

PRIMA LETTURA

Dal Primo libro delle Cronache (15,3-4.15-16; 6,1-2)

Il libro delle Cronache fu scritto per glo-rificare il tempio di Davide, ricostruito do-po l’esilio. In quella costruzione alcuniscrittori giudei vedevano il simbolo perfetto

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2004 45

dell’opera divina. Per alcuni diloro quel tempio doveva essereaddirittura “trasportato” pressoDio al momento finale della sto-ria, quando tutto il resto del vec-chio mondo segnato dal peccatosarebbe stato distrutto. L’uso diquesto brano fatto dalla tradizio-ne cristiana nella celebrazionedell’assunzione di Maria si com-prende solo sullo sfondo di que-sta complessa tradizione giudai-ca. Maria è il tempio di Davideche ha accolto il Salvatore pro-messo. Per questo alla fine dellasua storia terrena la Vergine nonè potuta restare in questo nostromondo, segnato dal peccato e destinato alladistruzione, ma è stata assunta presso Dio,come tempio perenne alla Sua gloria.

SECONDA LETTURA

Dalla Prima lettera ai Corinti (15,54-57)

Paolo si trova a lottare contro una menta-lità fatalista ben radicata in alcuni membridella comunità di Corinto provenienti dal pa-ganesimo e formati molto probabilmente dal-la filosofia stoica. La morte, esseri credeva-no, è un destino comune di ogni uomo e se-gna la fine radicale di tutto. Non resta cheaccoglierla quando giungerà, evitando dipensare troppo a quel momento mentre si èancora in vita. Paolo reagisce riaffermando ilcuore dell’annuncio cristiano: la resurrezionedi Cristo, che dà senso alla nostra fede, an-nuncia la nostra resurrezione. Questa manife-sta tutta la forza dell’amore di Dio che vincedefinitivamente la morte. E’ questo il sensopieno della vittoria di Cristo di cui siamo an-nunciatori al mondo.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (11,27-28)

Nel vangelo di Luca è caratteristico di Ma-ria il fatto che gli uomini, pieni di ammirazio-ne e di gioia, percepiscono che cosa contrad-distingue la sua persona, e per questo la chia-mano beata. Essa è beata a causa della sua fe-de (1,45), a causa delle grandi cose che Dioha fatto in lei (1,48), a causa del suo figlio(11,27). Maria è anche l’unica persona nelVangelo, assieme a Gesù (10,27), il cui spiritoesulta di fronte all’opera di Dio (1,47). A leiappartengono dunque in maniera eminente lagioia dello spirito e la beatitudine. Ma questovangelo proclama indirettamente la sua beati-tudine più grande. Essa, secondo il senso delleparole di Elisabetta (1,45), è colei che ha pie-namente ascoltato ed osservato la parola diDio. Nella sua risposta Gesù non respinge labeatitudine della donna che sottolinea come lamadre sia legata al Figlio, anzi la amplia e lacompleta presentando il duplice legame cheunisce la madre al figlio: essa è anche la suadiscepola più fedele, modello per ogni futuro

Assunzione della Beata Vergine Maria, Subiaco, Sacri Speco, sec. XIV

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46 Culmine e Fonte 4-2004

La parola di Dio celebrata

discepolo. Il legame tra madre e figlio, cosìfortemente ricordato da questo vangelo, è ilfondamento della convinzione di fede dellachiesa, che celebra oggi l’intima unione diMaria agli effetti della resurrezione del Figlio.Di fatto la sua assunzione non è altro che unaresurrezione del suo corpo anticipata rispettoalla resurrezione finale che tutti ci attende, co-me effetto della resurrezione di non solo sullenostre anime, ma anche sui nostri corpi.

Messa del giorno

Maria, la primizia dei salvati.

PRIMA LETTURA

Dal libro dell’Apocalisse(11,19a;12,1.6a.10ab)

Con il suo linguaggio tipico, ricco di sim-boli e di evocazioni di immagini antico testa-mentarie l’autore dell’Apocalisse vuol infon-dere coraggio ai cristiani perseguitati. Nono-stante gli sforzi del maligno, il disegno di sal-vezza di Dio si compie nella storia, anzi la lot-ta finale ha già avuto inizio. Questa lotta ha alcentro la Donna che genera il Salvatore. Conla collaborazione di Lei che si compie quandoil figlio sale presso Dio con la resurrezione, hainizio il tempo finale della storia, è il tempodella chiesa. Contro il messia vittorioso il dra-go, cioè le forze del male storicamente imper-sonate dall’impero romano, non hanno alcunpotere; per questo si scatenano in una perse-cuzione contro la Donna, che ormai rappre-senta la Chiesa di cui è spiritualmente madre.Ma anche Lei è al sicuro nel rifugio che Diole offre nel deserto, il luogo tradizionale del-l’intimità tra Dio ed il suo popolo. In questobrano la figura storica di Maria, madre del Si-gnore, si fonde con la figura di Maria immagi-

ne e Madre della Chiesa. Una lettura comples-sa, ma costante nella tradizione cristiana.

SECONDA LETTURA

Dalla Prima lettera ai Corinzi (15,20-26)

Alcuni tra i Corinzi dubitavano della re-surrezione futura promessa da Cristo. Paoloallora ricorda con forza che la resurrezione diGesù è il fondamento della nostra fede e mo-stra che il trionfo di Gesù annuncia il ritornoalla vita definitiva e gloriosa da parte di tuttal’umanità. In opposizione al peccato di Ada-mo, che ha portato su ogni uomo l’ombra cu-pa della morte, il sacrificio obbediente di Cri-sto ha portato nella vita dell’umanità la lucedella resurrezione, che non è destinata a spe-gnersi. Paolo intravede una lunga processioneceleste formata da tutti i risorti e capeggiatadal Cristo glorioso, in questa visione si com-pendia la speranza cristiana.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (1,39-56)

Nel contesto della festa odierna il canticodel Magnificat assume un significato del tut-to particolare sottolineando il ringraziamen-to e la lode. E’ il momento dell’ esultanza edi quella gioia di cui aveva parlato l’angelonell’annunciazione (1,28).

Maria dice innanzitutto ciò che sente nelcuore (1,46). È impressionata dalla grandezzadel Signore e dalla sua azione potente. Vede ericonosce la grandezza del Signore ed esponein che cosa essa si manifesta. Dio è grande,non ha bisogno che lo magnifichiamo; ma noiabbiamo bisogno di occhi per vedere la suagrandezza. Dio è grande nella sua santità. Ègrande per potenza, misericordia, amore, bene-

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2004 47

volenza, aiuto e fedeltà. Il cantico di Maria nelsuo insieme ricorda questi diversi aspetti dellagrandezza di Dio. Questo Dio grande e Signo-re Maria l’ha sperimentato come suo Salvato-re, come colui che è intervenuto potentementenella sua vita. Ella non lo conosce solo in mo-do astratto e generico come il Dio grande, malo conosce a partire da quello che egli ha bene-volmente operato in lei. E questa esperienza diDio non la lascia fredda e indifferente, ma la faesultare di gioia e di entusiasmo. Maria cono-sce bene la sua posizione di fronte a Dio. Sa diessere piccola e insignificante di fronte a Lui.Riconosce tutto questo con sincerità e nons’insuperbisce. Tanto più si rallegra per la mi-sericordiosa benevolenza di Dio nei suoi ri-guardi. Dio l’ha guardata dall’alto: non con di-sprezzo, ma con benevolenza e amore. Si è de-gnato di rivolgerle il suo sguardo, il suo in-teresse e la sua attenzione. Questa premura diDio costituisce il motivo più profondo dellagioia di Maria. L’angelo aveva già parlato diquesta disposizione benevola di Dio nelle sueprime parole, quando aveva chiamato Maria«piena di grazia» (1,28), e quando le avevadetto: «Hai trovato grazia presso Dio» (1,30).Ora Maria è profondamente toccata da questagrazia e ne parla con esultanza e gioia. Conun’espressione ardita, che si proietta su tutti itempi futuri, Maria dice a Elisabetta: «D’ora inpoi tutte le generazioni mi chiameranno bea-ta». Elisabetta l’aveva chiamata beata (1,45);Maria ora afferma: Tu sei stata la prima. Ciòche è iniziato da te non avrà fine. Tutte le ge-nerazioni di tutti i tempi riprenderanno questoinizio e mi chiameranno beata. Come te, anch’esse saranno piene di gioia e di entusiasmo.Anch’ esse riconosceranno che io ho tutti imotivi per gioire, quando sapranno in che rap-porto Dio sta con me e come ha agito in me.

Di queste generazioni facciamo parte an-che noi che celebriamo il compimento dell’a-

zione di Dio in Maria, ma al tempo stessoconfessiamo la fede che ciò che è avvenutoin lei è promessa ed annuncio di quanto ci at-tende come suoi figli in Cristo.

XXI domenica del Tempo Ordinario C22 agosto In cammino verso la gioia

PRIMA LETTURA

Dal libro di Isaia (66,18-21)

I Giudei, che erano tornati dall’esilio pie-ni di fede e di speranza, ma soprattutto di en-tusiasmo, si scontrarono con una realtà quo-tidiana piuttosto deludente. Ben presto tuttele belle speranze innescate dal ritorno sfuma-rono. Sopraggiunse l’apatia e lo scoraggia-mento. Continuando la predicazione del pri-mo Isaia, un anonimo profeta postesilico ten-ta di risvegliare il coraggio del popolo de-scrivendo l’avvenire glorioso che lo attende.Gerusalemme diventerà la città luminosanella quale tutti verranno per incontrare Dio.Sarà una festa universale verso al quale lastoria ci pone già in cammino.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebrei (12,5-7.11-13)

Nella sezione precedente a questa lettura,l’autore della lettera agli ebrei aveva ricorda-to il lungo cammino dei credenti verso lacittà di Dio, il luogo della salvezza. Ora è ne-cessario esortare tutti ad avere tenacia inquesto cammino verso la gioia. La strada èdifficile e lo scoraggiamento sempre alleporte. E’ importante comprendere le varieprove che la vita ci offre come una chiamata

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48 Culmine e Fonte 4-2004

La parola di Dio celebrata

del Signore che ci invita a correggerci di queidifetti che possono rallentare o fermare il no-stro progresso verso la meta della salvezza.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (13,22-30)

Gesù sa dire anche verità scomode: nonvuole ingannare, né lasciare nell’illusione. «Si-gnore, sono pochi quelli che si salvano?». Gesùè venuto come il Salvatore (2,11). Quanti uo-mini raggiungeranno la meta che è venuto adindicare? Gesù non risponde direttamente alladomanda, non indica un numero di salvati, maricorda che cosa è in gioco. La giusta e neces-saria preoccupazione per la salvezza deve con-cretizzarsi nell’agire secondo giustizia. Conquello che afferma sulla porta stretta, Gesù nonintende dire che all’ «ingresso» della vita eternac’è una grande calca; che le persone si ostaco-lano a vicenda; che ci si deve far largo a forza;ma vuole dire che ci si deve sforzare. Non ba-sta solo avere il desiderio di giungervi. Certa-mente è vero che noi veniamo salvati e che nonpossiamo salvarci con le nostre forze, ma que-sto non avviene senza la nostra collaborazioneattiva. Dobbiamo sforzarci e lottare. Non dob-biamo lasciarci trascinare e vivere una vitapiatta. Non dobbiamo credere che Dio in ognicaso debba essere contento di noi, che debbaprenderci così come siamo. Dio è colui che cisalva, ma ci prende sul serio come persone li-bere, responsabili. Vuole che sia nostro deside-rio conquistare la comunione con lui. Sforzarsisignifica avvicinarsi decisamente e consapevol-mente a lui, superare gli ostacoli e mettere daparte tutto il resto. In definitiva vuol dire met-tersi in cammino verso al meta della salvezza.

Poi non basta solo camminare, è ancheimportante affrettarsi! Con le affermazionisulla porta che viene chiusa dal padrone di

casa, Gesù ci ricorda che il nostro tempo è li-mitato. Non possiamo rimandare lo sforzoper arrivare a Dio. Al più tardi con la nostramorte, la porta si chiuderà e si deciderà il no-stro destino. Allora sarà troppo tardi per desi-derare, chiamare e bussare. Sin dall’iniziodobbiamo metterci in cammino verso Dio.Non possiamo vivere una vita secondo il no-stro arbitrio e rimandare alla vecchiaia lapreoccupazione per la salvezza. Non siamonoi a chiudere la porta, ma il Signore. Perciòdobbiamo essere sempre pronti.

Attraverso le affermazioni del padrone dicasa si chiarisce anche che sono necessarie leazioni giuste. Una comunione soltanto este-riore con il Signore non basta. Non bastaaverlo conosciuto, aver ascoltato i suoi inse-gnamenti, essere venuti a conoscenza delVangelo e del cristianesimo: occorrono leazioni giuste. A quelli che vengono respinti ilSignore dice: «Allontanatevi da me, voi tuttioperatori di ingiustizia!».

Infine Gesù non menziona un numero disalvati, ma dà un’indicazione di come è com-posta la loro comunità. Di essa fanno parte ipatriarchi del popolo d’Israele (Abramo,Isacco e Giacobbe), i messaggeri di Dio (iprofeti) e uomini provenienti dai quattropunti cardinali, da tutti i popoli. Nel regno diDio, nella piena comunione con Dio, si rea-lizza anche la comunione con gli uomini.Questa comunione, presente qui sulla terrasolo in forma iniziale, verrà vissuta alloracon piena intensità. Con l’immagine del «se-dere a tavola», del banchetto, viene espressoil carattere gioioso e festoso di tale comunio-ne. Comunione con Dio e comunione con gliuomini in una pienezza di gioia e di festa ca-ratterizzano la salvezza nel regno di Dio.

Tutto questo è in gioco. Chi non si sforzaa tempo debito e con l’agire giusto, si esclu-de da sé da una tale salvezza.

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La parola di Dio celebrata

XXII domenica del Tempo Ordinario C

29 agosto

La vera sapienza

PRIMA LETTURA

Dal libro del Siràcide (3,17-18.20.28-29)

Il libro di Ben Sirach, che la tradizioneantica chiamava l’Ecclesiastico, ci offre undistillato secolare di meditazioni umane at-tuate dal popolo di Dio sull’esperienza checonduce alla fede. L’autore esprime in termi-ni molto concreti la condanna di ogni pretesaorgogliosa. La vera grandezza si rivale nel-l’umiltà con cui il credente sa aprirsi alla sa-pienza, grande dono divino che giunge attra-verso la meditazione attenta della Sua parola.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera agli Ebrei (12,18-19.22-24)

L’autore della lettera agli Ebrei è impres-sionato dal contrasto esistente tra le manifesta-zioni meravigliose di Dio nel giudaismo e lasua umile rivelazione in Gesù. Nella stessa li-nea presenta il contrasto tra il culto ebraico ce-lebrato nello splendore e quello cristiano con-trassegnato dalla semplicità. Eppure ciò checonta è che in ambedue i casi si apre una via diincontro e comunione con Dio, anzi è nel cultocristiano, povero ed umile, che questa via è piùluminosa e gloriosa. Con la venuta di Gesùsulla terra, anche Dio ha scelto la via dell’u-miltà, delle rivelazione attraverso il nascondi-mento e la piccolezza, ma agli occhi della fedevera, nulla della sua gloria si è ridotto, anzi icieli si sono aperti e possiamo volgere losguardo direttamente al paradiso. “Voi vi sieteaccostati al monte di Sion, alla città del Diovivente ed alla Gerusalemme celeste”.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (14,1.7-14)

“Chi è veramente sapiente medita le para-bole”. Questa raccomandazione del Siracide,uno dei grandi maestri di sapienza dell’Anti-co Testamento, dovrebbe metterci sull’avvisonel leggere il vangelo di oggi.

Apparentemente infatti Gesù dà due con-sigli di buona educazione, sulla modestia datenere quando si è invitati, e sulla generositàda vivere quando si è ospiti. Sono consiglivenati anche di una sottile ironia, come eratipico per i consigli dei saggi del mondoorientale. Se infatti l’invitato si siede dovenon gli spetta, molto probabilmente quandoinfine sarà costretto ad alzarsi per cedere ilsuo posto, tutti si saranno già accomodati enon gli resterà altro che l’ultima sedia. Siimodesto, dice Gesù, perché tra l’altro la mo-destia conviene più della superbia. Allo stes-so modo il consiglio della seconda parabolaè venato di ironia: quanti hanno fatto favorisperando di ricevere il contraccambio e sonostati amaramente delusi! Tutto sommato con-viene essere generosi: non saremo delusi edil bene che faremo apparirà in tutto il suo va-lore.

Questi insegnamenti di Gesù hanno il lo-ro valore anche se letti semplicemente così,quasi fossero saggi consigli di una vecchiazia amante delle buone maniere. Non annun-ceremo mai a sufficienza, in un mondo cheesalta l’arrivismo, la sopraffazione, l’azioneper puro interesse, il valore dell’umiltà, dellagenerosità e della gratuità!

Ma proprio perché siamo di fronte a delleparabole è necessario rileggere questo testoevangelico una seconda volta e con una rin-novata attenzione a quanto ci comunica. Nelmondo orientale in cui viveva Gesù, il ban-chetto non era un semplice momento di festa,

Culmine e Fonte 4-2004 49

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50 Culmine e Fonte 4-2004

La parola di Dio celebrata

nel quale ci si preoccupava di mangiare ed almassimo di ricordare qualche evento del pas-sato. Nel banchetto si sanciva l’amicizia e lapace, si celebrava in qualche modo un rito dilode a Dio, ed infatti durante i banchetti era-no frequenti le benedizioni ed i canti di lode.

Possiamo dunque leggere agevolmentequeste parabole facendo riferimento alla no-stra relazione con Dio. Nei confronti di Diol’umiltà è d’obbligo, ma umiltà vuol soprat-tutto dire verità. L’uomo che ha una opinionetroppo alta di sé ritiene spesso di non averebisogno di nulla nella sue esistenza, di sapertrovare da solo le risposte e le soluzioni. Pro-cedendo su questa strada, la via della super-bia, finisce per credere di poter fare a menoanche di Dio. Ai suoi occhi è piuttosto Dioche dovrebbe adeguarsi ai suoi piani, alle suevisioni ed ai suoi progetti. L’uomo che si va-luta con verità invece, riconosce le proprienecessità, e rende lode a Dio che lo sostiene.Questa è la radice della vera sapienza, comericonosce più volte l’Antico Testamento: lachiara coscienza della grandezza di Dio.

L’uomo che con sapienza legge questedue parabole evangeliche, ha la capacità dicomprendere quanto è immensamente spro-porzionato il rapporto tra il dono che Dio cifa invitandoci alla sua mensa, alla comunio-ne di vita con lui, e tutto quanto noi possia-mo dargli in cambio. Dio è veramente quelpadrone di casa che invita gratuitamentestorpi, ciechi e zoppi, ben sapendo che nonhanno da dargli nulla in contraccambio. Dioci ha del tutto gratuitamente invitati alla festadella vita, del tutto gratuitamente ci offre lasalvezza. La sola risposta che possiamo of-frirgli è la gratitudine profonda che nasce dauna sincera umiltà e la generosità nei con-fronti dei fratelli. Questa generosità non èdunque gratuita, essa è restituzione, in picco-la parte, del dono che Dio ci ha fatto.

XXIII domenica del Tempo Ordinario C5 settembreLiberi per seguire

PRIMA LETTURA

Dal libro della Sapienza (9,13-18)

Secondo la mentalità greca la conquistadella sapienza era il risultato di uno sforzodella ragione umana. Nella mentalità biblicaessa è invece frutto di un dono di Dio, datogratuitamente a chi si apre a Lui nella fede.L’autore del libro della sapienza un giudeocolto, che viveva nel mondo greco durante ilprimo secolo aC, sente l’esigenza di avvici-nare il suo uditorio alla bellezza di questa vi-sione religiosa della sapienza. La sapienza èinaccessibile a coloro che pretendono di con-quistarla solo con le proprie forze.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera a Filèmone (9,10.12-17)

Paolo si rivolge con coraggio ad un cristia-no di Colossi domandandogli di accogliere e li-berare uno schiavo che era fuggito e poi si eraconvertito a Cristo. Secondo le leggi del tempoquesto comportamento era incomprensibile e larichiesta di Paolo quasi un’istigazione a delin-quere: la richiesta di assolvere un colpevolecondannato a morte dalle norme del tempo. Aldiritto degli uomini Paolo sostituisce un ordina-mento nuovo, quello dell’amore gratuito. Ri-nunciando al possesso del suo schiavo, Filemo-ne ritroverà un fratello. Il consiglio di Paolo,che sembra stolto secondo una logica umana,attinge ad una sapienza superiore donata daDio che parla di eguale dignità per tutti gli uo-mini, un valore che solo dopo 2000 anni l’uma-nità sta incominciando a riconoscere!

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 4-2004 51

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (14,25-33)

Gesù cammina avanti, alleggerito da ognipeso, infinitamente libero. Una grande follalo segue, e quando si volge verso di loro, dàl’impressione di volerli mettere in fuga. Peressere suo discepolo infatti è necessario“preferirlo al padre, alla madre, alla moglie,ai figli, ai fratelli, alle sorelle e perfino allapropria vita”. Il testo liturgico traduce allalettera “se uno non odia suo padre…” perchéS.Luca ha voluto conservare anche in grecol’espressione originale di Gesù in aramaico.In questa antica lingua parlata dal Signoreinfatti non esiste il comparativo, e per dire“preferire o meno” si usa amare o odiare. Ilvangelo non ci chiede dunque di odiare qual-cuno o qualcosa, tanto meno gli affetti piùcari, ma di preferire il Signore a tutto. Pro-prio questa espressione strana ci offre la cer-tezza che a 2000 anni di distanza stiamoascoltando proprio ciò che Gesù ha detto,con forza e senza tentennamenti.

D’altra parte queste parole sono più checredibili sulla strada che Gesù sta percorren-do. E’ in cammino verso Gerusalemme, sullastrada che porta alla croce. Sta per essere uc-ciso e lo sa bene. E ci sono centinaia di per-sone che lo seguono su quella strada verso lacroce, anche se probabilmente molte non sirendono conto di quanto sia serio e impor-tante il cammino che stanno facendo con Ge-sù. Per questo, almeno per una volta, Gesù sigira e dice loro “sapete bene quello che stateper fare? Siete pronti a pagarne il prezzo?”.Allora come ora molti seguono Gesù, ma c’èspesso un malinteso tra lui ed i suoi seguaci.Anche allora gli andavano dietro con menta-lità sbagliata. Volevano ricavare dei vantaggida Lui, ottenere una posizione migliore, di-ventare ricchi, avere la salute, raggiungere

quella sicurezza che questo mondo non erastato mai capace di offrire. Gesù invece vole-va dare loro un’altra vita, un’altra visionedelle cose. Anche Gesù voleva offrire loro uncambiamento, ma essi pensavano solamentea se stessi, ai loro bisogni e desideri. Gesùinvece pensava al Regno di Dio, il regno del-l’umanità intera, il regno della vera pace,nella giustizia e nell’amore.

Una novità radicale dunque, una novitàmateriale e spirituale insieme, che richiedevaun profondo cambiamento del cuore, una de-cisione senza dubbi e tentennamenti. Per po-terlo seguire è necessario mettere questascelta al di sopra di tutto.

Se le sue esigenze sono così forti è neces-sario pensare bene a cosa si sta facendoquando si vuole seguirlo come discepoli. Aicristiani per abitudine, a quelli che si defini-scono credenti, semplicemente perché è piùfacile che spiegare i motivi della propria po-ca fede, il vangelo propone una riflessioneseria su quanto si sta facendo.

I due esempi seguenti, che il Vangelo pro-pone, aiutano a comprendere. Se uno vuolcostruire una torre deve prima calcolare laspesa e valutare le sue disponibilità. Se un revuol fare una guerra deve avere ben chiare leforze in campo. Ogni impresa, di qualsiasiambito si tratti, ha dunque delle esigenze ine-luttabili: non si può intraprenderla senza averadempiuto alle sue condizioni, senza essernecapace, senza condividerne in pieno l’obietti-vo. Se ora si tratta di diventare discepolo diGesù, la concretezza e le esigenze di uncomportamento maturo e responsabile noncambiano.

Le condizioni, la necessaria preparazio-ne, l’accettazione dell’obiettivo, si riassu-mono in un solo atteggiamento: “rinunciarea tutti i propri beni”. Non si tratta di fare lasomma delle proprie risorse o dei propri

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La parola di Dio celebrata

uomini, al contrario si rinuncia a tutto purdi entrare nel numero dei discepoli di Gesù.Si continuerà certo ad amare la propria fa-miglia, come ordina il comandamento, masi orienteranno la propria vita, le propriescelte, le proprie decisioni, verso una aper-tura di cuore ancora più profonda ed uni-versale. Si tratterà di seguire quel Gesù cheogni giorno indica un traguardo più esigen-te, un orizzonte più ampio. E’ sempre luiche cammina avanti, seguito da una follaprovvidenzialmente destinata a crescereogni giorno.

XXIV domenica del Tempo Ordinario C

12 settembre

Ci sarà gioia.

PRIMA LETTURADal libro dell’Esodo (32,7-11.13-14)

Dio ha giustamente deciso di punire il suopopolo. Il crimine che hanno commesso è im-menso: proprio la generazione che aveva otte-nuto dal Signore i più grandi benefici, lo haabbandonato per seguire un idolo, il vitellod’oro. Ma prima di inviare il suo castigo Dioparla con Mosè, quasi in attesa della sua dife-sa. Mosè parla con semplicità ed affetto, da ve-ro avvocato difensore del suo popolo, e subitoDio perdona, con una velocità che lascia stupi-ti. Sembra quasi che il suo desiderio di perdo-no fosse tanto grande da attendere soltanto unpretesto, un motivo anche piccolissimo per po-ter aprire il suo cuore paterno, traboccante dimisericordia. Sembra impossibile che in tantapredicazione passata si sia potuta dare un’im-magine truce di Dio, un Dio malfidato, chespia gli uomini pronto a coglierli in fallo, cheoffre a caro prezzo la sua misericordia.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di S. Paolo apostolo aTimòteo (1,12-17)

Le parole che Paolo rivolge a Timoteo ap-paiano come un inno alla traboccante miseri-cordia di Dio. Paolo è ancora meravigliato,dopo tanti anni, della grandezza della miseri-cordia divina che era andata incontro a lui: ilpersecutore dei cristiani!

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (15,1-32)

La gioia del pastore che ha ritrovato la pe-cora che aveva perduta, la gioia della donnache spazzando la casa ha recuperato la monetad’argento, la gioia del padre che finalmentescorge da lontano il ritorno del figlio, è sem-pre la gioia di Dio, degli angeli, di tutto il cie-lo. Non sono necessarie spiegazioni, non ser-vono chiarificazioni, non è altro che gioia. E,fatto non secondario, una gioia condivisa:“rallegratevi con me”… “era giusto far festa erallegrarsi”. Queste parabole non sono sempli-cemente dei racconti ricchi di belle immagini,sono soprattutto il ritratto del comportamentodi Gesù nei confronti dei peccatori. Quando liincontra non pone loro condizioni, non si met-te a fare la morale, ma va decisamente egioiosamente verso di loro. Gesù perdona ve-locemente, come se volesse dimenticare infretta, come se ai suoi occhi il passato fossegià scomparso. La persona, rinnovata dal per-dono, che ora si trova davanti, attira irrimedia-bilmente tutta la sua attenzione.

Il padre del figliol prodigo non gli lascianemmeno finire la confessione che il pecca-tore aveva lungamente preparato lungo lastrada. Questo padre amante ha fretta di ri-vestirlo con l’abito della festa. Quanto è at-

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traente un Dio così ricco d’amore miseri-cordioso!

E’ proprio la conoscenza di questo amoreche può scardinare le situazioni più disastro-se. Il Padre sa bene che ciò che ferma il pec-catore e lo inchioda per sempre nella sua si-tuazione di peccato è la convinzione di esse-re ormai perduto, la certezza che non ci saràpiù spazio per tornare indietro. Nella peda-gogia di Gesù, prima ancora della condannae del dito puntato contro il peccato c’è l’an-nuncio gioioso, veramente Evangelico, chec’è spazio per il pentimento, c’è tempo per ilcambiamento, c’è sempre la possibilità ditornare alla primitiva innocenza perché il Pa-dre è ricco di misericordia lento all’ira egrande nell’amore.

Tutta la fiducia che traspare dal bellissi-mo salmo 50. Il salmo penitenziale per eccel-lenza, non si spiega al di fuori di questa fedenella misericordia divina. Questo salmo cheè confessione e richiesta di perdono è però altempo stesso un inno alla grandezza dellamisericordia divina: “Pietà di me, o Dio, se-condo la tua misericordia; nella tua grandebontà cancella il mio peccato”.

L’annuncio evangelico della misericordiaè diventato particolarmente prezioso oggi, inun mondo dalla giustizia facile, dalle con-danne prima del processo, dalla gogna pub-blica prodotta dai mass media e dal protago-nismo di certi giudici.

Gesù vive un costante conflitto con gli uo-mini che confondono Dio con la loro visionedella legge. In qualche modo vuol liberare gliuomini e lo stesso Dio da immagini troppoanguste generate dall’egoismo e non dalla ve-rità. E’ una lotta ancora attuale, che il vangeloporta avanti anche contro le grettezze e lementalità razziste del nostro tempo. Queglischemi e quei giudizi affrettati con cui spessoetichettiamo Dio e gli altri uomini. Il vangelo

distrugge queste costruzioni malvagie con lesue semplici storia di vita quotidiana, di pa-stori che ritrovano una pecora, di donne cherecuperano una monetina perduta, di figli chetornano a casa e si incontrano con la gioia diun Padre che ama perdonare.

Esaltazione della Santa Croce14 settembreCosì Dio ha amato il mondo!

PRIMA LETTURA

Dal libro dei Numeri (21,4b-9)

Gli Ebrei ricordavano uno strano episodioavvenuto durante l’esodo. Punito, perché sirifiutava di procedere, il popolo aveva trova-to la guarigione guardando il serpente dibronzo. Questo era nel mondo mediorientaleil simbolo pagano di un dio guerriero e dove-va piuttosto indicare il peccato e la forze delmale piuttosto che la salvezza e la vittoriadella fede. Più tardi san Giovanni utilizzeràquesta immagine come simbolo di Gesù sullacroce. Infatti anche la croce, come il serpentedi bronzo, era un’immagine sorprendente,apparentemente indicava la sconfitta del veroDio e la vittoria di satana, in realtà segnaval’inizio del definitivo trionfo divino sul male.Le vie di Dio non sono le nostre vie.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di S.Paolo ai Filippesi (2,6-11)

S.Paolo riporta un inno liturgico della co-munità primitiva che esalta la gloria del Cristocentrata sul mistero pasquale di morte e resur-rezione. Siamo di fronte da una delle manife-stazioni più antiche della fede della chiesa:

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Gesù è fra noi la manifestazione di Dio. Tuttala sua vita è stata un dono suggellato nell’of-ferta di sé sulla croce. La sua resurrezioneproclama il trionfo dell’amore che si donasenza riserve.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (3,13-17)

Il confronto con l’episodio del serpentenarrato dal libro dei numeri chiarisce il signi-ficato della croce di Cristo: colui che è innal-zato sulla croce non è uno che sprofonda to-talmente nel ludibrio; Dio ha stabilito che ilCrocifisso sia il simbolo della salvezza, la

fonte della vita. Non dobbiamo distogliere losguardo da lui e cercare di dimenticarlo;dobbiamo invece sollevare il nostro sguardoverso di lui e riconoscerlo come nostro sal-vatore. Non c’è altra via per la vita, né altrapossibilità di sottrarsi alla morte se non inlui; l’unione con lui è la vita. Noi otteniamotale unione credendo in lui, che è il Crocifis-so, abbandonandoci e affidandoci completa-mente a lui. Confidando nel Crocifisso, rico-nosciamo l’amore smisurato di Dio e ci tro-viamo nella sfera d’azione della sua potenzavivificante.

Giovanni continua ed approfondisce que-sta riflessione: dietro il Crocifisso c’è Diostesso. Dio ha donato e mandato Gesù peramore verso l’umanità intera, preoccupando-si per la sua salvezza. La croce di Gesù è, daun punto di vista esteriore, un segno di comeegli fosse privo di potere, di come Dio l’a-vesse abbandonato e di come l’umana cru-deltà avesse trionfato sulle sue rivendicazio-ni e sulle sue opere. Ma non appena diventachiaro che Dio ha mandato Gesù e ne ha sta-bilito il cammino, la croce diventa simbolodell’amore smisurato di Dio. Essa dimostraquanto lontano vada Dio nel suo amore, equanto lontano vada Gesù nella sua offerta disè per noi uomini.

Il messaggio del Crocifisso è ben chiaro:Dio ama il mondo e vuole la salvezza delmondo. Il suo amore ha un’intensità e unamisura tali che, se fosse possibile, si dovreb-be dire: Dio ama il mondo, noi uomini, piùdel suo stesso Figlio. Dio non si è distoltodal mondo, lasciandolo a se stesso. Anzi, viprende tale parte da abbandonare ad esso ilproprio Figlio, da darlo in dono.

Noi uomini abbiamo tanto valore ai suoiocchi che egli mette a repentaglio il proprioFiglio per noi. Dopo la creazione, la Legge, iprofeti e tutte le altre forme della sua solleci-

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La croce, albero della vita, mosaico absidale, Roma, basilica di San Giovanni in Laterano

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tudine, il Figlio è la sua ultima parola e il do-no di valore supremo fatto a noi uomini. IlFiglio deve prendersi cura di noi personal-mente, deve mostrarci la via della salvezza,deve conquistarci alla comunione con lui ealla vita eterna.

Dio però non procura la nostra salvezzasenza di noi, né contro la nostra volontà. Daparte nostra si richiede che ci apriamo a que-sta sollecitudine di Dio, che prendiamo sulserio questo suo amore incredibile, che cre-diamo nel Figlio di Dio crocifisso. Solo sesiamo convinti che il Crocifisso è l’unico eprediletto Figlio di Dio, la potenza di questoamore di Dio può raggiungerci efficacementee noi possiamo sbocciare pienamente alla sualuce e al suo calore. La nostra vita dipendedalla nostra fede.

XXV domenica del Tempo Ordinario C19 settembre Beati gli scaltri!

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Amos (8,4-7)

Durante l’VIII secolo aC un contadinodei monti di Giuda giunge, seguendo lachiamata di Dio, a predicare nelle ricche cit-tadine del regno di Israele: è Amos. Le sueparole sono taglienti: dietro la facciata bril-lante delle case dei ricchi, addirittura dietrole stesse feste religiose celebrate con grandesolennità, scopre un mondo di profonda in-giustizia e di sfruttamento dei poveri.Profondamente disgustato il profeta denun-cia queste falsità ed annuncia l’imminentecastigo divino. La sue parole sono un invitoa scegliere la via del bene con risolutezza efinché siamo in tempo, infatti la punizione èormai alle porte.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di S. Paolo apostolo aTimòteo (2,1-8)

Nelle sue lettere Paolo non ha mai diretta-mente lottato contro le ingiustizie sociali opolitiche, egli prima di tutto era un evange-lizzatore e non un rivoluzionario. Però hasempre sollecitato, in positivo, a vivere lavera fraternità universale, pregando perché iresponsabili di questo mondo scoprissero laloro vocazione ad operare come costruttori digiustizia e di pace. Può sembrare un approc-cio ingenuo ed idealista al problema dell’in-giustizia sociale, mentre invece è profonda-mente saggio e realista. Infatti la giustizianon potrà mai realizzarsi in questo mondo segli uomini non prendono seriamente l’inizia-tiva di smettere di condannare ed iniziano adimpegnarsi tutti nella costruzione della ci-viltà dell’amore.

VANGELODal vangelo secondo Luca (16,1-13)

La parabola dell’amministratore disone-sto ha spesso scandalizzato i pii lettori delvangelo: come è possibile elogiare un talefurfante che falsifica le ricevute ed addirittu-ra invita i debitori del suo padrone a farsicomplici di una truffa? Un truffatore che por-ta altri sulla strada della disonestà, come puòessere portato ad esempio ai cristiani che vo-gliono veramente servire Dio? Gesù in realtàè ancora più scaltro dell’amministratore dellaparabola. Con le sue parole prende in giroquanti sono attaccati ai soldi e trova al tempostesso la maniera di conquistare l’attenzionedel suo uditorio, il suo messaggio infatti èimportante e richiede concentrazione per es-sere ben compreso.

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Gesù dunque conquista l’audience deisuoi ascoltatori raccontando la storiella gu-stosa di un amministratore disonesto e dellasua scaltrezza, che gli permette di imbro-gliare ancora un padrone che è così inge-nuo e credulone da restare quasi antipatico.Infatti, chiunque di noi scoprisse gli am-manchi di un amministratore, per prima co-sa gli toglierebbe il libretto delle ricevute!Gesù non è però un cantastorie che vuol so-lo conquistare l’applauso. Ora che il suouditorio apprezza divertito l’inventiva, lascaltrezza, la velocità, il genio del male diquesto amministratore, Gesù si rivolge aciascuno e lo invita ad altrettanta inventiva,scaltrezza e velocità, a crescere nella genia-lità del bene.

Sembra di percepire una certa amarezzanelle parole di Gesù: “I figli di questo mon-do, infatti, verso i loro pari sono più scaltridei figli della luce”. E’ il Signore del mon-do, colui che con iniziativa e genialità asso-luta ha fatto tutte le cose, che si dispiace nelvedere i suoi figli prediletti, i Figli della lu-ce, diventare grigi. La nostra testimonianzadi fede è dotata spesso di poca inventiva.Quanto siamo più attivi ed interessati quan-do si tratta di difendere i nostri interessi eco-nomici!

In una riunione di laici e sacerdoti diqualche tempo fa, un santo prete, amantedell’arguzia come Gesù, si presentò alla fi-ne con un foglietto nel quale aveva calcola-to con proporzione cronometrica quanti mi-nuti della conversazione appena terminataerano stati dedicati alla pastorale e quanti aquestioni economiche. “Là dove spendi iltuo tempo è anche il tuo cuore…” fu il suolapidario commento. Gesù sa ben ammini-strare anche l’attenzione del suo uditorio,per questo senza curarsi troppo della coe-renza logica, riprende un elemento della gu-

stosa parabola e lo sviluppa in una direzio-ne del tutto nuova.

L’amministratore disonesto era ben co-sciente del potere del denaro e lo aveva usa-to per il suo personale interesse. Gesù ci in-vita ad imitarlo, non nella disonestà, menell’uso intelligente dei beni che possedia-mo. Un buon amministratore in vista del re-gno dei cieli è colui che sa rinunciare allaricchezza economica in vista della ricchez-za spirituale dell’amicizia. Non si tratta difare i puritani o gli scandalizzati: anche sela ricchezza e la disonestà vanno spesso abraccetto, è sempre possibile fare un usobuono e corretto dei beni che in definitivaDio stesso ci ha donato.

Con la stessa libertà precedente, Gesùritorna sulla parabola per sviluppare un ul-timo elemento e ribadire che la sua lodedella scaltrezza dell’amministratore non erauna assoluzione generalizzata per quantiimbrogliano. La correttezza ed onestà è unvalore umano che il cristiano deve ricono-scere come fondamentale nel suo agirepubblico. Noi che siamo chiamati alla gran-dezza della carità dobbiamo almeno attuarein pienezza la giustizia e la rettitudine. Equesto pretende una radicalismo che nonlascia spazio a “licenze poetiche” nell’am-ministrazione della giustizia e dell’econo-mia. Credo non esista una frase meno cri-stiana del motto “gli affari sono affari”. E’invece una frase profondamente pagana,che rivendica uno spazio in cui Dio e la sualegge non debbono entrare.

E Gesù ci invita a non cadere nell’ingan-no di distinguere tra grandi e piccoli imbro-gli. La soglia dell’imbroglio lecito, una voltaaccettata, salirà fino a mettere in bocca ai po-tenti di turno l’affermazione che per loro “ru-bare miliardi non era un fatto rilevante per-ché nelle migliaia di miliardi che ogni giorno

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amministravano qualche piccola debolezza sipoteva tollerare…”.

XXVI domenica del Tempo Ordinario C

26 settembre

Cesserà l’orgia dei buontemponi.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Amos (6,1.4-7)

Amos vive nel regno del nord al tempo diGeroboamo secondo, in una società ricca epotente, dove certo ci sono ingiustizie socialie molti poveri dimenticati, ma chi dovrebbepreoccuparsi di questo? Il profeta si scagliaallora con veemenza contro questa società diricchi che dimenticano i poveri, che conside-rano normale una differenza così smaccatatra chi ha tutto e chi non ha nulla.

Nelle sue parole non c’è un giudizio pre-concetto contro il progresso o la ricchezza,ma piuttosto l’annuncio di quanto questecose possono anestetizzare la sensibilità,rendere incapaci di comprendere la prova ela difficoltà di chi ci vive al fianco. E’ comevivere in una perenne ebrezza, “un’orgiadei buontemponi” dove si perde anche al ca-pacità di valutare il pericolo imminente, ilsenso e valore anche delle cose più naturali.Questo permetterà alla società di Amos diavviarsi spensieratamente de allegramenteverso la sua più crudele rovina, costituitadall’invasione nemica e dall’esilio. E’ undestino tragico che ha segnato tante civiltà eche rischia di travolgere anche la nostra ci-viltà del benessere, che provoca “allegra-mente” malessere e povertà in due terzi delmondo.

Il profeta non ha dubbi sul giudizio cheDio dà di questa situazione e sul fatto che

quanti vivono spensierati nel benessere saran-no bruscamente risvegliati nel giorno del ren-diconto.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di S. Paolo apostolo aTimòteo (6,11-16)

Per S.Paolo la giustizia consiste nel por-si correttamente davanti a Dio. Nella misu-ra in cui l’uomo è consapevole della pro-pria debolezza ed è animato dalla certezzadella misericordia divina, può scoprirel’autentico rapporto con i fratelli. L’esorta-zione dell’Apostolo a Timoteo può sem-brarci esclusivamente religiosa e molto lon-tana dai problemi concreti del mondo dioggi. In realtà essa mira alla radice di ognicomportamento umano. Unirsi con la fedea Gesù Cristo, vuol dire impegnarsi per unmondo nuovo, di giustizia e di amore. Nonha senso contrapporre amore di Dio edamore del prossimo.

VANGELODal vangelo secondo Luca (16,19-31)

Gesù con una gustosa parabola presentalo stesso insegnamento offerto dal profetaAmos nella prima lettura, ma interpellandopiù direttamente non tanto una intera societàpeccatrice, quanto i rapporti di ogni singolocon i fratelli che incontra sulla sua strada. Uninsegnamento diretto ai singoli che non an-nulla quello precedente indirizzato a tutta lasocietà, anzi lo rende ancora più forte e re-sponsabilizzante.

E’ una parabola ben raccontata, dove an-che i particolari apparentemente marginalisono preziosi.

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La parola di Dio celebrata

Del povero sappiamo il nome. Gesù pre-cisa che si chiamava Lazzaro, un nome chesignifica “Dio è venuto in aiuto”. E’ pro-prio la sua sofferenza, il suo bisogno estre-mo che attira su di lui tutta l’attenzione diGesù, per questo lo vede, non vede altri chelui e ricorda con chiarezza il suo nome.D’altra parte l’unica cosa preziosa che pos-sedeva era il suo nome. D’altro non avevanulla e forse anche per questo tutti gli pas-savano al fianco senza notarlo, come senon esistesse. Non aveva altri che i caniche si interessassero di lui… a parte Dio.Un Dio molto attento a tutto quello che ac-cade all’uomo, ad ogni uomo ed in partico-lare a chi soffre ed è solo.

Il ricco non ha nome nella parabola. E’un ricco e questo basta. Quanti uomini chevivono solo per i beni che possiedono, in

perfetto disinteresse per quanto accade attor-no a loro potrebbero essergli sostituiti. Inqualche modo è diventato come una dellesue monete: intercambiabile, freddo, insen-sibile e senza volto.

Ma giunge la morte e tutto si capovolge.Lazzaro è adesso nel seno di Abramo, cioèsecondo il linguaggio biblico al centro delparadiso. Il ricco è invece incatenato e sotto-posto alla tortura della sete. Eppure anche daquella condizione non riesce a veder in Laz-zaro altro che un servo, che possa venire adalleviare la sua sofferenza, un portatored’acqua.

Abramo ricorda allora il grande abisso cheè stato creato tra i due uomini. E diventachiaro che l’abisso non è stato certo posto daun giudizio esageratamente severo di Dio. E’il ricco che in tutta la sua vita ha costruitoquesto abisso, che lo teneva separato da Laz-zaro e da tutti quelli come lui. E’ il ricco chein vita ha ucciso ogni possibilità di comuni-cazione con il fratello Lazzaro ed ora è im-possibile che questo fratello possa soccorrer-lo.

Allora, che almeno Lazzaro vada ad av-vertire i suoi fratelli che sono a casa, che so-no vivi, con i quali il ricco ha conservato unminimo di rapporto affettivo. Poco certo, masufficiente a fargli desiderare che almeno lo-ro possano salvarsi.

Abramo ricorda che essi hanno le SacreScritture che si leggono in Sinagoga, nonhanno che da ascoltare. Ma sa bene che an-che se un morto risorgesse non cambierebbenulla nei loro cuori chiusi alla Parola di Dioe quindi incapaci di qualsiasi vera attenzioneal di fuori di sé.

E’ un annuncio terribile, eppure verissi-mo. La ricchezza può rendere l’uomo ciecoed insensibile a tutta la vita che lo circonda escavare quell’abisso profondo che lo sepa-

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ANIMAZIONE LITURGICA

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Quando la comunità è radunata entrano due persone con una lampada e un ministrocon il Libro dei Vangeli che viene posto sull’altare, intanto si esegue un canto di acco-glienza e s’incensa l’Evangeliario.

Guida: In questa celebrazione ripercorriamo due tappe della liturgia dell’inizia-zione cristiana: l’ammissione al catecumenato e la richiesta del nome. Essa riportaun’antica prassi ecclesiale di evangelizzazione, ascolto della Parola delSignore nella comunità dei fedeli che gli annuncia la salvezza trasmessada Cristo. Come assemblea radunata nel nome della Trinità Santissimadisponiamo i nostri cuori all’accoglienza della Parola di salvezza; chie-diamo il sostegno di Santa Maria, donna obbediente che si è fatta servadella Parola, messaggera di speranza fra le genti.

Chi presiede prununcia la seguente orazione: Dio onnipotente edeterno creatore di tutto l’universo, che hai formato l’uomo a tua im-magine, accoglici amorosamente e fa’ che, sostenuti e rinnovati dallatua parola ascoltata, giungiamo con la tua grazia alla piena conformità con ilCristo tuo Figlio. (cf RICA 95) Accoglici nel tuo regno Signore e apri gli occhi delnostro cuore perché comprendiamo il tuo Vangelo, e, come figli della luce, di-ventiamo sempre più membra vive della tua Chiesa santa, chiamati a renderetestimonianza alla verità. (cf RICA 115). Per Cristo nostro Signore. Amen

Si depongono davanti all’Evangeliario delle lampade accese.

I momento: l’ammissione al catecumenato

Guida: La vita di ogni uomo è segnata da un appuntamento con il Signore.Qualunque sia l’ora, arriva il tempo in cui la nostra sete di infinito trova ristoronel messaggio di Gesù che chiama a seguirlo nonostante segnali contrari a taleproposta. Disorientati, confusi in un mondo sommerso da mille voci, la Voce delFiglio di Dio scava percorsi misteriosi nel cuore dell’uomo e si fa sentire, comeun suono, un profumo che dà gusto alla vita.

Lettore: Dal Vangelo di Giovanni (1,35-39)

In quel tempo, Giovanni stava sulle rive del Giordano con due dei suoi discepoli e,fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i due di-scepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo chelo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì” (che significa maestro)dove abiti? Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitavae quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

Veglia di preghieraChiamati a rendere testimonianza della verità

di suor Clara Caforio, ef

Preghiamo

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Viene collocata al fianco dell’altare l’icona del Volto di Gesù mentre si esegue un cantoadatto.

Lettore: Mostrati, Signore a tutti i cercatori del tuo voltoMostrati, Signore, a tutti i pellegrini dell’assoluto,Vieni incontro, Signore.Con quanti si mettono in cammino, e non sanno dove andare cammina; Signore;affiancati e cammina con tutti i disperatisulle strade di Emmaus;e non offenderti se essi non sannoche sei tu ad andare con loro,tu che li rendi inquieti e incendi i loro cuori;non sanno che ti portano dentro:con loro fermati poiché si fa serae la notte è buia e lunga, Signore. (David Maria Turoldo)

Guida: Il cammino di ogni credente ha inizio proprio da un incrocio disguardi, il primo a trovarci é sempre il Signore, ci precede in tutto per-ché amante; ci incontra là dove non penseremmo mai di essere rag-

giunti. Si piega fin nelle fessure più nascoste delle vicende umane, si abbassa làdove la miseria ci rende piccoli e deboli.

Lettore: Dal Vangelo di Giovanni (1,43-51)

Il giorno dopo Gesù incontrò Filippo e gli disse: “Seguimi”. Filippo era di Betsai-da, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaele e gli disse: “Abbia-mo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, fi-glio di Giuseppe di Nazaret”. Natanaele esclamò: “Da Nazaret può mai venirequalcosa di buono?”. Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”. Gesù intanto, visto Nata-naele gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo tichiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico “. Gli replicò Natanaele: “Rabbì,tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!” Gli rispose Gesù: “Perché ti ho dettoche ti avevo visto, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”. Poi gli disse: “In ve-rità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scenderesul Figlio dell’uomo”.Sostiamo in Silenzio prolungato.

Due lettori proclamano il Salmo, l’assemblea ripete ad ogni strofa il ritornello.

Guida: Il salmo 138 è una profonda meditazione sulla conoscenza che Dio hadell’uomo; il salmista sente che il Signore conosce tutto di lui fin dal grembomaterno: sentimenti e azioni esteriori; nulla gli è nascosto, poiché tutto è inon-dato da quell’oceano infinito di luce.

Preghiamo

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Salmo 138 Signore, tu mi scruti e mi conosci,tu sai quando seggo e quando mi alzo.Penetri da lontano i miei pensieri,mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie;la mia parola non è ancora sulla linguae tu, Signore, già la conosci tutta.Alle spalle e di fronte mi circondie poni su di me la tua manotroppo alta, e io non la comprendo.

Rit. A te la lode e la gloria nei secoli Signore

Dove andare lontano dal tuo spirito,dove fuggire dalla tua presenza?Se salgo in cielo, là tu sei,se scendo negli inferi, eccoti.Se prendo le ali dell’auroraper abitare all’estremità del mare,anche là mi guida la tua manoe mi afferra la tua destra.Se dico: “almeno l’oscurità mi coprae intorno a me sia la notte”;nemmeno le tenebre per te sono oscure,e la notte è chiara come il giorno;per te le tenebre sono come luce.

Rit. A te la lode e la gloria nei secoli Signore

Sei tu che hai creato le mie viscereE mi hai tessuto nel seno di mia madre.Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio,sono stupende le tue opere,tu mi conosci fino in fondo.

Rit. A te la lode e la gloria nei secoli Signore

Non ti erano nascoste le mie ossaquando venivo formato nel segretointessuto nelle profondità della terra.Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhie tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati,quando ancora non ne esisteva uno.Quanto profondi per me i tuoi pensieri,

Preghiamo

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quanto grande il loro numero, o Dio;se li conto sono più della sabbia,se li credo finiti, con te sono ancora.

Rit. A te la lode e la gloria nei secoli Signore

II momento: Celebrazione dell’iscrizione del nome

Guida: In questo secondo momento della nostra celebrazione ripercorriamo ilsignificato del nome che nella fede e nella mentalità di tutti i popoli è un ele-mento indivisibile della persona. Chi conosce il nome di un essere, può esercita-re il suo influsso su di esso. Anche in Israele il nome proprio caratterizza la per-

sona. Dio completa la creazione chiamando per nome tutti gli astri eincaricando l’uomo di dare un nome a tutti gli animali.

Si porta un cartellone bianco su cui alcuni catechisti scrivono il loro nome.

Guida: L’importanza del nome è testimoniata anche dal cambiamentodel nome delle persone. Tale cambiamento è compiuto anche daJavhè, quando ai suoi eletti dà un nuovo significato nel posto che oc-cupano o in previsione della missione che compiranno.

Lettore: Dal libro della Genesi (17, 3-5)

Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: “Eccomi: la mia alleanza ècon te e sarai padre di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abramma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò”.

Guida: Particolarmente significativo è il nome di Javhè che egli stesso manife-stò nella rivelazione del Sinai. Fa parte delle caratteristiche fondamentali dellarivelazione biblica il fatto che Dio non sia senza nome, ma abbia un nome pro-prio con cui può e deve essere chiamato.

Lettore: Dal libro dell’Esodo (3, 4-6)

Il Signore vide che Mosè si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal rovetoe disse: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Non avvicinarti! Togliti isandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!” E disse: Iosono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”.Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Si fa silenzio interiorizzando i testi proclamati.

Guida: La pienezza della vita e dell’opera di Gesù sono espresse dal suo nome.Egli è insignito del sublime nome di Figlio; il suo nome è “parola di Dio”. Il titolodi Signore, dato a Dio, diventa anche il suo nome. Invece che Gesù egli può esserechiamato “il Nome” poiché nel nome di Gesù è presente l’intero contenuto dellaverità salvifica. (cf Dizionario dei Concetti biblici del Nuovo Testamento, 1092-1098)

Preghiamo

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Culmine e Fonte 4-2004 63

Lettore: Dalla lettera agli Ebrei (13, 7-15)

Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; conside-rando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo èlo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine,perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non han-no mai recato giovamento a coloro che ne usarono. Noi abbiamo un altare delquale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che sono al servizio del Taberna-colo. Infatti i corpi degli animali, il cui sangue vien portato nel santuario dal som-mo sacerdote per i peccati, vengono bruciati fuori dell’accampamento. Perciò an-che Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della porta del-la città. Usciamo dunque e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio, perchénon abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura. Permezzo di lui dunque offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio,cioè il frutto delle labbra che confessano il suo nome.

Guida: L’inno “akatistos” è una forma di preghiera usata dai cristia-ni di rito bizantino. Letteralmente “akatistos” significa inno che sicanta in piedi. Esso viene attribuito ad un monaco e contiene innu-merevoli volte il nome di Gesù, forse ispirato alla pratica molto dif-fusa in Oriente della cosiddetta Preghiera di Gesù.

Ci si alza in piedi e si proclama.“Essendo ricco di misericordia, o Gesù, chiamasti a te i pubblicani, i peccatori e ipagani: non disprezzare neanche me, che a loro somiglio, ma come preziosobalsamo accogli il mio canto: Gesù, forza invincibile:

Gesù, bontà infinita.Gesù, bellezza splendente:Gesù, amore indicibile.Gesù, figlio del Dio vivo:Gesù, pietà di me peccatore.Gesù, ascolta me concepito nelle iniquità:Gesù, istruisci me dissoluto:Gesù, illumina me ottenebrato.Gesù, purifica me corrotto:Gesù, raddrizza me caduto.Gesù, figlio di Dio, pietà di me.

Concluso l’inno tutta la comunità si avvicina al Santo Vangelo sorretto dal ministro e lobacia in segno di venerazione, si canta o si ascolta un brano musicale.

A conclusione l’assemblea viene congedata con le seguenti parole liberamente adattate:

O Dio che illumini ogni uomo che viene nel mondo e attraverso le opere dellacreazione manifesti le tue invisibili perfezioni, perché impari a renderti grazie. Guar-da questi figli che desiderano seguire la tua luce e percorrere la via del Vangelo per-ché, ponendo i fondamenti di una vita nuova, possano riconoscere il Dio vivente, cherealmente rivolge agli uomini la sua parola. Per Cristo nostro Signore. Amen

Preghiamo

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64 Culmine e Fonte 4-2004

Per questo tempo ordinario dell’esta-te avremmo grande abbondanza diinni a cui rivolgere la nostra atten-

zione. Ho voluto scegliere l’Ave marisstella per diversi motivi. Innanzi tutto, perdare rilievo alla figura della Vergine: nelcuore del tempo estivo c’è la solennità

dell’Assunzione di Maria, matrattandosi di un dogma pro-clamato solo da una cinquanti-na di anni, gli inni previsti dalbreviario non sono molto anti-chi (sebbene la festa fosse cele-brata già da quasi un millennioe mezzo1). Ho preferito perciòaccostarmi alla figura di Mariatramite questo inno più arcai-

co. Inoltre, trattandosi una rubrica di ca-rattere pratico, che intende invitare a unuso abituale degli inni latini per la pre-ghiera della liturgia delle ore, è senz’altropreferibile partire da testi più largamenteconosciuti. Infine, perché questo inno,che è previsto per i secondi vespri dellesolennità e feste mariane, ci offre l’occa-sione di spendere una parola sul cosid-detto comune della liturgia delle ore.

E partiamo proprio da quest’ultimopunto. Non tutte le festività liturgichehanno sviluppato inni e preghiere ap-positamente composte per quella spe-cifica occasione. Talvolta si ricorre dun-que a testi comuni a più festività ana-loghe; ciò vale per la liturgia delle orecome pure per la liturgia eucaristica.Laddove non ci sono testi speciali perquel particolare santo o per quella par-ticolare ricorrenza, si fa ricorso ad alcu-ni testi suppletivi, comuni a più cele-brazioni. Si trova così (nell’ordine) il co-

mune della dedicazione di una chiesa,quello della Beata Vergine Maria, degliapostoli, dei martiri, dei pastori e dot-tori, delle vergini, dei santi e delle san-te. Si possono così trovare testi di pre-ghiera sufficientemente flessibili peradattarsi a ogni occasione liturgica einsieme abbastanza pertinenti da nonessere generici. Forse, volendo iniziarea utilizzare i testi latini, potrebbe esse-re opportuno partire proprio dalla co-noscenza degli inni comuni: si tratta in-fatti di testi che possono essere utiliz-zati con un certa frequenza, e dunquelo sforzo di impararli sarebbe più am-piamente ricompensato (invece di affa-ticarsi per un testo che si può pregaresolo una volta l’anno…).

L’inno Ave Maris stella risale al seco-lo VIII, senza che si possa identificarel’autore. È un testo semplice nelleespressioni e nella metrica, intriso di af-fettuosa devozione verso la Madre diDio e ricco di una teologia mariana ela-borata poeticamente ma sempre salda-mente fondata sulla Scrittura. Uno diquei casi (non rari, in vero!) in cui dav-vero la lex orandi dà forma alla lex cre-dendi: la preghiera liturgica è non soloespressione della teologia, ma anchesua fonte ispiratrice. Accanto alle settestrofe del testo originale riporto unamia traduzione, tanto letterale quantopoeticamente insoddisfacente. Invito aconfrontarla con quella del breviario (amio giudizio abbastanza felice, sia dalpunto di vista della resa letteraria initaliano, sia dell’aderenza al testo) conl’unico scopo di favorire una miglioreintelligenza delle espressioni latine.

Ave Maris stella di don Filippo Morlacchi

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Culmine e Fonte 4-2004 65

L’appellativo di “stella del mare”può risultare oggi quasi incomprensibi-le per chi sia del tutto digiuno dellemodalità di navigazione nell’antichità.Le maggiori difficoltà dei viaggi in ma-re aperto per i nocchieri erano legatealla ricerca dell’orientamento. Ai nostrigiorni siamo in possesso di radar e siste-mi di puntamento satellitare, capaci difornire le esatte coordinate di una im-

barcazione istante per istante. Maquindici o venti secoli fa, sprovvisti an-che di bussola o di gnomone, comeorientarsi? Di giorno il sole è sufficienteper indicare l’orientamento; ma di not-te? Solo la volta celeste poteva aiutarea non perdere la giusta direzione. Nelnostro emisfero è la stella polare il pun-to di riferimento obbligato. Immaginia-mo l’oscurità di una notte senza luna,

Ave, maris stella,Dei mater alma,atque sempre virgofelix caeli porta.

Sumens illud «ave»Gabrielis ore,funda nos in pace,mutans Evae nomen.

Solve vincla reis,profer lumen caecis,mala nostra pelle,bona cuncta posce.

Mostra te esse matrem,sumat per te precesqui pro nobis natus tulit esse tuus.

Virgo singularis,inter omnes mitis,nos culpis solutosmites fac et castos.

Vitam praesta puram,iter para tutum,ut videntes Iesum semper collaetemur.

Sit laus Deo Patri,summo Christo decus,Spiritui Sanctohonor, tribus unus. Amen.

Ave, o Stella del mare,vivificante Madre di Dioe sempre Vergineporta felice del cielo.

Accogliendo quell'«ave»dalla bocca dell'arcangelo Gabrielestabilisci noi nella pace,trasformando il nome di Eva.

Sciogli i legami ai peccatori,rendi la luce ai ciechi,allontana i nostri mali,procuraci ogni bene.

Mostra che tu sei Madre,accolga per le tue mani lepreghiereColui che, per noi,accettò di nascere da te.

Vergine unica al mondo,mite tra tutte,rendi [anche] noi, liberati dalle colpe,miti e casti.

Concedici una vita pura,prepara un cammino sicuro,affinché, contemplando Gesù,ci rallegriamo per l'eternità.

Sia lode a Dio Padre,gloria all'altissimo Cristo,e allo Spirito Santo,un solo onore alle tre persone. Amen.

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66 Culmine e Fonte 4-2004

in cui una tempesta di pioggia e ventosi abbatta sulla nave su cui siamo im-barcati. Come possono i naviganti supe-rare l’impressione angosciosa di andarealla deriva? Solo fissando lo sguardosulla stella fissa, che indica il nord. Nelmare tempestoso della vita personale(e della storia del mondo) Maria puòessere punto di riferimento saldo, gui-da sicura al porto della salvezza.

Il grande cantore di “Maria stella delmare” è senza dubbio san Ber-nardo di Chiaravalle2. In pro-posito, il suo testo più noto èquello della seconda omelia Inlode della vergine madre. Ilgrande cistercense, con unvezzo tipico della sensibilitàdegli antichi, sempre a cacciadi etimologie fantasiose, inter-

preta il nome stesso “Maria” come “ma-ris stella”, e poi subito aggiunge: “assaigiustamente è paragonata ad una stella,perché come la stella emette il suo rag-gio senza corruzione di sé, così senza le-sione di sé la Vergine partorisce il Figlio.Il raggio non diminuisce la luminositàdella stella, né il Figlio l’integrità dellaVergine”3. Maria – continua Bernardo –è la stella di Giacobbe (cfr Nm 24,17) ilcui raggio brucia i vizi e fa maturare levirtù. Maria è la stella che brilla senzaposa sul mare spazioso e vasto e dà cer-tezza ai naviganti. “Chiunque tu sia, chenel flusso di questo tempo ti accorgi che,più che camminare sulla terra, stai comeondeggiando tra burrasche e tempeste,non distogliere gli occhi dallo splendoredi questa stella, se non vuoi essere so-praffatto dalla burrasca! Se si alzano iventi delle tentazioni, se vai a sbatterecontro gli scogli delle tribolazioni, guar-da la stella, invoca Maria. Se sei sbattuto

dalle onde della superbia, dell’ambizio-ne, della calunnia, della gelosia, guardala stella, invoca Maria. Se l’ira o l’avari-zia, o le lusinghe della carne hanno scos-so la navicella del tuo animo, guardaMaria. Se, turbato dalla enormità deipeccati, confuso per l’indegnità della co-scienza, atterrito dalla paura del giudi-zio, cominci ad essere inghiottito dal ba-ratro della tristezza e dall’abisso della di-sperazione, pensa a Maria. Nei pericoli,nelle angosce, nelle faccende dubbie,pensa a Maria, implora Maria. Non si al-lontani dalla tua bocca, non si allontanidal tuo cuore, e per ottenere l’aiuto del-la sua preghiera, non dimenticare l’e-sempio della sua vita. Seguendo lei nonti smarrirai, pregando lei non ti dispere-rai, pensando a lei non sbaglierai. Con ilsuo sostegno non cadrai, con la sua pro-tezione non cederai alla paura, con lasua guida non ti stancherai, con il suo fa-vore giungerai alla meta, e così potraifare sperimentare tu stesso quanto a ra-gione sia stato scritto: e il nome dellavergine era Maria [cioè stella del mare,come spiegato sopra]”4.

Se l’espressione “stella del mare” harichiesto un commento così articolato,che dire delle due espressioni seguenti?La maternità divina di Maria e la suaperpetua verginità sono praticamentela summa di tutta la teologia mariana.Nemmeno mi azzardo a presentarequesti due misteri di fede, ciascuno deiquali richiederebbe ben più che pocherighe, e subito passo all’espressione chechiude la prima strofa: Maria porta delcielo. L’epiteto ianua caeli, presente nel-le litanie lauretane, riecheggia il testogenesiaco del sogno di Giacobbe: il pa-triarca vide una scala che univa la terrae il cielo, e angeli che salivano e scende-

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Culmine e Fonte 4-2004 67

nuova Eva, la vera “madre dei viventi”,perché in lei la sorte dell’umanità è ri-scattata, anzi totalmente ribaltata. Eccoperché leggendo al contrario la parola“ave” si ottiene “Eva”: se Eva generavafigli per la morte, Maria – tramite suoFiglio – diventa madre di una nuovaumanità che nasce per la vita eterna.

La strofa seguente è una invocazio-ne fiduciosa alla potente intercessionedella Madre di Dio: grazie al legametutto speciale che la unisce alFiglio unigenito, la sua pre-ghiera ha una potenza eccel-lente. È dunque lecito chie-derle la libertà dai vincoli delpeccato, la luce per ciechi(probabilmente si tratta piut-tosto della luce interiore chedel miracolo della vista recu-perata), l’allontanamento dei mali e laconcessione di tutti i beni. La straordi-naria efficacia della preghiera di Mariaviene esplicitamente attribuita al lega-me con Cristo nella strofa seguente: è ilFiglio che può accogliere le preghieredella Madre, Colui che, pur essendo dinatura divina, si è degnato di nascerenel seno della Vergine di Nazareth. L’a-more materno di Maria è rivolto nonsolo al Figlio unigenito, ma anche a noi,figli per grazia: ella gioisce di mostrarsimadre benigna per tutti. Come diceva,con sicuro intuito di fede, Santa Teresadi Gesù Bambino, “Maria è più madreche regina”. All’umile ancella del Si-gnore è più congeniale l’amore di unamadre che la regalità di una sovrana.

La strofa successiva presenta Mariacome modello di purezza e di mitezza:vergine immacolata, donna del mite si-lenzio, chi meglio di lei può impetrareper i credenti il dono della castità e del-

vano su di essa. Ricevuta la benedizionedivina, Giacobbe chiamò quel luogoBet-El (“casa di Dio”): “Quanto è terribi-le questo luogo! Questa è proprio la ca-sa di Dio, questa è la porta del cielo”(Gen 28,17). La Chiesa fin dalle sue ori-gini ha riconosciuto a Maria l’appellati-vo di porta del cielo perché è attraversodi lei che la salvezza è venuta nel mon-do. Se a stretto rigore la porta delle pe-core è Gesù stesso (cfr Gv 10,7) perchéEgli solo è il mediatore tra Dio e gli uo-mini, e solo attraverso di lui ogni uomoha accesso al mistero di Dio, in certosenso lo stesso appellativo si può attri-buire a Maria. Potremmo dire che seGesù è la porta che consente all’uomodi entrare liberamente nel santuario delcielo, grazie alla via nuova e vivente cheegli ha inaugurato nella sua carne (cfrEb 10,19s), Maria, con il suo fiat è laporta che ha consentito a Dio l’accessonel mondo. La devozione mariana hapoi voluto vedere nell’intercessione po-tente della Vergine anche il tramite chefavorisce l’ingresso dell’uomo in paradi-so: in tal senso l’antifona Alma redemp-toris mater dice che ella “rimane portasempre transitabile” (pervia caeli portamanes); ma mi sembra un senso aggiun-to, che certamente può legittimamenteessere accostato a quello originario,sebbene quest’ultimo sia più che suffi-ciente per indicare la sublime dignità diMaria: essere la porta attraverso cui il Fi-glio di Dio è entrato nella storia5.

La seconda strofa riporta l’oranteall’evento dell’Annunciazione. Con ilsaluto dell’angelo, in latino “ave”, lastoria dell’umanità ha assunto un altrocorso, è stata per così dire rovesciata.Questo è il senso del gioco di paroleche soggiace a queste righe: Maria è la

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la dolcezza di cuore? La Madre del Si-gnore ci conduce verso queste virtù nonsolo in quanto modello esemplare, maanche grazie alla sua appassionata pre-ghiera. A ragione le possono essere ri-volte le invocazioni seguenti: il dono diuna vita pura e di un cammino di fedesenza inciampi, fino alla gioia della vi-sione beata, quando contempleremo ilsuo Figlio insieme con lei, e impareremoda lei a gioire anche solo fissando lo

sguardo su Gesù: come lei,madre piena di amore, avrà si-curamente già fatto anche interra. Con questa immagine dibeatitudine celeste e la con-sueta dossologia trinitaria sichiude l’inno, e con esso le no-stre riflessioni.1 La solennità dell’Assunta,

germogliata verso la fine del V secolo inOriente, probabilmente vicino a Gerusa-lemme, nacque con il nome di dormi-zione (koimesis), e fu presto fissata al 15agosto. Passò poi in Occidente comememoria del Dies natalis della Vergineal Cielo; nell’863 il papa Nicolò I la met-teva al pari di Natale, Pasqua e Penteco-ste. L’Assunzione di Maria in cielo fu de-finita dogma da Pio XII nel 1950, il qua-le concesse anche un nuovo ufficio euna nuova messa. Ecco perché i testi li-turgici sono piuttosto recenti. (cfrAA.VV. Enciclopedia mariana“Theotòkos”, Varese 1959, pp. 369.382).2 Non a caso ancor oggi più di qualcu-no, impropriamente, gli attribuiscel’inno di cui stiamo parlando.3 Cito e traduco da: BERNARD DE CLAIR-VAUX, A la louange de la Vierge Mère,ed. M.I. HUILLE - J. REGNARD, Éd. du Cerf(Sources Chrétiennes, 390), Paris 1993,pp. 104-240.

4 Riporto in nota il testo latino, per col-oro che potranno goderne la com-movente bellezza: “O quisquis te intel-ligis in huius saeculi, profluvio magis in-ter procellas et tempestates fluctuarequam per terram ambulare, ne avertasoculos a fulgore huius sideris, si non visobrui procellis! Si insurgant venti tenta-tionum, si incurras scopulos tribulation-um, respice stellam, voca Mariam. Siiactaris superbiae undis, si ambitionis, sidetractionis, si aemulationis, respicestellam, voca Mariam. Si iracundia, autavaritia, aut carnis illecebra naviculamconcusserit mentis, respice ad Mariam.Si criminum immanitate turbatus, con-scientiae foeditate confusus, iudicii hor-rore perterritus, baratro incipias ab-sorberi tristitiae, desperationis abysso,cogita Mariam. In periculis, in angustiis,in rebus dubiis, Mariam cogita, Mariaminvoca. Non recedat ab ore, non rece-dat a corde, et ut impetres eius oratio-nis suffragium, non deseras conversa-tionis exemplum. Ipsam sequens nondevias, ipsam rogans non desperas, ip-sam cogitans non erras. Ipsa tenentenon corruis, ipsa protegente non metu-is, ipsa duce non fatigaris, ipsa propitiapervenis, et sic in temetipso experirisquam merito dictum sit: Et nomen Vir-ginis Maria” [Omelia II, § 17, pp. 168-170 dell’edizione citata].5 Questa interpretazione del titolo misembra sufficientemente rispettosadella tradizione, senza doverci peròaddentrare in problematiche disquisi-zioni sulla mediazione universale diMaria. Se Gesù è la porta verso Dio,certamente Maria – e solo lei è la por-ta attraverso cui Dio viene a noi. An-che in chiave ecumenica, questa devo-zione mariana non è contestabile.

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Negli ultimi numeri, abbiamodedicato il nostro spazio allavoce prima e poi al suo inqua-

dramento corale, passando in rasse-gna il significato umano e sociale delcoro; il momento fondamentale delreclutamento e selezione delle voci; laricerca della loro intonazione, fusioneed equilibrio; la preparazione del cori-sta; la delicata figura del direttore dicoro e il modo di conduzione delleprove; fino alle quaestiones relativeall’esecuzione.

Non potevamo concludere questasezione del nostro cammino liturgicomusicale senza affrontare uno dei te-mi più dibattuti di sempre, che ha vi-sto in singolar tenzone i più disparatischieramenti: l’esistenza o meno del-la temutissima specie degli stonati.Come per gli ultimi nostri contributi,entreremo in dialogo con il Nostro(Donella), confrontando la sua espe-rienza (questo numero) con la nostrapersonale (nel prossimo), offrendoqualche considerazione conclusiva inmerito.

Esistono o no gli stonati? Questio-ne dibattuta e oziosa per quel che ciriguarda: infatti un individuo stonato,o in qualche modo amusicale, non an-dremo a cercarlo per farlo cantare incoro. Chi canta deve essere per defini-zione intonato.

Ma volendo approfondire la que-stione ci si accorge che le opinioni de-gli esperti non concordano. Per alcuni,ad esempio Cario Meano, l’« amusia »o mancanza di « orecchio musicale » e

quindi di quella capacità di controllodi tutti gli aspetti fisici del suono, sa-rebbe una realtà incontestabile; e gli«amusici» sarebbero incorreggibili.1

Anche Géza Révész lo sostiene ed af-ferma trattarsi di un fenomeno di ori-gine nevrotica che, sempre e solo incampo musicale, limita le fa-coltà percettive dell’indivi-duo.

Egli divide gli amusici indue tipi: gli amusici motoriche, sebbene sentano e capi-scano la musica in modo per-fetto, perdono completa-mente la capacità di ripro-durla; gli amusici sensoriali che sonoin grado di udire i suoni ma hannoperduto completamente la compren-sione già per melodie molto semplici eancor più per strutture musicali com-plesse. In un gruppo a parte Révészpone i soggetti affetti da «disturbidella percezione dei singoli toni», di-sturbi che possono presentarsi in varie strani modi (il suono viene avvertitodue volte, oppure più basso o più altodel reale, ecc...).2

Altri invece affermano categorica-mente che gli stonati non esistono: incondizioni normali e non patologiche,ciascun individuo sarebbe in grado didistinguere i suoni, le varie altezze e igradi di essi. Se in pratica non tuttiriescono ad afferrare l’altezza di unsuono, o non sanno riprodurlo, è peril fatto che non hanno avuto una ade-guata educazione musicale.

L’orecchio musicale sarebbe comel’intelligenza umana. A parte gli

Gli stonati (1) di don Daniele Albanese

Pregarcantando

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«idioti», tutti hanno l’intelligenza, po-ca o tanta; è una delle facoltà umane,senza della quale non si è uomini. Chine è scarsamente dotato deve studia-re di più, e arriva a capire le cose conmaggior lentezza. Analogamente chiha poco orecchio si rivela più tardonell’apprendere suoni e melodie e al-trettanto insicuro nel ripetere quantoha con sudore appreso. L’esperienzaperò insegna e dimostra in più di un

caso che lo studio assiduoriesce a riscattare in moltisoggetti lo stato di inferio-rità dovuto a presunta«amusia».

Solo i sordi sarebbero ve-ramente «stonati», non po-tendo fare esperienza disuono. Piuttosto è da tenerepresente che l’ascolto conti-

nuato di musiche antimelodiche, volu-tamente stonate, dissonanti o sguaia-te, minaccia la finezza della percezio-ne uditiva; negli ambienti chiassosi,nelle metropoli è rilevante il numerodegli «stonati» e degli «amusicali»,mentre è più raro nei paesi tranquillidi campagna o montagna.

Di più, certa musica leggera con-temporanea costituisce un attentatoallo stesso cervello.

«Le analisi hanno dimostrato —

spiega il dott. Hermann Rauhe di Am-burgo che certe strutture musicali co-me il beat brutale e simili ritmi troppoforti provocano una produzione di or-moni quale l’adrenalina, che porta incircolo glucosio e quindi energia, e lanor-adrenalina che produce aggressi-vità. La produzione di questi ormoni èsollecitata da segnali inviati al cervellodall’orecchio. Se durante il processodell’apprendimento si ascolta per bre-vi tratti musica moderna, questa, pro-curando una produzione ben dosatadi ormoni, può condurre ad un incre-mento della vitalità; ma se si ascoltamusica moderna ad un livello sonorotroppo elevato, o per periodi troppolunghi, si provoca una superproduzio-ne ormonale e quindi un eccesso dienergia, che in genere non può essereconsumata per mancanza di movi-mento.

Un simile inquinamento acusticoprosegue il dott. Rauhe nel giro dianni può portare all’arteriosclerosi eall’infarto. Noi scienziati parliamo inquesto caso di effetto da stress musi-cale. Una parte delle nozioni regi-strate nel cervello può scomparire,per un certo periodo ma anche defi-nitivamente, provocando così il bennoto fenomeno delle lacune di me-moria».

Pregarcantando

1 La voce umana nella parola e nel canto, Casa Ed. Ambrosiana, Milano 1964, p. 157.2 Géza RÉVÉSZ, Psicologia della musica, Giunti Barbera, Firenze 1954, citato da F.E. Goddard,

La voce, F. Muzzio, Padova 1985, a p. 110.

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Nel mese di agosto la liturgia ciinvita a meditare due impor-tanti eventi nella storia della

salvezza: la Trasfigurazione e l’Assun-zione.

“Risplenda su di noi Signore la lu-ce del tuo volto” (Sal 4,7)

Per l’Oriente, vivere nel proprio es-sere il mistero cristologico significacontemplare la luce di Dio e lasciarsipenetrare da essa. Per questo l’eventodella Trasfigurazione, manifestazionepiù folgorante della luce di Dio, è fon-damentale nella vita mistica ortodos-sa, in quanto esprime con completez-za la teologia della divinizzazione del-l’uomo come canta un inno della fe-sta: “In questo giorno sul Tabor, Cristotrasformò la natura ottenebrata diAdamo. Avendola coperta del suosplendore, la divinizzò”.

Nella divino-umanità di Cristo è de-posta la verità insita di ogni creaturaumana che è quella di essere stata, pergrazia, voluta e creata da Dio a sua im-magine. Come sostiene il teologo PaulEvdokìmov, Cristo purifica, perfeziona,compie l’immagine e la rende parteci-pe della bellezza divina. L’uomo, “ri-flettendo come in uno specchio la glo-ria del Signore…” si trasforma “…inquella medesima immagine, di gloriain gloria, secondo l’azione dello Spiritodel Signore”. (2 Cor 3,18)

Le tuniche bianche indossate daibattezzati, secondo i Padri della

Chiesa, simboleggiano il coprirsi convesti luminose del Cristo della Trasfi-gurazione. Il chiamare “somigliantis-simo” un santo monaco stava ad indi-care che, attraverso l’ascesi dell’inte-riorizzazione e della pre-ghiera del cuore, raggiun-geva la contemplazione del-la luce taborica e, di conse-guenza, la piena somiglian-za all’immagine di Dio.

Alla luce di queste consi-derazioni, è chiaro il perchél’icona della Trasfigurazionesegnasse l’inizio dell’attività di un ico-nografo, permettendo così a Cristo diinfondere nel suo cuore la luce divina.

La luce è la protagonista nelle ico-ne; il fondo d’oro si chiama “luce”e ilmetodo pittorico “chiarificazione pro-gressiva”, trattandosi di un procedi-mento di sovrapposizione, su un fon-do scuro di partenza, di tinte via viasempre più chiare e illuminate, a si-gnificare la crescita della luce divinanell’uomo. Le stesse aureole dei santinon sono altro che irradiamento dellaluminosità dei loro corpi.

Secondo un’antica tradizione, l’e-vento della Trasfigurazione sarebbeavvenuto quaranta giorni prima dellacrocifissione di Gesù; la solennità è sta-ta fissata al 6 agosto, quaranta giorniprima della festa dell’Esaltazione dellaCroce (14 settembre). L’inno del vesprodella festa inizia proprio con un’allu-sione alla Croce: ”Prima della tua Cro-ce, Signore, il monte imitò il cielo, la

L’icona della Trasfigurazione di nostro Signoree della Dormizione della Madre di Dio (continua)

di Roberta Boesso

Epifania dellabellezza

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nube si dispiegò come unatenda. Mentre tu ti trasfigu-ravi e il Padre ti rendeva te-stimonianza, fu presentePietro con Giacomo e Gio-vanni, perché sarebbero sta-ti con te anche nel tempo incui saresti stato consegnato(ai tuoi nemici), affinché,avendo visto le tue meravi-glie, non fossero preda della

viltà alla tua pas-sione”.

Le prime raffi-gurazioni risalgo-no al VI secolo esono caratterizza-te da una distin-zione tra un grup-po superiore, cele-ste - Cristo al cen-

tro tra Elia che indica pro-feticamente con la mano eMosè con le tavole dellalegge, rispettivamente allasua sinistra e alla sua destra- e uno inferiore, terreno,costituito dai tre apostoli,Giovanni al centro, Pietroalla sua destra e Giacomoalla sua sinistra.

A partire dal XII secolo si passa dauna staticità compositiva a un mag-gior dinamismo, che vede gli apostoliscaraventati sul fianco della monta-gna dal contatto con i potenti raggiluminosi. Nell’icona in esame sonostati introdotti episodi secondari: lasalita e la discesa dal Tabor, l’arrivosulla scena di Elia (che scende giù dalParadiso) e di Mosè che risale dallasua tomba. Tra il Cristo e la mandorlacircolare (simbolo di gloria), è inseri-ta una figura geometrica con raggi

simili a lame in numero di otto (nu-mero patristico della seconda crea-zione, il regno escatologico di Cristo).

La figura a otto raggi e la mandor-la retrostante sono separate dal piccodella montagna, onde simboleggiarei due momenti distinti: quello dellatrasfigurazione luminosa e del succes-sivo intervento della nuvola e dellavoce in relazione a Cristo, in accordocon il racconto evangelico.

Pietro è raffigurato con la manolevata nel gesto dell’allocuzione (Mt17,4), ripreso da Giacomo a destra.

Epifania dellabellezza

Trasfigurazione di nostro Signore, Russia centrale, XVIII sec.

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Culmine e Fonte 4-2004 73

“Risplende la regina, Signore alla tua destra”

Secondo la tradizione la Madre diCristo sarebbe morta a Efeso o a Geru-salemme. Negli scritti apocrifi (per es.Sermone di Giovanni il Teologo per laDormizione della Madre di Dio) e neiracconti dei Padri della Chiesa Maria,dopo la sua morte, rimane, come ac-cadde a Gesù, per tre giorni nel sepol-cro prima di risuscitare e salire al cielo.La sua Assunzione è la trasposizionedell’Ascensione di Cristo.

La morte della Vergine è indicata conil nome di Dormizione, a sottolinearne ilcarattere di provvisorietà e, nella tradi-zione bizantina, fa parte delle dodici fe-ste liturgiche. Il suo esodo dall’esistenzaterrena e la sua assunzione come reginadella Gerusalemme celeste, aprono all’u-manità le porte del Regno di Dio per lavita eterna. Alla luce di questa interpre-tazione, la predominanza di toni chiari eradiosi in questa tipologia iconograficacrea un’atmosfera di gioia, luminosità epace. Il gran numero di varianti figurati-ve della festa risponde alle diverse sfu-mature dei racconti apocrifi. L’icona inesame si rifà a una variante iconograficapiù concisa. Maria è distesa sul letto dimorte; accanto a lei si innalza Cristo, chesorregge tra le braccia piegate di latouna piccola figura avvolta in fasce: è l’a-nima della Madre di Dio. Cristo è raffi-gurato all’interno di una mandorla poli-croma che richiama, per le sue forme,un solenne portale attraverso cui l’ani-ma può entrare in Paradiso. Ai lati dellamandorla, retrostanti alle figure di duesanti vescovi, gli edifici alludono alla ca-sa di Giovanni il Teologo sul monte Siona Gerusalemme, dove la Madre di Diovisse dopo l’Ascensione di Cristo.

La presenza di San Giovanni Batti-sta e Santo Stefano protomartire, raf-figurati a mezzo busto nella parte al-ta dell’icona, potrebbe significare laprotezione di questi santi sulla fami-glia del donatore o la dedicazione de-gli altari della chiesa per cui l’operafu dipinta.

“Ave, Regina dei cieli, ave,

Signora degli angeli;

porta e radice di salvezza,

rechi nel mondo la luce.

Godi, Vergine gloriosa,

bella fra tutte le donne;

salve, o tutta santa,

prega per noi Cristo Signore.”Epifania della

bellezza

Dormizione della Madre di Dio con Giovanni Battista e Stefano, Novgorod, XV sec.

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74 Culmine e Fonte 4-2004

Achi di noi, all’approssimarsi diqualche esame o prova parti-colarmente difficile, non sarà

mai capitato di rivolgere lo sguardo alcielo invocandone la protezione?

Nel firmamento serafico risplende lafigura di un frate minore con-ventuale, san Giuseppe da Co-pertino, verso cui confluisconotutte le preghiere degli stu-denti ed esaminandi, dai qualiè invocato come santo protet-tore. Quali le ragioni di que-sto patronato? Era un dotto?Un maestro? Al contrario, era

un povero francescano che sperimentòtutta la fatica di stare sui libri in occasio-ne della preparazione agli esami che loavrebbero ammesso al sacerdozio e co-nobbe la particolare assistenza del cielo:egli quindi sa bene cosa siano l’impe-gno e la trepidazione di tanti giovani.

Abbiamo da poco celebrato il IVcentenario della sua nascita (1603 –2003) e in questa occasione monsignorAngelo Comastri, Arcivescovo – Dele-gato Pontificio di Loreto, ha compostouna preghiera dove si dice tra l’altro:

“San Giuseppe uomo del Vangelo, /quattrocento anni non hanno invec-chiato la lezione della tua vita / mal’hanno resa più forte e più bella / peril nostro tempo povero di Vangelo. /San Giuseppe, prega per noi!”.

Una lezione di vita: è questa l’ere-dità che ogni santo lascia al mondo.“Come tutti i Santi, Giuseppe da Co-

pertino non passa di moda! A quattrosecoli di distanza, la sua testimonian-za continua a rappresentare per tuttiun invito ad essere santi”.1

Soffermiamoci dunque a considerarequalche aspetto della vita e spiritualitàdi questo semplice e fedele seguace delPoverello d’Assisi, come anche il SantoPadre ha richiamato in occasione dell’a-pertura del centenario. La sua figura ciè stata riproposta come quella di “unsanto contemporaneo, un santo moltocaro al popolo, santo delle beatitudini,santo della gioia”, con l’auspicio che“la ricorrenza anniversaria sia un’occa-sione opportuna e gradita per una ri-scoperta dell’autentica spiritualità delsanto dei voli. Alla sua scuola, possanotutti imparare a percorrere la stradache conduce ad una santità “feriale”,contrassegnata dal compimento fedeledel proprio quotidiano dovere”. 2

“A quattro secoli di distanza, la suatestimonianza continua a rappresentareper tutti un invito a essere santi. Anchese appartiene ad un’epoca per certiaspetti assai diversa dalla nostra, egliaddita un itinerario di spiritualità validoper ogni tempo; ricorda il primato diDio, la necessità della preghiera e dellacontemplazione, l’ardente e fiduciosaadesione a Cristo, l’impegno dell’an-nuncio missionario, l’amore alla Croce”.3

E’ chiamato “il Santo dei voli” per-ché di fronte a immagini della Vergi-ne Maria col Bambinello da lui vene-rata, o durante l’Eucaristia, andava in

I nostriamici

S. Giuseppe da Copertino delle Monache Clarisse Cappuccine

di Mercatello sul Metauro (PU)

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estasi: questo fatto straordinario lo re-se molto famoso e gli procurò tantetribolazioni da parte del Santo Uffizioche continuava a cambiarlo di conven-to. La sua unica preoccupazione,quando ciò avveniva, era sapere se làdove lo avrebbero portato c’era l’Eu-caristia e, avutane risposta affermati-va partiva libero e felice, figlio e pelle-grino dell’Obbedienza.

* * *

Giuseppe Desa nasce il 17 giugno1603 in una stalla, perché il padre, Fe-lice, custode del castello dei marchesidi Copertino, provincia di Lecce, si eradato alla macchia per aver firmatotroppe cambiali.

Sua madre, Franceschina Panaca,era una donna forte e rigorosa, tantoche Giuseppe, diventato frate, ricor-dando gli anni della sua infanzia disseche “il primo noviziato glielo avevafatto fare lei”. Un giorno Franceschinaarrivò persino a rompergli il bastonesulla schiena per uno schiaffo che ave-va visto dare a un adulto: “Meglio ve-derlo morto che traviato!”

L’ambiente poco sereno e inadattoper un bambino lo fece crescere unpo’ trasognato, distratto, tanto dameritargli il nomignolo di “boccaper-ta” per essere rimasto incantato all’a-scolto del suono dell’organo durantele prove di canto.

A sette anni fu mandato a scuola,ma dovette presto lasciarla perché untumore cancrenoso lo costringerà a let-to per 5 anni. In questo tempo, ascol-tando i racconti di mamma Franceschi-na, maturò il desiderio di vedere Assisie di camminare alla sequela di sanFrancesco.

Un giorno la mamma lo condussepresso il Santuario di Santa Maria delleGrazie, nel vicino paese di Galatone. Ri-cevuta l’unzione con l’olio della lampa-da votiva, Giuseppe guarì all’istante etornò a Copertino con le proprie gambe.

Sui 16 anni cominciò a fare il calzo-laio, ma si rivelò un vero fallimento.Chiese in questo periodo di entraretra i Frati Minori Osservanti ma ebbepoca fortuna e fu giudicato inadatto atutto. Fu accettato come“fratello laico” tra i Cappuc-cini e nell’agosto 1620 fu in-viato a Martina Franca perl’anno di noviziato col nomedi fra Stefano, ma qualchemese dopo fu rimandatoperché “inetto a qualsiasimansione”. “Mi pareva checon l’abito mi togliessero anche la pel-le”, rievocherà più tardi fra’ Giuseppe. Uscito dai Cappuccini, si vergognò di tor-nare a Copertino e andò presso uno zioConventuale che lo avvisò della avvenutamorte del padre, e dei soldati che oracercavano lui, come erede dei debiti dapagare. Fu necessario nasconderlo e illuogo più adatto sembrò la Grottella,una chiesetta dedicata alla Madonna.Con la provvidenziale complicità di unfrate sacrista che gli passava il cibo, tra-scorse circa sei mesi come “clandestino diDio” in un bugigattolo addossato al Con-vento della Grottella. Visse così finché ilsacrista stesso si presentò allo zio e diedebuona relazione sul giovane, sempre ap-plicato alle cose di Dio. Fatto sta che glizii, entrambi francescani, mossi a com-passione gli concessero l’abito da terzia-rio, che godeva allora dell’immunità dal“braccio secolare”: avrebbe fatto il servoin quel convento di campagna.

I nostriamici

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A 22 anni fu ammesso tra i “fratellilaici”, tra i frati cioè che emettono i voti,ma non sono ammessi al sacerdozio. Fra’Giuseppe fece il suo anno di noviziatoda solo sotto la guida dello zio, padreGiambattista Panaca, superando qual-che ostacolo nell’apprendimento del la-tino e della Regola di San Francesco amemoria. Spesso lo sorprendevano dinotte a leggicchiare di nascosto o a far-fugliare qualche frase in latino. Non gli

mancava la buona volontà dicurare lo studio, per il dovereche avvertiva di riempire i vuo-ti del tempo passato. Studiavadi nascosto e si esercitava nelloscrivere anche di notte.

Era per lui un problemanon indifferente l’acquisizionedi un linguaggio dignitoso, o

almeno passabile, e l’imparare la Regoladi San Francesco a memoria, fatto chegli richiese sforzi non indifferenti.

Gli zii, al vederlo così pieno di buo-na volontà, decisero di presentarlo alCapitolo Provinciale come possibilechierico. Tanto evidente fu l’interventodella Provvidenza che fu ammesso acontinuare gli studi. Nell’anno di provaegli seppe sempre corrispondere, purnei limiti delle sue possibilità, all’obbe-dienza e fu capace di condurre vita au-stera. “Per la sua bontà” fu ammessoalla Professione. Ad essa non vennemai meno e non si concesse mai “scon-ti”, continuando con fedeltà il cammi-no che si faceva ancora più arduo.

Scherzi della Provvidenza: fra’ Giu-seppe, riconosciuto come una personascarsa di doti umane, intellettuali e discienza, si prepara al sacerdozio. Fupresentato per ricevere gli Ordini Mino-ri e ricevette la prima tonsura il 3 gen-

naio 1627; si predispose poi a ricevere ildiaconato. I candidati erano sottopostia un piccolo esame: leggere, cantare espiegare il Vangelo. Fra’ Giuseppe si erapreparato al limite delle sue forze, im-parando a memoria il brano più brevedell’anno liturgico: “Beato il ventre cheti ha portato” a cui Gesù replica: “Beatipiuttosto coloro che ascoltano la Paroladi Dio e la mettono in pratica”.

Nell’imprevedibilità del disegno di-vino il Vescovo aprì la Bibbia a caso ea fra’ Giuseppe capitò proprio quelVangelo, l’unico che aveva imparato amemoria! Fu lodato dal Vescovo an-che per il suo buon canto e ricevette ildiaconato il 20 marzo 1627.

Rimaneva l’esame di ammissione alsacerdozio: i candidati erano 5 per laProvincia di Puglia. I primi quattro ave-vano un curriculum regolare e conse-guirono un buon risultato. Mentre sta-va per arrivare il turno di fra’ Giuseppeun messaggero trafelato portò un am-basciata urgente al Vescovo: il trasferi-mento alla Diocesi di Anglona-Tursi.

Fatto sta che la tensione del vesco-vo sugli esami si allentò e così pensò diallargare anche all’ultimo candidato ilgiudizio positivo dato agli altri. Im-mensa fu la gioia di Giuseppe che si ri-tenne “miracolato” e fu ordinato sa-cerdote il 28 marzo 1628. L’interventodivino, segno di una predilezione tut-ta particolare era ben chiaro: la consa-pevolezza di aver ricevuto veramentetutto da Dio diventerà per fra’ Giusep-pe uno stimolo a perseguire la santità.

I superiori lo lasciarono al Conventodella Grottella, anche per farlo sfuggirea un controllo troppo evidente dellasua miseria naturale. I dieci anni di apo-stolato che gli fu concesso dall’obbe-

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dienza di trascorrere alla Grottella(1628-1638), furono veramente ricchi difrutti spirituali, sia per Giuseppe, sia peri numerosi pellegrini e devoti che ricor-revano a lui, “il Santo della Grottella”.

Egli invitava tutti a ringraziare Maria,a chiedere la sua materna intercessione,ad abbandonarsi con fiducia tra le suebraccia. Accusato di messianismo e peròriconosciuto innocente dal Tribunale del-l’Inquisizione, dovette staccarsi per sem-pre da quella Madonna. Ma, dovunquesi trovasse, sino alla morte a lei rimasesempre unito col cuore e con la mente.

P. Giuseppe si distingueva per lo spi-rito di preghiera, alla quale dedicavamolte ore del giorno: il Signore gli con-cesse doni straordinari, come estasi e le-vitazioni, che confondevano l’umiltàdel nostro santo, il quale per parte suaevitava quanto più poteva di farsi vede-re. Bastava un solo richiamo alle cosedivine, attraverso una lettura, un sal-mo, un’immagine religiosa per essere avolte lanciato fuori di sé. Confidò a unconfratello: “Quando nello schioppo lapolvere da sparo si accende manda fuo-ri quel boato e fragore. Così il cuoreestatico acceso di amore di Dio”.

Il popolo cominciò a conoscere que-sti fenomeni, e spesso il nostro frate siritrovava con l’abito tagliuzzato daidevoti, gli oggetti da lui usati facevanomiracoli. Il P. Provinciale pensò di man-darlo a visitare tutti i conventi dellaProvincia religiosa per accrescere la de-vozione e la preghiera dei frati.

Fu l’inizio della sua Via Crucis. Al ri-torno a Copertino trovò l’ordine delSant’Uffizio di presentarsi a Napoli al-l’Inquisizione.

Giuseppe obbedì, pur con fatica, esuperò tutte le prove previste, perché

i suoi costumi e la sua dottrina eranoineccepibili. Tuttavia ricevette l’in-giunzione di essere trasferito in unconventino appartato e di regolareosservanza. Così venne mandato inAssisi, dove, al contrario, la sua popo-larità aumentò, tanto da essere insi-gnito della cittadinanza onoraria.

Padre Giuseppe vivrà ad Assisi noveanni: chiuso in tre stanzette a ridossodella selva, la sua giornata era un lungocolloquio con Dio, culminantenella celebrazione eucaristicanella cappella del vecchio no-viziato: “Col mistero del San-tissimo Sacramento - diceva -Dio ci ha donato tutti i tesoridella divina onnipotenza e ciha fatto palese l’eccesso delsuo divino amore”.

Era nella Messa che Dio mostrava inlui lo splendore della sua potenza e deisuoi misteri rivelati ai piccoli. Giuseppesi sollevava in alto, cadeva con la facciaa terra, ballava, piangeva, gridava. Achi si meravigliava di queste strane ma-nifestazioni spiegava: “Le persone cheamano Dio sono come gli ubriachi, chenon stanno in sé, e perciò cantano, bal-lano e fanno cose simili”. Giuseppenon amava queste manifestazioni este-riori della grazia che lo esponevano al-la curiosità della gente e quasi si scusa-va dicendosi affetto da una malattiaignota, mentre pregava il Signore ditogliergli ogni manifestazione esterna,ma non fu esaudito.

La mattina del 23 luglio 1653, al ter-mine della Messa fu chiamato dal suosuperiore in portineria, dove lo attende-va Padre Vincenzo Pellegrini, domenica-no, Inquisitore generale dell’Umbria chegli annunciava solennemente il suo tra-

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sferimento: egli rimase impietrito finchéil suo superiore non gli ricordò i meritidella santa obbedienza. Allora P. Giu-seppe si gettò in ginocchio per baciare ipiedi del domenicano, ascoltò rassegna-to il proclama del tribunale e quasi volòverso la carrozza, tra quattro soldati.Non aveva nulla con sé. Un ultimosguardo all’amata Assisi e la carrozza simosse per una destinazione ignota.

Pietrarubbia, un paesino nascostotra i boschi di Carpegna, nelleMarche accoglierà P. Giusep-pe nel convento dei Cappuc-cini: così avevano stabilito isuperiori. Non potrà parlarecon nessuno, scrivere a nessu-no, non rivelare la presenza;le relazioni personali eranoriservate ai soli Cappuccini

del convento; gli ordini sarebbero statiaffissi sulla porta del refettorio e dellacelletta di fra’ Giuseppe. Chi avessetentato di contravvenire a questi ordinisarebbe stato scomunicato!

Nonostante l’accaduto P. Giuseppeera sereno e ai Cappuccini marchigia-ni non sembrava vero di avere tra lo-ro quel Giuseppe da Copertino di cuitanto avevano sentito parlare. La cel-la di P. Giuseppe diventò ben prestoun luogo di incontri spirituali in cui sitrattavano argomenti di comune edi-ficazione. Lui non accusava mai, nonsi lamentava, semmai si rallegravache Iddio lo avesse sequestrato dalmondo e levato dalla curiosità cheegli tanto aborriva. Viveva appartato,nel silenzio, nelle estasi e nella pre-ghiera: “Io vivo come un cieco guida-to da un cagnolino”: era questo spiri-to di obbedienza che più edificava isuoi confratelli.

La notizia che P. Giuseppe era a Pie-trarubbia non tardò a circolare e mol-ta gente si riversò nel piccolo paese trale colline marchigiane. Grazie e mira-coli erano profusi con dovizia: l’Inqui-sizione, d’altra parte, non aveva datodisposizioni a riguardo della Messa,che egli continuò a celebrare in pub-blico. Ma anche questo periodo ebbetermine. Il Vicario generale del Vesco-vo di Urbino arrivò a Pietrarubbia conl’ordine di condurlo in altro luogo. -“Dove mi porterete?” chiese P. Giu-seppe.- “Mi è stato vietato di manifestarve-lo” rispose il Vicario.- “Ci sarà Dio nel luogo dove mi portate?”.- “Padre, sì, senza dubbio”.- “E allora andiamo tranquillamente:il Crocifisso ci aiuterà”.

Ecco la fede di Giuseppe da Coperti-no: il lavorío della grazia lo aveva pla-smato fino a farlo giungere alla perfet-ta assimilazione con la volontà di Dio.La sua ascesi era tutta volta a purificare

I nostriamici

La levitazione di san Giuseppe da Copertino, CasparFroji, incisione (1781). Roma, Museo Francescano

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e trasfigurare l’intera esistenza per evi-tare il ripiegamento su di sé. Alla scuoladi Francesco assunse il Cristo come cen-tro attorno al quale far ruotare tutta lasua esistenza e ordinare ogni aspettodella propria personalità. Viveva unamore incondizionato alla Chiesa, sem-pre disponibile alla pronta obbedienzaai pastori, accettando anche l’incredu-lità e il sospetto di alcuni ministri di Dio.

Grande era la sua devozione e tene-rezza per la Madre di Dio, da lui con-templata nell’immagine della Grottella;devozione discreta, semplice: alle festedella Madonna si preparava con fervo-re e seguendo la sua fantasia con can-zoncine e poesie: “Questa è la nostraProtettrice, Signora, Patrona, Madre,Sposa, Adiutrice”…e concludeva conun’estasi! La Vergine, nei “canti” diGiuseppe, risulta sempre presente. Inuna delle numerose composizioni dedi-cate al Natale, Maria contempla il mi-stero di Dio, suo figlio, che si fa uomoper amore: “Cosa grande in carne pura,Creatore e creatura / cosa grande hafatto amore / creatura, il Creatore”.

È impossibile riassumere in pocherighe la personalità eclettica di que-st’uomo, tenteremo di dare qualchealtro tratto.

Giuseppe era affabile, il santo dellagioia che esprimeva nel canto, nelladanza, nelle composizioni musicali onelle poesie: in punto di morte chieseai frati che gli portassero un piccoloorgano e cantassero con lui.

Un uomo tutto donato e libero, libe-rato dalla grazia di Dio dalla quale si eralasciato lavorare, libero nell’obbedienza:

“Io che prima non conoscevo la volontàdi Dio e bramavo di tornare al mio pae-se, adesso la conosco molto chiara!”

Copertino, la Grottella, Napoli, Assisi,Pietrarubbia, poi ancora Fossombrone einfine Osimo tra i suoi confratelli con-ventuali: ”Signore, voi sapete che lastanza di Osimo non fu né desiderata,né procurata affatto da me: Se voleteche io vi vada voi disporrete in modoche in qualunque luogo io faccia il vo-stro servizio”. E così partì, conquello che aveva addosso, perquella che sarebbe stata lasua ultima dimora.

Vedendo in lontananza labasilica di Loreto disse: “Oh,che vedo? Quanti angeli van-no e vengono dal cielo! Nonli vedete? Guardateci, guar-dateci bene!” E volò anche lui fino a unmandorlo nella campagna: era traboc-cante di gioia e, ritornato in sé, comin-ciò a cantare e pregare.

Arrivarono la sera del 9 luglio alConvento di San Francesco in Osimo;entrarono e il santo sussurrò “Haec re-quies mea”: aveva trovato la sua sedeterrena definitiva e il Signore stessoglielo aveva fatto capire.

Rifulgono nella figura di questo san-to le meraviglie che Dio opera con colo-ro che si consegnano completamentenelle sue mani senza opporre resistenza,sicuri della Providenza del Padre Celeste.

In Osimo visse e morì, il 18 settem-bre 1663: un quarto d’ora prima dimezzanotte il volto si illuminò e il san-to concluse la sua vita terrena con unlungo e ineffabile sorriso.

I nostriamici

1 Giovanni Paolo II, Udienza del 25 ottobre 2003, n° 5.2 Giovanni Paolo II, Lettera scritta in occasione del IV Centenario della nascita di San Giuseppe da Copertino, 22.2.03 (N°9).3 Giovanni Paolo II, Udienza del 25 ottobre 2003.

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80 Culmine e Fonte 4-2004

Si sono da poco conclusi gli incontri diapprofondimento liturgico nella Par-rocchia di Santa Francesca Cabrini, inRoma. Il corso, fortemente voluto dalparroco, p. Franco Messori, si è svolto alivello di Prefettura VIIIª, Settore Nord,ma ha visto anche la partecipazione as-sidua di un gruppo di novizie prove-nienti da un altro settore della Diocesi.

Fin dall’inizio, i partecipanti hanno av-vertito l’importanza dell’approfondi-mento liturgico per la propria vita eper quella della comunità cristiana.Per questo motivo, si è ben presto for-mato un gruppo di fedelissimi semprepiù interessati ai temi che man manovenivano loro presentati dagli anima-tori diocesani. I catechisti, i membridelle Associazioni cattoliche e tutti co-loro che svolgono un servizio parroc-chiale, hanno espresso gratitudine alparroco e ai padri maristi per questainiziativa “unica” e costruttiva.

Durante il corso, in tutti si è andatarafforzando la consapevolezza dell’op-portunità di tali incontri formativi, an-che per il fatto che non si tratta di stu-diare norme sterili e rubriche, ma piut-tosto di penetrare il mistero che la litur-gia è chiamata a incarnare. Particolarerisonanza hanno avuto in tal senso leparole della Lettera agli Ebrei: “Voi visiete accostati al monte di Sion e allacittà del Dio vivente, alla Gerusalemmeceleste e a miriadi di angeli, all’adunan-za festosa e all’assemblea dei primoge-niti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tuttie agli spiriti dei giusti portati alla perfe-zione, al Mediatore della Nuova Allean-za e al sangue dell’aspersione dalla voce

più eloquente di quello di Abe-le”(12,22-24). Dalle testimonianze rac-colte, si è constatato che il frutto piùevidente degli incontri è stato un raffor-zato spirito di comunione con tutta laChiesa, e una partecipazione più attivae attenta all’azione liturgica. Credereche, nella celebrazione dei sacri misteri,Dio, per primo, viene incontro ai fedelie opera a loro favore, riempie il cuore digioia e di gratitudine molto più di sape-re che andando a Messa si è osservatoun precetto e, qualche volta, pensando,forse, di aver fatto noi qualcosa per Dio.

Dunque, un primo incontro sistemati-co con la liturgia che, ben lungi dal-l’essere stato un fatto soltanto cultura-le, si è rivelato un incontro vivo con ilSignore risorto, sempre presente eoperante nell’azione liturgica. Questacertezza ha dato un impulso nuovo al-la vita di ognuno e, quindi, a quella ditutta la comunità parrocchiale. Essen-do lo scopo principale di questi corsi laformazione di animatori capaci di tra-smettere, con semplicità evangelica,ciò che a loro volta hanno ricevuto,crediamo che tutti coloro che vi hannopartecipato non mancheranno di darela loro convinta testimonianza.

Per il prossimo anno, accogliendo ildesiderio di molti, verranno inseritinel programma alcuni incontri specifi-ci fuori sede e qualche celebrazione li-turgica particolare. Trattandosi di uncorso ciclico, anche coloro che nonhanno frequentato gli incontri di que-st’anno, si potranno inserire regolar-mente nel prossimo corso che inizierànel mese di ottobre.

Corso di approfondimento liturgico per animatori parrocchiali di Vittoria Scanu