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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 10 MARZO 2013 NUMERO 418 CULT La copertina EMILIANO MORREALE e VITTORIO ZUCCONI War Fiction, la seconda guerra civile americana Il libro FRANCO MARCOALDI Derek Walcott il poeta che si innamora ogni giorno All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Gennaro Sasso “La filosofia è sterile ma necessaria” L’opera GUIDO BARBIERI La tragedia del potere nella Venezia di Verdi e Byron L’arte MELANIA MAZZUCCO Il Museo del mondo l’atto erotico di Correggio L’incredibile Adolfo il fotoreporter che beffava il Duce La storia MICHELE SMARGIASSI Erri De Luca “Cenere e bellezza il destino di Napoli” L’attualità ERRI DE LUCA SAN FRANCISCO I l 20 febbraio scorso ho preso il treno per Menlo Park e di lì un taxi per il quartier generale di Facebook nella famosa Silicon Valley. Sheryl Sandberg, la numero due del gigante dei social network, presentava un suo libro, in uscita internazionale il 12 marzo, a una ventina di giornalisti non americani. Consegnate le bozze, previo “giuramento” di rispettare l’embargo, segue confe- renza stampa, poi intervista one to one e infine visita al campus di Fa- cebook. Tutto mi immaginavo, tranne che di diventare testimone di un clamoroso caso politico-culturale-editoriale-filosofico-monda- no che si sta sviluppando in questi giorni intorno al libro. Nessuno lo ha ancora letto, ma sui giornali e sui blog americani sono ormai dozzine gli interventi. Sheryl Sandberg è l’autrice del “manifesto femminista” del Ventunesimo secolo o l’ultima arrivata donna in carriera che straparla dall’alto di un paio di scarpe Prada? La paladi- na delle donne che lavorano o la privilegiata imboccata alla nascita ENRICO DEAGLIO con un cucchiaio d’oro? L’iniziatrice di un movimento mezzo seco- lo dopo la Mistica della femminilità, il libro di Betty Friedan che se- gnò la fine della supremazia maschile in Occidente? Edito da Knopf, il libro si chiama Lean in, Women, Work and the Will to Lead. Tradotto in italiano per Mondadori: Facciamoci avan- ti. Le donne, il lavoro e la voglia di riuscire, oltre duecento pagine di cui una cinquantina di dettagliatissime note sulla discriminazione, degne di una ricerca accademica. L’autrice ha una biografia da urlo. Newyorchese, quarantaquattro anni, laurea in economia ad Har- vard, capo gabinetto del ministro del tesoro di Clinton, Larry Sum- mers (che sarà il suo mentore); è stata alla Banca Mondiale, nel ri- stretto cerchio di persone che trattò il salvataggio finanziario della Russia di Boris Eltsin (all’epoca il suo ufficio — per un gioco di simu- lazione — calcolò anche quanto si sarebbe dovuto sborsare per te- nere in vita lo zar nel 1917 ed evitare così settant’anni di comunismo, concludendo che forse ne sarebbe valsa la pena). (segue nelle pagine successive) DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI FOTO ROBYN TWOMEY / CORBIS OUTLINE - ILLUSTRAZIONE: JOHN HENDRIX “Sì, sono una femminista qualcosa in contrario?” Intervista esclusiva a Sheryl Sandberg, la supermanager che ha scritto un libro per spiegare alle donne come prendere il comando Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 10MARZO 2013

NUMERO 418

CULT

La copertina

EMILIANO MORREALE

e VITTORIO ZUCCONI

War Fiction,la secondaguerra civileamericana

Il libro

FRANCO MARCOALDI

Derek Walcottil poetache si innamoraogni giorno

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Gennaro Sasso“La filosofiaè sterilema necessaria”

L’opera

GUIDO BARBIERI

La tragediadel poterenella Veneziadi Verdi e Byron

L’arte

MELANIA MAZZUCCO

Il Museodel mondol’atto eroticodi Correggio

L’incredibile Adolfoil fotoreporterche beffava il Duce

La storia

MICHELE SMARGIASSI

Erri De Luca“Cenere e bellezzail destino di Napoli”

L’attualità

ERRI DE LUCA

SAN FRANCISCO

I l 20 febbraio scorso ho preso il treno per Menlo Park e di lì untaxi per il quartier generale di Facebook nella famosa SiliconValley. Sheryl Sandberg, la numero due del gigante dei socialnetwork, presentava un suo libro, in uscita internazionale il

12 marzo, a una ventina di giornalisti non americani. Consegnate lebozze, previo “giuramento” di rispettare l’embargo, segue confe-renza stampa, poi intervista one to onee infine visita al campus di Fa-cebook. Tutto mi immaginavo, tranne che di diventare testimone diun clamoroso caso politico-culturale-editoriale-filosofico-monda-no che si sta sviluppando in questi giorni intorno al libro. Nessunolo ha ancora letto, ma sui giornali e sui blog americani sono ormaidozzine gli interventi. Sheryl Sandberg è l’autrice del “manifestofemminista” del Ventunesimo secolo o l’ultima arrivata donna incarriera che straparla dall’alto di un paio di scarpe Prada? La paladi-na delle donne che lavorano o la privilegiata imboccata alla nascita

ENRICO DEAGLIO

con un cucchiaio d’oro? L’iniziatrice di un movimento mezzo seco-lo dopo la Mistica della femminilità, il libro di Betty Friedan che se-gnò la fine della supremazia maschile in Occidente?

Edito da Knopf, il libro si chiama Lean in, Women, Work and theWill to Lead. Tradotto in italiano per Mondadori: Facciamoci avan-ti. Le donne, il lavoro e la voglia di riuscire, oltre duecento pagine dicui una cinquantina di dettagliatissime note sulla discriminazione,degne di una ricerca accademica. L’autrice ha una biografia da urlo.Newyorchese, quarantaquattro anni, laurea in economia ad Har-vard, capo gabinetto del ministro del tesoro di Clinton, Larry Sum-mers (che sarà il suo mentore); è stata alla Banca Mondiale, nel ri-stretto cerchio di persone che trattò il salvataggio finanziario dellaRussia di Boris Eltsin (all’epoca il suo ufficio — per un gioco di simu-lazione — calcolò anche quanto si sarebbe dovuto sborsare per te-nere in vita lo zar nel 1917 ed evitare così settant’anni di comunismo,concludendo che forse ne sarebbe valsa la pena).

(segue nelle pagine successive)

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“Sì, sono una femministaqualcosa in contrario?”Intervista esclusiva

a Sheryl Sandberg,la supermanagerche ha scritto un libroper spiegare alle donnecome prendere il comando

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DOMENICA 10 MARZO 2013

La copertinaLady Facebook

(segue dalla copertina)

Sheryl Sandberg passa dal settore pubblico a quello privatoe nella transizione — la ragazza sa quando bisogna esserechoosy e quando no — lavora come istruttrice di aerobicanelle palestre di Jane Fonda, con tanto di tutina luccican-te; poi entra a Google e ne diventa la principale dirigente ela prima produttrice di utili della società. Passa da questa a

Facebook (assunta nel 2008 da un ventitreenne Mark Zuckerberg che,per età, potrebbe essere suo figlio), porta via a Google i migliori diri-genti, rimodella la società come responsabile dello sviluppo econo-mico finanziario e gestisce la storica (e controversa) quotazione inborsa della società. Stipendio attuale: trenta milioni di dollari l’anno.Benefit: un cospicuo pacchetto di azioni della società. Effetto della suapresenza ai vertici dell’industria elettronica: clamoroso.

È la prima donna ad avere potere in un mondo strutturalmente ma-schile. Vita privata: nata in una famiglia di ebrei russi newyorchesi conl’adorazione per lo studio, padre chirurgo, madre insegnante e attivi-sta dei diritti umani; marito medico, due figli di sette e cinque anni.Quinta donna più potente del mondo secondo la rivista Forbes, dietroa Hillary Clinton, Angela Merkel, Dilma Roussef, Sonia Gandhi, maprima di Michelle Obama. (La madre però le telefonò: «Io credo cheMichelle Obama sia sopra di te…»).

Il terzo elemento dell’evento è quella strana cosa che si chiama Fa-cebook. Ci stanno attaccati un miliardo di persone, che ogni giorno siscambiano 250 milioni di fotografie e 2,7 miliardi di commenti suquello che cliccano (il famoso “mi piace”). Facebook è la più grandebanca dati per l’industria pubblicitaria e la politica. Ha fatto scoppia-re la primavera araba? Dicono di sì. Ha deciso la rielezione di Obama?Sicuramente sì.

A Menlo Park, il nuovo quartier generale dove lavorano duemila im-piegati, lo stile è da campus sessantottino. Niente orari fissi, molti bar ecaffè, biciclette che girano, manifesti appesi sui muri (“non siamo con-sumatori, ma il popolo”; “la connessione è un diritto umano”, “l’im-portante è sbagliare”). C’è anche un muro dove tutti possono scriverequello che vogliono e, in cima, verso il soffitto, compare anche un“Sheryl Sandberg sei il mio eroe!” ( mi giurerà che non l’ha scritto lei).

Lean in è al crocevia tra un libro di memorie di una donna di suc-cesso, un manifesto per l’emancipazione delle donne che lavorano euna miniera di dati sulla discriminazione contro le donne: in casa, sullavoro, nella politica. Il “farsi avanti” del titolo si riferisce a una situa-zione che Sandberg ha visto mille volte. Sala riunioni di una grossa so-cietà, grande tavolo. «Prego, prendete posto» dice il padrone di casa.Ed ecco che gli uomini si siedono al tavolo e le donne tendono ad ac-comodarsi sulle sedie accanto. Immagine-metafora di una disegua-glianza, ma anche di una paura introiettata dalle donne stesse. Quan-do si faranno avanti e si sederanno, con naturalezza, al centro del ta-volo, allora si sarà abbattuto quell’invisibile soffitto di cristallo della di-scriminazione. Batterla, superarla, ottenere insieme migliori salari,potere aziendale e una più giusta organizzazione dei diritti e doverinella vita famigliare è lo scopo del pamphlet che Sheryl Sandberg (in-sieme alle cinque giovani donne della neonata fondazione Lean in)presenta in una sala riunioni gentilmente concessa da Facebook, dicui lei è praticamente il capo supremo. Conversatrice brillante edesplicita, l’autrice indossa un tubino bianco e nero senza maniche suscarpe tacco dodici. I capelli neri sono pettinati a caschetto ed è notauna sua forte somiglianza con l’attrice Patricia Neal, quando era gio-vane. Il libro uscirà contemporaneamente in venti paesi («Non inquelli islamici», precisa Sandberg. «È un libro adatto a situazioni in cuii diritti di base delle donne sono già stati conquistati. Ma non dove nonsi può votare o non si può guidare l’automobile»).

La mia prima domanda in privato è sull’impatto che pensa di otte-nere con il suo libro.

Intende creare un movimento?«La premessa è questa: le donne sono molto — moltissimo — esclu-

se dalle posizioni di potere aziendale e io voglio fare qualcosa perchéquesto finisca. Non penso che l’impatto possa avvenire con soluzioniindividuali; piuttosto sarà dovuto a tutte le donne che sono venute pri-ma di me e alle donne e gli uomini che faranno dei cambiamenti realinelle loro vite. Io cerco di aumentare il dialogo e di cambiare obiettivodel dibattito sulle donne. Basta discutere su quello che le donne nonpossono fare. Parliamo invece di quello che possono fare».

Come spiega la discriminazione attuale?«Le donne hanno sicuramente conquistato molto, i diritti di base,

quelli ottenuti dalle nostre madri. Ma poi si sono adattate. Non abbia-mo più osato. In futuro, quando gli storici guarderanno gli ultimivent’anni, si chiederanno: come mai la marcia si è fermata? E non sa-pranno dare una spiegazione. Persino il salario-orario minimo per ledonne è aumentato di pochissimo. Nei consigli di amministrazione,come alla guida dei governi, il numero di donne è ridicolo. Ma quelloche è più grave è che le donne hanno perso la voglia di arrivare in cima».

Lei sostiene che la radice è culturale…«Sì, gli esempi sono infiniti. Una donna che ha una buona carriera

viene definitiva “troppo aggressiva”, o “troppo ambiziosa” mentre diun uomo questo non si dice. Le donne sono indotte a rinunciare ai po-

sti migliori perché devono tornare a casa ad accudire i figli. (A propo-sito: sarebbe bene che le aziende mettessero a disposizione delle don-ne incinte i parcheggi più vicini all’entrata, tanto per cominciare). Al-le elementari i bambini maschi dicono “voglio diventare presidente”,le bambine lo dicono assai meno. I giochi elettronici stessi sono con-cepiti per una visione maschile del potere. Ancora? Nella fase di docu-mentazione per il libro abbiamo cercato un film con una protagonistafemminile che comandi e che abbia una normale vita familiare. Eb-bene, non lo abbiamo trovato. Ho una figlia piccola che ha un ami-chetto. Un giorno era triste perché tutti e due vogliono fare gli astro-nauti e però si vogliono anche sposare, e quindi lei ha dovuto rinun-ciare. “Perché proprio tu?” le ho chiesto. E lei mi ha detto: “Qualcunodeve stare a casa con i bambini, e mi sa che quella sono io”. Io credoche occorra riaprire il discorso su tutto ciò… A partire dal linguaggio.Se una donna comanda, è bossy, prepotente. Se a comandare è un uo-mo, è un leader. Non va bene».

Effettivamente dico sempre a mia moglie che tende a essere un po’bossy quando siamo in cucina…

«Lei si sbaglia, e farebbe bene a cambiare linguaggio. Sua moglie èleader in cucina. Gli uomini dovranno abituarsi a tante cose; peresempio al fatto che le mogli guadagnino più dei mariti. Negli StatiUniti succede nel trenta per cento delle famiglie, in Italia è già il di-ciotto. Dovranno abituarsi a una diversa divisione dei compiti. Cu-riosamente, oggi il tipo di famiglia che ha la più giusta ripartizione del-le mansioni famigliari, soprattutto per quanto riguarda i figli, è la fa-miglia omosessuale, sia quella formata da due maschi, sia quella for-mata da due femmine. Nella famiglia tradizionale invece la donna la-vora molto più dell’uomo».

Lei a che ora esce dall’ufficio?(Ride). «Alle 17,30. In effetti quando l’ho detto in un’intervista, non

mi aspettavo di creare uno sconquasso, e invece sulla Rete se ne è di-scusso per settimane. “Sandberg fa bene o fa male a uscire alle 17,30?”,“Che coraggio! Se ne va alle 17,30!” Io esco alle 17,30 perché voglio an-dare a casa e stare un po’ con i miei figli; e non credo che la politica de-

Sheryl SandbergSignore, siete prontea prendere il potere?

Ha quarantaquattro anni, due figli ed è il capo del più popolare tra i social network Ora in un libro-manifesto in uscita in venti paesi, Italia compresa, la quinta donnapiù potente del mondo ha deciso di spiegare alle altre come si fa ad avere successoin una società ancora dominata dai maschi. “Cominciamo dal parcheggioe dal tavolo delle riunioni...” racconta in questa intervista esclusiva

ENRICO DEAGLIO

‘‘FemministaSe me lo avessero chiesto vent’anni faavrei detto di no. Ma oggi sì, mi definiscouna femminista. E ne vado orgogliosa

LeaderSe una donna comanda è “bossy”,prepotente. Se a comandare è un uomosi dice invece che è un “leader”

SfideQuando Mark Zuckerberg mi assunseglielo dissi chiaro: lo sai che molta gentenon gradirà affatto, vero? Accettò la sfida

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 10 MARZO 2013

gli straordinari obbligatori (specie se applicata alla donne) sia saggia.Penso che le persone dovrebbero essere pagate per la qualità del lavo-ro, non per la quantità. Peraltro lo diceva anche Colin Powell, che erail nostro segretario di Stato».

Lei ha esperienza di comando e di gestione sia nel pubblico che nelprivato. La leadership femminile a che cosa porta?

«Oh, su questo abbiamo parecchi dati. In generale si può davverodire: women do it better, le donne lo sanno fare meglio. I programmigestiti da donne funzionano meglio, sia in termini di risultati che ditempo per raggiungerli. Le donne nei posti di comando ottengono mi-gliori condizioni di flessibilità sul lavoro. Vengono assunte e valoriz-zate più donne nel management intermedio e infine, in generale, di-minuisce il gap salariale tra uomo e donna. Tutto questo, secondo me,non solo è molto buono per le donne, ma è molto buono per le azien-de. Aziende che, peraltro, conoscono già il potere delle donne comeconsumatrici. Per esempio, già oggi il parere delle donne è determi-nante nella scelta dell’acquisto di una certa automobile o di un certocomputer. Le donne hanno un grande potere sugli strumenti che ven-gono prodotti e su come questi possono essere usati. Altro esempio: ledonne, che sono la maggioranza degli utenti di Facebook, lo usano inmaniera differente dagli uomini».

Con il suo libro, lei, esattamente, che cosa vuole ottenere?«Lo scopo è di provocare un’azione, sì, un movimento. Su due fron-

ti: il primo è il recupero dell’autostima delle donne, della loro ambi-zione, che le porti a non rinunciare in partenza a ottenere dei ruoli dicomando. Il secondo è il cambiamento dell’establishment aziendale.Quando Mark mi assunse (Mark Zuckerberg, il capo di Facebook ndr),glielo dissi chiaramente: “Tu lo sai che stai accettando una sfida, vero?Tu lo sai che molta gente non gradirà affatto, vero?”. E anche adessosono sicura che l’iniziativa di Lean in provocherà delle resistenze. Macosa possono fare? Non possono mica spararci…».

“Farsi avanti” diventerà una parola d’ordine, un nuovo sindacato?«Per adesso diventa una fondazione, contattabile all’indirizzo

[email protected]. Immagino proprio che i social network le darannouna grande spinta. Lo scopo è diraccogliere dati, storie e condi-videre esperienze utili all’avan-zamento delle donne. Non solostorie aziendali. Le prime chediffonderemo saranno storie didonne che ce l’hanno fatta, co-me Ursula Burns, amministra-tore delegato di Xerox, nata inuna casa popolare con tre svan-taggi: “nera, povera e bambi-na”. O storie di coraggio: unadonna ventenne che ha avuto ilcoraggio di far arrestare il suostupratore. Poi storie di verten-ze concluse bene; esempi disuccesso: vogliamo dare stru-menti, notizie utili alle donneper negoziare meglio la propriaposizione e per vincere. Questovale sia sul posto di lavoro che incasa. L’anno scorso ho tenutouna conferenza su questi temialla Ted University: ebbe unsuccesso straordinario. E forsela cosa che mi fece più piacere fula mail di una dottoressa di Bo-ston cui avevano offerto unabella opportunità di lavoro ed

era indecisa, per via dei bambini. Mi scrisse che l’avevo convinta, ave-va accettato e aveva scritto una lista della spesa per il marito: le cose ched’ora in poi avrebbe dovuto fare lui».

Lei si definisce una femminista?«Adesso sì, e con orgoglio. Ma se me lo avessero chiesto vent’anni fa

avrei detto di no, come credo molte altre giovani donne americane chegodevano dei diritti conquistati, ma allo stesso tempo non volevanoessere etichettate con lo stereotipo della donna arrabbiata che bruciail reggiseno. Credo di non essere stata abbastanza coraggiosa. Credoanche però che quindici anni di osservazione della realtà del lavoro miabbiano reso consapevole della verità del femminismo tradizionale:le donne non godono di una reale uguaglianza, e non godono di realipari opportunità».

Sono ormai passati venti giorni dalla presentazione di Lean in, l’em-bargo è stato rispettato, ma il “caso Sheryl Sandberg” è già scoppiato.Il dibattito sul femminismo ha ricevuto una improvvisa fiammata. Lasignora Sandberg è al centro dell’attenzione, e così i suoi progetti. È in-dicata alternativamente come la nuova Betty Friedan o come una Pa-ris Hilton che gioca sulla pelle delle donne per la sua personale carrie-ra. Credo che, per una volta, il merito del successo mediatico del librosia da dividere, perlomeno a metà, tra l’ufficio stampa e il contenuto.Il nervo era sensibile: una donna, un libretto e un social network l’han-no toccato, provocando un grande urlo.

Nata a: Washington nel 1969, cresce a New YorkFamiglia: genitori ebrei di origine russa,padre chirurgo, madre insegnanteVita privata: divorziata e risposatacon un medico, ha due figli (7 e 5 anni)Studi: laurea in Economia ad Harvard nel 1991Curriculum vitae:

consulente della Banca Mondialeconsulente della McKinsey & Companyistruttrice di aerobica (con Jane Fonda)capo di gabinetto del ministro del tesorodi Clinton fino al 2000vicepresidente per le vendite onlinedi Google fino al 2007membro dei consigli d’amministrazionedi Starbucks e Walt Disney Companydirettore operativo di Facebook dal 2008Stipendio: 30 milioni di dollari all’annoOrario di lavoro: 8-17.30Segni particolari: quinta donna più potenteal mondo nella classifica di Forbes

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IL LIBRO

Facciamoci avantiLe donne, il lavoro e la voglia di riusciredi Sheryl Sandberg,

edito in Italia

da Mondadori

nella collana

Strade Blu

(264 pagine,

17 euro)

sarà in libreria

dal 12 marzo

con una prefazione

di Daniela Riccardi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 10 MARZO 2013

Un palazzo che crolla. Brucia la Città della scienza. Attraversole ultime cronache uno scrittore racconta la sua metropoli:“È fondata sul vuoto, si dissangua da sola della sua bellezzaEppure guardatela: nonostante tutto è ancora là,

e si scuote di dosso la polvere e l’insulto”

L’attualitàTerra mia

SAN DOMENICO MAGGIORE

Lo splendido complesso conventuale viene ora restituito

alla città dopo dieci anni di lavori. L’obelisco al centro

della piazza fu eretto tra il 1657 e il 1737

SANTA CHIARA

Il chiostro maiolicato del monastero celebrato dalla famosa

canzone. In alto, nella foto grande, il Centro direzionale

progettato da Kenzo Tange e completato nel 1995

NAPOLICartoline

sopra la cenere

Si vuole che Napoli sia sud, secondouna suddivisione del mondo cheprevede più sud che nord. Non sonouguali tra loro i punti cardinali ap-plicati in terra, anche di est ce n’è dipiù. Scavalcando l’equatore il sud si

annette l’Africa, risale il mare, assorbe Sicilia,Puglia, Calabria e sbarca fino alle porte di Roma,dove stabilì i suoi confini la Cassa del Mezzo-giorno. Ma anziché a un meridione d’Italia, Na-poli appartiene al centro del Mediterraneo. Stanel suo ombelico vulcanico, è sismica, tufacea,friabile, flegrea.

Sotto la sua crosta, brulicante della più altadensità umana di Europa, si estendono cavitàgigantesche, opera di estrazione del suo mate-riale di costruzione, fin dal tempo dei Greci. Lacittà è così distesa sulle camere d’aria di un im-menso alveare.

Come Venezia è fondata sull’acqua, Napoli èfondata sul vuoto. Spesso affiora in superficie, ilvuoto, in forma di voragini spalancate all’im-provviso. Sotto la pianta del piede la città è unabotola pronta a scattare. Perciò Napoli è doppia,gremita sopra e sgombera di sotto. Questo spie-ga il sistema nervoso dei suoi cittadini, decisodalla geologia. Sotto la maschera c’è il labirinto.

I lavori di scavo della metropolitana si inol-trano nelle viscere aggrovigliate della storia in-contrando stagni marini, cisterne, piscine, bu-delli, gallerie. Non sanno di violare organi inter-ni di un organismo vivente né hanno lo scrupo-lo e la premura dell’archeologia. Affondano tri-velle e scombinano assetti sopra i quali si è ap-poggiata la città.

In un film western degli anni Settanta un vil-laggio di minatori collassa perché scavato sottodai cunicoli dei cercatori d’oro. Non succederàcosì alla città allenata da millenni di cedimenti.Per via di erosioni, scavi, scossoni, eruzioni Na-poli rivela la sua costante fragilità tellurica, sog-getta più che altrove agli sgambetti della legge digravità.

Dai suoi tetti sono state spalate ceneri di Ve-suvio in fiamme, perciò a buon titolo il santoprotettore del luogo è specialista in vulcanolo-gia. La sua statua portata in spalla contro il fron-te lavico, fornì prove da domatore. Gennaro è unsanto da trincea. Stabilito questo assetto, eccoin pochi giorni due notizie opposte che confer-mano la precarietà del luogo: il crollo di un’ala

di palazzo sull’elegante Riviera di Chiaia e l’in-cendio di un edificio nuovo nell’area di espan-sione della città futura. Il solenne titolo di Cittàdella scienza poco si addice al titolo di un edifi-cio e di un luogo che ha seminato i suoi miglioriscienziati nei laboratori del mondo. Città dellascienza fuiuta, fuggita, sarebbe titolo più com-pleto a definire. È stato bruciato questo Centroe se la cava a stento anche la città della Filosofia,rappresentata dal nobile istituto di Montedidio.

Dolosi entrambi i danni, non c’entra stavoltaqualche forza schiacciante di natura, intervieneinvece la concreta manomissione, più o menovolontaria. Essa fa parte di un accertato istintodi autolesionismo locale. Nessuno, delle dozzi-ne di eserciti stranieri, accampati poco e moltodentro Napoli nel corso dei millenni, l’ha dan-neggiata quanto l’arrembaggio edilizio, denun-ziato dal film Le mani sulla cittàe proseguito conle Vele di Secondigliano. Quelle sì andrebberoschiantate, lasciandone una sola a esempiod’infamia urbanistica, da studiare in una nuovabranca dedicata all’architettura criminale. An-drebbero schiantate come sono state abbattutecon esplosivo le torri della siderurgia a orientedella città, crolli benefici. Nessuno malediceNapoli più del suo cittadino che la sporca conesibizione di strafottenza pubblica.

Napoli si dissangua da sola della sua bellezza.Ma esistono fiori di campo che, distrattamentecalpestati, tornano a rimettersi in piedi, perchéspinti dalle radici da una forza di bellezza. Quel-la di Napoli riaffiora altrettanto ostinata. Ecco asingolo esempio l’enorme complesso di SanDomenico Maggiore, oggi restituito alla città, adimostrazione di uno spirito di contraddizionedello spreco, dell’oltraggio dell’incuria. Napolisi regge su una energia di bellezza inesaurita.

«Me fa paura ‘e ce turnà» dice una strofa diMunasterio ‘e Santa Chiara. Invece che paura, ame sgomenta la richiesta di scriverne in seguitoa qualche fatto di cronaca, che aggiunge il suogranello di denigrazione sul piatto della bilan-cia. E mi viene voglia costante di aggiungerequalcosa a contrappeso sopra l’altro piatto. An-che stavolta lo spirito è lo stesso. Napoli è luogoche ne ha passate così tante, eppure è ancora là,invincibile a scuotersi di dosso la polvere, la ce-nere, l’insulto, raddrizzando la sua corolla difiore di campo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ERRI DE LUCA

Repubblica Nazionale

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PIAZZA DANTE

Il Foro Carolino fu ideato da Vanvitelli come cornice alla statua

di Carlo III. La statua non venne mai realizzata. Al suo posto,

nel 1872, fu collocato il monumento a Dante Alighieri

PORTA CAPUANA

Voluta nel 1484 dal re Ferdinando d’Aragona, accanto

ha due massicce torri che affiancano l’arco di trionfo: sono dette

dell’Onore e della Virtù. Qui a lato la cupola del Gesù Vecchio

MONTECALVARIO

Accanto alla cupola della chiesa dell’Immacolata Concezione

a Montecalvario, nel cuore dei Quartieri spagnoli, spunta

un terrazzino con ombrellone, tavolo e sedie e sdraio

PLEBISCITO

L’emiciclo di san Francesco di Paola nel luogo simbolo

del “rinascimento” bassoliniano: dopo anni in cui la piazza venne

usata come parcheggio fu l’ex sindaco a volerla pedonalizzare

LE FOTOGRAFIE

Le immagini di queste pagine

sono tratte da Napoli dal cielodell’architetto catanese

Giuseppe Anfuso (Edizioni

Lussografica, 464 pagine,

100 euro). Dello stesso autore

anche Catania dal cielo (2005)

e Palermo dal cielo (2010)

Repubblica Nazionale

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ADOLFOPORRY-PASTOREL(1888 - 1960)

La storiaPionieri

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DOMENICA 10 MARZO 2013

MICHELE SMARGIASSI

FOTA sinistra, il retro

dello specchietto

dell’Agenzia Vedo

che Porry regalava

alle signore per farsi

pubblicità: al centro

la scritta “FOT”,

“Fotografa Ovunque Tutto”

A destra, il fotoreporter

con i suoi piccioni viaggiatori

Nella pagina accanto, al centro,

la demolizione nel rione di Borgo

a Roma per l’apertura della futura

via della Conciliazione

Da sinistra:le Camicie neresi imbarcanosul piroscafoSaturniaper la guerrad’Etiopia; la pienadel Tevere e la viaSalaria allagataalle porte della città;una coppiava a sposarsiin tandem

Fotografo Ovunque Tutto

GUERRA E PACE

Immortalò il Ducesulle nevi e sulla mietitrice,ma pure mentre faceva pipìdietro un cespuglioIl primo fotoreporteritaliano usava perfinoi piccioni viaggiatoriper fare uno scoop

Ora un libro ne raccontala vita avventurosa

Fotografo? Macché, di più. Fotonnivo-ro, fotonnipresente, fotossessionato.Si favoleggia abbia lasciato un archiviodi nove milioni di scatti. «Adolfo Porry-Pastorel, FOT» faceva stampare sui bi-glietti da visita, non un’abbreviazione

bensì un acronimo: «Fotografa Ovunque Tutto».Lo aveva fatto incidere anche sulla cassa degli oro-logi che donava ai vigili, così quando c’era qualche“avvenimento di cronaca” quelli guardavano l’oraper il verbale, si ricordavano di lui, gli telefonavanoe lui piombava lì prima di tutti per fare lo scoop.

Lo abbiamo avuto anche noi un grandissimo fo-toreporter, perfino prima degli americani che il fo-toreportage l’hanno inventato. Proprio mentreWeegee the Famousfaceva lo stesso nella New Yorkdei gangster, Porry-Pastorel s’aggirava nella Romadei mariuoli su un furgone rosso in cui aveva alle-stito una camera oscura, per non perdere tem-po. Forse perfino prima di Robert Capa siera procurato una Leica, intuendoche il futuro del fotogiornalismostava nell’agilità e nella velocità.

Lo abbiamo avuto anchenoi, e lo abbiamo sprecato.Soffocato, come tante al-tre cose, sotto la cappa af-fumicata del ventenniofascista, talento inutilein un’Italietta rimastaai margini del fotore-portage mondiale pro-prio negli anni in cui di-ventava adulto e rug-gente. Ma una vita ge-niale non è mai davverosprecata, ed ecco che unabiografia vivace e a trattiromanzata, condotta sumateriali inediti dalla giorna-lista Vania Colasanti (Scattomatto, Marsilio) ce la restituisce,almeno come personaggio narrato,in attesa che qualcuno gli renda, con unaauspicabile grande mostra, il posto che gli spet-ta nella storia del fotogiornalismo italiano.

Servirà un posto lungo e stretto... «Temerariospilungone» lo apostrofò nientemeno che il primoministro Giovanni Giolitti. Figlio di bersagliere, al-lampanato, ammiccante, sempre senza cappello,s’infilava come un diavolo dappertutto, nei palaz-zi del potere come nei cortei delle proteste, ancorprima della Prima guerra, e spesso e volentieri leprendeva belle sode dai poliziotti, anche questo unbuon cinquant’anni prima dei paparazzi. Amico difamiglia, il direttore di La Vita Ottorino Raimondilo aveva assunto dicendogli di scrivere come se fo-tografasse, ma lui pensò che fosse meglio fotogra-

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A sinistra, tre scatti

realizzati da Porry -

Pastorel in occasione

dell’inchiesta

sull’omicidio Matteotti

Sono tratti dal libro

di Stefano Caretti

Il delitto Matteotti:storia e memoria(Lacaita)

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DOMENICA 10 MARZO 2013

IL LIBROScatto matto. La stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel,il padre dei fotoreporter italiani di Vania Colasanti (Marsilio,

120 pagine più inserto fotografico di 32 pagine, 15 euro)

sarà in libreria da mercoledì 13 marzo: le foto in queste

pagine sono tratte dal libro e dagli Archivi Farabola

alla cultura visuale italiana: le macchine dei cara-binieri che corrono sulle strade polverose, i sopral-luoghi dei magistrati, il ritrovamento della giaccainsanguinata, il recupero pietoso della salma, Tu-rati e Treves convocati per il riconoscimento, la si-mulazione giudiziaria del rapimento: alcune im-magini apparvero nei giornali antifascisti dell’epo-ca, ma l’intera sequenza restò, come un mementoprivato, nell’album istoriato d’oro custodito daglieredi e riemerso solo qualche anno fa in una mo-stra curata dallo storico Stefano Caretti.

Nonostante questo, la Vedo lavorò intensamen-te, nel Ventennio, pur sotto l’implacabile mannaiadella censura di regime, meticolosissima nella co-struzione e nella tutela dell’immagine del Duce.Molti scatti di Porry oggi ci appaiono scoperta-mente ironici se non caricaturali: ecco un Musso-lini a Cogne, infagottato in una cerata da minatore,pinguino impacciato con una spassosa berretta afalde; eccolo mentre passa in rivista le truppe in unaattillata divisa bianca, gesto lezioso della mano de-stra, quasi un passo da ballerino, altro che imperialivirilità. Alcune inquadrature sembrano pensateper svelare la costruzione di un mito di cartapesta,come l’immagine del Duce mietitore, per la batta-glia del grano. La verità è che gran parte di questefotografie rischiose e imbarazzanti non apparveromai sulle pagine dei giornali italiani. Ma Porry ave-va ottimi clienti stranieri, e qualche foto non pro-tocollare espatriò, beffardamente commentatadai giornali della perfida Albione.

E tuttavia, neppure questo sospetto di intelli-genza col nemico sembra aver procurato troppiguai all’impertinente Porry. Che all’occorrenza sa-peva fornire anche immagini perfette per la propa-ganda e il culto della personalità: pose statuarie, ge-sti invincibili di fronte a folle oceaniche eccetera ec-cetera. Chi fu dunque Porry? Un frondista ingenuoche sfotteva facendo finta di niente, un abile gioca-tore su due tavoli, un antifascista mascherato, qua-si foscoliano, che «temprando lo scettro ai regna-tori, gli allor ne sfronda», o un italiano affascinatocome tanti dall’uomo della Provvidenza? Un po’tutte le cose, forse: come l’Italia intera. Fu anche unuomo piegato dal dolore per la perdita del figlio sulfronte russo, fu un coraggioso produttore di passa-porti falsi per i partigiani, e infine fu un sindaco, neldopoguerra, quando si stufò della sua ultima voca-zione di fotografo delle star di Cinecittà e lasciò me-stiere e archivi al discepolo Tullio Farabola. Fu elet-to primo cittadino del paesino di Castel San Pietro,sui colli romani, nella lista dei monarchici, e lì morìnel 1960. Il suo ultimo scoop fu convincere LuigiComencini a girarvi Pane amore e fantasia. Primadell’arrivo di Lollobrigida, De Sica e troupe mise alsicuro i maiali, patrimonio del paese, in un recintoconfortevole che ribattezzò Porcopoli (e finì foto-grafato su Life). Diceva che «anche un maiale ha bi-sogno di affetto».

Altri scatti

di Porry-Pastorel:

da sinistra, Gina

Lollobrigida sul set

di Pane, amoree fantasia a Castel

San Pietro nel ’53;

il pugile Primo Carnera

in bici alla stazione

Termini nel 1939;

il trio Lescano

ai microfoni dell’Eiar

MATTEOTTI MUSSOLINI

VIP

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fare come se scrivesse: raccontando il più possibi-le di una storia in un colpo solo. Irrequieto, ingo-vernabile, dopo aver reso Il Giornale d’Italiail quo-tidiano «fotografico» italiano diventò il nostro pri-mo freelance: chiamò la sua agenzia Vedo (VisioniEditoriali Diffuse Ovunque: gli piacevano le sigle),un’impresa all’avanguardia con segretarie, archi-vio efficientissimo e una masnada di stringer, di-remmo oggi, ragazzini da spedire in giro a pedatecon una fotocamera al collo e un solo dovere: arri-vare prima degli altri.

E Porry (per gli amici) questo lo sapeva fare me-glio di tutti. «Gran fama di dritto» secondo il suo al-lievo Tazio Secchiaroli, futuro re dei paparazzi, fa-ceva imbestialire i concorrenti dell’Istituto Luceincollando di soppiatto francobolli sui loro obietti-vi. E li batteva sempre sul tempo. Durante le ma-novre navali organizzate per impressionare Hitler,a Napoli, nel ’38, speravano che almeno lì, in mareaperto, non potesse fregarli: la telefoto non era an-cora stata inventata (quando accadrà, Porry sarà ilprimo a usarla). E invece no, avrebbero dovutoguardare cosa aveva dentro la valigia di vimini cheportò a bordo. Venti piccioni viaggiatori. Li avevagià usati nel Carso. Scattò, finse un malore, andò incabina, sviluppò, stampò, infilò i negativi nelle ca-psuline, «lanciò le immagini nell’aria» e quandotornò in porto le sue foto erano già in edicola.

Dodici anni prima, sempre su una nave, Porryaveva avvicinato il Duce per consegnargli un rulli-no esposto, dicendogli (racconta o immagina labiografa): «Ironiche sì, irriverenti mai». C’erano gliscatti rubati del poco marziale mal di mare delgrande condottiero. E qui forse sta una risposta almistero del loro rapporto: il dittatore e il fotografonon si sopportavano, non riuscivano a evitarsi,però forse si rispettavano. Benito non gli perdonòmai lo scatto, celeberrimo, del suo arresto duranteun comizio interventista del 1915: il futuro Ducepreso per la collottola da un poliziotto, come unmonello. Quando se lo vedeva attorno sbottava in-fastidito, perché sapeva che quello stangone nonl’avrebbe mollato, neppure dietro i cespugli doveun giorno, durante le manovre militari in Irpinia, siera appartato, perché anche ai dittatori ogni tantoscappa. Ma eccolo lì Porry con l’occhio al mirino:«Ah si? E allora adesso fotografami anche que-sto...», seguì gesto eloquente. La relativa fotografianon pare sia mai stata rintracciata. «Sempre il soli-to fotografo!», gli disse un giorno del ’24 Mussolini,e Porry lo rimbeccò: «Sempre il solito presidentedel consiglio!», che a pensarci bene era una battutada finire in villeggiatura a Gaeta per decenni.

Invece no, Porry lavorò indisturbato per tutto ilVentennio. Lui, che aveva fatto il servizio più peri-coloso che si potesse immaginare in quegli anni: lafotocronaca del ritrovamento del cadavere di Gia-como Matteotti. Glielo aveva chiesto Velia, vedovadel parlamentare socialista assassinato. Un repor-tage straordinario, di un dinamismo sconosciuto

Sotto, la prima pagina del Giornaled’Italia del 12 aprile 1915

con la foto in cui Porry-Pastorel

immortala l’arresto di Mussolini

in piazza Barberini. A destra, il Duce

in piazza del Popolo a una sfilata

fascista dopo la marcia su Roma

Sotto, a Cogne nel 1939

Mussolini visita le miniere

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DOMENICA 10 MARZO 2013

L’onda coloratache rivoluzionò il rock

nei ’70 è lunga: dalla PFM al Banco del Mutuo Soccorsoil successo delle vecchie banditaliane continua all’estero,mentre da noi restano un cult

SpettacoliCambiare musica

ca, enfatizza nel titolo: «A Palermo comeall’Isola di Wight!»). Intanto sul versantesociale si vivono i tumulti e le utopie del-la generazione post sessantottina, capacidi trasformare un «normale» festival rockin un capitolo della memoria antagoni-sta. Come il Festival di Ballabio (Lecco)del 25 e 26 settembre 1971 organizzatodalla rivista underground Re Nudo, cheinaugura la stagione dei festival del pro-letariato giovanile, dove si balla e si sbal-la senza pagare alcun biglietto. «Faccia-mo che il tempo libero diventi liberato»,recita uno degli slogan più amati: dieci-mila ragazzi armati di sacco a pelo, tantoentusiasmo e pochi quattrini — buffet aprezzi “politici” — si accampano tra i bo-schi, chiacchierano, fumano, fanno all’a-more, dormono, suonano i bonghi, e aturno si spingono vicino al palco per ap-plaudire Claudio Rocchi o ammirareestasiati i virtuosismi del chitarrista Bam-bi Fossati, leader dei Garybaldi. L’impor-tante è essere lì.

L’ebbrezza da successo che deriva daquegli irripetibili, scoppiettanti Settanta,genera brutti scherzi. Pensiamo ai NewTrolls, nemiciamici da decenni. Furonopionieri del concept album quando nel1968 pubblicarono Senza orario, senzabandiera, testi del poeta anarchico Ric-cardo Mannerini e supervisione del gio-vane De Andrè. Furono ancora pioniericon il Concerto Grosso del 1971 che distil-lava echi di Hendrix, Jethro Tull, DeepPurple e sinfonismo orchestrale, discoconcepito con Luis Bacalov, futuro pre-mio Oscar per le musiche di Il postino. Poisi frantumarono in più rivoli, guerreg-giando tra di loro per avere in esclusiva ilnome New Trolls. Il tribunale ha senten-ziato che quel marchio può essere utiliz-zato solo se torneranno insieme Belleno,Belloni e De Scalzi. Intanto sui muri citta-dini potreste imbattervi nei manifesti cheannunciano i concerti di La Storia NewTrolls (De Scalzi e Di Palo), Il Mito NewTrolls (Belloni e Usai), Ut New Trolls (Bel-leno e Salvi, è appena uscito il loro nuovoalbum Do Ut Des). E non basta: ora c’è unanuova denominazione, per un progettoesclusivamente discografico, il ConcertoGrosso N.3 con Bacalov. Partecipanoquasi tutti i migliori: Belleno, D’Adamo,De Scalzi, Di Palo. Ma quel «quasi» fa ladifferenza, e allora il progetto si chiamaLa Leggenda New Trolls. Senza (auto) ce-lebrazione non c’è Troll che tenga.

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MEMORABILIA

In questa pagina

dall’alto, i manifesti

dei Saint Just (1973);

Alan Sorrenti (1972);

Genco Puro & Co.

(1972); Hellua Xenium

(1973); Area (1974)

Ai tempi del boomAretha Frankline Duke Ellingtoncantavano dal vivo

con Carmen VillaniOggi i superstitidei New Trollssi contendono il marchio

Quarant’anni suonatie portati ancora bene

Il rock italiano degli anni Settantaconsuma la sua rivincita sulla storiache voleva seppellirlo. La PremiataForneria Marconi si è rigenerata de-cuplicando i progetti creativi. Suinostri palchi offre il repertorio origi-

nale e rinnova gli arrangiamenti per le ope-re dell’amato compagno di imprese Fabri-zio De André, ha realizzato un’opera rock(Dracula), musica strumentale per il cine-ma (Stati di immaginazione), persino unarivisitazione dei compositori classici(Beethoven, Mozart, Verdi, Rossini...) ri-pensati come ispiratori del gruppo (PFM inClassic). Negli ultimi anni ha affrontato lun-ghi tour: Giappone, Usa, Brasile, Canada, eil prossimo autunno si esibirà in Argentina.

Il boom della Premiata, affrancata dalladimensione del rock progressivo, ha ria-perto paradossalmente proprio quel fron-te di vecchi eroi. Tra Stati Uniti ed EstremoOriente hanno suonato negli ultimi anniBanco del Mutuo Soccorso, Osanna, Trip,Orme, Balletto di Bronzo, De Scalzi & Di Pa-lo (con la sigla La Storia New Trolls), Ut NewTrolls (quelli di Gianni Belleno), addirittu-ra i Pooh dell’epoca Parsifal. E dal 24 al 26aprile, Tokyo ospiterà le esibizioni di For-mula 3, Rovescio della Medaglia, il rifor-mato Museo Rosenbach (prima formazio-ne di Giancarlo Golzi dei Matia Bazar, chea breve pubblicherà un disco nuovo),Maxophone.

L’Oriente ha sempre amato il Made inItaly dei Settanta, e il rock progressivo faaudience pure da noi. Lo dimostrano ilboom delle Prog Exhibition romane — traeventi live, dischi e dvd sfiziosi —, ma an-che il rinnovamento messo in atto da nuo-vi guru talentuosi, primo fra tutti FabioZuffanti con le sue tante creature, dai Fini-sterre alla Maschera di cera.

Eppure, quarant’anni dopo, c’è ancoraparecchia gente che non ha proprio capi-to cosa fosse, il rock progressivo. E perchéi gruppi — che in Italia chiamavamo com-plessi — si accanissero in tutta Europa amassacrare la formula della canzone da treminuti (strofa-ritornello-strofa) per appli-carsi a quel magma sonoro che a volte suo-nava cerebrale, a volte popolare, classi-cheggiante, barocco o romantico. A voltefolk, oppure fitto di germogli psichedelici

o tempestato di hard rock brutale. E spes-so tutte queste cose insieme, secondo

contaminazioni sempre più folli.I prodromi della rivoluzione

provenivano dai tardi anni Sessanta,preannunciati dal magnifico incrocio sti-listico del Sgt. Pepperbeatlesiano (1967) edal terremoto psichedelico (Pink Floyd)che aveva messo il sale sulla coda delblues e del beat. Ma il vero manifesto del«prog» fu In The Court of The CrimsonKing (1969) della banda Fripp. Anche inItalia qualcosa s’era mosso, con le avven-turose esperienze psico/beat di Chetro &Co e delle Stelle di Mario Schifano, il col-lettivo pensato dall’artista, celebre per isuoi dipinti di figure astrali, come unasorta di Factory warholiana. Poi, agli al-bori dei Settanta, si diffuse il rifiuto dellaforma-canzone e la convinzione che il 33giri non dovesse più svilupparsi comesomma di singoli brani, ma come un’uni-ca storia. Spesso di ispirazione mitologi-ca, filosofica, fantasy. L’oggetto discoaspirava alla stessa nobiltà o spregiudica-tezza di un libro o di un dipinto. E non è uncaso che studi fotografici e di design spe-cializzato affermassero il proprio mar-chio di fabbrica sulle copertine dei dischi«prog», ormai associato al concetto di Artrock. Nel suo piccolo, anche in Italia, consvariate immagini d’autore: Mazzieri,Convertino, Adelchi, Crepax e Pazienza.Adesso arriva in libreria Volo magico. Sto-ria illustrata del rock progressivo italianodi Franco Brizi (Arcana) che ricostruiscequell’epopea caotica di imprese, bluff eflop capace oggi di suscitare larghi sorrisie rivelare contraddizioni enormi.

Gran disordine sotto il cielo. Nella lo-candina di Palermo Pop ’70 finiscono ac-canto Aretha Franklin e Carmen Villani,Duke Ellington e Little Tony, Brian Augere Nino Ferrer, Johnny Hallyday e i Ricchie Poveri... (Ciao 2001, la bibbia dell’epo-

FLAVIO BRIGHENTI

Repubblica Nazionale

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Lanascita del rock progressivo coincide con la na-scita del primo rock autenticamente europeo.Per la prima volta, dopo lunghi anni di prevalen-

te influenza americana, nasce un genere le cui fontiispirative principali — le scale, il tipo di composizioni,le strutture — fanno riferimento alla cultura sonora eu-ropea, alle radici della musica classica e popolare.

È un’occasione unica, per tutta l’Europa e per noiitaliani in particolare. Nel giro di due, tre anni, nasco-no centinaia di gruppi che fanno riferimento al rockprogressivo, e come Premiata Forneria Marconi ci ri-troviamo a suonare in raduni affollati in maniera an-che grottesca: sessanta o settanta gruppi che condivi-dono un palco, tutti con nomi fantasiosi, magari ac-comunati dal vizio di partire con assoli strumentalilunghissimi...

I detrattori sostengono che per troppi anni abbiamovissuto immersi in un mondo favolistico, poco interes-sato alla realtà sociale. In realtà il ’68 in Italia è arrivatopiù tardi, ma si è protratto più a lungo, rispetto ad altripaesi. Da quell’ambiente socialmente vivo e politica-mente impegnato, molti gruppi del prog hanno trattobeneficio sul piano ispirativo e pratico: le occasioni persuonare erano innumerevoli, festival e festivalini na-scevano un po’ ovunque, senza dimenticare quell’e-norme circuito alternativo e insieme “ufficiale” cheerano le Feste dell’Unità. Internet non esisteva, ma c’e-rano milioni di giovani con le antenne accese: il prog habrillato di vita e vivacità perché la realtà sociale in cui simuoveva aveva l’anima accesa. Artisticamente, il progsi è suicidato per eccesso di note. Ci è parso così belloassaporare una libertà creativa senza limiti, che abbia-mo suonato troppo, riempiendo esageratamente dinote la musica, assecondando magari l’ambizione dichi in fondo voleva essere un musicista classico…

Ripenso anche al primo tour della PFM negli Usa,nel 1974, dove, a volte, ci capitò di condividere il pal-co con gente molto più «pesante» di noi, tipo Foghat,Peter Frampton, Bad Company, Blue Oyster Cult. Noiarrivavamo lì con i flautini e all’inizio il pubblico eraquantomeno un po’ spaesato, ma alla fine portavamosempre a casa la pelle: in fondo, eravamo bei rocket-tari anche noi e capivamo al volo quand’era il caso dispingere con brani tipo Celebration trascurando i“lenti rinascimentali”. E comunque, più suonavamo“italiani”, più eravamo vincenti. Ma l’abbiamo capi-to dopo... Critica e pubblico ci acclamarono. E tro-vammo anche fan segreti, per esempio Ahmet Er-tegün, fondatore dell’Atlantic Records, produttore diJohn Coltrane, Led Zeppelin e mille altri. Il quartieregenerale della PFM a L.A. era vicino a Sunset Boule-vard. Alle sette di sera Ertegün chiudeva il suo ufficio,lasciava fuori file di aspiranti artisti, e si presentavapuntuale da noi: prima condivideva chiacchiere espaghetti, poi ci raggiungeva ai concerti.

Ci suicidammoper eccesso di note

MAURO PAGANI

IL LIBRO

Volo magico. Storiaillustrata del rock

progressivo italiano (Arcana, 600 pagine,

75 euro) sarà in libreria

dal 18 marzo. Il cofanetto,

formato 25x29, è a cura

di Franco Brizi, esperto

e collezionista di memorabilia prog

Con prefazione del cantautore Claudio

Rocchi, ex Stormy Six, ha anche

una minuziosa discografia. In queste

pagine alcuni dei materiali che illustrano

il volume: copertine di riviste, locandine,

manifesti, poster, articoli d’epoca

POSTER

Da sinistra

in senso orario

le Orme (1970);

Banco del Mutuo

Soccorso (1972);

Gli Alluminogeni

(1971); Franco

Battiato (1972);

Luciano Basso

(1977);

gli Alberomotore

(1974) e i Latte

e Miele (1972)

Tutte le immagini

provengono

dagli archivi

degli autori

BAND

Sopra,

i Nomadi

in un manifesto

del 1971

Qui accanto,

gli Osanna

nel 1971

A sinistra,

Ivan Graziani

sul retro

di copertina

della rivista

NuovoSoundnel ’76

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Cosa avranno mai da dirsi il frigorifero e la la-vatrice? E perché il tostapane dovrebbe par-lare con la macchina del caffè? Questa storiadella casa intelligente non ha mai veramen-te attecchito. Nonostante decine di milionidi euro spesi in comunicazione dalle multi-

nazionali, un alone di sarcastica diffidenza ha sempre cir-condato il lancio di ogni nuovo mirabolante prodotto. Male cose sono improvvisamente cambiate la scorsa estate.Su Kickstarter è apparso il progetto Smart Things: i pro-motori chiedevano soldi per costruire una piattaformache consentisse a chiunque di collegare con dei sensori ivari oggetti della casa per poterli controllare in ogni mo-mento, da ogni luogo via web. L’Internet delle cose, di cuitanto di parla, anzi l’Internet della casa visto che parliamodi elettrodomestici e dintorni. Una proposta così aveva al-tissime possibilità di cadere nel vuoto e invece in pochesettimane ha raccolto un milione 209 mila 423 dollari. Aiquali in dicembre se ne sono aggiunti altri tre da parte diun pool di investitori tra cui figura anche l’attore AshtonKutcher, l’ex di Demi Moore. Non male se si pensa che tut-to nasce in seguito a un weekend sfortunato: Alex Hawkin-son, 40 anni, informatico e neuroscienziato, era andato in

Colorado presso una casa di famiglia e aveva trovato unmezzo disastro, impianto elettrico rotto e tubi dell’acquabruciati. Possibile che non ci fosse un modo per essere av-vertiti in casi simili? E così si è messo a sviluppare SmartThings: un kit da 299 dollari con il quale chiunque può ren-dere “intelligenti” ovvero “smart” gli oggetti della casa econtrollarli con un clic del proprio telefonino. I primi kitsono in consegna in questi giorni.

Il successo di Smart Things è tutt’altro che isolato.Solo su Kickstarter nei mesi scorsi sono stati finan-ziati decine di progetti legati in qualche modo al-l’Internet della casa. Il caso più clamoroso è Lifx,una lampadina intelligente che si collega al wifi,cambia colore e si controlla con un telefonino: hariscosso un milione e 300 mila dollari, è stato pro-dotta e messa in vendita a 69 dollari a esemplare edè subito andata esaurita. Ma hanno avuto un im-patto commerciale notevole anche Twine, un senso-re che ti avvisa via mail e sms cosa stanno facendo gli og-getti della casa; Air Quality Egg, un aggeggio che monitorala qualità dell’aria di un ambiente e che avvia delle con-versazioni tematiche sui social network; e Jamy, un to-stapane che ti stampa sul pane croccante anche leprevisioni del tempo aggiornate e geolocalizzate.

CosmServizio online

che permette

di collegare alla rete

i dati ottenuti

dai sensori per creare

delle applicazioni

ParaimpuMade in Cagliari

consente di collegare

oggetti, strumenti

e persone per creare

il proprio “Internet

delle cose”

ArduinoMinicomputer

da 20 euro inventato

da Massimo Banzi

che consente

di programmare

l’azione di un oggetto

Il tostapane che stampa il meteo sul toast, il termostatoche si adegua alle nostre abitudini, la pianta che manda un tweet se è secca e la lavatrice che avvisa via sms quando ha finitoLa casa sarà sempre più intelligenteGrazie anchealla tecnologiaitaliana

NextInquilini 2.0PIATTAFORME

LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 10 MARZO 2013

RICCARDO LUNA

L’Ardu-lettiera per gatti

registra quante volte

le ventole sono state

attivate, dice se bisogna

pulire i filtri e ha uno spray

automatico dopo ogni uso

Gatto

Per controllare i bambini

(e la babysitter) anche

quando si è fuori: lo Smart

Baby Monitor con video

ad alta risoluzione

e suono nitido

Videocontrollo

Le lampadine a led Hue

di Philips creano

un sistema di illuminazione

wireless intelligente

controllato dall’iPhone

mediante un’app

Lampadina

Plantduino: plant, pianta,

più Arduino. È un sistema

che regola acqua

e temperatura della serra

Manda un alert via tweet

quando è ora di innaffiare

Piante

Il sistema integrato

nel mobiletto dei medicinali

sa quale farmaco

si deve assumere

e quando: avvisa anche

attraverso tv o cellulare

Medicine

Lavatrice

Landruino: da laundry,

lavatrice, più Arduino

È un pannello di controllo

fai-da-te che ti avvisa

via Internet quando i panni

sono lavati

Repubblica Nazionale

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Se tutte queste storie vi sembrano soltanto gadget perimpallinati della tecnologia, sentite questa. Alla fine del2001 un ex dirigente di Apple, Tony Fadell, ha lanciato unprodotto che sulla carta non poteva essere meno sexy: untermostato. Solo che Nest è un termostato intelligente(oltre che molto bello, del resto Fadell ha progettato e rea-lizzato l’iPod): impara dalle nostre abitudini, sa quandoci svegliamo e quando torniamo dall’ufficio la sera, e sa ache temperatura vogliamo trovare la casa. Si vende onli-ne, anche attraverso il sito della Apple, a 250 dollari e inquesto momento se ne vendono quasi cinquantamila almese. Motivo per cui i Nest Labs hanno una valutazionedi ottocento milioni di dollari e sono considerati la star-tup dell’anno.

Tutto questo fermento creativo si alimenta dell’entu-siasmo di una nuova generazione di “smanettoni” che sidivertono a trovare nuovi modi di collegare fra loro gli og-getti della casa in maniera intelligente. Lo strumento prin-cipe di questa ondata di innovazione si chiama Arduino,un minicomputer inventato a Ivrea qualche anno fa da uningegnere mancato, Massimo Banzi, e che sta diventandolo standard mondiale con il quale fare progetti “smart”.Per due ragioni: una schedina Arduino costa appena ven-ti euro ed è facile da usare anche per chi conosce solo i ru-dimenti della elettronica.

In Rete è pieno di progetti di smart-home basati su Ar-

duino: dalla mangiatoia che riconosce quale dei due gattiha davanti e seleziona il cibo più adatto a ciascuno; allapianta che manda un tweet quando la terra è secca e cosìvia. E proprio domani la community di Arduino fa ungrande passo avanti: grazie all’accordo con il colosso del-la telefonia Telefonica, tutte le schede Arduino avranno lapossibilità di collegarsi alla rete GSM e quindi sarà facilis-simo impostare il proprio Internet della casa in modo da

ricevere una telefonata o un sms appena un sensoreraggiunge una certa soglia.

Una delle piattaforme migliori per farsi da soliprogetti di questo tipo è made in Italy, anzi ma-de in Cagliari: Paraimpu è un progetto del Cen-tro Ricerche Sardegna 4. Consente di connette-re e gestire in maniera affidabile e facile qualsia-

si tipo di oggetto dotato di connessione permet-tendo di sviluppare applicazioni con i dati otte-

nuti in tempo reale. Obiettivi: il risparmio energeti-co; le informazioni sul meteo e il traffico; ma anche

servizi gestiti collettivamente. Come nel caso di Jardimpu,un sistema di giardinaggio social in streaming live sul

web che permette a chiunque di conoscere le condi-zioni delle piante e di prendersene cura, innaffian-dole a distanza. Con un semplice tweet.

GLOSSARIO

Dispositivo inventato

da un ragazzino cileno

di 14 anni sopravvissuto

a un sisma. Quando

c’è un allarme, manda

immediatamente un tweet

Ormai non abbiamopiù bisognodel permessodi nessuno per faredelle cose meravigliose

‘‘

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DOMENICA 10 MARZO 2013

Massimo Banzi

Fondatore di Arduino

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Anti-sisma

IOTSono gli inventori di questo

secolo, i nuovi artigiani

che progettano il futuro:

ultima generazione di creativi

che uniscono cultura digitale,

competenze elettroniche

e passione per l’innovazione

Makers

Sono le case intelligenti,

ovvero quelle in cui i vari

elettrodomestici sono

collegati fra loro e alla rete

in modo da essere regolabili

al limite anche

con il proprio telefonino

Smart house

Il sistema preferito utilizzato

per trovare finanziamenti

per realizzare i propri

progetti di smart home:

nel 2012 sono tutti,

o quasi, partiti

dalla piattaforma Kickstarter

Crowdfunding

Si può stampare ovunque

e in qualunque momento:

basta inviare

un messaggio all’indirizzo

e-mail della stampante

web connected

Stampante

Il silenziatore anticelebrità

è un telecomando

che imposta il televisore

in modalità silenziosa

se si parla di personaggi

famosi sgraditi

Anti-vip

Con webcam integrata

questa tv di ultima

generazione consente

di controllare cosa

avviene in casa (anche

con dipositivi Android)

Tv con webcam

Un video-campanello,

che collegandosi senza fili

a smartphone o tablet,

permette di interagire

con chiunque si presenti

alla porta di casa

Doorbot

È una filosofia che prevede

la pubblicazione del codice

di programmazione

con cui sono scritte

le applicazioni e gli strumenti

tecnologici. Così facendo tutti

possono migliorare il prodotto

Open source

Acronimo di Internet of Things:

l’Internet delle cose

Gli oggetti collegati alla Rete

consentiranno di analizzare

informazioni in tempo reale

per avere un pianeta

più intelligente

Se ne vendono 50mila

al mese: impara quando

ti svegli, quando vai

a dormire e quale

temperatura vuoi in casa

Si regola col telefonino

Termostato

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 40

DOMENICA 10 MARZO 2013

I saporiConcentrati

Tutto in una volta. Come in un concentrato di golosità e nutrimento, un perimetrodi pochi centimetri quadrati raccoglie la summa golosa di cibi che altrimenti sa-rebbero cadenzati in sequenza più o meno classica: antipasto, primo e secondo,carboidrati e proteine abbracciati. È il miracolo goloso del piatto unico, termina-le obbligato di milioni di pasti (preferibilmente pranzi, in coincidenza con la pau-sa lavorativa) preparati e serviti ogni giorno da una parte all’altra d’Italia. La con-

notazione geografica è importante, perché se nel resto del mondo pasta e riso — spesso pro-tagonisti del monopiatto — sono concepiti a mo’ di complementi alimentari, quindi facil-mente associabili a questo o quell’ingrediente, qui l’abbinamento richiede maestria per evi-tare l’eresia gastronomica. Questione di tecnica e di fantasia, ma anche di clima. Mentre l’in-verno si porta appresso le stimmate del freddo da combattere a suon di pasti caldi e strutturati(che il piatto unico quasi sempre mortifica e banalizza), i prodromi della primavera mettonoaddosso la voglia di cibi freschi — primizie d’orto, cereali integrali, condimenti lievi — più sem-plici da incastonare in mosaici appetitosi.

Certo, il rischio del banale e del dozzinale è dietro l’angolo, come sempre succede assem-blando alimenti diversi: basti pensare a certe pasticciatissime insalate di riso o all’avvilentemediocrità di quelle miste. Più di tutto, contano le materie prime. Mischiare una cucchiaiata

di mais in scatola, utilizzare la (finta) mozzarella in panetti, aggiungere salse o pezzi di polloscadente, è un modo deprimente e sbagliato di pensare il monopiatto. Allo stesso modo, sal-tare in padella il riso avanzato, affiancarlo a dei tocchetti di formaggio e a un ciuffo di valeria-na assomiglia più al riciclo, — normale nella cucina di casa, deprecabile in un ristoro pubbli-co — che a un’idea compiuta di pasto. Entrambi approcci riduttivi, che impoveriscono assail’idea originaria del «tutto in un piatto», esaltata da campionesse della cucina regionale comelasagne, polenta coi formaggi o minutaglia con fagioli e cozze, ricetta capace di far conviverepasta, legumi e molluschi in un solo, memorabile mestolo di minestra.

In compenso, quando gli ingredienti sono ben scelti e il cuoco ha la mano felice, il piatto uni-co può assurgere a gioiellino gourmand, equilibrato e godibilissimo, in grado di fronteggiareperfino gli effetti della crisi economica in campo alimentare. Non a caso, le due tipologie di ri-storazione che meglio lo interpretano sono tapas bar (cucina a base di crostini importata dal-la Spagna) e pizzerie in versione d’autore. Fette di pane o impasto steso, poco importa: a farela differenza è l’incontro magico — figlio della tradizione, della contaminazione etnica o diun’intuizione — tra ingredienti apparentemente distanti, a volte perfino antitetici, e invece inperfetta armonia, dalla pizza San Marzano, mozzarella di bufala, ricotta e salame napoletanodi Enzo Coccia (La Notizia, Napoli), al crostino con vongole, zenzero, pepe di Caienna e limo-ne di Albert Adrià (Tickets, Barcellona). In caso di appetito robusto, raddoppiare la dose conuna fetta di Sacher.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riso e currydi polloRiso varietà Basmati

(orientale lungo), cotto

incoperchiato. Pollo

spadellato col curry,

rifinito con latte. A fuoco

spento, pezzetti

di mandorle e cumino

Cous cousLa semola, incocciata

(sgranata e lavorata),

si porta a cottura

in acqua o con brodi

aromatizzati

Verdure a tocchetti,

pesce o carne

per accompagnare

Piatto

Pastae fagioliMaltagliati, pasta mista,

di semola o all’uovo,

bollita nel brodo di cottura

(allungato) dei legumi

In Campania piace

il raddoppio di proteine

con le cozze

PiadinafarcitaIn equilibrio goloso,

la cialda di acqua, farina

e strutto, avvolge

lo squacquerone,

formaggio fresco

leggermente acidulo,

e la rucola

PomodoriripieniCarichi di vitamine

e licopene, si farciscono

con proteine – carne,

formaggio, pesce, legumi

– e verdure. Carboidrati

(pane, riso, patate)

a parte

Polentae brasatoCotta e addensata,

la farina di mais, priva

di glutine, accompagna

per tradizione

la carne bovina stufata

con il vino rosso

Meglio se con verdure

Macco di favee cicoriaFave (i meno calorici

tra i legumi lessati)

e cicoria, passate

e servite

con una forchettata

d’erbe (bietole, spinaci...)

sbollentate e spadellate

Agnello con purè aromatizzato all’aglio Riso pilaf al gelsomino con pollo arrosto in crosta di sale

Tutto insiemeappassionatamente

LICIA GRANELLO

Unico

Dal cous cous ai pomodori ripieni, dal pollo al curry alle lasagne o fave e cicoriaUn po’ per dieta, un po’ per crisi, ecco come far convivere

in una sola portata il pranzo di una volta: antipasto, primo, secondoe contorno. Senza correre il rischio di cadere nell’eresia o nel riciclo

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 10 MARZO 2013

Farroe gamberiIl farro, grano antico

e rustico, da cucinare

come un riso, bollito

o tirato a cottura (farrotto)

Insieme, crostacei

scottati e dadini di sedano

o zucchine

Fish&chipsCibo veloce

per antonomasia,

il classico cartoccio

di crocchette di merluzzo

e chips. Al posto

delle patate, però,

si possono anche friggere

carote, finocchi o zucchine

LasagnePasta, carne e latticini

in un mix tradizionale

e irresistibile

I nutrizionisti incoraggiano

la versione vegetariana,

con il pesto

(o la besciamella)

e dadolata di verdure

PONT DE FERR

Ripa di Porta Ticinese 55

Tel. 02-89406277

Sempre aperto,

piatto unico da 8 euro

JOIA KITCHEN

Via Panfilo Castaldi 18

Tel. 02-29522124

Chiuso sab. a pranzo e domenica,

piatto unico da 12 euro

GATTÒ

Via Castelmorrone 10

Tel. 02-70006870

Chiuso domenica,

piatto unico da 10 euro

NO.AU

Piazza di Montevecchio 16

Tel. 06-45652770

Chiuso lunedì,

piatto unico da 9 euro

FELICE A TESTACCIO

Via Mastro Giorgio 29

Tel. 06-5746800

Senza chiusura,

piatto unico da 10 euro

ASSAGGI D’AUTORE

Via dei Lucchesi 28

Tel. 06-6990949

Chiuso lunedì sera,

piatto unico da 10 euro

RISTORANTE CONSORZIO

Via Monte di Pietà 23

Tel. 011-2767661

Chiuso sabato a pranzo e domenica,

piatto unico da 8 euro

LE VITEL ÉTONNÉ

Via San Francesco da Paola 4

Tel. 011-8124621

Chiuso domenica sera e lunedì,

piatto unico da 10 euro

LA TABERNA LIBRARIA

Via Bogino 5

Tel. 011-8128028

Chiuso domenica,

piatto unico da 8 euro

Pizza, polenta e baccalà

Bollire il pesce in acqua aromatizzata e spinarlo,lavorarlo caldo con un pizzico di zucchero e saleaggiungendo olio all’aglio e di vinacciolo. Cuocerela polenta e farla riposare 12 ore in frigo. Con una frusta,inserire la crema in una sacca da pasticcere. Formare 8 palline, coprire con carta da forno e schiacciare per farnedelle cialde, da infornare 40’ a 140°. Spezzettare le spugnole, caramellarle in padella con olio, aglio, sale e pepe. Tagliare a metà i pomodorini, disporlisu una placca da forno con poco zucchero, sale e olio. Cuocere un’ora a 100°. Disporresulla pasta stesa le spugnole, il fior di latte e infornare. Tagliare la pizza in 8 parti: su ogni spicchio disporre una quenelle di baccalà, la cialda di mais e il pomodorino confit. Olio e pepe

LA RICETTA

Maiale allo zenzero con lenticchie e fagiolini Linguine con asparagi e ricotta affumicata alle nocciole

Ricordo ancor, con melanconica nettezza, la prima volta che un amico mi propose: «Ci vediamoe mangiamo una cosa». Si interessava anche di design, quindi sulle prime mi preoccupai. Poi ca-pii. A differenza di me (sono passati molti anni) era già nell’età della minacciata prominenza ad-

dominale e il modo di dire, che scoprii presto assai diffuso, pretendeva di coniugare la convivialità del-la mensa con la sobrietà del fitness, le ragioni del dietologo e quelle del buon umore.

Da «cosa» nasce cosa: ben presto incominciò l’epoca e l’epica (parole che forse derivano entrambeda «epa») dei «piattini», degli spuntini, degli eufemismi della tavola. Prima funzionava al contrario: perappariva informali si andava in «pizzeria»; ci si spartiva una focaccia come antipasto e alibi, e poi si fa-ceva un pasto completo, primo, secondo, contorno, dessert. Adesso si va invece al ristorante e si pren-de un «piatto unico», o un unico piatto: siamo quasi alla vergogna di mangiare, e quando ci arriveremosarà realizzata metà della profezia del grande Luis Buñuel, in una celebre scena del Fantasma della li-bertà. A pranzo il piattino scaldato al microonde al baretto. La milanese schiscètta (gavetta ermetica ascomparti, per il pranzo di mezzogiorno dei lavoratori) è sostituita dal contenitore di plastica con insa-lata o altra saluberrima vivanda, da accompagnare con uno yogurt tenuto in fresco sul davanzale. Di se-ra, happy houre apericènaperpetuano l’equivoco. A casa, c’è chi è arrivato al vassoio davanti alla tv, mafra tovagliette, spizzichi, assaggini, sfizietti e altri diminutivi (che spesso diminuiscono solo la parola, enon la «cosa») di fatto la tavola imbandita sembra prossima a diventare una sorta di tabù. Dalla Grandebouffe siamo passati a ipocriti buffet. A continuare a ingrassarci deve essere qualcos’altro, forse l’aria.

Dopo la grande abbuffatal’ipocrisia del buffet

STEFANO BARTEZZAGHI

A tavola

© RIPRODUZIONE RISERVATA

MILANO ROMATORINO

GLI INDIRIZZI

Simone Padoan, patron

del ristorante “I Tigli”

di San Bonifacio, Verona,

ha reinventato la pizza come

base golosa per piatti creativi

e squisiti, come la ricetta ideata

per i lettori di Repubblica

Ingredienti per 4 persone270 g. di pasta a fermentazione naturale90 g. di fior di latte a cubetti140 g. di baccalà; 70 g. di spugnole9 pomodorini; 1 spicchio di aglio in camicia 1 noce di burro; extravergine di oliva Biancolilla80 g. di olio all’aglio; 200 g. di olio di vinacciolo 200 g. di farina di maissale di Maldon; pepe bianco

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 42

DOMENICA 10 MARZO 2013

Tornato a recitare a ottantatré annidopo un decennio di stop seguitoalla morte della figlia, l’attore più

premiato d’Europaracconta una vita fatta di passioni: auto, donne,teatro. E cinema: “Su centotrenta film ne salvo

una trentinaIl rimorso più grande?

Il no a Bertolucci. Ma me lo chieseMarie: papà, se fai Ultimo Tango a scuola mi prenderanno tutti in giro”

PARIGI

«Sono invecchiato,eh?», si scusamentre scrosciaancora l’applau-

so alla fine de Il grande silenzio, we-stern di Sergio Corbucci del ’68, quan-do, a trentotto anni, continuava ad ave-re l’aria di ragazzo schivo e intimiditodel Sorpasso. Adesso che Amourcopre,imperioso macigno rugoso, il suo cine-ma, da cui s’era allontanato dieci annifa, pare difficile agli spettatori dellapersonale a lui dedicata a Parigi fare illegame tra il prima e il dopo di Jean-Louis Trintignant. Tra Amour e gli altricentotrenta film girati in un’eterna gio-vinezza, prima dello stop, prima delladiga: la morte tragica, appunto diecianni fa, dell’adorata figlia Marie.

Con l’abituale ritrosia, l’attore fran-cese, a ottantatré anni il più vezzeggia-to e premiato del cinema europeo,smonta come un castello di carte il suopassato in pellicola: «Su centotrenta ti-toli, di cui un quarto italiani, non più ditrenta sono da salvare», e quasi si scu-sa di nuovo. Affabile, all’uscita si lasciaprendere sottobraccio da chi l’aveva alungo intervistato quasi quarant’annifa sul set torinese di La donna della do-menica: «Luigì Comencinì?», s’illumi-

na il suo sguardo di spillo. «Che bei mo-menti, anche con Marcello Mastroian-ni. Dei quattro “colonnelli” della com-media all’italiana, era il più simpatico.Molto intelligente, non intellettuale.Gran seduttore, una bomba. Sparivadopo due bisbigli con una bellona e, innemmeno un’ora, impresa compiuta.Eravamo due cocciuti sul set, entram-bi a ronzare attorno a Jacqueline Bis-set, che però s’eclissava subito a fine ri-prese: “Dopo le dieci di sera non m’èmai successo nulla di interessante”.Forse una maliziosa provocazione».

Trintignant era allora nel pieno delsuccesso: dal film-Oscar Un uomo euna donnadi Claude Lelouch a Z-L’or-gia del poteredi Costa-Gavras («Era l’a-mante di mia moglie, ma non gliene homai voluto, perché è una bella perso-na») a Il conformista di Bernardo Ber-tolucci («Il ruolo più bello della mia vi-ta»). Ma già tentennava per un’altrapassione, le corse automobilistiche,cui l’avevano soggiogato fin da picco-lo gli exploit dello zio pilota Maurice. Siabbandonerà ai circuiti, alternandoliai set, nella prima metà degli anni Ot-tanta: ulteriore sballottamento d’unavita a strappi, scoscesa, interrotta. Glistudi di giurisprudenza lasciati da ungiorno all’altro per buttarsi nel teatro,folgorato da L’avarodiretto da CharlesDullin. Il flirt rovente, nel ’56, sotto leocchiate gelose di Roger Vadim, conBrigitte Bardot — esordiente come luiin E Dio creò la donna — crudelmentespento da un interminabile servizio dileva in Germania e un reclutamentoodioso nella guerra d’Algeria. Tre annidopo, ritorno agli schermi, che l’ave-vano già dimenticato, con la prima,grande affermazione in Italia: Estateviolentadi Valerio Zurlini. Poi, cinemae cinema, anche la peggiore serie B, ita-liana e francese, ma con ripetute fughenel teatro di qualità: «Negli intervallidel Sorpasso, Vittorio Gassman e io tra-scorrevamo ore a parlare di Shake-speare: io recitavo l’Amleto in Francia,lui lo stava mettendo in scena in Italia».Anche i matrimoni a singhiozzo: l’am-maliante Stéphane Audran, poi mo-glie di Claude Chabrol; Nadine, poi suaregista e madre di Marie; e, dai tempidelle corse, la pilota Mariane Hoepf-ner. E poi vuoti improvvisi, incolmabi-li: il primo, la morte in culla a nove me-si della figlia Paulette, l’anno delConformista. Infine, l’ultimo strappo.L’addio a un cinema divenuto seriale,sostituito — fino alla riapparizione-

evento in Amour— dall’amore di sem-pre, sempre più esclusivo, il teatro.

In quest’aspro groviglio d’abban-doni e ripensamenti, d’addii e ritorni,numerosi gli appuntamenti mancati,non solo nel cinema: «È vero, quandoCoppola mi cercò per Apocalypse Now,che mi avrebbe forse aperto una car-riera in Usa, non avevo voglia di muo-vermi dalla Francia. E nemmenoquando Spielberg mi volle per Incontriravvicinati del terzo tipo, nel ruolo chepoi è andato a François Truffaut. Pro-vo più rimorsi, ma la scelta di MarlonBrando è stata ottima, per Ultimo tan-go a Parigi, dove avevo anche dato unamano a Bertolucci nella sceneggiatu-ra. Ma mia figlia Marie, allora bambinae già attenta lettrice degli script che ri-cevevo, mi aveva scongiurato: “Papà, ascuola le mie compagne non finirannomai di prendermi in giro”. E io non homai fatto nulla nella vita che potessedispiacere a mia figlia». Pure l’Italia,

che l’ha a lungo adottato (Trintignantl’italien è il bel documentario presen-tato in suo onore al Festival d’Annecynell’ottobre scorso), è stata talvoltaun’occasione persa: «Con il vostroPaese ho avuto un rapporto privilegia-to. Zurlini è stato per me un fratellomaggiore: a Roma abitavo da lui. Lamia Dolce Vita non è stata però Via Ve-neto, ma la trattoria “Da Otello”, doveci si ritrovava tutti, attori, registi, sce-neggiatori. Spesso i film nascevano co-sì, dalle battute, dalle chiacchiere. Unavolta, mentre si scherzava sul colpo fi-nito male nel Rififi di Dassin, al com-mento “Noi ci saremmo fatti una spa-ghettata!”, Monicelli s’alzò di botto:“La prendo io!”. Era l’idea dei Solitiignoti. Purtroppo tra i molti film che hogirato da voi ho dovuto rinunciare aC’eravamo tanto amatidi Ettore Scola,dove sarei stato il professore intellet-tuale, e a Casanova, non tra i miglioriFellini: non potevo impegnarmi perun anno o più, senza sapere quando ese l’avremmo girato. Ma lo sa che an-che nel Sorpasso, diventato il mio logoitaliano, sono stato preso per puro ca-so? Doveva interpretarlo Jacques Per-rin, altro francese allora onnipresentenel vostro cinema. Le prime riprese,nelle strade vuote di Roma a Ferrago-sto, furono effettuate con la sua con-trofigura. Quando lui dovette rinun-ciare chiamarono me, semplicementeperché ero il più somigliante alla suacontrofigura».

Nei cinque anni in cui si dedicò pro-fessionalmente alle corse, girò traFrancia e Italia ventitré film, quasi cin-que all’anno (una media da Totò): tredi Scola, tra cui La terrazza, l’ultimoTruffaut di Finalmente domenica! e ilsuo ultimo italiano, lo stupendo Colpi-re al cuore di Gianni Amelio con LauraMorante. Una schermata trionfale alconfronto dei vergognosi piazzamen-ti su pista: settimo nell’81 alla 24 ore diSpa Francorchamps, cinquantunesi-mo nell’82 al Rally di Montecarlo, qua-rantasettesimo nell’84... Masochismod’attore o sadismo di pilota? «E pensiche ho anche rischiato di morire, indue incidenti, di cui uno molto grave:nell’80 alla 24 ore di Le Mans sono usci-to di pista a 325 chilometri all’ora. For-tunatamente in un rettilineo. Scoppiòla ruota posteriore sinistra. Sono rim-balzato sei volte sulle barriere di sicu-rezza, senza mai colpirle frontalmen-te. Ma è questo che mi è sempre pia-ciuto delle gare: è una guerra di nervi,

affronti una curva a tale o tal’altra ve-locità sapendo che è l’acceleratore aguidare la macchina e non tu, tu nonpuoi rallentare sennò è testacoda. Ilbrivido è tutto lì. Ciò detto, non è chefossi molto dotato per le corse. E poi hocominciato tardi, dopo i quaranta,quando i piloti in genere smettono».Profetico, dunque, il film di Dino Risi.La vita come sorpasso, sempre defini-tivo quando è sfida con se stessi: un po’come l’attore? «Essere attore significaconservare un’anima infantile, conti-nuare a entusiasmarsi, a meravigliarsi:dunque, a superarsi. In questo, sonosempre stato e sono rimasto, nono-stante tutti gli strappi e i cambi di mar-cia, un attore». Talora, e lei l’ha capitopresto, sorpassarsi è fare marcia indie-tro? «Alla fine della mia vita sono tor-nato alle mie origini: i campi, le vigne.Da una trentina d’anni vivo nella miacasa a Uzès, nei dintorni di Avignone.Nella mia famiglia, nessuno prima dime era mai salito fino a Parigi. Era lon-tana, Parigi. Ci ho vissuto venticinqueanni. E poi ho rimesso radici nella miacampagna, dove sono cresciuto e dovemi sento meglio. Nipote e figlio di vi-gnaioli, anch’io produco vino. Mi ci so-no messo tardi, ma mi piace. Lo bevo,anche, il vino: come il teatro, mi ha aiu-tato a vincere la timidezza. E poi: unasana sbornia non è meglio d’una me-diocre lucidità?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’incontroGrandi vecchi

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Come i miei nonniora produco vinoE lo bevo, ancheUna sanasbornianon è meglio di una lucidamediocrità?

Jean-LouisTrintignant

MARIO SERENELLINI

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