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In vino In vino veritas veritas

In vino veritas. Vino ha origine dalla parola sanscrita vena formata dalla radice ven (amare), la stessa delle parole Venus, Venere. Il vino è dunque,

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“Vino” ha origine dalla parola sanscrita “vena” formata dalla radice ven (amare), la stessa delle parole Venus, Venere. Il vino è dunque, da sempre, strettamente legato all’amore, alla gioia di vivere, bevanda capace di rilassare il corpo, inebriare i sensi, liberare l’istintività dell’uomo, facilitare lo scambio con l’altro, ma anche mettere in contatto l’uomo con il soprannaturale. Nettare la cui assunzione rende gli uomini simili ai dei ,nella grecità; parte integrante del rito della messa, nella cristianità. L’origine del vino si perde nella notte dei tempi. Come per il fuoco, così anche per il vino, la sua “invenzione” fu del tutto casuale.

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La Preistoria Gli Egizi I Greci Gli Etruschi I Romani Il Medioevo Il RinascimentoIl Rinascimento Dal Settecento al NovecentoDal Settecento al Novecento

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La PreistoriaLa Preistoria L’uomo della Preistoria scoprì per caso che il succo d’uva dimenticato in un recipiente di pelle, a causa dell’alta temperatura, aveva subito una magica trasformazione, dagli esiti sorprendenti e per niente malvagi. Anzi. Il gusto era buono e gli effetti inebrianti. Le prime tracce della coltivazione della vite (una pianta che nasce molto prima dell’uomo) si trovano in Asia Minore, nelle terre tra il Tigri e l’Eufrate. Ben nota è nella tradizione ebraico-cristiana la figura di Noè che appena uscito dall’Arca pianta una vite e si ubriaca del suo vino. Fu però soltanto a partire da Neolitico (8000-4500 a.C.) che per la prima volta nella storia si crearono le condizioni necessarie per la coltivazione del vino. Il primo elemento che determinò ciò fu che le comunità del Medio Oriente e dell’Egitto diventarono da nomadi a sedentarie, ciò facilitava l’allevamento sia delle viti che degli animali. Con la sicurezza dell’approvvigionamento del cibo, si affaccia nella storia dell’umanità il primo concetto di “cucina”. Con l’aiuto di tecniche e procedimenti come la fermentazione, ammollo, cottura, condimento, ecc... i popoli Neolitici furono i primi a produrre pani, birre e un assortimento di piatti a base di carne e cereali. Inoltre vennero creati contenitori in cui conservare il vino : vasellame come tini o giare di argilla indistruttibili e che favorivano l’assorbimento delle sostanze organiche. Infatti i primi vini venivano pigiati insieme a bacche di rovo, lampone, sambuco proprio in fosse scavate nella terra e rivestite di argilla per renderle impermeabili.

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Gli EgiziGli EgiziSebbene i primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgano al 1700 a.C., è solo con la civiltà egizia che si sviluppa la produzione del vino. La vite selvatica non crebbe mai spontaneamente nel paese, eppure una fiorente industria del vino prosperò lungo il delta del Nilo, soprattutto grazie ai traffici commerciali, per almeno tre Dinastie, all’inizio del Regno Antico. I vini prodotti erano soprattutto rossi, caratteristici dei climi temperati. Il vino era conservato in anfore dallo stretto collo, solitamente a due manici, sigillate con un tappo circolare di terracotta e da un coperchio conico di argilla che veniva fortemente pressato lungo il bordo. Su questa copertura d’argilla venivano solitamente impressi vari sigilli cilindrici riportanti il nome del faraone. Questi sigilli di garanzia fornivano anche informazioni sul nome del vino, la regione di provenienza della vite, l’anno di produzione, il titolare della primordiale azienda vinicola e addirittura un giudizio di qualità della bevanda. In alcune di queste anfore è stato ritrovato anche del vino conservato da diversi anni, esempio dei primi tentativi di attuare la pratica dell’invecchiamento. Dalle testimonianze d’Erodoto è noto che all’epoca era presente la birra “vino d’orzo” e, inoltre, parla anche dello stato di ubriachezza che avevano duranti i festeggiamenti del plenilunio. Gli Egizi usavano il vino anche in campo sacro : nei sacrifici. Dall’Egitto la pratica della vinificazione si diffuse presso gli Ebrei, gli Arabi e i Greci.

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I GreciI GreciLa penisola ellenica, madre della civiltà occidentale moderna, ha avuto il merito di diffondere la cultura del vino nel resto dell’Europa. Nel mondo greco il saper produrre vino di qualità era segno di cultura e civiltà: “ chi usa vino è civile, chi non ne usa è un barbaro”, dicevano i greci. I cosiddetti “ barbari”, infatti, usavano prevalentemente la birra . Questa bevanda ha ricoperto un ruolo fondamentale sin dai primi periodi della formazione e dello sviluppo della civiltà ellenica, e fu proprio nell'antica Grecia che il vino assunse un ruolo importante, per poi diffondersi in tutto il bacino del Mediterraneo. Pare infatti assodato che siano stati i Greci, un millennio prima di Cristo, a introdurre la vite in Nord Africa, Andalusia, Provenza, Italia meridionale e Sicilia. Non a caso nel V secolo a.C. Sofocle proclamò l’Italia il paese “prediletto da Bacco”, mentre altri scrittori diedero il nome di Enotria (paese dei pali da vite) alle terre abitate dalle antiche popolazioni illiriche stabilitesi sulle coste di Calabria, Lucania e sud della Campania. I Greci svilupparono da subito efficaci tecniche di viticoltura, favorendo la coltivazione della vite e la produzione di vino, fino a farli divenire parte integrante delle culture e dei riti dei popoli mediterranei. Però con molta probabilità il vino che si aveva nell’antica Grecia non era solamente quello prodotto nel paese; alcuni reperti archeologici, suggeriscono che già a quei tempi si importava vino prodotto in altre zone. Durante il periodo classico la vite era ampiamente diffusa in tutto il paese e i Greci introdussero le loro specie di uve anche nei paesi colonizzati, in particolare l’Italia, dove sono ancora coltivate diverse specie che si ritiene abbiano una diretta derivazione greca. Anche il commercio del vino rappresentava un aspetto importante per la Grecia, poiché il vino era una preziosa merce di scambio.

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Il vino, inoltre, era un elemento quasi centrale della vita e della cultura degli uomini greci. Alcuni miti sull’origine della vite e della bevanda che da essa deriva, attribuivano loro caratteristiche dannose e benefiche al tempo stesso. Per questo motivo, quasi tutte le città stabilirono precise leggi volte a regolamentarne l’uso. Il vino puro era detto ¥kratoj (non mescolato) e possedeva un carattere decisamente negativo, quindi berlo veniva considerato barbaro. Tra l’altro, il vino era elemento essenziale in uno dei più importanti eventi sociali dell'antica Grecia, il simposio (letteralmente “bere insieme”), che si svolgeva in una sala, in cui vi erano generalmente ospitati dai sette agli undici partecipanti, sdraiati su dei sofà, ai quali veniva servito il vino. Il vino (che,

in che quantità. Il simposio era un evento della vita sociale greca in cui persone della stessa estrazione si riunivano in un momento di vita consociata allo scopo di scambiarsi idee, dove si sviluppava la memoria collettiva, poetica e visiva, accompagnando le discussioni con cibo e vino. In quanto rivelatore di verità, il vino veniva anche concepito come strumento pedagogico: secondo Platone, si trattava di una sorta di esperimento che permetteva di conoscere veramente gli altri, rendendo così possibile il miglioramento della loro natura.

come già si diceva, non veniva consumato puro, bensì mescolato ad acqua) era contenuto nel cratere, cioè il vaso comune, l’oggetto in cui avveniva materialmente la diluizione con l’acqua, posto al centro della sala. Il delicato compito della diluizione spettava al simposiarca, il maestro di cerimonia, che aveva anche il compito di regolare lo svolgimento del rito, stabilendo il momento in cui si doveva bere il vino e

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Il proverbio "in vino veritas" è stato attribuito al poeta greco Alceo, e si riferisce proprio all'azione del vino quale forza liberatrice da ogni falso ritegno a dire la nuda verità, senza infingimento alcuno. I vini greci erano diversi per il loro colore, proprio come avviene ancora oggi, e si classificavano come bianchi, neri o rossi, e mogano. Il gusto del vino, o meglio il gusto che si preferiva nel vino a quei tempi, era dolce, anche molto, e non a caso l'abitudine di produrre la bevanda facendo uso d'uva appassita era assai frequente. La mitologia greca riconosceva anche un dio del vino, Dioniso, figlio di Zeus, che rivelò agli uomini i segreti della produzione della bevanda, tanto che questo veniva chiamato dai greci proprio “bevanda di Dioniso”.I vini passiti erano ampiamente apprezzati nell'antica Grecia e spesso la dolcezza era concentrata mediante l'ebollizione che ne riduceva la quantità d'acqua. Tuttavia a quei tempi non esistevano solo i vini dolci, ma vi erano anche vini secchi. Il problema principale dei vini di quell'epoca era la loro scarsa capacità di conservazione a causa dei contenitori utilizzati e, soprattutto, alla scarsa tenuta all'aria. I vini si ossidavano piuttosto rapidamente e i Greci furono costretti ad adottare misure che garantissero una maggiore conservabilità del vino, come l'aggiunta della resina di pino nel vino in fermentazione. Il vino era per i Greci una bevanda sacra alla quale attribuivano un'importanza e una dignità assai elevata, veniva utilizzato sia per scopi rituali sia religiosi. Esso da subito divenne simbolo di amicizia tra gli uomini, come tra questi e gli dei.

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Gli EtruschiGli EtruschiPiano piano la vite si diffuse in Sicilia, in Puglia, in Campania, in Toscana, nel Lazio, fino all'antica Rezia, quella vasta regione situata tra Trentino, Valtellina e Friuli. Già nella zona toscana cresceva spontaneamente la”vitis vinifera”. Trovandola, gli Etruschi (popolo ancora oggi dalle origini misteriose) colonizzatori dell’entroterra toscano, l’avrebbero addomesticata da selvatica che era. Il vino, era bevuto dagli Etruschi nella patera, una coppa ovoidale, con due manici per poterla portare alle labbra. Nella cultura degli Etruschi il culto del vino si fondeva con i riti legati alla spiritualità e con la vita quotidiana. Col vino si onoravano i morti, insieme alla danza e al suono dei flauti. Soprattutto nel ceto aristocratico, erano diffuse pratiche religiose in onore di Fufluns (Bacco), il dio del vino. Questi riti segreti e riservati agli iniziati, grazie all’ebbrezza provocata dalla bevanda, avevano il fine di raggiungere la “possessione” del dio nel mondo terreno, garantendo così in anticipo una sorte felice nell’aldilà. Contrariamente a quanto avveniva presso i Romani, dove ciò era considerato licenzioso e prova di scarsa moralità, le donne etrusche godevano di enorme libertà, potevano bere vino e partecipare ai banchetti conviviali, adagiate sui klinai (sorta di divano) accanto al loro uomo. Il vino era legato anche a momenti di gioco e di svago. Per quanto riguarda le zone coltivate dagli Etruschi, la produzione vitivinicola in Etruria avveniva a Populonia, Gravisca e nell’antica Statonia (nel territorio di Vulci) già nel 540-530 a.C., i vigneti erano in grado di fornire una produzione sufficiente ad alimentare un rilevante commercio esterno. I vitigni più diffusi erano: la Sopina, l’Etesiaca, la Talpona, le Alpiane e infine la Conseminia.

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Il primo mosto ottenuto dalla vendemmia era consumato subito, mentre il restante era versato in contenitori di terracotta con le pareti interne coperte di pece o di resina. Il liquido era lasciato riposare e a primavera, infine, poteva essere filtrato e versato nelle anfore da trasporto. Il liquido così ottenuto era quindi mescolato, all’interno di crateri e travasato nelle coppe dei commensali. Il vino bevuto dagli Etruschi era: denso, fortemente aromatico, a elevata gradazione alcolica. A volte al vino aggiungevano miele per farlo divenire dolce o pece per ottenere il “vinum picatum”, mentre per i banchetti aggiungevano droghe afrodisiache. La produzione enologica etrusca fu importante per i commerci che essi effettuarono tra il 625 e il 475 a.C. al di là delle Alpi, tanto che il vino era la moneta di scambio necessaria per ottenere materie prime e schiavi. I commerci avvenivano in gran parte via mare e le anfora costituiva il migliore recipiente per il trasporto marittimo attraverso il Mediterraneo. Le grandi produzioni di vino, destinate all’esportazione, erano in mano ai grandi proprietari terrieri aristocratici che probabilmente smerciavano il prodotto attraverso le proprie navi. Per l'Etruria i risultati di questi commerci furono innanzitutto un'economia interna molto specializzata nei settori della viticoltura e della metallurgia, e poi una garanzia di approvvigionamento, sia in materie prime che nel settore alimentare. Particolarmente appassionati del vino etrusco furono i Celti, gli antichi abitatori della Gallia meridionale. Altra particolarità: già ai tempi degli Etruschi esisteva la pratica di usare il vino come ingrediente per cucinare. Testimonianze del passato, tempi in cui non si conoscevano ancora le tecniche del freddo, raccontano che il vino era utilizzato anche come conservante dei cibi e in modo particolare della carne. Ben presto si bcominciò anche a cuocere con il vino per dare maggiore sapore alle pietanze, e così nacquero alcune ricette che ancora oggi consumiamo sulle nostre tavole, ad esempio il brasato...

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I RomaniI RomaniI Romani, nei loro rapporti di incontro e scontro politico, economico e culturale con gli Etruschi, appresero le tecniche vitivinicole fin dall'epoca dei primi re. Molto rilevante era l’esportazione, tanto che il porto di Ostia divenne un vero emporio vinario. Agli inizi dell’Età Imperiale la viticoltura era molto estesa e praticata anche in terreni fertili per ottenere più elevate produzioni, necessarie per soddisfare l’esportazione e l’aumento del consumo interno. Notevole era anche il patrimonio varietale, suddiviso in vitigni da tavola e da vino, quest'ultimi distinti in tre classi a seconda della qualità del vino ottenibile. Secondo le tecniche dell’epoca, i vendemmiatori insieme ai portatori staccavano i grappoli con un falcetto, li raccoglievano in cesti adatti per essere trasportati su carri, animali da soma o sulle spalle degli schiavi. Dopo la vendemmia si selezionava l'uva a seconda che venisse impiegata per essere consumata a tavola o per vino di buona qualità, o ancora per vino mediocre destinato agli schiavi. Le uve venivano pigiate all’aperto, talvolta sotto una tettoia; solo più tardi fu creato un apposito locale chiamato "calcatorium" in cui le uve venivano schiacciate in vasche di pietra o legno. La prima spremitura produceva il mosto vergine, lixivium, che veniva servito insieme al miele come aperitivo, poi avveniva la pigiatura vera e propria ad opera dei calcatores che, reggendosi su appositi bastoni, saltellavano al

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al ritmo di strumenti musicali. Il mosto ottenuto, il calcatum, e il lixivium venivano raccolti in grandi vasi, mentre le vinacce andavano al torchio dal quale veniva estratto un mosto tanninico con cui si produceva un vino scadente chiamato anche “circumsitumm”. Dalle vinacce rimaste, con l'aggiunta di acqua, si otteneva invece il vinello. Il mosto raccolto nei dolium veniva poi fatto fermentare. La raccolta dei vini da invecchiamento avveniva in primavera e questi venivano degustati dagli assaggiatori e classificati in base al sapore e al colore. Il vino di

maggio, ancora giovane, veniva versato in anfore che avevano una capacità di trenta litri e su di esse veniva riportata l‘’annata consolare, il nome del vino e del produttore, venivano chiuse ermeticamente con tappi di sughero o coperchi di cotto saldati con la pece, venivano impiegate dunque sia per il trasporto marittimo che per l'invecchiamento. Il vino era utilizzato anche in molteplici ricette della cucina romana. Esistevano inoltre vini particolari che venivano prodotti per indurre l’aborto, oppure rendere feconde le donne, determinare impotenza negli uomini, ecc. Esisteva anche un vinum murratum, che veniva dato ai condannati a morte per annebbiare la loro coscienza prima dell’esecuzione. Il vino era: denso, sciropposo e con un’alta gradazione alcolica. Si beveva sempre allungato con acqua, (in latino “mescere” che significa mescolare), talvolta anche con quella di mare, per renderlo meno denso e acido. A tale scopo esisteva la figura del “ Magister Simposii“” (o “ Arbiter Bibendi” ) che decidevano la quantità d’acqua da aggiungere al vino prima di mescerlo.

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Tra i più ricchi era apprezzato il “mulsum”, o vino con il miele, ed era normale anche aggiungere zucchero di canna, resina, pepe, sale, petali di rose e viole, cannella, zafferano, aloe e sambuco. Il vino veniva conservato in recipienti di terracotta rivestiti di pece tenuti vicino alle canne fumarie, e questo conferiva al vino un gusto affumicato. Se era troppo scuro lo si chiarificava con albume o addirittura con il gesso. Solo gli uomini potevano bere il vino che era rigorosamente vietato alle donne. Bere il vino puro (“ merum“”) era considerato, come già presso i Greci, un atto barbarico. Solo alla fine dell'epoca imperiale, cambiando anche la consistenza del vino, si cominciò a berlo puro. Nel frattempo i Galli creano uno strumento che rivoluzionerà per sempre la conservazione del vino: la botte di legno.

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Il MedioevoIl MedioevoL’immenso Impero Romano viene diviso nel 395 d.C. quando l’imperatore Teodosio trasferisce la capitale da Roma a Costantinopoli, dando così l'avvio all’Impero Romano d’Oriente, detto anche Impero Bizantino (che durerà fino al 1453, quando la città verrà definitivamente conquistata dai Turchi). Pochi anni dopo, l’Impero Romano d’Occidente comincia a sgretolarsi sotto i colpi delle prime invasioni barbariche: ad opera per esempio di Attila “Flagellum Dei”nel 451. Nel 455, col primo sacco di Roma ad opera di Gianserico, re dei Vandali, la già traballante struttura politica romana riceve il colpo mortale. Sarà Odoacre, re dei Rutuli, a deporre l'ultimo imperatore romano dell’Impero Romano d’Occidente. Il paese inizia un buio periodo di carestie ed epidemie, causate dalla distruzione, Romolo Augustolo, e a decretare così la fine delle coltivazioni e dai saccheggi di città e villaggi. Durante questi primi anni del Medioevo, il rapporto con il cibo diventa instabile e, in qualche modo, “ bmorboso” . A causa del generale sconquasso politico e sociale, nei territori prima occupati dai Romani la produzione di vino diminuisce. Per questo, nel primo Medioevo, lo sviluppo della viticoltura si deve in gran parte ai conventi di monaci benedettini e cistercensi, divenuti poi veri e propri centri vitivinicoli, poiché il vino era un elemento fondamentale per celebrare la messa: simbolo del sangue di Cristo. Questo contribuì notevolmente all'espansione della viticoltura anche in quelle zone dove essa non era propriamente parte delle tradizioni locali.

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Inoltre, il dizionario viticolo è ricco di termini monastici. Sono stati i monaci ad inventare nuovi uvaggi e sperimentare nuove tecniche come la fermentazione in bottiglia. Il vino medievale era suddiviso in tre qualità. La prima - il "vino" vero e proprio - era ottenuta con una blanda spremitura e produceva un succo naturale e corposo; era il prodotto migliore e solo i ricchi potevano permetterselo. La seconda spremitura, più vigorosa, offriva un succo di qualità inferiore, il "vinello" probabilmente bevuto dal clero. Infine la terza, che generava un quasi vino chiamato "acquerello", consumato dai poveri e ricavato aggiungendo acqua alla poltiglia delle vinacce. Per rinforzare gli aromi, il vino medievale era “ condito” ripetutamente con erbe, spezie, miele e assenzio, mentre per essere conservato fino a tre o quattro anni veniva bollito. Dopo l’anno Mille, l'iniziale severo regime alimentare che regola i pasti all'interno dei conventi, subisce un radicale cambiamento causato da una maggiore ricchezza. Il vino, ma soprattutto il "buon" vino, è ancor più sinonimo di ricchezza e prestigio, e l'eccellere nella produzione di qualità diventa per alcuni ordini ecclesiastici quasi una ragione di vita.

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Con il consueto lazzo di spirito del popolo, (costretti all’astinenza), ecco una versione alcolica" del Pater Noster, tradotta dal latino:Padre Bacco che sei nei boccali,sian santificate le tue vendemmie,venga il tuo tempo di fermentazione,facci ben bere del buon vino quotidiano,offri a noi grandi bevute come noi le rioffriremo ad altri,inducici con le tue tentazioni aromatiche,e liberaci dall’acqua.Sempre dopo il Mille, accanto alla viticoltura ecclesiastica e signorile, si affianca quella della nascente borghesia mercantile che intravedeva nella produzione e nel commercio dei vini nuove strade per profitti sicuri e redditizi. Da genere destinato all'alimentazione e agli usi liturgici, il vino diviene un bene ricercato, moneta di scambio e fonte di ricchezza per produttori e commercianti. Tra i più famosi vini del Medioevo possiamo citare: la Malvasia, il Trebbiano, il Sangiovese, la Vernaccia, i vini di Montepulciano, i Moscati. Ma già fin dalle sue origini, il vino era usato anche a scopi medicinali e Ippocrate (IV secolo a.C.), uno dei più eminenti medici greci dell’antichità, lo prescriveva per curare le ferite, come bevanda nutriente, antifebbrile, purgante e diuretica. Per tutto il periodo medievale, il vino fu uno dei pochi liquidi capaci, per effetto del suo contenuto alcolico, di sciogliere e nascondere il sapore delle sostanze ritenute curative dai medici dell’epoca. Le “teriache”, una sorta di vini medicanti, entrarono così in uso per le affezioni più diverse. L’uso del vino a scopo terapeutico, soprattutto nella pratica chirurgica, continuò per tutto il Medioevo.

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Il RinascimentoIl RinascimentoI motivi dello sviluppo enologico dopo il Medioevo furono in primis di carattere economico-sociale. Tra la fine del Basso Medioevo e il Rinascimento iniziò lo sviluppo della viticoltura "borghese". I ceti arricchiti con l’artigianato e il commercio investirono le loro risorse finanziarie nella viticoltura che risultava economicamente conveniente, poiché il consumo del vino era in aumento per l’incremento demografico, l’accentramento della popolazione nelle città e le aumentate disponibilità economiche di più ampie classi sociali. Inoltre la maggiore sicurezza nelle campagne e la diffusione della mezzadria e di altre forme di compartecipazione, stabilizzando i contadini sulla terra, consentivano la coltivazione di specie arboree a lungo ciclo biologico, come la vite, che richiedono notevoli investimenti finanziari e frequenti, diligenti cure colturali. Durante il Rinascimento la viticoltura fu favorita anche dallo sviluppo di un'ampia letteratura dedicata alla vite. Contemporaneamente si sviluppavano i germi della ricerca sperimentale e nasceva l’ampelografia (la vera e propria carta d'identità di un vitigno che ne descrive minuziosamente le caratteristiche), destinata a divenire una delle basi fondamentali per il futuro progresso della viticoltura. Dal punto di vista culturale, invece, l’affermarsi delle Signorie e dei Principati nell’Italia centro-settentrionale trovò un chiaro riscontro anche nelle abitudini alimentari e, come conseguenza, portò all’anelito verso un “bere” diverso da quello che si era consolidato ormai da tempo, sia sulle tavole dei ricchi che su quelle dei poveri.

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Ogni classe sociale, senza distinzioni, prese a desiderare un vino di più prestigiosa qualità. Ciò che distingueva la “bottiglia” della gente comune da quella del signore, stava comunque nella qualità e nella varietà del nettare contenuto. L’artigiano, il borghese o l’artista generalmente si accontentavano di vini locali, mentre la cantina dei signori o dei principi della Chiesa era rifornita anche di prodotti provenienti da altre zone geografiche. Nel XVI secolo (periodo che si è meritato l’appellativo di “età delle grandi bevute” ) Lancerio, storico e

“asciutto”, “fumoso”, “possente”, “forte”, “maturo”; per il colore utilizza “incerato”, “carico”, “verdeggiante”, “dorato” e così via. E’ sempre Lancerio a testimoniare che già nel Rinascimento si cominciò a manifestare, seppur sommariamente, la ricerca dei possibili abbinamenti tra vino e cibo. Con il Rinascimento, poi, i mercanti olandesi, inglesi e veneziani trasportarono per nave migliaia di etichette di vino, mentre i grandi Chateaux di Bordeaux cominciarono a

geografo ma soprattutto “bottigliere del papa”, era un attento conoscitore ed esperto di vini, e ha condensato le sue conoscenze in una lettera scritta in cui cominciò a descrivere il vino in tutte le sue parti, attribuendogli anche aggettivi che tuttora sono in uso: per definire il gusto egli impiega parole come “tondo”, “grasso”,

produrre i grandi vini di pregio e ottenere la fama che tuttora hanno. Anche nel Nuovo Mondo nacquero i pionieri del vino. I conquistadores si accorsero che il vino non reggeva la traversata e per risolvere il problema portarono con sé le tallee di viti europee, per impiantarle sul suolo americano.

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Dal Settecento al Dal Settecento al NovecentoNovecento

Il Settecento è la vera epoca d’oro del vino. Il secolo dei Lumi diede grande impulso alle tecniche produttive e alla conoscenza del vino: venne inventato l’imbottigliamento con il tappo di sughero ( fino ad allora la bottiglia veniva tappata con piccoli legni avvolti da stracci imbevuti nell’olio o legati da una colta di cera); venne messa a punto la tecnica Champenois; vennero studiati i lieviti e lo zolfo e inventati i torchi. Nacque la leadership della Francia, che diffuse in tutto il mondo i suoi grandi vini di Bordeaux e della Champagne. Ormai si piantavano viti in tutto il mondo.

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Purtroppo un grande “nemico” della vite, fino ad allora sconosciuto, e sbarcato dal Nuovo Continente con un battello a vapore, causerà danni gravissimi: ciò successe nel 1850, e il nemico si chiamava filossera. E’ un afide micidiale che divorò le viti europee per quarant’anni e impegnò i vignaioli in una lotta tragica e costosissima. La battaglia contro la peste della vite fu vinta solo nel 1910 da un francese che individuò il rimedio: innestare le viti europee su ceppi di vite americana. Numerose varietà di uva, probabilmente anche pregiatissime, però scomparvero per sempre dai vigneti europei. La mappa dei vitigni non è più la stessa, ma il vino è salvo, e arriva intatto fino alle nostre tavole.