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INDICE Presentazione (Bruno D’Amore) Prefazione (Ines Marazzani) Capitolo 1 Le competenze dei bambini di prima elementare: un approccio all’aritmetica (Lucia Baldazzi et al.) 1.1. Il quadro teorico della sperimentazione e della ricerca 1.2. Preliminari alla proposta di sperimentazione e di ricerca 1.3. La prova e i risultati 1.4. Altri risultati della prova preliminare 1.5. Invito alla proposta curricolare 1.6. La proposta curricolare: sintesi del testo-base della sperimentazione 1.7. I risultati della ricerca dal punto di vista della costruzione del sapere da parte dei bambini 1.8. Il punto di vista di insegnanti e genitori 1.9. Alcune brevi note di chiusura Capitolo 2 I giorni dell’anno (Anna Angeli) Capitolo 3 Il numero (Mariangela Di Nunzio) 3.1. Caccia al numero 3.2. Un mondo pieno di numeri 11 15 19 57 63

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INDICE

Presentazione (Bruno D’Amore)

Prefazione (Ines Marazzani)

Capitolo 1 Le competenze dei bambini di prima elementare:un approccio all’aritmetica (Lucia Baldazzi et al.)

1.1. Il quadro teorico della sperimentazione e della ricerca1.2. Preliminari alla proposta di sperimentazione e di ricerca1.3. La prova e i risultati1.4. Altri risultati della prova preliminare1.5. Invito alla proposta curricolare1.6. La proposta curricolare: sintesi del testo-base

della sperimentazione1.7. I risultati della ricerca dal punto di vista della

costruzione del sapere da parte dei bambini1.8. Il punto di vista di insegnanti e genitori1.9. Alcune brevi note di chiusura

Capitolo 2I giorni dell’anno (Anna Angeli)

Capitolo 3Il numero (Mariangela Di Nunzio)

3.1. Caccia al numero3.2. Un mondo pieno di numeri

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3.3. Io e i miei numeri3.4. Il negozio delle scarpe

Capitolo 4Numeri grandi nella scuola dell’infanzia (Elena Fascinelli)

4.1. Quanti anni ha la tua mamma?4.2. Conta fino a...4.3. Il numero più bello4.4. La posizione delle cifre

Capitolo 5Giocando con i numeri in contesti fantastici(Lorella Campolucci e Danila Maori)

Capitolo 6Le ghiande (Ivana Acciaioli)

6.1. «Cuore» di ghianda6.2. Uno strano fermento6.3. Cosa fare di tutte quelle ghiande?6.4. 36 con l’avanzo di 16.5. 360 scatole per 721 ghiande (resto 1)6.6. Sacchetti della merenda e numerazione in base 30

Capitolo 7Alla ricerca dei Pokemon (Claudia Angeluzzi e Maria Letizia Ottavi)

7.1. Ricerca di carte7.2. Contiamo i Punti Vita7.3. Aumentare o diminuire le carte

Capitolo 8«Foto-storia» della Terra, immagini del passato(Lucia Baldazzi)

Capitolo 9Giochiamo a quadrix (Giuseppe Borgogno)

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Capitolo 10Parole-numeri (Luigina Cottino et al.)

10.1. Il posto delle cifre, il posto delle lettere10.2. La calcolatrice dei grandi e la calcolatrice

del deserto 10.3. Lo «strumento numeratore»10.4. Un po’ di storia dei numeri

Capitolo 11Le misure della realtà (Erminia Dal Corso)

11.1. La scoperta e le ipotesi11.2. Distinzione tra misure diverse11.3. Verifica della capacità11.4. Verifica del peso11.5. Confronto tra etichette

Capitolo 12Il gioco delle carte da poker (Barbara Dalla Noce)

12.1. Preparazione al gioco12.2. Inizio del gioco12.3. Previsioni 12.4. Avvio alla moltiplicazione

Capitolo 13L’addizione è... una questione di peso(Erika D’Ambrosio)

Capitolo 14La calcolatrice delle formiche(Giuseppe Grasso e Vita Ramone)

Capitolo 15Unità, decine, centinaia... avventure sul «Mare Blu»(Giuliana Liverani)

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Capitolo 16Grandi numeri: grandi conoscenze, grandi emozioni(Antonella Lombardo e Vita Ramone)

Capitolo 17Giochiamo con i birilli (Farida Magalotti)

17.1. Come costruire i birilli17.2. Come giocare: le regole, i materiali di supporto

Capitolo 18Giochi di numeri e cifre (Anna Maria Maraldi)

18.1. Primi giorni di scuola18.2. Giochi di numeri e cifre

Capitolo 19Dante Alighieri e i numeri grandi (Ines Marazzani)

Capitolo 20Costruiamo il mercatino in prima classe(Annarita Monaco)

20.1. L’idea del mercatino20.2. Una discussione preliminare20.3. Un negozio vero20.4. Giochiamo al mercatino in classe20.5. Il gioco guidato20.6. L’addizione con i numeri grandi

Capitolo 21Festa di primavera nel bosco(Laura Prosdocimi)

21.1. Un pacco dal bosco degli gnomi21.2. Come contare i sassi?21.3. I mucchietti da dieci21.4. La spedizione del pacco

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Capitolo 22Numeri in vista... numeri in pista (Chiara Stella)

22.1. A caccia dei numeri del nostro corpo22.2. Il mondo dei numeri che mi porto a scuola22.3. Oltre la porta di scuola22.4. Giochiamo con i numeri: il mostro Mangianumeri

Capitolo 23Il peso: esperienze con i numeri e con la bilancia(Anna Traverso)

23.1. Conversazione23.2. Misuriamo il nostro peso23.3. Costruiamo la striscia dei pesi

Capitolo 24L’uso della calcolatrice in prima (Nadia Vecchi)

Bibliografia

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Numeri «piccoli» e numeri «grandi»

I numeri (naturali) «grandi» costituiscono un ostacolo epistemologico? Forse sì, se è vero che l’essere umano ha potuto scrivere numeri grandi solo quando ha saputo creare una rappresentazio-ne posizionale. Nelle scritture precedenti, quelle degli Egizi per esempio, ogni segno-geroglifico rappresentava una quantità fissa, cosicché per scrivere «un miliardo» si sarebbero dovuti accostare tra loro mille segni da «un milione», il segno-geroglifico di valore maggiore, il che sarebbe risul-tato praticamente impossibile. Solo con la scrittura posizionale si è rivelato facile maneggiare lo zero in modo tale da scrivere con agilità numeri «grandi» con (relativamente) poche cifre. In certe lingue antiche, la parola «miliardo» non esisteva neppure. Ma quando ci si chiede se un concetto matematico costituisce un ostacolo epistemologico, non si ci riferisce alle sue forme di scrittura, ma alla formazione di tale concetto. Un uomo primitivo che, raccolta una manciata di sabbia su una spiaggia, se la sia lasciata scivolare di mano un po’ alla volta, con stupore, come spesso fanno i bambini piccoli, davvero non si sarà posto il problema di «quanti» fossero quei minuscoli granelli nella sua mano? Non dico «scrivere» quel numero, dico «pensarlo»…

I numeri (naturali) «grandi» costituiscono un ostacolo didattico? Parrebbe di sì, vista la riluttanza di molti insegnanti a farne uso, evitandoli accuratamente nei primi anni della primaria e adducendo poi supposte difficoltà dei bambini quando devono parlare di abitanti della Terra, di estensione superficiale del Brasile o distanza tra Terra e Sole in km… Ma si tratta di ostacolo didattico o di semplice paura dei docenti? Voglio dire: e se fosse solo l’insegnante a ritenere che i numeri (naturali) «grandi» costituiscano un ostacolo ontogenetico?

PresentazioneBruno D’Amore

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I NUMERI GRANDI

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I NUMERI GRANDI

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I numeri (naturali) «grandi» costituiscono un ostacolo ontogenetico? Sono cioè cognitivamente fuori dalla portata del bambino piccolo (tra i sei ed i sette anni)? Il bambino di prima primaria, quello stesso che paragona punteggi alla play-station, che acquista gelati e attende il resto, che conta le figurine collezionate, ha proprio bisogno di essere avvicinato ai numeri naturali a partire da uno, due, tre…, in ordine, in fila, senza salti, guai a superare il nove? Cioè: davvero non è in grado di capire il «senso» che hanno scritture come 23 o 31? E il calendario tanto usato nella scuola dell’infanzia? E gli anni del nonno festeggiati con le candeline sulla torta?

E se questa idea, di ricominciare sempre tutto daccapo, finisse con il creare un modello perverso di scuola come luogo delle inutili ripetizioni, dove si deve fare solo quel che l’insegnante chiede, senza poter mostrare tutto il proprio costrutto cognitivo? E se il bambino fosse indotto a pensare che la scuola è sterile e noiosa, anziché occasione di nuove avventure per la mente?

La ricerca mostra ampiamente che i bambini in età pre-primaria sanno maneggiare i numeri (naturali) con una, due e, spesso, tre cifre; che li sanno denominare; che li sanno addirittura scrivere; che, visti scritti, anche se non li sanno leggere, li sanno confrontare per stabilire qual è tra essi il più grande, o il più piccolo.

Certo, se sentono pronunciare «trecentoventisei», sono capaci di uscirsene con la scrittura «30026» o addirittura «300206»; ma non è forse questa la prima tappa spontanea, e perciò reale, di una corretta traduzione del suono del nome numerale in una sua scrittura formale? Non ci insegna forse la ricerca didattica che per imparare bisogna osare? Che si deve rompere qualche clausola del contratto didattico, quello che ci costringe sempre a sapere preventivamente che cosa ci si aspetta da noi, per replicare, non per creare? E che ne è del lato affettivo dell’apprendimento, dell’emozione del conoscere?

Tanti anni fa, un gruppo di ricercatori che fanno capo al Gruppo di Ricerca e Sperimentazione in Didattica e Divulgazione della Matematica (RSDDM), all’interno del Dipartimento di Matematica dell’Università di Bologna, decise di dedicarsi con molta serietà a questo tipo di questione.

I maestri di primaria creavano e sperimentavano segmenti curricolari, gli altri (di pre-primaria, secondaria e università) suggerivano e criticavano. Dopo una prima fase di studio durata molti mesi, la ricerca partì e portò subito i positivi frutti sperati. Finita la ricerca in prima, mentre altri nuovi sperimentatori ripetevano le prove sui materiali elaborati per affinarli e migliorarli, nuovi ricercatori verificavano i risultati dell’esperienza in seconda. E così si passò alla terza e via via fino a completare il ciclo primario, mentre nuovi sperimentatori, sempre più numerosi, mano a mano ripulivano il materiale prodotto. Quando i ricercatori arrivarono a finire la quinta, gli sperimentatori in prima si erano dati il cambio ben quattro volte, giungendo a materiali oramai definiti, dai contenuti più volte verificati.

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PRESENTAZIONE

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PRESENTAZIONE

Oggi i maestri di scuola primaria che seguono questa strada sono centinaia; il materiale è di-sponibile nel sito del Gruppo: www.dm.unibo.it/rsddm. Sotto la guida sapiente di Ines Marazzani, insegnante elementare umbra e supervisore tecnico presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna, si sono invitati alcuni insegnanti a raccontare la loro esperienza, a narrare questa affascinante avventura ai colleghi, affinché sempre più maestri potessero essere resi partecipi di questa possibilità.

L’esperienza è stata avvincente proprio per la sua riuscita così totale: invece di vedere scorrere in aula immagini puerili di un maialino, due pulcini e tre pecorelle, i bambini hanno affrontato problemi reali, i numeri dei giorni di un mese o di un anno, il numero dei bambini di classe o della scuola, gli anni del nonno, senza tema e senza limitazione, lavorando per una costruzione attiva del sapere, sapere nuovo che già embrionalmente possiedono, ma che va poco a poco sistemato e non più conquistato solo a distanza di anni.

C’è vera costruzione di apprendimento concettuale solo se si è coinvolti responsabilmente in tale costruzione: questo può avvenire solo se quel che si offre come contenuto di riflessione, di scoperta, di sistemazione, è confacente al bisogno di chi apprende.

I numeri (naturali) in fila, uno per uno, a partire da uno (lo zero è trattato misteriosamente o lasciato a lungo in disparte) fino a nove, non possono riempire significativamente un anno scolastico perché fanno parte di un bagaglio di conoscenze già conquistato. Se i contenuti dell’insegnamento sono o troppo distanti dalle necessità problematiche dell’apprendente o troppo banali, il processo rischia di non funzionare, anzi è quasi certo che non funzionerà.

Quella che viene proposta in queste pagine è una sfida intellettuale forte, che i bambini affron-tano con entusiasmo e che possono vincere, con la premurosa assistenza di insegnanti motivati ed esperti; dunque si tratta di una buona situazione di insegnamento-apprendimento che darà i suoi frut-ti. Le esperienze di questi insegnanti, chiamati a raccolta da Ines, lo dimostrano ampiamente.

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Gli insegnanti, le competenze dei bambini e i «numeri grandi»

Qualche anno fa ascoltavo alcuni insegnanti, a proposito della proposta di lavoro «Numeri grandi»: «Sì, è vero, i bambini sanno tanti numeri, ma non sanno quantificare il duemilacinque-centosessanta: per questo dobbiamo ricominciare daccapo».

«Ricominciare daccapo» significava ricominciare da 1 e «i bambini non sanno quantificare…» stava a significare che per un numero «grande» i bambini non sono in grado di immaginare una corrispondente quantità di oggetti, ad esempio mattoncini o persone o uova o chicchi di riso. A proposito di chicchi di riso mi sono chiesta quante sono le persone adulte, competenti, colte, in grado di immaginare una quantità di chicchi di riso corrispondenti a 18 446 744 073 709 551 615.1 Chissà se per le persone che non riescono a farlo (non credo siano pochissime) qualche insegnante penserebbe di «ricominciare da 1».

Un altro argomento era: «Ma non si può proporre a bambini tanto piccoli un lavoro che prende in considerazione numeri (naturali) così grandi. Le insegnanti, in prima, da sempre, devono pro-porre attività per far lavorare i bambini con uno, con due, con tre… Non ce lo siamo inventato noi. C’è scritto da qualche parte».

E ancora: «Abbiamo sempre fatto così, non si può cambiare ora».

PrefazioneInes Marazzani

1 Riferimento all’esperienza riportata nel cap. 19 sui numeri grandi nella Divina Commedia.

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Emergeva, da tutte queste affermazioni, una grande «paura» di cambiare, di lasciare la strada co-nosciuta (che sembrava dare risultati positivi), per una strada nuova, dai risultati incerti: «I bambini ce la faranno?», «Sarò in grado di accompagnare gli alunni lungo una strada che non conosco?»

È stato sufficiente iniziare. I bambini hanno lavorato con entusiasmo. I genitori hanno accolto con altrettanto entusiasmo le attività svolte.

La «paura del nuovo» di alcuni insegnanti si è trasformata in poco tempo in una grande voglia di fare, con proposte di lavoro che prendevano finalmente in seria considerazione le competenze numeriche che i bambini stessi avevano costruito.

Un principio fondamentale del lavoro svolto è stato: tutte le competenze hanno la stessa di-gnità:

– quelle costruite a scuola– quelle costruite ascoltando il papà o la mamma– quelle costruite dando il resto ai clienti in un baraccone del luna park– quelle costruite mentre si aiuta un papà contadino che aggiusta il trattore– quelle costruite aiutando il papà o la mamma a comprare e vendere cose.

Tanti sono gli insegnanti che, attualmente, propongono in prima elementare lavori relativi ai «numeri grandi». Sempre di più sono, di conseguenza, i bambini di cinque o sei anni che hanno la possibilità di crescere aumentando le proprie competenze numeriche grazie a proposte di lavoro che sollecitano la loro curiosità, il loro ingegno, che soddisfano la loro naturale volontà di essere posti di fronte a problemi, che valorizzano le competenze costruite in ambienti diversi.

Ciò che si vuol raccontare in questo libro è proprio l’entusiasmo che si genera intorno al riconoscimento delle competenze, comunque e dovunque costruite dai bambini, l’entusiasmo che si genera abbandonando fotocopie e schede preconfezionate che avviliscono i bambini e gli insegnanti stessi.

Il libro presenta resoconti dettagliati che fanno rivivere situazioni reali vissute in classe. Gli insegnanti raccontano le proposte fatte, gli interventi dei bambini, le domande poste, le risposte ideate. Perciò il materiale raccolto può essere riproposto facilmente ma può essere anche punto di partenza per creare nuove attività, nuove situazioni in classe che continuamente valorizzino le competenze numeriche dei bambini.

Una parte importante del libro è dedicata ai bambini e agli insegnanti della scuola dell’infanzia: i bambini di tre/quattro anni possiedono competenze numeriche sorprendenti, a tal punto che anche con loro sarebbe didatticamente poco utile lavorare unicamente con i numeri «piccoli».

La suddivisione in capitoli rispetta un ordine ben preciso.

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PREFAZIONE

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PREFAZIONE

Il primo capitolo è relativo al lavoro di ricerca condotto dal NRD – Nucleo di Ricerca Didattica di Bologna.

Dal capitolo due, i resoconti fatti dagli insegnanti, le riflessioni, i momenti di indagine vissuti in classe, vengono riportati seguendo, in ordine alfabetico, i nomi degli Autori.

I capitoli due, tre e quattro sono dedicati interamente alla scuola dell’infanzia, il capitolo cinque rappresenta l’anello di congiunzione fra questa e la scuola primaria, gli altri sono tutti dedicati alla scuola primaria.

Per la scuola primaria, quasi tutte le esperienze riportate sono state vissute in classi prime. A classi successive si riferiscono le esperienze a proposito di «Unità, decine, centinaia… avven-

ture sul “Mare Blu”» (classe 2a); «“Foto-storia” della Terra, immagini del passato» (classe 3a); «Dante Alighieri e i numeri grandi» (classe 3a).

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1.1. Il quadro teorico della sperimentazione e della ricerca

C’è una contraddizione lampante che si evidenzia nell’esordio dell’apprendimento della mate-matica, in prima elementare, in Italia.

Da un lato l’allievo ha frequentato, nel 94% dei casi (secondo le statistiche nazionali), la scuola dell’infanzia, nella quale è prassi oramai consolidata parlare e far parlare dei numeri relativamente al «campo di esperienza»: spazio, ordine, misura. I bambini, oltre che contare e trattare i numeri con una discreta competenza, sanno eseguire addizioni e sottrazioni. La tecnica di addizione è spesso

CAPITOLO 1

1 Lucia Baldazzi (Porto Fuori, Ra), Luigia Cottino (Milano), Erminia Dal Corso (Lugo, Vr), Bruno D’Amore (Bolo-gna), Martha Isabel Fandiño Pinilla (Bologna), Margherita Francini (Arezzo), Rita Fusinato (Verona), Claudia Gua-landi (Milano), Giuliana Liverani (Classe, Ra), Farida Magalotti (Cervia, Ra), Anna Maria Maraldi (Cesena, Fc), Ines Marazzani (Colfiorito, Pg), Anna Rita Monaco (Roma), Gabriella Pacciani (Arezzo), Adriana Ponti (Milano), Laura Prosdocimi (Rimini), Chiara Stella (Verona), Anna Traverso (Momperone, Al), Nadia Vecchi (Tollegno, Bi).

Le competenze dei bambini di prima elementare:un approccio all’aritmetica1

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di tipo ordinale: se il bambino deve fare 5+6 si posiziona su un 5 che fa idealmente corrispondere allo 0 ordinale e poi esegue un’addizione di tipo… peaniano:

5+1(1)

+1(2)

+1(3)

+1(4)

+1(5)

+1(6)

aggiungendo cioè 1 per più volte, contando 6 volte l’aggiunta di 1, fino ad arrivare alla somma voluta. Lo fa con destrezza, con sicurezza, spesso aiutandosi con uno strumento eccellente, le dita delle mani, pronunciando a voce alta il numerale raggiunto di volta in volta, facendo scorrere le dita-unità fino alla sesta. Alla fine, dice a voce più alta, o ripete, la somma finale (questo comportamento è stato evidenziato anche da Gérard Vergnaud, che l’ha classificato come schema, parlando di teoremi in atto, 1981).

I bambini usano il calendario come strumento aritmetico ed arrivano a stabilire complesse strategie risolutive (anche molto personali) per rispondere alla domanda: «Oggi è il 28 di marzo; tra 6 giorni andremo a teatro. Che giorno andremo a teatro?». Questa domanda necessita di una competenza piuttosto articolata che prevede non l’uso banale dell’addizione 28+6, bensì un com-portamento strategico che tenga conto anche del numero dei giorni del mese di marzo; il risolutore deve cioè coordinare l’addizione che deve eseguire con altri dati.

I bambini giocano «al mercato» e quindi pagano, gestiscono somme, aggiungono, danno resti… Lo fanno con sicurezza e con maestrìa, basta osservarli. I bambini passeggiano per il quartiere cer-cando numeri di qualsiasi tipo, li leggono, li commentano, li trascrivono in aula e in casa; leggono e scrivono numeri anche di più cifre, li sanno confrontare mettendo in campo strategie complesse (Aglì e Martini, 1995; Lucangeli, 2001; Teruggi, 2001); sanno risolvere semplici problemi di addizione e di sottrazione, attraverso strategie aritmetiche, grafiche di altro tipo (Baldisserri et al., 1993).

Tutto ciò dimostra che i bambini di 5 anni sono in grado di destreggiarsi con discreta sicurezza e abilità rispetto a questioni numeriche, anche se si trovano di fronte a numeri con più cifre. Non è un caso, dunque, che all’inizio del capitolo Aritmetica, nei Programmi Ministeriali per la scuola elementare del 1985, si inviti a non considerare i bambini in ingresso come del tutto privi di com-petenze numeriche; tali programmi esortano anzi a procedere nell’azione didattica basandosi proprio su tali competenze acquisite (una volta che siano state verificate). Anche nel testo dell’attuale riforma italiana (scriviamo nel 2003) ci si attiene alle medesime direttive.

Dall’altro lato però, nonostante vari Progetti nazionali spingano da molto tempo contro questa corrente (Boero et al., 1985),2 è prassi consolidata degli insegnanti (riaffermata nell’editoria del

2 Boero P. et al. (1985). Con questa citazione vogliamo richiamare e rendere il dovuto merito al Nucleo di Genova per il progetto «Bambini, maestri, realtà: verso un progetto per la scuola elementare», più e più volte sperimentato (dal 1983) in provincia di Genova e Torino (e, parzialmente, anche di Bologna).

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LE COMPETENZE DEI BAMBINI DI PRIMA ELEMENTARE

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LE COMPETENZE DEI BAMBINI DI PRIMA ELEMENTARE

parascolastico più banale e diffusa e in molti progetti senza specifici controlli scientifici e didattici), che si inizi a fare matematica con 1 pulcino, 2 uova, 3 fiori e così via, in una situazione che definire ingenua e sottostimante è dir poco. Sugli indubbi vantaggi che hanno approcci più complessi e significativi nella costruzione del numero, legati ai «campi di esperienza», si può vedere Scali (1994) e Boero e Scali (1996).

È ovvio che il bambino accetta questo stato di cose, quale che sia il tipo di situazione nella quale si trova a vivere questi suoi primi contatti con il mondo della scuola, dato che non può far altro. La sua situazione non gli permette di mettere in campo le proprie esperienze. Sappiamo bene che il suo sapere personale deve compiere un lungo processo prima di essere istituzionalizzato (Cheval-lard, 1989) e non è detto che lo sarà mai; c’è sempre, in effetti, il pericolo della scolarizzazione dei saperi (D’Amore, 1999a).

Se l’insegnante opera in «situazione didattica»,3 il bambino gioca subito il suo ruolo che non è quello di apprendere, ma di cercare di capire che cosa vuol sentirsi dire l’insegnante allo scopo di ottenere:

1. quella valutazione positiva tanto attesa dalla «noosfera»2. il compiacimento e dunque l’attenzione gratificante dell’insegnante.

È una situazione cognitivamente così semplice, che egli vi «gioca» subito da vincente: impara presto che il suo mestiere di allievo è capire quel che si vuole da lui, non costruire conoscenza. Se si rivela socialmente vincente il dire 1, 2, 3 di fronte ad insulsi disegnini, egli imparerà a farlo. Dopo qualche tentativo di mettere in campo le sue vere competenze, accetterà di riconoscere e soddisfare le «attese dell’insegnante»: è quello che si definisce «contratto didattico» (Brousseau, 1986; D’Amore, 1999b; 2001a; 2003).

Se l’insegnante opera in «situazione a-didattica», il bambino accetta la «devoluzione» e «si im-plica», ma non costruisce reale sapere, dato che si tratta di saperi già posseduti, che al più rafforza. Sentendosi più libero, nella fase di «validazione», potrebbe tentare di mettere in campo il proprio «sapere personale», ma a questo punto starà al «coraggio» del maestro raccogliere la proposta e farla discutere collettivamente, oppure bloccarla sul nascere. Ci siamo accorti che spesso il maestro pre-ferisce affidarsi a manuali ripetitivi e alla consuetudine (che vuole passi minimi e infantili) a causa di una presunta presenza in aula di bambini non ancora abbastanza competenti.

Alla luce di queste considerazioni preliminari ci sono due quesiti importanti da discutere.

1. Quali sono le immagini di scuola e di matematica che ricava lo studente da un tale atteggia-mento?

3 Per la terminologia di didattica della matematica si veda: D’Amore (1999b; 2001a).

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La scuola appare un luogo di saperi banali e ridondanti, privo di vere sfide intellettuali, luogo della ripetizione e dell’imitazione, luogo di esercizi e non di problemi. Tutto a scuola sembra falso, il mondo reale è fuori, a scuola bisogna fingere: fingere interesse per banalità infantili, fingere di apprendere cose invece già risapute, fingere di non essere interessati a quel che suc-cede all’esterno. E lo stesso per la matematica: a scuola non vale l’attività di ragionare o creare, bisogna fare quello che dice il maestro, il suo giudizio, le sue proposte sono la legge.

2. A che cosa è servito l’impegno didattico della scuola dell’infanzia; a che cosa servono le com-petenze personali acquisite fuori dal mondo della scuola elementare?

Lo studente capisce subito di non potersi servire del proprio patrimonio di competenze acqui-site. Capisce che deve saper scegliere presto tra le competenze spendibili in aula e quelle che deve lasciare fuori di essa. Ben presto diventa questo il suo principale impegno, il suo mestiere di allievo.

In entrambi i casi si giunge alla scolarizzazione delle conoscenze e delle relazioni, cioè alla ri-nuncia consapevole delle scelte culturali:

Con il termine «scolarizzazione del sapere» intendo qui riferirmi a quell’atto in larga misura inconsapevo-le, attraverso il quale l’allievo, ad un certo punto della sua vita sociale e scolastica (ma quasi sempre nel corso della Scuola Elementare) delega alla Scuola (come istituzione) ed all’insegnante di scuola (come rappresentante dell’istituzione) il compito di selezionare per lui i saperi significativi (quelli che lo sono socialmente, per status riconosciuto e legittimato della noosfera), rinunciando a farsi carico diretto della loro scelta in base a qualsiasi forma di criterio personale (gusto, interesse, motivazione…). Poiché questa scolarizzazione comporta il rico-noscimento dell’insegnante come depositario dei saperi che socialmente contano, è anche ovvio che vi è, più o meno contemporaneamente, una scolarizzazione dei rapporti interpersonali (tra studente ed insegnante e tra studente e compagni) e del rapporto tra lo studente ed il sapere: è quel che […] si chiama «scolarizzazione delle relazioni». (D’Amore, 1999a, p. 251)

Questo processo che, di solito, inizia proprio nella scuola elementare, ha ripercussioni negative nel seguito dell’iter scolastico e diventa «mortale» durante la scuola media, come è stato da più parti rilevato.

1.2. Preliminari alla proposta di sperimentazione e di ricerca

Le riflessioni precedenti fanno capo tanto a considerazioni teoriche tratte dall’àmbito della ricerca in didattica della matematica, quanto a riflessioni mature da parte di insegnanti sensibili a questi temi; esse costituiscono la premessa all’innovazione che due degli autori di questo testo

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hanno proposto in due Paesi geograficamente distanti, ma scolasticamente situati nella stessa am-biguità aritmetica, Colombia ed Italia.4 I due ricercatori, Fandiño Pinilla (colombiana) e D’Amore (italiano), hanno proposto a insegnanti dei rispettivi Paesi di formare due gruppi di studio che cercassero alternative teoriche e pragmatiche a questa situazione di contraddizione pedagogica. Questo testo racconta «l’esperimento» avvenuto in Italia.

Il gruppo di studio si è formato nel 1999; esso comprendeva i due promotori del progetto e 22 insegnanti elementari (ridottisi poi a 17). Sono state fatte riunioni di studio, esaminate propo-ste, studiata una bibliografia, fino alla costituzione formale del gruppo con la denominazione di «Numeri grandi», nell’àmbito del RSDDM di Bologna. Il gruppo ha concepito, strutturato e poi proposto (sempre in prima elementare, nei primi mesi dell’anno scolastico 2001-2002) diverse prove in aula, sia di carattere semplicemente dialogico, sia sotto forma di test scritti. Nel contempo, alcuni dei 17 sperimentatori effettuavano altre prove in classi di scuola dell’infanzia, anche con modalità di ricerca (Marazzani, 2000; 2001).

Non daremo qui un resoconto dettagliato dei risultati quantitativi, ma tenteremo un’analisi statistica, a puro scopo orientativo.

Per scegliere le attività matematiche (aritmetiche, in particolare) più adatte ai bambini di fine scuola dell’infanzia-inizio scuola elementare, ci siamo riferiti a un testo «classico» (D’Amore, 1980) e a resoconti di esperienze di gruppo (Aglì e D’Amore, 1995; Aglì e Martini, 1989; 1995; D’Amore, 1994). È inoltre sulla base di una lunga fase di sperimentazione e ricerca nella scuola dell’infanzia (oltre 30 anni documentati), nonché sulla base del continuo «contatto» con gli insegnanti attraverso 17 Convegni a Castel San Pietro (BO) e la rivista «Scuola dell’Infanzia», che possiamo affermare quanto segue, gettando i presupposti per le fasi successive della ricerca-sperimentazione.

1.3. La prova e i risultati

Il lavoro è stato svolto, in quasi tutti i casi, singolarmente, bambino per bambino, fuori dal-l’aula: poiché non tutti i bambini sapevano leggere, erano le maestre-sperimentatrici a leggere il testo delle prove.

4 Va detto che in tali Paesi la moneta in circolazione fino al 2001 era più o meno equivalente: 1 peso = 1,07 lire; l’Italia ha poi adottato l’euro, mentre in Colombia, stante il valore commerciale del peso, i bambini sono ancora costretti a maneggiare fin da piccoli centinaia e migliaia di unità monetarie; ciò anche perché devono comprarsi da sé, fin dalla scuola elementare, merende e pasti durante la giornata scolastica, non essendo presenti mense all’interno delle strutture scolastiche.

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Di seguito vengono riportati in dettaglio i 3 test proposti, i singoli andamenti percentuali (arrotondati all’unità) ed alcuni commenti.

I test (bambini sottoposti alla prova: 134)

Su un foglio A4 sono scritti in ordine sparso i seguenti numerali: 3, 15, 327, 32, 51. Le domande sono: Qual è il numero più grande? Perché? Qual è il numero più piccolo? Perché?

La tabella 1.1 evidenzia che la stragrande maggioranza dei bambini intervistati all’inizio della prima elementare sa riconoscere ed indicare, in una serie di 5 numerali, il più grande ed il più piccolo, con qualche leggero deficit per quest’ultima richiesta. Si deve anche osservare che circa il 79% dei bambini è in grado di rispondere a entrambi i quesiti.

TABELLA 1.1 – Il numero più grande e il più piccolo

il più grande è il più piccolo è

3 0 116 (87%)

15 2 0

327 127 (95%) 0

32 3 1

51 1 1

non risponde 1 16

Alla domanda sul perché delle scelte, i bambini, con frasi e modalità diverse, mettono in campo il numero delle cifre che compongono i numerali. Si tratta di una strategia vincente che però lascia dubbi sull’efficacia del test 1: che cosa succederebbe infatti se vi fossero solo numerali con lo stesso numero di cifre? E, ancora peggio, se vi fossero numerali con le stesse cifre, scritte nell’ordine scambia-to? Ha senso sottoporre alla prova successiva i bambini che hanno dato risposta positiva al test 1.

II test (bambini sottoposti alla prova: 102)

Su un foglio A4 sono scritti nel seguente ordine, in orizzontale, ben staccati tra loro, i seguenti numerali: 32, 51, 15. Le domande sono identiche alle precedenti.

La percentuale di risposte esatte si abbassa dal 95% al 69%, ma resta comunque alta anche in condizioni complesse; la positività della risposta al test è confermata dal fatto che il 46% dei bambini riconosce entrambi i numerali, il più grande ed il più piccolo (vedi tabella 1.2).

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TABELLA 1.2 – Numeri con lo stesso numero di cifre

il più grande è il più piccolo è

32 20 18

51 70 (69%) 9

15 10 52 (51%)

non risponde 2 23

È generalmente ottima la motivazione della risposta perché mette bene in evidenza che la scelta è dovuta non solo al numero delle cifre in gioco, ma al fatto che «il 5 del 51 è più grande». Si esprime dunque buona se non totale consapevolezza del fatto che, tra le 2 cifre di un numerale a 2 cifre, quella che dà l’ordine di grandezza più rilevante è la prima. Resta il problema di stabilire se ci sia o no anche una certa consapevolezza e padronanza dei numeri grandi (che cosa essi esprimono per i bambini, quali vengono scelti per determinate situazioni ecc.). La prova seguente non sembra aver portato a grandi risultati, probabilmente per la sua natura troppo complessa.

III test (bambini sottoposti alla prova: 81)

Su un foglio A4 è scritto su tre linee orizzontali:

In un anno ci sono10 365 1000 giorni?Come lo scrivi?

Solo un quarto dei bambini intervistati ha un’idea di quale sia il numero (vedi tabella 1.3). Va però notato che chi risponde 1000 (30%) lo motiva dicendo che «sono tanti». Ai ricercatori è sembrato che tanto 365 quanto 1000 fossero risposte dettate dalla volontà di voler rispondere nu-meri grandi, mentre la risposta 10 (35%) è forse stata legata al fatto che tante cose «vanno di 10 in 10». Tra le risposte diverse, abbiamo dei 12 e dei 7 che hanno un qualche senso, legato comunque

TABELLA 1.3 – Significato dei numeri grandi

il numero dei giorni dell’anno è

10 28 (35%)

365 21 (26%)

1000 24 (30%)

non risponde o risponde altro 8

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a questioni concernenti il tempo e le attività effettuate nella scuola dell’infanzia. In ogni caso ci sembra che almeno nel 56% dei casi vi sia un certo dominio del «senso» del numero.

1.4. Altri risultati della prova preliminare

Nell’ultimo test si chiedeva ai bambini di scrivere il numero 365. Ne sono uscite tutte le classiche risposte documentate dalla letteratura di ricerca sull’argomento (Aglì e Martini, 1995), ma ci è sembrato ricorrente più degli altri un tentativo che, seppure porti a risultati formalmente scorretti, è però indice della competenza dei bambini. Si tratta di scritture del tipo: 300605 o 30065. Al di là del fatto che sono entrambe formalmente sbagliate, si deve notare che la «traduzione» dal registro orale a quello scritto è molto avanzata. Invece di interpretare tali risposte come formalmente errate, le si deve considerare come emanazioni di una competenza acquisita ingenuamente, informalmente, ed i risultati appaiono allora di grande rilievo: i bambini hanno già una profonda competenza semiotica, per quanto concerne la problematica della rappresentazione formale dei numeri nel sistema arabo-indiano.

In alcuni casi si è chiesto ai bambini di scrivere il numero, secondo loro, «più bello». Il senso della cosa era far sì che vi fosse libertà espressiva non condizionata da limiti formali, per verificare se i bambini avrebbero scelto un numero «piccolo» (entro la decina) o qualsiasi. Anche se, ad onor del vero, la maggior parte delle risposte concerne numeri piccoli (d’altra parte, anche ponendo la stessa domanda ad adulti, siamo certi che quasi tutte le risposte cadrebbero entro il 20), non sembrano esserci preclusioni cognitive o culturali. Tanto è vero che è stata poi fatta, in modo più radicalmente esplicito, la seguente domanda: «Qual è per te il numero più grande del mondo? Scrivilo».

I bambini si sono sbizzarriti nell’enunciare a voce e per iscritto numeri grandi; sono stati os-servati:

1. l’uso frequente nell’enunciazione orale di nomi di numeri «foneticamente ricchi» (cioè ricchi di consonanti a suono duro) e la presenza delle parole «mille», «milioni» e «miliardi»;

2. la scarsa correttezza della sintassi aritmetica (per esempio il nome del numerale «trecentomilae-milesettilamille» rivela uno sforzo sintattico non coronato da successo semantico);

3. la rarissima allusione (2 bambini su 100) a qualche cosa di attinente all’illimitatezza dei numeri naturali e senza certezze al riguardo; di fatto nessun bambino dice frasi del tipo: «è impossibile», «non esiste», «non si può dire» o altro;

4. la diffusa consapevolezza che a un numero grande corrispondono molte cifre e che si possono usare gli zeri per rendere il numero sempre più grande.

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Restava da verificare se la competenza dei bambini riguardasse solo i nomi dei numeri, la loro grandezza ecc. o anche qualche cosa di più sofisticato e significativo, come le operazioni e il loro uso in situazioni problematiche.

Che i bambini piccoli usino con una certa sicurezza addizioni e sottrazioni, è abbondantemente documentato dalla ricerca (Boero et al., 1985;5 Baldisserri et al., 1993; Scali, 1994; Boero e Scali, 1996; Lucangeli, 2001; Teruggi, 2001) e da varie esperienze (D’Amore, 2002). In tutte queste prove, tuttavia, i numeri in gioco sono quasi sempre piccoli, sempre entro la decina. Abbiamo allora deciso di verificare se i bambini possono dominare (non formalmente, ma cognitivamente e logicamente) una situazione additiva con numeri grandi. Inoltre, abbiamo voluto verificare se i bambini riconoscono l’addizione come operazione risolutiva in problemi nei quali si tratti con più addendi. Ad alcune classi, dunque, è stato affidato il seguente test: «Nella nostra scuola ci sono A classi; vorremmo sapere quanti bimbi ci sono in tutto nella scuola».

Molti bambini hanno interpretato realisticamente la proposta, come una vera e propria situazio-ne problematica alla quale dare una risposta (ripetiamo: ancora non è scattato il «contratto didat-tico»). Questi bambini hanno affrontato la questione da più punti di vista, notando la complessità della consegna, complessità dovuta soprattutto a motivi contingenti e reali. «Non si può! Come facciamo a sapere quali bambine sono al bagno?» dice un bambino, «O in palestra?» conferma e rafforza l’altro. Parecchi bambini semplicemente suggeriscono di fare l’addizione che, però, per loro è ordinale: «Li mettiamo tutti in palestra, in fila, così li contiamo». Sotto un’affermazione come questa c’è un «teorema in atto», alla Vergnaud (Vergnaud, 1981), e l’indicazione di una strategia risolutiva convincente, anche se poco efficace.

Anche questa esperienza verifica che ci sono altre competenze in qualche modo già acquisite:

1. il dominio, almeno culturale (se non formale), dei «numeri grandi»2. il dominio dei «modelli intuitivi» (Fischbein, 1985) delle operazioni di base.

1.5. Invito alla proposta curricolare

Sulla base di quanto precede, ha senso rivedere la questione dell’«ingegneria didattica» (D’Amo-re, 1999b; 2001a) relativamente al tema: Introduzione all’aritmetica per il primo anno della scuola elementare. Si tratta soprattutto di trovare il modo di «sfruttare» le reali competenze di base degli

5 Vedi nota a p. 20.

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allievi, senza svilirle o snobbarle, valorizzandole come conviene di fronte a un patrimonio, una dote, un tesoro.

Dopo varie riunioni di studio e discussione e dopo varie proposte ed interventi, si è deciso di sfruttare la competenza acquisita da parte nostra con le prove preliminari, per riproporle in ingresso in I elementare ai bambini, come primo impatto con l’aritmetica, senza ricalcare dunque la solita sequela di numerali dall’1 in su; si trattava invece di mettere i bambini di fronte all’impatto con «numeri grandi», dando per scontato che loro li dominassero.

Nel seguito di questo contributo, verranno presentati i seguenti punti.

1. Nel paragrafo 6 la proposta curricolare in sintesi. In questa fase ci si basa molto sul piano af-fettivo: il lettore dunque non si meravigli se si chiede di «disegnare» e non semplicemente di «scrivere» i numerali; non si meravigli se si chiede di «colorare» i «disegni» dei numeri… Su queste attenzioni pedagogiche non ci si soffermerà, contando sulla competenza del lettore. Per brevità, omettiamo tutti i disegni che il lettore potrà facilmente immaginare.

2. Nel paragrafo 7 i risultati della sperimentazione, dal punto di vista dei bambini, cioè dal punto di vista della loro costruzione di sapere.

3. Nel paragrafo 8 il punto di vista di insegnanti e genitori.4. Nel paragrafo 9 alcune note finali di commento.

Prima di procedere, ricordiamo che nell’anno scolastico 2002-2003 hanno partecipato all’espe-rienza completa 10 classi di prima elementare, per un totale di 169 bambini. Il testo qui presentato nel paragrafo 6 è stato rivisto durante l’estate 2003 e riutilizzato nell’anno scolastico 2003-2004 per una ulteriore sperimentazione di verifica, ancora in prima elementare.

Proseguendo nella medesima direzione, lo stesso gruppo di ricercatori ha elaborato il materiale per un’indagine in seconda elementare per l’anno 2003-2004.