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ERODOTO108 14 • PRIMAVERA 2016

Erodoto108 n°14

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Erodoto, in questo numero, ha cercato di raccontare la Scuola. Consideriamo la Scuola, la crescita dei bambini e dei ragazzi, qualcosa di decisivo per il futuro dell’umanità e ci siamo scontrati con la difficoltà di raccontarne le storie. E’ un tentativo, Erodoto prova a incamminarsi e farlo assieme ai bambini è stato comunque bello. Siamo certi che loro saranno migliori di noi.

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Sommario2 editoriale 3 Le foto che farete, Lucia Perrotta, antonio mancuso,

andrea Semplici, alessio Duranti12 il racconto WRITING COACH? di Elisabetta rondinone16 reportage fotografico IL FAVOLOSO MONDO DI AMELIA ED ENRICO di Zaira mantovan30 storie di fotografe Lisetta Carmi ‘E NEMMENO uN RIMpIANTO’ di Francesca Cappelli34 reportage fotografico Nepal un anno dopo, LA MEMORIA FRAGILE,

foto e testo di Giovanni mereghetti48 storie di libri Castel di Sangro, VOGLIO ESSERE FELICE,

testo di alberto Spicciolato, foto di arduino Capanna

SToriE Di SCUoLa52 Palermo, Quelli che non ci vanno, Foto di Francesco Faraci, testo di Silvia La Ferrara 56 Nord del Kenya, Non so quante capre ho, ma mi accorgo se ne manca una,

testo e foto di Greta Semplici60 italia Camerette, Foto di annarita Lamacchia68 italia Sottobanco, di miche Crivaro, Claudia Fabris,Chiara Gubbio70 india, La divisa di juta, testo e foto di Lorenzo rosato73 italia, Alfabeto bilingue, Testo e foto di antonella Bukovaz76 USa, per un pugno di libri,Testo di Laura Salvarani79 mongolia, ‘Vorrei poter leggere il mio nome’ testo e foto di matthias Canapini82 Palestina Resilienza/la scuola invisibile84 gli occhi di Erodoto, incontro con Girolamo De michele

E se studiassomo The Wire?, intervista di Sandro abruzzese88 italia Quaderni aperti Quando fa freddo la gente e io indossa abiti pesanti90 italia memoria di adriano,di Letizia Sgalambro

94 quaderni a quadretti Cosimo Miorelli SCHWEINEHuND, in cerca di casa a Berlino

SToriE Di aLBEri102 i riti degli alberi fra Lucania e Calabria,

SE pASSATE FRA CENT’ANNI NOI SAREMO ANCORA QuI, testo e foto di andrea Semplici

120 una storia una foto ESSERI  SupREMI, racconto e foto di marco Paoli raccolto da arturo Valle124 DORMIRE CON ETTORE E TERESA. CHE SONO DuE QuERCE.

Testo di Lucia Zambelli foto di matteo Cortigiani e Lucia Zambelli

128 storie di cibo IL SENSO DELLA FRATTAGLIA, testo di irene russo, foto di ornella mazzola130 i riti crematori dei maharaja di Bundi NON FIA RISTORO AI Dì pERDuTI uN SASSO

Testo di Silvia La Ferrara, foto d marco Bascheri136 storie di poeti LA pOETESSA DI pITIGLIANO,Testo e foto di arturo Valle

138 oroscopo di Letizia Sgalambro

ERODOTO108• Fondatore: Marco Turini• Direttore responsabile: Andrea Semplici• Redazione Giovanni Breschi, Vittore Buzzi, ValentinaCabiale, Francesca Cappelli, Silvia La Ferrara, Massimo D’Amato, Isabella Mancini, Andrea Semplici,Letizia Sgalambro, Marco Turini• Designer Giovanni Breschi• Web designer Allegra Adani

In copertina: Antonio e l’albero di AccetturaFoto di Andrea Semplici

Registrata al Tribunale di FirenzeStampa Periodica al n.5738 il 28/09/2009

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La danza immobileScrivo questa paginetta da lontano. Da oltre oceano. Dal Nicaragua. Isabella, in questostesso momento, è in Vietnam. È che Erodoto è rimasto in Italia. Non ha voluto seguirci.Oppure è con noi e non ce ne accorgiamo. La rivista è nata per raccontare il viaggio.Un’amica, qui, a fianco a me, in un rancho delle colline del Nicaragua, rivendica ‘il dirittoal viaggio’. Sfoglio (virtualmente) questo numero: le sue pagine sono immobili, stanziali,alcune molto belle, altre meno, ma ferme come un albero (per questo vi sono articoli suglialberi). Mi chiedo: cosa abbiamo fatto? Abbiamo ingannato le ragioni per le quali siamonati? Noi viaggiamo, ma abbiamo lasciato a casa Erodoto? No, non credo che sia così. Penso a Bruce Chatwin, scrittore del nomadismo, capace didarci un bellissimo libro immobile come Utz, tre lettere per un titolo e colline del centro-europa come paesaggio. Abbiamo sempre sostenuto che il viaggio è un alibi. Uno stru-mento. Per conoscere il mondo, per raccontarlo, per mostrarlo. Non è semplicementel’andare, non è un collezione di luoghi, non è lo scacciapensieri dell’esotismo. Non esi-stono luoghi da confinare nell’esotismo, non ci interessano i diari di viaggio, ma le storiedel viaggio. Vi è una maniera di guardare che è sempre viaggio. Vi sono danze immobili.Il movimento e lo stare. Un immobilismo che non è tale: i tuoi piedi sono fermi, ma ognituo senso è all’erta per catturare quanto passo dentro di te e appena fuori di te. In fondo,noi non vogliamo più cambiare il mondo (oh, sì, che lo vogliamo), ma cambiare i cinquemetri attorno a noi, sì, questo sì. Per questo abbiamo deciso e scelto di pubblicare il racconto di Elisabetta Rondinone,story-teller (ma lei non sa di esserlo) materana, e di Zàira Mantovan, fotografa veneta(ci piace definire queste due donne con i loro ‘mestieri’, non con quelli con i quali soprav-vivono: vedete i soldi hanno importanza decisiva. Nelle loro vite e nelle nostre). Ci hannodonato due racconti perfetti. Senza trucchi. Hanno messo i piedi a terra e hanno guardato(Elisabetta per una mattina, Zàira per molti anni) il mondo attorno a loro. E sono riusciti,per un momento, a farci entrare nelle loro storie. Gliene siamo grati. Per questo abbiamo voluto parlare di alberi. Una meraviglia che sta lì, sconfigge la forzadella gravità, va verso l’alto, ma gli alberi non viaggiano. Aspettano i viaggiatori. Hannoatteso Lucia Zambelli, giornalista fiorentina, e, per lei e per i suoi amici, hanno trasfor-mato i rami in letti. I sicomori e le acacie dell’Etiopia hanno aspettato per anni e anni chepassasseMarco Paoli, fotografo fiorentino, per donargli la loro ombra e la loro bellezza. Questa volta siamo grati agli alberi.

Due parole sulla scuola. Non so cosa scriverà Silvia nella presentazione del dossier. È leiad aver curato il dossier Scuola al centro della rivista. Faccio solo una notazione: è statodifficile trovare autori (scrittori e fotografi) per raccontare della scuola. L’educazione, laformazione, l’istruzione sono, diciamo, capisaldi di un mondo più giusto. Ma non siamocapaci di raccontarlo: troppi degli articoli e delle fotografie che abbiamo ricevuto tra-smettevano solo immagini stereotipate dell’universo della scuola. Abbiamo bisogno dimaestri e professioni (e di ragazzi e studenti) capaci di raccontare questo universo. Difarlo bene. Con profondità. Fuori da parole abusate. Altrimenti rimane un mondo a parte,mentre la scuola è la base sulla quale costruire le nostre vite. Andrea Semplici

EDITORIALE

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LE FOTO CHE FARETE

Giovedi Santo. Processione dei misteri, marsala, Sicilia Foto di Lucia perrotta

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LE FOTO CHE FARETE

Venerdi Santo. i Vattienti di Nocera Terinese, CalabriaFoto di Antonio Mancuso

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Domenica di Pasqua. Botiza,maramureş, romaniaFoto di Andrea Semplici

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LE FOTO CHE FARETE

il 25 aprile. milano Foto di Alessio Duranti

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WriTiNG CoaCh?

Cercavo una buona scusa per uscire dalle mie abitudini troppo se-dentarie. Chiacchiero con una ragazza conosciuta alla fermatadell'autobus, m'incuriosisce la sua minuziosa descrizione degli

oggetti e mi confessa che è solo merito delle lezioni seguite in una pre-stigiosa scuola di scrittura italiana. Perplessa, ma incuriosita dalle tec-niche di scrittura di cui mi parla, mi lascio contagiare dal suo entusiasmoe decido di frequentare un breve corso anch'io. Sfoglio diversi annuncionline e scopro decine di scuole: corsi di scrittura di ogni genere, brevi,immediati o accademici. Ma cosa significa imparare a scrivere?Con nessuna aspettativa particolare, ma con voglia d'imparare qualcosadi utile, prenoto il mio corso di scrittura creativa a Padova. Un giornodi viaggio, da Matera, dove abito. E quando arrivo, guardo il cielo: nonvi erano nuvole, il sole rifletteva sulle vetrate dei palazzi, passo davantialla famosa Casa degli specchi, per me è la Casa del cammeo per via diquei tondi marmorei sparsi sulla facciata. In borsa ho perfino un regi-stratore. Arrivo all’Istituto Vescovile Barbarigo. E’ qui che si tiene ilcorso. Scopro che si tratta di una lezione sulle tecniche di costruzione del rac-conto. Sei ore di corso e due libri di riferimento di Jack London. L'inse-gnante si presenta come writing coach e web editor per unamultinazionale che produce pneumatici (ignoro il significato di questitermini, mi chiedo cos'avrà mai a che vedere la scrittura creativa con untesto per una multinazionale). Chiedo indicazioni in segreteria, i mieicompagni di corso sono dispersi per il palazzo. Il docente è in ritardo.Passeggio e rimango folgorata dal marmo bianco e rosa che mi circondae turbata dalle espressioni raffigurate nei quadri che ricoprono buonaparte delle pareti.

Una giovane scrittrice materana va fino a Padova peruna lezione sullo ‘scrivere’. incontra e smarrisce JackLondon. Si sofferma di fronte alla Casa degli Specchi. E confonde l’insegnate, web editor (?) di un una multinazionale, con il custode. Si distrae, alla fine sismarrisce e se ne va. Con addosso la domanda senzarisposta ‘si può imparare a scrivere’?

il racconto di Elisabetta Rondinone

Un corso di scrittura creativa

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Siedo al primo banco sul lato estremo dell'aula e cerco tra i volti dei treuomini presenti l'espressione di un insegnante di scrittura. Gli iscrittisono poco più di dieci. Non vi sono giovani fanciulle e neanche uomini,ma donne sulla quarantina con vestiti sfarzosi e valigette dai profili im-portanti. Dopo una lunga attesa, spunta fuori l'autentico insegnante. Glialtri due erano un fotografo e un custode del palazzo. Eppure ero certache il custode fosse l'uomo creativo e che il fotografo fosse un impor-tante dirigente d’azienda smarritosi nel palazzo sbagliato. L’insegnante si presenta con poco fiato. Dice di venire da Pordenone,dal suo accento, capisco subito che è pugliese. Assume una postura sbi-lenca quasi a indicare uno squilibrio emotivo. I piedi e le gambe tendonoverso l'interno e le braccia massicce sotto le spalle strette ingigantisconole proporzioni. Le oscilla distrattamente, come se si tenesse in bilico,così come fanno gli autisti degli autobus durante l'attesa di una sosta inautostrada, o come i datori di lavoro affaticati dal loro stesso respiro.

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Era buffo, le sue narici si dilatavanoogni volta che tirava su un respiro, ro-teava gli occhi nel vuoto cercando pa-role di un discorso lasciato a metà,smarrito tra battute e metafore fuoritema. Poi riprendeva a leggere i duelibri. A che punto della lezione siamo?Cosa c'entrano le sue imprese di vitacon il racconto di London?.Mi sono distratta, la mia attenzione siè spostata sulle altre scolare: perfetta-mente incastrate tra i banchi e rapide atrascrivere le parole del docente, lo

guardavano enfatizzate. Alcune di loro lo avevano seguito in altre cittàper diverse lezioni, molte altre lo ascoltavano per la prima volta e neerano ipnotizzate. Avevano fiducia in tutta questa impresa goliardica,dicevano di essere certe di trovarsi nel posto giusto per imparare a scri-vere.Mi ripropongo la domanda: cosa significa imparare a scrivere?La mia attenzione su di lui ,invece, si interrompeva di continuo. Cosìcomincia a scrivere per riempire il tempo e dare un senso al denaro spesoper questa lezione. Così ho scritto le righe che state leggendo. Ho immaginato di avere di fronte una sorta di cabarettista meridionale,di quelli che legano il loro sarcasmo alle proprie radici portando perscontato che lo posseggono come se fosse innato. Usava parole edespressioni come ‘diciamo che, è solo così, sembra brutto ma non socome spiegare’. Voleva tirar fuori qualcosa di prezioso, ma tutto si ba-nalizzava proprio nel momento in cui lo diceva. Era banale perché nellesue parole non vi era nulla, o quasi nulla, che io non conoscessi già. Eio ho solo un semplice diploma di un liceo fatto male, qualche libro lettoe mezzo anno di università alle spalle. La lezione si era spostata su una serie di frasi virgolettate, estrapolateda un’enciclopedia, affiancate ad illustrazioni che ne avrebbero dovutoriassumerne il concetto. Il maestro si limitava a leggerle con qualchebreve commento finale. Immagini d'importanti letterati del XIX secoloproiettate sul muro, scorrevano alle sue spalle, mentre ci parlava di qual-cosa che non riuscivo a comprendere. Le sue metafore facevano spesso riferimento a scene di sesso fuori tema.Allora tirava su un grosso respiro, era stanco e sperava di trovare le pa-role che cercava, perdendo a volte il filo del discorso e sforzandosi dinon essere volgare. Ero irrimediabilmente indispettita dal suo tono divoce, leggeva velocemente e senza espressione. Pensai che il fotografo

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forse avrebbe trovato un modo per immortalare in una o più immaginiin sequenza quella fuga di parole.Pensai anche a quel che potevo sapere sulla scrittura creativa e ricordaiche in sostanza si fonda s'un viaggio mentale sconfinato all'interno dimondi immaginari o reali e che in un secondo momento tali idee sareb-bero state raccolte, scelte, analizzate e selezionate. A questo propositonon riuscivo a individuare in tutte quelle parole ascoltate qualcosa chesi avvicinasse a un’idea creativa. Lessi un articolo che racconta della possibile chiusura della scuola Hol-den. Era la fine del tentativo di creare dei tecnici della scrittura? Il pe-dagogista Dewey, nel secolo scorso, ipotizzava la formazione educativadegli aspiranti scrittori. Ma è davvero necessaria la presenza di un indi-viduo di riferimento affinché uno scrittore diventi tale? Cosa significadiventare scrittore?Molti scrivono, forse tutti scrivono, ma è davvero scrittore colui chedopo aver sborsato fior di soldi per una o più lezioni torna a casa a se-dersi sulla sua poltrona cercando ore e ore la famosa ispirazione? Ci siabitua in fretta all'idea che se qualcuno può insegnarti a scrivere, è pos-sibile farlo con dimestichezza, senza reali sacrifici e predisposizioni. E,per conseguenza, tutti penseranno che scrivere ‘non fa guadagnare e chequindi non è affatto un lavoro’, ma un'attività praticata nel tempo libero,fatta con piacere o addirittura per divertimento. Per questo molti auto-pubblicano i loro libri e si mettono in competizione con altri aspirantiscrittori pur di guadagnarsi un posto per essere letti su qualsiasi rivistaonline o in qualche vetrina editoriale. Ma io ho esigenza di scrivere, non ho mai smesso di farlo da quando, asei anni, mi è stato regalato il primo diario. Non penso che sia sbagliatoavere dei riferimenti, fosse solo per mettere ordine alle parole che affol-late e scomposte vagano nella nostra mente, ma credo che si trovino nelmondo attorno a noi. Basta tenere attivi tutti e cinque i nostri sensi.

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4ELISAbETTA RONDINONE, materana, scrive questo come biografia:

“Solitamente scrivere assicura una certa riservatezza, da spazio a un flusso di paroleche a volte neanche la punteggiatura può fermare.

Poi mi viene chiesto di definirmi in tre righe indicando la mia età (ventitrè anni). intimidita e un po’ impacciata rispetto le regole dei giochi di ‘scrittura di dovere’

anche se sforo di un rigo e alla fine scrivo qualche parola in più”

GuIDO SCARAbOTTOLO pER GLI AMICI bAu. Nasce a Sesto San Giovanni nel 1947 e si laurea in architettura al politecnico di

milano. Dal 1973 fa parte dello studio arcoquattro. Collabora con i principali editoriitaliani. Per 12 anni e stato art director di Guanda.

Progetta libri per Topipittori e Vanvere.

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Una notte del 1998, nella periferia di Como, Enrico stava guar-dando, come tutte le notti, una partita di calcio o un film di SergioLeone alla tivù; sua madre Amelia, come tutte le notti, era andata

a letto presto. La mattina seguente, all'alba, Amelia trovò suo figlio a terrain coma. La tivù era ancora accesa. Nel silenzio della notte Enrico avevaavuto un ictus. Dopo ventidue giorni di coma, nonostante lo scetticismo dei dottori, sisvegliò, secondo me grazie alle canzoni di Lucio Battisti (il suo cantantepreferito) che gli avevo fatto ascoltare con il walkman. Da allora Enrico ha la parte destra del corpo paralizzata e fatica a parlare.Da allora Amelia (classe 1918), aiutata dalla sorella di Enrico, si prendecura di lui. Posso assicurare che non è affar facile, non solo a causa dellamalattia ma soprattutto a causa della sua testardaggine. Tutti i giorni En-rico copia gli articoli di Famiglia Cristiana al computer, contemporanea-mente guarda un film in streaming, ascolta la musica e segue i risultatisportivi con il televideo, insomma camera sua è come Wall Street. Ognitanto esce di casa per fare le scale del condominio e si innervosisce perchénon è facile come una volta, prima dell'ictus, poi torna con la mente alpassato, a quando era giovane e bello, sano e felice. Da quando si è separato da mia madre è tornato da sua madre e non hapiù riconquistato un'autonomia. Ogni giorno Amelia cucina, ascolta lamessa alla radio, guarda le telenovelas alla tv, va a bere il caffè dalla suaamica del piano di sotto, pensa al passato, al suo Nino. Mamma e figliosi sostengono a vicenda, si fanno compagnia, dopo tanti anni di vita insimbiosi sono diventati inseparabili. Quando vado a trovarli, dopo varie minacce riesco a caricare in macchinamio padre e a portarlo al Lago; la nonna me lo affida, ma se torniamo inritardo si preoccupa. Da anni scatto loro foto, spesso di nascosto perchéquando vengo colta in flagrante si lamentano e mi sgridano, però poi vo-gliono vedersi. Fotografarli è il mio modo per farli uscire dalle mura diquell'appartamento e per farli sentire delle star.

A mio padre e mia nonna.

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Zàira Montovan,nata a Como nel1975, vive a rovigo. ‘Ho fatto tanti lavori,l'ultimo è stato ilmeno creativo ditutti : facevo 'bip' nelcuore della notte neisupermercati per gliinventari. tutti mihanno stufato, la fotografia invecemai. Da almeno vent’anni osservo efotografo gli alberi,le nuvole, i gatti, i cani, la nebbia, me, mio padre e mia nonna’.

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IEDI FOTOGRAFE • I NOVANTADUE ANNI DI LISETTA CARMI

Lisetta Carmi è oggi un’anzianasignora, nobile e soave. Tunicheorientali ne ricoprono la schienacurva. Le mani plasmate daltempo e gli occhi chiari racchiu-dono tutta la sua vitalità. Hacompiuto novantuno anni Li-setta, la sua quinta vita, l’epocadella libertà, come la definiscelei. Senza opporsi alle voca-zioni, senza rimpiangere leesperienze passate, in una conti-nua ricerca di se stessa, si è la-sciata trasportare dall’esistenzacome una barchetta sull’acqua,realizzando i compiti che la vitale ha proposto. Questa rubricada spazio alla sua seconda vita,quella di donna carismatica esingolare, attenta e sensibile, in-stancabile viaggiatrice e sor-prendente fotografa.

Lisetta Carmi nasce a Genova,in via Sturla numero 15, il 15febbraio 1924. Per le sue originiebraiche viene espulsa a quat-tordici anni dalla scuola ita-liana. I due fratelli vengonomandati in collegio in Svizzera

e lei rimane nella casa di fami-glia per volontà del maestro dipianoforte, Alfredo They, disce-polo di Ferruccio Busoni, pre-occupato di non perdere la suaallieva migliore. Le insegna a«toccare il piano come fosseuna cosa viva». Lisetta studia esuona in completa solitudine.

Quando sfolla con la famigliaad Alessandria, il pesante stru-mento viene trasportato su uncarro trainato da buoi. Sotto ilbraccio tiene i volumi del Clavi-cembalo ben temperato di Bach.Capisce che avrebbe fatto laconcertista. Il suo talento laporta a girare gran parte delmondo, i risultati sono eccel-lenti, la fama cresce, ma lei ini-zia a chiedersi se è quella la vitache veramente desidera. Nel1960 la prima frattura, partecipaalle manifestazioni di piazzacontro i fascisti, e al suo inse-gnante, che le vieta di prendereparte ai nervosi cortei cheavrebbero potuto mettere a re-pentaglio salute e carriera, ri-

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‘E NEMMENO UN RIMPIANTO’

Pianista, fotografa ‘senza preavviso’ perché la fotografia incarna la musica. Dà scandalo nell’italia degli anni ’60. Fotografa Pound e i camalli genovesi. Smette di fotografare: ‘C’è un tempo per ogni cosa’.

Testo diFrancescaCappelli

Lisetta Carmi

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Ezra Pound

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sponde indignata chese le suemani sono più importanti dellasofferenza degli altri allora nonha senso che continui a suonare.Inizia così la sua seconda vita,in compagnia della macchinafotografica, senza preavviso,senza avere mai scattato. Lo faperché, dichiara in un’intervi-sta:«se sai suonare uno strumentopuoi fare qualsiasi cosa nellavita. Perché la musica ti dàun’anima. E la fotografia fu ilcorpo in cui l’incarnai».

Con la macchina fotografica,strumento per capire se stessa eil mistero dell’umano, viaggiatra le favelas venezuelane, inMessico, in Irlanda, in Afghani-stan e nel Sud Italia, con l’inde-fesso obiettivo di dare voce aipoveri, ai diseredati della terra,a quella parte di umanità emar-ginata e invisibile. Tanti la co-noscono come la fotografa deitravestiti, per il reportage chedocumenta i luoghi nascosti diGenova, fotografie che rimar-

ranno per anni proibite e clan-destine. Nel 1965 Lisetta entranell’ambiente dei trans per caso,accettando l’invito a una lorofesta. Li vede ballare e diver-tirsi, ma non le sfugge la grandesofferenza, il macerato deside-rio di essere donne e per questoperseguitati da una società cheli considera malati di disturbid’identità. Inizia a frequentarli,«nella convinzione che ancheloro vivevano, posso dirlo?come gli ebrei, in un ghetto».Tra fotografa e fotografati si in-staura un’amicizia: c’è la Gi-tana, che era stata l’amante diDe Pisis, la Morena, che avevaispirato la Bocca di Rosa diFaber, la Novia. Lisetta Carmicrede che questa assonanza chel’ha unita per tanti anni a loronon sia casuale. Anche lei è alleprese con la necessità di rifiu-tare il ruolo classico che leviene imposto, con la difficileaccettazione della sua esigenzadi libertà d’espressione, di viag-gio, di incontro. La reazione aquelle immagini è di grandis-simo scandalo. Il libro avrebbedovuto essere pubblicato da uneditore comunista ma èun’epoca troppo moralista e sitira indietro, i negozi non loespongono, gli intellettuali si ri-fiutano di presentarlo.

Altri reportage di Lisetta Carmiscuotono l’opinione pubblica esollevano il velo di silenzio edisinteresse. Nel 1964 l’attra-zione sconfinata per il mare laporta a documentare la vita deicamalli nel lavoro “Il porto di

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1965-1971

(Le fotografie qui pre-sentate, nel rispetto deldiritto d’autore, ven-gono riprodotte per fi-nalità di critica ediscussione aisensidegli artt. 65 comma 2,70 comma 1 bis e 101comma 1 Legge633/1941.)

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arte le è servita comestrumento per attuareuna rivoluzione perso-nale che coinvolgesse gliesseri umani davanti alei, a cui dedica un ri-spetto e una compren-sione profonda chemantiene vivi e immutatinonostante le sue rein-carnazioni. Oggi vive aCisternino, nella Valled’Itria, dove per voleredel suo maestro spiri-tuale Babaji ha fondato ilprimo Ashram occiden-tale. Dichiara Lisetta:

«Bisogna distaccarsi dalpossesso come dal pas-sato. Non rimpiangoquello che ho fatto e se èstato fatto bene qualcunone avrà gioito». Oggivive studiando e dipin-gendo la calligrafia ci-nese, aspettandoserenamente di lasciare ilcorpo, ma come sia arri-vata a questo è un’altrastoria. Anzi, almeno altretre.'Questo articolo è apparso sullarivista: RIOTVANwww.riotvan.netmagazine on-line di attualità ecultura urbana, degli studentifiorentini di giornalismo.

foto a Ezra Pound, cer-cato a Sant’Ambrogio diRapallo, dove viveva. Siincontrano per pochi mi-nuti. Il poeta apre laporta di casa ed esce conla sua vecchiaia, i capelliirti, la sua magrezza. Siferma davanti a lei per iltempo di soli venti scatti,che però bastano a rac-chiudere la drammaticitàdi quegli occhi rivolti al-l’infinito, l’indicibilegrandezza e terrore dellesue poesie, lo sdegno el’aggressività della suareazione. Il fotografoUliano Lucas definiscele immagini: «dolenti einsieme intime, crude eal tempo stesso miste-riose e sfuggenti, proprioperché in esse il poetaconsegnato dai suoi versiall’eternità lascia il postoall’uomo, solo davantialla morte». Con questoreportage vince il presti-gioso premio Niépce, eUmberto Eco, membrodella giuria, dichiara chele foto di Lisetta parlanodel poeta con un’inten-sità e una verità maiespresse in nessun arti-colo scritto su di lui.

Nel 1977 Lisetta Carmismette di fotografareperché, come dice lei,«c’è un tempo per ognicosa». È stata fotografaper vent’anni e la sua

Genova. Città nellacittà”. Dopo la poesia, ilsenso di avventura el’evocazione che questomestiere suscita, riman-gono nel bianco e nero lafatica, la pericolosità, lecondizioni spaventosedegli operai. Il lavoro di-venta una mostra-denun-cia del sindacato. Nelcimitero monumentaledella sua città, Staglieno,luogo di passioni pietrifi-cate, la fotografa superal’estasi della perfezionescultorea e la dolcezzadel dolore che il luogosuscita e vi scopre l’ipo-crisia borghese fatta amonumento, i pregiudizidi classe, la subordina-zione della donna, la re-pressione sessuale, larispettabilità, l’afferma-zione di uno status so-ciale, la ricchezza.Questo è “Erotismo eAutoritarismo a Sta-glieno”, ma, anche que-sta volta, nessuno siprende la responsabilitàdi farne un libro. Unoschiaffo ai pudori e alperbenismo viene datodalla sequenza di foto-grafie che documentanoil parto di una ragazzaventenne. Il suo voltonon si vede mai, solo ilmomento crudo e ma-gico dello sconvolgenteesplodere della vita.Del 1966 sono invece le

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FranCESCa CaPPELLi24 anni, i, pistoiese, vive aRoma dove studia fotogra-fia. è alta un metro e settanta, pesa 75 chili.Scatta vinili e sviluppa piscine acquatiche.

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NEPAL UN ANNO DOPO TESTO E FOTO DI GIOVANNI MEREGHETTI

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LA MEMORIA FRAGILEDuE SCoSSE Di tErrEMoto aLLE 6 E 11 Minuti DEL Mattino.

un tErrEMoto vioLEnto, 25 aPriLE DEL 2015 E iL tEtto DEL MonDo CroLLò. ottoMiLa Morti.

noi riCorDiaMo LE iMMagini DEgLi aLPiniSti travoLti DaLLE vaLangHE SuLL’EvErESt.

DiMEntiCHiaMo iL PaESE, La Sua gEntE. un FotograFo itaLiano è tornato

a KatHManDu. PEr SCoPrirE CHE, Da SEi MESi, non vi è Più bEnZina.

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il Nepal non si è rialzato. E il mondo sembra non avere né memo-ria, né pietà. L’india, da cinque mesi, ha imposto un embargo non ufficiale suicarburanti. E’ una rappresaglia decisa dopo l’approvazione della nuova costitu-zione nepalese che, secondo Nuova Delhi, viola diritti delle minoranze di origineindiana. a Kathmandu non circolano auto private, per pochi litri di benzina si fannocode di tre giorni. Dall’india arrivava il 90% dei beni importati dal Nepal: oggi que-sto commercio è crollato al 5%. i nepalesi, costretti a cucinare e riscaldarsi conla legna, sono allo stremo.

è passato un anno da quel 25 aprile, quando la terra hacominciato a tremare provocando uno dei terremoti più devastanti della storia intutta l'aerea himalayana. Sono morte circa ottomila persone, i senzatetto non sicontano. Le più colpite sono state le zone rurali a sud-est di Lamjung, ma anchela capitale non è stata risparmiata. i principali monumenti storici di Kathmandu,patrimonio dell'umanità dell'Unesco, sono andati completamente distrutti e ipochi rimasti sono quasi tutti inagibili e pericolanti.

patan, murales riportantele fotografie dei volontari

che maggiormente si sono attivati alla

ricostruzione della città e negli aiuti umanitari

Distretto di Nuwakot, un numero riportato sulla mano in attesa del proprio turno per il ritiro degli aiuti economici distribuiti dalle oNG

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Kathmandu, coppia di anzianiin un campo profughi

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oggi camminare a Thamel, centro storico della capitale, fa uncerto effetto. il sisma ha lasciato voragini ancora aperte. Le macerie non sonostate rimosse. i volti della gente appaiono disperati e rassegnati. Non c’è elettricitàper almeno sedici ore al giorno. il turismo, una delle poche risorse del paese, èquasi scomparso. Gli aerei in partenza dall'aeroporto Tribhuvan di Kathmanduhanno solo qualche ora di autonomia. Devo fare scalo a Delhi per fare riforni-mento.

La capitale è assediata dalle tendopoli create dalle or-ganizzazioni internazionali. E’ gente fuggita dalle campagne: hanno perso tutto,sono in ‘attesa’, forse vi rimarranno per sempre. E vivere da profughi ai marginidella città è difficile. in inverno il freddo è immenso, d'estate invece arriva il mon-sone e gli accampamenti diventano un acquitrino. Gli aiuti umanitari arrivano colcontagocce.

Voglio darmi una speranza: la forza del popolo della montagna. i nepalesi pos-sono contare solo su di loro per risorgere.

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a sinistra

Kathmandu, ragazzini al campo profughi di Chhuchmepati situato in una zona residenziale della capitale

Simutar nel distretto di Nuwakot, tendopoli del campo profughi

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Kathmandu, La distruzione degli edifici storici a Durbar square

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Kathmandu, donna in una tenda del campoprofughi di Chhuchmepati situato in una zonaresidenziale della capitale

in alto

bhaktapur, anziana donna impegnata nella ricostruzione della propria abitazione

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bhaktapur, le fasi della ricostruzione a quasi un anno dal sisma

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Kathmandu, giovane donna nel luogo dove sorgeva la propria casa nel cuore del quartiere di Thamel

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bhaktapur, la ricostruzione di una casa completamente distrutta dal terremoto

a destra:

Kathmandu, un edificio crollato ormai abitato solo da scimmie

giovanni MErEgHEtti 52 anni, fotogiornalistamilanese. Free-lance dal 1980. Ama i reportagegeografici e sociali. Ha viaggiato dalla Cambogia alSahara. Ha documentato l’immigrazione a Milanonegli anni ’80 e il lavoro minorile in Malawi. Autoredi numerosi libri. Fra gli altri: ‘Nuba’ per Bertelli; ‘DaCapo Nord a Tombuctou…passando per il modo’sempre per Bertelli e ‘Veli’ per Les Cultures.

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STOR

IEDI LIBRI

Perché aprire una libreria indipen-dente oggi? ‘Perché è un sogno che

si realizza’, risponde Giordana con di-sarmante candore. ‘Quando ho finitol'università mi sono fatta una domanda:cosa vuoi fare? La risposta era, ed è:voglio essere felice. Io faccio la libraiaperché voglio essere felice tutti i giornidi aprire il mio negozio e lavorare colsorriso’.

Il Bosco Delle Storie apre nel 2006 aCastel di Sangro, piccola cittadina frale montagne abruzzesi. La decisione diaprire una nuova libreria, con una con-cezione diversa, è frutto di idee comunitra Piergiorgio e Giordana. Un posto

‘VOGLIO ESSERE FELICE’

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Giordana ha coraggio e vuole la felicità‘tutti i giorni’: per questo, nove anni fa,ha deciso di aprire una libreria nellemontagne abruzzesi. ogni libro è un al-bero e racconta storie. i bambini sono ilettori prediletti: ‘a undici anni puoi leg-gere qualsiasi cosa…’. Poi cresci e di-venti lettore occasionale, appassionato,in vacanza. il piccolo grande esempiodella Neo Edizioni.

dove stare con il libro, dove si può gio-care con il libro. Sfogliarlo, farlo proprioancor prima di acquistarlo, cosa mai ba-nale per un Lettore.

Il nome è stato scelto con cura, il legamecol territorio è indissolubile e di boschigli appennini sono pieni. Ma ha allabase la concezione di una libreria chesia proprio così, aperta a tutti ma intimaallo stesso tempo, in cui ogni albero èuna storia a sé stante, dove ogni libropuò mettere le sue radici e far sbocciarela sua storia.

‘Quando hai undici anni puoi leggerequalsiasi cosa’. Questa è probabilmenteuna delle frasi più pregnanti della chiac-chierata con Giordana. È quella la lineadi confine tra un mondo di letture ‘perbambini’ e quello di letture più com-plesse, non per forza astruse, linea chesi può varcare solo se c'è stata una cre-scita come piccolo lettore. Il bosco èanche un luogo di fermento, mai real-mente sopito, seppure pacifico. Unluogo dove si forma sempre qualcosadi nuovo e non a caso Giordana e Pier-giorgio hanno particolare attenzioneverso quelli che saranno i lettori del fu-turo. La varietà di libri per bambini eragazzi, presente in quella che rimanecomunque una piccola libreria, è im-pressionante. In un angolo dedicato, fre-quentemente vengono organizzate let-ture di gruppo e collaborazioni con levarie scuole per stimolare l'amore perla lettura, per la carta stampata, per lacultura in una società più multimediale.

Poi si cresce. E il lettore diventa adole-scente, ragazzo, adulto. Diventa lettoreoccasionale, lettore appassionato, lettore

castel di sangro, Abruzzo ‘Nel bosco delle storie’

Il bosco delle storIeVia Umberto I, 4Castel di sangrotel. 3484310717

email: [email protected]

Testodi alberto Spicciolato, foto di arduino Capanna

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arrivare all'attenzione dei giu-dici del Premio Strega “XXISecolo”, romanzo di PaoloZardi da loro edito, finalistanell'edizione 2015. Ma questaè un'altra storia. Indovinate,però, qual è il bosco in cui sonocresciuti?

in vacanza. I nostri librai de-vono fronteggiare una varietàdi clienti che difficilmente po-trebbe essere accontentatasenza la giusta passione, il giu-sto amore per il proprio sognodi bambino divenuto realtà.Questo si traduce in un'attivitàcurata, attenta alle proposte,personale e sempre cordiale. Èfondamentale creare una sinto-nia con il cliente, anzi, con illettore, per consigliare nonsemplicemente un libro matutto il mondo emozionale chepuò zampillare dalle paginegiuste. Non è forse vero, al-meno in parte, che i libri cheamiamo non sono che specchidi noi stessi? Le parole lette, ri-verberi di ciò che già sentiamo?

Come giustamente osservaGiordana, una libreria indipen-dente non deve essere ugualealle grandi catene. Le esigenzesono diverse, le persone entranocon spiriti differenti, a voltemolto differenti, nelle grandi enelle piccole librerie. Un po'come andare all'ipermercato oandare in enoteca. La selezione dei libri nonignora, ovviamente, le uscitepiù in voga del momento, mala vetrina non si basa su queste.Chi lavora nel Bosco Delle Sto-rie conosce perfettamente tuttii titoli che propone, riesce a in-dividuare le trame solo vedendole coste dei libri. Da una parte,il lavoro consiste anche in uncontinuo corso di aggiorna-mento, nel non essere mai saziodi letture nuove, con l'atten-zione rivolta anche alle pubbli-cazioni di case editrici minori.Esempio lampante è il casodella Neo Edizioni, editori lo-cali che sono riusciti, nono-stante un numero relativamenteesiguo di pubblicazioni, a far

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4aLbErto SPiCCioLato, 27 annieterno studente. Abruzzese, di Castel diSangro. Studia lingue straniere, leggepiù di quanto dovrebbe e meno diquanto vorrebbe.

arDuino "DuCCio" CaPanna, 52anni, abruzzese di Castel di Sangro,ama leggere e ogni tanto scribacchiapure qualcosa. A ottobre fa il vino e glipiace cucinare per gli amici che, ovvia-mente, apprezzano la cosa. L'altra suapassione è la fotografia, alla quale hadedicato un sito.

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IE DI SCU

OLAQuando le cose non vanno come

vorremmo che possiamo fare? a volte funziona tirare su la testa eguardare attorno, fuori e lontano da sé,chiedersi com’era prima e provare aimmaginare il dopo, e questo è quelloche pensavo quando ho proposto unpiccolo dossier sulla scuola. niente diprogrammatico né di critico, solo unviaggio, un’erranza nella scuola chec’era, che c’è e che forse ci sarà. Scriveva nietzsche che racconta menobene chi non pensa tanto alla cosaquanto a se stesso. Forse per questo èstato difficile trovare buone storie: chi cista dentro non riesce a raccontare lascuola e anche chi ormai è uscito da unpo’ non trova le parole perché la scuolaè un po’ di noi, persino se sono decinedi anni che non ci mettiamo piede. Così questo piccolo dossier si apre congli occhi al cielo di quelli che a scuolanon ci vanno, e zaini, alfabeti, compiti eriflessioni, si mescolano al pallottolieredi capre dei bimbi turkana, allebaracche-aula del Wyomingdell’ottocento, alla rivoluzione visionariadi un Milani che si chiama adriano e nonLorenzo. un po’ senza filo, senzadiscorso, un viaggio svagato che puòriportarci alla sorprendente origine dellaparola, a quella skholé che per i greciantichi era uno spazio aperto di ozio,tempo libero, discussione in amatacompagnia.Silvia La Ferrara

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Lo Sperone era un borgo ma-rinaro che all’inizio del Nove-cento è diventato zona di

villeggiatura e poi, a partire daglianni Sessanta, si è separato dallacittà a causa dell’intensa attività diedilizia popolare. Una storia similea quella dello Zen o del CEP o diBorgo Nuovo. il mare c’è ma nonsi vede, nascosto dai palazzoni, lospaccio è la principale attività eco-nomica. Si sa che qua i bambininon vanno a scuola, soprattutto imaschi, e lo scorso anno andavaforte su Facebook un video che lipresentava alle prese con sanguee pistole. Sui giornali però fa noti-zia l'istituto comprensivo Sperone-Pertini che dal più alto tasso didispersione della città, 27,08%, èpassato al 3,57% in due soli anni.La preside parla di alleanza fortecon il quartiere e dice che sonopiaciute le attività pomeridianecome gli scacchi, la musica e losport.

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PALERMO, QUARTIERE SPERONE

DiSPErSi Tra iL DENTro E iL FUori, SDraiaTi a GUarDarE iL CiELo

QUELLI CHE NON CI VANNO

ITALIA

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Foto di Francesco FaraciTesto di Silvia La Ferrara

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Però a vedere le foto di FrancescoFaraci a me è venuta voglia di an-darmi a sdraiare con i ragazzini suquel cerchio di cemento con dietroi palazzoni. è un posto che sem-bra ci stia per atterrare un’astro-nave e io vorrei starci con loro aguardare in su. andare fuori conloro, invece di fare di tutto per te-nerli dentro. E non è un’utopiabuonista romantica, Cesare mo-reno e i maestri di strada di Napolilo fanno da anni e con lietezzavanno in giro con i ‘dispersi’ a cer-care qualcosa di meglio di quelloche c’è. è vero, non possiamoperderli, perché sanno qualcosadel mondo che noi nemmeno celo immaginiamo.

Silvia La Ferrara, 48anni, irpina, romagnolae da più di vent’anniemiliana. insegna, viag-gia e quando puòcanta il gregoriano.

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Francesco Faraci, 30 anni,scrittore e fotografo siciliano,vive e lavora a Palermo, realtàche quotidianamente ritraefuori dagli itinerari turistici perevidenziarne contrasti e con-traddizioni. Studioso di etno-grafia e antropologiadocumenta riti e tradizioni dellasua terra e del mediterraneocon un occhio particolare alleminoranze.

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colore, per le tracce delle orme sulla terrasecca, ma non per numero. anche la po-vertà non è una dimensione quantitativa.La povertà, dice alberto Salza, antropo-logo torinese, è una povertà relazionale.Non si è poveri economicamente, ma siè poveri se mancano le relazioni. allora acosa serve saper contare? Contarecosa?

Ci sono dei numeri importanti. Sonoquelli dei giorni che separano le pioggedalla siccità. Sono quelli del numero dimucche da donare per i matrimoni. Sonoil numero delle mogli, o il numero di per-line intorno al collo.E ci sono numeri che sono diventanti im-portanti. Come gli anni di una persona oquelli che ti permettono di sapere i giornidella settimana e dei mesi.

a scuola insegnano religione. ma cos’èla religione se la fede è una negoziazionecon i bianchi come riconoscimento della

Cammino in un deserto piatto e pol-veroso. Cespugli spinosi e sassi. avolte, spesso in realtà, appare,

quasi all’orizzonte, una scuoletta di ce-mento, costruita con qualche finanzia-mento internazionale, con le grate allefinestre e la sabbia che vola nelle stanzerendendo opaco il colore dei raggi delsole. mentre mi avvicino, mi chiedo:cos’è la scuola? Cos’è la scuola per unacomunità di pastori turkana del Nord delKenya? ammesso che siano ancora pa-stori.in questa scuola di cemento e sabbia in-segnano matematica. ma cos’è la mate-matica, se non ci sono numeri? Se inumeri per un pastore turkana nonhanno né valore, né interesse. La rela-zione con le capre, per esempio, non èuna relazione quantitativa. Le capre siconoscono. è l’effetto cane pastore: nonsai quante capre hai, ma ti accorgi subitose ne manca una. Esiste un cromatismodelle capre. Si conoscono le capre per

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NORD DELKENYA LA TERRA DEI TURKANA

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i numeri non hanno importanza per questa popolazionedella savana. Forse sono ancora pastori. Forse no, manon sanno quanto sono grandi i loro greggi. ma si accorgono subito se una capra è sparita. Non conoscono la loro età, ma ora è diventato ‘importante’ perché il governo vuole sapere quanti anni hai? Quale è la scuola giusta sulle sponde del lago Turkana? Vi sono due scuole…

NON SO QUANTE CAPRE HO, MA MI ACCORGO SE NE MANCA UNA

Testo e foto di Greta Semplici

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divinità tradizionale? La religione di-venta un baratto di credenze: mono-teismo verso poligamia. ognidomenica si va a messa. La gente diquesta comunità è cattolica e quasitutti gli uomini hanno più mogli. a scuola insegnano inglese. ma lecapre, gli alberi, i fiumi non parlano in-glese. Cos’è la scuola per i pastori?Si creano due scuole. C’è la scuolache i bianchi capiscono. Della qualesono soddisfatti. Quella dalle classitroppe piccole per il numero degli stu-denti. Quella degli insegnanti frustratiperché costretti a vivere persi nel de-serto. Quella del cibo offerto dalWorld Food Program. Questa scuolaè importante: serve a diversificare leopportunità. Serve per coloro che,con le capre, non ci sanno fare. Servese le capre muoiono durante unadelle ripetute siccità. Si tratta pursempre di strategie di sopravvivenza.Quindi, a scuola si prova ad andare. ho cercato di capire cos’è ‘resilienza’per un pastore turkana. ho cercato dicapirlo anche mentre ero seduta perterra in un’aula senza banchi e ascol-tavo una donna: ‘I nostri bambinivanno a scuola affamati, senza soldi,molti senza un posto dove stare. Al-lora dormono nelle classi’. La scuolaè diventata un modo per imparare ciòche importa ai bianchi. La scuola èentrata nel portafoglio delle scelte diuna famiglia di pastori. Una mammami ha parlato di come vengono sceltifra i diversi figli quali mandare a unascuola o all’altra.

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IN TuKRKANA IL SISTEMA EDuCATIVO fa parte di un processo di decentra-lizzazione avviato nel 2010 dalla nuova Costituzionekenyota. Nel 2013, 47 nuove Contee hanno sosti-tuito le vecchie otto province coloniali. il Turkana è lapiù vasta, la meno densamente popolata. Nairobi èottocento chilometri più a Sud, questa provincia èsempre stata considerata marginale. i Turkana sonoun popolo prevalentemente di pastori nomadi, alleva-tori di mucche e capre, senza confini e senza sosta.inseguivano le piogge. inseguivano le praterie. il lorounico amore sono sempre state le mucche. Poi è arri-vata la siccità. Forse gli anni ’70 sono stati davvero ipiù drammatici, o, forse, ce ne accorgemmo noi, ibianchi. Così sono nati i ‘maskini camps’. i campi dicoloro che avevano perso tutto: poveri (parola di eti-mologia importata dal mondo arabo che si ritrova indiverse regione dell’africa Sub-Sahariana, sostiene al-berto Salza). Così i nomadi hanno cominciato a fer-marsi, a diventare stanziali, in un processo cheappare irreversibile. Sono arrivati i missionari. Sonoarrivati gli aiuti. hanno subito costruito pozzi e scuole.Nel 1964, alcuni missionari hanno costruito la primascuola. oggi vi sono: 364 scuole pubbliche primarie,venti private. Trenatesei scuole secondarie pubblichee tre private. 74 scuole ‘mobili’.

Dai villaggi ci si muove sempre meno. il nucleo fami-liare si decompone con le piogge, quando gli animalidevono essere divisi e portati a pascolare, ma poi sitorna sempre a casa. Le case si avvicinano, si for-mano villaggi che diventano ‘case di riposo’ per an-ziani che non migrano più e ‘training ground’ per ibambini che vanno all’altra scuola, quella della vita.Vecchi e bambini attirano l’attenzione, sono loro a ca-talizzare gli aiuti. il motore è stato accesso. E non sifermerà.

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sono templi di conoscenza in questasavana. Questa seconda scuola èquella che un antropologo di cui nonmi sono mai scritta il nome, ma di cuiho riportato le parole più belle sullaporta di camera mia a Firenze, rias-sume così ‘the knowledge is in themaking’.

L’altra scuola è quella della geometriadella fatica, dei corpi piegati a no-vanta gradi per smuovere merda dicapra, per cucinare la polentina chia-mata ugali, per pulire i fagioli, per an-dare al pozzo almeno una volta algiorno. L’altra scuola è quella linei-forme delle spine dorsali delle donneche portano legna, acqua e cestesulla testa. L’altra scuola è quella fattadi capre e dromedari e ore ed ore disilenzio all’ombra di acacie ombrelli-fere. L’altra scuola è quella che inse-gna a leggere le nuvole, il rilievo e ilcolore della sabbia, la forza del vento,

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GRETA SEMpLICI,27 anni, fiorentina.Una laurea in Deve-lopment economicsall’Università di Fi-renze. Un anno di la-voro alla Fao a Nai-robi. Da sette mesivive a Lodwar, nelNord del Kenya, peruna tesi di dottoratosul popolo Turkana.

Perché vi è un’altra scuola. Nessunodei genitori con cui ho parlato si è se-duto in un banco, ma tutti ora man-dano uno o due figli a scuola. è unadonna con sette figli che mi aiuta acapire. mi spiega l’altra scuola.

L’altra scuola è quella delle tanichegialle per prendere l’acqua ai fiumi.

le tracce di animali e uomini sullaterra. L’altra scuola ti aiuta a cono-scere l’importanza dei vicini e della fa-miglia, anche quella lontana, ma chepuò sempre arrivare un giorno con unfagotto vuoto per chiedere aiuto. L’altra scuola è fatta di alberi e ri-spetto per gli anziani le cui rughe te-stimoniano il passare del tempo e

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CAMERETTEFoto di annarita Lamacchia

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annarita ha18 anni. Vive a matera. Della fotografia dice: “mi ha aperto un mondo”. in realtà lei ci ha raccontato il luogo più intimo dei ragazzi

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Questa volta abbiamo com-messo un errore. abbiamochiesto ad adulti di raccon-

tarci dei ragazzi di queste foto. Ciabbiamo provato anche noi. E nonci siamo riusciti. Da alcuni mesi, neicomputer della redazione di Ero-doto, ci sono queste foto. abbiamoavuto il tempo di avere familiarità.ma non siamo stati capaci di scri-verci attorno. Ci difendiamo così:queste foto raccontano più delle pa-role. raffigurato un universo co-struito dai ragazzi. Ci sono ipelouche, i colori, i letti a volte di-sfatti, a volte ben ordinati. C’è chi sinasconde dietro un manuale perprendere la patente. Chi invece ap-pare indifferente all’obiettivo di an-narita. Chi sa bene della suapresenza e finge un atteggiamentonaturale e in realtà cerca una posa.Chi invece non si fa distrarre dallaCanon di annarita. ma queste fotohanno in comune qualcosa di moltoimportante: sono sincere. ‘Sono ilmio punto di vista sul luogo più in-timo della vita dei miei amici. Quellonel quale passano più tempo’, diceannarita.

Le abbiamo viste una prima volta, loscorso anno, in una piccola mostra.Era il giorno finale del corso ‘handlewith care – indagine sulla societàsegreta dei ragazzi’, un progetto cu-rato da Nadia Casamassima, an-

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drea Santantonio e il fotografo raf-faele Petralla, organizzato dallo iac,dal centro arti integrate, con il soste-gno dell’ufficio del servizio socialeper i minorenni della città lucana e lacollaborazione dell’istituto professio-nale ‘isabella morra’. i corsi hannocoinvolto in due anni, quaranta ra-gazzi fra i 12 e i 18 anni. Dicono an-drea e Nadia: ‘abbiamo cercato difar emergere i desideri dei ragazzi,volevamo attraversare assieme aloro il vuoto’. raffaele ha chiesto aquesti ragazzi di raccontare le lorostorie. E annarita ha esplorato unmondo che conosce molto bene.Non occorre andare lontano per nar-rare una storia. Basta cercare guar-dare, magari con altri occhi. inquelle camerette i ragazzi entranoogni giorno, è un rifugio, a volte unluogo segreto. annarita le conoscebene, le vede da sempre. E in que-sto mondo ha voluto portare chi siferma davanti alle sue foto. ha vo-luto condividere una intimità. Ci hacolpito il dono che ci ha fatto: haaperto molte porte che, in realtà, no-nostante i cartelli di divieto di ac-cesso non sono chiuse, ma i nostriocchi non sono in grado di vedere isogni, i desideri, il malstare e il ben-stare dei ragazzi. E allora lasciamoqueste foto senza parole. Noi nonsiamo riusciti a trovarle e abbiamosbagliato grandemente a non chie-derle a loro.

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ANNARITA LAMACCHIA,18 anni,studentessa, è attratta fortementeda culture e realtà diverse. Amal'avventura e la fotografia che le haaperto un mondo.

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Di stare a letto alla fine mi ero rotta

Chia, facciamo il video dell'ammicca-mento col ditino morto e poi lo met-tiamo su dopo da casa tua che c’è in-ternet buono?

Guarda, sono venuta stamattina soloperché mi hai scritto quella cosa ‘haimezzo puzzle dentro, qualcuno ha iltuo’. Probabilmente non si può non co-municare, qualcosa passa comunque,il vento non si vede. La prof di fisica leidice che a forza di dai e dai secondolei poi qualcosa ci resta. il corpo scade,ma l'anima…, l’anima niente, muorepulsante

ahahaah bellissima sta cosa

ahahahahahah non so perché ma ognivolta che leggo un tuo mess mi vieneda dire della roba intelligente. Che lodica ancora mordini che sono un’igno-rante cretina…

Dai Chia, fregatene. ormai la gente vivetra stereotipi e le proprie convinzioni,ognuno si fa i suoi. Sono messi male aregola

ma quindi domani entriamo o usciamoprima?

oh, la Sara mi ha mandata una foto dilui. Dio quanto mi manca. Neppure Eliè così bello, e poi passa il tempo a farevideogame e non mi caga. ma LE La-CrimE FiNiSCoNo Prima o Poi?

Domani la vedo critica, storia ce l'hosotto nel primo quadrimestre, dio. E poimi ha puntato, è chiaro. a me fotte segaperò non è giusto discriminare così, siinstaura un circolo vizioso

Dice Edo che si è fatto un tatuaggiomaori. ma che maori, è un tribale, comece l’hanno tutti. ‘Non scordarti mai chetutte le parole si trovano nel tuo intorno’mi ha scritto. ma che voleva dire? Tipoche prima o poi mi verrà voglia di qual-cosa, di fare qualcosa di preciso, tipouna passione, una fissa? Boh, magari

Comunque mi irritano le persone chenon sanno farsi i cazzi loro e vivono perconoscere la vita degli altri, invece dipreoccuparsi dello schifo che c'è nellaloro. Tanto a me, te e la Sara nessunoci separa, siamo tre persone in una. Fi-gurati se ci riesce uno che dice che siè tatuato un maori e invece si è fattosolo un tribale, che lo dice perché ioho il dilatatore e l’equazione della bel-

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SOTTOBANCO

Guarda, sono venuta stamattina solo perché mi hai scritto quella cosa

Probabilmente non si puònon comunicare, qualcosapassa comunque, il vento non si vede

Testo di Chiara GubbioFoto di michele Crivaro e Claudia Fabris

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Gianlu si mette a fare il poeta con lecuffie a guardare fuori, ma secondo te-eeeeeeeeeee????

andiamo nel corridoio delle terze c’è ilciccione che parla solo con dei versi dianimale

ahahahahahahahahahahahah sto mo-rendo giuro ahahahahahahahahahaha-hah ahah

Si crede di essere al Chiringuito, ètroppo carico

No però dai, a me mi fa ridere micapoco

oh, vado in bagno a fumare, poi chicazzo se ne frega se mi becca, tantomia madre al telefono della scuola ne-anche risponde. PErÒ Chia io Tiamo, Lo GiUro, SEi La mia romPiCaZZo, NoNoSTaNTE TUTTo LoN-TaNa Da TE NoN riUSCirEi aSTarCi

lezza di Dirac e allora lui voleva farequello che anche lui di tatuaggi ci capi-sce. No beh, ciao. Che poi ieri all’inter-vallo si è mangiato tre pacchetti di Fon-zies di fila, è un maiale, e poi viene lì efa ‘No, perché io Fast 8 io pagherei mi-liardi per vederlo’. Fa te, che a me piac-ciono dei film tipo Codice genesi

ma poi si vede che è uno che se c’haibisogno poi non ti sostiene

Bella parola, ‘sostenere’.  Tipo che sisostiene un amico che realizza uno deisuoi traguardi. Che le parole sono im-portanti, ricordiamolo.

Eh cazzo, sono importanti sì, quelle cheti ha detto lui te le ricordi ancora tutte estai sempre lì a pensarci

No beh, ma mi scasso troppo, hai ra-gione, devo dimenticarle. Stressssss!!!!!

Basta che non decidi di dimenticarlecol Tavernello, vecchia, lo dico per iltuo bene

oh ma io nell’intervallo non ci resto inclasse che giocano a carte oppurequelle là indiane si fanno le trecce o

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4CHIARA GUBBIO, 18 anni, va a scuola perché ora come ora non saprebbe che altro fare. Le piace guardare quello che fanno gli altri, parlare con i bidelli, darsi lo smalto.MICHELE CRIVARO, 18 anni, talvolta ama dedicarsi allafotografia. Fanatico per i dettagli li rende significativi all'internodei suoi ritratti fotografici.CLAUDIA FABRIS ha 43 anni ma ultimamente gli anni lidimentica spesso. Progetta spazi, installazioni ed eventiperformativi che creano relazioni e sinergie tra la fotografia, gli abiti, la parola e il cibo in un percorso di ricerca artistica che trova nel corpo il proprio fulcro, coinvolgendo gli spettatori su differenti piani percettivi per sciogliere la linea di confine tra chi fa arte e chi la guarda.

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Nel pentolone ribollono patate eun grezzo impasto di soia. ibambini corrono nel cortile al-

zando polvere e sabbia, facendo tin-tinnare bicchieri e scodelle di latta cre-ando piccoli giochi di luce sotto il sole.in un’aula vuota, senza banchi, nu-meri da uno a dieci disegnati sulmuro, siedo su una sedia di plastica.Davanti a me, la loro insegnante, unadonna giovane e fiera di nome anja,si aspetta una domanda per cui hagià pronta la risposta. Nelle mie manicerco con difficoltà di riordinare i fogliche quei giovani studenti, dai sei aidodici anni, mi avevano consegnatopoco prima. Guardiamo i ragazzini se-

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uttar Pradesh,la scuola degli ultimi

LA DIVISA DI JUTATesto e foto di Lorenzo rosato

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dersi a terra uno dopo l’altro mentreaspettano pazientemente la loro ra-zione di cibo giornaliera. Non disto-gliendo da loro lo sguardo, ancoraassorta nei suoi pensieri, anja ri-sponde al mio interrogativo con unapunta di rassegnazione: ‘Se questibambini non hanno un futuro è solocolpa dei genitori’.

Gli studenti della scuola primaria pub-blica del piccolo villaggio di Singhpur,stato indiano dell’Uttar Pradesh, sonogli ultimi. La divisa di juta sembra es-sere il loro unico vestito. La mattina livedi sbucare, a piccoli passi decisi,dalle piantagioni di riso, dopo averpercorso uno dei tanti piccoli sentieriche tagliano i campi. Gli ultimi vivonofuori dal villaggio, sono gli intoccabili,

Gli intoccabili sono sporchi e trasandati, i loro zainetti scucitie vuoti. Sono soli. il destino è prendere una bicicletta e an-dare in cerca di lavoro in città. Nessuna fiducia negli inse-gnanti (con qualche torto e molte ragioni). ‘La sola cosa che possiamo fare è dare da mangiare aibambini. Quando non c’è niente a casa, vengono qui’.

sono sporchi, trasandati e soli. all’albai loro padri salgono in bicicletta perandare verso l’orizzonte, verso la città,mentre le madri indossano un copri-capo per proteggersi durante il lavoronei campi, sono già chinate e hannole mani nella terra prima ancora che ilsole sorga. alcuni di loro hanno unozaino scucito, senza penne, né ma-tite. Qualche libro, forse un quaderno.i piccoli ultimi sono in tanti, ma inquella scuola non se ne vedono poimolti.Lo sguardo rassegnato dell’inse-gnante mi fa ritornare in mente la frasedi un signore incrociato sulla riva delGange, una volta, a Varanasi: avevadetto, mentre guardava il suo fiumesacro, che l’unica cosa che andavainsegnata a scuola era il non aspet-

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tarsi nulla dalla vita. Gli ultimi reste-ranno gli ultimi, per loro non c’è spa-zio, non ci sono aspettative. L’uomomi aveva parlato dei suoi figli. Stra-namente non riponeva tutta la sua fi-ducia in Shiva. Diceva di averne tanti.Sapeva cosa voleva dire andare ascuola, o perlomeno cosa avrebbedovuto significare. Non aveva stu-diato, ma i suoi figli a scuola ci anda-vano, ogni tanto. Se avesse potutoavrebbe investito qualcosa per loro,per iscriverli magari presso una delletante scuole private, ma non poteva,non ci riusciva. a scuola almeno glidanno da mangiare, diceva. Degli in-segnanti non si fidava: mangioni, pigrie incapaci. Non aveva nessuna fiducianei loro confronti perché non avevamai visto un bambino che uscito da

scuola avesse preso una strada di-versa da quella di tutti gli altri: senzabasi e senza mezzi, anche loro sali-ranno su una bicicletta che li porteràverso l’orizzonte, accompagnati dal-l’ombra lunga del mattino.

anja non sorride quando mi parla deisuoi colleghi. Dice che una volta c’erapiù impegno, che si andava porta perporta a chiedere di poter portare ibambini a scuola. Le porte si chiude-vano non appena ci si presentava. Lareputazione degli insegnanti dellascuola pubblica è pessima. Cercaredi convincere i genitori era come daretestate a un muro, e col tempo ci si èabbandonati a un disinteressato las-sismo. Lo ammette lei stessa quandole mostro i fogli che avevo riordinato:studenti di quinta non riescono acompletare esercizi di prima, semplicisomme o sottrazioni. Un bambino si avvicina verso lapompa della scuola e comincia a la-vorare per far uscire l’acqua, mentrechi ha finito il pasto si avvicina persciacquare le scodelle. Una ragazzane poggia una appena pulita sullescale, poco lontano da me. anja in-dica la latta vuota e umida: ‘è questal’unica cosa che possiamo fare.Quando non hanno da mangiare ven-gono qui’.

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LA COSTITuzIONE INDIANA prevede come obiettivo l’edu-cazione primaria universale (dai 6 ai 14 anni). il 95% dei bambiniin età scolastica è iscritto in una scuola.La scuola primaria pubblica è gratuita.Dal 2001 il governo indiano ha investito oltre un miliardo di dollarinel settore dell’educazione pubblica.il mid day meal Scheme (2001) prevede che nelle scuole primariepubbliche sia servito un pasto a ogni studente.Secondo i dati del ministero delle risorse umane, il 40% deibambini abbandona la scuola dopo i 13 anni.Nell’india rurale un bambino su cinque non frequenta la scuolaprimaria (aSEr).Nel 2003 una ricerca condotta da Desai ha scoperto che du-rante visite casuali presso scuole pubbliche indiane il 25% degliinsegnanti non era presente, mentre il 50% dei presenti non eraimpegnato in attività di insegnamento.

LORENzO ROSATO, 26 anni,abruzzese di Castel diSangro. in india hasvolto la sua tesi di ri-cerca sulla qualità del-l’educazione in relazionea dinamiche familiari.

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cambiano per uscire a ricreazione, si ri-cambiano per rientrare in classe. Si cam-biano per uscire a pranzo. Si ricambianoper rientrare a lezione e si rimettono lescarpe prima di andare a casa alle quat-tro. Faticaccia! ma diventano bravissimiad allacciarsi le scarpe.

Č come Čaj. a ricreazione ci si spina ilte da un grande thermos arancionesotto l'occhio vigile di Giacomo. La me-renda viene fornita dalla scuola, a tuttiuguale. Yogurt o frutta o pane alle nocio... polistirolo, lo spacciano per gallettedi riso.

D come Duale. oltre al singolare e alplurale, la lingua slovena ha una decli-nazione particolare per riferirsi a tuttociò che è due, doppio, coppia. Duegatti, due amici, due donne, duescarpe, due fatti, due alberi, due ge-lati... Vale anche per gli aggettivi e an-che per i verbi. in questa lingua è fan-tastico essere innamorati: c'è un luogogrammaticale, ma non solo, tutto spe-ciale per ciò che è due, finché lo è.

E come Educazione. impossibile nonpensarla almeno bilingue in un luogoche è confine e incontro di culture. Laflessibilità cognitiva sviluppata dai bam-bini passando continuamente da unalingua all'altra fa pensare che possasuccedere qualcosa di sorprendenteda un momento all'altro con il rischio didiventare flessibili in molti altri campidell'agire e del sapere umano.

F come Fajna banda. è il coro dellevoci adulte della scuola: insegnanti, ge-nitori, ex alunni, personale non docente.Ci troviamo una volta alla settimana.Cantare fa bene. Non è un impegno,non si deve discutere, si respira.

A come Antonella. io mi chiamo an-tonella, a scuola siamo tre antonelle.Così i bambini mi chiamano la Bukovaz.Quando cominciai, più di trent'anni fa,durante le ore di formazione nellescuole di un paesino vicino a Nova Go-rica, i bambini mi chiamavano tovarišicaučiteljica. Ero compagna maestra.

b come banana. Kevin a scuola nonvuole mangiare niente. mangia solo, manon sempre, banane. Un giorno ne hamangiate sei.

C come Copate, pantofole. La C insloveno, si legge come il suono zz ditazza. La mattina i bambini si mettonole copate prima di andare in classe. Si

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friuli, la scuola italo-slovena di san Pietro al natisone

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ALFABETOBILINGUE

Testo e foto di antonella Bukovaz

La faccenda dell'identità è tutta una questione di lingua.Ci pensa lei a definirti

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G come Giacomo e come gigante, bi-dello e angelo custode... presenza mi-racolosa!

H come H. in sloveno la h non è mutae ha il suono leggero del respiro spintolontano, come quando si vuole imitareil vento o un gatto incazzato.

I come Ivan Trinko. Poeta, musicista,traduttore, teologo, scrittore, monsignorivan Trinko (1863-1954) è il padre spi-rituale degli sloveni della Benečija o Sla-via Veneta. Lottò tutta la vita per man-tenere l'uso della lingua materna, cioèquella slovena, nelle chiese e nella co-munità delle Valli del Natisone. La si-tuazione linguistica attuale gli devemolto.

J come Jezik, lingua. La lingua slo-vena si parla in Slovenija e nelle comu-nità di minoranza degli stati limitrofi.Circa due milioni di persone. in italia lacomunità slovena è riconosciuta e tu-telata dalla legge 38 del 2001 per laquale si è a lungo combattuto. La fac-cenda dell'identità è tutta una questionedi lingua. Ci pensa lei a definirti.

K come Kako se počutiš? ogni mat-tina il capoclasse registra su un cartel-lone come si sente ognuno dei suoicompagni e delle sue compagne. 1:molto male, 2: male, 3: così così, 4:bene, 5: molto bene. Se vogliono possoanche dire perché, ma non è obbliga-torio. Con i dati raccolti quotidiana-mente possiamo poi creare dei graficidel nostro andamento emotivo e senti-mentale, calcolare moda, media e me-diana.L come Lipa. Significa Tiglio, è l'alberosimbolo del mondo slavo. al centrodel paese, intorno al fusto, al riparodella sua chioma, la comunità si riunivaper decidere sul bene comune. ha fo-glie a forma di cuore e le sue infiore-scenze profumate vengono usate perpreparare ottimi infusi curativi.

M come Mali Lujeri. è il coro dei bam-bini della scuola. il maestro è Davide.Le prove sono il lunedì. Si canta in piedi

ma ci si può anche sedere, fare duepassi durante il ritornello, raccontarsiqualcosa tra una canzone e l'altra,smangiucchiare una cioccolata, guar-dare fuori dalla finestra.

N come Natisone/Nediža. Nasce initalia, per un tratto fa un po' l'indecisotra italia e Slovenija, poi scende lungola Valle a cui da il nome. è un fiumeverdissimo dove io ho imparato a nuo-tare.

O come Odmor. Che significa ricrea-zione. Le dedico due lettere perché èla componente più importante della vitascolastica. a meno che non piova, conqualsiasi altro tempo e temperatura siva fuori e si sta fuori nel prato. Nel pratonon ci sono giochi strutturati se esclu-diamo due canestri ai lati di un vecchiocampo di pallacanestro in cemento.Però c'è l'erba e il fango, ci sono i sassi,le foglie, i rametti caduti dai platani...

p come pranzo. alle 12.00 pranza lascuola dell'infanzia, alle 12.30 pranzala primaria, alle 13.00 pranza la media.Siamo tanti, 275, e la mensa è piccola.La regola è che si assaggia tutto, ma cisono un sacco di trucchi: dal tentativodi impietosire gli insegnanti con sguardolacrimoso al nascondere i bocconi neltovagliolo di carta. Tutto inutile! Si as-saggia, e basta! ognuno prende il pro-prio cibo e sparecchia il proprio posto.il capoclasse ripulisce i tavoli.

Q come Quaderno. in sloveno è zve-zek. il suono della Z è sottile come la sdi casa.i quaderni dei bambini sono favole,sono origami, mandala colorati o inbianco e nero sui quali meditare ri-guardo la loro reale necessità. Sono uncanto, un ruggito, il volo di un ippopo-tamo, sono pensieri pieni di pieghe edi buchi.

R come Ricreazione. Se piove è undisastro perché bisogna stare nelle aulee nel corridoio, che nonostante sichiami corridoio, è un luogo dove è vie-tato correre. infatti in sloveno si dice

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ANTONELLA buKOVAz,53 anni, di Topolò-Topo-love, borgo sul confineitalo-sloveno, nelle valli delNatisone dove ogni estatesi tiene un festival chetocca vari campi dell’arte edella comunicazione. Dal2005 si dedica alla poesiae alle interazioni tra parola,suono e immagine informa di lettura, videopoe-sia e video-audio-installa-zione. ha vinto il Premioantonio Delfini 2009 epubblicato su riviste web ecartacee (il Verri, alfabeta,Pensiero), presso Le Let-tere, Ellerani editore enell’antologiaEinaudi Nuovi poeti italiani6. insegna, in lingua slo-vena, nella scuola bilinguedi San Pietro al Natisone.

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significa tempo per riposare e fa dacontrappeso semantico a tempo perlavorare. L'etimo latino da cui originavacanza si riferisce invece all'esseresenza occupazione, libero, vacuo, man-cante. Come se in vacanza potessemancar qualcosa!!

z come zaino. Una volta nello zainodi ilenia, prima elementare, ci ho trovatoun gelato.

Ž come Žerjav, gru. i bambini di quintasi stanno cimentando nell'arte dell'ori-gami. Fare 1000 gru, uccello simbolodi lunga vita, è la loro sfida attuale. Du-rante il lavoro di piegatura i ragazzichiacchierano e si aiutano spontanea-mente. Li accompagna la storia di Sa-dako Sasaki grazie alla quale la gru èdiventata simbolo di pace in tutto ilmondo.

hodnik da hoditi = camminare, moltopiù coerente, no? C'è anche un'aularelax, con divani e poltrone. Lì la regolaprincipale è fare giochi tranquilli, tipoguardare la collezione di insetti, ragni,scorpioni sotto plexiglas.

S come Scacchi. Gli scacchi si stu-diano il giovedì con matjaž dalle 16 alle17. Da anni arriviamo primi ai campio-nati provinciali (Udine). Tra i 20 iscrittimolte sono le ragazze, una vera raritàin questo campo.

Š come Šola, scuola. DvojezičnaŠola/Scuola Bilingue. (la š si legge sc).Nasce dalle mani e dai pensieri di PavelPetricig nel 1986. Scuola unica nel suogenere prevede che i bambini appren-dano le due lingue in modo paritario.metà giornata le lezioni si svolgono inuna lingua e metà giornata nell'altra.

T come Tutti insieme appassiona-tamente. La scuola ha una storia co-stellata di ostacoli di ordine normativo,politico, economico, culturale. abbiamosuperato prove di ogni genere e ciò hacreato una comunità scolastica forte emolto, molto motivata!

u come una lingua-una persona. èil modello di insegnamento bilingueadottato dalla scuola. ogni classe ha 4insegnanti, due per la lingua slovena,due per la lingua italiana. i bambiniusano una lingua o l'altra a secondadell'insegnante a cui si rivolgono. Leforme più riuscite sono il risultato di ungioco linguistico spontaneo molto fre-quentato dai bambini che prevede l'ita-lianizzazione di parole slovene o la slo-venizzazione di parole italiane. ilplurilinguismo è prima di tutto un gioco.Uno spasso verbale.

V come Vacanze. Le vacanze nonsono parte specifica della Scuola Bilin-gue, quindi dovrei trovare un'altra pa-rola, ma le vacanze sono parte essen-ziale dello stato di salute di tutti, e lasalute è trasversale alle culture, alle lin-gue, alle geografie! Vacanza in slovenosi dice počitnice ed ha solo il plurale,

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aLaramie, Wyoming (lo Statomeno popolato di tutti gli USae il meno denso dopo l’alaska),

la sterminata pianura solcata da unastriscia di asfalto drittissima, sotto ilcielo blu, è in realtà un altopiano:siamo a 2200 mt. di altitudine, e c’èpiù che fresco, anche se i localistanno in canottiera perché è estate.‘Can i visit a Sunday School?’ chiedoa uno storico locale. ‘of course!Which one?’ Ce ne sono diverse,tutte in attività: dalla Living ShepherdLutheran Church alla Grace BaptistChurch, alla Laramie Valley Chapel, esicuramente altre. Fanno ogni dome-nica formazione religiosa e morale pertutti i membri della congregazione, di-visi in fasce d’età. Sono pallide eredidelle Sunday Schools dell’ottocento,dove religione e morale sottendevanol’obiettivo principale: alfabetizzarebambini e adulti della Frontiera prividi altre occasioni (e di altro tempo)per acquisire quelle abilità così ne-cessarie per leggere la Bibbia (e sal-

usa

PER UN PUGNO DI LIBRI

un viaggio nel Wyoming dell’ottocento

Testo di Luana Salvarani

FoTo National archives and records administration, USa

varsi l’anima dopo), ma anche per sa-persela cavare nei commerci e comecittadini della repubblica (e quindi sal-varsi le chiappe qui e ora). a Laramie purtroppo non ci sono ve-stigia delle antiche Schools, ma lospirito che le animava è ben vivo: in-traprendenza personale, carisma ecapacità organizzative erano la forzadi maestri e pastori a cui non servi-vano abilitazioni, certificati o concorsiper diventare insegnanti e guide mo-rali di una comunità. Visito lo ShermanTownsite, il luogo dove sorgeva, neglianni sessanta dell’ottocento, l’omo-nimo villaggio. ora non c’è più niente,solo minime tracce e fondamenta. maio lo vedo. Vedo un reverendo Brown o hoffmano hamill arrivare sul suo cavallo, conuna bisaccia di Bibbie sporche e il fu-cile, come James Stewart ne L’uomodi Laramie, epico film in Cinemascopedi anthony mann. Lo vedo entrare inpaese, circondato dalla diffidenza o

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le sunday schools alla conquista del West

perbene, ragazzini spediti lì a calci oa frustate mentre facevano danni da-vanti al saloon ancora chiuso, un paiodi anziani con la voglia di raccontarestorie e farsi valere. Nessuno sa scri-vere, pochi sanno leggere. Tutti sonolì per mettere alla prova il reverendo.il maestro ha due ore in tutto: dueore per capire chi ha davanti, sce-gliere un passo della Bibbia adatto alloro livello, leggerlo, commentarne ilcontenuto morale e iniziare, da lì, l’in-segnamento della lettura e della scrit-tura. Per imitazione, con pazienza,imparando a memoria ogni settimanauna frase ed esercitandosi a riportarlasulla carta, quando la carta c’è. Qual-che ragazzino smette, ma altri ne ar-rivano. Se il reverendo ha carisma esi dimostra buon consigliere e media-tore in paese, arrivano altri adulti. Lacoesistenza tra bambini di cinque anni– bambini della Frontiera però, non imocciosi frignanti di oggi – e sessan-tenni induriti dalla fatica non spaventail maestro, o se lo spaventa non deve

dal fastidio degli abitanti. Prende unacassa di legno, la capovolge, ci salesopra e inizia a cantare o a predicare.L’iniziativa pubblicitaria, ripetuta seradopo sera, ha successo e una do-menica mattina la Sunday Schoolapre, in una baracca per gli attrezzimessa a disposizione da un farmerdevoto. La prima volta sono soprat-tutto ragazze desiderose di mostrarsi

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darlo a vedere. Si recita l’alfabeto tuttiinsieme, si leggono numeri, si fannosomme e sottrazioni. Più avanti ver-ranno i racconti (quelli dove il cattivoperde e il buono vince; e il cattivo inrealtà spesso ha solo la colpa di al-zare il gomito al saloon o sprecare icents avanzati in caramelle, mentre ilbuono è un duro, e usa il fucilequando è giusto farlo), i brevi com-ponimenti degli allievi, i racconti di vitavissuta (gli anziani che hanno resistitotengono banco), le discussioni etiche.Cosa si può imparare con due ore discuola alla settimana? molto, in realtà,se la scuola la si è scelta perché è te-nuta da qualcuno di cui ci si fida – eche spesso, in quanto pastore, è ga-rantito dal suo rapporto personalecon l’altissimo. moltissimo, se ci siarriva freschi e non stressati da infinitesettimane di scolarizzazione coatta. Certo, le Sunday Schools dell’otto-cento sono anche alla radice di al-cune rigidezze culturali dell’americamoderna: moralismo esasperato,controllo sociale strettissimo, impe-rialismo culturale senza remore e unfilo di darwinismo sociale teologica-mente motivato (se Dio ha deciso chestai nella fossa dei non salvati, un mo-tivo ci sarà, anche se non lo sai: e secontinui a dibatterti nella povertà lacolpa è sicuramente tua). ma riman-gono un esperimento pedagogico eumano da cui si può imparare moltis-simo, leggendo i molti trattati, narra-zioni e libri di testo che ne immorta-

lano le prassi. Per dirne una, le Sun-day Schools furono determinanti nelportare il tasso di alfabetizzazione de-gli americani bianchi, negli ultimi de-cenni dell’ottocento, a cifre tra il 92 eil 95%, ivi comprese le zone rurali.Nello stesso periodo, in italia, gli alfa-betizzati erano poco oltre il 20%. Enon avevamo le distanze del Wyo-ming, quelle pianure infinite dove ilcammino si misura in ore-cavallo,spesso in giorni-cavallo, e andare ascuola voleva dire farsene parecchie,di ore-cavallo, la domenica mattinanell’aria gelida dell’altopiano. Poi, seera inverno, si doveva raccogliere lalegna attorno alla scuola e aiutare l’in-segnante ad accendere il fuoco. Seera estate, si doveva andare a pren-dere l’acqua per lavarsi e per pulirebanchi e aula a fine lezione. E anchequesto era schooling.

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Luana SaLvarani,reggiana, 44 anni, ex-filologa, ex-insegnanteed ex-musicista prati-cante, per ora storicadell’educazione, oveha trovato il modo digabellare la sua fissa-zione per il western peruna cosa seria. In at-tesa del prossimo pre-fisso ex-, nuota, nonbeve alcoolici e va aletto presto.

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alla stazione vecchie babu?ke,giovani innamorati, operai ta-giki, uzbeki e kazaki. Lenta-

mente, oscillando, il treno parte,macinando chilometri di foresta e disteppa. a bordo i controllori si im-provvisano cuochi, tagliando pescefresco con spesse mannaie e far-cendo con carne aromatizzata suc-culenti ravioli fatti a mano. il cielo ègrigio, non traspare nulla. ai lati dei bi-nari, carcasse arrugginite di pulminisovietici, strade fangose e umili ca-sette in legno. Jin, diretto a Pechino,continua a bere birra, sgranocchiarecipolla e offrirmi fette di carne. Nel va-gone ristorante invece, una grassacuoca dai capelli rossi continua a ver-sare vodka a due ragazzi svedesiormai semi svenuti sul tavolino. Tuttoè fermo. Dopo circa seimila chilometrie cinque fusi orari varchiamo il con-fine. Spuntano le prime gher, poisempre più edifici e fabbriche, di un

ULAN BATORUNa ‘SCUoLa’ NELLa DiSCariCa

‘VORREI POTERLEGGERE IL MIO NOME’

Le piccole storie di avgan,onon, Naran, Tseren e amlagan. Sopravvivere nellapioggia, nel freddo, fra ciminiere e smog. i genitorisono fuggiti dalla campagna.La sfida all’analfabetismo ealla miseria. Nella solitudine di un paese di ghiaccio.

Foto e testo di matthias Canapini

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intenso colore grigio. Cavalli al ga-loppo, nuvole basse e violacee. èl’alba. Con un fischio stridente, iltreno si ferma: Ulan Bator.Quando piove, le stradine del sob-borgo di Songinorhairkhan, a pochichilometri dalla capitale, si trasfor-mano in fiumiciattoli colmi di fango espazzatura. Tra le staccionate e i cor-tili malandati c'è un centro diurno dicolore marroncino, costruito anni fadall'associazione Bayasgalan. Quivengono accolti decine di bambiniprovenienti dalle condizioni più dispe-rate. Povertà o genitori violenti congravi problemi d'alcolismo. o che la-vorano incessantemente in discaricheabusive o in cantieri pericolanti, a ri-dosso della grande città, ma ben na-scosti da occhi troppo curiosi. Dentrole mura del centro i bambini hannol'opportunità di giocare, sfogarsi estudiare, prima di tornare nelle loroabitazioni umide che sanno di caccae latte scaduto. il primo giorno arrivo

che è quasi ora di pranzo. Due silen-ziosi bambini riempiono i bicchieri ditè salato e portano i piatti colmi di risoe patate ai loro amici seduti sulle pan-che in legno. Con una cantilena col-lettiva ringraziano le cuoche e sigettano a capofitto sulle pietanze an-cora calde. al piano superiore, imperterriti, il pic-colo onon e il robusto avgan si sfi-dano giocando a lotta libera, sportnazionale mongolo. La suddetta di-sciplina richiede forza e astuzia per ri-baltare cinicamente l’avversario aterra, ma il più delle volte questi pueriliincontri terminano con pianti e fac-cione arrossate. Basta però un goc-cio di latte di yak per alleviare gliacciacchi dei piccoli guerrieri. Naraninvece pettina i lunghi capelli neri diTseren, prima di tuffarsi sotto la piog-gia e tornare insieme verso casa, sal-tellando tra fanghiglia e rade carcassedi capre abbandonate sul selciato.amgalan ha undici anni e gli occhi

MATTHIAS CANApINI, 24 anni,di Fano, lavora comescrittore, fotografo eillustratore. ha viag-giato per Balcani,Caucaso, Est Eu-ropa, vicino mediooriente e asia rac-contando storie eprogetti di associa-zioni sparse lungo ilcammino. Local-mente porta avantiattività legate all'in-fanzia dando vita alibri, mostre, e-booko libricini illustrati. Sidivide tra viaggi, re-portage e campi darugby.

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scuri e profondi. Lo incontriamo inuna radura invasa da elettrodomesticimarci, gomme, materassi, bottiglievuote di vodka e ossa logore. Scavae riscava, cercando preziosi oggettida rivendere alle grandi industrie dellacapitale. La maggior parte delle per-sone presenti sono analfabete, ma-late, scappate dalle ostili e freddecampagne dopo aver perso la casa epure il gregge. ora vivono qui, traspazzatura e sofferenza. anche la

mamma di amgalan è malata. ilbabbo invece lavora saltuariamente incittà; c’è pure una sorella, ma nes-suno sa dov’è, né tanto meno ricor-dano il suo nome. amgalan sorride emangia il suo buuz, pasta farciti dicarne, seduto nel baule di un camion-cino bianco. il suo turno di lavoro è fi-nito. Ci confida che gli piacerebbemolto trasferirsi in una piccola gher,magari vicino al centro diurno dell’as-sociazione, in modo da imparare a

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leggere e scrivere il proprio nome.a Ulan Bator vecchie ciminiere stanche vo-mitano incessantemente denso fumo nero.Lo smog si confonde con le nuvole mabasta allontanarsi di pochi chilometri perpoter respirare e sentirsi leggeri. in menoche non si dica ti ritrovi tra spazi eterni epascoli infiniti. Un occhio umano forse nonè capace di cogliere tutta questa vastità.Pecore, yak, cavalli e mucche. Casa, fami-glia, animali, cibo, acqua.

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Una foto appare all’improvviso su Face-book. Di solito la nostra attenzione è su-perficiale, le immagini del web scivolanovia in un solo istante. Sono un’illusione di-stratta. ma a volte, solo a volte, qualcosasi impiglia. il nostro sguardo si impiglia.Torniamo indietro, vogliamo rivederequella foto, vorremmo non dimenticarla. Siamo in Palestina. Non sappiano dove.Nei territori attorno a Gerusalemme, im-maginiamo. Non sappiamo cosa è acca-duto. La foto è geometrica, haun’eccellente composizione: racchiudeun rettangolo, una stanza della quale è ri-masto solo il pavimento (o, forse, nem-meno quello). Non c’è una cattedra, nonci sono banchi, fa freddo, è inverno di me-dioriente. Ci sono dodici bambini infred-doliti e una maestra avvolta in un velo. ibambini sono piccoli, i loro piedi non toc-cano terra. Una classe primaria. alle lorospalle, la bandiera della Palestina. Nonconosciamo il fotografo (e spesso noi nonci fidiamo delle foto, anche questa voltaun pensiero dubbioso ci attraversa).Questa foto è stata postata da Sulaiman,un uomo di Palestina che oggi vive a Ca-gliari. è tutto quello che sappiamo, madecidiamo che non è importante. Ci èsolo sembrato qualcosa più di una resi-stenza. Con banalità, questa foto, perl’istante della nostra attenzione, raffigurala voglia di esistere di uomini, donne, didodici bambini e di una maestra. Tutto quie per questo abbiamo deciso di metterlaanche nelle nostre pagine: questa è laScuola.

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Palestina UNA foto è AppArsA sUI NostrI moNItor

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LA SCUOLA INVISIBILE

Non c’è una cattedra, non ci sono banchi, fa freddo, è inverno di medioriente. Ci sono dodici bambini infreddoliti e una maestra avvolta in un velo.

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Girolamo De Michele è nato a Taranto ma vivee lavora a Ferrara. Qualche tempo fa per Mini-mum fax ha scritto un saggio intitolato “Lascuola è di tutti”. Insegnante, giornalista e scrit-tore, da anni si batte per una istruzione pubblicacapace di fornire basi per ‘decostruire e sma-scherare’ le ingiustizie del nostro tempo e dellasocietà. Affinché i ragazzi abbiano non solo lacapacità di aderire al nostro sistema di vita, maanche la consapevolezza e la forza per rivoluzio-narlo. È a lui che chiedo di un periodo difficileper la scuola, fatto di divisioni e profonde frat-ture tra politica e mondo della conoscenza.

Cosa farai dei 500 euro di bonusper la forma-zione dell'insegnante che la Legge 107, laBuona scuola, prevede a partire da quest'anno? Quello che avrei fatto senza: con 40 euro almese non c'è da fare programmi, comprerò i libriche avrei comprato, andrò a teatro, dove comun-que andavo anche prima: cose così. Con l'umi-liazione di dover certificare ogni singolo eurospeso, perché della mia parola non si fidano. Eviene da chiedere – e lo chiederò: se non si fidanodi me su 40 euro al mese, come possono fidarsinel lasciarmi in consegna gli studenti?

A proposito delle riforme Gelmini e Brunettahai scritto: ‘hanno trasformato il consiglio dipresidenza in un consiglio della corona nellaquale è incentivato quel desiderio di ottenere eamare il potere che Foucault chiama microfa-scismo’. È possibile che negli ultimi quaran-t'anni non ci sia stata una riforma che abbiatrovato il plauso del mondo della scuola?Esprimi un giudizio sui tentativi di riforme dal-l'autonomia alla Legge 107. Metodo inaccettabile sotto ogni profilo di de-mocrazia e di rispetto della Costituzione, capo-volgimento delle promesse elettorali,autoritarismo, mancanza di fondi adeguati e certi,precarizzazione, meritocrazia ad hoc non per pre-miare i presunti migliori, ma i più accondiscen-denti, allargamento del divario fra scuole di serieA (licei, scuole del centro, scuole della città e delnord) e di serie B (tecnico professionali, scuole diperiferia, della provincia e del sud), trasforma-zione della scuola in un vivaio di Confindustria(parole di De Mauro), abbattimento della qualità

Partire dai testi, dalla viva parola dei filosofi e dei poeti, in culo a quelli che leggono o recitano a memoria il manuale senza metterlo in discussione. I corpi docili della scuolaitaliana e l’opposizione al reale.

INCONTRO CON GIROLAMO DE MICHELEintervista di Sandro Abruzzese

E SE STUDIASSIMOTHE WIRE?

DI ERODOTOGLI OCCHI

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della didattica con la valutazione quantitativa atest e quiz. Di aspetti positivi non ne vedo alcuno,se non un'infarinatura di organico funzionale,forse...

Se fossi il ministro dell'Istruzione: tre provvedi-menti, quali? Cosa cambieresti? Non sono il ministro dell'Istruzione, non in-tendo esserlo, e non sta a me indicare come go-vernare: il mio diritto, come cittadino che

desidera essere libero piuttosto che governato, èdi dire la verità in faccia al potere senza nulla na-scondere, senza furbizie e sottintesi. Bisognasfuggire alla trappola logica del ‘se tu fossi alposto mio’, perché chi ci cade sta già comin-ciando a trattare la propria resa. Se questo go-verno cadesse io non chiederei di entrare nelsuccessivo governo: chiederei l'indizione di StatiGenerali dell'Istruzione e della Conoscenza, apartire dai singoli Collegi docenti, che redigano

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4illustrazione di Bonaria Steffetta

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i Cahiers de doléances della scuola per prepararel'assalto alla Bastiglia e la ghigliottina per il re –che è ciò che Kant chiamava ‘uscita dell'uomodallo stato di minorità’.

Custodisco un tuo articolo scritto per Nuova ri-vista letteraria dove sostieni che ‘non c'è verapedagogia che non sia libertaria, perché unapratica scolastica può solo essere o una peda-gogia o una disciplina, un prendersi cura (pai-déia) o una pratica disciplinare edisciplinante’. In quell'articolo scrivi che ‘lascuola può rendere liberi ma anche incate-nare’. Mi chiedo che tipo di insegnante sia De Michele. Insegno filosofia e storia in un liceo che untempo è stato all'avanguardia nel pensareun'istruzione degna di essere impartita e ricevuta.La mia didattica si riassume nelle due frasi chemetto in esergo alle mie programmazioni ognianno: ‘Una scuola in cui la vita si annoia educasolo alla barbarie’ di Raoul Vaneigem – una let-tura imprescindibile, il suo Avviso agli studenti;e ‘Sentinella, quanto resta della notte?’ del pro-feta Isaia. Dal punto di vista dei miei studenti,credo mi vedano come una versione post punk delJohn Keating de L'attimo fuggente, il che non midispiace, perché la mia idea di didattica è la

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stessa di Keating: partire dai testi, dalla viva pa-rola dei filosofi e dei poeti, in culo (scusa il fran-cesismo) a quelli che leggono o recitano amemoria il manuale senza metterlo in discus-sione, e poi pretendono che lo studente ripeta amenadito quello che ha imparato a memoria. Sepoi riesco a fare quello che mi ripropongo, nondevo dirlo io.

Insegnare, avere a che fare con i ragazzi, è an-cora un privilegio o, come film e vulgate popo-lari mostrano, è diventata una condanna? Insegnare è un lavoro, e il lavoro non è mai unprivilegio, è sempre una fatica imposta, il furtodi una parte del suo valore nella truffa del salario,e una svendita della propria essenza vivente nellasua trasformazione in forza- lavoro. Poi, certo,negli anni in cui la scuola non assumeva, e unocome me non era reclutabile dalle scuole privateper intuibili ragioni, ho fatto mestieri più faticosisul piano fisico, e meno remunerativi (ma anchequalcuno più divertente): non per questo mimetto a fare le classifiche fra lavori più o menoprivilegiati. Il punto non è se io sia meno o piùprivilegiato, il punto è che non devono esisterelavori privilegiati perché non devono esistere la-voratori di serie A e di serie B, né esseri umanicostretti a farsi sfruttare per poter guadagnare unsalario sufficiente a farti arrivare a sera, ma nona impedirti di alzarti al mattino successivo perfarti sfruttare un'altra giornata. La crescente pre-carizzazione del lavoro – compreso quello sco-lastico – sta passando anche e soprattutto perchéquesto i lavoratori, e gli insegnanti fra loro, nonlo capiscono: come dire, non hanno coscienza diclasse, ma solo del proprio particulare. Dettoquesto, è indubbio che l'egemonia di una culturadi destra melmosa, che schiuma sui bordi e tra-scina nel fiume ogni sorta di rifiuto, si basa anchesull'irrisione di qualsiasi cosa assomigli a cultura,intelligenza, libro, critica, periodo ipotetico, sin-tassi, ortografia...

A volte mi sembra un mondo sospeso, un po'uguale a se stesso nei decenni, quello scola-stico, che risponde a regole interne e molto len-tamente alla società. C'è distanza tra scuola erealtà esterna o corrispondenza? La cosiddetta realtà esterna è una costruzionefondata sulle nostre percezioni, passioni e azioni,

giroLaMo DE MiCHELE,55 anni, tarantino, vive a Ferrara,

insegnando nei licei. Ha pubblicato romanzi

per Einaudi e per Edizioni Ambiente. Ha scritto diverse opere

di filosofia e storia delle idee e, insieme a Umberto Eco,

Storia della bellezza.

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non è un oggetto immobile che si erge davanti anoi. La scuola fa, e non può non fare, due azionicontemporanee: da un lato fa da cinghia di tra-smissione della cultura e della rappresentazionedominante, e nel farlo ovviamente si fa specchiodella rappresentazione dominante del mondo;dall'altro, fornisce agli studenti gli strumenti perdecostruire, criticare e se possibile sovvertire, oalmeno sostituire la rappresentazione dominante:e in questo, si oppone al cosiddetto ‘reale’.

Come giudichi uno stato che ci paga per edu-care, e attraverso la riproduzione del mondonelle sue tv e radio finisce per annullare i nostrisforzi o quasi? Uno Stato che merita di essere sovvertito, e dalquale dobbiamo cominciare a prendere le di-stanze.

Se non fossi De Michele, quale scrittore vorre-sti essere? Una volta ho sognato di essere Kareem Abdul Jabbar (da piccolo ero piuttosto bravo nel basket,poi mi hanno fermato i centimetri che nonavevo), a parte questo sto bene come sto: ci homesso 54 anni per diventare quello che sono, per-ché dovrei desiderare essere un altro?

Cosa rende tale uno scrittore? Carver, correggendo uno scrittore che diceva‘Niente trucchi da quattro soldi’, a sua volta so-steneva: ‘Niente trucchi’ – punto. Ci potrei ag-giungere quello che Lenin assegnava comedovere ai comunisti, avendo capito che dopo dilui sarebbe arrivato Stalin: ‘primo studiare, in se-condo luogo studiare, e in terzo luogo studiare, einfine controllare che lo studio non resti a letteramorta o una semplice moda’. E una buona gram-matica e un buon dizionario sempre a portata dimano, anche quelli aiutano.

Il ruolo dell'intellettuale, oggi che ha sempremeno visibilità e attenzione, esiste ancora? Sesì, qual è? Quello di dire la verità, e quello di mostrarenuove e impensate connessioni fra cose e cose,fra cose e parole, fra parole e immagini.

Tempo fa scrivesti un saggio: ‘La scuola è ditutti. Ripensarla, costruirla, difenderla’. È utile

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alla scuola che si scriva di lei? Quel mio libro è di informazione e critica (untempo si sarebbe detto controinformazione). Dilibri che forniscono informazioni, strumenti,chiavi di lettura sulla scuola ce n'è un estremo bi-sogno; peraltro non mi sembra che ne manchino,o ne siano mai mancati: che poi l'informazionemainstream li ignori e parli di una scuola che sasolo dire no, è un altro paio di maniche. Sulla fic-tion scolastica, a stampa o cine televisiva, sonomolto più scettico, perché chi ne scrive deve sa-pere che esiste un frame dominante che rappre-senta il mondo della scuola come un luogopopolato da macchiette lodoliane e mastrocoliane– che fanno da pendant a una generale ivancotro-neizzazione (se ti accontenti del pane e salame), ofrancescopiccolizzazione o rullipetraglizzazione(se hai il palato fino e vuoi atteggiarti a radical-salottiero), delle vite e delle relazioni – che ven-gono scambiate per la ‘vera’ scuola, la ‘vera’famiglia, la ‘vera’ società. In Italia siamo anni -luce lontani da una fiction come The Wire, chefra l'altro dava una rappresentazione nuda e crudadella scuola che i nostri sceneggiatori dovrebberostudiare e ristudiare. Ora, se hai la capacità di im-porre un frame diverso (sulla scuola), benissimo:scrittori- insegnanti come Sandro Onofri, Cali-ceti, Visitilli ci sono riusciti. Altrimenti, credendodi ‘rovesciare il frame’, finisci per reiterarlo, con-sapevolmente o meno. Trovo molto più signifi-cative delle produzioni visuali brut, come levideolettere degli insegnanti qualunque in rispo-sta a Renzi o i video delle #CattiveMaestre, chehanno saputo bucare il muro di gomma del framescolastico col linguaggio scarno e senza trucchidella vita reale.

SanDro abruZZESE, 37 anni, irpino. Insegna italianoa Ferrara. Scrittore e blogger, cura il progetto raccontiviandanti.

bonaria StaFFEtta, 39 anni, è siciliana ma ha unnome sardo: ‘Bonaria’ è infatti a Cagliari la Madonnaprotettrice dei naviganti. La nostra Bonaria però hapaura del mare e infatti, dopo una lunga tappa a Torinolontano dai flutti, ora vive a Barcellona. Fa la web desi-gner e, lavoro che sognava dall’età di 6 anni, l’illustra-trice, coltivando anche una tenace fissazione per ilcinema.

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il Fredy Taberna di Luis Sepùl-veda ‘aveva un quaderno con lacopertina di cartone e vi anno-tava coscienziosamente le mera-viglie del mondo, che erano piùdi sette: erano infinite e conti-nuavano a moltiplicarsi’. anchese lo abbiamo odiato, stropic-ciato, dimenticato e non lo ab-biamo riempito di meraviglie, tuttiabbiamo avuto un quaderno. iltema è da libro Cuore, odora dizucchero e mina di matita eporta il ricordo dolce o terribile diqualche maestra o maestrina. C’è un sito internet che dà panealle nostre nostalgie e pagine ag-giornate di Tumblr, Facebook eTwitter sulle quali sospirare. Lecura l’associazione no profit‘Quaderni aperti’ di milano chelavora dal 2005 alla digitalizza-zione e catalogazione di qua-

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‘QUANDO FA FREDDO LA GENTE E IOINDOSSA ABITI PESANTI’

Quaderni apertie le pagine della scuola che fu

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derni di scuola poi condivisi inrete e utilizzati per reading, mo-stre, laboratori e seminari. Lacollezione conta oggi circa 700quaderni da fine ottocento aoggi ed è una delle più ricche evarie in italia. E la cartiera arbosstampa anche una serie di qua-derni nuovi con copertine rica-vate da pagine di quelli vecchi.Dai quali è possibile apprenderenotizie interessanti e istruttive;come ad esempio che il 5 di-cembre ‘Balilla tirò un sasso aisoldati tedesci che tiravano il ca-none’ e che ‘milano è un Bar-bera benefico. Fa e dà.’

www.quaderniaperti.it

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MEMORIA DI ADRIANOavolte i viaggi si fanno in un sa-

lotto, piccolo e ingombro dicarte e libri, con la padrona di

casa sdraiata sul divano. E la conver-sazione verte sull’argomento di solitopiù noioso, sui  parenti. rannicchiatasul lato opposto del divano ascolto.Parenti così non son facili da proteg-gere, mi dice. E, strano a dirsi, sitratta di difenderli dal giudizio‘buono’. Valeria la conosco da tanto tempo, hail carattere dei milani Comparetti; suopadre adriano era il fratello di don mi-lani e lui stesso un personaggio. Ven-gono descritti ambedue come buoni,per il prete c’è addirittura chi lo vuolesanto; Valeria è convinta che sia per-ché adesso vanno di moda i ‘santi

subito’ e don milani è perfetto. Cre-pato bello e giovane, non può contro-battere. Sì, Valeria usa il termine‘crepato’ e lo fa apposta, è una cita-zione di suo zio che così definiva lapropria morte. adriano invece eramedico, pediatra, neuropsichiatra, fi-siatra ma anche tanto altro e Valerianon lo vuole sentire definire ‘buono’.Non perché non lo fosse, anzi, avevaun carattere molto più dolce del fra-tello prete. Non si tratta di questo, madi non annullare e appiattire l’opera diun uomo dandogli del ‘buono’. Quelloche faceva e le battaglie che ha com-battuto per dare dignità ai bambini e

La sconosciuta rivoluzione dell’altro milani di un paese di ghiaccio.

FIRENZE DA DISABILI A CITTADINI

Testo di Letizia Sgalambro

Foto archivio Famiglia milani Comparetti

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ragazzi con disabilità di cui si occu-pava lo faceva con la testardaggine ela sicurezza che gli veniva dall’essereun milani Comparetti. all’istituto anna Torrigiani di Firenze,che ha diretto fino alla pensione, lasua porta era sempre aperta per i ipazienti così come per le gatte chedecidevano di partorire nei cassettidella scrivania. i giornalisti che veni-vano a intervistarlo sedevano  conpazienza nei corridoi in attesa del pro-fessore e quando vedevano un uomoin bermuda e sandali da frate, deci-samente poco elegante con le suecamicie a manica corta, che comin-ciava a distribuire rose da un cestino

a tutte le donne che incontrava, pen-savano fosse il giardiniere, o il padredi uno dei ragazzi, non certo il lumi-nare che erano venuti a cercare.Cerco di immaginarlo, seduta anch’ioin questo salottino, e dalle parole diValeria viene fuori un personaggiodalla grande competenza scientifica,ma anche un inventore: l’apparecchioper la fleboclisi che conosciamo oggi,addirittura lo brevettò, ma poi dopoun paio d’anni si stancò di quel giocoe lo abbandonò regalandone la li-cenza. ma perché vi racconto tutto questo?Forse perché di don milani ho sentitoparlare e sapevo fosse lo zio di Valeria- infatti le assomiglia anche fisica-mente - mentre del padre adriano sene sa molto meno. mi incuriosiva sa-pere perché poi il doppio cognome,che uno ha tenuto e l’altro no, e cosìin effetti siamo partite da questo di-scorso che ci ha portato altrove. Fu iltrisnonno di Valeria, Domenico Com-paretti, senatore e notissimo filologo,che per decreto regio aggiunse il suocognome a quello del genero milani.

a sentire gli uomini affetti da paralisispastica che oggi sono medici, avvo-cati, sindacalisti o politici, adriano èun padre, l’uomo che credeva in loro.

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è vero dice Valeria, perché credevanelle persone, con passione politica,ed è da lì che nacquero tutto il suoimpegno e la sua forza. Era un parti-giano del Partito d’azione e lo rimasefino alla morte. oltre a essere un lu-minare scientifico nel campo della pa-ralisi cerebrale, adriano voleva daredignità di esistenza ai ragazzi e aibambini di cui si occupava come me-dico. Voleva farne persone che pote-vano e dovevano avere uno spazio diesistenza normale nella nostra so-cietà. Si chiamavano ‘spastici’ allora,lui voleva si chiamassero‘cittadini’.  Per questo Valeria si arrab-bia ancora quando lo sente osannareda chi lo conobbe: vorrebbe inveceche si riconoscesse il ruolo politico escientifico che ebbe. Permise il divul-garsi della diagnosi precoce e la finedi molte paralisi infantili causate dallapoca conoscenza delle cause, maprima di tutto fu fautore di un radicalecambiamento nel modo in cui la

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legge, e di conseguenza il Paese, ini-ziarono a guardare a bambini e adulticon disabilità. Negli anni Cinquantaadriano sosteneva per loro il diritto diall’educazione. Che però all’epocaera fornita in scuole speciali, che iso-lavano il bambino e mettevano alcentro la sua disabilità, con cure os-sessive e persecutorie che non tene-vano conto dell’impatto emotivo edell’isolamento tragico su di lui e sullasua famiglia. Così negli anni Sessantamilani Comparetti contribuisce ad av-viare quella che si può definire a tuttigli effetti una rivoluzione: al centro ilbambino e i suoi bisogni educativi,sociali e relazionali e, soprattutto, il di-ritto a essere cittadino della propriacomunità e ad avere bisogni norma-lissimi. Da qui l’aspra battaglia per lachiusura delle scuole speciali e per ilriconoscimento ai bambini diversa-mente abili di quel servizio educativoe formativo che il paese fornisce atutti i suoi cittadini. Da allora l’italia ri-mane all’avanguardia da questopunto di vista. Quello che Basaglia fu per la libera-zione dei matti dal manicomio fu mi-lani Comparetti per la liberazione deglispastici dagli istituti. Che poi la so-cietà non abbia applicato fino infondo le visioni ideali di questi due so-gnatori, non toglie il fatto che chiun-que oggi in italia riconosce che queicolti medici ecografisti, politici, sinda-calisti non avrebbero mai potuto dareil loro apporto alla nostra società senon avessero frequentato le scuole ele università come tutti.

Letizia Sgalambro è l’autrice del nostro ‘oroscopo’

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uSCITA DA SCuOLACupirina, rio degli amazzoni, villaggio flottante.

La lezione è finita. Si torna a casa in canoa.

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QUADERNI A QUADRETTICOSIMO

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MIORELLISCHWEINEHuND, IN CERCA DI CASA A bERLINO

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un giovane illustratore italiano si

trasferisce a berlino e inizia l’odissea

per la ricerca della casa. A vederla da

qua pare che la capitale tedesca sia il

bengodi dei creativi e che le

opportunità piovano dagli alberi dei

bei parchi di prenzlauerberg.

Essere italiani poi non aiuta e allora

Cosimo Miorelli prende le matite e

disegna una graphic novel per Il

Mitte, la testata on line punto di

riferimento per gli italiani che vivono

a berlino, per i turisti e per quelli che

vorrebbero viverci e non

immaginano che certe cose possano

accadere anche su, al nord.

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COSIMO MIORELLI, 29 anni, illustratore e live-painter, vive e lavora a Ber-lino. La sua ricerca combina diversi strumenti narrativi muovendosi tra illu-strazione, fumetto e performance dal vivo che lo portano a collaborare conproduzioni teatrali e film documentari. è sempre a caccia di nuove storie.

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disegno di Guido Scarabottolo

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Vorrei incontrare una donna che mi tradisca con gli alberi

Franco Arminio

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Per gli antropologi più tradizionali, ad accet-tura, a Pietrapertosa, a Castelmezzano, aoliveto Lucano, avvengono autentici matri-

moni degli alberi, sposalizi fra il maggio, u’masc,un cerro, albero maschio, e la cima, un agrifoglio,pianta femmina. Nel massiccio del Pollino (ales-sandria del Carretto, rotonda, Castelsaraceno,Terranova, Viggianello) sono invece un faggio, a’-pitu (a Castelsaraceno è la ‘ndenna), e un abete,la rocca (o la cunocchia di Castelsaraceno) a unirsiin un rituale che celebra il passaggio delle stagioni,il mutamento e la trasformazione della natura.Queste feste sono un augurio gioioso di fertilità.

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REPO

RTAG

EFOTO

GRAF

ICO i riTi DEGLi aLBEri.

Fra LUCaNia E CaLaBria

SE RIPASSATE FRACENTO ANNI, NOI SAREMO ANCORA QUI

Fra i giorni della primavera che, a volte, su queste montagne, sono ancora frammento di inverno e il settembre che annuncia i ventidell’autunno, nella Lucania più bellae solitaria, fra le rocce delle DolomitiLucane e la montagna corale delPollino, si celebrano, in un’euforica e faticosa eccitazione, piccole-grandi feste degli alberi. Sono conosciute, dagli studiosi,come riti arborei. Per me, sono felicità ed ebbrezza.

testo e foto di andrea semplici

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in nove paesi, otto in Lucania e uno in Ca-labria (alessandria del Carretto), gli alberi egli uomini sono protagonisti di giorni gran-diosi. Colmi di euforia, fatica, lavoro duris-simo, adrenalina, cibo e vino. E’ festa chevale l’intera annata.

LA GENTE DI QuESTI pAESI, a volte,sorride scuotendo la testa: le feste degli al-beri più che uno sposalizio, per loro, sonoidentità di paese, storia di solidarietà, me-moria del passato e certezza del futuro.Sono, allo stesso tempo, tradizione e con-temporaneità. Sono una ragione di esi-stenza, di voglia di essere. ad accettura,paese delle Dolomiti Lucane, ho conosciutoi 99 anni di zi’ andrea. aveva un solo dente,si appoggiava a un bastone. Per nessunaragione al mondo avrebbe perso la Festa, ilmaggio, che qui avviene nei giorni dellaPentecoste. andrea ora non c’è più. So cheda quando aveva quattordici anni, fino ainovantacinque, ha tenuto una zappa inmano. E’ stato uno dei migliori maggiaioli,uno degli uomini che trasportavano e lavo-ravano l’albero più grande. Quel giorno midisse: ‘Finchè ci sarà la festa, accetturaavrà un futuro. Quando non ne saremo piùcapaci, finirà il mondo’. Credo che la pen-sino alla stessa maniera Peppilepre a Ca-stelsaraceno o Vincenzo a Pietrapertosa. E’

così per i caporali della Festa a rotonda eViggianello. Come lo è per i ragazzi di ales-sandria del Carretto, Castelmezzano e oli-veto Lucano. ho visto i più giovani,diciottenni nati in paesi solitari, cresciuti sullecorriere verso le scuole, contare perfino leore aspettando questi giorni. ho conosciutoemigrati, dalla Germania, dall’inghilterra,dall’argentina, che fanno migliaia di chilo-metri pur di tornare al paese: queste Festesono irrinunciabili.

LA RITuALITà DEGLI ALbERI si intrecciacon la religione. Per quasi due secoli, lachiesa ha cercato di impedire questi riti me-moria di tempi pagani. Poi ha deciso che viera fede nell’ostinazione della gente di que-ste montagne e allora ha benedetto le festee scelto un santo protettore: in molti paesi,oggi, è il culto di sant’antonio a muovereuomini e donne verso i boschi dove sce-gliere e tagliare il maggio o la pitu. ad ac-cettura, ho visto maggiaioli e cimaiolipiangere lacrime di emozione per san Giu-liano. a Viggianello, il ritratto di san France-sco di Paola protegge la festa di fine agosto.‘La fatica e la bellezza di questi riti sono unaprofonda devozione popolare’ mi dice donStefano, giovane parroco di rotonda. DonPinuccio, parroco ad accettura, mi spiega:‘La festa è la storia religiosa del paese’. Quinon si sale al bosco di montepiano primadella benedizione del prete, non ci si metteal lavoro e alla felicità senza la messa ai limitidella foresta. Non si alza l’albero senza ilconsenso di san Giuliano.

DA OTTO ANNI INSEGuO ALbERI ebuoi, uomini e donne nei boschi di questoSud sconosciuto. La prima volta che arrivaiad accettura non sapevo niente della Festa.rimasi senza fiato per la meraviglia e lo stu-

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pore. Non mi sarei aspettato niente di simile.Fui travolto dall’euforia e dalla forza, dall’ec-citazione e dalla santità. Dal cibo e dal vino.Dalla musica e dai balli. Dai ragazzi e daivecchi. Scoprii che in altri otto paesi avve-nivano gli stessi riti. Cominciai a viaggiare frale montagne. Voglio esserci quando Panto-lin dà il suo colpo di fischietto nei boschi dimontepiano sulle Dolomiti Lucane e quandoi gualani di rotonda, nei boschi di Pizza-longa, su un pianoro del Pollino, portanodue dita alla bocca e fischiano con forza. E’allora che i buoi, un superbo e possentecorteo di decine di paricch’, coppie di ani-mali, hanno una scarto improvviso, torconoil collo, puntano gli zoccoli a terra e agitanole corna. Stanno tirando un albero, un fag-

gio o un cerro, di quaranta quintali tagliatonei giorni precedenti e ripulito dei suoi rami.Devono farlo uscire dal bosco e, a volte pergiorni, dovranno trasportarlo fino in paese.E’ uno spettacolo grandioso. Una Bibbia lu-cana. Una scenografia sacra di montagna,di una terra lontana. Questi sono appenninisolitari, è un’altra italia. Un’italia lontana: ipaese lucani si allontano ogni volta checredi di essere arrivato.

AD ALESSANDRIA DEL CARRETTO,paese calabrese, frontiera con la Lucania,Pollino orientale, non ci sono i buoi a tirarea valle l’albero. è la forza degli uomini e delledonne a portare giù il grande abete dal cri-

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nale di Spinazzeto. Vedo Peppino, cappellonero in testa, montare in groppa all’alberotagliato e lavorato e prendere il comandodel viaggio. anche lui fischia con due dita inbocca, ma il suo segnale mette in movi-mento uomini. ‘Spingete, tirate, N’a botte-rell, jamm’, grida Peppino. Può fare freddo,può piovere, nevicare a fine aprile su questocontrafforte del Pollino, ma niente sembrapoter fermare la gente di alessandria delCarretto: a sera, dopo una giornata stre-mante, la pitu sarà nella piazza del paese.

A ROTONDA, è necessaria quasi una set-timana perché l’albero venga finalmente al-zato a fianco del municipio. E, come gestofinale, gli uomini lo solleveranno con uno

strappo di forza per farlo ruotare su sestesso: è l’alzata, una spavalderia di corag-gio e orgoglio. a Castelsaraceno, ci vor-ranno tre domeniche per fare la festa. aTerranova, l’albero farà una marcia trionfale,tirato a mano, avanti e indietro per il paese.a oliveto Lucano compirà un girotondo fe-stoso nella piazza. a Viggianello sarà una di-scesa infinita fra le infinite frazioni del paese:alla fine la rocca sarà agghindata come uncarnevale colorato prima di roteare fra i vi-coli ed entrare in chiesa. a Castelmezzanoil maggio vuole godersi la bellezza del paesee delle Dolomiti Lucane. a Pietrapertosa ilcampanile di san Francesco sosterrà laforza degli uomini che alzeranno l’alberocon le loro braccia usando la vecchia torrecampanaria come paranco. ad accettura,

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tutti aspettano che antonio, pantaloni di vel-luto e gentilezza nei gesti, allunghi i suoi mu-scoli per salire, senza sicurezze, ai trenta epassa metri dell’albero finalmente in piedi alcentro dell’anfiteatro di san Vito.

SONO TORNATO NEI bOSCHI delle Do-lomite Lucane e del Pollino in giorni lontanidalle feste. ho ripercorso i sentieri chehanno visto uomini e buoi faticare attorno aigrandi alberi. mi sono seduto nelle raduredei grandi pic-nic e là dove i ragazzi hannoballato e suonato. Bisogna ascoltare il silen-zio dei faggi e dei cerri. Bisogna sfiorare, in

cammini solitari, gli agrifogli e i grandi abetibianchi. Poi si torna nei paesi, a prendereun caffè nel bar della piazza, a sedere con iragazzi sulle panchine, a chiacchierare conil prete e andare a trovare il maestro dellabanda musicale. E allora, nella solitudinedegli inverni di questi paesi, nell’attesa dellaprimavera e della festa, si intuisce la resi-lienza, la forza e la bellezza di questa italia.E’ lontano dalla festa che ho deciso che perme, straniero, questa terra è la mia terra. Ealla fine ho visto un gruppo di ragazzine diaccettura prepararsi la maglietta da indos-sare il giorno della festa. ragazzine di sedicianni. Una maglietta bianca. Sopra vi ave-vano fatto stampare: ‘Se ripassate fra centoanni, noi saremo ancora qui’.

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ANDREA SEMpLICI, 63 anni, fiorentino. Giornalista e fotografo. Da qualche anno ha il dub-bio che il Chiapas d’italia sia la Lucania. Nel 2007,nei giorni del maggio, straordinari rito arboreo, arriva ad accettura, nelle Dolomiti Lucane. E scopre che fra quelle montagne e il Pollinosi svolgono altre otto ‘feste degli alberi’. Da allora cerca di viaggiare assieme agli alberi.

uOMINI E ALbERI

otto anni per riuscire a viaggiare assieme a tutti gli alberi che, fra la fine

di aprile e le prime settimane di settembre, ogni anno, viaggiano nellemontagne delle Dolomiti del Lucano

e fra le creste e i valloni del massicciodel Pollino. alla fine, i riti arborei sono

diventati anche racconti, parole, fotografie, storie. Sono diventati un

libro. Si chiama ‘Uomini e alberi’ ed è edito da UniversoSud.

320 pagine, 35 euro.

Per la prima volta, tutte le feste delmaggio, tutte e nove le feste

(ad accettura, Pietrapertosa, Castel-mezzano, oliveto Lucano, rotonda,

Terranova del Pollino, Viggianello, Castelsaraceno ed alessandria del

Carretto) vengono raccontate assieme:un filo rosso che unisce l’italia interna

del Sud. Una grande storia.Per trovare il libro: www.universosud.it

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UNA FO

TOUNA STORIA

marco Paoli usa mac-chine che scattano inbianco e nero, montagrandangoli spinti, stafermo per ore in attesache accada qualcosa(e qualcosa accadesempre), guardaattraverso un filtroverde: così le foglie diventano chiare e legrandi piante dell’africagli raccontano la lorostoria.

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UN SICOMORO E TRE ACACIELA PASSIONE PER GLI ALBERI DI UN FOTOGRAFO TOSCANO

‘Gli alberi hanno intelli-genza, sanno comuni-

care, mandare messaggi. Glialberi dormono, imparano,ricordano, scelgono. Gui-dano le api nei loro voli, leindirizzano, come buoni con-siglieri, verso i fiori. Sonoesseri supremi. Ne sono at-tratto, è una passione fisica.Ho bisogno di toccarli, disentirli. Mi emozionano.

Sono nato in campagna. ATavarnelle Val di Pesa, unpaese delle colline fiorentine.Mio padre era medico, diri-geva un piccolo ospedale.Sono cresciuto nei campi.Fra gli orti e le galline. Inmezzo agli olivi. Gli alberisono stati il mio orizzonte.Ho imparato a riconoscerli, aindagare i loro segreti. Poi hocominciato a esplorare il loromondo sotterraneo. Quantonon vediamo è uno specchionascosto: le radici sono ununiverso misterioso. Gli al-beri vivono in una doppia di-

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ESSERI SUPREMIracconto e foto di marco Paoli raccolto da arturo valle

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mensione, sconfiggono la gravità e uni-scono davvero la terra al cielo. Senza al-beri noi non potremmo vivere. Noi ciestingueremo, e gli alberi continuerannoa esistere. Il loro sistema evolutivo è piùpotente del nostro. Se a un uomo tagliun braccio, rimane monco. Un albero sirafforza con la potatura.

Ho riconoscenza verso gli alberi. Cihanno donato una grande bellezza. Equando ho cominciato a fotografare, lamia attenzione è andata subito agli al-beri. Si stagliano contro il cielo, sonobellissimi, sono perfetti.

Fotografare un albero è difficile. Com-plicato. Si corrono dei rischi, si può es-sere banali e incapaci di raccontare, conun’immagine, una sola immagine, laloro forza. Io fotografo in bianco e nero,è un modo di vedere. Vedo in bianco enero. Da un po’ di tempo uso una Leicamonocromatica. I suoi scatti digitalisono in bianco e nero, i tedeschi hannotolto il filtro dei colori. E’ una macchinaa telemetro, io devo trovare il fuoco.Devo decidere l’esposizione. Sono dav-vero solo io che decido che foto fare,come farla. Uso grandangoli spinti e viè sempre il pericolo di una distorsioneeccessiva.

Le foto di queste pagine sono state scat-tate in Etiopia. Il grande albero è un si-comoro. È maestoso, solitario, immenso. Si èconquistato uno spazio. Domina unaterra. Questa pianta si trova vicino allachiesa rupestre di Abraha Atsbeha, in Ti-gray, nel Nord del paese. E’ un alberomeraviglioso. L’ho visto da lontano, dal-l’alto. Era impressionante. Isolato daglialtri alberi. Ho voluto andare vicino. Hocamminato. Ho cominciato a girarci at-torno. Ho voluto toccare la sua cortec-cia. Assomigliava alla pelle di unelefante. Ho misurato quest’albero. Ot-tantadue passi da un lato all’altro. E’grande come un campo di calcio. L’hoimmaginato a San Siro, avrebbe occu-pato tutto lo stadio. Era mezzogiorno,un’ora sbagliata. La luce dovrebbe es-sere radente. Ma ho fotografato lostesso, il sole alto nel cielo, sopra l’al-bero. Sono stato lì un paio d’ore. 15 mil-

limetri, cavalletto, Nikon. Filtro verde.Le foglie si schiariscono. Venti foto. Erocerto di riprendere l’albero come io lostavo vedendo. Il sicomoro regalaun’ombra protettiva, sotto cui la gentedei villaggi si riunisce per prendere de-cisioni importanti. Quest’albero fa partedi una comunità di uomini e donne.

All’altro lato dell’Etiopia. A Sud, aiconfini del Kenya. Ore di barca dalgrande villaggio di Omorate, l’ultimovero insediamento. Siamo nel territoriodei Dassanetch, popolo del fiume Omo,popolo minacciato. C’erano quei tre al-beri, tre acacie, vicino alle loro capanne.

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Marco Paoli ha fotogra-fato l’Etiopia. Come nes-sun altro. Da Nord a Sud.Dalle savane attorno alfiume Omo agli altopianidel Tigray, dalle forestedei monti Bale alle solitu-dini delle sue terre orien-tali. Gli alberi di questopaese (i colossali sico-mori, le acacie ostinate,gli eucalipti e i ginepri at-torno alle chiese, gli oli-vastri di alta quota) sonostati la sua bussola, glistory-teller della forza diun paese. Lo hanno gui-dato fra le grandi festecristiane e nei pellegri-naggi musulmani, sullevette delle montagne chesfiorano il cielo e nelledepressioni sotto il livellodel mare. Gli alberihanno aiutato Marco aincontrare gli uomini e ledonne di questa Africa.Ethiopia è un grandelibro. Non è un viaggio, èuno stare, un fermarsi, unrallentare. Il tempo dimontare un cavalletto easpettare che ‘qualcosaaccada’. E qualcosa inAfrica accade sempre.Gli alberi non sono im-mobili.

Ethiopia è pubblicato daGiunti (39 euro)

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un telo bianco sul quale spiccano gli al-beri e gli uomini.

Vedo gli alberi, ne vedo la grandiosità.Li vedo come fotografo, li immagino sulsensore della macchina fotografica,sulla carta. Vedo la loro forma, la luceche li illumina. E, in Africa, gli alberisono spiriti. Sono vivi. Crescono comegiganti. Gli uomini hanno bisogno diloro. Sono ombra, letto, schienale, sedia.Sono rifugio, tempio, casa.

E un vento impietoso. Sabbia, polvere.Il sole di lato. Il cielo ha perso ogni co-lore, è andato fuori gamma. Ho aspet-tato più di due ore che qualcosaaccadesse. Sono stato avvolto da turbinidi polvere. Non mi sono mosso. Sonousciti quegli uomini, si sono avvicinatiagli alberi. Si sono fermati, mi hannoguardato da lontano. Il vento muovevale acacie con furia. Filtro a densità neu-tra. Per ridurre l’intensità della luce. Ca-valletto. Posso scattare a un ottavo disecondo. Così afferro il vento. Lo vedomentre scatto: i rami delle acacie simuovono, si agitano, si ribellano. Lapolvere nasconde il villaggio, il cielo è

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4MarCo PaoLi, 56anni, toscano di Tavar-nelle in Val di Pesa. Vivea Firenze. Ha lavoratocon i Giancattivi alla rea-lizzazione di produzioneteatrali e cinemaografi-che. Ha fatto parte deiGiovanotti MondaniMeccanici, storicogruppo di video e com-puter art. Ha esposto lesue fotografie a Firenzee Milano, a Reggio Emi-lia e New York, a Pietra-santa e San Franciso.www.marcopaoli.com

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‘Nonna non ti preoccupare. Se cadi di sottorimani appesa, e poi matteo viene a libe-rarti’. Lorenzo, 7 anni, ormai è un veteranodel treesleeping. Tra le fronde di Ettore e Te-resa, le due querce che stendono i lororami, una nell'agriturismo di Borgo San Lo-renzo, l'altra nel golfo di Baratti, ha dormitogià tre volte. E mentre si lascia docilmenteimbracare da matteo prima di arrampicarsisu per la scala, distribuisce consigli ai neofitiche con qualche apprensione si preparano

In Toscana, fra il Mugello e la costa dell’Alta

Maremma, si può passarela notte nel cielo degli alberi: è il treesleeping.

‘Volevo trasmettere l’ideache una pianta ti tiene su’. E adesso Matteo vi costruirà una casa.

DORMIRE CON ETTORE E TERESA.

AppesI A UN grANde rAmo, come Il bAroNe rAmpANte

a vivere quest’avventura.

La notte di Baratti è quasi perfetta. Se aves-simo dovuto programmare, non saremmoriusciti a scegliere meglio. invece è venutocosì, quasi per caso. Prima l'aperitivo sullaspiaggia di Baratti, tramonto rosso da car-tolina. Un attimo dopo, la luna piena chesale tra i pini, mentre ci incamminiamo versola quercia Teresa, tempestata di lucine, can-dele, fiammelle, lumini, che fanno a gara

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con le stelle e strappano oh di meraviglia,come fossimo tutti bambini (in realtà, dibambini ce n'è uno solo). E' così che mat-teo e martina accolgono gli ospiti: tredici,tanti sono i posti disponibili sulle piattaformee le amache tecniche (quelle che si usanoper dormire in parete) appese ai rami. Di-vani, poltrone, cuscini disseminati sulla piat-taforma di legno alla base della quercia(perché il troppo calpestìo del terreno nonfa bene all'albero), su cui rilassarsi con bi-

scotti e vin santo, mentre si fanno domandee ci si prepara alla notte sull'albero.

matteo è matteo Cortigiani, arboricoltorenon ancora quarantenne, che sei anni fa,con un paio di colleghi, si è inventato il tree-sleeping, e lo ha anche brevettato. martinamarzili è la sua compagna, la ‘cocciaia’, checura la parte artistica e l'ospitalità, e con lesue sculture rende tutto ancora più magico.L'amore tra matteo e gli alberi nacque fre-

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Testo di Lucia ZambelliFoto di Matteo Cortigiani e Lucia Zambelli

CHE SONO DUE QUERCE

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4 quentando un corso di treeclimbing, le tec-niche per muoversi sugli alberi in sicurezza,per fare tutti i lavori di manutenzione. ‘men-tre mi aggiornavo e aumentavo la mia co-noscenza degli alberi (è uno dei socifondatori della Società italiana di arboricol-tura) è scoppiato un amore viscerale’.

Un amore che è andato sempre crescendo.‘mi piaceva andare nelle scuole, fare la partedivulgativa del mio lavoro, far nascere e cre-scere una cultura diversa’. ma ancora non

bastava: matteo voleva portare le personea dormire sugli alberi. ‘il sonno è importanteper le persone. ognuno ha le sue abitudini,i suoi riti. Piattaforme, case, piccoli villaggisugli alberi ce ne sono tanti. ma è diverso.io volevo trasmettere la sensazione di es-sere appeso, sospeso e sorretto dall'albero,l'idea che è l'albero che ti tiene su’.

Così è nato il treesleeping: matteo ha bre-

vettato nome e marchio, si è dotato dell'at-trezzatura necessaria, e dal 2009 all'estatescorsa ha coinvolto in quest'avventura circacinquecento tra adulti e bambini.

Nelle notti di primavera e d'estate Ettore eTeresa si trasformano in hotel a mille stelle,come piace dire a matteo. Dopo la cerimo-nia dell'imbracatura, ti arrampichi sulla tuapostazione, ti infili nel sacco a pelo, e poi èproprio come dice lui... Diventi tutt'uno conl'albero, ti lasci cullare tra le sue braccia, re-

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4ma non fa niente se non ce n'è bisogno: sa-rebbe un ottimo governante....’.

Fin troppo ovvio il richiamo al Barone ram-pante, considerata la vita ‘aerea’ di matteo.ma nonostante il suo vivere sospeso, pas-sando di ramo in ramo, matteo è una per-sona molto concreta, ‘con i piedi per terra’.Che però coltiva più di un sogno. ‘Far diven-tare questa attività un lavoro vero e proprio,il mio unico lavoro. E costruirmi una casasull'albero. Di solito le case sugli alberi sono

spiri insieme alle foglie, ti muovi con lefronde, ascolti i suoni della notte, ti incantiper il luccichìo del mare nel golfo. E saràperché ci sei sopra, dentro, invece chesotto, ma cominci a considerare l'albero dauna prospettiva diversa.

‘L'albero è l'unico essere vivente che nasce,cresce e muore nello stesso posto – ti dicematteo – Fa tutto quello che è necessario,

molto impattanti, strutture invasive e pesantidal punto di vista architettonico. invecel'idea del treesleeping è leggera. E leggeravorrei che fosse anche la mia casa sull'al-bero’.

LuCia ZaMbELLi, 63 anni, fiorentina.Giornalista, si oc-cupa da molti anni di salute e sanità. Non ha quasi maiscritto di viaggi, ma ama molto viaggiare, e considera ilviaggio, la strada, l'essere in cammino, la dimensione chele è più congeniale. La sua qualità più spiccata, la resi-lienza, che l'ha salvata in molti frangenti.

MattEo Cortigiani fiorentinodi 39 anni. Fin da piccolopassa le vacanze dagli zii vivaisti, e forse nasce da lì la suapassione per il verde. Istituto tecnico agrario, breve car-riera universitaria, poi un corso di tree climbing e la crea-zione della ditta di giardinaggio e arboricoltura "arbor",tuttora aperta. Dalle attività divulgative nelle scuole nascel'idea del treesleeping, attività avviata con due amici, mache oggi continua da solo.

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STOR

IEDI CIBO

Palermo è il banco di prova dei ga-stronauti tracotanti, pronti a sfidare

la sorte in un corpo a corpo col cibo distrada. A preparare la scena c’è la stig-ghiola, riconoscibile a distanza per lanuvola di fumo che si ottiene gettandograsso sulla griglia, come richiamo peri clienti. Se si guardano i mozziconi dicase bombardate, le esalazioni dense ela gente allegra, sembra che la secondaguerra mondiale sia finita ieri. Lo stig-ghiolaro intanto canta ‘Un mondo di-verso...’, dimenticatosi del resto dellacanzone e della terra promessa dove cre-scere i nostri pensieri. Viene voglia diprendere Palermo a morsi, in ogni bran-dello di carne, fino all’ultimo quarto cheogni taglio ha scartato illudendosi di ri-cavare più vita dalle classiche bistecche

alle prime luci dell’alba. Per gli acquistial volo, una volta dall’auto scendevanosoltanto gli uomini mentre le donne ri-manevano chiuse ad aspettare. Coltempo le abitudini sono cambiate male pentole di rame durano decenni, sesi ha l’accortezza di farle stagnare circauna volta al mese.

Rocky Basile ha già trecentomila vi-sualizzazioni su YouTube, ma non perquesto nega ai fotografi il ghigno we-stern di chi conosce le regole del rionee del mestiere. Il Re della Vucciria, cosìlo chiamano, bazzicava da queste partianche ai tempi in cui Guttuso aveva af-fittato un tavolo alla trattoria Shangaiper studiare gli scorci del mercato: nellafoto che tiene nel cassetto, macchiatadalle ditate di strutto, il giovane meu-saro sta attaccato al pittore, fianco afianco. Oggi accetterebbe volentieri unruolo nel cinema, dopo Tano da morire

IL SENSO DELLA FRATTAGLIA

assaggi di street food palermitano, tra orrori gastronomici e viscere innominabili

che da queste sculture di intestino sottoalla luce di una mattina di mercato.

Tra i venditori di panino con milza epolmone, c’è chi è partito dalla carret-tella per arrivare al negozio, come i fra-telli Favata di Porta Carbone. Quandola Cala era tutto un viavai di lavoratoridel porto, la milza si comprava a un me-tro dal mare per mangiarla a colazione

testo di irene russofoto di ornella Mazzola

IRENE RuSSO, 36 anni,siciliana, vive a reggioEmilia. è copywriter spe-cializzata in storytelling egreen marketing. ORNELLA MAzzOLA,32 anni, siciliana di Ca-paci, vive a roma. Studialla Sapienza di roma ci-nema documentario, foto-grafia e storia dell’arte.Collabora a repubblicaPalemo.

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gono, così il bollito di Gioè vaa ruba sul posto e anche daasporto, un tripudio di saporidiversi per ogni porzione inno-minabile di un misterioso or-gano ruminante. Prima di an-dare via, l’importante èricordarsi di chiedere di più,guardare l’ambulante e doman-dare senza remore: mi fai as-saggiare un altro pezzettino?Chiedere ancora alla strada, unultimo assaggio delle sue vi-scere, un altro frammento sa-crificato al piacere insaziabile,come se non ci fosse nient’altroda mangiare una volta tornati acasa.

zione del vitello prima liofiliz-zati e conservati (anche peranni), quindi fatti rinvenire frig-gendoli nello strutto. Chi lamangia, spesso preferisce re-stare all’oscuro di questi detta-gli, così la reticenza diventaparte del piatto e non è datoguardare nel cesto del vendi-tore: la pietanza è nascosta dauno straccio, sotto al quale ilbraccio nudo preleva ogni por-zione affondandosi nella carnesenza svelare nulla. L’avven-tore aspetta con la cartata inmano, due fogli di carta oleata.

Tra i banchi di Ballarò troviamola quarume, o caldume, tuttoquello che c’è nella pancia delvitello dal foiolo alla paiata allampredotto. Più pezzi mettinella pentola e più gustosi ven-

e una parte rifiutata perché glitoccava recitare il personaggiodel pentito, una gloria difficileda spendere alla Vucciria. Nellaverticale di oscenità in questoviaggio palermitano, l’apice èla frittola: scarti della macella-

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NON FIA RISTORO AI DÌ PERDUTI UN SASSOINdIA I rItI cremAtorI deI mAhArAjA dI bUNdI

Testo di Silvia La FerraraFoto di marco Baschieri

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ranjit Sing, maharaja di Bundi - regione pittoresca sulle rive del fiumeChambal, nel rajasthan nordoccidentale, avviata proprio dal defuntomaharaja a uno sfolgorante destino turistico – è morto l’8 gennaio

2010 a 71 anni ed è stato cremato come da tradizione, lasciando ungrande vuoto, non solo in senso figurato.Le donne stanno a guardare il corteo di soli uomini che, preceduto dallabanda di fiati e percussioni, parte dal palazzo reale e tocca i luoghi cari invita al defunto. La pira di legno di sandalo (più pregiato rispetto al mangousato per le pire delle persone comuni) e noci di cocco è stata innalzatanello shmashana, dove prima di lui sono stati cremati tutti i suoi predeces-sori secondo l’ormai noto e antico rituale. Che rende del tutto superflua eperciò assente l’invenzione occidentale dell’impresa di pompe funebri. aun funerale indù, persino a quello di un maharaja, non ci sono auto con illogo aziendale e non c’è pompa perché gli uomini che vi partecipano sonovestiti in maniera semplice e casual. il nero non è appropriato.Un parente stretto fa tre volte il giro della pira e la cosparge con acqua eghee, cioè burro chiarificato, quello che viene usato da noi per friggere adarte le cotolette.

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Sul punto esatto in cui sorge la pira, una volta raccolte le ceneri scuredel legno e quelle bianche delle ossa da consegnare alle acque delGange presso la città sacra di haridwar, sono gettati petali di fiori edè allestito un baldacchino a indicare che lì verrà poi messa la lapidecommemorativa. è l’unica cosa che assomigli a una sepoltura o auna memoria (nomi che hanno a che fare con il concetto di ‘seguire’il morto per onorarlo o ricordarlo) che si può trovare qua. C’è una la-stra scura per ogni cremazione di maharaja di Bundi, e c’è ancheuna specie di tombe, parola inquietante che ha la stessa radice TU-(crescere) di ‘tumido’ e di ‘tumore’, un tumulo, un piccolo edifico ri-gonfio che in italiano potremmo chiamare ‘tempietto’ e che ricordala cremazione dei maharaja più antichi. in questa parte del mondo non è mai venuto in mente a nessuno diabbinare alla morte il concetto di ‘luogo di riposo’ che sta alla basedell’etimologia della parola cimitero (il verbo greco koimân, dal qualeviene il nostro koimetérion, significa ‘far addormentare’). in india la morte è una temporanea - e forse anche gradita - sospen-sione dell'attività fisica che serve all'anima per riorganizzarsi e iniziareun altro ciclo di vita. Perciò, come si sa, il corpo viene bruciato e leceneri sparse in acqua o altri luoghi, in modo da permettere agli ele-menti che costituiscono l'anima di liberarsi. E quindi niente cimiteri,dato che non resta niente da far riposare.

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Non è dunque eredità di affetti che spinge alla costruzione di questi se-polcri, né il bisogno di colloquiare con il cenere muto che qui non c’è.i monumenti funebri dei maharaja sono un antifoscoliano memoriale diliberazione. Da qui le grandi anime (se sei un maharaja è perché ti erireincarnato in un ciclo di vita superiore) escono dai corpi e vanno a pre-disporsi per il seguito. Che ci sarà, poiché non involve tutte cose l’oblionella sua notte.

Tuttavia qualche problema sussiste. Secondo i dati del gruppo ambien-talista indiano mokshda Green, ogni anno si cremano sui roghi circa 10milioni di salme per un totale di circa 50 milioni di alberi abbattuti. Pernon dire delle 500 tonnellate di ceneri riversate nei corsi d’acqua e degli8 milioni di tonnellate di anidride carbonica liberate nell’atmosfera. Cosìl’ingegnere Vinod Kumar agarwal ha messo a punto una pira ecologica,strutturata come un caminetto, che favorisce una combustione più ra-pida ed efficace. Significativa la limitazione dell’impatto ambientale, inquanto la pira-caminetto utilizza meno di 100 kg di legna contro gli oltre400 del procedimento classico.Perché meno greve sia il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura.

MarCo baSCHiEri, 49anni, viaggia durantel'inverno tra Sud EstAsiatico, India eCentro America eper il restante tempovive e prospera aCavriago (Re). Foto-grafa per passione epiacere. Bevitore diLambrusco e lancia-tore di coltelli, hamolta cura dei suoibaffi.

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IEDI POETI GIULIANA ZIMEI

Un piccolo cartello bianco ac-canto a una porta dellaFratta, strada antica di Piti-

gliano, splendido paese della Ma-remma dei tufi. Vi è scritto: ‘Liberavisita’. E poi poesie scritte su fo-glietti appese alla porta della cantina.Allora, si può bussare, entrare in unapiccola casa (tre minuscole stanze insuccessione, finestra sul fondo che siaffaccia sui canyon del tufo) e cono-scere Giuliana Zimei.

Nel 1956 la famiglia di Giuliana la-sciò il paese. Il padre aveva trovatolavoro a Roma: portiere in un pa-lazzo dei ‘signori’. Lei, allora, aveva19 anni: ‘Mio padre indossava unadivisa, ma io mi sentivo fuori posto.Lavoravo da sarta. È come se avessivissuto dieci anni in prigione’. A 29anni, Giuliana trova il coraggio diandarsene e di tornare a vivere inMaremma. Una cugina ha un piccolonegozio alla Marsiliana, un gruppodi case nella piana verso il mare. PerGiuliana è la libertà. Ritrova l’ariaaperta. È quasi una ribellione. E quiconosce suo marito. Si sposa con uncontadino.

Racconta Giuliana: ‘Una volta chiesia mio marito come era andata con ipomodori e lui mi rispose che nonerano fatti miei. A me toccava lavarei piatti, a lui gli interessi’. Per altritrentacinque anni, Giuliana non hapiù rivolto una solo domanda al ma-rito. Sono nati due figli. A loro volta

si sono sposati. Giuliana, alla fine,ottiene una pensione. E se ne va an-cora una volta. È il 2001, ha 65 anni.Decide che è tempo di cambiare vita.E ritrovare, una volta di più, la li-bertà perduta. ‘Ho lasciato mio ma-rito e sono tornata a Pitigliano, almio paese. Non sono stata felicedella separazione, io ho fede, ma èstata una resurrezione. Avevo la casadei miei genitori. L’ho venduta, hocomprato questa. Ero tranquilla,senza orari, di nuovo libera, sola. Fi-nalmente, il silenzio’.

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LA POETESSA DI PITIGLIANO Testo e foto di arturo Valle

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puter le parole dei suoi versi.Anni fa, un piccolo editoredi Pitigliano si accorse diquesta singolare pittrice epoetessa. È matto e corag-gioso, quell’editore. E hastoria alle spalle. Una storiaanarchica, solitaria, orgo-gliosa. Un carattere tosto. Sichiama Marcello Baraghini,fondatore di Stampa Alterna-tiva. Le poesie di Giulianadiventarono libro. David DeCarolis, fotografo milanese,ne scrisse uno su di lei: ‘Se-conda Vita’. Accadde ancheche questo libro, una volta,venga presentato assieme aun libro di Gary Snyder, pro-feta del beat americano. Lapoetessa di Pitigliano e ilcantore di Big Sur. Ma-remma e California. Anche ilvescovo e il sindaco si ac-corsero di lei. A suo modo,Giuliana, ‘scrittrice analfa-beta’, come la definisce Ba-raghini, diventò famosa.Poche settimane fa, l’ho ri-trovata seduta davanti allaporta della sua casa nellaFratta.Giuliana mi ha letto le sueultime poesie, i suoi qua-dretti sono appesi nellostretto corridoio. Sopra lacucina a legna cuociono lelenticchie.

difficoltà. Ma scriveva, Giu-liana. E, questo sì, scrive an-cora. Senza sosta. Scrive ipensieri che le passano ac-canto. Scrive poesie. Cercarime, a volte le lascia per-dere. Racconta, Giuliana.Della trasformazione del suopaese, della neve cadutaquest’anno, di quanto accadenella sua strada.

Telefona ai figli, ognigiorno, e loro battono a com-

immagini delle arcate del-l’acquedotto. ‘La prospettivaè perfetta’, le spiegarono. ‘Ionon so cosa sia la prospet-tiva’, rispose.

Quando la conobbi la primavolta, Giuliana possedevauna penna nera e una rossa.Disegnava reticoli di linee,incrocio di cerchi, geometrieintricate e semplici. Tratti in-genui e belli. Usava un ri-ghello ricavato dalla stecca

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Da ragazza, alla scuola pro-fessionale, Giuliana erabrava in disegno e in ita-liano. Un giorno si mise sulbelvedere che dà sulla mera-viglia di Pitigliano con un fo-glio e una penna. Dipinsedue piccoli quadretti. Due

di un bustino. Utilizzavapiattini e monete per i cerchi.Faceva un puntino e da lìpartiva. Dipingeva, Giuliana.Adesso, a 78 anni, non puòpiù farlo: il medico è preoc-cupato per la stanchezza deisuoi occhi. Cammina con

arturo vaLLE, avvocatopugliese, 35 anni, vive a Bo-logna. Appena può, e anchequando non può, lascia i tri-bunali e cerca di andare ingiro. Questa volta ha incon-trato una donna davanti allaporta di casa in un paesedella Maremma toscana. è entrato nella sua casa e ha ascoltaro poesie.

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ariETE21 marzo -19 aprile Hai sempre pensato che un giorno si potrebbe sco-prire che due più due non sempre fa quattro. E’ ar-rivato il momento in cui puoi uscire da schemipreordinati e dimostrare a te stesso e al mondo cheesiste una fantasia che va oltre qualsiasi logica ma-tematica. Si tratta di osare e di correre il rischio diavere qualcuno contro, sei disposto a farlo?Strumento di stagione: Cimosa

Toro 20 aprile -20 maggioCogito ergo sum. Sembra che tutta le filosofia sibasi su queste poche parole. E se invece si modifi-casse l’ordine trasformandolo in Sum ergo cogitoquante altre possibilità si potrebbero aprire? Sumergo… tocca a te inventare nuove consequenzialitàal tuo essere, le stelle ti suggeriscono: sperimentapiù che puoi!Strumento di stagione: Riga e squadra

GEmELLi21 maggio -20 GiugnoThe book is on the table, the cat is under the chair.And where are you? Dove sei adesso caro Gemelli,come potresti descrivere questo periodo della tuavita? La parola inglese Terrific a noi suona brutta,ma in realtà significa Fantastico, non è che il pe-riodo che stai passando e più terrific che terribile ete non te stai accorgendo tutto preso dall’osservaretroppo te stesso? Strumento di stagione: Lavagna

CaNCro 21 Giugno – 22 LuglioParagonando un atlante del mondo antico con unodi oggi troviamo tantissime differenze, ma in realtàil mondo è sempre quello, è solo la sua rappresen-tazione che è cambiata. Qualcuno un giorno hadetto che la mappa non è il territorio, è arrivato ilmomento per te di scegliere a cosa vuoi dare più at-tenzione, alla descrizione o alla realtà? La rispostanon è così ovvia come si potrebbe immaginare,pensaci bene, ogni scelta ha le sue conseguenze,anche il non scegliere!Strumento di stagione: gesso

LEoNE23 Luglio - 22 agostoCiò che odiamo di più quando studiamo la storia ascuola è imparare le date, perché ci sembra nonabbia alcun senso. Nel crescere poi ci rendiamoconto dell’importanza di sapere inserire i fatti neiloro periodi storici per dare un senso a ciò che ac-cade. Per evitare i corsi e ricorsi potresti dare unalogica anche a ciò che è accaduto fin’ora nella tuavita. Costruisci una time line solo di avvenimentipositivi, vedrai ch esono più di quanto ti immagini.Strumento di stagione: gomma

VErGiNE 23 agosto - 22 SettembreL’esercizio fisico mantiene in buona salute, ma vafatto e non solo guardato in televisione. La Prima-vera che sta arrivando ti proporrà una serie di oc-casioni per risvegliare il tuo corpo. Gli astri ticonsigliano di non prenderle alla leggera, buttatima sii preparato, uscendo più spesso dalla città po-trebbero accadere incontri che ti cambieranno lavita.Strumento di stagione: quaderno

La scuola, si sa, divide il sapere in discipline e quindi l’oroscopo questa volta si adegua e propone la sua lettura delle stelle attraverso le varie materie scolastiche. il consiglio di stagione è legato a uno degli strumenti usati in classe, da utilizzare sia in senso fisico che in senso metaforico.

oroSCoPo Di PrimaVEra

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BiLaNCia 23 settembre - 22 ottobreDa chimico un giorno avevo il potere, di sposar glielementi e di farli reagire… Così cantava De Andrèprendendo spunto da Edgar Lee Master. Ci sonoelementi della tua vita che sono rimasti single pertroppo tempo, falli sposare e attiva le reazioni chi-miche necessarie per infondere nuovo coraggio evoglia di osare. E’ il momento giusto.Strumento di stagione: libro di testo

SCorPioNE 23 ottobre - 21 novembreCi sono molte cose della fisica quantistica che sonoinspiegabili e incomprensibili. Eppure esistono.Anche nella tua vita esistono cose che non riesci aspiegare agli altri, e a volte neanche a te stesso. Iprossimi mesi riuscirai a fare più chiarezza e a com-prendere il senso di alcuni tuoi atteggiamenti. Ecome le particelle che cambiano forma se solo os-servate, anche qualche tuo modo di fare scomodopotrebbe sparire non appena ci farai attenzione.Strumento di stagione: compasso

SaGiTTario 22 novembre – 21 dicembreIl disegno è la prima modalità dei bambini per rac-contare come vedono il loro mondo. Senza freni néinibizioni sono capaci di rappresentare la loro realtàcosì com’è. Crescendo ci insegnano la tecnica, laprospettiva, il chiaro scuro e perdiamo l’innocenzadi base. Si sta avvicinando un periodo in cui potrairitornare a essere bambino e a vedere il mondo conocchi nuovi, comprati delle matite e vai a colorareil mondo!Strumento di stagione: pennarelli

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CaPriCorNo22 Dicembre -19 GennaioUn tempo alle scuole medie si studiava EducazioneCivica, ovvero quali sono le leggi che regolano ilnostro stare insieme come comunità. Ormai sembrache non vada più tanto di monda ma per te, caro ca-pricorno, il rispetto è invece molto importante. Benpresto ti troverai a fare una scelta che potrebbe met-terti molto in crisi su questo tema, ti consiglio di ri-vedere la tua scala di valori per essere sicuro di nonfare errori.Strumento di stagione: matita

aCQUario 20 gennaio- 18 febbraioLa lingua italiana è fatta di regole precise che, seben applicate, ci permettono di esprimere in ma-niera precisa ogni nostro pensiero o sentimento.Grandi poeti l’hanno utilizzata per questo scopo,creando opere d’arte famose in tutto il mondo.Anche dentro di te ci sono parole che premono peruscire, perché non vogliono più restare impigliatenei meandri della mente. Non ti frenare, metti soloun po’ di ordine nei tuoi pensieri e poi inizia adesprimerti, sia in rima che in prosa, farai un dono ate stesso e a chi ti sta vicino.Strumento di stagione: cattedra

PESCi 19 febbraio - 20 marzoLa conoscenza musicale passa raramente dallescuole, dove al massimo ci insegnano a suonareuno strumento. Ma nessuno ci fa fare esperienzadel rumore che fa una foglia che cade, un fiore chesboccia o un fiocco di neve che si scioglie. Sonorumori lievi, quasi impercettibili, ma queste azionisono fondamentali per il ciclo della vita. Prenditi iltempo di ascoltare ogni minimo rumore, affina latua attenzione, e i prossimi mesi assumeranno unaspetto diverso.Consiglio di stagione: astuccio.

LEtiZia SgaLaMbro 52 anni, sagittario, counselor edesperta di processi formativi. Crede che per ognuno sia giàscritto il punto più alto dove possiamo arrivare in questa vita,e che il nostro libero arbitrio ci fa scegliere se raggiungere queltraguardo o meno. L'oroscopo? Uno strumentocome altri per illuminare la strada.