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ERNESTO FIALDINI Voci annegate Voci annegate

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ERNESTO FIALDINI

Vociannegate

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Riconoscersi... vuol dire aprirsi ad unapoetica del toccare, all’estasi dellacarezza, alla disarmonia di un sentireche è interrogazione dell’esistenza eri/scoprire il soffio della libertà at/tra-verso le parole, la gestualità, l’amore.Non basta guardare insieme lo stessoorizzonte... occorre costruire insieme u-na cultura e un’etica della differenza(anche della sessualità...) dove ritorna-re a sé è anche il viaggio di ritorno ver-so il bambino (dimenticato) che siamostati. Amiamoci così senza (falsi) pu-dori... e facciamo del nostro peggio.

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FIORI DEL MALEVoci annegate

Il tempo squarcia la visioneE. Pound

Dolce nella sua bocca è il maleGiobbe 20,12

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Ernesto Fialdini (come lo definiscono alcuni)(? - 1975)

Nacque nel 162 dopo Verdi, in terra inospi-tale e straniera.Morì, si batté in duello in filosofia, corse, si in-namorò, dedicò parte della vita al volo, fuaccecato, si riebbe, viaggiò; prolificò,sfuggì agli amici, donò di sue vite alcune a-gli orfani, altre ne uccise, bestemmiò; fu pa-dre, madre, figlio proprio e anche altrui.

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ERNESTO FIALDINI

VociAnnegate

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I versi in lingua tedesca sono di Georg Trakl:

“Delle tue ciglia Dio ha fatto arco.Per la notte stelle, o figlia del venerdì santo,cercano la tua fronte, e della fronte l’arco.”

“Sulla sua tempia d’avorio splende all’appartatoil riverbero di angeli in rovina”

Questo libro è stato realizzatocon il contributo

del Gruppo Eliogabalo

In copertina dipinto di Francis Bacon

ISBN 88-7205-091-X© 1997 - TraccEdizioni

C. P. 110 - 57025 Piombino (LI)Tel. e Fax 0565/35259

Tel. 0565/[email protected]

http://www.ouverture.it/piombino/tracce/traccedizioni.htm

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Agape

Una voluta di vento, eburnea come voce di silfide, sispegne su nove note d’ametista: il bianco morde lagola dei lampi, sgorgano fiordi di miraggi liquidi chebruciano sulle guance del dio, e profumi di sole so-vrastano i tuoni scarlatti al galoppo coi lampi per lesale della reggia; ma l’aria recede, la sete affila il si-lenzio, orchidee in fiamme al largo dell’orizzonte rin-ghioso; qui si immerge il profilo ventoso della nave,protesa in teli nerissimi sopra occhi d’oro vergati d’a-marantide; qui frangersi, qui dissipare la ragnateladei sensi oltre la soglia del nitore immobile, qui elide-re la propria immagine contro i bordi dell’enormecaduta.

Gott

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Il tedio si immerge dipanando messi di brezza e can-to muta i riflessi delle ciglia in fruscii di cigno. Albeg-giano lamine, frammenti d’acqua sul petto, maniscolpite di nubi: macerie di carne, sospese in rigagnoli di nodi, unbarbaglio di fumo si erge a dipanarsi in stralci di soffi.Le diafane schiudono le dita in fiori di terracotta,siedono alle trifore meste e lanciano alle colline ri-cami di voci; monadi di buio cospirano in forma di danza, si sfibrala nudità delle attese e di lontano gli scafi ne reci-dono la veste, pacata, con essi nel freddo.

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Sugli archi sospesi

Ebbi il petto empio di frescura, la bocca disciolta inun tepore di sussurro.Da un oggetto qualsiasi veniva il biancore del mioscheletro, di baci sdrucito per le labbra di lei; manessuno di quegli occhi, roridi di saliva, vedendomi,avrebbe potuto carpirmi la mestizia- donde segreta attesa.

A Marta

Dalla finestra frattanto stille di sole cadono nel respi-ro dell’aria che con gabbie divido in altro bestiameun riverbero inesausto di pianto spande la sua eco edona gioia in granelli di pioggia che pendono ebe-ti da sessi di roseto dischiusi.

deine

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Bocche di bronzo, circolari come intelletto di uomo, colpirono gli occhi invocando gli ampi silenzi dellamemoria, le pause sospese fra le ciglia. Non chiedo le perfette geometrie della morte,né le cantate profane dell’ode che promana dall’oblio. Dissolve un’onda del suo sorriso, disfa la bigamia dello sguardo e io che l’ho attesae lei che mi ha veduto,di nuovo ci siamo scambiati un segno di distanza.

Lider

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Un dio ebbro di morte mi arde crocifisso nel petto.

Scolpisco il mio trono nel vento. Sugli occhi ho le se-te del deserto. Se non ci fossero più parole, se man-cassero le urla e nessuno potesse più piangere, an-drei in cerca del Castello.Le limpide schiere di morte.

Un uomo cavalca, il bronzo affonda nel suo sguar-do, le lacrime gli rodono la pelle ma dalla sua vistatrasuda un’ode al fuoco, avvampa in fiocchi di san-gue la bestemmia.

verbogen.

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Il caldo si stende in nuvole semplici oppure indossa mantelli, abita caverne d’ottone dove l’oceanoplaca il suo tediole finestre svaniscono le une nelle altre così le lamenelle gole dei cigni.

Mostrami un solo deserto, o tuonoe chiedimi.Che sono tormenta,e devi uccidermi.

Sterne

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Il dolore è uscito dal corpo. Lo ha lasciato incolume, ealtro bianco ha reso pallore la superficie delle tempie; ilcorpo che si stende ed èarsurale labbra, quaderni: bello scriverne, dettargli la foggiadelle bocche e dei seni, domani un’ombra, ma tu dim-mi. Che sei venuta a fare, ti ho attesa, la metropolitananotturna.Le tue braccia, le camelie, lungo le tue braccia, lungo ivisi dei fiumi; calmati, nell’acqua, dove scende la sera, ilmantello, che copre quei volti, dietro le nuvole, colanosull’onda che fa frusciame di pelle. Non ti vedo, che ri-flessa sugli alberi, lo scrigno in ogni foglia, pianeti ventu-no migrazione di laghi nell’aria: chiamami adesso mipento d’aver deluso, il bagliore del riposo sulle tue lab-bra, ho un’ascia per occhio e la nebbia traspira la miavoce per fasciarne la guancia lunare. Sono rimasto ille-so, incolume il suono ha voluto scagionarmi ed è torna-to alle urne del Sole. Ascoltami mentre danzo tra leefelidi smeraldatela canzone non procede che dall’eco, le amiche midanno sostegno e note, io astro senescente, nato illesodal sogno del Minotauro, mi vedrai nella forma d’un cie-lo frustato a semisquame di cetra, più cielo più buio, laneve e il rosa della sera, mi vedrai, ologramma di vocicon quale voce, canterai per me, voce disalamandra,chiedimi la perla e il Morto avrà suono, orecchio per uc-cidere e braccia; lasciami solo adesso a ricordare, gli a-mici mi hanno squartato l’occhio che ti vedeva, l’ora ènulla e io sono ora, sono, che tu mi veda e mi voglia, a-mica bianca e buia, che tu mi veda,e creda.

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Deporti sulla punta d’una spina di cielonaufragarti tra le onde palmari, piangere il sonnodeceduto nell’attenderti.

La figlia offerse loro parola:essi la rapirono:il rosso in densi rovesci le svenivafin sopra le spalle, del respiro strappato fecero catene sottili appese in frantumi a pareti di fischio- alcune bruciaronoe le fiamme si tinserodi perla.

nachts,

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Colombe morsicate dagli aquiloni, ne ho viste aero-planare di tra le viole, che intonavano vibrazioni al-l’aria e gli amanti contemplare il finto sole. Dietro icalzari dei monti sugli altopiani dove mia madre fe-ce festa con me e si lasciò la prima volta baciare amorte che non avevo diciassette anni, così abbrutti-to che mi volli ferire e la volta si curvò e mi disse chenon ero io, non potevo essere ed essere io, dovevatrattarsi di un altro e ingannarmi mentre la baciavasulla pelle anche se la voce, nemmeno lei, mi stavaa sentire e alla volta chiesi ma su quel qualcosa tornò a scindersi in fessura spie-gando le ali a meche non le compresi.

Karfreitagskind,

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Il profumo del sogno scivolando lungo la notte ave-va intessuto schiuma fin sopra un viso a labbra di falci cui tenebre e magma strussero i finimenti in stagni dimare.Vidi divelta la corsa dei fiumi dai pallori raccolti in vita da vetrate sommerse l’amica vergognosa svestita incampo d’azzurro mi ferì e diededal palmo della mano sorgenteal tepore inumato nei dischi d’oro addosso allo scintillare notturno inciso sulla scogliera. Sacrifica il nulla, eterna pece d’impostura, al debole canto incassato tra le palpebre di cam-pane digiune. Alato sposo e custode,il cuore, gli fu tolto di bocca.

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Disteso sulla guancia d’un pratolieve incanto all’oroun albero di bollein rosse e di blu meridianola luna a lampia schizzi la nerezza sul far del cielositibonda d’aria e più d’inquieta.Macchia abbuiata fiamma di pubedipingo a te in madide sfere del più silenzioso coloreche sulle mie palpebre abbia mescidatoamore e risacca d’inchiostro.

Stirnenbogen.

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All’alto le colonne volsero frecce buielingue inturgono e vischio e veleniben oltre la cupa attesa del sole gliultimi soffi di morte si azzuffano nelle viscere dellanotte- germogli di scrosci riflessi ai bordi del petto: ustioniaccecano l’eco.Ma nel frastuono di polveri e carni ghiacciate si im-pone vetta sconfinata delle sdegnose colonne la fo-schia del demone, rifulsione di pianto infuliginatad’occhi, furioso turbinare d’oceani.

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Al ritorno ci fermammo sul limitare del tramontoraccolto in grumi di carnesul labbro senescente e ormai fosco del calice diur-no.Guardavamo le lame del sole incrinarsi,da una lastra ferita cadderoaltri volti,indeboliti,le onde per prime vollero spezzarli: schegge e lacrime corsero nel fondalespegnendo il volo nella gelida linfa.Il fuoco si estinse nelle cavità del cieloabbandonò un corpo molle di infiorescenze d’un rosa appannato.E mai il tramonto risorseintorno alla cucitura che unisce le sue labbra alle labbra di un angelonel folto mantelloi capelli di un biondo infernale.

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Ce n’era una vestita d’un rosso venato di viola e di nero soltanto, avevaun seno piccolo e soffice, magra e astratta come unlampo, la bocca traboccava luce su tutto il viso,drappeggiato di pesanti catene.Un ballo tra giovani spettri si fa cenere sul mare scal-zato dal proprio giaciglio, danza del lusso sfregiatoaccompagnami in un volo d’immenso tra gli ubria-chi e gli occhidirame.

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E certe paure d’infanzia che mi raccolsero con devota curadalla riva dove giacevo pennellato di brezza e sec-cola frescura mia compagna di lettol’odore di polvere bagnata dai raggil’ora tarda s’innalza:io tremo, al far dei suoni che l’alba intesse nella ca-sa e l’ombra si spegne con voce ghiacciata.Eppure, un bisbiglio mi impregna la bocca.

An

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Angelica

Mentre come d’incanto dormivo, una valle scura dinubi si è scoperta su un fianco. Tiepido nelle mem-bra, sono sceso, e gonfio e lucido negli occhi mi so-no calato. Era una coltre setosa e un vecchio gi-gante guardava quello che gli pareva un addomemolle e libidinoso. Lassù, mi disse, ma senza voltarsidalla mia parte, si cela un riflesso di stella, piovutonel sonno della nube setosa e in essa rimasto impi-gliato, la scalda e la nutre di una lieta calura. La nu-be tuttavia da tempo è sazia e di quell’ospite vor-rebbe disfarsi; ma non v’è modo.

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La libertà ha roso le labbra a colpi di frustaforgiate levigature, altari ritorti nella carne- del pari il lume dei sepolcri farsi cremisi d’intorno aigrigiori dell’alba.Ebbro di febbri stendevo gli sguardi su orizzonti, susolchi e vampe.Afrori lunari, lugubre gioia delle acque dolenti, galleggio girovago tra ossa caliginose.Un castello, invaso da luce fosca aveva lambito lefronde d’alcuni ruscelli e parmi d’averne intesa pa-rola, lontano,nei boschicavalieri restituiti al cielo sparso di demoni innevati.

Einsamen

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Voci annegate

Per me nidi di seta ragna, folta, imbevuta di perle l’orco tace il suo sonno untuoso, mescida al gridorappreso;una festa abbuia, le supplici gridano e alta l’ecos’intrama di brame. Credimi se t’amo, tu che vai paga di rabbia, ho mor-si ignei per le tue gambe, le gole squarciate denu-deranno lo scorrere delle acque: più cupo stride il lo-ro affetto brucia di canto, sussieguo d’onte ambrate, color cinabro violento; pace flessuosa dissipava cerchi di nebbia, braci flu-viali esalano fischi in bagliori sfrangiati, frantumi di fu-mo inebetiscono i passanti sospirando loro d’acco-sto nomi di amanti perdute.

elfenbeinerner

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Il Santo

Lo avevano deriso; ma il male non era questo, chesua madre fu fatta santa quand’era putrida di lab-bra e di natiche; non era il fiore di luna morto sul ro-sa delle palpebre a tenerlo in vita : le nubi di controavevano dissolto l’ira dei cani arrugginiti nei giardiniimpaludati di neve: e gioia gliene incolse, a vedere tra le siepi scintille divocifioco rammaricocompianto da fanciulle grevi di sguardo, sedute leune a fianco delle prime, vetuste di petto, angusted’ano. Beltà gliene incolse a domandare perdono, sotto levolute dei cipressi dai flutti ricurvi sui liquami di pe-sco, versati da squarci profumati d’incenso, nel costato dei morti raggelatidall’amore segreto degli astri.

Schläfe

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Il sogno

Vide turbe di vecchi cadaveri, macilenti e puntutid’ossa e di spade, traversare il solco aereo insemi-nato di occhi divelti; alla luce eburnea mesti e pro-tesi, strascichi di mantra amaranto decapitanti gli or-li delle ombremorivano le strade nel cupo dei boschi dove si di-pingevano i volti dei candelabri, anch’essi divelti,dagli altari sospesi sui lampi d’alabastro altrettantooffesi dal crominare delle iridi che verdeggiando stil-le di tuono squassavano le nebbie dorate secretedal dorso spugnoso delle lingue degli elfi incanutitida un baluginare di rantoli, laddove la notte muta lesembianze vagamente temporalesche in bocci dicarne putrefatta.

Erscheint

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Il requiem ortodosso spalanca lumi di calura su sca-glie di quadri e dal bianco infonde cecità e cecitàincolse nel volto e nei corpi.

Si fa quiete, su quel viso; a lungo, per i veli attratti dalvento urla di mare in dettaglio.Una lenta occhiata in diagonale, da un collo ad un braccio si insabbia nelnero.Dal colore un canto nascosto e l’emergere delle or-bitefitte orme di teschio.La pioggia orna di cristallo defunte sembianze e re-stituisce lucentezza di squamaai reamiscolorati inante.

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La Velna mi pianse con la voce rossa. Le fanciulle immobili sulle piazze di mezzo tramontoincise muto bagliore rincorse il filo delle fontane, pro-pagato d’eco in canto sui sentieri delle torri incapa-ci di quiete. Le piansero soffi di nettare biancico sciami recisi dacrepe secche staccate dai muri. Greve, e sonno anecoide si stese in volo sui deschidelle piazze, svilito affanno di chi volge il petto allecrune degli aspidi fisse tra gole di cosce e polveri nu-de.

Abglanz

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Un’ondata notturna,sciabolata di vento,infranse il suo scrigno sul dorso sonnifero delle spiagge,in altosui calici sbocciati di nevein altotra i fischi perlacei e gomitoli di viole

intrecciati gli uni a boccoli d’aranciole altre squarciate da riverberi e felci.

gefallener

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Guardò sua madre e la riscoperse trafittadi dardi sciaguratamente strutti che le morivano nel petto ;deliravano gli angoli delle bocche che parvero mu-tarsi in angeli neri cui disparverogli occhidabbasso le valli squartate dal freddo e grasse dimolli foschie pendevano navi sulle acque: il silenziole sospinse a babordo, verso scogliere lucenti comesangue di candeladescrissero un cerchio, piceo, nel torbidosole nascenteintinsero le vele nelle prime lacrime e queste volsero in serpi di fumo e di sterco:le vide corrodersi in cenere, a cumuli distese in desideri abitati dall’intingersi delle cartilagininell’ombra ridipinta di canto.

Engel.

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L’eco di campane si specchiò due volte contro l’as-senza di luce, dileguare versato nelmeridiano interiore le zone adiacenti la vista colarono a picco e unafra altre percossadevolse in mio favore lo sguardo e dovetti ricredermi sull’innocenza erosadal metallo tonante che bimbo per volontà d’istruiremi si diede in pasto.

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Era la nigredo intenta a dissanguarsi,erodere, dileguandosi nell’atto stesso di saturarmi;versare in me sorsi di odiamore, quello spettroche mi vuole nucleo dilaniato, inesausta fonte e tormento.Che silenzio, poi. Ascolto e l’acqua vestita di ruscelli si sfracella nel petto, ilbattito a vuoto dell’arancia ventricolare, la faticapolmonare dilatata alla compressione - il sibilare del-le vene nel loro di carne.Un frusciare d’onde, o briciole di specchi.

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Sfregi immobilisono colpi di palpebra placati, rimarcati nel verbocromatico fino alla censura; con quella mano pi-sciatrice una mano discorre, dolente persino di nonpotersi esimere dal bacio soffuso.Così gli occhi, due volte gli occhi, si arsero nerovio-laceleste e venne loro incontro lo sgretolarsi dell’acqua sul bordo di un labbro tricu-spidato sovrappeso a testa sotto,fin troppo lontanoperché barbagli e rugiada scuotessero un ultimo risosulle guance dei fiori tranciati di fresco e di costoro la setenon recidesse ruscelli,in cotanto turgore.

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Sussurro,mi è scivolato l’udito. Sugli specchi palustri un’immobile opalescenza at-teggia le braccia in fischi d’attesa. La canizie della roccia scompare ed emette il cor-po, late punte d’angoscia, scogli di suono e la guancia radiosa,un pianto solare emana feritanel pieno del medesimo tepore.Quale velo muliebre si erge un veliero di vento.Accanto,sopita vergogna celeste, frange il vetro; drappi scultorei. Una spada:immergerla nel petto di un giusto, in coppe di seta raccogliere la messe fluente, e cinti i capi in elmi atriformi,pascerne d’un grido gli eserciti.

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ERNESTO FIALDINI

Vociannegate

ERN

ESTOF

IALD

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Voc

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CCE

DIZIO

NI

Riconoscersi... vuol dire aprirsi ad unapoetica del toccare, all’estasi dellacarezza, alla disarmonia di un sentireche è interrogazione dell’esistenza eri/scoprire il soffio della libertà at/tra-verso le parole, la gestualità, l’amore.Non basta guardare insieme lo stessoorizzonte... occorre costruire insieme u-na cultura e un’etica della differenza(anche della sessualità...) dove ritorna-re a sé è anche il viaggio di ritorno ver-so il bambino (dimenticato) che siamostati. Amiamoci così senza (falsi) pu-dori... e facciamo del nostro peggio.

Lire diecimila