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IL TRASFERIMENTO ( 190— 191) Can. 190 § 1. Il trasferimento può essere effettuato soltanto da parte di colui, che ha il diritto di provvedere all’ufficio che si perde e insieme all’ufficio che viene affidato. § 2. Se il trasferimento fosse fatto contro la volontà del titolare dell’ufficio, è richiesta una causa grave e, fermo sempre restando il diritto di esporre le ragioni contrarie, si osservi il modo di procedere disposto dal diritto. § 3. Il trasferimento, per sortire effetto, deve essere intimato per iscritto. Can. 191 § 1. Nel trasferimento, il primo ufficio è vacante con il possesso del secondo ufficio canonicamente ottenuto, a meno che non si disponga altrimenti dal diritto o non sia stato imposto altro da parte dell’autorità competente. § 2. Il trasferito percepisce la remunerazione connessa con il primo ufficio, finché abbia ottenuto canonicamente il possesso del secondo. 1. Concetto e distinzioni 1) Definizione Il trasferimento di cui trattano i 190— 191, è il passaggio del titolare di un ufficio ecclesiastico ad un altro ufficio, a seguito di un particolare provvedimento emanato dalla competente autorità. Il trasferimento comprende così un duplice atto: la rinunzia o la privazione del primo ufficio, e il conferimento di un altro, in cambio del precedente. 2) Distinzioni Il trasferimento può essere volontario o libero e forzoso o autoritativo. Il primo avviene su istanza e col libero consenso del titolare; il secondo è fatto d’autorità dal Superiore competente “invito officii titulari”. Secondo la procedura seguita, il trasferimento autoritativo è giudiziario o amministrativo. Il trasferimento è infine penale, se viene imposto per sentenza o decreto, come pena di un reato. 2. Le norme 1) L’autorità competente 190, §1(193, § 1*) Il trasferimento è una forma speciale di provvista canonica di un ufficio e, come tale, può essere effettuato solo dall’autorità ecclesiastica competente. Considerato il suo duplice aspetto accennato nel paragrafo precedente — la cessazione dal primo ufficio e il conseguimento di un altro al posto del precedente — l’autorità competente è quella da cui dipende sia l’ufficio che si lascia sia il nuovo ufficio che si ottiene. Così, ad esempio, il trasferimento dei Vescovi diocesani è di competenza del Romano Pontefice ( 416); dei parroci, di competenza del Vescovo diocesano ( 523), e dell’Amministratore diocesano solo dopo un anno dalla vacanza o dall’impedimento della sede episcopale ( 525, n. 2); degli altri uffici di carattere diocesano, del medesimo Vescovo e, limitatamente, dell’Amministratore diocesano (cfr. 485; 509, § 1; 1420, § 5). Il trasferimento dei Superiori religiosi è regolato dalle norme del proprio diritto ( 624, § 3). 1. Ovviamente, l’ufficio che viene conferito dev’essere di libera collazione. Qualora siasoggetto a diritti quesiti di presentazione o elezione, l’autorità ecclesiastica deve ottenere il consenso dei rispettivi concessionari. Ma possono i medesimi presentare o eleggere chi è già titolare di un altro ufficio, e determinarne in tal modo il trasferimento? Il 195 del Codice precedente escludeva formalmente che coloro i quali avessero eletto o postulato o presentato a un ufficio un chierico, potessero poi privarlo, o revocarlo o rimuoverlo dal medesimo, o trasferirlo ad un

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IL TRASFERIMENTO  ( 190— 191)

Can. 190

§ 1. Il trasferimento può essere effettuato soltanto da parte di colui, che ha il diritto di provvedere all’ufficio che si perde e insieme all’ufficio che viene affidato.

§ 2. Se il trasferimento fosse fatto contro la volontà del titolare dell’ufficio, è richiesta una causa grave e, fermo sempre restando il diritto di esporre le ragioni contrarie, si osservi il modo di procedere disposto dal diritto.

§ 3. Il trasferimento, per sortire effetto, deve essere intimato per iscritto.

Can. 191

§ 1. Nel trasferimento, il primo ufficio è vacante con il possesso del secondo ufficio canonicamente ottenuto, a meno che non si disponga altrimenti dal diritto o non sia stato imposto altro da parte dell’autorità competente.

§ 2. Il trasferito percepisce la remunerazione connessa con il primo ufficio, finché abbia ottenuto canonicamente il possesso del secondo.

1.  Concetto e distinzioni1) DefinizioneIl trasferimento di cui trattano i 190— 191, è il passaggio del titolare di un ufficio ecclesiastico ad un altro ufficio, a seguito

di un particolare provvedimento emanato dalla competente autorità.Il trasferimento comprende così un duplice atto: la rinunzia o la privazione del primo ufficio, e il conferimento di un altro, in

cambio del precedente.2)  DistinzioniIl trasferimento può essere volontario o libero e forzoso o autoritativo. Il primo avviene su istanza e col libero consenso del

titolare; il secondo è fatto d’autorità dal Superiore competente “invito officii titulari”.Secondo la procedura seguita, il trasferimento autoritativo è giudiziario o amministrativo. Il trasferimento è infine penale, se

viene imposto per sentenza o decreto, come pena di un reato.2.  Le norme1)  L’autorità competente 190, §1(193, § 1*)  Il trasferimento è una forma speciale di provvista canonica di un ufficio e, come tale, può essere

effettuato solo dall’autorità ecclesiastica competente.Considerato il suo duplice aspetto accennato nel paragrafo precedente — la cessazione dal primo ufficio e il conseguimento

di un altro al posto del precedente — l’autorità competente è quella da cui dipende sia l’ufficio che si lascia sia il nuovo ufficio che si ottiene. Così, ad esempio, il trasferimento dei Vescovi diocesani è di competenza del Romano Pontefice ( 416); dei parroci, di competenza del Vescovo diocesano ( 523), e dell’Amministratore diocesano solo dopo un anno dalla vacanza o dall’impedimento della sede episcopale ( 525, n. 2); degli altri uffici di carattere diocesano, del medesimo Vescovo e, limitatamente, dell’Amministratore diocesano (cfr. 485; 509, § 1; 1420, § 5). Il trasferimento dei Superiori religiosi è regolato dalle norme del proprio diritto ( 624, § 3).

1. Ovviamente, l’ufficio che viene conferito dev’essere di libera collazione. Qualora siasoggetto a diritti quesiti di presentazione o elezione, l’autorità ecclesiastica deve ottenere il consenso dei rispettivi concessionari. Ma possono i medesimi presentare o eleggere chi è già titolare di un altro ufficio, e determinarne in tal modo il trasferimento? Il 195 del Codice precedente escludeva formalmente che coloro i quali avessero eletto o postulato o presentato a un ufficio un chierico, potessero poi privarlo, o revocarlo o rimuoverlo dal medesimo, o trasferirlo ad un altro. Ma questo non impedisce che lo facciano condizionatamente, rimettendosi in modo espresso e al consenso del titolare, che dovrebbe rinunziare all’ufficio di cui è rivestito in atto, e soprattutto al consenso dell’autorità ecclesiastica, alla quale compete accettare la rinunzia e confermare la presentazione o l’elezione. L’esercizio del diritto quesito avrebbe allora il carattere di una istanza di grazia.

2)  La giusta causa e la procedura 190, § 2 (193, § 2*)  Il 193, § 2, del Codice precedente aveva una formulazione più chiara e completa, poiché

distingueva il trasferimento effettuato col consenso del titolare e quello imposto dall’autorità contro il suo volere. La distinzione dev’essere tenuta presente tuttora.

Nel primo caso, si richiede ed è sufficiente qualunque giusta causa, né è necessaria una procedura speciale.Nel secondo caso, si richiede una causa grave (si tratta di privare una persona di un diritto legittimamente acquisito), ed è

anche necessaria l’osservanza della procedura, amministrativa o giudiziaria, prescritta dal diritto, con l’obbligo di ascoltare e valutare obiettivamente le ragioni opposte dal titolare che s’intende trasferire.

La “giusta” e la “grave” causa devono essere considerate alla luce della “equità naturale e canonica” (Decr. Christus Dominus, n. 31, 3).

Il trasferimento dei parroci segue una propria procedura amministrativa, contenuta nei 1748— 1752. La medesima procedura — servatis servandis — potrà essere osservata opportunamente nel trasferimento forzoso da altri uffici, che non abbiano norme proprie. Del trasferimento penale tratta il 1336, § 1, n. 4, e § 2.

Senza dubbio, nei trasferimenti si è tenuti moralmente e giuridicamente a rispettare con ladovuta equità i diritti e le esigenze delle persone, ma occorre soprattutto provvedere al bene delle anime, che è la legge suprema della Chiesa ( 1752). È a tale

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scopo che tende l’abolizione della inamovibilità dei parroci, disposta dal Concilio Vaticano II nel citato Decr. Christus Dominus (n. 31, 3).

Il trasferimento è una vera nuova provvista, anche se di carattere speciale. Di conseguenza, nell’effettuarlo, occorre osservare le norme di carattere generale contenute nei 146— 156, in particolare quelle concernenti le qualità necessarie (l’idoneità), in rapporto all’ufficio ad quod, qual è in concreto.

3)  L’intimazione o notifica 190, § 3  La norma è nuova: essa prescrive che il decreto di trasferimento — sia volontario che forzoso — per la sua

stessa validità (ut effectum sortiatur), debba essere notificato in iscritto all’interessato (cfr. anche 156).La notifica va fatta a norma dei 54— 56.3.  Gli effetti1)  La vacanza dell’ufficio 191, § 1 (194, § 1*)  Il trasferimento comporta per definizione la revoca del primo ufficio, che in conseguenza diviene

“vacante”. La vacanza effettiva si ha per altro non con l’atto di trasferimento, ma con la presa di possesso canonico del nuovo ufficio da parte del trasferito: una norma saggia, che, da una parte, evita che l’ufficio a quo resti senza titolare, e, dall’altra, assicura per il frattempo al trasferito il congruo sostentamento. Il canone aggiunge tuttavia: “tranne che il diritto (comune, particolare o statutario) disponga diversamente o che l’autorità competente prescriva altro. Tale clausola ha, fra l’altro, lo scopo di superare le difficoltà che potrebbero sorgere dal 153, § 1, in caso di trasferimenti vari che avessero luogo simultaneamente (n. 1061).

Potrebbe però accadere che, emesso il decreto di trasferimento senza la clausola accennata, il trasferito si rifiuti di prendere possesso del nuovo ufficio, mentre si pensa di affidare l’ufficio a quo a un titolare diverso. In questo caso, se l’autorità ecclesiastica non ritiene opportuno revocare il trasferimento, si potranno applicare per analogia i 527, § 3, e 1751, § 1, relativi alle parrocchie. Vale a dire, si fisserà al titolare trasferito un termine per prendere possesso del nuovo ufficio e, alla sua scadenza, si dichiarerà con decreto la vacanza del detto ufficio a quo.

Il trasferimento del Vescovo segue una normativa speciale, poiché, da una parte, la diocesi aqua diviene vacante dal giorno della presa di possesso della nuova diocesi ( 418, § 1), e, dall’altra, il Vescovo trasferito continua a reggere la diocesi a qua con le facoltà di Amministratore diocesano ( 418, § 2, n. 1).

2)  La rimunerazione del trasferito 191, § 2 (194, § 2*)  Poiché la vacanza effettiva dell’ufficio a quo è legata alla presa di possesso del nuovo ufficio, il

trasferito continua nel frattempo a percepire la rimunerazione connessa con l’ufficio precedente.La norma è confermata nel 418, § 2, n. 2, concernente il trasferimento del Vescovo diocesano.4.  Il trasferimento, rimozione e permuta1)  Trasferimento e rimozioneSono due istituti diversi, con normative proprie, anche se nel trasferimento ha luogo, come presupposto, la revoca

dell’ufficio precedente, che, in sostanza, è una rimozione da esso. Tale revoca, tuttavia, si fa in prospettiva del conferimento di un nuovo ufficio, in cambio del primo, mentre nella rimozione in senso proprio al titolare rimosso non viene assegnato alcun altro ufficio, almeno all’atto di rimozione. Il trasferito, inoltre, nel passaggio dall’uno all’altro ufficio di regola ha una continuità che non subisce interruzione, poiché, normalmente, la titolarità del primo ufficio cessa nel momento stesso in cui si acquista la titolarità del secondo (cfr. 191, § 1).

1. La differenza tra i due istituti appare nettamente nei 1740— 1752, dedicati alla rimozione e al trasferimento dei parroci.

2)  La permutaNel Codice precedente, il 1487 consentiva la permuta di due benefici, a determinate condizioni. La disposizione manca nel

nuovo Codice (anche a motivo della riforma beneficiaria disposta dal 1272), per cui, tenendo anche conto dei 146— 147, e 190, § 1, è da considerarsi abrogata. Una permuta di due uffici potrebbe aver luogo solo se l’autorità competente, accogliendo l’istanza dei rispettivi titolari, emani un suo provvedimento autonomo, con la concessione del duplice trasferimento reciproco. Si richiede per altro un motivo adeguato, che può essere sia l’utilità della Chiesa che altra giusta causa ( 1487, § 1, Codice 1917). È anche da valutare l’idoneità dei due trasferiti in ordine al nuovo ufficio.