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DISABILE IN...FORMA Direttore Responsabile Dott.Vincenzo Dolce Art Director Dott.ssa Martina Di Liberto Testi Eleonora Di Liberto, Flaviana Fricano, Maria Giulia Spinoso, Martina Di Liberto,Vincenzo Scalavino, Simona Spinoso, Stefano Spera. Palermo Maggio-Giugno 2016 n°57 Best practices: formazione dei volontari e linguaggio semplice Il calcio integrato Gita in barca a vela Cyclopride Day Palermo 2016: sempre presenti! Festa dell’Europa Training course in Polonia Emigrante Racconto del passato, specchio del presente. In questo numero: Periodico d'informazione fondato da Associazione Uniamoci Onlus

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Periodico redatto dall'Associazione Uniamoci Onlus con articoli relativi alla disabilità, la cooperazione internazionale in ambito sociale, argomenti di attualità e progetti realizzati dall'Associazione Uniamoci Onlus.

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DISABILE IN...FORMA

Direttore Responsabile Dott. Vincenzo Dolce Art Director

Dott.ssa Martina Di LibertoTesti Eleonora Di Liberto, Flaviana Fricano, Maria Giulia Spinoso, Martina Di Liberto, Vincenzo Scalavino, Simona Spinoso, Stefano Spera.

Palermo Maggio-Giugno 2016 n°57

Best practices: formazione dei volontari e linguaggio semplice

Il calcio integrato

Gita in barca a velaCyclopride Day Palermo 2016: sempre presenti!Festa dell’EuropaTraining course in PoloniaEmigranteRacconto del passato, specchio del presente.

In questo numero:

Periodico d'informazione fondato da Associazione Uniamoci Onlus

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Cu non ci avi lu chiffari sta sempri a criticari Chi non ha da fare sta sempre a criticare

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La Dott.ssa Eleonora Di Liberto, Vicepresidente dell'Associazione Uniamoci Onlus, ha svolto una job-sha-dowing a Brema tramite "Going international": un progetto di apprendimento rivolto allo staff dell'Associa-zione Uniamoci Onlus, che ha coinvolto in totale 6 operatori per apprendere nuove ed efficaci competenze gestionali, nuove tecniche, strategie, modus operandi concreti, validati e attualmente impiegati da un'orga-nizzazione affine, ampia e all'avanguardia, quale l'Organizzazione tedesca Werk Diakonisches di Brema. Il Progetto è cofinanziato dall'Unione europea.

A seguire le sue testimonianze:

Best ractices:

formazione dei volontari e linguaggio semplice

Due aspetti che mi hanno partico-larmente interessato durante la mia job-shadowing presso l’organizzazione tedesca Diakonie Bremen nell’ambito del progetto Going International, cofi-nanziato dal programma europeo Era-smus+, riguardano la formazione dei volontari e l’impiego dell’easy language quale strumento per il superamento di alcune barriere alla comunicazione.Il volontariato rappresenta un ele-mento basilare delle attività svolte dall’Associazione Uniamoci Onlus ed un valido contributo per garantire la continuità delle attività da essa pro-mosse e realizzate a favore dell’inclu-sione sociale delle persone con disabi-lità. Il volontario è una persona che, in modo spontaneo, si rende disponibile al servizio gratuito e disinteressato alle persone o ad una comunità dedican-do tempo, professionalità e passione. Un’ampia revisione di 40 ricerche,

pubblicata sulla rivista BMC Public Health dimostra che occuparsi degli altri e spendersi in attività benefiche non è vantaggioso solo per chi riceve le nostre attenzioni, ma anche per la nostra salute: il volontariato infatti au-menta il benessere generale, allontana il rischio di depressione, ci rende più soddisfatti di noi stessi e addirittura potrebbe allungare la vita1. Al fine di

1 http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/14_genna-io_07/volontariato-fa-bene-salute-potrebbe-addirittura-allungare-vi-ta-3972a3fc-77a7-11e3-823d-1c8d3dcfa3d8.shtml

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rendere più efficace il contributo dei volontari ma anche al fine di unifor-marlo alla mission dell’organizzazione cui afferiscono e di facilitare la creazio-ne di una rete supportiva e di relazioni personali tra i volontari stessi, potreb-be essere utile prevedere degli incontri periodici di formazione dei volontari. L’organizzazione Diakonie Bremen vanta il contributo annuale di circa 130 giovani volontari, tali grandi cifre fanno si che la loro formazione sia non solo utile ma addirittura indispensa-bile. L’elemento forse più interessante del tipo di formazione fornita riguarda l’utilizzo di tecniche di apprendimento non formali, mediate dall’uso di pre-sentazioni, ma anche giochi di ruolo e discussioni di gruppo che non ri-guardano solo le tematiche specifiche dell’area in cui il volontario verrà im-piegato ma anche più in generale, su altre tematiche sociali. L’incontro con il trainer che ha gestito alcuni incontri di formazione mi ha consentito di rac-cogliere alcuni strumenti che potran-no essere impiegati in future attività dell’Associazione Uniamoci Onlus.Per quanto riguarda invece l’easy lan-guage, si tratta di un linguaggio sem-

plificato che possa essere facilmente comprensibile per persone con defi-cit cognitivi ma anche per persone di diversa provenienza culturale: il lin-guaggio comunemente utilizzato da giornali, siti web, ma anche durante conferenze etc. è spesso complicato e pieno di termini tecnici difficilmente comprensibili, che dunque possono rappresentare una barriera alla comu-nicazione. In Germania la creazione e traduzione di testi in easy language sta iniziando a diffondersi ampiamente ed è sempre più richiesta anche durante convegni e seminari: a Brema vengono prodotti in easy language anche i pie-ghevoli con le informazioni turistiche. In Italia non è facile trovare esempi di applicazione di tale linguaggio, le prin-cipali informazioni rinvenibili sul web sono relative ad un progetto europeo realizzato da Anfass insieme ad Inclu-sion Europe. Il linguaggio semplifica-to o facile da leggere è un importante strumento di inclusione che l’Associa-zione Uniamoci Onlus si propone di diffondere a livello nazionale con pro-getti ed attività locali e transnazionali, nei prossimi anni.

Dott.ssa Eleonora Di LibertoVicepresidente e Project Manager

Associazione Uniamoci Onlus

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Era una giornata soleggiata il 16 aprile 2016 in cui i membri dell'Associazio-ne Uniamoci Onlus si sono riuniti per giocare a calcio integrato. Il calcio in-tegrato è uno sport di squadra in cui giocano insieme disabili, non disabili e accompagnatori. È stata una giornata stupenda e molto calda, quasi estiva. Ci siamo divertiti davvero tanto, la nostra squadra ha perso tre a quattro, Davide Schiera è caduto dalla sedia a rotelle. E' stata una caduta spettacolare. Simona, che accompagnava Davide Schiera, ha fatto una curva troppo velocemente e Davide si è inclinato prima sulla ruota sinistra, poi sulla destra e infine è ca-duto a faccia a terra. Tutti sono corsi subito ad aiutarlo. Io ho riso un sacco perchè la caduta è stata troppo diver-tente, ma mi sono anche preoccupata che si fosse fatto male, ma niente pau-ra, era lì sul prato che rideva anche lui, d'altronde anche i giocatori professio-nisti cadono! Io ho giocato a calcio da sola perchè ho la carrozzina elettrica. Simona mi diceva di placcare Davide Restivo e di non farlo avvicinare alla palla e quindi io ero la sua ombra, an-che se lui era troppo veloce per me.

Il alcio Integrato

La giocatrice più brava, secondo me, è stata Giulia, la mia amica del cuore, ha fatto la doppietta due goal e un rigore. Roberto, l'amico di Gabriele, ha fatto un goal, Davide tre goal, la parata l'ha fatta Gabriele e Carlo ha fatto da arbi-tro. Io mi sono divertita tantissimo, è stata un'esperienza nuova ed eccitante e spero di poterla ripetere molto molto presto. Ritengo sia stata un'esperienza di inclusione sociale molto importante e bella che ha avvicinato tutti, disabili e non, e ci ha reso tutti molto più uniti e complici.

Flaviana Fricano

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Calcio Integrato Palermo 2016

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Gita in barca a ela

Sabato 7 maggio, in occasione del pro-getto sullo sport che si chiama Sport and Inclusion for an Healthy Lifestyle, in partenariato con l’Associazione te-desca Diakonisches Werk Bremen, sia-mo stati alla Lega Navale, situata alla Cala di Palermo, per fare una gita in barca a vela.Siamo arrivati sul luogo dell’incontro di mattina presto e nel frattempo che aspettavamo gli esperti che ci avrebbe-ro portati a fare il giro in barca, abbia-mo passato il tempo a giocare a palla insieme ai ragazzi tedeschi e ogni volta che tiravamo la palla dovevamo dire il nome della persona a cui la tiravamo per imparare di volta in volta i nomi di tutti; devo dire che questi giochi per conoscersi mi piacciono sempre tanto, però che impresa riuscire a ri-cordarsi tutti i nomi! Una volta finito il gioco, ci siamo riuniti tutti intorno agli esperti che ci hanno spiegato un po’ la storia della Lega Navale e anche com’è fatta una barca a vela dal punto di vista strutturale. Dopodiché siamo stati divisi a gruppi e ogni gruppo a

turno saliva sulla barca a vela e faceva il suo giro; per salirci arrivavamo su una passerella con la carrozzina e poi, aiutati dagli esperti, ci sedevamo nella barca senza la carrozzina.Io ero con Martina, Vincenzo Dolce e Davide Schiera e specialmente all’ini-zio, la barca sulla quale eravamo face-va un po’ di fatica a prendere il largo, a causa del forte vento, infatti all’inizio abbiamo dovuto utilizzare i remi, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Gli esperti hanno cominciato subito a spiegarci

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il funzionamento delle vele e come si spostavano in base alla direzione da cui soffiava il vento, che quel giorno cambiava spesso direzione. A me e a Martina hanno addirittura fatto gui-dare la barca affidandoci le cime e devo dire che è stata una sensazione stranissima, ma al tempo stesso mol-to bella ed eccitante, perché riuscivi a sentire la forza del vento che spingeva le vele e che ci faceva muovere. Dopo più o meno tre quarti d’ora siamo scesi stanchi ma soddisfatti e siamo andati tutti insieme a pranzo. Al rientro dal pranzo siamo ritornati nella sede del-la nostra associazione e tutti insieme abbiamo realizzato alcuni giochi per

bambini e dei poster per la giornata del Cyclopride che si sarebbe svolta il giorno dopo.Devo dire che la barca a vela è uno sport da un lato molto complesso, per-ché devi imparare molte nozioni tec-niche e devi imparare anche a capire in che direzione soffia il vento, però dall’altro molto semplice e anche ri-lassante, perché a parte il vento non ti serve nient’altro per partire, sei solo tu e quella vasta distesa che è il mare e poi è uno sport veramente adatto a tutti e che ognuno di noi dovrebbe provare almeno una volta nella vita.

Maria Giulia Spinoso

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Gita in barca a vela Palermo 2016

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Cyclopride ay Palermo 2016: sempre presenti!

Anche quest'anno l'Associazione Uniamoci Onlus è stata presente al Cyclopride Day, evento a cui prende parte fin dalla prima edizione nel 2014. Quest'anno con noi erano presenti an-che i ragazzi della Diakonie Bremen, Organizzazione tedesca, nostro part-ner da ormai parecchio tempo con cui stiamo svolgendo un'iniziativa giova-nile transnazionale realizzata nell'am-bito del programma Erasmus+, il cui tema centrale è lo sport, inclusione sociale e stile di vita sano, dal nome “SI healt-Sport and Inclusion for an Healthy Lifestyle". Il Cyclopride è per noi un'occasione perfetta per la sen-sibilizzazione ad intraprendere uno stile di vita più salutare, fatto di scelte corrette, abitudini sane e soprattutto movimento, per tale scopo noi parte-cipanti al Progetto SI Healt, gruppo costituito da giovani e giovani con disabilità provenienti dall'Associa-zione palermitana Uniamoci Onlus e dall'Organizzazione tedesca Diakonie Bremen, abbiamo realizzato dei poster con lo scopo di illustrare le principali regole per uno stile di vita sano, attra-verso un linguaggio semplice e diretto adatto anche e soprattutto ai più picco-li; ed è per loro che abbiamo pensato e realizzato dei giochi di movimento divertenti e dinamici da svolgere all'a-perto e con il coinvolgimento dei pas-santi, domenica 8 Maggio al Village del Foro Italico. Quella domenica noi eravamo lì, presenti e numerosi come ogni anno, ma stavolta anche con un

partner straniero. Mentre una parte del gruppo era impegnata a svolgere le attività preparate, dimostrando con successo che attività fisica è anche di-vertimento, l'altra parte del gruppo si preparava per l'atteso giro in bici. La piazza era un brulichio di gente che si muoveva tra i vari stand delle associa-zioni preseni, e tanti, veramente tanti, erano coloro che di lì a poco sarebbero partiti per la pedalata in città. Gente di tutte le età, anche bambini, con la vo-glia di vivere la città in modo diverso, sportivamente e nel rispetto dell'am-biente. Io e parte del gruppo tedesco della Diakonie abbiamo noleggiato delle bici per poter partecipare alla pe-dalata, il percorso previsto, di circa 20 chilometri era un po' troppo impegna-tivo per il nostro gruppo in cui erano presenti diversi ragazzi con disabilità, ma fortunatamente ci è stata data dagli organizzatori della manifestazione la possibilità di svolgerne solo una par-

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te. Siamo stati “scortati” dallo staff di Palermonotteinbici che ci ha accom-pagnati in questa avventura per tutto il tragitto, dandoci la possibilità di sepa-rarci dal corteo non appena qualcuno sarebbe stato troppo stanco per prose-guire. Alle 10:30 è partito il corteo del Cyclopride Day Palermo 2016, fiumi di bici, e noi in coda in maniera tale da non essere d'ostacolo agli altri ciclisti quando avremmo deciso di separarci. Non era una competizione, ma una passeggiata, con qualche breve sosta di tanto in tanto per ricompattare il gruppo. Atmosfera serena, piacevoli chiacchiere con il vicino in bici a fian-co, traffico chiuso, sembrava un'altra Palermo, peccato che poco dopo gli automobilisti in attesa del fluire del corteo hanno cominciato a stressarsi e suonare nervosamente i clacson, ma noi, rilassati sulle nostre bici, abbiamo risposto coralmente con il dolce drin drin dei nostri campanelli. Io e il mio gruppo eravamo partiti con l'idea di percorrere circa sei chilometri, ma poi tutti abbiamo voluto proseguire e ne abbiamo percorsi circa 11 decidendo di tornare al Village del Foro Italico

quando i ragazzi cominciavano ad es-sere più stanchi. A quel punto lo staff Palermonotteinbici si è premurato di farci staccare dal corteo e guidarci per il tragitto più breve e più sicuro per raggiungere il Village, rispettando con pazienza i tempi di tutti e conce-dendoci qualche pausa per recupera-re energie. Il Cyclopride Day Palermo 2016 si è dimostrato un evento capace di coinvolgere molta gente e di tutte le età, capace di regalare emozioni po-sitive derivate dallo stare insieme, dal godere della propria città da un punto di vista differente da quello che vivia-mo quotidianamente, e dal benessere derivato dal movimento e dall'essere attivi. L'attività fisica è per tutti, ed il Cyclopride è stato un evento inclusivo capace di stimolare la socializzazione tra i partecipanti e sensibilizzare ad una vita meno sedentaria, dimostran-do quanto è più piacevole una peda-lata rispetto allo stress della guida nel traffico. Concludo dicendovi che pre-sto acquisterò una bici e che attendo il Cyclopride Palermo 2017 per essere, di nuovo, presente.

Dott.ssa Martina Di Liberto

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Cyclopride Day

Palermo 2016

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Cyclopride Day

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Festa dell’ uropa

La festa dell’Europa si celebra il 9 Maggio di ogni anno. Questa data ri-corda il giorno del 1950 in cui vi fu la presentazione del piano di coope-razione economica, ideato da Jean Monnet che segna l'inizio del processo d'integrazione europea con l'obiettivo di una futura unione federale. La fe-sta si è svolta a Palermo a Villa Trabia. Nonostante le condizioni metereolo-giche non proprio ottimali, come in ogni occasione, la nostra Associazione Uniamoci Onlus era presente con uno stand dedicato e con noi hanno parte-cipato tante classi di scuole elementari e medie. La giornata si è svolta dalle nove all’una e ha visto come detto, la partecipazione di diverse scuole che sono state coinvolte da noi volonta-ri a conoscere la nostra Associazione attraverso un breve racconto delle no-stre attività e tramite giochi di movi-mento e quiz inerenti allo stile di vita salutare. Devo dire che, nonostante l’iniziale confusione il tutto si è svolto in maniera simpatica e divertente, sia per noi volontari che per i bambini: infatti noi cercavamo di coinvolgere il più possibile i bambini affinché ci

ascoltassero e loro erano talmente pre-si come se stessero per vincere l’ultima Playstation in commercio. E’ stata una bella sensazione perché ti sentivi utile verso quei piccoli uomini contenti di imparare cose nuove e vedendo loro ri-cordavo quando avevo la loro età. D’al-tronde, avendo molti contatti con l’U-nione Europea, la nostra Associazione non poteva di certo mancare. Alla fine sono andato via contento, sperando di avere insegnato qualcosa a dei piccoli ometti. Bellissima giornata.

Dott. Vincenzo Scalavino

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Training ourse in Polonia

Dal 3 all’11 di maggio sono partita per un training course in Polonia, direzio-ne Krzyzewo. Krzyzewo è un piccolo villaggio nel nord-est della Polonia, a 2 ore e 15 minuti da Varsavia, nel cuo-re della campagna polacca, tra campi, foreste, mucche e cavalli. Noi alloggia-vamo in un albergo accanto il quale c’era un maneggio in cui si praticava l’ippoterapia per persone disabili. Il training course è stato organizzato da un’associazione polacca che lavora nell’ambito della sordità. Eravamo un gruppo di 20 tra ragazzi e adulti, quasi tutte donne, provenienti dalla Polonia, dall’Italia, da Cipro, dalla Grecia, dalla Slovenia, dalla Spagna e dall’Unghe-ria. Del nostro gruppo facevano parte anche 6 ragazzi diversamente udenti, 2 spagnoli e 4 polacchi, coadiuvati da due interpreti LIS. Il lavoro è stato in-centrato sul tema del servizio di volon-tariato europeo per disabili. Ci siamo focalizzati, in particolare, sulla parte burocratica che si cela dietro l’organiz-zazione di tale servizio e sul modo in cui organizzarlo quando il volontario è una persona con speciali necessità.

La presidentessa dell’associazione po-lacca, nonché organizzatrice del trai-ning course, ci è stata a tal proposito molto di supporto, chiarendoci tanti dubbi e perplessità e illuminandoci su punti per noi oscuri attraverso attivi-tà di gruppo, brain storming e realiz-zazione di progetti. Il contributo più importante, però, è stato senza dubbio dato dai ragazzi diversamente udenti. Nonostante la mia esperienza nell’am-bito della disabilità, approcciarmi per la prima volta con questo tipo di disa-

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bilità è stato come ripartire daccapo. Se approcciarsi con una persona in sedia a rotelle richiede una sensibilità elevata, approcciarsi con una persona con difficoltà di udito richiede un pas-so in più ulteriore quale per esempio ricordarsi di guardarli mentre si parla loro o che se li si chiama mentre sono di spalle quasi sicuramente non si rice-verà risposta…una serie di accortezze, insomma, che se ci si approccia per la prima volta con questo tipo di disabi-lità, è molto facile tralasciare. Proprio per questo ci si rende conto, vivendo-

lo, del grandissimo impegno che met-tono le interpreti nel segnare la lingua a questi ragazzi. Una delle attività più divertenti e formative è stata, infatti, quando ci siamo riuniti tutti in cer-chio sul prato e le interpreti ci hanno insegnato alcuni rudimenti della lin-gua dei segni. Senza ombra di dubbio è stata un'esperienza altamente forma-tiva e bellissima che mi ha arricchito tanto e in cui ho conosciuto persone meravigliose che resteranno sempre nel mio cuore.

Dott.ssa Simona Spinoso

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Emigranteacconto del passato,

specchio del presente.

Dalla raccolta di racconti Vite in viaggioStorie di uomini in fuga

Premessa

Queste brevi narrazioni vogliono rappresentare un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo le problematiche legate al fenomeno dell’immigrazione, nel tentativo di mettere in evidenza le similitudini che hanno interessato la condizione di disagio vis-suta dai migranti che nei primi anni del 900’ si sono spostati dall’Europa agli Stati Uniti, e la condizione dei migranti che oggi approdano numerosi e disperati nelle nostre coste.I racconti che seguono, frutto della fantasia dell’Autore, sono altresì un invito affinché l’opinione pubblica comprenda meglio l’importanza che può rappresentare un rinnovato spirito di accoglienza verso questi uomini che fuggono dalla fame e dalle guerre, uno spirito che hanno mostrato verso i nostri avi i Paesi in cui essi hanno trovato ospitalità, quando si fuggiva dalla miseria nera delle nostre terre.A sostegno di quanto detto in precedenza, si vuole inoltre ricordare che i Paesi che han-no accolto i migranti 100 anni or sono hanno ricevuto grandi risorse e benefici dalla di-versità. Non a caso, riferendosi agli immigrati italiani, ben tre sindaci di New York, unadelle più importanti città al mondo, sono stati di origine italiana (Frank La Guardia, Vin-cent Impillitteri e Rudolph Giuliani). E italiano è anche l’attuale sindaco Bill De Blasio.La conclusione di questa breve premessa è la seguente riflessione, che scaturisce dalla constatazione dell’accanimento dell’opinione pubblica ogniqualvolta gli immigrati pre-senti nel nostro territorio si rendono protagonisti di fatti di cronaca nera. Questi, come tutti i cittadini, vanno perseguiti laddove sbagliano e tengano comportamenti illeciti, ma si ricorda che, oltre alle illustri personalità sopra citate, gli Stati Uniti hanno ricevuto “in dono” dai flussi migratori, tra le altre cose, anche la Mafia.

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Correva l’anno del Signore 1915…

Mi chiamo Calì Filippo, ho 24 anni e sono il terzo di quattro figli maschi. Due anni fa mio padre mi disse: << È arrivato quel foglio >>.<< Quale foglio >>, sussurrai.<< Come quale foglio? Il passaporto, l’hai dimenticato? Stiamo aspettando da due mesi >>.Proprio in quel momento ricordai che qualche mese prima mi ero recato con lui al Mu-nicipio del paese. Quel giorno mi fecero tantissime domande sul mio conto: gli anni, il nome, e tante altre informazioni che lì per lì ritenni inutili.<< Adesso ricordo >>, dissi riemergendo dai miei pensieri.<< Bene - borbottò lui - domani partirai >> continuò.<< Per dove? >> ribattei.<< In America, figlio mio, te ne vai in America >>.Rimasi sconvolto da quanto avevo appreso. << Perché? >> risposi perplesso dopo attimi di silenzio.<< Come perché! - disse - vuoi fare forse la vita che ho fatto io? >>.In quell’istante ripensai a tutte le sere in cui mio padre andò a letto completamente di-giuno, per dare a noi figli quel poco che riusciva a racimolare. Del resto, a ripensarci, noi non avevamo nulla, né asino né terra da arare.Mio padre si arrangiava come poteva… a mietere, a tagliar legna, e tutto quello che oc-correva fare, ricevendo come al solito una paga misera!Quell’istante mi parve un’eternità. Lui improvvisamente continuò incalzante:<< Devi andartene via da qui, andrai a New York dallo zio Rosario. Lui ti troverà un lavoro e starai bene >>.<< Davvero? >> domandai.Mio padre a quel punto percepì le mie perplessità e disse: << Ho deciso così, partirai domani >>.Nel tentativo di trovare scuse valide per non andare, un turbinio di pensieri cominciò ad affollare la mia mente: << E i soldi? >> fu questa la prima cosa che riuscii a dire.<< Ai soldi ci penso io – disse dirigendosi verso lo stipetto dove, tirato fuori un cassetto, prese una busta che mi porse - eccoti 850 lire, con questi arriverai in America >> concluse.Fu allora che ripensai a tutto il lavoro e i sacrifici che mio padre aveva fatto per racimo-lare quella cifra che sul momento mi parse enorme… e in effetti lo era, per una famiglia povera come la nostra.Davanti alla busta con i soldi mi arresi, non trovando più altro da controbattere, e chiesi: << Come ci arrivo in America? >>.<< Con la nave, partirai tra due giorni da Palermo >> rispose.<< Ma Palermo è lontana, come la raggiungo? >> replicai.Si sedette e disse: << domani partirai con zi Nicola che andrà a vendere le ciliegie a Cani-cattì. Lì incontrerai un carrettiere che ti porterà a Palermo, dove incontrerai un paesano nostro, zi Nino, che seguirai… anche lui deve andare in America >>.Quella sera non parlammo più, mangiai e andai a dormire. Ricordo che durante la notte non chiusi occhio. Rimuginavo tra me e me: lasciare Butera, non vedere più i miei geni-tori, e poi chissà il viaggio quanto sarebbe durato. Mi preoccupava soprattutto il dover

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passare tutto quel tempo sulla nave e affrontare quel viaggio che ai miei occhi appariva infinito. L’unica cosa che ricordo nitidamente di quella notte furono due tocchi di cam-pana, dopodiché mi addormentai di colpo. Erano passate non più di un paio d’ore che fui svegliato da mio padre.<< Sono le 5, alzati che è tardi! >> disse con voce dimessa.<< Arrivo >> sussurrai.Mi alzai, mi lavai la faccia su un catino in cui avevo versato dell’acqua da una brocca che mio padre aveva riempito la sera prima alla fontana poco lontano dalla nostra abi-tazione. Mangiai del latte e del pane. Finita la colazione mia madre mi porse un sacco: dentro ci trovai pane, formaggio e qualche tocco di lardo. In quell’istante esatto sentii gli zoccoli del mulo di zi Nicola, che era passato a prendermi. Uscimmo fuori casa, baciai mia madre e salutai mio padre.<< Vi saluto gnorupà! >> dissi, carezzai mio fratello minore e salii sul carretto che in quel momento si apprestò a partire. Dopo pochi metri mi voltai e vidi mia madre pian-gere, mio padre le stava accanto immobile. Oggi so che probabilmente soffriva più di lei.Mio fratello corse dietro al carro gridando: << Ciao Filì, quando arrivi scrivi! >>, una lacrima gli rigava il volto. << sicuro Vincè! >> risposi commosso.Svoltammo l’angolo dell’isolato alle spalle di casa mia. Da quel giorno non ho più visto nessuno di loro.Per raggiungere Canicattì impiegammo circa quattro ore. Una volta arrivati zi Nicola mi presentò un carrettiere di nome Calogero. Saltai sul suo carro e partimmo di gran lena. Dopo un paio d’ore ci fermammo per una sosta di una mezz’ora nei pressi di un abbeve-ratoio, in modo che il cavallo potesse abbeverarsi e noi rinfrescarci un po’.Arrivammo a Castronovo intorno alle quattro, a giudicare dal sole che era a metà della sua discesa. Ero stremato da un giorno intero di viaggio. Ricordo che quella sera ci fer-mammo a dormire in un fienile.La mattina seguente, una volta bardato il cavallo, Calogero mi svegliò e partimmo alla volta di Palermo. Giungemmo in città a mezzogiorno.Una volta arrivati al porto incontrai zi Nino. Era un uomo di mezza età che mi accolse con grande affetto. Quella sera mangiai e dormii a casa sua. Viveva con la moglie e due figli. Mi sconvolse non poco apprendere che aveva già lasciato la Sicilia per ben due vol-te, e soprattutto per due anni consecutivi, per recarsi in America a lavorare.Il giorno successivo, era il 24 maggio 1913, mi svegliai molto presto. Prima di uscire Nino mi chiese 500 lire. Era il prezzo del mio biglietto, che si era incaricato di comprare qualche giorno prima.Intorno alle sette eravamo già al molo. Lì vidi la nave. Era lunga e gigantesca, forse lunga più di 140 metri. Sulla fiancata campeggiava un’enorme scritta, diceva: “Lazio”1. All’altez-za del molo c’era un gran via vai di gente. Villani che trasportavano buoi e altri animali che venivano caricati sulla nave, passeggeri che si apprestavano ad imbarcarsi, ecc… era davvero un gran movimento di gente!Era arrivato il momento. Ci incamminammo verso la scaletta che conduceva a bordo

1 Il piroscafo “Lazio” è realmente esistito ed ha navigato, sulla rotta Genova – Napoli – Palermo – New York, dal 21 marzo 1906 al 21 maggio 1913 (data dell’ultima partenza da Genova).

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della nave. Non appena entrati ci chiesero di esibire biglietti e documenti. In quell’istan-te compresi a fondo l’importanza del foglio che mio padre si era preoccupato di farmi recuperare, e che tanto mi era stato incomprensibile qualche mese prima.Una volta all’interno della nave, ci indirizzarono verso il posto che c’era stato assegnato. Si trattava di una cuccetta a castello, nascosta nel terzo corridoio della stiva.Il viaggio che affrontammo fu estremamente duro e faticoso. Scoprii di soffrire quello che poi mi dissero essere il mal di mare. Rimettevo spesso e il più delle notti non dormi-vo. Durante il giorno ci costringevano a stare sul ponte, a soffrire freddo e intemperie.Dopo circa due settimane dalla partenza, ci imbattemmo in un mare furioso che non mi fece chiudere occhio per più di tre giorni. Eravamo in viaggio da circa un mese, quando finalmente sentii qualcuno gridare dal ponte:<< Ameeeeeeerica!! >>.Dalla nebbia fitta che nascondeva tutto alla nostra vista apparve, improvvisa e maestosa, una statua in ferro che in seguito scoprii essere la statua della libertà.Attraccammo al porto e fummo condotti a Ellis Island, che sta a significare isola delle lacrime, a ricordare tutte le lacrime che versarono in quegli anni terribili e speranzosi tutti i migranti che respinti per vari motivi venivano rispediti a casa.Appena sbarcato, furono subito controllati i miei documenti. Fui inoltre visitato. Vole-vano capire se ero abbastanza in forze e in salute, insomma idoneo al lavoro. Così fu.Fui introdotto completamente nudo in una stanza dalle cui docce sgorgava acqua fred-dissima, che serviva a pulirci dalla sporcizia del viaggio.Non appena finii con la fase di pulizia mi diedero dei vestiti e fui accompagnato in un altro stanzone enorme e colmo di gente che aspettava i viaggiatori dall’Europa.Passati alcuni minuti mi venne incontro un uomo di circa sessant’anni, che gridò: << Filì! Io sono, lo zio Saro! - mi riconobbe subito per via della somiglianza a mio padre, infatti continuò - sei uguale a tuo padre! >>.Da quel giorno vivo con lui insieme alla zia Sarina. I loro figli, nonché miei cugini, vivo-no in abitazioni di loro proprietà.Oggi faccio il panettiere. La mia paga non è un granché, ma al momento mi accontento. Spero un giorno di fare fortuna, tutto sommato questa America mi piace!

Dott. Stefano Spera

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Correva l’anno 2015…

Il mio nome è Tarek Ammar. Sono nato a Mogadiscio il 3 dicembre 1990. Il mio Paese, la Somalia, è devastato da una violenta guerra civile sin da quando avevo appena un anno di vita. Inizialmente l’ONU aveva deciso di intervenire nella risoluzione delle tensioni, ma qualche anno dopo, era il 1994, ha abbondonato la missione “AMISOM” lasciando il Paese nel caos.Sono nato in una famiglia povera, il che mi ha portato alla sofferta decisione di abban-donare la Somalia. La ragione principale che mi tratteneva in quella terra dimenticata era rappresentata principalmente dalla difficoltà di racimolare il denaro necessario a raggiungere l’Europa. Tutti in Somalia eravamo al corrente del fatto che gli organizza-tori delle pericolose migrazioni verso tale meta chiedevano almeno 10.000 dollari per il viaggio. La svolta è arrivata quando i miei genitori hanno deciso di vendere la casa in cui vivevamo. Inizialmente ero contrario, fino a quando mia madre, in un giorno parti-colarmente disperato, mi disse risoluta: << Noi non abbiamo potuto, ma almeno tu devi cercare un futuro migliore… costi quel che costi! >>.Quella stessa sera contattai coloro che mi avrebbero portato in Europa. La partenza era prevista per la mattina del terzo giorno successivo.Il giorno della partenza mi sono alzato molto presto. Poco prima delle sei del mattino mi trovavo già nel luogo previsto per l’incontro. In quel luogo deserto ho trovato una decina di persone che attendevano al freddo l’arrivo dei trafficanti di uomini.Poco tempo dopo abbiamo scorto all’orizzonte due pick-up e un’auto che procedevano nella nostra direzione. Da quest’ultima è sceso un uomo cui abbiamo consegnato il de-naro pattuito. Una volta raccolto il denaro di tutti i presenti, quell’uomo misterioso è rientrato nella vettura da cui era sceso poco prima, e si è dileguato nel nulla.Dopo aver consegnato tutti nostri averi, siamo stati costretti a salire nel vano posteriore di uno dei due pick-up, mentre l’altro ci seguiva trasportando un recipiente colmo d’ac-qua e, come avrei scoperto in seguito, di sacchi di pane e cibo in scatola.Eravamo in dieci, stipati e stretti nel cassone posteriore del pick-up che a mala pena poteva contenere 4 o al massimo 5 persone. Abbiamo viaggiato per giorni, per 18 ore al giorno, fermandoci soltanto due volte al dì per abbeverarci e mangiare un misero pasto.Tre giorni dopo la partenza abbiamo raggiunto la città di Dekoa, nel cuore della Repub-blica Centrafricana, in cui ci attendevano altri quattro pick-up molto simili ai nostri e stracolmi di passeggeri. Ricordo che ci hanno fatti scendere dal pick-up, e costretti a montare sul cassone di un grande camion. Eravamo in 67.Non appena partiti, ho notato che un camion ci seguiva. Si trattava di un camion-cisterna.Ventidue ore dopo quella seconda partenza abbiamo raggiunto la città di Jigawa, in Ni-geria. Da quella città in poi iniziava il deserto. Viaggiavamo ininterrottamente e la sera ci fermavamo lungo la strada o presso qualche casolare abbandonato e sperduto, per riposare appena qualche ora.Durante il viaggio alcuni di noi hanno accusato malori di vario genere dovuti alla stan-chezza, agli stenti e alla denutrizione. Anziché venire soccorsi, i compagni di viaggio più deboli e sfortunati venivano abbandonati nel deserto.

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Erano passati 8 o forse 10 giorni dalla mia partenza, ed ero davvero stremato da quel viaggio apparentemente senza fine, quando il camion si è fermato improvvisamente du-rante il percorso e siamo stati obbligati a scendere.<<Da qui in poi continuerete il viaggio a piedi!>> disse il conducente tra l’incredulità generale. Stentavamo a credere che ci avrebbero lasciati così in mezzo al nulla, dopo aver pagato con grandi sacrifici quella cifra enorme. Un compagno di viaggio si avventò, preso dall’ira, contro uno dei conducenti, ma fu in un attimo che uno sparo a bruciapelo interruppe qualsiasi nostra iniziativa di ribellione.Una volta che se ne furono andati riprendemmo il cammino, frastornati da quell’epi-sodio di violenza e di odio. Poche ore più tardi perdemmo alcuni altri compagni, che sfiniti dalla stanchezza si accasciavano lungo il cammino, non trovando più le forze per continuare quel viaggio terribile.Dopo due giorni di cammino raggiungemmo una città sul mare. Scoprimmo presto di essere arrivati a Tripoli. Fummo riconosciuti da un gruppo di uomini che ci stavano attendendo, e sapevano perfettamente chi eravamo e da dove stavamo arrivando. Ci in-dicarono di seguirli e così facemmo. Arrivammo in un magazzino abbandonato appena fuori città, in cui trascorremmo due giorni mangiando una volta al dì una misera por-zione di cibo. La mattina del terzo giorno vennero a prelevarci da quel luogo fetido e ci condussero fino al porto, dove fummo stipati su una vecchia nave mercantile che si presentava tutto sommato in buone condizioni.Una volta a bordo trovammo già altri uomini pronti ad affrontare il viaggio verso la tanto agognata Europa. Non era tutto come appariva. Infatti dopo poche ore di viaggio fummo costretti a scendere e ad imbarcarci in un vetusto gommone, con le armi puntate addos-so tra le grida generali. Poco prima uno degli aguzzini aveva avvisato, tramite un telefo-no satellitare, la capitaneria di porto di Lampedusa, per avvertire della nostra presenza.Su quel gommone stavamo strettissimi e ho assistito a scene caotiche e confusionarie. Ognuno di noi cercava di accaparrarsi i posti migliori, dal momento che stavamo viag-giando in 120. Quando il gommone è partito ero convinto che ci avrebbero condotti fino alle coste di Lampedusa, per me e per tutti la porta d’Europa. Invece fummo abbando-nati in balìa delle onde.Nelle ore o nei giorni successivi (non riuscivo più a percepire con lucidità il passare del tempo) ci ha raggiunto una motovedetta della guardia costiera italiana. Successivamente arrivò una nave della marina militare che ci trasse tutti in salvo.Non appena sbarcati a Lampedusa siamo stati subito condotti al centro di accoglienza dell’isola. Tre giorni dopo sono stato trasferito al C.A.R.A. di Mineo, in Sicilia, dove ho vissuto per due mesi.Mi recavo ogni giorno al centro informazioni per chiedere a che punto fosse la mia pratica riguardante la richiesta di asilo come rifugiato. La ottenni abbastanza presto e fui finalmente libero!Mi sono trasferito a Palermo, città in cui ho trascorso altri tre mesi per via di un pro-gramma della missione di accoglienza Speranza e carità di Biagio Conte. Sono stato in seguito assunto come benzinaio. Mi trovo abbastanza bene e spero di esaudire il deside-rio di mia madre: crearmi un futuro migliore.

Dott. Stefano Spera

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