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Direttore Responsabile: Rino Pessina
Vice Direttore: Sonia Villi
Collaboratori:
Carlo Fossati, Carla Capelli, Imelda, Mara,
Antonella, Leda, Teresina e Ornello Barollo,Stefano
Rijoff, Rino Pessina, Davide Salvioni, Walter Fossati
1
Indice
Siamo tornati in Val Ferret dopo 45 anni per ricordare 3 Carlo Fossati
Alla Croce 7 Carla Capelli
Vent’anni fa il nostro primo trekking 11 Rino Pessina
Don Fulvio,un amico della Cornache, inviato parroco a Lainate 13 Carlo Fossati
Il cardinale Martini e l’incontro con la montagna 16 Rino Pessina
Messaggio per l'estate 2012 18
Piccole riflessioni 19 Un nostro ragazzo
La notte più nera 20 da Concorezzo
Cucinare è … 22
Samuela e Maurizio
Un grazie di cuore 24 Emanuele
Vacanza sperata e attesa 25 Leda
La mia prima volta in campeggio 26 Pietro
Da Gimillan al Santuario di Plout ... esperienza unica! 28 Davide Salvioni
Il Bosco 31 Stefano Rijoff
Una serata diversa dalle altre 32 Imelda, Mara, Antonella
I bimbi crescono … e i nonni … 34 Walter Fossati
Nonni in campeggio 36 Teresina e Ornello
Gita alla Finestra di Durand 38 Rino Pessina
2
Elenco gite 2012 39
Anniversari 40 Rino Pessina
Il giorno che sull’ Eiger e’ spuntato il tricolore 42
Letture in campeggio 2012 44 Walter Fossati
L’angolo della solidarietà 50 Ornello Barollo
3
Siamo tornati in Val Ferret dopo 45 anni per ricordare Carlo Fossati
Le vicende degli inizi della nostra avventura come ‘Associazione Les Cornaches’ sono note a
tutti noi, per essere state raccontate in diversi articoli comparsi sul nostro giornalino e a
viva voce dai protagonisti in mille occasioni, per cui non le riproporrò qui in forma organica;
mi limiterò a segnalare alcune emozioni che ho provato questa estate quando, per ricordare
il 45° anniversario della nostra storia, con un gruppo di amici sono tornato in Val Ferret.
Siamo agli sgoccioli della vacanza: è mercoledì 22 agosto. La giornata per fortuna è bella:
sole sorridente sul fondale di un cielo azzurro terso con poche leggere pennellate bianche
di nubi non minacciose. Rino e Giuseppe hanno caricato le bici sulla macchina: il loro
programma prevede che a Saint Pierre lascino la comoda autovettura per proseguire in
bicicletta fino in Val Ferret. Li salutiamo con un festoso “in bocca al lupo!” Li guardo con
una certa ben celata invidia; mi sarebbe piaciuto essere con loro, ma l’età e gli acciacchi non
mi permettono più queste performances. Sono, però, ugualmente felice di poter tornare in
Val Ferret con Elvira e altri amici: Ornello e Tere, Lia, Donata e Giovanni. Dopo aver
preparato gli zaini con l’occorrente per fare un picnic saliamo sulle macchine e partiamo.
Non percorriamo l’autostrada ma la strada normale, perché vogliamo incontrare e
incoraggiare i nostri valorosi Rino e Giuseppe. Superato Saint Pierre i nostri sguardi si
concentrano sui ciclisti, numerosi, che percorrono la trafficata statale. Finalmente
scorgiamo le inconfondibili sagome dei nostri amici. Caspita, stanno viaggiando a una bella
velocità. Ci abbandoniamo a un allegro strombazzare di clacson quando li superiamo e,
trovato uno slargo, ci
fermiamo ad aspettarli. Sono
un poco sudati ma non hanno il
‘fiatone’: sono ben allenati. Ci
scambiamo qualche
impressione e, dandoci
appuntamento in Val Ferret,
dopo la breve sosta
ripartiamo.
Ecco l’elegante massiccio del
Bianco dominare il nostro
orizzonte. Arrivati a
Courmayeur la speranza è che
l’accesso alla Val Ferret non
sia precluso e non si sia
costretti a salire con il bus
navetta. Superata la stazione
di partenza della funivia che porta al rifugio Torino, dopo un paio di curve arriviamo alla
fatidica sbarra, che è alzata: evviva, possiamo transitare! Superato Planpincieux dopo pochi
minuti siamo alla meta. Ecco la pineta dove abbiamo posto per la prima volta le tende 45
anni orsono. Troviamo da parcheggiare in un comodo slargo tra la strada e la Dora, che
scorre allegramente petulante: lei non è cambiata proprio per niente. Il nostro sguardo
cammina sopra le cime degli alberi per posarsi infine sull’incombente ghiacciaio di Prà Sèc
45°
4
sul versante meridionale delle Grandes Jorasses: quanto si è ritirato, mettendo a nudo
rocce levigate. Cerco il canalone dove, investito da una scarica di sassi, Rino riportò la
frattura esposta della tibia. Ci si guarda intorno e si ammira stupiti la bellezza di un
paesaggio straordinario: ad ogni inquadratura è collegato almeno un ricordo. Sale l’emozione
e la voglia di comunicare agli altri quello che riaffiora dopo tanti anni di sedimentazione
nella profondità della coscienza. Stiamo aspettando i nostri amici ciclisti e guardiamo verso
Planpincieux, quando scorgiamo camminare verso di noi una persona che conosciamo. Non
può essere lui, sarebbe una coincidenza troppo bella … eppure è proprio lui: “Don Beppe!” è
il grido con cui lo accogliamo festosamente. Don Beppe sta trascorrendo qualche giorno di
vacanza, per rilassarsi e recuperare un po’ di energie, fisiche e mentali, dopo le fatiche di
un’estate intensa nell’albergo/rifugio del G.A.M. (Gruppo Alta Montagna) di Torino, giù ad
Entrèves. Otteniamo da
lui che ci raggiunga per
pranzare insieme nella
pineta dei nostri primi
campeggi dopo la sua
passeggiata verso
Lavachey. Dopo averlo
salutato ci disperdiamo
nei boschi per
raccogliere mirtilli, in
una vigile attesa di Rino
e Giuseppe. Li
festeggiamo con calore
al loro arrivo: sono un
po’ affaticati ma non
stremati. Abbiamo già adocchiato dove fare il picnic, quando ritorna don Beppe con una
proposta tanto imprevista quanto gradita: celebrare la Messa in questo luogo per noi
importante. Non ha con sé nulla di quanto sarebbe necessario, ma in un battibaleno si
trovano l’altare (un grande masso), l’acqua, il vino, il pane … Non c’è il messale per le letture
e le preghiere liturgiche? Poco male, si pregherà liberamente e le letture verranno narrate
‘a braccio’. Che emozione cantare e pregare seguendo i suggerimenti del cuore in questo
luogo dove abbiamo vissuto indimenticabili esperienze di
vacanza. Molti di noi non pensano che questo incontro sia
avvenuto ‘per caso’: ci deve essere un regista, un autore che
ha scritto e realizzato questo copione. Consumato il picnic,
mentre gli altri si recano a Lavachey per prendere un caffè,
io opto per rimanere nella pineta a riposare e a … ricordare …
ricordare … ricordare … Mi sdraio sull’erba e socchiudo gli
occhi per meglio assaporare la dolce musica del vento che fa
vibrare i rami degli alberi e confeziona una magica cornice
entro cui collocare i ricordi … In lontananza si ode anche il
canto della ‘Dora’. Come in un film i ricordi si affollano in
tante suggestive sequenze. Ricordi di persone, di oggetti, di
eventi che si susseguono con filmiche dissolvenze. Ecco giungere baldanzosa una mini minor
5
bicolore (verde con il tettuccio bianco); ne discendono Carlo e il fratello Walter: è giovedì
3 agosto, anno 1967 (45 anni fa!).
Dissolvenza. Passano 3 giorni e arrivano in
treno e in pullman Gigi, Stefano, Rino e
Gianni … li vedo seduti attorno ad un
fragile e sbilenco tavolino mentre,
all’aperto, consumano il pranzo …
Dissolvenza. Nella pineta arde
scoppiettante un favoloso fuoco; noi
siamo radunati attorno a cantare e a
parlare; è la sera in cui regaliamo a
Chiara, per il suo onomastico, una
chitarra; rivedo gli occhi lucidi di Camillo.
Dissolvenza. C’è sempre il fuoco che arde,
ma attorno cambia qualche personaggio;
ecco comparire Ernesto sulle cui spalle si
posa il braccio di Rino (Ernesto è Ernesto
Balducchi, un esponente dei Co.Co.Ri. –
Combattenti Comunisti Rivoluzionari - che
consegnò le armi al cardinale Martini
negli anni del terrorismo brigatista). Chi
è questo ieratico personaggio dalla fluente barba che occupa ora la scena? Pare don Gino!
Sì è proprio lui … ma che cosa sta facendo? Sta armeggiando, a debita distanza, attorno a
un grosso barattolo contenente ‘carburo’ utilizzando come miccia uno stoppino posizionato
sulla cima di una lunga pertica. Un
grande botto, accompagnato da
una nuvola di fumo che sale verso il
cielo testimonia che il gioco è
riuscito. Ma don Gino che cosa
facevi? Non ti credevo così
burlone! … Dissolvenza. Al centro
dell’inquadratura c’è ancora don
Gino, ma questa volta ci troviamo
nel salone del cinema di
Courmayeur e Gino sta duellando
vivacemente con don Maggiolini -
futuro vescovo di Como – sul tema
della pace e della guerra, mentre un piccolo coro composto da noi, accompagnato con la
chitarra da Gianni, intercala la disputa con canti pacifisti di Bob Dylan e Joan Baetz
Vacanze impegnate … che hanno lasciato una traccia indelebile in chi le ha vissute. Chi è
quel piccolo bimbo che sta camminando verso di me con sorridente sicurezza, nonostante il
prato sia accidentato? Assomiglia a Pietro; ma non può essere … in Val Ferret lui non è mai
venuto. Infatti non è lui, ma … suo padre: è Matteo, il primo bimbo della Cornache. Chi è che
mi sta chiamando? Sono gli amici che stanno tornando da Lavachey. Oh no, era così bello il
film che stavo vedendo! Mi stropiccio gli occhi, mi alzo, bevo un sorso d’acqua e raggiungo
6
gli amici presso le macchine. Don Beppe ci ha invitato a passare da lui al GAM e ci
apprestiamo a farlo. Un ultimo sguardo alla pineta, alla Dora, alle Grandes Jorasses e alla
Testa Bernarda e poi via verso Entrèves. Lasciamo le macchine vicino al piazzale della
sbarra e incominciamo la breve ma ripida salita che ci porterà al G.A.M. All’inizio di questo
tragitto c’è un grazioso chalet che riconosco: è la casa del colonnello Blua, amico di Mauro
Luparia, già sindaco di Courmayeur, che anch’io conosco bene per averlo più volte incontrato
e che è stato ospite della Cornache a cena, con la moglie, alcuni anni orsono. Mentre sto
selezionando questi ricordi, Blua esce nel giardino. I nostri sguardi s’incrociano, ci
riconosciamo e ci muoviamo incontro per salutarci con una calorosa stretta di mano. Gli
spiego dove siamo diretti e lui ci chiede, al ritorno, di fermarci un attimo per concedergli il
piacere di offrirci una bevanda. Arriviamo al GAM col fiatone, ma ne valeva la pena per
constatare l’ospitalità premurosa di chi gestisce questa casa-vacanza e ammirare lo
stupendo spettacolo delle Jorasses da questo privilegiato angolo visuale. Al ritorno, sosta
da Blua, che ci regala, tra l’altro, delle grosse stelle alpine, coltivate in un megavaso.
La giornata volge ormai al termine. Indirizziamo le prue delle nostre macchine verso la
Valpelline, dove giungiamo quasi al tramonto. Siamo veramente appagati per una giornata
stupenda di full immersion nel passato, alle sorgenti della storia della Cornache … Una
storia molto bella, una realtà luminosa che merita di proseguire. E’ il nostro desiderio … è il
nostro impegno: per noi, per i nostri figli e per i nostri nipoti.
7
Alla Croce Carla C.
La salita alla Croce, posta in vetta al Noeud de la Rayette, è per gli amici del campeggio, un
appuntamento annuale. Un po’ perché è necessaria la manutenzione, ma soprattutto perché
la Croce è, per i soci dell’Associazione, un simbolo, il simbolo del campeggio.
Come tutti sapete, senz’altro meglio di me, la Croce è stata posta in vetta al Noeud de la
Rayette a m. 3444, nel 2002, ben 10 anni fa, in occasione del 35mo anniversario della
fondazione dell’Associazione e in coincidenza con l’anno internazionale della montagna,
proclamato dall’Unesco.
Leggo nel libro del 40mo anniversario del campeggio: “All’impresa hanno partecipato coralmente tutti i presenti in campeggio. Una spedizione composta da 28 soci, ha portato nel proprio zaino le parti componenti la croce, sacchetti di cemento, bottiglie d’acqua per amalgamare il cemento, viti, dadi ed attrezzi per assemblare la croce, i tiranti per proteggerla dalle raffiche di vento, ecc. ecc. Oggi la cima della Noeud de la Rayette è dominata da una grande croce in legno”. Ecco perché la croce è
un simbolo, perche in
tanti hanno contribuito
ad issarla, hanno
condiviso la fatica ma
soprattutto hanno
condiviso la gioia per la
riuscita dell’impresa.
Essa rappresenta tutti
e tutti ne sono
orgogliosi.
Quando la sera nel
tendone è stata
annunciata l’escursione
alla Croce, Giuseppe mi
ha detto, “perché non
ci vai”. L’impulso è
stato quello di
chiedere ad Anna se
era interessata alla gita e ho avuto l’impressione che anche lei ci stava pensando, tanto che
ci siamo dette l’una all’altra: “se vai tu ci vengo anch’io”, e così è stato. Ho messo da parte
tutte le mie titubanze, il timore di non farcela, di rallentare i compagni, la paura degli
imprevisti e ho preso la decisione giusta.
La comitiva è formata da sette persone, Andrea, Beppe, Davide Salvioni, Davide Colombo,
Alessandro, Anna ed io; partenza alle 8, 00 di sabato 10 agosto, la giornata è splendida,
cielo terso, non una nube e temperatura piacevole. Arriviamo in auto fino alle baie
dell’alpeggio Berrier, poi zaino in spalla, racchette alle mani e partiamo.
Come tutta la Valle d’Aosta, anche questa zona è ricca di ambienti naturali diversi, dai prati
del fondovalle ai boschi, dai pascoli alle pietraie fino alle cime dei ghiacciai; ebbene per
10°
8
salire alla Croce, abbiamo attraversato tutti questi ambienti ed ognuno di essi mi ha a suo
modo affascinato e lasciato un ricordo o una sensazione particolare che vi voglio
raccontare.
Il primo ambiente naturale che affrontiamo è il vallone di Chardonné. Dapprima una ripida
salita fra il verde dei pascoli fino ad arrivare ad un grande pianoro attraversato da un
ruscello dalle rive costellate da bianchi eriofori. Il pianoro è circondato da un anfiteatro di
monti rocciosi che dobbiamo risalire; non oso chiedere come, perché mi sembrano
inaccessibili.
Le sensazione che ricordo sono
la tranquillità di quei paesaggi e
la sicurezza che mi hanno
trasmesso, tanto da farmi
mettere da parte le titubanze
iniziali. Alla fine in me è
prevalsa la consapevolezza di
dover si affrontare una
giornata dura e faticosa ma
sicuramente piena di emozioni.
Il secondo ambiente che
attraversiamo è la pietraia che
inizia al termine del verde
pianoro; risaliamo un ripido
pendio pietroso alla fine del
quale si apre una distesa di
rocce e pietre che per quasi due ore ci farà da compagnia. E’ forse il tratto più noioso. Si
procede in silenzio e con attenzione; è difficoltoso perché la ghiaia fa scivolare, bisogna
prestare attenzione, camminare a testa bassa senza farsi distrarre dal paesaggio che ti
circonda, trovare appoggi sicuri, cercare l’equilibrio giusto. Non mi piace molto la pietraia
mi trasmette un senso di instabilità, di precarietà, infatti spesso scivolo e non vedo l’ora
che finisca.
Alla fine della salita tra le pietre, oltre il colletto si apre un’ampia bianca distesa, il
ghiacciaio e in alto verso sinistra vediamo la vetta del Noeud de la Rayette sulla cui cima,
anche se ancora molto piccola intravediamo nell’azzurro del cielo la nostra Croce.
Ci fermiamo per mettere i ramponi; la neve sembra buona e questa condizione ci
permetterà di affrontare con più sicurezza il cammino verso la Croce. Approcciamo la
salita tenendo la destra dell’ampio ghiacciaio; si cammina in file indiana ricalcando le orme
di chi ci precede, ci accompagna soltanto il rumore dei nostri passi sulla neve. Siamo
inondati dalla luce del sole che si riflette sul bianco della neve. Tutto procede
tranquillamente, l’unico problema è un passaggio vicino ad un costone di roccia molto
friabile, non c’è neve e il fondo è scivoloso. Andrea decide di salire più in alto e di fissare
una corda, così ad uno ad uno, sorreggendoci alla corda, risaliamo fino ad arrivare al
colletto nevoso che fa da spartiacque; qui il panorama comincia ad aprirsi davanti ai nostri
occhi.
In questo tratto la sensazione che mi ha pervaso è stata quella della piccolezza dell’uomo di
fronte alla grandezza della natura. Qui siamo in perfetta solitudine, la montagna la fa da
9
padrona di casa; intorno a noi solo neve, sassi e alte montagne di pietra che, come
sentinelle, sembrano osservare il nostro passaggio; tanto è il silenzio che mi sembra quasi
di sentire il respiro della montagna.
Siamo quasi in vetta, la Croce è vicina, ci resta soltanto da affrontare l’ultimo tratto sulle
rocce; ci fermiamo per scattare qualche foto sul crinale, poi in ordine sparso ripartiamo e
l’uno dopo l’altro, camminando tra i sassi, arriviamo in vetta. Andrea ci attende prima della
Croce per complimentarsi con noi. Appena arrivo in cima bacio la Croce, quasi un grazie per
essere arrivata fin lì. Poi tutti ci abbandoniamo ad ammirare il grandioso panorama a 360
gradi che ci circonda. E’ una straordinaria vista su tutte le cime della Valle d’Aosta a
partire dal Monte Cervino fino al Monte Bianco e alle nostre spalle le montagne del Vallese
Svizzero. Guardando in basso, piccolo sotto di noi si vede il nostro campeggio, dove gli
amici attendono nostre
notizie. Il cielo è di un
azzurro intenso, qualche
nube solo intorno alle cime
più alte, ma è comunque una
vista eccezionale.
Guardandomi intorno mi
rendo conto di quanto sono
fortunata ad essere qui; se
mi fossi lasciata
condizionare dalla paura di
affrontare una giornata
faticosa e imprevedibile mi
sarei persa questo
spettacolo e questa
emozione.
Iniziano i lavori di manutenzione alla Croce; vengono rinforzati i tiranti, pulito il legno e
infine viene data una mano di vernice. Ora è pronta per affrontare un altro anno, fino alla
prossima estate. Intorno alla Croce ci scambiamo le impressioni della salita, ci ripetiamo i
nomi delle vette che ci circondano, parliamo con le radioline con gli amici al campeggio e alla
fine si intona, come preghiera, il Salmo Otto, il canto più adatto ad un luogo così speciale
che ringrazia Dio per le bellezze che ci ha donato. Mi rendo conto che questo momento è la
sintesi dell’Associazione basata sull’amicizia, lo spirito di solidarietà e la passione per la
montagna.
Ma è ora di iniziare la discesa per rientrare in campeggio, le ultime foto, gli ultimi sguardi
intorno a noi, poi zaini in spalla e si riparte. Ripercorriamo la stessa traccia della salita,
compreso il tratto con la corda che affrontiamo in coppia per maggior sicurezza, poi il
nevaio e l’interminabile pietraia. La discesa ci regala qualche sorpresa, infatti, scopriamo
che a causa dell’aumento della temperatura i torrenti, che nella mattinata avevamo quasi
ignorato, sono carichi d’acqua. Possiamo ammirare sopra di noi, una splendida e fragorosa
cascata e anche lungo la parete rocciosa della montagna, lo sciogliersi dei ghiacci forma un
susseguirsi di suggestivi scarichi d’acqua.
10
Siamo quasi al Vallone di Chardonney,ci attende
l’ultimo tratto nei pascoli; il tornare a
camminare tra i prati è un sollievo per i nostri
piedi e le nostre ginocchia, il cammino è più
rilassante tanto che con Anna riusciamo a
scambiarci qualche considerazione sulla giornata
fino all’arrivo all’alpeggio Berrier dove abbiamo
lasciato le auto.
La sera ci raduniamo tutti nel tendone per
visionare le foto della giornata e condividere con
gli amici le emozioni che abbiamo vissuto. C’è chi
commenta, chi vuole informazioni, soprattutto
chi ci è stato almeno una volta si informa sulle
condizioni della Croce.
E’ stata una giornata speciale, intensa, faticosa,
ma voluta. Le emozioni e le sensazioni provate in
questa giornata rimarranno nella mia mente per
sempre, perché oltre alla bellezza della gita,
per me arrivare alla Croce ha contribuito a rafforzare il senso di appartenenze all’
Associazione. Invito tutti quelli che possono ad andarci, certo è faticoso, ma una volta in
cima la soddisfazione per l’impresa sostenuta e la grandiosità del luogo fanno dimenticare
la fatica provata.
Un ringraziamento ai compagni di viaggio, la cui competenza e affidabilità hanno contribuito
alla buona riuscita dell’escursione.
Un forte abbraccio a tutti.
11
Vent’anni fa il nostro primo trekking Rino Pessina
5-6-7 AGOSTO 1992
Per il secondo anno il nostro campeggio aveva collocato le tende a Piamprato in Val Soana.
In realtà l’anno prima, il 13 e 14 agosto 1991, c’era stato un timido tentativo di trekking.
Mentre alcuni ardimentosi amici, negli stessi giorni davano l’assalto con successo alla vetta
del Gran Paradiso (m.4061); Carlo, Elda
e Walter R. portavano un gruppo di 16
ragazzi al lago Santanel per un bivacco
notturno con tende e attrezzature di
fortuna. La strada era tracciata, l’anno
successivo, appunto nel 1992, si
realizzava un desiderio a lungo
accarezzato: un trekking di tre giorni
con due notti in tenda!
L’itinerario era stato preparato durante
i mesi invernali, accuratamente studiato
a tavolino da Carlo su cartine e libri di montagna, poi all’ultimo momento era stato capovolto
scambiando il luogo di partenza con l’arrivo per facilitarne la percorrenza.
Per la cronaca dettagliata, del trekking basta andare a rileggere il giornalino del 92’,
ricorderò qui alcuni tratti salienti di quei tre giorni.
Ricordo l’incertezza del tempo, al colle Larissa dove sostiamo per il primo pranzo (panini e
qualche frutto) ci accoglie un cielo nuvoloso, ed un vento freddo, poi mentre scendiamo
verso il lago Miserin, le nubi si diradano e torna il sereno.
Memorabile la cena al rifugio Miserin: una minestrina insipida, due patate bollite da
sbucciare ed
uno striminzito
salamino cotto,
in attesa di
trascorrere la
prima notte
nelle tendine. Il
giorno dopo,
saliamo alla
Finestra di
Chamorcher, e
scendiamo alla
piana di
Bardonney per
risalire nel
pomeriggio il
colle Bardonney (m.2833) e scendere al bivacco Davito per il pernottamento. Al bivacco, ci
raggiungono alcuni amici con viveri e messaggi dei nostri congiunti. L’ultimo giorno prevede
20°
12
di raggiungere la Grange di Lavina Grossa a 2120 m. salire al Colle della Cadrega per
scendere a Campiglia.
Incontriamo alcune
difficoltà: il sentiero
descritto nella guida non
esiste e mancano indicazioni
per raggiungere il colle.
Mauro da esperto
escursionista ci precede e
riesce ad individuare il
passaggio. Dopo il colle
ritroviamo il sentiero che
presto diventa una larga
mulattiera, tracciata agli
inizi del novecento per consentire al re ed al suo seguito un comodo accesso ai luoghi di
caccia. A Campiglia ci attendono alcuni amici con le macchine per riportarci in campeggio.
Ho riguardato le diapositive di quel trekking, alcune mi sono sembrate sbiadite, rispetto al
ricordo vivo che ho di quelle immagini. I volti sono un po’ cambiati, i ragazzi di allora si sono
diplomati, laureati, sposati e sono diventati padri di famiglia e già i loro figli ce li siamo
trovati quest’anno in campeggio, ma i sorrisi sono rimasti gli stessi.
Lo stesso vale anche per gli adulti, sui volti qualche ruga che non c’era, i capelli, sale e pepe,
si sono diradati e si sentono chiamare “ nonno” dai loro nipotini. Mi sembra che questi
vent’anni siano passati tutti insieme. Il ricordo di questo primo trekking, rimane comunque
ben impresso nella memoria con immagini vivide di sole,nuvole, montagne innevate, erti
sentieri, ma soprattutto di volti sorridenti, dialoghi allegri, lunghi silenzi e sentimenti di
amicizia vera.
I ricordi sono la nostra vita, perché in essi c’è tutta la bellezza del mondo (Enzo Biagi)
13
Don Fulvio,un amico della Cornache, inviato parroco a Lainate Carlo Fossati
Dopo 10 anni trascorsi alla Taccona, don Fulvio è stato inviato dall’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, a Lainate come parroco. Don Fulvio è stato un amico della Cornache: è venuto a trovarci a Bionaz molte volte, ha manifestato apprezzamento e condivisione per le finalità della nostra associazione, mettendoci a disposizione le strutture dell’oratorio per le nostre attività tutte le volte che ne abbiamo fatto richiesta. Un rapporto fecondo e un legame profondo, determinati anche dal fatto che molti soci della Cornache si sono impegnati da volontari in Parrocchia in diversi ambiti, dalla catechesi al gruppo liturgico, dalla gestione degli stands gastronomici e dalla preparazione di pranzi e cene in oratorio
alla presenza nel Consiglio pastorale e in altre realtà della parrocchia. Mi è stato chiesto di ricordarlo anche dalle pagine del nostro giornalino; lo faccio molto volentieri, utilizzando un mio articolo che è stato pubblicato sul bollettino della parrocchia di Lainate per l’occasione del suo ingresso, avvenuto domenica 14 ottobre. Ritengo anche doveroso dare il benvenuto, a nome dell’associazione della Cornache, a don Giulio Cazzaniga, che è stato mandato a sostituire don Fulvio: a lui rinnoviamo la nostra disponibilità a continuare a collaborare
per supportare il suo programma pastorale, per quanto ci può competere e con spirito di servizio e di amicizia. “Dieci anni sono un lasso di tempo sufficiente per lasciare un’impronta e don Fulvio nei
dieci anni trascorsi da parroco alla Taccona un’impronta significativa l’ha lasciata.
Un’impronta di segno positivo a giudicare dalle attestazioni di stima, di affetto e di
gratitudine da cui è stato circondato,
fin da quando, all’inizio dell’estate,
era trapelata la notizia che , dal
mese di settembre, avrebbe dovuto
trasferirsi come parroco a Lainate.
Questi sentimenti si sono rivelati con
sempre maggiore evidenza con
l’approssimarsi della data fatidica del
distacco e sono culminati nella
giornata di domenica 16 settembre,
dedicata al commiato di don Fulvio
dai suoi parrocchiani. I gesti sono
sovente più eloquenti delle parole:
molte delle centinaia e centinaia di
persone che hanno voluto stringersi
attorno a don Fulvio nella Messa del
mattino, nel pranzo di mezzogiorno e
14
negli eventi pomeridiani, nell’atto di stringere la mano al proprio parroco avevano gli occhi
lucidi – qualcuno ha cercato di asciugarsi senza farsi troppo notare una furtiva lacrima – e
si sentivano morire in gola le parole, strozzate da una sincera commozione. Una commozione
in cui erano condensati sentimenti di riconoscenza e di affetto, che don Fulvio aveva saputo
guadagnarsi fin dall’inizio, quando arrivò in una comunità che era percorsa da tensioni e
divisioni. Il compito che lo attendeva non era facile, ma don Fulvio, agendo con fermezza,
unita a saggezza, seppe ricomporre in unità la comunità tacconese, senza escludere nessuno
e valorizzando i talenti di tutti. “La parrocchia di Taccona era un poco tradizionale e aveva
bisogno di un po’ di rinnovamento”, come ha ricordato don Fulvio in una recente intervista
alla stampa locale. Non è qui il caso di passare in rassegna tutte le iniziative messe in campo
da don Fulvio in questi dieci anni, ma alcune meritano di essere ricordate. Tra queste
l’impegno a rinnovare le celebrazioni liturgiche, che da noi avevano una connotazione pre-
conciliare: erano ridondanti, contaminate e disturbate da preghiere devozionali, da
presenze curiose e non previste sull’altare (tipo – nelle solennità – giovani ‘paggetti’ vestiti
come ‘guardie svizzere’ con tanto di alabarde). Don Fulvio seppe mettere in atto un
graduale cambiamento che portò a risultati eccellenti: liturgie preparate con cura, con la
presenza sull’altare solo di persone necessarie e previste – chierichetti, lettori, voce guida
– addestrate ad assumere comportamenti adeguati; rispetto scrupoloso degli orari (al primo
tocco di campana che batteva le ore convenute per l’inizio del rito, don Fulvio usciva dalla
sagrestia); omelie senza fronzoli, ben preparate, chiare, profonde, concise, radicate in una
profonda conoscenza delle Sacre Scritture, arricchite da buone letture e filtrate dal
proprio vissuto quotidiano. La capacità di rapportarsi con le persone era innestata su un
carattere schivo, giustamente geloso della propria privacy. Mi è stato riferito che nei
giorni del recente
trasloco, che ha visto
coinvolte molte persone,
abbia esclamato: “E’
entrata più gente nel
mio appartamento in
questi giorni, che nei
dieci anni precedenti.”
Chi lo ha conosciuto da
vicino o in circostanze
particolari – vacanze in
montagna, pellegrinaggi,
ospite a casa propria per occasioni conviviali – ha potuto constatare anche il lato giocoso,
allegro, estroverso, del suo carattere. Don Fulvio ama vivere all’aria aperta e praticare lo
sport, in particolare la bicicletta e lo sci, con spirito competitivo. Ama anche seguire lo
sport da tifoso, soprattutto il calcio (è tifosissimo dell’Inter!). Con questo carattere ha
saputo coinvolgere molte persone nelle molteplici iniziative progettate in diversi campi, da
quello liturgico (chierichetti, lettori, voci guida, coretto, corale) a quello catechetico
(catechiste/i, responsabili del cammino pre- e post-battesimo), da quello oratoriano
(animatori e responsabili delle ‘domeniche in’ in avvento e in quaresima e dell’oratorio
feriale) a quello sociale (responsabili del ‘movimento terza età’, della Caritas e San
Vincenzo): persone che danno la loro disponibilità per spirito di servizio, nella condivisione
15
di un progetto educativo e di crescita umana e religiosa. Era un bel colpo d’occhio vedere,
una volta all’anno, sedute a tavola circa 200 persone per la ‘cena di ringraziamento’che don
Fulvio organizzava per i volontari della parrocchia.
Caro don Fulvio, in questi dieci anni, sei entrato nel nostro cuore; ti ricorderemo sempre
con affetto e riconoscenza perché sei stato per noi ‘un buon pastore’, credibile testimone
di Dio e del suo amore. Siamo certi che con l’aiuto del Signore farai bene anche nella
comunità pastorale di Lainate. Da parte nostra, come tu ci hai insegnato, continueremo con
rinnovato spirito di servizio il nostro cammino di fede, a fianco di don Giulio, che
l’Arcivescovo ha inviato alla nostra parrocchia. Ai fedeli di Lainate chiedo sommessamente
di stringersi attorno a don Fulvio, di andare oltre la sua scorza di riservatezza, di avere
fiducia in lui, di concedergli il tempo necessario e di aiutarlo a conoscere la nuova realtà in
cui deve operare.”
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Il cardinale Martini e l’incontro con la montagna Rino Pessina
IL nostro cardinale emerito recentemente scomparso, amava le montagne, ogni
anno, sino al termine del suo mandato, non ha mancato di far visita ai campeggi
della diocesi per incontrare i ragazzi, gli educatori e gli organizzatori. Anche noi
abbiamo avuto il privilegio della sua visita nell’agosto del 1998 a Ollomont. Sulla
rivista mensile del C.A.I. ho trovato questo articolo che vorrei proporre ai lettori
del nostro giornalino.
“Camminare aiutava la mia vita, mi rimetteva a posto le idee”
Deceduto venerdì 31 agosto a 85 anni a Gallarate, il
cardinale Carlo Maria Martini è stato tra gli alti prelati
che più hanno frequentato e amato la montagna. Lo rivelò
nel suo libro autobiografico ( Il mio Novecento, Milano,
Centro Ambrosiano, 2006, 84 pagine, ). “l mio incontro
con la montagna”, annotò il compianto prelato, “risale a
quando ero bambino. Durante il mio servizio di vescovo
mi sono ritagliato una mezza giornata settimanale:
dicevo al mio segretario di tracciare una riga sul giovedì
mattina. Al mattino presto partivamo, raggiungevamo un
sentiero di montagna, per lo più nella Svizzera italiana
dove ero meno facilmente riconosciuto, e camminavo
alcune ore in forte salita. Questo aiutava molto la mia
vita, mi rimetteva a posto le idee”.
L’ESEMPIO DI PAPA RATTI. L’esperienza del cardinale
Martini ricorda quella del papa Achille Ratti (Pio XI) che ha lasciato una traccia importante
nella storia dell’alpinismo alla fine dell’Ottocento, con delle "prime" sul Bianco e sul Rosa.
"Achille Ratti il prete alpinista che diventò Papa" è il titolo della ricca e documentata
biografia curata dal professor Domenico Flavio Ronzoni, pubblicata da Bellavite Editore.
L’intensa attività del futuro Pio XI (socio del CAI Milano) è arrivata ai primi anni del
Novecento e viene ripercorsa dall’autore che riporta in calce al libro anche gli scritti
alpinistici, pubblicati subito dopo la sua elezione al soglio pontificio, e diventati un pezzo di
antiquariato bibliografico. Sono relazioni colte e forbite, ancora oggi godibilissime, che
attestano la profonda cultura alpinistica di Achille Ratti, corredate da citazioni di autori
tedeschi e inglesi.
AI GIORNI NOSTRI la passione per la montagna è piuttosto diffusa nelle alte gerarchie
della Chiesa. “Il 16 settembre 1989 con me e altri tre sacerdoti e una quarantina di
persone”, ricorda don Luigi Destre, il “papa” del Monviso, in un’intervista che compare in
questi giorni nelle pagine di “Montagne 360”, “saliva in vetta monsignor Sebastiano Dho,
vescovo di Saluzzo.
Era il primo vescovo di questa città a raggiungere la cima del Viso e a presiedere una
solenne celebrazione benedicendo dall’alto tutta la diocesi. Non era tanto allenato, ma è
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arrivato in cima lo stesso, e quando ha visto la croce, da lontano ha preso la rincorsa e
l'ha abbracciata”.
Anche il vescovo di Saluzzo... Monsignor Giuseppe Guerrini, attuale vescovo di Saluzzo, è
salito in vetta al Monviso più volte celebrandovi pure la messa e ha voluto sul suo stemma
vescovile il profilo del “re di pietra” con la scritta “Venite, saliamo al Signore”. Dalle parole
di don Destre si apprende che quasi ogni settimana, d’inverno e d’estate, il vescovo dedica
una giornata a escursioni in montagna insieme con preti e laici. Esattamente come riferì
nella sua autobiografia il cardinale Martini.
Il Cardinale Martini nelle state del 1998 ha voluto rendere omaggio al “Gruppo campeggi
riuniti” della diocesi di Milano visitando un campeggio nella valle di Ollomont. Noi quell’anno
eravamo nella vicina Valpelline e siamo stati felici di poter andarlo a salutare raggiungendo
il campeggio di Samarate appunto a Ollomont.
L’incontro è stato molto festoso e non privo di emozione, il Cardinale ha proposto una breve
riflessione che una nostra amica aveva riassunto brevemente così:
“ Vengo in mezzo a voi come successore degli Apostoli, come pastore e guida anche nei
momenti di vacanza. E’ importante capire che la vacanza non è un momento di scarica, ma di
ricarica, lontano dalla città che ci logora e ci snerva. Nella vita di campeggio è facile
trovare momenti di silenzio, di preghiera e di fraternità facendo esperienza di vita
austera, lontano dalle nostre comodità.
Ringraziamo Dio dell’opportunità che abbiamo di vivere questa esperienza, ricordandoci
anche delle tante persone che per diversi motivi rimangono entro le mura della città.”
“Quando da ragazzo venivo in campeggio tra queste montagne, era tradizione andare,
quando non c’era neanche una nuvola in celo,dall’anziano della comunità, a chiedere una
moneta da 5 lire. Per cui vi auguro che i prossimi siano “ giorni da soldino”.
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Messaggio per l'estate 2012
La famiglia fa festa
Carissimi,
rivolgo il mio augurio per un sereno tempo estivo a tutti: a quanti visiteranno la
nostra Regione ed ai lombardi che si recheranno per un periodo di riposo in altre località.
Vorrei farmi compagno di strada di ciascuno, umilmente certo che i credenti sono a
loro agio nella società plurale. Non profeti di sventura, ma testimoni e tenaci edificatori di
vita buona.
Questa mia breve riflessione non può che essere una ripresa del momento felice che
poche settimane fa, insieme, abbiamo vissuto. I nostri occhi e il nostro cuore sono ancora
pieni del VII Incontro mondiale delle famiglie. Le parole che lì abbiamo ascoltato siano oggetto di conversazione familiare anche
durante la pausa della vacanza. Sono convinto che sarà più piena di gusto perché,
soprattutto in ciò che ci ha detto il Santo Padre, potrà trovare un sostanzioso nutrimento.
L’amore gratuito, perciò fedele e fecondo, tra l’uomo e la donna è un fattore
decisivo di costruzione della persona. Non c’è bisogno di dimostrarlo: ognuno di noi l’ha
imparato nella famiglia in cui è nato. E l’uomo non può vivere senza costruire. Anche in
vacanza.
I temi trattati dal VII Incontro mondiale - Famiglia: lavoro e festa - ci hanno
offerto una straordinaria occasione per riscoprire l’unità della persona in se stessa, nel suo
rapporto con gli altri e in quello con Dio, in una circolarità che vede il lavoro ed il tempo
libero non come antagonisti, ma piuttosto come alleati necessari l'uno all'altro.
Le vacanze siano quindi il tempo di una speciale cura delle relazioni, a partire da
quelle costitutive, per esempio dando maggior spazio all’ascolto della Parola di Dio e
condividendo la vita altrui, in particolare quella di quanti sono nel bisogno. Non possiamo
certo dimenticare, neppure nei momenti di svago, il dolore e le incertezze di tanti nostri
fratelli colpiti dal recente terremoto anche nella nostra regione.
Insieme ad una speciale preghiera, offriamo loro tutte quelle forme di solidarietà
che l’inesauribile inventiva della carità saprà trovare.
Anche la vacanza può diventare occasione gioiosa di trasmissione della fede in
famiglia, tra le mura domestiche come nei luoghi di villeggiatura, come ci ricorda
espressamente il libro del Deuteronomio: «Insegnerai queste parole ai tuoi figli, quando starai seduto in casa tua, quando sarai in viaggio..». (Dt 11,19).
Di seguito vi propongo alcuni passaggi sul tempo libero, la festa e il riposo tratti dai
discorsi pronunciati da Benedetto XVI a Milano, in occasione dell' Incontro Mondiale delle
Famiglie, perché vi facciano compagnia durante l'estate. Essi sono sorgente di confronto e
di conforto.
Accompagno questa esortazione con la benedizione del Signore, che fu custodito,
come ognuno di noi, in una famiglia.
+ Angelo card. Scola
Presidente Conferenza Episcopale Lombarda
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Piccole riflessioni. Un ragazzo
Chiamare il campeggio con il termine vacanza è riduttivo, in realtà è una vera e propria
esperienza che si ripete ogni anno.
Questa estate, dopo qualche anno che non succedeva, noi ragazzi abbiamo passato insieme
un periodo di soggiorno in campeggio. Passare parte dell’estate con gli amici che vedi da
quando si è piccoli, con la quale hai confidenza e con il quale, ormai, si è creato un legame è
veramente stupendo.
Il campeggio ti da la possibilità di
confrontarti con persone
completamente diverse tra loro, puoi
giocare con Lorenzino, Francesco e
Davidino, e cinque minuti dopo parlare
con Rijoff e con Carlo di politica; puoi
giocare alla pepatencia con il gruppo
dei ragazzi e subito dopo giocare a
briscola con Angelo e Primo che urlano.
Quando sono in campeggio ho la
possibilità di vedere il gruppo, che
quando ero piccolo chiamavo dei
ragazzi, che mi portavano in spalletta e mi facevano fare il cavallo, sposati e con figli
meravigliosi. Osservare l’evoluzione che ognuno di noi compie è molto bello. Il cambiamento
lo ha subito anche il campeggio a
livello di strutture, che ormai
possiamo definire un resort. A noi
ragazzi quando eravamo piccoli era
vietato l’ingresso in cucina, la dispensa
era off-limits e il nostro divertimento
era entrare di nascosto a rubare le
caramelle e le nutelline; per non
parlare della nutella dura della
colazione, cose che ormai non
avvengono più.
La vita in comunità è il valore aggiunto
della vacanza, insieme alla
condivisione delle esperienze, come
può essere il raggiungimento di una
cima insieme, o più semplicemente
passare la sera dalla Loredana a dire cavolate, o osservare durante la notte di S.Lorenzo la
caduta delle stelle in riva al laghetto, divertirsi con gli altri ragazzi.
Ogni persona all’interno del campeggio diventa un personaggio, una figura, è un elemento di
un puzzle. A questo puzzle ormai sono affezionato, e tante di queste tessere sono diverse,
giovani meno giovani, pazienti non pazienti ecc…. ma è questo che rende bello il campeggio.
Spero che il campeggio possa continuare per molti anni.
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La notte più nera da Concorezzo
E' notte e il campo riposa profondamente. Tra le tende si ode solo il leggero rumore
dell'acqua che dal laghetto si allontana copiosa per andare chissà dove e scorre via. Mi sono
alzato perché questa notte vorrei incontrare il mio Signore. Sento che mi sta chiamando.
Non fa nemmeno freddo. Quest'anno anche la notte è piacevole e il vento che tutte le sere
si alza prepotente dopo poco cala e cede il posto alla calma.
La tenda dove abita il Santissimo
quest'anno sembra proprio la sua
casa, ho quasi l'impressione che si
trovi bene qui: “ho posto la mia
dimora in mezzo a voi”. Una tenda
tra le tende.
La lampada di Dio non è ancora
spenta e accendo un po' di
incenso: “il profumo di Gesù” mi
diceva una buona suora anziana
che amava questi aromi d'oriente.
Apro la porticina socchiusa del
tabernacolo – don Stefano ci ha
concesso di farlo qui in campeggio – ed ecco il Suo pane. Non ho acceso luci per arrivare qui
e mi rendo conto solo ora che la notte anche se buia non è nera e la particola bianca si
distingue bene nella tenda. I papà hanno proprio fatto un bel lavoro. Ho sentito i loro
racconti: erano tantissimi a montare il campo e
hanno lavorato alacremente con allegria ed
entusiasmo. In un solo giorno hanno fatto tutto!
Ma a me colpisce questo luogo che hanno voluto
apposta per ospitare il corpo di Gesù, perché
hanno voluto che Gesù fosse qui, nel campo,
quasi a volergli dire: “eccoci qui, Gesù. Siamo noi
coi nostri figli. Se ci sei tu ci rassicuri!”
E' bello sapere che ci sono adulti così, che
amano Cristo e lo vogliono per il futuro dei loro
beni più preziosi. Cerco di pregare, ma in realtà
non so cosa dire e la mente vaga libera sui volti
degli altri incaricati e dei bambini: tutti diversi,
ognuno un mistero presente ed un misterioso
futuro. Grazie Signore di questo momento,
grazie di essere qui per questa esperienza. In
questi giorni, parliamo di obbedienza e il don mi
sta aprendo a scoprire che obbedienza non è
banalmente obbedire ai genitori, ma alle cose
che capitano, ai volti che mi circondano, alle
cose che devo fare, alla serietà del mio studio
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per il mio futuro. E lui dice che obbedendo si guadagna la verità delle cose ed in questa la
mia, della mia persona. Così Gesù tu che sei la verità, sei presente e vivo: nel libro del
prossimo esame, nella mia nonna da accudire, nei ragazzi che mi affidi, nei papà che son qui
ad incoraggiarmi, nel buon risottino di stasera e nei canti a squarciagola tutti insieme. Gesù
grazie di avermi chiamato qui in questa notte buia, ora capisco che “questa notte non è più
notte davanti a te”. Buona notte Gesù, chiudo la porticina e torno a dormire e sono sereno.
n.d.r. Il crocefisso visto da Walter
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Cucinare è … Samuela e Maurizio
Quest’estate abbiamo vissuto un’esperienza al campeggio Les Cornaches come cuochi e, pur
avendo già aiutato in cucina negli anni precedenti, dedicarsi interamente a questo servizio è
stato per noi qualcosa di nuovo.
Fin dal primo anno in cui abbiamo conosciuto il campeggio Les Cornaches, abbiamo
desiderato che i ragazzi della nostra parrocchia potessero fare un’esperienza come questa.
E, quando abbiamo saputo che don Giuseppe e don Lorenzo di S. Martino in Villapizzone
erano riusciti ad organizzare una vacanza per i bambini delle elementari, proprio qui a
Bionaz, abbiamo prontamente offerto la nostra disponibilità.
Anche in questo caso, la vita stava riservando una sorpresa e, come un seme piantato
qualche anno prima, il
momento di crescere
era arrivato.
Per cui, nella prima
settimana di luglio,
abbiamo “piantato la nostra tenda” in cucina,
insieme ad altri
genitori delle due
parrocchie e, grazie al
prezioso contributo di
Ornello, Andrea,
Roberta, Rosy, il cibo
in tavola non è mai
mancato. E quanti
complimenti sono
arrivati dai ragazzi!
Ma il vero
«passepartout» non è stato questo cibo, ma i tanti momenti di silenzio e di … parole dette
ed ascoltate prima, durante e dopo la preparazione dei pasti.
Gli sguardi e le parole sono state la chiave di accesso che hanno reso speciali le giornate
trascorse insieme … a dimostrazione che le persone non sono fatte per essere sole,
rimanere chiuse in se stesse, ma sono create per aprirsi all’incontro con l’altro e scoprire
che ogni uomo o donna desidera un «Tu» per cui vale la pena vivere.
E tutto ciò è stato possibile scoprendo la presenza di una tenda piantata da Dio in mezzo a
noi!
E così la tenda di Nicodemo ha permesso che ogni nostra parola, per diventare qualcosa di
reale, fosse vissuta per essere capita. Facendone esperienza, abbiamo riscoperto che le
parole fanno sempre riferimento a qualcosa che spinge ad agire verso l’altro e che – dentro
le parole – noi costruiamo le nostre priorità, i nostri interessi, le nostre attenzioni e i
nostri desideri, per diventare ciò che vorremmo essere … non a parole, ma nei fatti.
Perché il campeggio Les Cornaches è sopratutto questo!
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E nasce allora spontaneo un ringraziamento per tutti coloro che preparano, realizzano e
curano ogni fase e ogni attività che permette ogni anno di essere lì, pronti all’accoglienza di
quanti cercano un «passepartout» tra terra e cielo.
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Un grazie di cuore Emanuele
Un grazie di cuore a Davide Salvioni, collega e amico, che ci ha permesso di vivere questa
bella esperienza di campeggio insieme ad un gruppo sempre vivo nonostante i tanti anni e
veramente super organizzato. Per me è stato un po’
come tornare indietro nel tempo, quando con
l’oratorio, per diversi anni ho vissuto simili
sensazioni.
Nel weekend abbiamo fatto 2 gite, una con un bel
gruppetto verso il lago di Places de Mulin dove non
sono mancati incontri con simpatici animaletti e la
seconda dal campeggio fino al Plan de Sabla in
compagnia della guida Davide e degli ospiti
Emanuele,
Valentina,
Francesco
e Arianna.
Arrivati in
cima,
mentre ci
mangiavamo il gustoso pranzo al sacco, ecco che ci
accorgiamo della piacevole presenza di un amico a
quattro zampe...un fantastico stambecco! Come
perdersi una simile occasione di immortalarlo con
una bella foto?
Che dire, tutto bellissimo!!
In futuro se ci sarà occasione spero di essere
nuovamente dei vostri!!
Grazie nuovamente a Davide e a Les Cornaches
n.d.r. Davide puntualizza:
Macché colleghi, alla Cornache siamo tutti amici!
Ermellino Nei pressi della stalla che si incontra nel
sentiero alto verso Prarayer.
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Vacanza sperata e attesa Leda
Che dire di una vacanza sperata e attesa per anni e poi vissuta in altro modo....
Al mio arrivo pioveva e mi sono detta: cominciamo bene. Invece il tempo poi è stato sempre
bello e mi ha permesso di fare belle passeggiate e gite anche piuttosto impegnative, per
una che non campeggiava e camminava da una
vita. Ce la fai ce la fai mi dicevano e cosi
cel'ho fatta. Grazie alla disponibilità di
Teresina e di tutti ho passato una bella
settimana nel "monolocale" munito di ogni
comfort...coperte di Teresina, sacco a pelo
Elvira, pile Roberta, taxi Andrea ecc..
Ho passeggiato con Anna Renata Anna Maria
e sopratutto una bella gita a Chamolet poi
salita al Colle e discesa al lago di Arbolle, con
Roberta, Anna, Marco e Luca che andava più
di tutti.
Il turno in cucina con Carla e Giuseppe
molto simpatici e meno male molto
preparati, devo dire che la cucina è stata
una cosa fantastica e tutti sanno che
sono una che apprezza.
Mi sono sentita bene tra amici; è stata
una bella esperienza e se Dio vorrà...;
mancava solo lui ma in alto lo sentivo
vicino soprattutto guardando quelle belle
montagne che tanto amava e che con il
tempo ha fatto amare anche a me. Grazie
e un abbraccio a tutti
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La mia prima volta in campeggio Pietro
Come mi sono divertito quest’anno in campeggio! Ho ammirato la natura e ho fatto tante
nuove esperienze!
…e qualche volta ho schiacciato anche un bel
pisolino!
Ho raccolto tanti sassolini lungo i sentieri… Ho fatto delle bellissime gite nei boschi
con la mamma, il papà, i nonni e gli zii…
Ho mangiato la pappa nel tendone… mmmh, che
buona!
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Ho ascoltato il nonno suonare la fisarmonica…
…e la sera, stanco ma felice, sono andato a fare
la nanna nella roulotte; faceva un po’ freddo,
ma… che emozione!
Mi è piaciuta
proprio questa
vacanza. Non vedo
l’ora che arrivi
l’anno prossimo per
tornare a Bionaz!
Ciao a tutti, Pietro.
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Da Gimillan al Santuario di Plout ... esperienza unica! Davide S.
In occasione della festa di Santa Croce, la
notte tra l’8 e il 9 settembre, con Cristian
abbiamo partecipato al pellegrinaggio notturno
tra Cogne e Saint-Marcel per raggiungere il
Santuario di Plout, con una traversata su un
percorso davvero suggestivo.
Partiti da Taccona il sabato, pomeriggio dopo
un rifornimento minimalista all’alimentari di
Nus, abbiamo pensato di mischiare subito il
sacro col profano. Cena alla Locanda del diavolo (Tagliere di prosciutto S.Marcel e un
piatto raffinato di aglio olio e peperoncino).
L’appuntamento con Andrea era fissato al Santuario di Plout per le 21.00 e li abbiamo
lasciato la macchina.
Dopo aver raggiunto il resto dei pellegrini partenti da Saint Marcel siamo stati
accompagnati in macchina a Gimillan una frazione di Cogne.Qui in un clima di festa con tanto
di fisarmoniche abbiamo incontrato gli altri pellegrini, dopo un breve momento di personale
raccoglimento nella cappella di St. Pantaléon foto di rito e partenza.
Uscendo dall’abitato ci lasciamo alle spalle le
luci degli ultimi lampioni ed imbocchiamo una
strada sterrata pianeggiante, qualcuno
incomincia ad accendere la pila frontale, il
passo è tranquillo e il terreno battuto da
fiducia. Poco più avanti in corrispondenza di
un segnavia svoltiamo a destra per un
sentiero comunque pianeggiante ma con
terreno più mosso che consiglia l’accensione
del frontalino a tutti.
Realizzo, solo ora pienamente, che per tutta
la nottata il mio raggio visivo sarà di circa un
paio di metri e che quello che mi resterà impresso potrà essere tutto tranne che bei
panorami!
Mentre cerco di sintonizzare i miei sensi a questa nuova situazione comincio a percepire un
rumore di torrente sulla mia destra, istintivamente volto nella stessa direzione ma non vedo
nulla. Provo a inclinare su e giù la testa nel tentativo di illuminare meglio, ma nulla. Il
rumore giunge da sotto, si ma quanto sotto due, cinque o venti metri; boh! Mi giro a sinistra
e percepisco un bosco con una bella pendenza, sicuramente siamo su un sentiero che
procede a mezza costa in una valle sul cui fondo scorre un torrente, quanto più in basso non
si sa e allora è meglio stare belli concentrati prima di ruzzolare giù. Procedendo il fragore
diventa sempre più forte fin quando giunti ad un ponte lo attraversiamo e risaliamo l’altra
costa della valle lasciandoci alle spalle il torrente ed il suo fragore.
29
Queste percezioni di allerta vigile mi
accompagneranno per tutto il tragitto, ma
sono bilanciate dalla sicurezza trasmessa
da chi guida i pellegrini e dal fatto di
essere in gruppo; sensazioni ben conosciute
da chi frequenta la Cornache.
Dopo circa un paio d’ore di cammino
giungiamo ad un rifugio privato dove due
amici di Cogne ci attendono. La tavola è
imbandita con dolciumi vari, non manca un
bel the caldo ma anche caffè normale e
corretto!
Il clima è festoso, è l’occasione per
guardare in faccia gli altri amici con cui stiamo pellegrinando.
Dopo esserci ristorati ci congediamo con dei cori di ringraziamento in patois dagli amici e
continuiamo il nostro cammino verso il colle dove arriviamo circa alle tre di mattina. Siamo a
2900 metri il fresco si fa sentire quindi
mentre ci organizziamo per le foto
indossiamo i pile tecnici. Fa comparsa anche
la luna e al suo chiarore il gruppo di pellegrini
intona una canzone sacra in patois o forse
francese che pur non comprendendo
scaturisce un po’ di commozione. Lego il
foulard del “family day” al tettuccio che
protegge un bassorilievo raffigurante il volto
di Gesù scolpito nella roccia e sono pronto
per la discesa.
In discesa l’appoggio sul terreno è delicato e
richiede concentrazione, ma il fatto di aver
scollinato e la luce della luna che migliora la percezione dell’ambiente ci fanno procedere
velocemente verso l’alpeggio di La Chaux dove arriviamo dopo un’ora e mezza. Qui al caldo
della stufa ospiti di una coppia di malgari di Saint-Marcel andiamo oltre il semplice ristoro,
ci abbuffiamo. La tavola è imbandita, si va dal salato al dolce, fontina, seras, marmellate,
torte fatte in casa e altro… la sosta dura una mezzoretta.
Alle cinque quando riprendiamo il cammino sulla strada poderale si percepisce che non
manca molto all’alba, infatti poco dopo le cime più alte alla nostra sinistra cominciano ad
illuminarsi di rosa. Non manca molto all’alba si, ma manca ancora parecchio all’arrivo del
pellegrinaggio al Santuario.
All’arrivo al Santuario di Plout siamo accolti da altri fedeli e dopo l’ennesimo ristoro con
caffè siamo pronti per la messa conclusiva. L’esperienza è stata molto bella e anche se alla
fine si è un po’ stanchini sicuramente da ripetere.
Ringrazio Giuseppe e famiglia che ci hanno accompagnato a Cogne in auto, Massimo per
averci guidato da cogne al colle e un grazie particolare ad Andrea per averci invitato e poi
accompagnato dal colle fino al Santuario
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NOTE TECNICHE PERCORSO • Dislivello salita: 1.135 metri • Dislivello discesa: 1.972 metri • Lunghezza: 23,0 km (circa) • Difficoltà: E (escursionisti)
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Il Bosco Stefano Rijoff
Mentre lo scorso anno il bosco era stato particolarmente generoso, quest'anno si è proprio
mostrato avaro. Niente lamponi, pochi mirtilli, qualche fragolina e soprattutto nessun
fungo, ad eccezione di pochi finferli trovati nei momenti di maggior fortuna.
E così mi aggiro in un bosco secco, cercando un segnale che mi faccia sussultare, ma quasi
rassegnato mi abbandono a riflessioni sulla vita. Non voglio arrivare a elucubrazioni sul
libero arbitrio, ma il fatto che dobbiamo in ogni momento operare delle scelte è un fatto
assodato.
Di fronte ad ogni albero dobbiamo decidere
se andare alla sua sinistra o alla sua destra,
se affrontare un ramo basso o un sasso
scivoloso o se percorrere una strada meno
difficoltosa. Ma la realizzazione dei miei
sogni, il famoso cappellone da un chilo dove
sarà (ammesso che con quello stato del
terreno possa esistere!)? E visto che non
posso ad ogni tronco fare tutta
la circonferenza devo decidere,
lasciandomi condurre
dall'istinto e da un po' di
esperienza. Anche nella vita
bisogna saper scegliere e molti
di noi hanno per fortuna dei
credi o delle idee che fanno da
fari nella navigazione quotidiana,
ma a volte resta il dubbio
dell’aver fatto o meno bene.
E’ come, giocando a scopa ed
essendo il mazziere, decidere se
il terzo di mano alla penultima carta di getta un sette, se prenderlo o farlo girare (le
possibilità di fare un buon gioco sono al cinquanta per cento).
Continuo nella mia passeggiata, ma anche i funghi matti, che potrebbero in qualche modo
attirare la mia attenzione, scarseggiano. Va beh sarà per l’anno prossimo, per ora
continuiamo a lanciarci nei liberi pensieri.
32
Una serata diversa dalle altre Antonella, Imelda , Mara
Venerdì 17 Agosto: tutto iniziò con la scelta della macchina. Primo offre le chiavi a Imelda,
ormai abituata alla sua macchina con il cambio automatico … con le compagne di avventura
Antonella e Mara.
La partenza alle ore 16.45 a salti dietro le roulotte … poi con un problema di frizione e
acceleratore all’altezza delle bandierine di recinzione la macchina si ferma.
Si riparte con Primo che guarda dalla sdraio e … accelerata con sgommata e polverone
ricordo della partenza.
Viaggio tranquillo e senza accelerare troppo per limiti di velocità … ma dopo solo mezz’ora
arriva il primo SMS: “Siete arrivate bene o avete fatto altre impennate?” e dopo
mezz’ora una telefonata dal proprietario della macchina (che apprensione!!!!).
Arrivo a Prè Saint Didier alle 17.45 con una voglia di caffè pazzesca e vista panoramica sul
Monte Bianco e il Dente del Gigante con un cielo limpido e senza nemmeno una nuvoletta …
ma non c’è tempo per il caffè il relax ci attende!!!
Ore 18 all’ingresso veniamo accolte da un gentilissimo steward elegante che ci fa subito
delle proposte alle quali non ce la sentiamo proprio di rinunciare: “Vi consiglio alle 21.00 un
“FANGAGE AROMATIQUE nella sala fanghi”…
Il programma per cui diventa interessante: ore 19 aperitivo a tema all’aperto, ore 20.30
“Saunage au Quatre Vent” nello chalet 15 con visuale all’imbrunire del Monte Bianco e del
Dente del Gigante, ore 21 “Fangage aromatique” nel bagno a vapore e per finire alle 21.30
“Relax del fuoco” nella stanza del fuoco su materassi ad acqua.
Ed ecco che le tre sirenette munite di accappatoio bianco si apprestano ad iniziarla loro
serata relax …
L’inizio nella piscina con cascate a getto per la cervicale … per poi passare alle poltrone con
idromassaggio dalle gambe alla schiena. L’esplorazione continua nella piscina con
cromoterapia e musicoterapia … e così ci lasciamo cullare dal completo relax.
Al momento dell’aperitivo, tutti in divisa bianca, assaporiamo le diverse proposte: tavolo di
frutta (ananas, melone, kiwi e uva nera) e verdura (insalata valeriana, radicchio rosso, ceci
e mais); tavolo di pani speciali (fagottini al lardo, pane nero, pizzette, focacce) tavolo con
salumi (mocetta e prosciutto crudo accompagnati da una crema di crescenza, formaggio
stagionato e formaggio fresco accompagnati da marmellate) e tavolo con degustazioni di
vino bianco e nero e succhi di mirtillo e mela e una birra particolare.
L’esplorazione delle terme continua e passiamo al percorso Kneipp e al pediluvio con
bicarbonato…e alla doccia sdraio con acqua molto calda, quasi irresistibile.
Arriva il momento del 1° evento “Saunage au Quatre Vent” … la ragazza che ci guida ci
spiega in cosa consiste: mettere del ghiaccio aromatizzato a tre diverse essenze
(all’eucalipto, alla salvia e al pino mugo) sulle braci ardenti della stufa per le saune e con un
asciugamano muovere il calore generato dall’evaporazione del ghiaccio, il nostro compito era
di concentrarci sulla respirazione profonda e rilassarsi … al termine la ragazza ci ha
portato a fare una doccia fredda e un’immersione in una vasca di compensazione fredda per
abbassare la temperatura corporea. Abbiamo superato brillantemente il primo evento.
Dopo una tisana rigenerativa passiamo al 2° evento prenotato: “FANGAGE AROMATIQUE
nella sala fanghi”: anche qui ci accoglie una ragazza molto gentile: ci fa accomodare per due
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minuti nella stanza del vapore e successivamente ci spalmiamo addosso su tutto il corpo il
fango…rimaniamo nella stanza del vapore per altri dieci minuti…sembravamo delle mummie
con fuori solo gli occhi. Al termine ci spostiamo sotto le docce tiepide e con una spugnetta
personale ci togliamo l’intuglio dal corpo e per riintegrare ci spalmiamo una crema
idratante. Il congedo dalla stanza del fango è stato con un bicchiere di succo di frutta. E
così anche al secondo trattamento siamo sopravvissute.
Saliamo poi ai piani alti per provare i materassi ad acqua ma ci accorgiamo che da li a poco
sarebbe iniziato un’altro fantastico evento: “Relax del fuoco”, tecnica di rilassamento
guidata su materassi ad acqua. Non potevamo rinunciare e così rilassate e rigenerate
abbiamo ripreso il tour nelle vasche calde all’aperto. E così l’ultima ora e mezza la
trascorriamo passando sotto le stelle da una piscina all’altra fino all’uscita, il calore
dell’acqua in quelle ultime ore era talmente piacevole visto la temperatura più freschina
fuori all’apero.
Il rientro è stato tranquillo e senza impennate ma con qualche problema di appannaggio del
cristallo anteriore della macchina del Primo.
Alle 24.00 ci accolgono addormentati su un tavole nel tendone le tre nostre dolci metà …
che ci vedono “accorciate” ma molto rilassate. E’ stata una fantastica esperienza da
consigliare e soprattutto da riprovare.
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I bimbi crescono … e i nonni … Walter Fossati
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Nonni in campeggio Teresina & Ornello
La presenza in campeggio quest’anno è stata caratterizzata dalla figura di parecchi nonni
con i relativi nipotini .In particolare, oltre ai nipoti ormai grandi di nonna Dora e Lilly,
Antonio e Renata, hanno partecipato al campeggio, con o senza genitori ma con i nonni:
Pietro con Elvira e Carlo,
Sara con Marilena e Davide,
Marta e Mattia con Mariuccia e Rino
Francesco e Lorenzo con Lia e Giuseppe
Marco, Alessandro e Sara con Elda e Angelo
Davide con Tere e Ornello
Certamente il rapporto nonni e nipoti si sviluppa a casa con la cura dei piccoli per tempi più
o meno lunghi secondo le necessità dei loro genitori o semplicemente passando qualche ora
con loro, ma durante la vacanza in montagna in modo particolare in campeggio assume una
importanza straordinaria.
In questo tempo, libero da altri impegni, lo sguardo, l’attenzione, la tenerezza, la pazienza
dei nonni si moltiplicano.
Ma cosa fanno i nonni in campeggio? Dipende un po’ dall’età dei piccoli e se c’è o meno la
presenza dei genitori. Al mattino, comunque, genitori presenti o no, attendono con
impazienza che si sveglino i nipotini per informarsi come hanno trascorso la notte, per
programmare la giornata magari con una gita o una breve passeggiata.
Poi le ore trascorrono facendoli giocare tra di loro (e bastano legnetti, sassi o ciuffi
d’erba!) sui prati, passeggiare nei boschi, osservare, gustare tutto ciò che la natura ci
offre, gli alberi che ci riparano con la loro ombra, il cielo azzurro dove volano stormi
d’uccelli e a volte qualche aquila, oppure grigio con tante nuvole cariche di pioggia, il vento
a volte impetuoso, l’acqua dei ruscelli, i girini nel laghetto, le cime innevate, il chiarore di un
cielo stellato e la luminosità della luna.
Fanno assaporare i frutti del bosco: fragoline, mirtilli e lamponi, fanno osservare ciò che
tante volte i bambini hanno visto sui libri, raccontato nelle favole e qualche volta visto in
televisione.
Certo i nonni, soprattutto quelli che di solito camminano tanto, rinunciano a qualche gita
impegnativa per occuparsi un po’ dei loro nipotini. ma volete mettere nel bosco quando un
bambino dice: “nonno guadda, dov’è, pecché cos’è, e dopo.....” beh, i nonni ascoltano,
spiegano, raccontano e si...sciolgono.
I bambini in campeggio imparano anche dai nonni ,(che magari hanno iniziato il campeggio
tanti anni fa quando erano molto giovani), a condividere l’amicizia, la vita all’aria aperta,il
mettersi a servizio di tutti con la preparazione del campo dove campeggiare, dei servizi, del
cibo nella “tenda ristorante” (quanti seggiolini quest’anno ai tavoli!) e le tante altre attività
necessarie ad un buona riuscita della vacanza.
I nonni hanno molte cose per le quali gioire ed emozionarsi, da donare e da ricevere, per le
quali lottare e sognare...insieme a loro.
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Il regalo più bello e importante che noi nonni, insieme ai genitori e a tutti coloro che si
occupano a vario titolo dei bambini, possiamo fare loro: la capacità di sognare, la libertà di
alzare gli occhi al cielo e di volare come frecce sicure con la fiducia di poter costruire il
proprio destino e la propria felicità.
Questi bambini, insieme alle loro famiglie, rappresentano per noi nonni dell’associazione Les
Cornaches anche la speranza che questa bella esperienza di condivisione possa continuare
nel tempo.
N.B. Nipoti presenti in campeggio anche con i nonni: Pietro, Sara, Marco, Marta, Mattia,
Davide, Marco, Arianna, Alessandra, Giulia, Giorgia, Federica, Patrizia, Lorenzo, Luca
Francesco, Emanuele.
Di seguito una poesia, due filastrocche ed una preghiera per i nonni, lette sul sito:
www.noinonni.it di Famiglia Cristiana
I nonni ricordano le stelle
Che illuminano la notte Con il loro bagliore.
Riempiono I bambini di felicità E li viziano d’amore.
La loro pazienza non ha frontiere Come la generosità.
Non si scoraggiano davanti alla vita E alle difficoltà
E su in cielo guardano e sorvegliano I loro nipoti.
****
La pancia del nonno è come un cuscino, ti ci sdrai sopra
e si schiaccia un pochino. E’ una montagna da scalare,
per arrivare ai baffi e a una guancia da baciare.
E’ una zattera sicura, per navigare fin alla cascata
e arrivare alla cioccolata. è un elicottero superblindato
per vincere le battaglie con chi hai litigato.
Viva la pancia del nonno Che non finisce mai e ti salva sempre
Così come sei.
*****
Filastrocca di montagna c’è il sole e la castagna. Filastrocca fungaiola
là nel bosco il tempo vola. Tra caprette e pecorine su sentieri e su stradine senti l’aria fresca e pura
e ti godi la natura.
*****
Padre onnipotente e buono,
il compito che come nonni ci affidi è un mistero di gioia!
E’ la tua Speranza che si fa visibile!
Aiutaci ad imitare Te, che non abbandoni nessuno di quanti in Te confidano,
ma li sostieni con amore fedele. Fà che trasmettiamo ai nostri nipoti con le carezze, l’attenzione, l’ascolto,
la bellezza del tuo dono più grande la vita! Amen
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Gita alla Finestra di Durand
Rino Pessina
21-08-2012 Mentre Carlo e Ornello salgono da
Glassier verso la conca di By, io e Giuseppe
raggiungiamo in auto Plan Detruit (m. 2078) dove
termina la strada asfaltata. Scarichiamo le bici dalla
macchina e partiamo a nostra volta verso la conca di
By, su un fantastico sterrato a quota 2000 m.
dominato dal Grand Combin e dal Ru du By prima, dal
Mont Gelé e dalla finestra di Durand poi. Il percorso
parte con una discesa di circa 3 km. Prosegue senza
possibilità d'errore ed inizia a salire prima con uno
strappo secco, poi dolcemente, seguendo ampi curvoni
che conducono al vasto anfiteatro erboso della Conca
di By.
Raggiunta l’Alpe Balme (2176 m) inizia la vera salita con lunghi rettilinei interrotti da alcuni
tornanti. Qui un evidente bivio a sx porta dopo
circa 3 km all'alpe Filon (2480 m). Ritornati al
percorso principale in breve si raggiunge Alpe
di Thoules (2378 m) con magnifica vista sul
Mont Gelè e Finestra Durand. Puntuali ci
raggiungono Carlo e Ornello. Lasciamo le bici
presso le baite e via sul sentiero che sale
verso il colle che raggiungiamo in poco più di
un’ora. Carlo preferisce fermarsi alle baite.
La Fenetre Durand ( m. 2803) è un valico che
mette in comunicazione la Valle di Ollomont
con il Vallese sino dall'antichità. Esso viene
tradizionalmente indicato come uno dei possibili passaggi di Calvino in fuga dalla valle nel
1536, in epoca più recente era spesso frequentato dai contrabbandieri e nel 1943, Luigi
Einaudi, futuro primo presidente della Repubblica Italiana, lo attraversò per rifugiarsi in
Svizzera (una targa bronzea al passo ricorda
l'avvenimento).
Il ritorno in discesa, avviene sullo stesso
percorso dell'andata permettendo di ammirare
ancora meglio l'imponenza della Conca di By e
delle montagne che la racchiudono. Ma non è
proprio tutto così bello, dalla conca dobbiamo
affrontare gli ultimi 3 km in salita per
raggiungere Plan Detruit! Mentre Giuseppe
scende a Valpelline in auto, io in bici mi godo i 15
Km di discesa Plan Detruit – Doues – Valpelline.
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Elenco gite 2012
25 luglio – BIVACCO BIONAZ CHANTRE – Andrea P., Gianluca
27 luglio – SENTIERO n.3 Andrea P. Gianluca –
fino al VALLONE SASSA Ornello, Tere, Elda, Roby
29 luglio - SENTIERO n.16 – Roberto, Chiara, Marco, Stefano, Paola, Luca, Marco, Mara,
Lory, Francy, Anna P., Elda , Carlo, Tere, Rosy, Rosanna, Roberto, Leda.
30 luglio – RIFUGIO ARBOLLE – Marco, Luca, Anna R., Roby, Leda,
EMILIUS Andrea P., Fabrizio, Leo, Gianluca
31 luglio - SENTIERO n.3 – Andrea P., Fabrizio, Leo, Paolo e fratello
02 agosto – CHAMPILLON + COLLE – Andrea p:, Roby, Anna R., Paola, Marco, Luca, Paola,
Rolando, Marisa, Paolo, Carla, Carla Gianluca,
03 agosto – ALBERO MONUMENTALE – Andrea P., Roby, Anna R. Carla, Giuseppe,
Rolando, Marisa, Paolo
05 agosto – MADONNA DELLE NEVI – Andrea, Enrico – pioggia e grandine
06 agosto – LAGO MORTO – Andrea, Enrico, Giuseppe – grandine e pioggia
07 agosto – PLAN DE SABLE – Fam. Salvioni, Fam. Colombo, Andrea, Roby, Ornello,
Teresina e Carla - sole
09 agosto- ARPY - Fam. Salvioni, Fam.Colombo, Roby, Andrea P., Renata, fam. Canegrati,
Giuseppe e Giovanni – sole splendido
LAGO DI PIETRA ROSSA – Giuseppe, Andrea P., Davide s:, Davide C. Anna C.,
Pieraldo
10 agosto – CROCE – Andrea, Giuseppe, Davide C., Anna, Carla, Alessandro Ace, Davide S.
11 agosto – PRA RAIER sentiero alto – fam. Salvioni, fam. Colombo, Francesco, Arianna,
Emanuele, Valentina (amici MAPEI)
12 agosto – PLAN DE LA SABLA – Davide S., Francesco, Arianna, Emanuele, Valentina
(amici MAPEI)
13 agosto – CRETE SECHES – don Paolo, Walter R., Luna, Roby, Andrea P., Carlo M., Sara,
Andrea B. Teresina, Ornello, Davidino - sole
13 agosto – verso LAGO CORNET – Marco C., Gabriele, Gigi
14 agosto – RIFUGIO AOSTA- Andrea, Carlo M., Giuseppe
PLAN CHECROUI – fam. Salvioni, fam. Colombo
CRETE SECHES COLLE – Lele, Alessandro A.
17 agosto – COLLE DI MONTAGNAIA – Davide, Mara, Francesco, Lorenzo, Giuseppe
18 agosto – SENTIERO n.1 – Giuseppe, Marco C.
20 agosto – MADONNA DELLA NEVE con ritorno dal COL VAMEA – Giuseppe
21 agosto - FINESTRA DI DURAND (2.803 m.) – Rino e Giuseppe In auto fino a Doues, in
MTB per la strada interpoderale della conca di By, baite de La Balme, Alpeggio di Thoules,
A piedi fino alla Finestra di Durand.
Carlo e Ornello In auto fino a Glaciè, salita alla conca di By, Apeggio di Thoules, Finestra di
Durand.
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Anniversari Rino Pessina
Tre eventi meritano di essere ricordati quest’anno: il 150° anniversario della salita al
Disgrazia, il 50° anniversario della scalata della parete nord dell’Eiger da parte di alpinisti
italiani, e…. il 20° anniversario del nostro primo trekking.
150 ANNI FA, LA PRIMA SALITA AL
DISGRAZIA
Ho conosciuto questa montagna molti anni fa, era
l’estate del 1958, alla mia prima salita al rifugio
Brioschi in vetta alla Grigna sett. Mentre mi
guardavo attorno estasiato dalla immensa veduta di
montagne innevate, la giornata era limpidissima,
qualcuno mi indicava i nomi delle cime principali, a
ovest il Monviso, il gruppo del Monte Rosa, le Alpi
svizzere, e a nord est il Disgrazia….
Il Monte Disgrazia è una montagna delle Alpi Retiche occidentali alta 3678 m s.l.m.. situata
nella provincia di Sondrio, è una delle vette principali della Valtellina centrale. Costituisce
lo spartiacque tra la Valmalenco e la Val Masino, ed è adiacente ad altri importanti massicci
delle Alpi centrali quali il gruppo del Bernina ed il Masino-Bregaglia. E’ una gigantesca lama
di rocce alterate in superficie, parzialmente rivestita di erte coltri nevose, circondata da
estese formazioni glaciali: la vedretta del Disgrazia a nordovest, della Ventina, a nordest, il
ghiacciaio di Cassandra a sudest, di Preda Rossa a sudovest. La cresta principale è diretta a
nordovest-sudest, tra il passo di Mello (m. 2992) ed il passo di Cassandra(m.3097) e conta
tre vette, l’occidentale la più elevata, le altre inferiori di poche decine di metri. Dalla vetta
principale si stacca verso nord una bellissima cresta di rocce e neve che, dopo l’insellatura
della Forcella Disgrazia (m.3151) si innalca con un cospicuo contrafforte roccioso, il Pizzo
Ventina (m.3261). Dalla vetta centrale si diparte verso sud una cresta rocciosa che al di là
del passo di Corna Rossa (m.2836) forma il nodo dei Corni Bruciati (m.3144).
Completamente ignorato dai valligiani di Masino e Malenco, troppo lontano dall’Engadina,
patria delle prime guide della regione, il Monte Disgrazia, fu “scoperto” alpinisticamente
dagli inglesi. L.Stephen e E.S.Kennedy con la guida Melchior Anderegg ed il domestico
T.Cox, salirono dalla Val Malenco al Passo di Mello il 20 agosto 1862. Stephen e la guida si
spinsero su per la cresta incombente e raggiunsero la sommità di quella larga spalla
granitica, oggi nota come il Monte Pioda (m.3431) che essi denominarono come Picco della
Speranza. Da lì constatarono l’accessibilità alla vetta, e la convenienza di una salita dalla
Val Masino. Tornarono al passo dove li attendeva Kennedy e ridiscesero a valle. Quattro
giorni dopo, ripartirono da Bagni di Masino, percorsero la Val di Mello, salirono agli ultimi
pendii del ghiacciaio di Preda Rossa ed alla cresta nordovest, che in un eccitante alternarsi
di passaggi su roccia e tratti nevosi sospesi sull’abisso della parete nord, li condusse alla
vetta. Il resoconto dell’impresa, stilato da Kennedy, inaugurò, l’anno successivo, il primo
numero della rivista specializzata di alpinismo Alpine Journal . La cresta detta di Pioda
costituisce ancor oggi la via normale di salita, non difficile, ma neppure banale e molto
spettacolare; soltanto nelle stagioni povere di neve, è preferibile il crestone roccioso di
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sudovest, fiancheggiato dal piccolo ghiacciaio di Pioda. I primi italiani a raggiungere la vetta
del Disgrazia il 28 luglio 1878 furono il conte Francesco Lurani Cernuschi di Milano e la
guida alpina di S.Pellegrino Antonio Baroni. La parete nord, che rappresenta una delle
principali imprese delle Alpi centrali, fu scalata per la prima volta il 10 luglio 1934 da
A.Lucchetti Albertini e G.Schenatti, la via diretta venne perfezionata in seguito con
importanti varianti da C.Negri (1941) e da Carlo Mauri (1960). Ma da dove arriva quel nome
tanto inquietante Disgrazia? Si riferisce forse a qualche fatto particolare? Cominciamo
col dire che per i cartografi austriaci esisteva il Pizzo Bello , che non ebbe purtroppo
fortuna. Secondo lo storico Romano Balabio il nome deriverebbe da una alterazione di Munt dei cuai , cioè i Cuai (Quaglia) famiglia valtellinese che possedeva i pascoli alle sue pendici.
Il nome Cuai, corrotto in Guai fu quindi tradotto in Disgrazia. In tempi più recenti, è stata
avanzata l’ipotesi che il toponimo derivi da desdacia o desgracia (disghiaccia): il termine
che in alta Val Malenco indicava la zona degli ultimi pascoli.
Salita Normale:
grado di difficoltà PD+ (nella valutazione d’insieme delle difficoltà alpinistiche è
considerata poco difficile +)
Accesso stradale: Valtellina > Valmasino > Valle di Sasso Bisolo > piano di Preda Rossa (1955
m).
Dal Piano di Preda Rossa al rifugio Cesare Ponti, 2 ore (E) su sentiero.
Dal rifugio Ponti m. 2559, si raggiunge il filo della morena posta di fronte (se si parte da
Predarossa si sale
direttamente alla
morena senza
passare dal
rifugio), si segue
integralmente la
morena, arrivando
al ghiacciaio che
sale in direzione
della Sella di
Pioda.
Se in buone
condizioni, si può
salire un canalino
nevoso (ca 40
gradi) sulla destra
che porta ad un
intaglio della cresta
di misto che si
segue fino alla cima (II° max). Dal rifugio 4/5 ore.
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Il giorno che sull’ Eiger e’ spuntato il tricolore Rino Pessina
16agosto 1962
«Domani italiani kaputt». Curvi sotto il peso degli enormi zaini, gli alpinisti risposero con un
sorriso al non proprio benaugurante saluto del malgaro svizzero che, mentre sorvegliava le
mucche, guardava gli uomini marciare verso la grande parete. Mezzo secolo fa non avevano
ancora l’ossessione dello spread, eppure il confronto con i vicini d’oltralpe era comunque
acceso e, spesse volte, si giocava proprio sulle montagne. Per tutta la prima metà del
Novecento, italiani e tedeschi si erano spartiti le principali realizzazioni sulle Alpi. Ma c’era
una montagna che svizzeri e germanici consideravano una sorta di proprietà privata e lo
dicevano a chiare lettere: «Non è un posto per italiani». Questa montagna era l’Eiger,
l’«Orco» secondo gli alpinisti, con la sua terribile parete nord, una trappola di roccia e
ghiaccio alta 1800 metri.
Nell’estate del 1962, però, la storia era destinata a cambiare e anche gli italiani avrebbero
finalmente scalato la Nordwand. Nel 50° anniversario, il Club alpino italiano ha dedicato
all’impresa il bollino 2012 che gli oltre 320mila soci hanno applicato alla tessera personale.
A onor del vero il simbolo dell’Oberland bernese, che svetta a 3.970 metri sui prati di
Grindelwald – salito, per la prima volta da nord nel 1938, proprio da una cordata austro-
tedesca – era da quasi trent’anni nel mirino degli alpinisti nostrani, che però fino a quel
momento avevano solo rimediato grandi tragedie. Due su tutte: quella dei veneti Bortolo
Sandri e Mario Menti, precipitati dalle placche strapiombanti nel 1937, e quella dei lecchesi
Claudio Corti e Stefano Longhi del 1957, con il secondo morto di fatica e rimasto per due
anni a penzolare esanime sull’abisso, appeso alle corde, fino a quando non fu recuperato e
pietosamente ricomposto. Entrambi gli incidenti furono provocati dall’improvviso mutare del
tempo. Sull’Eiger, infatti, si possono trovare condizioni invernali anche in piena estate e,
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mentre la valle risplende al sole e i prati sono pieni di fiori, lassù si può scatenare un
violento temporale o una forte nevicata.
Anche per porre fine alle feroci polemiche divampate dopo la tragedia del ’57, era
necessario che una cordata italiana riuscisse nell’impresa di salire l’Eigerwand riportando a
casa la pelle. Così nell’agosto di 50 anni fa ben sei alpinisti si ritrovarono sulla Nord, come
racconta Giovanni Capra nel libro Due cordate per una parete (Corbaccio). Sabato 11
attaccò la cordata guidata da Armando Aste, tra i maggiori dolomitisti del dopoguerra,
composta anche da Franco Solina e Pierlorenzo Acquistapace. Poche ore dopo, all’alba di
domenica 12, compì i primi passi sulla parete anche la cordata di Andrea Mellano, Gildo
Airoldi e Romano Perego. La cosa buffa è che i due gruppi si mossero l’uno all’insaputa
dell’altro. A quel tempo, infatti, la prima italiana alla Nord dell’Eiger era un boccone troppo
ghiotto e chi ci metteva gli occhi sopra di certo non lo andava a spifferare ai quattro venti.
Grande fu allora la sorpresa quando, a circa metà parete, le due cordate si incontrarono e,
dopo un attimo di comprensibile smarrimento, decisero di proseguire insieme, riconoscendo
ad Aste il ruolo del leader. Armando subito dettò la strategia: «Voi che siete bravi
ghiacciatori – disse a Mellano, Airoldi e Perego – andrete avanti sui nevai e noi andremo
avanti sulla roccia». Per avanzare in sicurezza, evitando le frequenti scariche di sassi, i sei
decisero di arrampicare soltanto nelle ore più fredde e, quindi, dall’alba a mezzogiorno.
Dopo, cercavano un posto per il bivacco e si preparavano a passare la notte. Una strategia
molto criticata all’epoca, tanto che ci fu anche chi disse che le due cordate fossero andate
sull’Eiger a «pascolare». In ogni caso, dopo tante tragedie, per la prima volta ben sei
alpinisti sbucavano, senza un graffio, dall’orrendo abisso della Nordwand.
Erano le 14,30 di giovedì 16 agosto 1962: finalmente la Nord dell’Eiger, la parete delle
pareti, parlava italiano. «Unendoci – ricorderà anni dopo Andrea Mellano – abbiamo
acquistato una tale forza d’urto che ci ha permesso di affrontare le difficoltà con un
margine di sicurezza notevole». Ma sull’Eiger le sorprese non erano ancora finite. Saputo
del tentativo in atto, un’altra cordata attaccò in quei giorni la parete. Era composta da
Nando Nusdeo di Monza e dal lecchese Giuseppe Alippi. Se non potevano essere i primi
italiani in vetta, almeno avrebbero firmato la seconda ripetizione. E invece, ancora una
volta, il destino decise diversamente. Dopo aver attaccato alle 3 del pomeriggio di
Ferragosto, i due salirono veloci superando le difficoltà iniziali. Verso sera, quando già
pensavano ad attrezzare il bivacco, videro due uomini scendere slegati. Erano inglesi e,
fatti pochi metri, uno dei due cominciò a precipitare, fermandosi fortunatamente poche
decine di metri sotto. Anche l’altro era piuttosto malconcio e impossibilitato a proseguire.
In un attimo, Nusdeo e Alippi devono decidere: o proseguire verso la vetta, abbandonando
gli inglesi a morte certa, oppure soccorrerli, rinunciando alla salita. Non hanno esitazioni e,
dopo notevoli peripezie, riescono a riportare a valle, sani e salvi, i due alpinisti. «Domani
italiani kaputt», aveva detto il contadino svizzero. E invece, in quell’estate di cinquant’anni
fa, sull’Eiger gli italiani non solo conquistarono la cima, ma salvarono anche due vite.
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Letture in campeggio 2012 Otel Bruni Manfredi Valerio M. Letto da Walter F. & Davide C. Non che avesse proprio l’aspetto di un “Otel”, la stalla dei Bruni, ma era ospitale, questo è sicuro. Si trattava di un grosso capannone distante una cinquantina di metri dalla grande casa colonica della famiglia. Nelle sere d’inverno i Bruni, sette fratelli maschi, invece di raccogliersi nella grande cucina andavano a sedersi sugli scomodi sgabelli da mungitura nella stalla, dove le bestie riscaldavano l’aria con il loro fiato e le storie antiche scorrevano
via insieme a grosse sorsate di vino nuovo. Nell’inverno del 1914, quando inizia questa storia, nella stalla dei Bruni c’è un ombrellaio, un vecchio che in realtà non ha mai riparato un ombrello, ma che sa tutto sulle vecchie leggende di paese, sulla magia dei boschi e le sue superstizioni. È lui, una sera infausta, a interpretare i segni del destino e ad annunciare l’arrivo una grave calamità che si sarebbe abbattuta sulla famiglia. …..Forse l’ombrellaio aveva ragione, la Grande Guerra è iniziata. Centinaia di migliaia di ragazzi, il meglio della società, caduti in difesa dei confini della nascente Nazione italiana. Naturalmente anche i giovani Bruni dovranno partire e lasciare la terra alla cura loro donne. Una notte terribile, sul suolo bagnato dal fiume Isonzo, guardando il sangue di quindicimila soldati, Floti penserà con rimpianto alla fatica e all’arsura della terra. Ma quello sarà solo l’inizio.
Debito di sangue – Michael Connelly Letto da Walter F. e Donata R. Terry McCaleb lavorava per l’FBI, era considerato uno dei più bravi a tracciare i profili dei peggiori criminali, un esperto lucido e distaccato. Ma il trapianto cardiaco ha interrotto la sua carriera. Convalescente, ora è costretto a una vita tranquilla e ha un solo desiderio: restaurare la barca che era stata di suo padre, attraccata nel porto di Los Angeles. Non può correre, non può guidare, non può fare nulla. E non capisce perché quella donna salita sulla sua barca senza alcun invito sia così ostinata nel chiedere il suo aiuto.Sua sorella Gloria è stata uccisa in un minimarket di periferia, apparentemente senza alcuna ragione: nessuna ombra nel suo passato, nessuna giustificazione per un gesto tanto efferato. E per quanto i soccorsi siano giunti rapidissimi, per lei non cè stato nulla da fare. Non capisce perché proprio lui dovrebbe indagare su un caso che la polizia ha già deciso di archiviare come l’ennesima rapina finita male. Ma nonostante le sue condizioni di salute ancora precarie, non riesce a tirarsi indietro. Perché con quella donna McCaleb ben presto scopre di avere un debito di sangue.
Un gioco crudele – Dianne Emley Letto da Marilena L. La detective Nan Vining ricorda ogni istante di quell'aggressione, e del mostro dall'aspetto affascinante che l'ha attirata con l'inganno in quella casa vuota per poi colpirla ferocemente. Prima di fuggire, l'uomo l'ha stretta a sé, ansimandole sul viso, come un amante, e fissandola intensamente, per vederle la morte negli occhi. Ma lei non è morta. E il mostro è ancora in libertà. A un anno di distanza, l'agente Vining riprende servizio al distretto di polizia di Pasadena, e subito è chiamta a indagare sull'omicidio di una collega. Il corpo della donna, scomparsa due settimane prima, viene ritrovato sotto un ponte: nudo, coperto di lividi, sgozzato. Nan è turbata dalle somiglianze col proprio caso ….. L'autrice è laureata in filosofia e specializzata in marketing. "Un gioco crudele" è il suo romanzo d'esordio.
Più rispetto, che sono tua madre -Hernan Casciari Letto da Marilena L.
La famiglia Bertotti vive a Mercedes, in Argentina, e in essa militano Mirta, la madre e voce narrante, Zacharias, il marito che per modi e sensibilità le ricorda un rinoceronte, il nonno don Américo, emigrato italiano, i tre strampalati figli, il Nacho, il Caio e la Sofi, e il gatto Cantinflas, il componente più equilibrato della famiglia. Il romanzo, che si presenta sotto forma di diario di una “gorda” donna di provincia, Mirta, ci proietta nel bel mezzo della sua sgangherata famiglia e dei loro segreti più inconfessabili. Ci colpiscono le evolute strategie educative dei genitori e le sofferenze giovanili dei tre figli, scapestrati al limite della devianza i due minori, .. Appassionante come un serial e attuale come una diretta, questa commedia coinvolge il lettore nell’ordinaria follia quotidiana dei Bertotti riempiendolo di buon umore con la sua comicità paradossale e scuotendolo con continue esplosioni di risa da mal di pancia alternate a momenti di viva commozione. Gli antipapi del grande scisma d'Occidente - Galli Antonio Letto da Davide L. Con Grande Scisma d'Occidente s'intende la crisi dell'autorità papale che dal 1378 al 1417 lacerò la Chiesa occidentale. Un periodo segnato da rivalità dottrinali, violente deportazioni di legittimi pontefici, fazioni in lotta fra loro, doppie elezioni e dall'incertezza in alcuni periodi della legislazione canonica sulla elezione dei papi, ma, soprattutto, dalla dispotica e spesso armata ingerenza di basileus bizantini, re francesi, imperatori tedeschi, nobili e signorotti dell'Urbe e dintorni e, infine, dal partito avignonese. Da questione puramente ecclesiastica, il conflitto si trasformò in una crisi politica di dimensioni continentali, tale da orientare alleanze e scelte in virtù del riconoscimento che i sovrani europei tributavano all'uno o all'altro pontefice. La fratellanza della Sacra Sindone – Julia Navarro Letto da Davide L Torino, 1991. Domate le fiamme divampate nel duomo, viene rinvenuto il cadavere carbonizzato di un uomo senza lingua. Un particolare che mette in allarme il capitano dei carabinieri Marco Valoni, che inizia a sospettare che l'incendio non sia stato causato da un corto circuito. Coadiuvato dall'affascinante storica dell'arte Sofia Galloni e da una giornalista spagnola, si mette sulle tracce di una ristretta élite di uomini colti, raffinati, ma soprattutto di grande potere, che sembrano nutrire un particolare interesse per il lenzuolo con l'immagine del Cristo sofferente. Valoni dovrà ripercorrere l'intera storia del Sacro Lino, tra complotti e miracoli, eresie e Crociate, apostoli e Templari, mentre presente e passato si fondono in un thriller ingegnoso ed entusiasmante, in una storia che sembra avere molti misteri da svelare. Tradotto in 15 lingue, La fratellanza della Sacra Sindone è stato un bestseller assoluto in Spagna e nel mondo, con oltre un milione di copie vendute, tanto da essere considerato l'erede più autentico del Codice da Vinci di Dan Brown.
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Memorie di una geisha – Arthur Golden Letto da Emanuela L. e Chiara P. Circondate da un'aura di mistero, le geishe hanno sempre esercitato sugli occidentali un'attrazione quasi irresistibile. Ma chi sono in realtà queste donne? A tutte le domande che queste figure leggendarie suscitano, Arthur Golden ha risposto con un romanzo, profondamente documentato, che conserva tutta l'immediatezza e l'emozione di una storia vera. Che cosa significa essere una geisha lo apprendiamo così dalla voce di Sayuri che ci racconta la sua storia: l'infanzia, il rapimento, l'addestramento, la disciplina - tutte le vicende che, sullo sfondo del Giappone del '900, l'hanno condotta a diventare la geisha più famosa e ricercata. Un romanzo avvincente e toccante, coronato da uno straordinario ritratto femminile e dalla sua voce indimenticabile.
Marina – Carlos Ruiz Zafon Letto da Emanuela L Barcellona, fine anni Settanta. Óscar Drai è un giovane studente che trascorre gli anni della sua adolescenza in un cupo collegio della città catalana. Colmo di quella dolorosa energia così tipica dell'età, fatta in parti uguali di sogno e insofferenza, Óscar ama allontanarsi non visto dalle soffocanti mura del convitto, per perdersi nel dedalo di vie, ville e palazzi di quartieri che trasudano a ogni angolo storia e mistero. In occasione di una di queste fughe il giovane si lascia rapire da una musica che lo porta fino alle finestre di una casa. All'interno, un antico grammofono suona un'ammaliante canzone per voce e pianoforte. Nel momento in cui sottrae l'oggetto e scappa, è sopraffatto da un gesto che risulta inspiegabile a lui per primo. Qualche giorno dopo tutto gli apparirà tanto chiaro quanto splendidamente misterioso. Tornando sui suoi passi per restituire il maltolto, infatti, Óscar incontra la giovane Marina e il suo enigmatico padre, il pittore Germàn. E niente per lui sarà più come prima. Scritto prima de "L'ombra del vento" e "Il gioco dell'angelo" questo romanzo ne anticipa i grandi temi: gli enigmi del passato, l'amore per la conoscenza, la bellezza gotica e senza tempo di Barcellona.
Il palazzo della mezzanotte - Carlos Ruiz Zafon Letto da Emanuela L Calcutta, 1916. Una locomotiva infuocata squarcia la notte portandosi dietro un carico di morti innocenti mentre un giovane tenente inglese sacrifica la vita per salvare due gemelli neonati, un maschio e una femmina, inseguiti da un tragico destino. Calcutta, 1932. Ben, il gemello maschio, compie sedici anni e festeggia l'inizio della sua vita adulta, il giorno in cui dovrà abbandonare l'orfanotrofio. Festeggia anche l'ultimo giorno della Chowbar Society, un club segreto formato da sette orfani che per anni si è riunito in un antico edificio in rovina, il Palazzo della Mezzanotte. Ma il passato bussa alla porta. Una bellissima ragazza, la sorella gemella Sheere, entra nel palazzo e inizia a raccontare una storia d'amore, morte, pazzia e vendetta che come un'ombra nera si proietta sul futuro del fratello. Le braci dell'incendio di sedici anni prima ricominciano ad ardere...
Fai bei sogni – Massimo Gramellini Letto da Anna C. & Chiara E’ la storia di un segreto celato in una busta per quarant'anni. La storia di un bambino, e poi di un adulto, che imparerà ad affrontare il dolore più grande, la perdita della mamma, e il mostro più insidioso: il timore di vivere. "Fai bei sogni" è dedicato a quelli che nella vita hanno perso qualcosa. Un amore, un lavoro, un tesoro. E rifiutandosi di accettare la realtà, finiscono per smarrire se stessi. Come il protagonista di questo romanzo. Uno che
cammina sulle punte dei piedi e a testa bassa perché il cielo lo spaventa, e anche la terra. "Fai bei sogni" è soprattutto un libro sulla verità e sulla paura di conoscerla. Immergendosi nella sofferenza e superandola, ci ricorda come sia sempre possibile buttarsi alle spalle la sfiducia per andare al di là dei nostri limiti. Massimo Gramellini ha raccolto gli slanci e le ferite di una vita priva del suo appiglio più solido. Una lotta incessante contro la solitudine, l'inadeguatezza e il senso di abbandono, raccontata con passione e delicata ironia.
Il paese delle stelle nascoste – Sara Yalda Letto da Chiara P Per tutta la vita, Sara non ha tatto che fuggire: dalla sua infanzia, dal suo paese, da suo padre. È arrivata persino a cambiarsi il nome. Sara. Due sillabe facili per cancellare i suoni dissonanti di Afsaneh. Ha giocato a essere qualcun altro, per integrarsi ed essere accettata. Ma a forza di conformarsi, un giorno ha compreso che non sapeva più chi era. Per questo, dopo 27 anni, decide di tornare in Iran. Il mondo cosmopolita della sua infanzia non c'è più. Ora sull'aereo della Iranair l'altoparlante esordisce con "nel nome di Dio clemente e misericordioso" e su ogni sedile una bussola indica la direzione della Mecca. Ma poi, quello che Sara trova, è un mondo schizofrenico, che in superficie si adegua ai precetti fondamentalisti, ma sotto li trasgredisce tutti. I giovani fanno feste, bevono, guardano film proibiti, si raccontano barzellette sul presidente, e le donne sotto il velo indossano minigonne e abiti attillati, si truccano, criticano e resistono. Straniera nel suo paese, Sara cerca di decifrare l'Iran, e intanto va alla ricerca del suo passato.
La mamma del sole – Andrea Vitali Letto da Lilly La motonave Nibbio, vecchia gloria della Navigazione Lariana, sta effettuando il suo ultimo viaggio. A Bellano sbarca un'anziana donna: sta cercando il vecchio parroco, don Carlo Gheratti. Attraversa a fatica il paese arso dalla canicola estiva, prima di scomparire nel nulla. Quando arriva la notizia che manca una delle ospiti del Pio Ospizio San Generoso di Gravedona, sulle due rive del lago i carabinieri iniziano a indagare. Un secondo enigma segna l'estate del 1933. Dietro pressante richiesta del Partito e della Prefettura, i carabinieri devono raccogliere informazioni su una "celebre" concittadina, Velia Berilli, madre di quattordici figli, tra legittimi e illegittimi. Perché mai Velia Berilli è diventata così importante? Due misteri, insomma, cui si aggiunge un altro problema: in caserma si è rotto il vetro del bagno, e aggiustarlo non sarà semplice. Ancora una volta, le pagine di Vitali si animano di una piccola folla di protagonisti e comprimari: dall'equipaggio della Nibbio alle autorità locali, e poi don Gheratti, il sacrestano Bigé e la perpetua Scudiscia
Almeno il cappello – Andrea Vitali Letto da Lilly Ad accogliere i viaggiatori che d'estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia c'è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l'intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi. Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a metter d'accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del Partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona. Un insieme di imprevedibili circostanze - assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri - può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull'altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole.
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La leggenda del morto contento - Andrea Vitali Letto da Lilly È il 25 luglio 1843, una mattina d'estate senza una nube e con una luce che ammazza tutti i colori. Due giovani in cerca d'avventura salpano su una barchetta con tre vele latine. Dal molo di Bellano, li segue lo sguardo preoccupato del sarto Lepido: non è giornata, sta per alzarsi il vento. L'imbarcazione è presto al largo, in un attimo lo scafo si rovescia. Un'imprudenza. Una disgrazia. Ma la tragedia crea un problema. A riva viene riportato il corpo dell'irrequieto Francesco, figlio di Giangenesio Gorgia, ricco e potente mercante del paese. Il disperso è Emilio Spanzen, figlio di un ingegnere che sta progettando la ferrovia che congiungerà Milano alla Valtellina. Due famiglie importanti. Bisogna a tutti i costi trovare un colpevole. Per la prima volta, Andrea Vitali risale il corso del tempo verso l'Ottocento, per raccontare un altro squarcio della sua Bellano. Ritroviamo così l'eco della dominazione austriaca, con i notabili e i poveracci, gli scapestrati e le bisbetiche, le autorità e gli ubriaconi... Tra lacrime e sorrisi, "La leggenda del morto contento" racconta una storia di padri e di figli, di colpevoli e di innocenti, di giustizia e di malagiustizia: ottocentesca, ma solo in apparenza.
La Miliziana – Elsa Orsorio Letto da Stefano R Da una parte, la luminosa figura di Micaela Etchebéhère, detta Mika, ebrea argentina di origini russe e passioni rivoluzionarie. Dall'altra, una scrittrice come Elsa Osorio che ne insegue per anni, con timore e ammirazione, l'avventurosa traiettoria esistenziale e politica, trasformandola in romanzo. Questo libro è un dialogo a distanza, l'omaggio a una donna straordinaria, dimenticata dalla Storia ufficiale, l'unica donna che durante la Guerra civile spagnola ha comandato una milizia antifranchista. Intrecciando al romanzo le testimonianze di chi l'ha conosciuta personalmente, le sue lettere e i suoi scritti, Elsa Osorio ripercorre la storia di Mika a partire dagli anni dell'università, a Buenos Aires, e dall'incontro con Hipólito Etchebéhère, che diventerà il suo compagno di vita e di lotta. I due, inseguendo la sfida di sostenere le battaglie della classe operaia, passeranno da Parigi a una Berlino congelata dall'avvento del nazismo e infine, nel 1936, alla Spagna della Guerra civile.
E finalmente ti dirò addio – Lauren Oliver Letto da Patrizia R Samantha Kingston ha tutto quello che un'adolescente potrebbe desiderare: il ragazzo più bello della scuola, tre amiche fantastiche, un'incredibile popolarità. Quel venerdì 12 febbraio si preannuncia come un altro giorno perfetto nella sua meravigliosa vita. Invece non andrà così, perché quella sera Sam morirà. Tornando con le sue amiche in macchina da una festa avrà un incidente. La mattina seguente, però, la ragazza si risveglia misteriosamente nel suo letto ed è ancora il 12 febbraio. Sospesa fra la vita e la morte, Sam continua a rivivere quella sua ultima giornata. Ogni volta si comporterà in modo diverso, cercando disperatamente di evitare l'incidente che la farà morire. Ma riuscirà a uscire da quell'incubo solo quando capirà che non è per salvare se stessa che continua a tornare.
Tre indagini di Petra Delicado: Riti di morte-Giorno da cani-Messaggeri dell'oscurità - Giménez Bartlett Alicia Letto da Stefano R In "Riti di morte" il lettore conosce l'ispettrice, quarant'anni, bella anticonformista, due matrimoni falliti alle spalle. È stata confinata al servizio documentazione di un commissariato di Barcellona. Poi una inaspettata indagine e
l'incontro con il viceispettore Fermin Garzón, vedovo cinquantenne, uomo d'altri tempi, ma autentico poliziotto di strada. Da questo momento Petra abbandona la scrivania e inizia il sodalizio tra i due. La vicenda del libri ruota attorno a degli stupri che si consumano a tarda sera contro giovani donne. Caratteristica comune: le vittime vengono "marchiate" con una sorta di tatuaggio a forma di fiore. In "Giorno da cani", un poveraccio viene trovato morto; accanto a lui il suo cane che non lo abbandona. Si tratta di un barbone e nessuno si appassiona al caso. Ma dietro l'apparenza di una morte naturale si nasconde un delitto. Sembra impossibile approdare a qualche risultato con il cane unico testimone, ma non per Petra Delicado e per Fermin Garzón. In "Messaggeri dell'oscurità" Petra riceve dei pacchi che contengono peni amputati. Le sue indagini la condurranno sulle tracce di una setta, fondata in Russia nel XVIII secolo, e a un torrido incontro con il poliziotto russo.
Petra Delicado indaga ancora: Il caso lituano-Nido vuoto-Il silenzio dei chiostri Giménez Bartlett Alicia
Letto da Stefano R Con Petra Delicado, ispettrice della polizia di Barcellona, e Fermín Garzón, suo vice, Alicia Giménez-Bartlett ha creato una di quelle polarità essenziali che donano al racconto un movimento autonomo, una vita indipendente dallo stesso intreccio. La sensazione, alla lettura, è di una combinazione euforica di thriller e commedia senza perdita di leggerezza né di atrocità. In questo volume: "Il caso del lituano": l'omicidio del bell'immigrato dall'agiatezza sospetta; la morte orrenda del bullo da palestra; la strage delle quattro ragazze di una madame dal cuore tenero: tre rapide storiacce tenute assieme dallo squallore della periferia e dal continuo battibecco con cui Petra e Fermín cercano di arginare dalla loro vita il caos del mondo. "Nido vuoto": "La mia glock era sparita. Farsi rubare la pistola da una bambina, il colmo del ridicolo per un poliziotto". Inizia con la caccia un po' giocosa a una piccola ladra l'itinerario di Petra e Fermín in uno dei tanti inferni all'angolo della strada, dove convivono crimine e conformismo. "Il silenzio dei chiostri": "Una delle indagini più inquietanti e complicate della nostra carriera". Petra e Fermín indagano sul simbolico omicidio di fra Cristóbal dello Spirito Santo venuto a restaurare la reliquia di un santo nel convento delle sorelle del Cuore Immacolato, e faticano a schivare gli illusionismi mascherati da soprannaturale.
Il Linguaggio Nascosto Della Vita -Evans Richard P. Letto da Teresina ed Elvira
Cosa faresti se in un solo istante perdessi tutto? La casa, il lavoro, la persona che ami? Quando la tragedia piomba nell'esistenza fino a quel momento perfetta di Alan Christoffersen il suo primo pensiero è di farla finita. Non ha più niente per cui vivere, tutto ciò che gli resta è il tubetto di pillole che stringe in mano... All'improvviso, come colto da un'illuminazione, Alan decide di non lasciarsi andare e di intraprendere un viaggio. Non un viaggio qualunque, ma una traversata a piedi degli Stati Uniti da Seattle, dove vive, al punto più lontano sulla mappa: Key West, Florida. Nelle persone che incontrerà lungo il cammino, nelle loro storie e nelle loro esperienze cercherà di ritrovare il significato della propria presenza nel mondo. Con "II linguaggio nascosto della vita", Richard Paul Evans ha inaugurato una serie che seguirà Alan e le sue vicende, la sua strada.
Voglio prenderti per mano – Ann Hood - Letto da Teresina È una bellissima bimba senza nome quella che Chun tiene tra le braccia. Ancora pochi istanti e dovrà separarsene, avvolgerla nel drappo di stoffa, posarla nella cesta di vimini e allontanarsi in fretta, senza cedere alla tentazione di voltarsi. Perché se il cielo ascolterà le sue preghiere, la porta dell'Istituto non tarderà ad aprirsi e una nuova vita,
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più bella e più facile, comincerà per la piccola lontano da qui. Dall'altra parte del mondo, in quello stesso momento, Maya Lange sta lavorando perché il sogno di Chun, e di tante altre come lei, possa avverarsi. È specializzata in speranza Maya, fondatrice e proprietaria di un'agenzia di adozioni: grazie a lei, il dolore di una madre si converte nella gioia di un'altra, un destino apparentemente segnato vira di colpo e le fila di vite fino a un attimo prima distanti si intrecciano a formare nuove, indissolubili trame d'amore. Sono più di quattrocento le bambine a cui Maya ha trovato, negli anni, una nuova famiglia, una casa. Di ciascuna lei conserva un ritratto, un ricordo. E nei momenti peggiori, quando le ansie, le paure e i dubbi degli aspiranti genitori minacciano di travolgerla, è sufficiente che Maya guardi i loro visi per ritrovare di colpo la forza di ascoltare, rassicurare, consolare. Perché il solo dolore che Maya abbia rinunciato a curare è quello che si porta dentro, irrimediabile come la perdita che lo ha causato. Ma il destino è un filo impossibile da spezzare, e Maya sta per scoprire chi c'è all'altro capo del suo.
Se solo fosse vero – Marc Levy - - Letto da Teresina San Francisco. Arthur è un giovane architetto e si è da poco trasferito in un nuovo appartamento. Dopo una giornata faticosa, accende la musica e si rilassa con un bagno caldo. È allora che si accorge che in casa c'è qualcuno, una donna. Si tratta di Laureen. Con il passare delle settimane i due diventano amici e il sentimento che li unisce si trasforma in amore. C'è solo un ostacolo: Laureen è un fantasma. Il suo corpo, quello di una dottoressa di trent'anni, giace in coma in un letto d'ospedale. E i medici, convinti che per lei non ci sia più niente da fare, stanno per staccare il respiratore. Per Arthur comincia così una corsa contro il tempo per salvare la donna che ama.
Le ragazze di Kabul – Gately Roberta Letto da Teresina Due destini che si incrociano, sulle labbra il colore rosso della passione. Elsa è americana, ha ventidue anni e fa l'infermiera in un piccolo villaggio dell'Afghanistan. Ogni giorno i suoi occhi vedono povertà, dolore, orrore e devastazione. Ma Elsa è una donna coraggiosa e ostinata e continua a lavorare senza sosta. Si adatta ai costumi locali e indossa il burqa, senza però rinunciare alla sua grande passione: il rossetto. Nascosta sotto abiti pesanti, Elsa ogni mattina continua a colorare le sue labbra. Rosso ciliegia, malva, rosa, sfumature che l'aiutano a sorridere e ad andare avanti, anche quando la legge sanguinaria dei talebani arriva nel suo villaggio. Parween è una giovane e ribelle afgana, che come Elsa non si piega alla repressione del regime. I talebani le hanno ucciso il marito e lei vuole vendetta. Sarà proprio un rossetto, ritrovato per caso dopo la spaventosa esplosione di un autobus, a farle incontrare. È l'inizio di un'amicizia che cambierà per sempre la vita di entrambe. La luce sugli oceani - -Stedman M. L. Letto da Teresina e Roberta Isabel ama la luce del faro tra gli oceani, che rischiara le notti. E adora le mattine radiose, con l'alba che spunta prima lì che altrove, quasi quel faro fosse il centro del mondo. Per questo ogni giorno scende verso la scogliera e si concede un momento per perdersi con lo sguardo tra il blu, nel punto in cui i due oceani, quello australe e quello indiano, si stendono come un tappeto senza confini. Lì, sull'isola remota e aspra abitata solo da lei e suo marito Tom, il guardiano del faro, Isabel non ha mai avuto paura. Si è abituata ai lunghi silenzi e al rumore assordante del mare. Ma questa mattina un grido sottile come un volo di gabbiani rompe d'improvviso la quiete dell'alba. Quel
grido, destinato a cambiare per sempre la loro vita, è il tenue vagito di una bambina, ritrovata a bordo di una barca naufragata sugli scogli, insieme al cadavere di uno sconosciuto. Per Isabel la bambina senza nome è il regalo più grande che l'oceano le abbia mai fatto. È la figlia che ha sempre voluto. E sarà sua. Nessuno lo verrà a sapere, basterà solo infrangere una piccola regola. Basterà che Tom non segnali il naufragio alle autorità, così nessuno verrà mai a cercarla. Decidono di chiamarla Lucy. Ben presto quella creatura vivace e sempre bisognosa d'attenzione diventa la luce della loro vita. Ma ogni luce crea delle ombre. E quell'ombra nasconde un segreto pesante come un macigno, più indomabile di qualunque corrente e tempesta Tom abbia mai dovuto illuminare con la luce del suo faro.
Il gusto proibito dello zenzero - - Ford Jamie Letto da Teresina, Elvira e Roberta Seattle. Nella cantina dell'hotel Panama il tempo pare essersi fermato: sono passati quarant'anni, ma tutto è rimasto come allora. Nonostante sia coperto di polvere, l'ombrellino di bambù brilla ancora, rosso e bianco, con il disegno di un pesce arancione. A Henry Lee basta vederlo aperto per ritrovarsi di nuovo nei primi anni Quaranta. L'America è in guerra ed è attraversata da un razzismo strisciante. Henry, giovane cinese, è solo un ragazzino ma conosce già da tempo l'odio e la violenza. Essere picchiato e insultato a scuola è la regola ormai, a parte quei pochi momenti fortunati in cui semplicemente viene ignorato. Ma un giorno Henry incontra due occhi simili ai suoi: lei è Keiko, capelli neri e frangetta sbarazzina, l'aria timida e smarrita. È giapponese e come lui ha conosciuto il peso di avere una pelle diversa. All'inizio la loro è una tenera amicizia, fatta di passeggiate nel parco, fughe da scuola, serate ad ascoltare jazz nei locali dove di nascosto si beve lo zenzero giamaicano. Ma, giorno dopo giorno, il loro legame si trasforma in qualcosa di molto più profondo. Un amore innocente e spensierato. Un amore impossibile. Perché l'ordine del governo è chiaro: i giapponesi dovranno essere internati e a Henry, come alle comunità cinesi e, del resto, agli americani, è assolutamente vietato avere rapporti con loro. Eppure i due ragazzini sono disposti a tutto, anche a sfidare i pregiudizi e le dure leggi del conflitto.
Stanotte la libertà - Lapierre Dominique Letto da Rosanna All'inizio degli anni settanta Dominique Lapierre e Larry Collins attraversano il continente indiano per raccogliere interviste con testimoni, registrare vicende strabilianti, comporre la trama di un potente racconto corale: quello del popolo indiano in cammino verso la propria indipendenza. Dalla nomina di Lord Mountbatten a viceré delle Indie, il 1° gennaio 1947, all'assassinio di Gandhi, il 30 gennaio 1948, "Stanotte la libertà" ripercorre i tredici mesi che cambiarono per sempre il volto dell'Impero britannico e il destino di quattrocento milioni di indiani. Un viaggio serrato e appassionante tra i segreti di una terra incantevole, le miserie e gli splendori del suo popolo, il coraggio e la fede degli uomini che aprirono la via alla libertà. Su tutti, s'irradia la figura del Mahatma Gandhi, la Grande
anima, il profeta dal fascino tuttora inesauribile. Quel viaggio segnerà la vita di Dominique Lapierre, che da allora, preso d'amore per la sua India, vi ritornerà per infiniti viaggi, memorabili incontri, nobili slanci umanitari.
India mon amour - - Lapierre Dominique Letto da Rosanna Nei primi anni settanta Dominique Lapierre, con Larry Collins, arriva a Nuova Delhi per scrivere la straordinaria storia dell'indipendenza dell'India dall'impero britannico. È l'inizio di una prodigiosa storia d'amore. Al volante di una vecchia Rolls-Royce Silver Cloud - la macchina dei maharaja percorre in sei mesi più di ventimila chilometri. Raccoglie testimonianze e documenti unici, vive avventure rocambolesche, conosce e riesce persino a intervistare
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gli assassini del Mahatma Gandhi. Ne nascerà "Stanotte la libertà", racconto epico sulla lotta per l'indipendenza indiana. Dopo il primo viaggio, Lapierre ritornerà in India incessantemente, impegnandosi in programmi concreti contro le condizioni di estrema povertà. Incontra madre Teresa di Calcutta; collabora con James Stevens, fondatore del centro Udayan, grazie al quale migliaia di figli di lebbrosi vengono strappati dalla miseria e dalla malattia. L'intervento di Lapierre si rivelerà decisivo per la sopravvivenza e il rilancio di questa istituzione. Seguiranno gli anni vissuti tra i diseredati delle bidonville di Pilkhana, a fianco dell'infermiere svizzero Gaston Grandjean. Anni di grande slancio e di immersione nella sofferenza e nella privazione da cui vedranno la luce un libro e un film celeberrimi: "La Città della gioia". Ripetuti viaggi nei misteri del paese-continente, la vitalità e il fascino dell'umanità incontrata si condensano in "India mon amour".
Lady Roxana - Defoe Daniel Letto da Lia "Lady Roxana" conclude il ciclo dei grandi romanzi di Defoe. Implacabile documentario d'una lotta quotidiana per l'esistenza, narra le vicende di una giovinetta di modeste origini, che la sorte - giovane sposa, cinque volte madre e subito vedova - e il carattere indipendente spingono all'avidità e all'ambizione: all'ombra di tresche lucrose Roxana, divenuta una spregiudicata cortigiana, giunge alla ricchezza e all'età matura. Ma la sua vita è piena di inganni e menzogne, e la sua sconfitta finale è senza riscatto.
Luna di primavera - Bette Bao Lord Letto da Elvira Bette Bao Lord scrittrice cinese sposata in America a Winston Lord. Lei è nata a Shangai, ma lall'età di otto anni si è trasferita con la famiglia in America Il trasferimento dalla Cina agli USA, nel 1947 avvenne in piena guerra cino-giapponese, quando suo padre, un ingegnere con una formazione britannica, fu inviato, grazie a questi studi, dal governo cinese (Kuomintang), ad acquisire nuove conoscenze tecnologiche. Ma nel 1947 la famiglia Bao rimase, nel paese che la ospitava, come rifugiata politica, perché Mao Zedong e gli eserciti comunisti avevano vinto la guerra civile contro il Kuomintang di Chang Kai-Shek. Bette Bao Lord è avvocato difensore dei diritti umani oltre che scrittrice affermata. Il suo primo romanzo è proprio Luna di Primavera bestseller internazionale che gli è valso la nomination dall'American Book Awards come primo romanzo pubblicato ….La vicenda si snoda tra gli ultimi decenni dell'impero e l'inizio del disgelo della guerra fredda, cioè tra il 1892 e il 1973 ha il suo incipit a Sữchow, una ridente città del sud della Cina, quando Luna di Primavera, la protagonista è solo una bambina di otto anni, nata in una famiglia mandarina di letterati, impara a leggere e a scrivere contrariarmente a quello che di solito succedeva alle bambine che nn venivano istruite…..
Tre tazze di tè - Mortenson Greg, Relin David O Letto da Elvira e Carlo Nel 1993, lo scalatore americano Greg Mortenson, dopo un tentativo fallito di raggiungere la vetta del K2 e una difficile discesa che mette a repentaglio la sua vita, giunge nello sperduto villaggio di Korphe, nel Karakorum pakistano. Gli abitanti lo curano per sette settimane, e per sdebitarsi Greg promette loro che tornerà a costruire una scuola. "Tre tazze di tè" è la storia di quella promessa, delle difficoltà incontrate per mantenerla - in California, Greg rinuncia alla casa e vive in macchina per non sprecare i soldi dell'affitto - e della spettacolare riuscita
dell'impresa: in una dozzina di anni Mortenson ha costruito non una ma cinquantacinque scuole, ha promosso in particolare l'istruzione delle bambine, da sempre escluse, e ha portato avanti la sua opera nelle zone dominate dai Talebani, anche dopo l'11 settembre e le guerre che hanno insanguinato una terra già martoriata.
Cadavere non identificato – Cornwell Patricia D. Letto da Erika Richmond, Virginia: viene rinvenuto il cadavere di un uomo in avanzato stato di decomposizione. L'autopsia non riesce a stabilire la causa della morte e la polizia non è in grado di identificarlo. Ma strani peli e segni di terrificanti rituali ritrovati sul corpo della vittima fanno pensare alla mano criminale di una creatura di cui non si vorrebbe neanche supporre l'esistenza. E' questo l'inizio di una nuova, terrificante sfida per l'anatomopatologa Kay Scarpetta.
Calliphora - Cornwell Patricia D. Letto da Erika È impossibile, nella carriera di un detective, dimenticare il disordinato, incessante movimento delle mosche necrofaghe su un cadavere umano: uno spettacolo orribile che prima o poi un poliziotto è costretto a contemplare. Adesso le mosche Calliphora potrebbero essere un lontano ricordo per Kay Scarpetta che, lasciati Richmond e l'Istituto di medicina legale della Virginia, si è trasferita a Delray Beach, in Florida: un lavoro da consulente free lance, decisamente più tranquillo. Ma gli spettri, si sa, ritornano. La strana morte in Louisiana di una ricca signora, apparentemente per overdose, ben presto mostra inquietanti collegamenti con la scomparsa di numerose donne nella zona di Baton Rouge.
La traccia - Cornwell Patricia D. Letto da Erika Kay Scarpetta, costretta alla libera professione in Florida, viene richiamata con grande urgenza a Richmond, in Virginia, la città che cinque anni prima le aveva voltato le spalle. Chi dirige ora il Dipartimento di Medicina legale è un presuntuoso incompetente e Kay Scarpetta ha la brutta sorpresa di trovare i suoi laboratori in uno stato di completo abbandono. È questo il motivo per cui i colleghi di una volta non riescono a venire a capo della morte di una quattordicenne. Dipenderà da una impercettibile traccia e da un colpo d'astuzia della protagonista - mai stata sola come adesso, oppressa dai rancori di un tempo e dalle incomprensioni di oggi - che l'indagine riesca a trovare
finalmente un punto d'appoggio.
Predatore - Cornwell Patricia D. Letto da Erika Per la polizia della contea di Broward, Florida, il caso è chiuso: Johnny Swift si è suicidato sparandosi un colpo di fucile al petto. Ma Kay Scarpetta, che dopo aver lasciato l'Istituto di medicina legale di Richmond è oggi a capo della National Forensic Academy, non è altrettanto sicura. Soprattutto dopo che Pete Marino ha ricevuto la telefonata di un uomo che gli comunica che prove determinanti sono state occultate. A Boston, intanto, lo psicologo forense Benton Wesley sta lavorando a un programma, denominato PREDATOR, che studia il cervello dei criminali per individuare le possibili origini dell'aggressività. E proprio uno di loro gli rivela particolari inquietanti sulla scomparsa di una donna e di sua figlia avvenuta due anni prima.
Noi siamo la rivoluzione. Storie di uomini e donne che sfidano il loro tempo –Federico Rubini-Letto da Roberto S. "Anche nel punto più basso di una crisi, noi europei restiamo deterministi ed egocentrici; pensiamo che tutto debba evolvere verso un modello di vita simile al nostro, sebbene non siamo più tanto sicuri di quale sia il nostro modello. Quello che tendiamo a dimenticare è che all'origine di ogni evoluzione spesso non c'è il proposito di seguire un'idea precostituita ma, al contrario, una forte dose di anticonformismo."" E sono proprio l'anticonformismo, la voglia di
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decidere di testa propria, il desiderio e spesso l'urgenza di infrangere le regole consolidate che caratterizzano i personaggi delle storie raccolte da Federico Fubini durante un viaggio in sette tappe, dall'Arabia Saudita a Catanzaro, passando per il Sud della Thailandia, l'India tribale, il Bhutan, il Corno d'Africa e la Tunisia. Tutti i protagonisti delle vicende raccontate in "Noi siamo la rivoluzione" sono portatori, non sempre consapevoli, del germe del cambiamento. Da est a ovest, sette rivoluzioni di questo inizio secolo, in atto o incipienti, caratterizzate da ingredienti comuni: compressione o accelerazione del tempo, scambio di idee fra luoghi lontani, social network, presenza di individui controcorrente al centro di trasformazioni rapidissime. È quando si verificano queste condizioni, spiega Fubini, che può nascere una rivoluzione, politica, sociale o culturale, capace di diffondersi fulminea come un vero e proprio contagio, con conseguenze ed esiti quasi sempre impossibili da prevedere.
L’altra storia di noi - Weiner Jennifer Letto da Francesca S. "Noi due staremo insieme per sempre." Con questa frase Addie Downs e Valerie Adler avevano suggellato la loro amicizia nel lontano giugno del 1983, a soli nove anni. Val si era appena trasferita a Pleasant Ridge, un piccolo paese alle porte di Chicago, con la madre, hippy e divorziata, proprio nella casa di fronte a quella di Addie. Erano bastati pochi minuti perché le due diventassero inseparabili. Addie si era trovata a vivere esperienze che non si sarebbe mai neppure sognata, come dormire in macchina o scappare nel Maine per andare in canoa, e Val aveva scoperto cosa significassero affetto familiare, frigo pieno e niente surgelati. Più di vent'anni dopo, le loro vite non potrebbero essere più diverse e di quel patto d'amicizia non è rimasto nulla. Addie, in seguito a una breve esperienza a New York, è tornata a casa per accudire la madre malata e poi il fratello maggiore, invalido, in seguito a un brutto incidente. Val, invece, è una donna di mondo, vive in città, lavora in tv e di uomini ne ha quanti ne vuole. Quando Val bussa alla sua porta nel cuore della notte per chiederle aiuto, però, il rancore che Addie provava nei suoi confronti, dopo una brutta storia successa al liceo, si scioglie. Per entrambe è il momento di lasciarsi il passato alle spalle, di provare a ricostruire il loro rapporto da dove lo avevano lasciato e di rivivere qualche nuova avventura un po' fuori dagli schemi; perché, si sa, esistono legami indissolubili, che neanche il tempo può spezzare.
Il torto del soldato - Erri De Luca Letto da Teresina Un vecchio criminale di guerra vive con sua figlia, divisa tra la repulsione e il dovere di accudire. Lui è convinto di avere per unico torto la sconfitta. Lei non vuole sapere i capi d'accusa perché il torto di suo padre non è per lei riducibile a circostanza, momento della storia. Insieme vanno a un appuntamento prescritto dalla kabbala ebraica, che fa coincidere la parola fine con la parola vendetta. Pretesto sono le pagine impugnate da uno sconosciuto in una locanda.
L’estate alla fine del secolo – Fabio Geda Letto da Carla C. Nell'estate del 1999 un nonno e un nipote si incontrano per la prima volta, dopo che una lunga serie di incomprensioni li ha tenuti distanti. Il nonno, ebreo, nato il diciassette novembre 1938, giorno in cui in Italia vengono promulgate le leggi razziali, ha trascorso la propria vita senza sentirsi autorizzato a esistere. Andato in pensione al termine di una brillante carriera come consulente, si ritira nella borgata di montagna dove durante la
guerra si era rifugiato con la sua famiglia e dove vuole morire. Il ragazzino, un preadolescente sensibile ed estroverso, appassionato di fumetti, che viene affidato a lui perché il padre, malato, deve sottoporsi a una delicata terapia, entra in quella che potrebbe essere la sua ultima stagione in modo perentorio e imprevisto. Così, mentre sulle rive del lago artificiale in cui si specchia il paesino il giovane verrà in contatto con il proprio passato e con il proprio futuro, il nonno riceverà, tramite lui, quell'iniziazione gioiosa alla vita che la Storia gli aveva negato, riuscendo, forse, al crepuscolo del secolo, a non essere più un fantasma.
L’ultima riga delle favole – Massimo Gramellini Letto da Carla C. Tomàs è una persona come tante. E, come tante, crede poco in se stesso, subisce la vita ed è convinto di non possedere gli strumenti per cambiarla. Ma una sera si ritrova proiettato in un luogo sconosciuto che riaccende in lui quella scintilla di curiosità che langue in ogni essere umano. Incomincia così un viaggio simbolico che, attraverso una serie di incontri e di prove avventurose, lo condurrà alla scoperta del proprio talento e alla realizzazione dell'amore: prima dentro di sé e poi con gli altri. Con questa favola moderna che offre un messaggio e un massaggio di speranza, Massimo Gramellini si propone di rispondere alle domande che ci ossessionano fin dall'infanzia. Quale sia il senso del dolore. Se esista, e chi sia davvero, l'anima gemella. E in che modo la nostra vita di ogni giorno sia trasformabile dai sogni. Un libro rivolto a tutti, perche a tutti noi è capitato un momento di crisi, di sensazione di inadeguatezza, o di poca stima di se; un invito a guardarci dentro, a rimetterci in gioco, a scoprire il proprio talento e soprattutto in invito a scoprire l’amore verso gli altri.
Il Profumo Delle Foglie Di Limone – Clara Sanchez – Letto da Rino
Spagna, Costa Blanca. Il sole è ancora molto caldo nonostante sia già settembre inoltrato. Per le strade non c'è nessuno, e l'aria è pervasa da un intenso profumo di limoni che arriva fino al mare. È qui che Sandra, trentenne in crisi, ha cercato rifugio: non ha un lavoro, è in rotta con i genitori, è incinta di un uomo che non
è sicura di amare. È confusa e si sente sola, ed è alla disperata ricerca di una bussola per la sua vita. Fino al giorno in cui non incontra occhi comprensivi e gentili: si tratta di Fredrik e Karin Christensen, una coppia di amabili vecchietti. Sono come i nonni che non ha mai avuto. Momento dopo momento, le regalano una tenera amicizia, le presentano persone affascinanti, come Alberto, e la accolgono nella grande villa circondata da splendidi fiori. Un paradiso. Ma in realtà si tratta dell'inferno. Perché Fredrik e Karin sono criminali nazisti. Si sono distinti per la loro ferocia e ora, dietro il loro sguardo pacifico, covano il sogno di ricominciare. Lo sa bene Julian, scampato al campo di concentramento di Mathausen, che da giorni segue i loro movimenti passo dopo passo. Ora, forse, può smascherarli e Sandra è l'unica in grado di aiutarlo. Non è facile convincerla della verità. Eppure, dopo un primo momento di incredulità, la donna comincia a guardarli con occhi diversi. Adesso Sandra l'ha capito: lei e il suo piccolo rischiano molto. Ma non importa. Perché tutti devono sapere. Perché ciò che è successo non cada nell'oblio.
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L’angolo della solidarietà
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