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“DENTRO” la voce della Casa Circondariale di Trento 1 “DENTRO” vuole essere la voce della Casa Circondariale di Trento, pertanto la voce di tutti quelli che ci vivono e vi operano. DELLA REDAZIONE fanno parte alcuni detenuti che si ritrovano due volte in settimana, il martedì e il venerdì, per dibattere e discutere di argomenti vari e con il proposito di scrivere su questo giornalino. Per scrivere su questo giornalino non è necessario far parte del gruppo di redazione. Se qualcuno è interessato a farci giungere la propria voce attraverso uno scritto, un disegno, un commento, una valutazione, è bene accetto. Il progetto di questo giornalino è sostenuto da APAS (Associazione Provinciale di Aiuto Sociale) ed è coordinato da Annalisa Dolzan e Piergiorgio Bortolotti. Hanno partecipato alla realizzazione di questo numero: Vittorio, Jamal, Cristian, Kristo, Ion, Rian, Emanuele, Sami Supplemento al n° 2 del 2015 di Oltre il muro CAMBIARE SI PUÒ L’estate se n’è andata, lasciando nel ricordo di noi della redazione di “Dentro”, giornate passate a boccheggiare per il caldo e per la noia, qualche volta, che il susseguirsi ripetitivo di momenti apparentemente tutti uguali, lasciava immaginare come interminabili. Ma nonostante tutto siamo anche riusciti a rendere fruttuosi i nostri settimanali incontri: attraverso il dialogo, il dibattito e la visione di filmati che ci hanno intrattenuto su argomenti diversi e stimolanti. Sono state boccate di ossigeno che, se non potevano avere la lievità dell’ozio come caratteristica dell’uomo libero (Cicerone), quantomeno ci hanno permesso di viverlo – così come lo intendevano gli antichi romani – come un’occupazione votata alla ricerca intellettuale, quindi a nutrire il nostro animo. Uno tra i tanti video che hanno suscitato interesse tra i partecipanti, è stato il film documentario The shift – Il cambiamento, di Wayne Dyer. Il dottor Dyer, figura di spicco a livello mondiale nel campo della psicologia e dello sviluppo personale, esplora il viaggio spirituale che ci conduce dall’ambizione al senso pieno della vita. La svolta interiore che ci libera dai costrutti egoistici che ci sono stati inculcati in tenera età dalla famiglia e dalla società è la prova che il nostro vero io non ha bisogno di queste finzioni, ma aspira per sua natura a una dimensione superiore, dove può finalmente ritrovare la pace e il senso che gli spettano. «Il video è metà tra film e documentario […]un’integrazione vera e propria degli insegnamenti di Dyer all’interno del film-trama, che vede i vari protagonisti riuniti per diversi motivi in un albergo nel bel mezzo della natura, intorno al quale Wayne Dyer deve girare con una troupe un video di promozione di un suo libro. Alcuni punti toccati dall’autore sono di notevole importanza: lo scopo della vita (lui dice di essere sorpreso da quante persone stanno cercando da anni il senso e lo scopo della loro vita), la natura del nostro essere (siamo tutti figli dello spirito e da lì proveniamo), l’ego (è la parte di noi che ci dice che non siamo la creatura perfetta di Dio, che siamo invece i beni che possediamo, che siamo separati da tutto il resto). Ancora, Wayne Dyer parla della passione e dell’entusiasmo, degli obiettivi e della lotta, del benessere e della soddisfazione. Il cambiamento da lui auspicato e a cui si riferisce il titolo sarebbe il passaggio da una prospettiva in cui siamo noi contro il resto del mondo, e lottiamo per ottenere successo, ricchezza, riconoscimento sociale, ecc., a una prospettiva in cui riconosciamo di essere interconnessi con tutto, in cui troviamo lo scopo della nostra esistenza, in cui agiamo seguendo la parte più autentica di noi stessi, in cui riconosciamo che tutto ciò di cui abbiamo bisogno ci arriva, in cui in sintesi passiamo dalla lotta per far accadere le cose all’accettazione per ciò che si manifesta intorno a noi…e paradossalmente, dice Dyer, sarà proprio allora che la vita ci sorriderà» (fonte:http://www.unavitafantastica.com)

Dentro - 2.2015

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“DENTRO” la voce della Casa Circondariale di Trento

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“DENTRO” vuole essere la voce della Casa Circondariale di Trento, pertanto la voce di tutti quelli che ci vivono e vi operano. DELLA REDAZIONE fanno parte alcuni detenuti che si ritrovano due volte in settimana, il martedì e il venerdì, per dibattere e discutere di argomenti vari e con il proposito di scrivere su questo giornalino. Per scrivere su questo giornalino non è necessario far parte del gruppo di redazione. Se qualcuno è interessato a farci giungere la propria voce attraverso uno scritto, un disegno, un commento, una valutazione, è bene accetto. Il progetto di questo giornalino è sostenuto da APAS (Associazione Provinciale di Aiuto Sociale) ed è coordinato da Annalisa Dolzan e Piergiorgio Bortolotti. Hanno partecipato alla realizzazione di questo numero: Vittorio, Jamal, Cristian, Kristo, Ion, Rian, Emanuele, Sami Supplemento al n° 2 del 2015 di Oltre il muro

CAMBIARE SI PUÒ

L’estate se n’è andata, lasciando nel ricordo di noi della redazione di “Dentro”, giornate passate a boccheggiare per il caldo e per la noia, qualche volta, che il susseguirsi ripetitivo di momenti apparentemente tutti uguali, lasciava immaginare come interminabili. Ma nonostante tutto siamo anche riusciti a rendere fruttuosi i nostri settimanali incontri: attraverso il dialogo, il dibattito e la visione di filmati che ci hanno intrattenuto su argomenti diversi e stimolanti. Sono state boccate di ossigeno che, se non potevano avere la lievità dell’ozio come caratteristica dell’uomo libero (Cicerone), quantomeno ci hanno permesso di viverlo – così come lo intendevano gli antichi romani – come un’occupazione votata alla ricerca intellettuale, quindi a nutrire il nostro animo. Uno tra i tanti video che hanno suscitato interesse tra i partecipanti, è stato il film documentario The shift – Il cambiamento, di Wayne Dyer. Il dottor Dyer, figura di spicco a livello mondiale nel campo della psicologia e dello sviluppo personale, esplora il viaggio spirituale che ci conduce dall’ambizione al senso pieno della vita. La svolta interiore che ci libera dai costrutti egoistici che ci sono stati inculcati in tenera età dalla famiglia e dalla società è la prova che il nostro vero io non ha bisogno di queste finzioni, ma aspira per sua natura a una dimensione superiore, dove può finalmente ritrovare la pace e il senso che gli spettano. «Il video è metà tra film e documentario […]un’integrazione vera e propria degli insegnamenti di Dyer all’interno del film-trama, che vede i vari protagonisti riuniti per diversi motivi in un albergo nel bel mezzo della natura, intorno al quale Wayne Dyer deve girare con una troupe un video di promozione di un suo libro. Alcuni punti toccati dall’autore sono di notevole importanza: lo scopo della vita (lui dice di essere sorpreso da quante persone stanno cercando da anni il senso e lo scopo della loro vita), la natura del nostro essere (siamo tutti figli dello spirito e da lì proveniamo), l’ego (è la parte di noi che ci dice che non siamo la creatura perfetta di Dio, che siamo invece i beni che possediamo, che siamo separati da tutto il resto). Ancora, Wayne Dyer parla della passione e dell’entusiasmo, degli obiettivi e della lotta, del benessere e della soddisfazione. Il cambiamento da lui auspicato e a cui si riferisce il titolo sarebbe il passaggio da una prospettiva in cui siamo noi contro il resto del mondo, e lottiamo per ottenere successo, ricchezza, riconoscimento sociale, ecc., a una prospettiva in cui riconosciamo di essere interconnessi con tutto, in cui troviamo lo scopo della nostra esistenza, in cui agiamo seguendo la parte più autentica di noi stessi, in cui riconosciamo che tutto ciò di cui abbiamo bisogno ci arriva, in cui in sintesi passiamo dalla lotta per far accadere le cose all’accettazione per ciò che si manifesta intorno a noi…e paradossalmente, dice Dyer, sarà proprio allora che la vita ci sorriderà»

(fonte:http://www.unavitafantastica.com)

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Il carcere mi ha portato a crescere umanamente

iao a tutti, mi chiamo Maier Raian, sono un sinto italiano. Se volete sapere cosa siano il silenzio, la riflessione e la realtà della frustrazione…beh, io lo so e credo di averli provati in questi anni. Vi porto il mio esempio. Ho 23 anni, sono un detenuto che ha una moglie e tre figli, di cui uno avuto dalla prima convivente e non l’ho mai

potuto vedere. Questo mi fa sentire male e da quando sono detenuto, sto riflettendo più di prima sugli sbagli che ho fatto nella mia vita; soffro in silenzio, anche per la mia famiglia. Qui ho imparato cosa siano la riflessione e la calma; pian piano riesco ad affrontare le difficoltà dando loro un ordine d’importanza, in modo da non sentirmi totalmente impotente nei confronti delle persone care che stanno vivendo - per colpa anche mia - a metà, cioè tra i colloqui in carcere e la solitudine che le persone che ci vogliono bene condividono con noi. La parte pratica sarà quella di allontanarmi dall’ambiente dei furti e delle rapine e quant’altro non appena esco, ma già qui cerco di stare con i detenuti con cui possa crescere interiormente. Devo avere tanta pazienza anche con quelli che non hanno niente e di cui non ci si può fidare. C’è solo un detenuto della mia sezione che vorrebbe farmi riflettere, nonostante io ancora cerchi di mandare tutto in tarallucci e vino, facendo scherzi e quant’altro. Ho notato, infatti, che quando sono particolarmente frustrato, faccio un po’ di stupidate da bambino, senza riflettere sul problema e per nascondermi dalle riflessioni più difficili. Ad ogni modo, mi confido il più delle volte con Padre Fabrizio e con lui mi

trovo bene: discutiamo dei miei problemi e della mia famiglia (anche sul figlio che deve nascere). Detta in breve, riflettiamo sulla mia famiglia e sui passaggi che mi hanno fatto tornare in carcere. La mia vita di nomade sarebbe quella di girare il mondo senza mai fermarmi. Il carcere mi ha portato a crescere umanamente e ad avere un po’ più di rispetto verso la gente e anche verso me stesso. Non per essere ripetitivo, ma l’impotenza che vivo quotidianamente rispetto alla mia famiglia – non vedere i miei figli, non sapere come

stanno – a lungo andare è veramente autodistruttiva. Allora cerco di dare un ordine d’importanza alle cose, anzi ai problemi, specialmente quelli emozionali che solo io posso affrontare, magari con l’aiuto esterno di una persona capace di fare analisi su di me. Essendomi comportato sempre bene mi hanno dato due giorni di permesso. Ebbene, ho visto i miei figli: la cosa più bella al mondo! E in più, per la prima volta ho sentito la mia bambina chiamarmi papà! È stato bellissimo, ma quando sono rientrato in carcere sono stato male e ho continuato a riflettere sui momenti persi e a mia moglie che fuori piangeva, la vedevo dal cancello, le ho detto: “vedrai, amore, tutto passa… quando esco ci faremo un futuro fuori …”. Per non farla preoccupare non le racconto che sto soffrendo per loro. Mi sono ripromesso che, quando esco, farò con lei una specie di anamnesi della nostra coppia. Credo che questo, con l’aiuto dei vari enti, potrebbe essere un ottimo punto di partenza per intraprendere un lavoro sulla condotta esterna, fuori da queste mura. Riflettendoci, infatti, anche nel piccolo bisogna comportarsi da persone utili alla società. Qui, sto pian piano capendo che mi devo allenare a comprendere perché mi sono allontanato dalla società e, soprattutto, dalla mia famiglia! Tornando al fatto della prima volta in cui mia figlia mia ha chiamato papà, io mi sentivo male perché da lì a poco sarei stato di nuovo lontano da loro, ma come rovescio della medaglia mia figlia è sveglia e sana, mi rende veramente felice. Se posso, vorrei raccontarvi un aneddoto su cui fatico a riflettere. Mia moglie che piangeva e i miei figli lì al cancello che piangevano e stavano male nel vedere il loro papà andare via (ovviamente piangeva ed erano felici allo stesso tempo). Ho gridato a mia moglie che presto uscirò e che le cose cambieranno. Anche se io ho sbagliato, non è giusto che loro soffrano con me… Ovviamente non finirò mai di ringraziarla. La mia vera felicità sta soltanto nel vedere la mia famiglia e il più grande desiderio della mia vita è stare vicino alla mia compagna. In questi momenti mi viene da dire: basta con i casini! Non voglio peccare di vanità, so che appena uscirò i miei vecchi amici torneranno alla carica. Credo che smetterò con un certo tipo di vita. Non dipende dai figli, anche se danno involontariamente la forza per impormi di dire basta. Da questa volta basta: comincerò una vita serena fatta di amore, lavoro, figli e problemi quotidiani che si possono affrontare assieme. Ciao a tutti.

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… un maestro bravissimo

La prima volta sono entrato in carcere l’anno scorso. Quando sono entrato, ho trovato un compagno italiano in cella con me, che è stato bravo con me. Io avevo paura perché non ero mai stato in carcere. Solo dopo tre giorni ho iniziato a parlare con lui. Continuavo a pensare allo sbaglio che avevo fatto e alle persone che sbagliano, ma non rimangono sulla strada sbagliata. Pensavo a come potevo cambiare. Nella vita si deve sempre andare avanti. In carcere si possono fare varie attività che possono aiutare a cambiare in meglio: corsi scolastici, d’informatica e anche fare sport. Ecco come ho passato il mio tempo. All’inizio è stata dura e il primo mese sembrava non passare mai. Il mio compagno di cella mi dava consigli e m’incoraggiava a non fermarmi. Dopo due mesi ho iniziato la scuola e anche a lavorare. Ho capito bene cosa è la vita. Adesso non sono più stressato. Passo molto tempo a leggere. Un giorno mi sono svegliato con un dolore molto forte. Il mio compagno di cella ha chiamato subito gli assistenti perché mi

aiutassero. Mi hanno portato in infermeria per essere visitato. Il dolore era sempre più forte, non cessava. Arrivò il medico, una dottoressa, che mi disse che si trattava di calcolo renale. Ringrazio tanto la dottoressa e anche tutti quanti lavorano in carcere perché mi hanno salvato la vita. Adesso sto meglio, ma devo continuare a curarmi. Ho sempre bevuto acqua dopo la medicina. Forse al mio

paese, con questo malanno, non sarei sopravvissuto, perché avrei dovuto aspettare tanto tempo per essere curato. Al mio paese per un’operazione all’addome bisogna aspettare anche un anno e poi ci vogliono soldi e se si è poveri, come si fa? Desidero ringraziare quanti lavorano in carcere perché non fanno differenza tra italiani e stranieri. Anche la scuola è una cosa importante, nella vita, secondo me. Vorrei studiare e imparare bene la lingua italiana, perché la capisco, ma non la parlo bene. A scuola c’è un maestro che si chiama Amedeo; è bravo e mi spiega sempre le parole che non capisco. Il mio maestro l’ho conosciuto l’anno scorso, sorride sempre e non si arrabbia con nessuno. L’anno scorso ho fatto una recita con lui. Lo spettacolo si chiamava pinocchio con il

naso lungo di legno. Eravamo un gruppo di ragazzi, stranieri e italiani e tutti sono stati molto bravi. Mi ricordo tante cose belle. Abbiamo cantato, ballato, rispettandoci e facendo tutto con disciplina. Molta gente ha visto lo spettacolo, sia detenuti sia persone di fuori. Ogni scena era una più bella dell’altra. Fare queste attività mi dà coraggio. Non dimenticherò mai questo maestro, veramente grandissimo.

UN VIAGGIO PERICOLOSO Non dimenticherò mai il giorno del mio viaggio per venire in Italia… Un giorno, con sorpresa, ho incontrato un amico che non vedevo da tanto tempo, in un bar. Abbiamo parlato bevendo qualche cosa in compagnia. Il mio amico mi ha detto che non stava lavorando e che avrebbe voluto trovare il modo di andare in Italia, senza documenti. Mi ha chiesto di andarci assieme, con un barcone. La sua richiesta mi mise in difficoltà, non risposi perché l’idea di mettermi in viaggio su un barcone, mi faceva paura. Quando sono tornato a casa, ho parlato con miei genitori di questa idea. Loro mi sconsigliarono di fare questo viaggio, perché troppo pericoloso, e perché sapevano che molte persone morivano attraversando il mare con i barconi. I miei

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genitori mi dissero di cercare un'altra possibilità per recarmi in Italia con documenti di lavoro e in modo regolare. Ho cercato un modo diverso di venire in Italia, ma non ci sono riuscito. Un giorno mio padre mi ha chiesto nuovamente se ero ancora intenzionato a partire. Gli ho risposto di sì. Gli ho detto che forse in Europa avrei potuto trovare un po’ di fortuna. Ho telefonato al mio amico per dirgli che ero disposto a partire con lui. Il mio desiderio era di arrivare in Europa, ma più ancora in Italia che per me è il paese più bello del mondo. Dopo tre giorni mi trovai con il mio amico al solito bar e con due persone sconosciute che mi spiegarono cosa dovevo fare, quanto dovevo pagare. I due sconosciuti portarono me e il mio amico in una zona vicino al mare. Lì su quella spiaggia c’erano tante persone che aspettavano di partire.

Dopo sei ore ci fecero salire in barca: c’erano circa trecento persone a bordo. Ricordo che stavamo molto stretti, senza possibilità di muoverci. Tutti avevano paura perché il mare era molto mosso. Tutti pregavano Dio perché arrivassero salvi a destinazione. Il viaggio durò otto ore. Durante la traversata piovve anche a un certo punto ma gli scafisti continuarono senza fermarsi neanche un momento. Io avevo paura e mi sono subito pentito per non aver ascoltato i miei genitori. Il mare era molto minaccioso. Non c’era nessuno che parlasse l’italiano per chiamare in soccorso la Guardia costiera. La situazione diventò difficile per tutti; finì anche la benzina e restammo fermi in mezzo al mare. Eravamo tutti molto stanchi, affamati e assetati. Qualcuno riusciva a dormire, ma poco. La mattina presto abbiamo sentito un rumore forte, era un elicottero. Tutti in barca iniziarono ad alzare le mani gridando aiuto, aiuto. L’elicottero venne verso di noi e ci vide. Quelli dell’elicottero ci dissero di stare calmi, non fare casino che sarebbe arrivata di lì a poco la Guardia costiera a trarci in salvo. Dopo tre ore arrivarono a salvarci. Ringrazio Dio e il personale della Guardia costiera per quello che hanno fatto a noi e a tante altre persone.

La vita è un naufragio, ma non dobbiamo mai dimenticare di cantare nelle scialuppe di salvataggio.(Voltaire)

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La città e la parola

er Aristotele l’uomo è un animale razionale e, a cagione di tale sua specificità, un animale politico (zòon politikon). All’interno della polis, “la comunità che risulta da più villaggi” e “esiste per rendere possibile vivere bene”, si sviluppa il logos, la razionalità umana. Il fine della comunità non è la

semplice autosufficienza materiale, l’autarkeia incarnata dal mito di Eracle che “capace di aiutarsi da sé” nelle sue fatiche combatte e vince potenze ostili, mostri e incantesimi, piuttosto la realizzazione d’istanze etiche e valori (coraggio andrèia, moderazione sophrosine, saggezza phrònesis, giustizia dikaiosyne) che siano espressione di una convivialità fondata sulla stretta ragione. In quanto perfetta attuazione della forma comunità umana, la polis è principio intelligibile che precede sul piano ontologico ogni sua realizzazione storica. Perciò, dice Aristotele, “chi non può entrare a far parte di una comunità, chi non ha bisogno di nulla, bastando a se stesso, non è parte di una città, ma è o una belva o un dio”. Al di fuori della polis possono darsi forme di esistenza che deviano dal modello umano in due direzioni, o verso il basso, nell’asocialità ferina, o verso l’alto, ed è il caso della divinità “per nulla simile agli uomini, né nell’aspetto

né nel pensiero”, come scrisse Senofane. In altri termini, lo stagirita insegna che l’animale politico può pienamente realizzare se stesso solo una volta immesso in una rete di rapporti di comunanza che costituiscono l’origine naturale dei sodalizi umani, dalle società intermedie fino a giungere alla figura apicale dello stato. È stato sostenuto così, nella prospettiva tracciata, che “l’invito alla parola” costituisca l’evento fondamentale per la vita di un uomo. Una volta nati e prima di essere un “io” siamo un “tu”, un “lui” per coloro che parlano di noi quando ancora non siamo in grado di rispondere ad alcuna delle loro domande. Successivamente, svelato l’enigma del linguaggio e introdotti nel mondo dei simboli, della parola, acquisiamo la condizione di un “io” nel triangolo dialogico che si forma con il “tu” e il “lui”. Questa semplice osservazione induce alla conclusione che l’altro rappresenti la condizione della nostra esistenza in tre direzioni: è dall’altro che ricevo la mia esistenza 1) in senso biologico, 2) in senso psichico – non potrei immettermi in una relazione affettiva se non fosse l’altro ad invitarmi con sollecitudine e dedizione – e, infine, sotto 3) il profilo simbolico e del linguaggio è sempre dall’altro che imparo la parola, evento, questo, che mi rende erede di un patrimonio di segni convenzionali significanti che mi precede e verrà conservato, perpetuando il suo percorso evolutivo, malgrado il termine della mia vita. Con la parola e mediato dalla parola si schiude così all’individuo il campo delle relazioni umane, dell’etica e della politica. L’uomo è

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solamente in potenza sé stesso, ed è destinato ad attualizzarsi nella reciprocità, tramite la parola e il dialogo, in un mutuo partorirsi nel quale ognuno è chiamato vicendevolmente a svolgere, di volta in volta, il ruolo socratico dell’ostetrico o quello del partoriente. La necessità della parola, della parola di giustizia, alternativa alla violenza (bìa) e alla guerra civile (stasis) emerse nell’antichità greca con grande chiarezza fin dai primordi. Già Esiodo insegnava al fratello Perse di tenersi lontano dal senso di dismisura che può affliggere l’uomo, rimettendosi alla parte dovuta, stabilità dalla legge (nomos): “O Perse, poniti bene in mente queste cose e, dando retta alla giustizia, scordati della violenza. Agli uomini, infatti, Zeus dettò questa legge: è proprio dei pesci, delle fiere, dei volanti uccelli divorarsi l’un l’altro, perché non esiste giustizia fra loro: ma agli uomini diede la giustizia, che è cosa di

gran lunga migliore”. La democrazia ateniese di Pericle è lo spazio politico nel quale kalos kai agathos, letteralmente degno, nobile e capace di successo, non è più il rampollo delle famiglie aristocratiche (ghène) in forza di un diritto acquisito per nascita, ma l’uomo in grado di guadagnare l’ammirazione dei concittadini tramite la forza persuasiva della parola. Correttamente l’Atene del V sec. a.c. è stata definita “la città della parola”, una grande scena teatrale ove parlare in nome proprio era un dovere inderogabile e non delegabile del cittadino, chiamato ad esprimersi personalmente nei tribunali e durante gli agoni politici. Nell’epitaffio pronunciato da Pericle per i caduti della prima guerra del Pelopponeso (431 a.c.) è celebrato proprio questo mito della perfezione culturale e civile della città: “amiamo il bello con semplicità e ci dedichiamo al sapere senza mollezza”. Ma dietro alla ribalta del mito della democrazia si agitavano anche le fronde dei cattivi maestri (Antifonte, Alcibiade, Trasimaco, il Callicle platonico) che sostenevano l’uso spregiudicato e strumentale della parola nella ricerca del mero consenso politico e dell’affermazione personale. La parola in Gorgia non ha più alcuna relazione con la verità, e ciò semplicemente in quanto, secondo il filosofo di Lentini, non vi è alcuna verità da ricercare. Il compito che essa svolge non è allora quello di cogliere la verità, ma di costituire un “effetto di verità” che generi persuasione nell’altro. Nell’Encomio a Elena, Gorgia scrisse: “la parola è un gran dominatore con un piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere, riesce infatti a calmar la paura e a eliminare il dolore”, “aggiungendosi infatti alla disposizione dell’anima, la potenza dell’incanto questa la blandisce e persuade e trascina col suo fascino; o, ancora, “pur non avendo l’apparenza dell’ineluttabilità ne ha tuttavia la potenza”. In questa linea di pensiero,

sebbene da posizioni ontologiche del tutto dissimili, Aristotele definirà la retorica come “la facoltà di scoprire il possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun oggetto”.

“Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola

convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere.

(Ennio Flaiano)

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PASSIONE E PERICOLOPASSIONE E PERICOLOPASSIONE E PERICOLOPASSIONE E PERICOLO Incontro di maggio 2015

Tra le scalate più pericolose e impegnative al mondo, ci sono le cime dell’Himalaya. Si suddividono in cime diverse con tre diversi livelli di difficoltà e altezza. La prima, chiamata Ama Dabama, è di livello “basso” con un’altezza di 6.812 metri, poi segue Pumori che è di difficoltà media con una cima di 7.161metri. La più difficile delle cime, è il Lhotse che raggiunge gli 8.516 metri. Queste sono le tre cime dove avvengono il maggior numero di scalate. Noi detenuti della Casa Circondariale di Spini di Gardolo, frequentanti il corso di giornalino, grazie ai racconti e i video che ci ha portato il signor Diego Giovannini, appassionato scalatore, siamo riusciti ad andare “oltre le mura”

per fare un viaggio immaginario nel Tibet. Abbiamo “visto” come ci si possa sentire e stare oltre i 6.000m di quota, come vivono le tribù del luogo nei villaggi. Siamo riusciti a vedere una sua spedizione del 2006 sulle tre cime sopra descritte. Grazie ai suoi racconti si può anche notare la differenza tra diversi scalatori. Vi sono scalatori che lo fanno per passione e vi sono scalatori che lo fanno solo per sfizio, facendosi trainare e portare i borsoni da viaggio dagli Sherpa o ancor di più scalatori, se così si possono chiamare, che si fanno accompagnare direttamente in cima da un elicottero, solo per fare una foto e dire io ci sono stato. Nei video che abbiamo visto, realizzati dal signor Giovannini, si

riesce a capire la difficoltà che ci vuole per riuscire ad affrontare questi meravigliosi e pericolosi viaggi, c’è da dire che non sono prive di pericoli le scalate. Dai racconti si riesce a cogliere quanto la montagna sia fantastica mentre si è in scalata, ci si sente sì affaticati nel fisico, ma riposati nella mente e dà un senso di tranquillità e di pace. Il silenzio che avvolge non ha uguali. Diego Giovannini, trentino, guida alpina, fotografo e cameraman, ha al suo attivo una solitaria senza ossigeno sul Cho Oyu (8201 metri) e un record di velocità sul Muztahg Ata, cima di 7550 metri raggiunta in sole 7 ore e 15 di cammino. Più di 500 le sue salite tra roccia e ghiaccio nelle Alpi. Diego Giovannini ha raggiunto la vetta del Lhotse (8.516 metri). Il suo progetto “Sognare lungo tre cime” si è concluso quindi con due successi (Ama Dablam e Lhotse) e una rinuncia (il Pumori).

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AMICIZIA VUOL DIRE… Che cos’è l’amicizia? Come possiamo spiegarlo? Secondo me è un sentimento che può essere spiegato in diversi modi. Per qualcuno significa lasciare a casa il proprio amico nella sera sbagliata, quando stiamo per commettere qualcosa che un giorno ci farà piangere. Una persona che si vuole proteggere. Per altri l’amico è colui che ti viene sempre in aiuto, e magari, perché no, donandoti dei soldi. Un ultimo gruppo di persone

pensa che sia un amico quell’uomo con il con il quale vuoi passare, condividere, il tuo tempo, pronto, anche se lo chiami a tarda notte perché stai male, a raggiungerti immediatamente. “Metti il tè sul fuoco, arrivo subito”, questa la sua risposta alla domanda d’aiuto. Per ognuna di queste definizioni dell’amicizia vi sono i pro e i contro. Posso dirvi una cosa che credo di avere imparato? La dico anche senza il vostro assenso: “Non tutte le cose le possiamo imparare, solo vivendole le capiamo”. L’intensità dell’amicizia la decidiamo da soli, in base alla simpatia che proviamo rispetto all’altro e alle nostre esperienze passate, che ci fanno aprire o meno ai sentimenti, ma non dimentichiamo di vivere il presente e di essere ottimisti. La vita è fatta

di relazioni e d’incontri. Gli incontri possono essere più o meno buoni. Alcuni incontri avvengono con persone che ti illuminano, ti aprono la mente e ti stimolano a sognare, a credere in te stesso e nella tua felicità personale. In altre occasioni non va così bene, e la persona che incontri e che consideri un amico nasconde l’invidia, gode a contraddirti, e ti chiude il mondo addosso. L’amico rimane la persona con la quale ti senti bene, in ogni luogo. Lui sa darti tutte le attenzioni necessarie quando è opportuno, ma sa anche rispettare i tuoi spazi di riservatezza, silenzio, solitudine, quando li desideri.

DROGHE ILLEGALI E DROGHE “LEGALI” La droga è un argomento che ultimamente è quotidianamente su tutte le prime pagine dei giornali e telegiornali. Si parla, da un lato, dei molti arrestati per lo spaccio di sostanze stupefacenti, dall’altro della legalizzazione della marijuana, ma il fatto che risalta di più è l’uso da parte degli adolescenti di droghe

sintetiche e droghe pesanti nelle discoteche. In questi giorni sulla cronaca è finita una discoteca molto famosa il Cocoricò, dove alcuni ragazzi sono finiti in ospedale dopo che avevano passato la serata lì. Uno è anche morto. La colpa della morte di questo ragazzo è stata data alla discoteca e per questo è stata chiusa. A mio parere non si conclude più di tanto a chiudere una discoteca perché un ragazzo è morto assumendo sostanze stupefacenti. Non sto assolutamente difendendo il Cocoricò, parlo di discoteche in generale perché di vittime per colpa di droghe assunte nelle discoteche, ne sentiamo quasi tutti i fine settimana. La droga più pericolosa e più venduta resta e rimarrà sempre l’alcool, che fa vittime continuamente, ma di questo si parla poco e quando succede, non ci facciamo nemmeno caso. Fa molto più clamore una

notizia che dice: morto giovane in incidente stradale, perché aveva assunto droga, (non importa di che tipo di droga si tratta pur che sia uno stupefacente). Fa meno notizia un fatto che dice: giovane morto in incidente stradale perché aveva assunto alcool, fa meno audience per il semplice fatto che come droga è legale e sembra una cosa “normale”. Ormai nessuno reputa più l’alcool come droga. Non dico che le altre droghe siano da meno, però se ci deve essere un controllo più rigido nei confronti dei locali frequentati da ragazzi, ma anche adulti, sulle droghe illegali si tengano sotto controllo anche le droghe “legali”. Non sarebbe male.

�� Quegli amici che hai e la cui

amicizia hai messo alla prova,

aggrappali alla tua anima con

uncini d'acciaio.

William Shakespeare

��

�� La droga viene a riempire un

vuoto causato dal desiderio

di morte e che è dunque un

vuoto di cultura.

Pier Paolo Pasolini

��

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Ipse dixit

La FOLLIA La Follia è quell’emozione senza la quale non puoi vivere, è un’

emozione che ti accompagna in ogni tuo gesto. A volte ti porta a fare cose stupide e senza logica,

a volte ti porta a fare cose belle, cose a cui non avresti mai pensato,

ma la cosa più bella ed importante della follia, è che a volte ti porta a fare cose molto stupide ma allo stesso tempo bellissime.

La follia a volte ti porta a sbagliare, senza renderti conto ti fa superare il limite,

la follia a volte è anche distruzione ti fa camminare su una corda sottilissima e sotto vi è il vuoto

assoluto, se cadi giù è difficile risalire su. La follia a volte è stupidità

non ti fa ragionare, ti fa agire d’ istinto e ti mette nei guai La follia è divertimento

perché a volte per divertirsi ci vuole sempre un pizzico di follia. La follia è osare

perché chi non osa non è degno di vivere. La FOLLIA è un’ emozione neutra, non si può né dire che è bella né che è brutta, la follia è in ognuno di noi e ci permette di vivere

una vita degna di essere chiamata vita. Il DOLORE

Il primo sentimento che

proviamo quando veniamo al

mondo è di dolore,

accompagnato da un pianto

infinito. Dolore per il bruciore

ai polmoni. Questo sentimento

ci accompagna per tutta la

vita: le cadute quando provi a

camminare per la prima volta,

le cadute dalla bicicletta

quando cerchi d’imparare a

guidare, la prima cotta,

accompagnata da un cuore

spezzato, per una persona

che non ricambia il tuo

amore…

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Vivere il presente Non è il carcere che ci provoca le perdite maggiori, ma la nostra testa, quando la nostra mente viaggia nel futuro, nel passato o in pensieri che non sono nel presente si perde quella parte di vita… Ogni volta che non siamo presenti nel momento in cui siamo, lo abbiamo perso. Vivere il presente, cioè l’unico tempo reale che c’è, ci permette anche di essere meno ansiosi poiché tutte le ansie legate al passato e al futuro scompaiono e restano solo quelle poche legate al presente che di norma sono facilmente gestibili. Sembra un’osservazione di poco conto ma se si facesse solo un po’ di attenzione vivremmo in modo molto più nitido e consapevole. Buona parte delle nostre sofferenze sono proporzionali alle nostre aspettative. Più ci aspettiamo qualcosa da qualcuno, più la delusione, quindi la sofferenza, sarà grande in caso di disillusione. Questo succede anche nei confronti della vita, più ci si aspetta più ci si resta male quando questa non corrisponde alle aspettative. Quando le nostre aspettative sono minime, allora si assaporano tutte le piccole cose proprio quelle che sommate, compongono il quotidiano.

Non tutto il male viene per nuocere…. Fermarsi un attimo, scendere dalla giostra, ogni tanto ci vuole. Anche se il carcere non è la fermata giusta, frenare e riflettere per rivalutare e gerarchicamente riposizionare i nostri obiettivi, lo è! La detenzione con tutti i silenzi e i tempi morti che purtroppo ha, ci costringe a stare con noi stessi, cosa che facciamo di rado. Anche il semplice osservare lo scorrere delle cose che ci accadono, dilatandole a tal punto da poter osservare ogni suo singolo pixel è prerogativa di chi, lentamente, osserva ciò che gli accade. Con la vita frenetica che conduciamo, oramai non riusciamo più a vedere pur guardando. Con la fretta riusciamo nostro malgrado solo a vedere la vita che ci scorre accanto come se fosse quella di qualcun altro.

I vivi e i morti Spesso si parla di vivi o di morti solo in termini puramente biologici, solo di rado si parla di vita spirituale (da non confondere con quella religiosa). Ci si considera vivi anche quando dentro si è morti, o peggio non si è mai stati vivi! Nessuno ci educa a vivere in noi stessi, ma al contrario ci insegnano che dobbiamo morire a favore delle aspettative altrui, con la sola prospettiva di compiacere ora questo ora quello, sperando che tutto ciò in qualche modo ci appaghi.

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I CORSI IN CARCEREI CORSI IN CARCEREI CORSI IN CARCEREI CORSI IN CARCERE Siamo alla fine di maggio, l’estate si affaccia e i primi caldi si fanno sentire, si avvicinano le ferie estive. Per molti di noi questo periodo è più difficile, le sbarre pesano di più… Stanno per finire i corsi nel carcere: dall’Inglese all’informatica, la scuola media e le superiori, i corsi artistici di disegno e di Icone Sacre. Per molti un impegno quasi quotidiano a fianco di persone fantastiche, Maestri Professori Artisti che ci fanno passare dei momenti dove la testa impegnata vola fuori dalle celle, dalle sbarre. Nelle stanze delle Scuole si respira, si vive in modo migliore. Dai nostri Insegnanti non si viene giudicati, anzi, si viene sempre aiutati e a volte anche coccolati con belle parole, o con valutazioni molto bonarie. Io personalmente, quest’anno per esattezza, da febbraio ho frequentato cinque corsi: ”IL GIORNALINO” con coordinatore Piergiorgio, da dove vi sto scrivendo. Assieme discutiamo, guardiamo qualche video o dei film che ispirano e ci fanno pensare e ovviamente si scrivono anche degli articoli per il nostro Giornalino. “INGLESE” con la Professoressa Maria Grazia che è sempre capace di farci sorridere. Ovviamente cerca di insegnarci l’Inglese… ma negli ultimi mesi è stata sostituita da Ilaria una professoressa molto giovane e molto brava. “INFORMATICA” con la fantastica Raffaella sempre attenta paziente

con tutti, che ci avvicina alla conoscenza dei computer e di tutti i programmi che spesso non si sa nemmeno che esistono. “PITTURA DISEGNO” con il Maestro Piccone, sempre gentile, che cerca con fatica di tirar fuori la nostra vena

artistica addolcendoci con caramelle… Per ultimo ho lasciato il corso che mi ha colpito di più: “ICONE SACRE” con il MAESTRO FABIO. Per chi non lo conosce, ma è stato in chiesa, è il creatore dell’affresco dietro l’altare. Con lui ho provato delle emozioni forti. Con la sua calma, la sua semplicità, mi ha, ci ha fatto creare anche a noi delle opere d’arte. Infatti, ognuno di noi è riuscito a creare una copia di Icona Sacra da noi scelta in un’atmosfera quasi magica. Per fortuna che Piergiorgio con il corso di Giornalino rimane con noi. Grande! Con gli altri cari vi aspettiamo qui… con ansia e voglia di stare di nuovo con voi. Grazie per tutto. Mi permetto di darvi un consiglio amici compagni Detenuti: non perdetevi di vedere il film con Moana Pozzi su Cielo…

Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, grazie

alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole.

(Pablo Picasso)

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BUON UMORE