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copertina - 207.180.201.194207.180.201.194/.../RAPPORTO-CENTRI-DI-RICERCA-E-INNOVAZIONE-ISBN.pdfinnovazione tecnologica nel sistema produttivo nazionale con conoscenze tecnico-scientifiche

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Premessa

Il tema dell’utilizzo delle conoscenze e delle competenze delle strutture pubbliche di ricerca

da parte delle imprese per sviluppare innovazioni tecnologiche (il cosiddetto Trasferimento

Tecnologico) è da tempo al centro delle politiche pubbliche nel campo della Ricerca &

Innovazione in Italia come in tutti i Paesi industrializzati ed oggetto di numerosi analisi e

proposte da parte di studiosi e di operatori del settore.

Peraltro le soluzioni concepite ed attuate per promuovere e realizzare la collaborazione fra

ricerca e imprese a fini di innovazione tecnologica non hanno in genere conseguito risultati

particolarmente rilevanti e diffusi nel caso delle medie, piccole e micro imprese.

Ciò a causa dell’esistenza di ostacoli a tale collaborazione, derivanti da fattori strutturali e dai

comportamenti dei soggetti coinvolti, da un lato, e della parzialità e scarsa organicità degli

strumenti operativi progettati per implementare il Trasferimento Tecnologico.

Queste problematiche assumono una grande rilevanza nel caso dell’Italia per la particolare

struttura del suo sistema produttivo, in cui si registra una fortissima prevalenza di piccole e

micro imprese, in gran parte operanti in settori a limitata (finora) dinamica tecnologica, e per

il diffuso orientamento “accademico” delle strutture pubbliche di ricerca.

A fronte di questa situazione, da un lato, e della urgenza di alimentare i processi di

innovazione tecnologica nel sistema produttivo nazionale con conoscenze tecnico-

scientifiche avanzate, dall’altro, la Fondazione COTEC ha ritenuto opportuno elaborare

indicazioni propositive per “ottimizzare” il Trasferimento Tecnologico e allinearne le

performance a quelle dei principali Paesi industrializzati.

Si è focalizzata l’attenzione sulle seguenti problematiche:

a) i rapporti fra le piccole (e micro) imprese e le strutture pubbliche di ricerca

b) gli operatori del Trasferimento Tecnologico.

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Nel primo caso si è inteso individuare i fattori critici che intervengono negativamente sulla

collaborazione fra i due soggetti, al fine di progettare interventi che consentano di superare

le criticità e di sfruttare le potenzialità.

Nel secondo caso si è inteso evidenziare le tipologie di intermediari tecnologici che appaiono

maggiormente in grado di supportare la trasformazione dei risultati di ricerca in tecnologie

innovative (ossia l’engineering di tali risultati): si tratta dei Centri di Ricerca & Innovazione,

afferenti alla categoria delle RTO (Research & Technology Organization) europee.

Si sono così costituiti due Gruppi di Riflessione, composti da esponenti degli enti di ricerca,

delle imprese, degli intermediari tecnologici e degli organi pubblici operanti per lo sviluppo

economico e produttivo.

I lavori di tali Gruppi, protrattisi nel corso del 2010 e 2011, hanno prodotto due Rapporti finali,

che sono riportati qui si seguito.

Appaiono evidenti le parziali sovrapposizioni degli interventi proposti per questi due ambiti

tematici e quindi la possibilità, se non l’esigenza di una loro integrazione in modo da

costruire un approccio il più possibile organico alla soluzione del problema del Trasferimento

Tecnologico dalla ricerca alle imprese.

Si tratta di un’azione che vede la piena disponibilità della Fondazione COTEC a fornire un

contributo di proposte, da concordare con i principali stakeholder pubblici e privati del

sistema nazionale della Ricerca & Innovazione.

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Questo Documento è stato redatto sulla base dei principali risultati delle analisi e delle considerazioni propositive effettuate dal Gruppo di Riflessione COTEC così costituito:

Riccardi Giuseppe - CNA Bari – Coordinatore Burlo Zaira - Finmeccanica Carattoli Roberto - Elsag Datamat Catalano Giovanni - Confcommercio Cigliano Simona - Invitalia Gallo Luigi - Invitalia Luperini Aldo - CNR Palescandolo Guido - Unicredit Group Roveda Claudio – Fondazione Cotec integrato dalle indicazioni emerse dalle discussioni effettuate sulla versione preliminare del Rapporto, nell’ambito di alcuni seminari di lavoro, tenuti ad Ancona, Bari e Lecco ed organizzati in collaborazione rispettivamente con:

• Regione Marche e SVIM – Sviluppo Marche • CNA e Confcommercio di Bari • Camera di Commercio di Lecco

che hanno visto la partecipazione di esponenti del sistema imprenditoriale e della ricerca e delle istituzioni locali, come riportato nell’allegato N. 1.

Queste località sono state scelte in quanto sono al centro di territori tutti caratterizzati da una forte presenza di piccole (e medie e micro) imprese, ma con diverse specializzazioni produttive (da settori tradizionali a bassa intensità di R&S a settori a medio e anche alto livello tecnologico) e quindi con diverse esigenze di utilizzo di conoscenze tecnico-scientifiche, con diversa struttura e articolazione del sistema locale della ricerca pubblica e degli intermediari tecnologici promossi dell’operatore pubblico.

I seminari hanno, da un lato, consentito di verificare la sostanziale validità dell’analisi delle criticità che ostacolano i processi di collaborazione fra ricerca pubblica e piccole imprese, e la diffusa condivisione delle proposte di intervento formulate nel Rapporto e, dall’altro lato, hanno evidenziato una sensibile differenziazione delle caratteristiche del contesto locale, in cui avvengono tali processi, condizionandone l’efficacia e la continuità, da cui deriva una diversa valutazione della rilevanza delle misure di intervento proposte e della loro articolazione operativa.

In questo modo si è potuto redigere questo Rapporto che, pur nella sua generalità e validità di fondo, contestualizza analisi e proposte in modo da tener conto della forte variabilità di situazioni che si riscontrano a scala regionale/locale nel sistema nazionale della Ricerca & Innovazione, e che comportano la necessità di politiche e strumenti a sostegno della collaborazione fra ricerca pubblica e piccole imprese, focalizzati e diversificati in funzione del contesto locale.

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1. Introduzione

Le problematiche della collaborazione fra ricerca pubblica e imprese sono state analizzate

con specifico riferimento alle piccole (e anche micro) imprese e non alle PMI, in quanto

nell’aggregato delle PMI le piccole imprese (PI) presentano in genere caratteristiche ed

esigenze nel campo della innovazione tecnologica basata sulla ricerca, del tutto peculiari e

diverse rispetto a quelle delle medie imprese (MI), a causa di evidenti disparità nel campo

delle strategie perseguite, delle risorse (finanziarie e professionali in primo luogo) disponibili

e della capacità di competere nel mercato sempre più globalizzato e affollato di nuovi attori.

Peraltro molte delle considerazioni qui svolte, soprattutto per quanto riguarda le criticità del

processo di trasferimento tecnologico dalla ricerca pubblica alle imprese, si applicano non

solo alle PI, ma anche alle MI. Si stanno peraltro approfondendo nell’ambito dell’attività della

Fondazione Cotec con altre specifiche indagini e analisi, le problematiche delle medie

imprese nel campo della innovazione tecnologica, per formulare proposte di intervento più

coerenti con le caratteristiche strutturali di tali tipologie d’impresa.

Le considerazioni presentate in questo Rapporto si applicano in genere alle piccole imprese

sia dell’industria sia dei servizi, peraltro con una differenziazione nella rilevanza dei fattori

che influenzano i processi di innovazione tecnologica basata sulla ricerca: infatti, i prodotti

incorporano quantità crescenti di servizi e le imprese manifatturiere svolgono sempre più

attività di servizio, mentre le imprese del terziario tendono a standardizzare i propri servizi

con dinamiche tipiche dell’industria.

Preme evidenziare preliminarmente che dal punto di vista della propensione all’innovazione

tecnologica e alla collaborazione con fonti esterne di conoscenze tecnico-scientifiche le

piccole imprese non possono essere considerate un aggregato omogeneo, essendo

possibile individuare comportamenti diversificati che in base a indagini empiriche e riflessioni

teoriche, possono essere ascritti alle seguenti tipologie:

• imprese innovatrici: fanno dell’innovazione un fattore strategico per vincere nella

competizione e la vivono a tutti i livelli aziendali come elemento quotidiano. Si tratta

dei leader che realizzano innovazioni di frontiera e sono capaci di usufruire di

sorgenti esterne (di tipo pubblico) di conoscenze tecnico-scientifiche a tale fine,

nonché di interagire efficacemente con loro.

• imprese aspiranti: sono coscienti del valore dell’innovazione e, pur non avendo

realizzato rilevanti innovazioni nel passato, intendono incrementare il proprio

potenziale e stanno iniziando a investire, anche attivando collaborazioni con sorgenti

pubbliche di conoscenze tecnico-scientifiche a fini di Trasferimento Tecnologico.

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• imprese inerti: non pongono l’innovazione al centro della loro strategia e tendono ad

adottare un atteggiamento puramente reattivo o passivo nei confronti dei

cambiamenti del contesto in cui operano. Tra queste imprese è possibile identificare

due ulteriori tipologie: le inerti persistenti, che non hanno realizzato innovazioni

significative e non pensano di farne, e le inerti spente, che in passato hanno anche

realizzato innovazioni importanti, ma che ora, per motivi di varia natura, hanno spento

il proprio slancio innovativo.

È dunque necessario considerare l’esistenza di questi diversi sottoinsiemi di piccole imprese,

distinguendo e focalizzando le loro specifiche problematiche di innovazione tecnologica per

progettare politiche pubbliche e strumenti di intervento tarati sulle loro esigenze. E’ del resto

evidente che sono le imprese aspiranti i soggetti più disponibili e ricettivi a sostegni esterni, a

livello sia strategico sia operativo, per attivare collaborazioni con la ricerca pubblica.

Però anche le altre tipologie di imprese debbono in qualche misura introdurre innovazione

tecnologica e necessitano a questo fine di diverse tipologie di intervento per promuovere e

sostenere tali processi.

Preme infine sottolineare come le problematiche analizzate in queste Rapporto non

esauriscano il complessivo e ben più ampio insieme delle tematiche dell’innovazione nelle

piccole imprese, che coinvolgono sia aspetti tecnologici sia aspetti “soft” (modelli di business,

sistemi organizzativo-gestionali, competenze professionali, ecc.), per le quali sono

necessarie politiche articolate su una più ampia gamma di strumenti di intervento rispetto a

quelli proposti a conclusione di questo Rapporto.

2. Gli attuali modelli di innovazione tecnologica

Nel corso degli ultimi anni sono avvenute profonde modificazioni nei ruoli e nelle relazioni tra

i diversi attori che compongono il Sistema della Ricerca & Innovazione e nella articolazione

dei processi di innovazione tecnologica. Tra queste si ricordano:

• L’avvicinamento, fino alla sovrapposizione, tra ricerca fondamentale, ricerca

applicata e sviluppo in numerosi campi disciplinari.

Il processo che conduce alle innovazioni è non lineare al contrario della tradizionale

sequenza fra tali attività così in certi campi, come le bio e le nano tecnologie, la

ricerca fondamentale è la fonte primaria di innovazione tecnologica

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• Il nuovo ruolo delle università (“entrepreneurial universities”).

Accanto alle tradizionali attività della formazione e della ricerca, esse stanno sempre

più sviluppando un terzo ambito d’azione, ossia la valorizzazione economica dei

risultati della ricerca svolta.

• L’aumento della massa critica di risorse necessarie per R&S.

L’avanzamento della frontiera della conoscenza rispetto allo stato attuale e

l’introduzione di innovazioni non marginali sul piano industriale e sociale richiedono

sforzi sempre maggiori in termini di risorse umane coinvolte e di investimenti per

ottenere risultati significativi.

• La maggiore complessità dei processi di R&S.

Accanto al sopraccitato aumento della massa critica necessaria, gli output di tale

processo si caratterizzano sempre più per la natura sistemica, che risulta dalla

integrazione di componenti diversificate in termini di discipline, spesso sviluppate da

attori diversi.

• L’incremento di attenzione nei confronti dell’impatto economico e sociale della

ricerca.

Questa è infatti chiamata ad affrontare importanti sfide sociali quali, ad esempio,

quelle della sostenibilità energetica e ambientale, della sicurezza, della privacy e

della salute.

• Il carattere pervasivo delle nuove tecnologie emergenti.

Le loro ricadute si riverberano su un ampio ventaglio di settori: si tratta delle ICT,

delle tecnologie dei materiali avanzati, delle biotecnologie e delle nanotecnologie.

• La forte interazione tra settori ad alta tecnologia e settori tradizionali.

Se i settori ad alta tecnologia risultano trainanti per lo sviluppo tecnologico, in

particolare quello delle tecnologie pervasive, i settori tradizionali diventano sempre

più il luogo dove l’applicazione di tali tecnologie permette il conseguimento di

significativi vantaggi in termini di produttività e valore sul mercato, secondo un

processo di spillover che si realizza in numerosi ambiti applicativi.

• L’elevata frequenza di innovazione.

Come risultato dell’impatto incrociato delle tendenze sopra illustrate, il tasso di

innovazione è in costante aumento: nuovi prodotti e servizi si susseguono sempre più

rapidamente. Questo tasso riguarda ormai anche i settori più tradizionali e le nicchie

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di mercato, per cui è difficile individuare ambiti protetti rispetto alla competizione

sull’innovazione.

• Il nuovo ruolo di sistemi e reti.

Il riconoscimento del carattere intrinsecamente cooperativa dei processi innovativi ha

gradualmente condotto alla organizzazione di “sistemi” o reti, spesso su base

continuativa e non occasionale, tramite l’interazione e l’integrazione di agenti

differenziati per competenze, capacità, obiettivi, secondo un processo non lineare.

• La difficoltà nel reperire risorse finanziarie a remunerazione incerta come quelle

dedicate a iniziative di R&S.

A fronte di queste difficoltà, il sistema finanziario si configura come un nuovo attore

nei processi di R&S, con particolare riferimento al Venture Capital per la creazione di

imprese e alle Fondazioni bancarie per il sostegno alle attività di ricerca.

• Il nuovo ruolo delle Amministrazioni Pubbliche.

Nei processi di innovazione a rete, caratterizzati da attori tra loro estremamente

differenziati, le amministrazioni pubbliche stanno assumendo sempre più un ruolo

fondamentale di raccordo, stimolo e sostegno dei processi di integrazione fra gli attori

a fini di innovazione.

Fra tutte queste caratteristiche assumono una valenza prioritaria e fondamentale la

crescente necessità al fine di generare nuove tecnologie industriali di fare ricorso a

conoscenze tecnico-scientifiche avanzate, usualmente prodotte da strutture pubbliche di

ricerca, e la forte integrazione fra le diverse fasi del ciclo della innovazione, ossia fra quella

di ricerca applicata, quella di sviluppo sperimentale e quella di

ingegnerizzazione/industrializzazione. Emerge così, da un lato, l’esigenza per le imprese,

che intendono generare nuove tecnologie, di acquisire conoscenze tecnico-scientifiche da

fonti esterne (università, centri pubblici di ricerca) e, dall’altro, si modifica la natura del

rapporto fra ricerca pubblica e impresa a fini del cosiddetto Trasferimento Tecnologico, il

quale non può più configurarsi o ridursi ad un semplice scambio (trasferimento) di

conoscenze, ma implica la trasformazione e lo sviluppo di tali conoscenze attraverso una

stretta collaborazione fra i due soggetti in tutte le fasi del ciclo dell’innovazione.

3. Il Trasferimento Tecnologico e le piccole imprese

Come delineato in precedenza, è evidente che le PI che intendano declineare la loro

strategia di competitività sulla innovazione tecnologica basata sui risultati tecnico-scientifici

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prodotti dalla ricerca pubblica, non possono perseguire i tradizionali modelli adottati con

successo nel passato (basati sulle conoscenze tacite e sul ricorso a consulenze professionali

di singoli esperti tecnologici), ma devono sempre più intensamente e continuativamente

interagire e cooperare con operatori di ricerca in ambito sia pubblico (università ed enti di

ricerca), sia privato. Queste interazioni e collaborazioni tra PI e sorgenti di conoscenze

possono essere genericamente definite come Trasferimento Tecnologico (TT), anche se,

come si è detto, questa denominazione può risultare ambigua e fonte di fraintendimenti;

infatti il TT può essere interpretato semplicisticamente come il processo di comunicare alle

imprese le conoscenze generate autonomamente delle strutture di ricerca, perché le

utilizzino per realizzare l’innovazione delle proprie tecnologie di prodotto o di processo.

È opportuno a questo proposito ricordare che l’innovazione tecnologica basata sulla

conoscenza, nelle imprese di ogni dimensione e settore, può essere concettualmente

descritta come una sequenza di attività (ciclo dell’innovazione) ascrivibili a due macro-fasi:

quella che si può definire “Generazione della conoscenza” e quella successiva “Utilizzazione

della conoscenza”, anche se esistono spesso feedback fra la prima e la seconda, dando così

origine ad un processo evolutivo non lineare.

La macrofase di Generazione della conoscenza comprende le seguenti attività:

− Ricerca fondamentale

− Ricerca applicata

− Sviluppo sperimentale

− Test e validazione

− Dimostrazione e disseminazione

e si conclude con la realizzazione del cosiddetto prototipo pre-competitivo (Dimostratore).

La seconda macro-fase di Utilizzazione della conoscenza comporta le seguenti attività:

− Progettazione

− Sviluppo e integrazione

− Test e validazione

− Marketing e commercializzazione (predisposizione della strategia di approccio al

mercato)

− Formazione e addestramento (per clienti e venditori)

− Servizi di post-vendita per manutenzione e assistenza tecnica (predisposizione della

struttura operativa)

e si conclude con l’introduzione nel mercato di un nuovo prodotto/servizio e relativo modello

di business.

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A cavallo fra queste due macrofasi si possono collocare le seguenti attività:

− Trasferimento tecnologico della conoscenza.

− Gestione dei diritti di proprietà intellettuale.

Gli attuali processi di innovazione tecnologica, pur se comportano le attività sopra delineate,

non necessariamente le effettuano in maniera sequenziale, secondo un modello lineare: le

attività della seconda macro-fase sempre più si intersecano con quelle della prima,

generando anelli di feedback e dando così origine ad un modello non-lineare, per cui le

attività di ricerca sono concepite, strutturate e programmate in funzione dei possibili utilizzi

sul mercato dei risultati tecnico-scientifici che esse producono.

Da qui viene l’esigenza che i soggetti che generano la conoscenza innovativa (in primo

luogo, le strutture pubbliche di ricerca) vengano sempre più ad operare in collaborazione con

gli utilizzatori della conoscenza (le imprese) praticamente, sia pure con una diversità di pesi

e di contributi, in tutte le fasi del ciclo dell’innovazione.

Questa stretta integrazione fra le fasi di tale ciclo è sentita come una fortissima esigenza

dalle imprese, in particolare dalle PMI, che concepiscono e tendono ad attuare

organicamente tutte le fasi del ciclo senza soluzioni di continuità e in uno spazio temporale il

più breve possibile.

Questo modello strategico e operativo delle PMI nel generare innovazione tecnologica a fini

di business trova però limitato riscontro e risposta negli strumenti con cui l’operatore pubblico

interviene a sostegno della competitività tecnologica delle imprese.

Infatti, tali strumenti intervengono su singole specifiche attività del ciclo dell’innovazione e

separatamente fra le due macro-fasi, contribuendo così a rendere più critico il processo di

trasferimento tecnologico della conoscenza innovativa fra ricerca pubblica e imprese. Inoltre i

diversi strumenti sono spesso gestiti da organi di governo distinti, focalizzati alcuni sulla

prima macro-fase (a livello nazionale, il MIUR) e altri sulla seconda macro-fase (sempre a

livello nazionale, il MISE).

In definitiva si può ritenere che il TT, nella concezione qui adottata che indica la

trasformazione della conoscenza dallo stato di risultati tecnico-scientifici a quello di

tecnologie industriali, e implica la collaborazione fra strutture pubbliche di ricerca e imprese

nell’ambito dell’intero ciclo della innovazione tecnologica e industriale, è un processo

complesso, che coinvolge numerose tipologie di agenti (centri pubblici di ricerca, grandi

imprese, organi di governo, operatori finanziari) con strategie e comportamenti assai

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differenziati. Proprio questa complessità e queste differenziazioni determinano le difficoltà

nel governare e realizzare efficaci processi di TT e sono la causa dei numerosi insuccessi o

successi parziali che hanno registrato le iniziative, promosse soprattutto dagli organi di

governo locale, che hanno affrontato il processo di TT dalla ricerca pubblica alle PMI con un

approccio semplicistico e con una strumentazione inadeguata a superare le sue criticità, sia

sul versante delle strutture pubbliche di ricerca, sia su quello delle imprese.

Pertanto, al fine di proporre strumenti adeguati è necessario esplicitare in modo appropriato

tali criticità, come descritto sinteticamente qui di seguito.

4. Le criticità del processo di Trasferimento Tecnologico

Le criticità del TT nell’accezione qui adottata, riguardano i tre principali attori di questo

processo, ossia le imprese (piccole), le strutture di ricerca (università e centri pubblici), gli

organi di governo che intervengono per promuovere la collaborazione fra imprese

(essenzialmente PMI) e ricerca pubblica.

4.1 Versante Strutture pubbliche di ricerca

Le criticità derivano, in primo luogo, dalle differenze socio-cognitive tra ricercatori pubblici

e uomini d’azienda.

Esse si manifestano in particolare nelle differenze di approccio all’innovazione tecnologica.

Tale differenza si evidenzia, per citare un primo aspetto, nell’orizzonte temporale rispetto al

quale si affronta la soluzione dei problemi di innovazione: nei ricercatori pubblici prevale un

orientamento al lungo periodo, mentre fra gli uomini d’azienda l’orientamento temporale è a

medio o più frequentemente a breve termine.

Questa differenza negli orientamenti temporali si correla ad una diversa propensione del

rischio: per l’impresa il rischio tangibile e immediato è quello di non riuscire a rientrare dalle

somme stanziate a sostegno della ricerca ed eventuali insuccessi nello sviluppo di

innovazioni ricadono sul bilancio aziendale con effetti negativi e tangibili; nelle strutture

pubbliche di ricerca la valutazione dei ritorni di un progetto di ricerca viene svolta con

indicatori di significatività scientifica più che di rilevanza economica e l’eventuale fallimento

non ha significativi impatti negativi sulla carriera e sullo status dei ricercatori.

Un’ulteriore modalità in cui si estrinseca il concetto generale di “differenza cognitiva” tra

strutture di ricerca pubblica e imprese è quella delle differenti procedure di problem-

solving: nel mondo accademico si riscontra in genere un approccio monodimensionale e

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“per discipline” che considera gli aspetti “tecnici” delle soluzioni, mentre nelle imprese i

problemi sono multidimensionali e multidisciplinari e le soluzioni vengono valutate per loro

“praticità”.

Si riscontra inoltre l’incapacità di definire comuni linguaggi, perché sia nelle piccole imprese

vengono a mancare le figure dotate della necessaria qualificazione professionale, sia le

strutture pubbliche di ricerca non sono ancora abbastanza attive nel comunicare la rilevanza

applicativa della loro ricerca.

Un’altra importante criticità riguarda lo “stato” delle tecnologie prodotte dalla ricerca pubblica

e la loro trasferibilità in applicazioni nelle imprese a fini produttivi e commerciali. Infatti, molto

spesso i risultati tecnico-scientifici prodotti dalla ricerca pubblica. anche se sotto forma di

brevetti. sono solo “tecnologie potenziali” in quanto non sempre sono chiari ed evidenti i

campi di applicazione e i miglioramenti di performance che esse possono apportare rispetto

alle soluzioni tecnologiche esistenti e soprattutto essi richiedono ulteriori sviluppi anche a

livello di ricerca applicata per renderli industrializzabili e trasferibili con successo in

produzione. Sono quindi necessari ulteriori investimenti in R&S e non sempre si riscontrano

sufficienti interessi ad effettuarli. Infatti i ricercatori, che hanno prodotto i risultati, spesso

preferiscono dedicare le proprie risorse ad altre attività di ricerca, suscettibili di contribuire

alla loro carriera e alla loro qualificazione in campo scientifico, piuttosto che dedicarle ad

attività con ricadute sul piano finanziario dagli esiti incerti e solo parzialmente appropriabili.

Sul versante delle imprese l’incertezza riguardo la possibilità di finalizzare i risultati tecnico-

scientifici a specifiche applicazioni vendibili sul mercato, riduce la loro disponibilità a

investire le necessarie risorse finanziarie.

L’atteggiamento scarsamente imprenditoriale dei ricercatori è anche alla base della limitata

azione per la creazione di imprese spin-off e della bassa dinamica di tali imprese sul piano

del fatturato e dell’occupazione, una volta rese operative.

Ulteriori criticità si riscontrano nelle strutture TTO (Technology Transfer Office) che molte

università ed enti pubblici di ricerca hanno istituito per attuare la valorizzazione economica

dei risultati tecnico-scientifici prodotti. Infatti, per una molteplicità di motivazioni (limitatezza

delle risorse finanziarie e professionali dedicate, separazione organizzativa dei TTO rispetto

ai dipartimenti e alle unità di ricerca, conflittualità fra questi soggetti nella ripartizione dei

ricavi dalla commercializzazione dei risultati, ecc.) questi TTO non sono riusciti in genere a

costituire uno strumento efficace per attivare la collaborazione fra ricercatori e imprese

(soprattutto se PMI). Di conseguenza i TTO limitano, in genere, il proprio ruolo e le proprie

attività a promuovere e sostenere sul piano gestionale e finanziario la brevettazione dei

risultati di ricerca e la creazione di spin-off. Peraltro risulta assai limitata la capacità dei TTO

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di provvedere alla commercializzazione dei brevetti e alla loro difesa in caso di

infringements.

Esiste al fondo un più generale problema che concerne il ruolo delle università nella società

e nell’economia: la cosiddetta 3^ missione dell’università, viene spesso citata nei documenti

strategici delle università, ma trova limitata implementazione a causa delle ridotte risorse e

strutture ad essa dedicate. Esiste a questo proposito un dilemma fra i ricercatori universitari,

soprattutto se all’inizio della carriera: dedicarsi totalmente all’attività di ricerca scientifica e di

insegnamento, dai cui risultati dipende pressoché esclusivamente il loro avanzamento di

carriera, oppure dedicare parte del proprio tempo all’attività di collaborazione con soggetti

esterni (in primo luogo, imprese), al fine di acquisire risorse da dedicare, almeno in parte a

sostenere l’attività di ricerca, in cui vengono a mancare i necessari contributi finanziari

pubblici, tenendo presente che tale attività non viene di solito riconosciuta per la carriera e lo

status

4.2 Versante Piccole Imprese

Al di là del limitato orientamento strategico di molte PI (in particolare di quelle inerti) nei

confronti dell’innovazione tecnologica basata sulla collaborazione con strutture di ricerca,

descritto nel capitolo 2 di questo Rapporto, un ulteriore elemento di freno a tali collaborazioni

viene dal relativo costo totale, percepito troppo alto dalle imprese. Le strutture di ricerca

spesso considerano come loro costo per le imprese solo quello diretto, relativo al servizio di

ricerca fornito, e per incentivare l’utilizzo dei propri servizi li offrono a prezzi bassi. Invece le

aziende percepiscono altre componenti di costo da loro sostenute: costo di accesso, costo di

interfaccia e costo di utilizzo del contenuto. Non è facile per l’impresa identificare strutture e

ricercatori affidabili ed efficaci (costi di accesso). Esiste inoltre un costo di interazione e

coordinamento spesso elevato (costi di interfaccia); i servizi non sono offerti in modo

sufficientemente rapido (costi di interfaccia) e possono avere contenuti poco specifici (costo

di contenuto).

Inoltre la possibilità delle piccole imprese di interagire con successo con le strutture

pubbliche di ricerca a fini di TT dipende dalla loro capacità di assorbimento di nuove

conoscenze tecnico-scientifiche. Tale capacità dipende essenzialmente dalle risorse

(professionali, organizzative, finanziarie) che l’impresa può dedicare ai processi di

pianificazione e programmazione dello sviluppo tecnologico, e dalle competenze

specialistiche, assai limitate, disponibili nelle PI. Inoltre, il livello di qualificazione tecnico-

scientifica del personale delle PI impegnato in attività di innovazione è spesso inadeguato ad

interagire con efficacia con i ricercatori pubblici, accrescendo così le difficoltà dovute alle

differenze di modelli cognitivi.

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4.3 Versante Organi di governo e stakeholders locali

Numerosi organi di governo locale (Regioni e Province) hanno promosso e finanziato la

costituzione di strutture dedicate al TT verso le PMI. La vicinanza al territorio di tali strutture

costituisce un indubbio elemento di forza poiché permette di cogliere le opportunità

tecnologiche e di valorizzarle nelle dinamiche di sviluppo delle imprese locali. Peraltro la

stessa “dimensione locale” del loro operato rappresenta un elemento di debolezza in

quanto può impedire il raggiungimento di una dimensione e di una massa critica di attività e

di capacità d’intervento, adeguate a sostenere la competizione globale.

Inoltre queste strutture spesso concepiscono e attuano la loro missione in modo

semplicistico e generalistico (tendendo a intervenire su tutte le problematiche di

innovazione tecnologica di tutti i settori del sistema produttivo locale) conseguendo in molti

casi scarsi risultati a causa della loro “distanza” dalle strutture di ricerca, della limitatezza

delle loro risorse finanziarie e professionali, dell’ampiezza degli obiettivi tecnologici e

settoriali perseguiti, per cui spesso riducono il proprio ruolo e intervento a una funzione di

generica diffusione di informazioni tecnico-scientifiche e di consulenza alle aziende per

l’accesso agli incentivi pubblici alla ricerca e all’innovazione.

Oltre agli organi di governo locale, altri stakeholders del sistema socio-economico locale

(Camere di Commercio, Associazioni imprenditoriali, ecc.) si sono attivati per sostenere il TT

verso le PMI, spesso però in modo autonomo e non coordinato fra loro, generando così una

proliferazione di iniziative sottodimensionate e conseguentemente una dispersione di risorse.

Basta ricordare a questo proposito la moltiplicazione di iniziative per attuare la

collaborazione fra ricerca pubblica e PMI (anche se non solo PMI) nelle regioni meridionali,

quali Centri di Competenza Tecnologica, Laboratori Pubblico-Privati, Distretti Tecnologici,

Parchi Scientifici Tecnologici, Poli di Innovazione, Incubatori, Agenzie regionali per

l’innovazione, ecc. fra le quali non esiste in genere alcuna forma di coordinamento e di

integrazione.

4.4 Considerazioni di sintesi

In definitiva le principali criticità dei processi di TT dalla ricerca pubblica alle PI si possono

così sintetizzare:

a) Differenze socio-cognitive tra ricercatori pubblici e uomini d’azienda;

b) Scarsa imprenditorialità dei ricercatori pubblici per la valorizzazione economica delle

loro competenze e dei loro risultati tecnico-scientifici;

c) Rigidità strategiche e organizzative delle università nell’attuare la 3^ missione;

d) Distanza dei risultati di ricerca rispetto allo stato di tecnologia.

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e) Carenza nelle PI di approccio strategico all’innovazione tecnologica, anche per una

limitata conoscenza della dinamica delle tecnologie “science based” di tipo

trasversale e abilitante;

f) Rilevanza dei costi percepiti dalle PI nella collaborazione con le strutture pubbliche di

ricerca;

g) Limitata capacità delle PI di assorbimento di nuove conoscenze tecnico-scientifiche;

h) Frammentazione delle iniziative promosse localmente per il TT alle PMI e carenza di

coordinamento;

i) Inadeguatezza delle modalità con cui gli organismi pubblici promuovono e

sostengono il TT;

5. Le proposte d’intervento

In considerazione delle criticità evidenziate nei comportamenti dei diversi soggetti coinvolti

nei processi di collaborazione fra strutture pubbliche di ricerca e piccole imprese a fini di

innovazione tecnologica, è possibile formulare indicazioni di linee d’intervento, soprattutto da

parte dell’operatore pubblico, che incidano su tali criticità e superino le attuali carenze

dell’azione pubblica.

Va però sottolineata l’esigenza che tale azione pubblica, aldilà della specifica articolazione

degli strumenti adottati e implementati, si caratterizzi con un diverso approccio alla soluzione

del problema in oggetto.

Questo approccio è finalizzato alla implementazione di un modello “ottimale” di TT dalla

ricerca pubblica alle piccole imprese e quindi alla elaborazione e attuazione di una strategia

che indirizzi le specifiche iniziative. L’adozione di tale approccio strategico è fondamentale

per superare le limitazioni e le inefficienze che contraddistinguono negativamente le iniziative

per il TT della ricerca pubblica alle piccole imprese che sono state finora concepite ed

implementate.

Nel seguito vengono descritte le linee del modello “ottimale” di TT dalla ricerca pubblica alle

piccole imprese e le specifiche iniziative da porre in essere per la sua implementazione.

5.1 Il modello “ottimale” di Trasferimento Tecnologico

Le considerazioni svolte in precedenza consentono di definire le linee generali di un modello

“ottimale” alla promozione e al sostegno del TT dalla ricerca pubblica alle piccole (e micro)

imprese. Esso dovrebbe soddisfare i seguenti requisiti:

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• tenere conto della molteplicità degli attori che intervengono in tale processo e quindi

coinvolgerli opportunamente nella sua attuazione, con una attribuzione di ruoli e

contributi chiaramente definiti, in una logica di sistema;

• intervenire con un ruolo pro-attivo su tutte le fasi del ciclo della innovazione

tecnologica, promuovendo e sostenendo la collaborazione e l’integrazione fra

strutture pubbliche di ricerca che generano conoscenze tecnico-scientifiche e

imprese che trasformano tali conoscenze in tecnologie industriali valide nel mercato;

• conseguentemente, predisporre adeguati strumenti (organizzativi, finanziari,

gestionali) che tengono pienamente conto dei limiti di risorse (organizzative,

finanziarie, gestionali) delle piccole imprese;

• intervenire sia sul lato della offerta di conoscenze tecnico-scientifiche da parte delle

strutture pubbliche di ricerca, sia su quello della domanda proveniente (a volte solo

potenzialmente) dalle piccole imprese, al fine di stimolare l’adozione di

comportamenti strategici coerenti, abbattendo le barriere esistenti tra domanda e

offerta;

• configurarsi e specializzarsi in relazione alle caratteristiche del sistema produttivo e

scientifico di riferimento e al contesto socio-economico in cui si inserisce (ad

esempio, la specializzazione settoriale e la dinamica della tecnologia) in modo da

tarare le proposte d’intervento in base alle loro caratteristiche, strutturali ed esigenze;

• evitare approcci “localistici” per quanto concerne l’utilizzo delle fonti di conoscenze

tecnico-scientifiche, che non devono essere limitate al contesto territoriale in cui

operano le piccole imprese, ma devono essere individuate anche a scala trans

regionale e transnazionale, in modo da rispondere in modo ottimale alle esigenze di

innovazione tecnologica di tali imprese.

Preme ancora una volta qui sottolineare come le linee di azione proposte descritte qui di

seguito, che interessano essenzialmente gli organi di governo e altri stakeholder rilevanti a

scala sia nazionale sia locale(alla quale avvengono prevalentemente i rapporti di

collaborazione fra piccole imprese e strutture pubbliche di ricerca) non esauriscono la totalità

delle iniziative con le quali intervenire per promuovere e sostenere i processi di innovazione

nelle piccole imprese. Esse infatti riguardano una più ampia articolazione di fattori e di

processi dei quali però quelli, qui affrontati e focalizzati sulla innovazione tecnologica,

risultano, oggi e in una prospettiva strategica, i più rilevanti.

5.2 Le specifiche iniziative

Nel concepire le iniziative per sostenere l’implementazione del modello “ottimale” di TT,

occorre tener conto della difficoltà di intervenire con efficacia e ampiezza di impatti su alcuni

19

fattori critici del processo di TT, non modificabili nell’orizzonte di breve periodo, quali, ad

esempio, le differenze socio-cognitive tra ricercatori pubblici e tecnici/imprenditori di piccole

imprese o la scarsa imprenditorialità dei ricercatori pubblici, nonché dell’esistenza di alcuni

vincoli strutturali, quali, ad esempio, l’esistenza di molte strutture pubbliche dedicate al TT

che svolgono attività piuttosto marginali rispetto alle criticità del processo ottimale di TT

Con questi limiti e avvertenze, si sono individuate alcune linee di iniziative di intervento sui

più rilevanti fattori critici, la cui attuazione coinvolge sia organi di governo locale, sia soggetti

privati (in particolare, associazioni imprenditoriali e banche / operatori finanziari), che

possono essere agevolmente implementate anche nel breve termine.

Tali linee, che si articolano sui piani finanziario, organizzativo, gestionale, vengono qui

presentate sinteticamente in relazione alle criticità su cui intendono intervenire, rimandando

all’allegato N.2 per una loro più dettagliata descrizione.

Interventi sul versante delle Strutture pubbliche di ricerca

Superamento della “distanza” fra risultati di ricerca e tecnologie

- Predisporre strumenti finanziari soprattutto, ma non esclusivamente, di tipo

pubblico, a sostegno dello sviluppo dei risultati tecnico-scientifici disponibili

nelle strutture pubbliche di ricerca verso tecnologie industriali, superando il

gap che spesso esiste tra queste fasi del ciclo dell’innovazione e costituisce la

“death valley” di tale processo di trasferimento. La limitatezza delle risorse

finanziarie richieste per la singola iniziativa di TT e l’esigenza di attuarla in un

breve intervallo di tempo per venire incontro alle caratteristiche della strategia

di innovazione delle PI, richiedono una procedura di erogazione la più snella e

rapida possibile, contrariamente a quanto oggi si verifica a livello di organi di

governo regionale e nazionale. Peraltro le caratteristiche richieste a questo

strumento di sostegno finanziario implicano necessariamente un approccio

gestionale su scala regionale e locale in genere. Esso può essere attuato sia

da organi di governo locale, sia da banche, in base ad una valutazione

preliminare della potenzialità industriale degli sviluppi proposti.

20

Marketing dei risultati di ricerca

- Al fine di rendere “visibile” alle imprese il patrimonio di brevetti realizzati dalle

strutture pubbliche di ricerca e di stimolare il loro interesse per una loro

(eventuale) acquisizione e trasformazione in innovazioni industriali, realizzare

un sistema informativo che presenti i brevetti disponibili attraverso schede che

descrivano, con un linguaggio comprensibile anche ai piccoli imprenditori, i

“contenuti” del brevetto, le possibilità applicative (in termini di soluzioni a

specifiche problematiche o settori), gli eventuali ulteriori investimenti in R&S

necessari per il trasferimento tecnologico.

- Contestualmente, tenuto conto della prevalente focalizzazione dei TTO

(Technology Transfer Office) delle università e degli enti pubblici di ricerca

sull’attività di brevettazione dei risultati tecnico-scientifici e della loro limitata

capacità di commercializzarli, dedicare risorse e attivare/costituire strutture

dedicate all’azione di marketing e commercializzazione dei brevetti,

affiancando ed estendendo l’utilizzo del sistema informativo delineato in

precedenza.

Interventi sul versante delle Piccole imprese

Promozione delle capacità di innovazione tecnologica a livello sia strategico

sia operativo

- Implementare strumenti di Strategic Policy Intelligence, in particolare il

Technology Foresight, e diffondere i loro risultati presso le piccole imprese, al

fine di accrescere la loro conoscenza e consapevolezza delle opportunità e

delle sfide che lo sviluppo tecnico-scientifico pone strategicamente alle loro

attività di business.

Va sottolineato come i risultati delle analisi di Strategic Policy Intelligence

possono essere utilizzati anche per definire le strategie e definire gli strumenti

attuativi che gli organi di governo pongono in essere per sostenere

l’innovazione tecnologica nelle PMI.

- Attuare programmi di messa a disposizione di competenze tecnologiche alle

aziende per incrementare la loro capacità di assorbimento di avanzate

21

conoscenze tecnico-scientifiche. Le modalità di implementazione di questa

azione sono molteplici e variamente sperimentate;

effettuazione di tesi di laurea o di dottorato su tematiche di interesse per le

imprese;

assegnazione di borse di studio a giovani laureati o dottori di ricerca per

periodi di lavoro su tematiche innovative nelle imprese;

messa a disposizione di singoli esperti per il supporto tecnologico delle

imprese

e così via.

Si tratta di selezionale le modalità che mostrano la maggiore efficacia e di

estendere l’ampiezza di questi interventi in una logica di continuità.

Sostenere finanziariamente l’attuazione di progetti di R&I in collaborazione

con strutture pubbliche di ricerca

- Modificare le procedure per l’accesso delle piccole imprese a finanziamenti

pubblici a progetti aziendali di Ricerca & Innovazione tecnologica in

collaborazione con strutture pubbliche di ricerca, per tener conto delle loro

limitate disponibilità patrimoniali e finanziarie. Infatti tali imprese presentano di

solito un limitato Patrimonio netto e un elevato indebitamento bancario, che in

molti casi impediscono la stessa possibilità di richiedere il finanziamento. Ciò

è particolarmente penalizzate per le nuove piccole imprese “knowledge

based”, che presentano parametri economico-finanziari scadenti, ma che sono

invece assai qualificate e capaci di svolgere attività di ricerca avanzata.

Per superare questi vincoli si possono introdurre differenti forme di garanzia e

di valutazione dei progetti, come sperimentato dalla Regione Marche. Vanno

inoltre introdotte forme di tempestivo rimborso delle spese sostenute dalle

imprese, incluse quelle relative a contratti assegnati a strutture pubbliche di

ricerca che devono essere interamente e preliminarmente sostenute dalle

imprese, attraverso significative anticipazioni e la riduzione dei tempi di

erogazione del saldo.

22

Facilitare l’accesso delle piccole imprese alle competenze delle strutture

pubbliche di ricerca

- Estendere l’implementazione dello strumento del voucher tecnologico già

sperimentato con successo da alcune Regioni, al fine di rimuovere le difficoltà

delle piccole imprese nel collaborare con strutture pubbliche di ricerca. Va

esplorata e sperimentata anche la possibilità di estendere il voucher

tecnologico ad altri soggetti come, ad esempio, strutture private di ricerca

applicata, previa loro opportuna qualificazione e certificazione.

Interventi sul versante degli Intermediari tecnologici promossi dall’operatore pubblico

- In primo luogo rivisitare e focalizzare la missione e soprattutto le modalità

operative delle strutture promosse dall’operatore pubblico a scala sia

nazionale sia regionale in collaborazione con soggetti privati, per

implementare la collaborazione pubblico-privata nel campo della innovazione

tecnologica (Distretti Tecnologici, Poli di Innovazione, Centri di Competenze

Tecnologiche, Laboratori Pubblico-Privati e così via).

- In secondo luogo, potenziare l’azione delle strutture RTO (Research and

Technology Organization) che operano essenzialmente in una logica di

mercato per la soluzione di problematiche di innovazione tecnologica delle

imprese attraverso l’utilizzo delle competenze tecnico-scientifiche e lo sviluppo

dei risultati di ricerca disponibili nelle strutture pubbliche di ricerca, delle quali

spesso sono emanazioni.

Queste RTO sono in genere dotate di proprie attrezzature tecnologiche e di

proprio personale tecnico e sono così in grado di svolgere progetti di sviluppo

tecnologico in risposta a specifiche esigenze delle imprese, facendo anche

ricorso al patrimonio di competenze e di capacità delle strutture di ricerca di

riferimento.

Questa tematica è oggetto di un altro Gruppo di Riflessione della Fondazione

COTEC, al cui documento conclusivo si rimanda per un approfondimento.

23

5.3 I soggetti attuatori

Evidentemente l’attuazione delle linee di intervento descritte in precedenza richiede l’azione

di una molteplicità di soggetti, pubblici e privati, coerentemente con la natura complessa e

multidimensionale dei processi di TT. Si tratta in particolare e senza pretesa di esaustività di:

- Organi di governo locale (in primo luogo Regioni)

- Università

- Enti pubblici di ricerca

- Camere di Commercio

- Associazioni imprenditoriali

- Banche e operatori finanziari

- Fondazioni bancarie

- Intermediari tecnologici.

L’efficacia di questi interventi dipende fortemente, oltre che dalla accuratezza della loro

progettazione che deve essere strettamente rispondente alle caratteristiche del sistema

locale della Ricerca & Innovazione, dalla loro integrabilità e sinergia in un contesto sistemico.

Emerge infatti l’esigenza che le singole iniziative vengano compite ed attuate all’interno di

una politica complessiva di promozione e sostegno del TT dalla ricerca pubblica alle P(M)I.

Ne deriva un ruolo fondamentale degli organi di governo locali, che devono elaborare

strategie per il TT, basate su una visione, almeno di medio termine, della possibile

evoluzione del sistema produttivo locale e dei connessi fabbisogni di acquisizione e sviluppo

di tecnologie innovative, che sia costruita attraverso la collaborazione dei principali

stakeholder del sistema socio-economico locale. Proprio la cooperazione fra tutti questi

soggetti è essenziale per assicurare efficacia e incisività agli interventi, integrare le risorse ed

evitare duplicazioni, sovrapposizioni e carenze.

In questo modo è possibile implementare quelle azioni trasversali o di sistema, che sono

essenziali per incidere sui fattori critici strutturali dei processi di TT, sul versante sia della

offerta di conoscenze e competenze tecnico-scientifiche sia su quello della domanda di

soluzioni tecnologiche innovative valide nel mercato.

Un esempio significativo di capacità di condivisione di visione strategica e di integrazione di

sforzi e di risorse viene dal sistema socio-economico della Provincia di Lecco, mentre sul

piano dell’articolazione strutturale e delle politiche per l’attuazione del TT è interessante

l’esperienza della Regione Marche, attraverso la rete di Centri Tecnologici per l’innovazione

da essa costituita e sostenuta finanziariamente.

24

6. Conclusioni

Fra le problematiche rilevanti che le piccole imprese devono affrontare per effettuare

innovazioni tecnologiche di tipo avanzato, assume un ruolo critico e fondamentale la loro

capacità di collaborare con strutture pubbliche di ricerca, al fine di acquisire le conoscenze

tecnico-scientifiche necessarie allo sviluppo delle tecnologie innovative. Si tratta di una

problematica per la cui soluzione gli interventi finora effettuati dall’operatore pubblico,

soprattutto a scala regionale e locale, si sono rilevati in genere parziali e poco efficaci. Ciò

nonostante il riconoscimento nell’ambito delle politiche pubbliche per Ricerca & Innovazione

della criticità del cosiddetto Trasferimento Tecnologico dalla ricerca pubblica alle PMI e il

moltiplicarsi di iniziative finalizzate alla promozione e al sostegno di questo processo. Anche

le iniziative poste in essere da università ed enti pubblici di ricerca per la valorizzazione dei

loro risultati tecnico-scientifici ed elle loro competenze hanno consentito di attivare solo

alcune dimensioni di tale processo, ossia la brevettazione dei risultati in vista della loro

commercializzazione e la creazione di imprese spin-off, basate sullo sfruttamento economico

dei brevetti. Pur nella differenziazione delle esperienze a scala locale nel campo della

promozione del TT, viene evidenziata la limitata attenzione delle Associazoni imprenditoriali

e degli altri stakeholders del sistema socio-economico locale alle tematiche del TT alle PMI.

Le importanti e positive esperienze nel territorio della provincia di Lecco, possono costituire

un modello di riferimento per altri contesti produttivi.

In molti casi è invece mancata una visione complessiva del processo di Trasferimento

Tecnologico della ricerca pubblica alle PMI e delle criticità negative che lo frenano e in molti

casi lo inibiscono, e un’intensa collaborazione tra tutti gli stakeholder locali.

Il riconoscimento e l’analisi di queste criticità, sul lato sia dell’offerta di conoscenze tecnico-

scientifiche avanzate sia su quelle della domanda, effettuato dal Gruppo di Riflessione della

Fondazione Cotec, ha consentito di individuare i fattori sui quali è possibile intervenire per

facilitare l’interazione fra domanda e offerta, e di formulare ipotesi sulle iniziative finalizzate

alla realizzazione di tali interventi.

Si tratta di un’ampia gamma di iniziative che l’operatore pubblico, soprattutto a scala

territoriale locale, può agevolmente porre in essere, ottimizzando l’impiego delle risorse

finanziarie dedicate al tema del TT, purché venga implementato un approccio sistemico che

consenta di intervenire sulla molteplicità dei fattori critici e venga attivata la collaborazione di

tutti gli altri soggetti rilevanti (stakeholder) del Sistema della Ricerca & Innovazione, (in primo

luogo, Associazioni imprenditoriali, Camere di Commercio, banche e operatori finanziari,

università e centri pubblici di ricerca).

25

ALLEGATO N. 1

Seminario

“La collaborazione fra ricerca pubblica e piccole imprese a fini di innovazione tecnologica” Situazione, Criticità, Proposte

in collaborazione con Regione Marche e SVIM

Ancona, 10 giugno 2011

Partecipanti Bedini Roberto (Tecnomarche) Costa Fabrizio (Regione Marche) De Simone Simona (Università degli Studi di Camerino) Fabbri Mario (COSMOB) Gaetini Francesca (A TLC) Gambi Ennio (Università Politecnica delle Marche) Giannini Monica (Pluservice) Gnaccarini Alessio (COSMOB) Merelli Emanuela (Università degli Studi di Camerino) Micheloni Mauro (Università degli Studi di Urbino) Pacetti Marco (Università Politecnica delle Marche) Paris Antonino (A TLC) Paolini Antonella (Università degli Studi di Macerata) Sabbatini Arnaldo (Commissione Regionale ABI Marche) Sallei Stefano (CNA Marche) Servili Sara (Servili Computer) Sopranzi Patrizia (Regione Marche) Thoma Grid (Università degli Studi di Camerino) Tornati Massimiliano (Tornati Forni) Urbani Letizia (Meccano) Vellini Pietro (BAX) Zambichini Barbara (Asteria)

26

Seminario

“La collaborazione fra ricerca pubblica e piccole imprese a fini di innovazione tecnologica” Situazione, Criticità, Proposte

in collaborazione con CNA e Confcommercio

Bari, 28 giugno 2011

Partecipanti Barone Luigi (CETMA) Bevilacqua Vito (Politecnico di Bari) Carrera Leonardo (Confcommercio Puglia) Chieti Vito (Imprenditore) Conversano Piero (Confindustria Puglia) Corallo Angelo (Università degli Studi del Salento) Cucurachi Stefano (TUV - Italia) Paolo Germinario (Imprenditore) Grattagliano Fabio (Imprenditore) Nardone Gianluca (Distretto Agroalimentare Regionale) Perla Michele (Associazione Nazionale per Operatori Responsabili della Conservazione Digitale) Petrosino Giancarlo (Imprenditore) Resta Onofrio (Provincia di Bari) Toma Ernesto (Provincia di Lecce) Trisorio Liuzzi Giuliana (ARTI Puglia)

27

Seminario

“La collaborazione fra ricerca pubblica e piccole imprese a fini di innovazione tecnologica” Situazione, Criticità, Proposte

in collaborazione con Camera di Commercio di Lecco

Lecco, 30 giugno 2011

Partecipanti Ammannato Maurizio (ValmaConsult) Bartesaghi Angelo (Omet) Bocciolone Marco (Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Lecco) Bonacina Francesca (Comune di Lecco) Cantoni Michela (Camera di Commercio di Lecco) Galbiati Domenico (IRCCS “La nostra famiglia”) Galbiati Paolo (Confartigianto Lecco) Grieco Paolo (Confartigianato Lecco) Guidotti Carlo (Camera di Commercio di Lecco) Imbrò Rolando (Regione Lombardia) Mandelli Enrico (ANCE) Manzi Giovanni (STer Regione Lecco) Medola Mauro (Confindustria Lecco) Mentil Fulvia (Provincia di Lecco) Pirelli Wolfango (Cgil) Pulsoni Rossella (Camera di Commercio di Lecco) Valassi Vico (Camera di Commercio di Lecco) Villa Elena (CNR IENI)

28

ALLEGATO N. 2

Gli strumenti finanziari per la trasformazione dei risultati

di ricerca in tecnologie industriali

Nel grafico seguente sono riportate le fasi del processo necessario per trasformare i risultati

della ricerca scientifica in una tecnologia economicamente valida. In generale, nei laboratori

di un’università o di un centro pubblico di ricerca non si può andare oltre la proof of concept

di una tecnologia, o, in alcuni casi, nello sviluppo di un prototipo di laboratorio. Questo per

motivi organizzativi, di spazio, di risorse finanziarie e, non ultimo, di competenze. Di contro,

la piccola e media impresa, per organizzazione e competenze, è in grado, almeno

potenzialmente, di sviluppare un prodotto/processo a partire dalla scala pilota fino ad arrivare

al mercato.

Esiste quindi un gap di attività, rappresentato da quei passaggi intermedi che vanno dalla

formulazione del prototipo di laboratorio fino alla scala iniziale di produzione, passando per

tutti i test post-prototipazione, che solo un’impresa ben strutturata e motivata ad innovare

può colmare. Questo gap viene definito la ‘death valley’ delle tecnologie, quasi a sottolineare

le difficoltà che la carenza di attività (e la diversità di strategie) da parte dei diversi soggetti

Death Valley

29

coinvolti (università e imprese) può creare nello sviluppo e nella valorizzazione dei risultati

della ricerca. In Italia il rischio di fermarsi nella “death valley” è assai alto sia per la

predominanza di piccole imprese con limitate risorse finanziarie e gestionali, sia per la

scarsa imprenditorialità dei ricercatori pubblici, sia infine per l’assenza di adeguati strumenti

finanziari dedicati a questa problematica.

Il problema è tuttora irrisolto proprio per il fatto che non esiste, oggi, alcuna forma di

finanziamento o incentivazione per il superamento di questo gap; infatti, tutte le forme di

agevolazione pubblica riguardano o la fase di ricerca applicata che si arresta alla eventuale

realizzazione di un dimostratore della nuova tecnologia, o la fase di industrializzazione, da

parte di un’impresa. Esistono forme miste, quali ad esempio i Pacchetti Integrati di

Agevolazioni (PIA), nelle quali però l’ente di ricerca può agire solo da consulente, e così il

rapporto ente di ricerca/impresa si risolve in un percorso parallelo che raramente arriva a

convergenza.

In generale il supporto finanziario allo sviluppo di una tecnologia, dal suo concepimento al

mercato, può essere suddiviso in 5 fasi concettualmente distinte, come riportato nella

seguente figura, oggi presidiate a vario titolo da diversi operatori e/o agevolazioni pubbliche.

La fase di R&S è quella iniziale e viene svolta dalle università e/o centri di ricerca (pubblici e

privati), sempre più in collaborazione con imprese, e finanziata secondo i meccanismi

tradizionali di supporto alla ricerca.

La fase di Valorizzazione copre la sopra citata “death valley” delle tecnologie, e va dalla

conclusione di una ricerca allo sviluppo dei suoi risultati in vista di un’effettiva applicazione

valida nel mercato; essa comporta in generale le seguenti attività:

• definizione di una configurazione della tecnologia, adeguata per un’applicazione

industriale,

• eventuale ulteriore attività di ricerca applicata

• verifica e validazione della fattibilità industriale

30

• studi clinici (nel caso di biotecnologie)

• protezione della proprietà intellettuale1

Ad oggi, in Italia, manca un supporto istituzionalizzato a questa fase peraltro assai critica per

l’effettivo sfruttamento dei risultati di ricerca sul piano economico e del mercato. Pertanto

appare opportuno introdurre in Italia un efficiente strumento finanziario che intervenga a

sostegno delle attività di questa fase.

Attualmente l’acquisizione del necessario supporto finanziario viene lasciata a quei (pochi)

ricercatori che abbiano un committment forte nel voler implementare i risultati della propria

ricerca in modo da renderli presentabili a eventuali finanziatori, ed una competenza

sufficiente in termini giuridici, brevettuali e negoziali, per non essere prevaricati ed in

un’ultima analisi di fatto espropriati del proprio trovato.

Nella fase di Seed, detta anche Early stage, si configurano tecnologie visibili per un

investitore finanziario, ma ancora lontane dal mercato; l’investimento è di natura diversa dal

caso precedente, più strutturato perché bisogna eventualmente costituire una nuova azienda

e definire anche commercialmente la tecnologia; ma esistono operatori istituzionali che

operano già in tal senso.

Il Venture Capital interviene in una fase avanzata di sviluppo in una tecnologia; gli

investimenti necessari sono quelli tipici di un’attività di commercializzazione e sono presenti

diversi operatori finanziari specializzati nei diversi settori tecnologici in campo internazionale

(pochi ancora in campo nazionale).

Una possibile soluzione per la messa a disposizione di finanziamenti per la fase di

Valorizzazione dei risultati della ricerca è quella della costituzione di un fondo, partecipato da

organi di governo (locale), banche, università, che abbia il diritto di primo rifiuto di tutte le

tecnologie sviluppate presso le università partecipanti, oltre ovviamente a poter fare scouting

all’esterno.

Il fondo sostiene con contributi e finanziamenti agevolati tutte le attività che consentono di

individuare la specifica configurazione della tecnologia che incorpora e traduce in soluzioni

applicative (potenziali) i risultati tecnico-scientifici, anche attraverso il loro ulteriore sviluppo

sul piano della ricerca.

1 Preme a questo proposito ricordare che il Technology Readiness Level (TRL) legato ad una domanda di brevetto, risulta relativamente basso. Il titolo acquisisce effettivo valore economico soltanto nel momento in cui, oltre ad essere concesso, riesce a fornire una soluzione validata e ha una copertura territoriale appropriata; i cui costi per una adeguata estensione sono alquanto onerosi e difficilmente sostenibili da una piccola impresa.

31

Il Voucher tecnologico: origine, problematiche, successi

Il Voucher per la ricerca e per l’innovazione utilizza lo schema del coupon nella sua valenza

di strumento di promozione e marketing; infatti, oltre ad essere un sistema di pagamento

simile alla cambiale, rappresenta un’efficace strumento con cui un’azienda può, ad esempio,

concedere al suo detentore di ottenere gratuitamente o ad un prezzo vantaggioso un

prodotto o un servizio da un fornitore o da un gruppo di fornitori precedentemente

selezionati.

Gli innovation research voucher sono stati introdotti per la prima volta nel 1995 in Olanda

da una società strumentale della Provincia di Limburg. Lo scopo era, da una parte, quello di

incrementare la capacità competitiva delle PMI elevando il livello delle loro conoscenze ed

espandendo le loro capacità innovative e, dall’altra, quello di promuovere il trasferimento di

conoscenze dai “produttori di conoscenza” (Università e Centri di Ricerca) alle PMI. Il

programma venne implementato a Limberg nel 1997. L’enorme successo dell’iniziativa fece

sì che in brevissimo tempo il programma venne prima adottato in modo permanente

dall’Olanda e quindi da numerose Regioni e Paesi Europei.

Il modello di implementazione del Voucher tecnologico può essere sinteticamente descritto

dalla seguente tabella.

Tabella 1

Un ente di governo individua categorie bisognose

Fasce deboli del settore produttivo (PMI)

L’ente individua una famiglia di servizi / prodotti utili alle categorie individuate

Ricerca e Innovazione

L’ente individua erogatori di servizi in grado di soddisfare i bisogni delle categorie deboli

Centri di ricerca, università, ecc.

Un esperto individua i bisogni dei beneficiari (facoltativo)

Intermediario tecnologico

Ente erogatore (del prodotto / servizio) Eroga il servizio ed ottiene dall’ente di governo un indennizzo pari al valore del Voucher

Risultati attesi Maggior innovatività delle PMI (PMI più competitive)

Nella sua struttura il Voucher tenta la difficile mediazione tra un sistema top-down (ruolo

dell’ente di governo) e uno bottom-up (scelte del beneficiario). Una serie di enti di governo

32

identificano la categoria dei beneficiari (PMI), i bisogni generali di queste (ricerca e

innovazione) e un’insieme di soggetti genericamente in grado di soddisfare le esigenze delle

PMI (università, enti pubblici di ricerca). Il sistema bottom-up interviene quando la singola

PMI identifica i propri bisogni specifici (innovazione) ed il soggetto preciso

(laboratorio/consulente) in grado di soddisfarli.

Dal punto di vista della governance il principale obbiettivo del voucher tecnologico consiste

nell’incentivare la cooperazione e/o il primo contatto tra la PMI e le cosiddette RTO

(Organizzazioni pubbliche o semi-pubbliche per la Ricerca e la Tecnologia, ivi comprese le

università), mantenendo al minimo i costi logistici e l’impegno burocratico per il beneficiario.

L’assunto di base è che, da un lato, le PMI abbiano poca consapevolezza del potenziale e

delle capacità delle RTO e, dall’altro che le RTO, anche se in grado di generare soluzioni,

abbiano scarsa presa sulle reali esigenze delle PMI. In questo senso un voucher spendibile

presso le RTO dovrebbe facilitare la cooperazione tra RTO e PMI.

In Italia lo schema è stato inizialmente proposto dalle Regioni Calabria, Piemonte e

Lombardia, su base non permanente (a differenza di quanto attuato in altre regioni europee).

I beneficiari dei voucher tecnologici devono obbedire, in alcuni casi, ad una serie di

limitazioni di spazio e di scopo. Ad esempio: i beneficiari devono possedere una sede

operativa in una certa area geografica (una regione) ed operare in uno o più settori industriali

(ad es.: meccanica o farmaceutica) o aree tecnologiche (ad es.: micro e nano tecnologie,

biotecnologie, nuovi materiali, ecc.) o essere in via di costituzione. In Italia, alcune Regioni

avevano inizialmente cercato di limitare la localizzazione delle RTO al proprio territorio

laddove altri Paesi (Olanda e Belgio) hanno preferito limitare al minimo l’origine geografica

delle RTO. In questo modo si intende stimolare l’innovazione consentendo, da una parte, alle

imprese di accedere alla migliore tecnologia disponibile e, dall’altra, stimolando le RTO

nazionali ad una maggiore competizione a livello europeo.

Spesso, nelle regioni europee che hanno adottato il sistema dei voucher, non sono stati posti

limiti di eleggibilità legati al comparto tecnologico di appartenenza, ma sono stati posti limiti

alla tipologia di attività eleggibile per il voucher. Sono, ad esempio, ammesse collaborazioni

sui temi dell’innovazione, project management e Intellectual Property Rights (IPR), mentre

sono ineleggibili corsi di formazione, software, marketing, vendita, pubblicità, ecc.

La dimensione dei voucher spazia in Europa da € 2.500 fino a €100.000,00 dell’Ungheria

(che però adotta meccanismi di selezione che pongono lo strumento al limite del mondo dei

voucher tecnologici). Generalmente un voucher europeo non supera € 10.000,00. La

dimensione del voucher fa sì che spesso le attività richieste non ricadano nell’ambito

dell’intervento tecnologico “puro”, ma piuttosto in quello della consulenza legata alla

33

tecnologia. E’ comunque da registrare un trend di aumento sia del numero dei voucher sia

delle loro dimensioni. Questo dovrebbe facilitare l’accesso delle aziende a tecnologie

fortemente innovative e non solo a sviluppi “incrementali” .

Lo schema dei voucher prevede che le RTO siano preventivamente autorizzate

dall’istituzione che attiva l’iniziativa. In molte regioni europee (anche allo scopo di limitare le

spese di istruttoria e la burocrazia interna) sono stati scelti criteri “freddi” come, ad esempi

l’elezione a RTO di tutte le università e gli enti pubblici di ricerca e semipubblici (ad esempio

ospedali) riconosciuti. Entrare a far parte di un elenco di RTO autorizzate costituisce per

molti laboratori un’importante fonte di finanziamento. Il fatto però che i voucher, per la loro

natura “dimensionale”, orientino l’impresa verso la consulenza tecnologica piuttosto che

verso la ricerca applicata ha fatto sì che diverse organizzazioni private abbiano chiesto di

poter entrare a far parte degli elenchi delle RTO autorizzate. In Lombardia si è mirato a

costruire un elenco aperto, selezionando le RTO sulla base di questionari che avrebbero

dovuto consentire di individuare a priori quelle più efficaci. Però sia diverse qualificate

società di innovazione tecnologica (a volte piccole, ma molto efficaci nel loro settore) sia

diversi istituti di ricerca hanno rinunciato all’iscrizione trovando il processo di accreditamento

eccessivamente farraginoso e burocratizzato e, soprattutto, ritagliato sulle specifiche

caratteristiche dei grandi laboratori delle università tecniche.

I voucher (con l’eccezione dell’Ungheria) sono assegnati a richiesta del beneficiario e questo

comporta, come è facile intuire, che i fondi vengano distribuiti, almeno inizialmente, ad

aziende già sensibilizzate all’idea di rivolgersi a consulenti esterni per progetti di

innovazione.

Per l’assegnazione dei voucher è stata adottata o la procedura “first in, first out” o

l’estrazione a sorte. Questo sistema favorisce anche l’accesso di aziende inizialmente non

sensibilizzate.

Per ovviare a questo problema sia in Italia sia in Olanda e in Belgio sono stati utilizzati i

cosiddetti intermediari tecnologici. Da una parte il ricorso agli intermediari attenua l’entità

del problema del coinvolgimento delle aziende più sensibilizzate, ma, dall’altra, suscita una

serie di nuovi problemi legati alla diminuzione dei fondi disponibili (una parte dei quali

vanno a finanziare gli intermediari tecnologici stessi) ed al collegamento, spesso diretto, tra

questi intermediari e gli erogatori dei servizi di innovazione. Gli intermediari rischiano così di

essere vissuti più come uffici di promozione delle RTO (finanziati coi fondi destinati alle

aziende) che come consulenti “dalla parte delle aziende”.

I voucher tecnologici presentano aspetti positivi quali:

34

• la quasi totale assenza di burocrazia per il beneficiario e la quasi totale assenza di

costi per accedere allo strumento;

• la riduzione dei costi amministrativi da parte dell’ente di governo;

Ad esempio, le PMI che richiedono un voucher non devono presentare un progetto, ma una

semplice domanda di conoscenza; questo riduce sia i costi di partecipazione sia i costi di

valutazione e gestione della domanda.

Uno dei fattori di successo dello schema dei voucher consiste nella sua customizzazione

Questa impostazione lascia alle aziende la possibilità di identificare l’istituzione di ricerca più

adatta ad affrontare e risolvere i propri problemi. Alcune sovrastrutture introdotte, come la

valutazione della richiesta da parte del beneficiario in Ungheria, la valutazione preventiva

degli RTO in Lombardia, sembrano aver appesantito lo schema ed incrementato i costi

marginali, senza peraltro produrre benefici tangibili rispetto agli altri modelli di voucher

sperimentati in Europa.

L’incremento dell’ammontare del singolo voucher aiuta le aziende ad affrontare problemi

tecnologici importanti invece di accedere a semplici consulenze.

In assenza di un sistema di valutazione a priori sarebbe probabilmente auspicabile in Italia,

un sistema di controllo a campione ex post; questo (salvo il caso di veri e propri reati)

potrebbe limitarsi ad escludere, per un certo periodo, da futuri finanziamenti chi ha utilizzato

male i fondi.

Il sistema dei voucher ha certamente bisogno di comunicazione presso le aziende più

lontane dal sistema dell’Innovazione, essendo oggetto di discussione il ruolo degli

intermediari tecnologici per questa azione.

Un sistema di mutuo riconoscimento delle RTO a livello europeo sarebbe auspicabile sia per

le aziende sia per innescare una sana competizione tra università ed enti di ricerca.

Gli strumenti per accrescere la capacità strategica di innovazione tecnologica

delle imprese

Con l’eccezione delle imprese “innovatrici” secondo la classificazione riportata

nell’introduzione di questo Rapporto, tutte le altre tipologie di impresa (aspiranti e inerti)

hanno usualmente scarse risorse organizzative per gestire con efficacia il ciclo

dell’innovazione tecnologica (dalla formulazione delle scelte strategiche riguardo le

tecnologie innovative da sviluppare, fino alla loro implementazione, con il ricorso alla

collaborazione con università/centri di ricerca).

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Gli interventi pubblici possono articolarsi a sostegno delle piccole imprese per il superamento

delle loro carenze riguardo due fasi critiche del ciclo dell’innovazione (scelte strategiche e

collaborazione con il mondo della ricerca) attraverso, da un lato, la messa a disposizione

delle piccole imprese dei risultati di analisi strategiche sulla evoluzione delle tecnologie,

ottenute con l’utilizzo di strumenti di Strategic Policy Intelligence, in particolare il Technology

Foresight, e dall’altro, il rafforzamento della capacità delle imprese di assorbimento di

conoscenze tecnico-scientifiche avanzate.

Il Technology Foresight può costituire un valido strumento di supporto alla innovazione, in

quanto contribuisce a sviluppare nelle PMI una capacità di visione strategica riguardo le

possibili evoluzioni delle tecnologie rilevanti per i loro impatti sul business aziendale. Tale

visione può essere la base per una scelta razionale delle specifiche tecnologie che l’impresa

ha interesse a sviluppare attraverso progetti di R&I.

Preme peraltro sottolineare il fatto che, affinché le informazioni strategiche fornite alle

imprese si traducano in concreti progetti di R&I, risulta fondamentale la disponibilità di

opportuni strumenti di incentivazione che supportino il processo di implementazione delle

scelte strategiche di innovazione tecnologica. In assenza di tali strumenti di

accompagnamento, che incorporano il Technology Foresight nel ciclo dell’innovazione con

un approccio integrato, si corre il rischio di vanificare l’efficacia delle analisi di Technology

Foresight.

Le diverse metodologie di Foresight stimolano in diverso modo la generazione e la diffusione

di nuove conoscenze in termini sia di natura, sia di valenza: metodologie più semplici e

flessibili, che coinvolgono direttamente esperti tecnico-scientifici e imprenditori, appaiono più

adatte al fine del trasferimento di tecnologie da altri settori applicativi. Tali metodi possono

portare a risultati ed effetti benefici già nel breve e medio termine.

Ai fini della promozione e dello sviluppo dell’innovazione radicale, tuttavia, si rendono

necessarie altre metodologie, più complesse ed onerose in termini sia di tempo, sia di costo,

che richiedono una partecipazione più ampia e il ruolo attivo dei diversi stakeholders del

territorio: imprese, centri di ricerca e di trasferimento tecnologico, organi di governo locale,

associazioni imprenditoriali, banche. Peraltro, esse consentono un esame più organico ed

integrato delle dimensioni economica, sociale e culturale delle prospettive evolutive del

sistema produttivo nel medio-lungo termine.

Il metodo partecipativo con cui vengono realizzati gli studi di Foresight, con l’attiva

partecipazione di ricercatori e di tecnici aziendali, consente anche di sensibilizzare le

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strutture di ricerca riguardo le concrete esigenze di innovazione tecnologica delle imprese e

quindi di indirizzare le loro attività di ricerca verso tali possibilità applicative.

Per quanto riguarda la capacità di assorbimento, occorre contribuire a creare nelle piccole

imprese un substrato di risorse per la gestione dell’innovazione, che è indispensabile per

poter attivare rapporti di collaborazione con le strutture di ricerca. Si tratta di una priorità,

visto che poche piccole aziende sono in grado di elaborare formalmente un progetto per

realizzare le proprie innovazioni e pochissime dispongono e assumono laureati in discipline

tecnico-scientifiche, e non intendono assumerne. Senza questo substrato di capacità non vi

sarà né innovazione né domanda di servizi di ricerca.

E’ peraltro ovvio che gli interventi a supporto delle imprese in questi casi dovrebbero

prevedere preliminarmente un assessment del loro assetto organizzativo e delle loro

competenze tecniche e gestionali per identificare i gap da colmare.

La linea di intervento complementare e integrativa rispetto a questa è contribuire alla

creazione di capitale relazionale in queste imprese, attraverso azioni di networking che ne

facilitino il contatto diretto con le strutture di ricerca. È necessario studiare soluzioni semplici

e immediate, anche se non necessariamente di grande portata, allo scopo di ridurre i costi di

accesso e di interfaccia: ad esempio, realizzare stage e project work degli studenti nelle

aziende, incentivre con benefici fiscali l’assunzione di laureati e dottori di ricerca in discipline

tecnico-scientifiche, diffondere lo strumento del voucher tecnologico.

Occorre inoltre rendere evidenti alle piccole imprese le competenze tecnico-scientifiche e i

relativi possibili ambiti applicativi delle strutture di ricerca, in modo da consentire loro una

scelta affidabile della struttura e/o del ricercatore pubblico cui rivolgersi per la soluzione dei

propri problemi di innovazione. Le attuali soluzioni informative e informatiche attuate da

università ed enti pubblici di ricerca risultano ancora troppo generiche e soprattutto formulate

con una logica e un linguaggio interni al sistema della ricerca e poco finalizzati alla

promozione della domanda di servizi di ricerca da parte delle piccole imprese.

In conclusione è possibile affermare che, osservando il complesso di necessità espresse

dalle piccole imprese (siano esse innovatrici, aspiranti, inerti) vi è uno spazio significativo per

un’azione diretta degli stakeholders (organi di governo locali, università, enti di ricerca,

Camere di Commercio, Associazioni imprenditoriali), soprattutto se sapranno: 1) agire in

quegli ambiti ove il mercato dei servizi all’innovazione fallisce (servizi di alto contenuto

tecnico), 2) sviluppare un’offerta mirata alle diverse tipologie d’impresa.

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Questo documento riporta i principali risultati delle analisi e delle elaborazioni effettuate dal Gruppo di Riflessione COTEC così costituito: Francesco Jovane - Politecnico di Milano (Coordinatore) Romano Ambrogi - ERSE Luigi Barone - CETMA Pietro Capogreco - Alenia Aeronautica Massimo Casali - Centro Ricerche FIAT Alfonso Fuggetta - CEFRIEL Evelina Milella - IMAST Mauro Pontremoli - CSM Aldo Romano - DHITECH Claudio Roveda - Fondazione COTEC Stefano Turi - FILAS

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1. Introduzione

1.1 L’attuale modello dei processi di innovazione tecnologica

Le modalità con le quali si realizzano oggi i processi di innovazione tecnologica sono profondamente diverse dal tradizionale modello lineare, basato sulla progressiva trasformazione della conoscenza generata dall’attività di ricerca (fondamentale e applicata) svolta da università ed enti pubblici, in soluzioni tecnologiche applicative attraverso l’attività di sviluppo e ingegnerizzazione svolta da imprese.

In tale contesto emergeva come critico il tema del cosiddetto Trasferimento Tecnologico, ossia quello di assicurare l’utilizzo della conoscenza generata dalla ricerca, seguendo proprie dinamiche e finalità, da parte delle imprese, per la realizzazione di prodotti/processi/modelli di business/ecc. rispondenti a esigenze di competitività nel mercato, in relazione alla domanda dei clienti (consumatori, imprese, amministrazioni pubbliche, ecc.). L’attuale modello (non lineare) di generazione di innovazione tecnologica si caratterizza, per i seguenti aspetti: − avvicinamento, fino quasi alla fusione, delle attività di ricerca fondamentale, ricerca

applicata e sviluppo in numerose aree tecnologiche − crescente orientamento della ricerca fondamentale, accanto a quella “curiosity

driven”, verso problematiche applicative, sempre in una prospettiva di innovazioni radicali e di lungo termine

− configurazione sistemica delle soluzioni tecnologiche, che risultano dalla integrazione di componenti diversificate per contenuti disciplinari e per attori che li sviluppano

− partecipazione di una pluralità di attori (PMI, grandi imprese, università e centri pubblici di ricerca) praticamente in tutte le fasi del processo di generazione dell’innovazione tecnologica, sia pure con una diversificazione di ruoli e di rilevanza dei contributi.

In questo contesto il Trasferimento Tecnologico della conoscenza viene ad assumere un significato fondamentalmente diverso dal passato e l’uso di questo termine può facilmente generare fraintendimenti e incomprensioni riguardo la realtà degli attuali processi di innovazione e quindi dare origine ad interventi di promozione e sostegno del tutto inadeguate. Infatti, gli attuali processi di innovazione tecnologica vedono e richiedono sempre più la collaborazione fra le sorgenti di conoscenze tecnico-scientifiche avanzate e le imprese per lo sviluppo cooperativo di tecnologie innovative “science based” ovvero “knowledge based”,in tutte le fasi del ciclo dell’innovazione, anche attraverso la creazione di risorse umane qualificate in base a programmi formativi, che contribuiscono al “trasferimento” delle conoscenze tecnico-scientifiche avanzate.

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1.2 Le attuali politiche per Ricerca & Innovazione (R&I) Il tema della partnership fra ricerca pubblica e imprese a fini di innovazione tecnologica ha assunto una rilevanza e una articolazione del tutto nuove nel contesto delle politiche per Ricerca & Innovazione che si stanno definendo a livello sia di Unione Europea, sia, a cascata, dei principali Paesi UE. Preme qui ricordare alcuni elementi essenziali di tali politiche, quali: • Lo spostamento delle finalità di fondo dell’innovazione tecnologica dalle esigenze del

mercato (consumatori ed imprese) verso le grandi problematiche (sfide) della società: mobilità, inquinamento, sicurezza, salute, invecchiamento, ecc. La soluzione di queste problematiche, che caratterizzano (ed affliggono) pressocché tutti i Paesi industrialmente avanzati, con tecnologie innovative, oltre a portare significativi miglioramenti del benessere e della qualità della vita a livello sia individuale sia sociale, apre nuove rilevanti opportunità di mercato per le imprese di ogni dimensione e settore. Così il Sistema (nazionale) della Ricerca & Innovazione estende i suoi confini al di là dell’insieme delle strutture (pubbliche in primo luogo) di ricerca e delle imprese, e incorpora molteplici componenti del sistema sociale attraverso un processo interattivo esteso ed approfondito. Preme sottolineare come la più rilevante componente “sociale” che interviene, è costituita dagli organi di governo alle diverse scale territoriali, cui compete la responsabilità della formulazione delle politiche rivolte alla soluzione delle grandi questioni sociali e alla loro implementazione.

• La forte finalizzazione dell’attività di ricerca, non solo quella applicata, ma anche per molti versi quella fondamentale, verso le applicazioni, in considerazione del fatto che le nuove soluzioni tecnologiche per le grandi problematiche sociali, se vogliono conseguire i livelli di performance attesi, devono basarsi e incorporare conoscenze tecnico-scientifiche avanzate, quali appunto possono risultare dall’attività di ricerca. In questo modo la ricerca, soprattutto quella in ambito pubblico, diviene sempre più funzionale e strumentale agli obiettivi delle politiche pubbliche in campo sociale.

• Contestualmente lo spostamento dell’enfasi e della focalizzazione dalle politiche pubbliche dalla ricerca alla innovazione, in quanto da essa sono attese le soluzioni alle grandi problematiche sociali. Se l’attività di ricerca implica, per avere successo, elementi di creatività e quindi un approccio tendenzialmente esplorativo delle nuove conoscenze, nondimeno si richiede un suo orientamento a problematiche ben definite e a concrete anche se potenzialmente, possibilità applicative, integrandosi con un approccio di tipo normativo.

Questi processi comportano una sostanziale modificazione delle modalità con le quali si generano le innovazioni tecnologiche, del ruolo dei diversi soggetti coinvolti e delle loro interazioni e relazioni. E’ infatti necessaria una stretta collaborazione fra le principali tipologie di tali soggetti (organi di governo, enti di ricerca pubblica, imprese) in tutte le fasi del ciclo dell’innovazione (appunto dalla ricerca fine alla introduzione sul

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mercato) e a tutti i livelli (da quello strategico, di formulazione degli obiettivi, a quello operativo, di sviluppo dei risultati scientifici e di sperimentazione delle soluzioni innovative. Ne deriva l’esigenza di nuove articolazioni strutturali delle interazioni fra le tre componenti fondamentali del modello della Tripla Elica, anche con l’intervento di attori, che operino per la integrazione delle attività dei singoli componenti con un approccio pro-attivo e finalizzato e con la formazione di risorse umane specializzate, necessarie per l’efficace implementazione di politiche, strategie, programmi e progetti di innovazione. In questo contesto si è proposta a livello comunitario, la formula generale della PPP Private Public Partnership, che si sta delineando e sperimentando con diverse modalità.

1.3 La collaborazione “pubblico-privato” per R&I in Italia In Italia per la implementazione della collaborazione, e in molti casi partnership, “pubblico-privato” sono state concepite e sperimentate diverse modalità organizzative, che tendono a rendere strutturali e continuativi i rapporti fra ricerca pubblica e imprese, superando il semplice approccio delle associazioni temporanee finalizzate solamente alla realizzazione di una specifica iniziativa progettuale. Così molte università ed enti pubblici di ricerca in Italia hanno costituito Uffici per il Trasferimento Tecnologico (TTO), ai quali è stata affidata la missione generale e assai impegnativa di valorizzare sul piano economico le competenze e i risultati tecnico-scientifici disponibili al loro interno. Peraltro le performance di questi TTO nell’attivare collaborazioni per ricerca e innovazione con le imprese sono state finora piuttosto limitate. Infatti, la ristrettezza delle risorse finanziarie e di personale messe a disposizione dei TTO, la non sempre focalizzata professionalità di tale personale, la competizione e la conflittualità fra TTO e Dipartimenti/Unità di ricerca nella ripartizione dei vantaggi economici, hanno portato i TTO a limitare il loro campo di azione alla promozione e al sostegno della brevettazione dei risultati di ricerca e della creazione di spin-off con l’assunzione di un ruolo imprenditoriale da parte di ricercatori e docenti. Da parte poi dei governi locali, in sinergia con Camere di Commercio e Associazioni imprenditoriali, sono stati costituiti Centri per il Trasferimento Tecnologico, con la funzione di operare come intermediari fra le fonti di conoscenze tecnico-scientifiche (prioritariamente quelle localizzate sul territorio) e le esigenze di innovazione tecnologica delle PMI locali. Però l’ampiezza degli obiettivi perseguiti in termini di tematiche tecnologiche e settoriali, la limitatezza delle risorse professionali e finanziarie disponibili, la difficoltà di interagire dall’esterno con le strutture di ricerca, da un lato, e di presentarsi alle PMI come attori affidabili e competenti, dall’altro, hanno portato questi Centri a focalizzare e limitare la propria azione sulla diffusione di informazioni relative a novità tecnologiche e ai bandi pubblici a sostegno della R&S e sull’assistenza

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alle PMI per la redazione e la presentazione delle domande per l’ottenimento dei benefici finanziari. Recentemente, a valle dell’esperienza non certo del tutto positiva dei Parchi Scientifici Tecnologici, promossi e sostenuti finanziariamente dal MURST, è stato variamente sperimentato dal MIUR in collaborazione con le Regioni, il modello del Distretto Tecnologico. Se l’approccio concettuale alla base di queste strutture è condivisibile e potenzialmente in grado di guidare, organizzare e sostenere la continuità della collaborazione fra imprese (PMI e grandi imprese) e strutture pubbliche di ricerca di un territorio, la sua pratica implementazione non sempre ha seguito il modello ipotizzato e si è tradotta semplicemente in una serie di specifiche iniziative progettuali, senza perseguire un disegno strategico e dare vita ad un stabile sistema di relazioni fra i diversi attori. Esistono peraltro alcuni significativi casi di successo nella realizzazione dei Distretti Tecnologici, da cui si possono ricavare significative lezioni da utilizzare nell’attuale situazione in cui si stanno rifinanziando i Distretti Tecnologici esistenti nelle regioni della Convergenza e se ne stanno istituendo di nuovi, sia in queste regioni, sia in altre del territorio nazionale. Accanto a queste strutture sono stati costituiti in Italia organismi, in genere in compartecipazione fra soggetti pubblici e soggetti privati, che operano con proprio personale e propri laboratori tecnologici per la trasformazione di conoscenze tecnico-scientifiche avanzate in soluzioni innovative a problematiche applicative con rilevanza economica. Questi organismi, denominabili Centri di Ricerca & Innovazione, sono l’oggetto di questo Rapporto, per il ruolo che essi svolgono nel quadro degli emergenti modelli di innovazione tecnologica.

1.4 Le esperienze di collaborazione “pubblico-privato” per R&I in Europa Peraltro le esperienze di altri Paesi della UE mostrano l’esistenza di soluzioni efficaci ed efficienti al problema di fondo della integrazione fra i processi di generazione di conoscenze scientifiche da parte delle strutture di ricerca, in primo luogo quelle di tipo pubblico, e i processi di utilizzo nel sistema produttivo di tali conoscenze per lo sviluppo di tecnologie innovative. Particolarmente rilevante è l’esperienza degli Istituti della Fraunhofer in Germania: si tratta di strutture che svolgono attività di R&I su specifiche tematiche applicative in base a contratti da imprese, oltre ad attività di ricerca applicata finanziata da organismi pubblici, con la quale accrescono il proprio know-how tecnico-scientifico in vista del suo trasferimento in innovazioni tecnologiche. Gli Istituti della Fraunhofer costituiscono dunque un esempio significativo di riferimento anche per il nostro Paese. Più in generale il tema della collaborazione (partnership) pubblico-privato nel campo della innovazione tecnologica, rispetto alla quale i Centri di R&I costituiscono un esempio significativo di sua implementazione, ha assunto, come si è detto, un ruolo centrale nella politica per R&I della Unione Europea. Come evidenziato in precedenza,

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nel contesto delle nuove politiche per R&I si stanno definendo e sperimentando modalità di implementazione della PPP, in particolare nella logica di integrare in una opportuna struttura organizzativo-gestionale le attività di ricerca, innovazione tecnologica, alta formazione, in quanto generatrici dei fondamentali fattori di input del processo di innovazione produttiva nelle imprese. Tali modalità e modelli strutturali tendono a proporre nuove e più efficaci soluzioni al problema di fondo degli attuali processi di innovazione, ossia l’integrazione di avanzate conoscenze tecnico-scientifiche, di qualificate risorse umane e di capacità imprenditoriali, con lo stimolo ed il supporto dei governi a scala nazionale o regionale. In altri termini si tende a implementare nuovi modelli strutturali all’interno del sistema della Tripla Elica, per l’effettiva integrazione delle strategie e delle operazioni dei tre principali soggetti del sistema della R&I. I Centri di R&I, oggetto delle analisi e delle proposte elaborate del Gruppo di Riflessione della Fondazione Cotec, costituiscono un esempio significativo di modalità di implementazione. Pur nella diversità dell’assetto istituzionale e dei modelli operativi che li caratterizzano, come si vedrà in dettaglio nel seguito di questo Rapporto, i Centri di R&I possono costituire una risposta efficace alla esigenza di attuare il nuovo modello di innovazione tecnologica basato sulla ricerca e sulla conoscenza, delineato in precedenza. In questo senso i Centri di R&I possono costituire una struttura di riferimento con cui attuare in Italia la PPP, superando le incertezze, l’episodicità e la disorganicità che hanno caratterizzato l’intervento pubblico in questo campo, a scala sia nazionale sia regionale.

2. I Centri di Ricerca & Innovazione in Italia

2.1 Generalità Nel Sistema della Ricerca & Innovazione del nostro Paese operano alcuni soggetti che possono denominarsi Centri di Ricerca & Innovazione (R&I) e trovano riscontro nelle RTO (Research and Technology Organization)2 variamente diffuse a scala europea. Guardando alle caratteristiche strutturali ed alle modalità operative di un campione di questi Centri, selezionati nel contesto italiano perché rappresentativi di casi di successo (anche se non escludono l’esistenza di altre situazioni interessanti e significative) e descritti sinteticamente in allegato, è possibile caratterizzare questa tipologia di struttura come riportato qui di seguito.

2 Una dettagliata analisi di queste RTO è fornita dal Rapporto “Impacts of European

RTOs”, Technolopolis Group, 2010

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2.2 Missione e funzioni I Centri operano fondamentalmente nel campo della R&S su contratto da parte di soggetti esterni (in primo luogo, imprese) e in quello dei servizi a supporto dell’innovazione tecnologica nelle imprese, inclusi quelli nel campo dell’alta formazione su tematiche scientifiche e tecnologiche. Più specificatamente le principali funzioni svolte dai Centri, che li caratterizzano e li contraddistinguono all’interno del Sistema della R&I, ricadono nelle seguenti tipologie: − effettuazione dell’engineering dei risultati di R&S, prodotti autonomamente o acquisiti

da altri organismi di ricerca, per la realizzazione di soluzioni tecnologiche valide sul mercato, superando gli ostacoli e i vincoli che danno origine alla “death valley” dell’innovazione

− fornitura di servizi a supporto dell’innovazione tecnologica, in particolare nei campi della consulenza tecnica per la soluzione di problemi aziendali, dell’analisi della struttura tecnologica aziendale, della elaborazione di iniziative progettuali di R&S, della qualificazione tecnico-scientifica di tecnici aziendali attraverso percorsi integrati di ricerca e di formazione.

Accanto a queste attività fondamentali e a loro supporto, i Centri usualmente svolgono attività di ricerca applicata, supportata da finanziamenti pubblici, per lo sviluppo di conoscenze avanzate, i cui risultati verranno successivamente utilizzati per la realizzazione di soluzioni innovative a problemi applicativi.

2.3 Assetto costitutivo Come si è detto i Centri sono analoghi agli organismi di diritto privato che a livello internazionale vengono denominati RTO (Research and Technology Organization). La loro istituzione è avvenuta con processi diversificati, che sono però riconducibili al modello generale di integrazione e di coordinamento fra attori diversi del Sistema della Ricerca & Innovazione (modello della Tripla Elica). Infatti, spesso l’assetto costitutivo si configura come una partnership “pubblico-privato”, con la componente pubblica, rappresentata da una università o un ente di ricerca, che in molti casi ne ha promosso la nascita, e con la componente privata, rappresentata da singole imprese o Associazioni imprenditoriali. In altri casi i Centri promanano da una grande impresa, configurandosi come la filiazione o l’esternalizzazione della preesistente struttura interna di R&S, operando però ormai in maniera indipendente in una logica essenzialmente di mercato.

2.4 Approccio al mercato Pur essendo nella massima parte dei casi organismi no-profit, i Centri operano sostanzialmente in una logica di mercato, in quanto devono derivare da contratti per R&S o per servizi tecnologici con soggetti terzi le possibilità di copertura dei propri costi (per gli investimenti e per le operations).

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Nondimeno, non tutti i ricavi provengono dal mercato dei contratti di R&S e di consulenza tecnica con imprese, esistendo anche una quota di contributi pubblici. Essi sono necessari ai Centri sia per far progredire il proprio know-how, per accrescere le competenze del proprio personale e per sostenere gli investimenti in infrastrutture tecnologiche, sia per compensare le carenze quantitative della domanda di contratti provenienti dal mercato, dato il posizionamento dei Centri su tematiche spesso di frontiera, per le quali non sempre esiste una domanda sufficiente a scala nazionale, o data la loro localizzazione in aree del Paese (le regioni meridionali), i cui sistemi produttivi sono poco orientati in genere all’innovazione tecnologica come leva strategica di competitività.

2.5 Struttura organizzativa I Centri dispongono usualmente di una propria dotazione di personale (ricercatori e tecnici) e di attrezzature tecnologiche di laboratorio, utilizzi per la effettuazione delle attività di ricerca applicata e di innovazione tecnologica. Inoltre le competenze del personale vengono in molti casi integrate con quelle dei ricercatori della struttura di riferimento da cui promanano, concretizzando il processo di trasferimento o meglio di trasformazione delle conoscenze avanzate e specializzate ivi disponibili in soluzioni tecnologiche applicabili da imprese con successo nel mercato. Una caratteristica dominante dei Centri è la forte imprenditorialità e managerialità che contraddistingue la loro struttura direzionale. Solo con questo approccio infatti i Centri possono operare come soggetti di mercato e trarre appunto dal mercato della R&I le risorse finanziarie necessarie per la loro sopravvivenza e il loro sviluppo. Varianti di questo modello si riscontrano, oltre che per la tipologia della struttura di riferimento (una grande impresa anziché un’università o un ente di ricerca), riguardo la dotazione di proprio personale e attrezzature tecnologiche di laboratorio, la quale in alcuni casi risulta limitata in quanto per l’operatività si attinge in larghissima misura allo stock di ricercatori e tecnici dei soci (imprese, università ed enti pubblici di ricerca). In questi casi il Centro si configura più propriamente come un “knowledge Integrator”, che svolge progetti di R&I prevalentemente in risposta ad esigenze di innovazione tecnologica provenienti in primo luogo dai propri soci, attivando a questo fine collaborazioni fra soci-imprese e soci-strutture pubbliche di ricerca in una logica progettuale e programmatica.

2.6 Specializzazione tematica Preme qui sottolineare come i Centri siano focalizzati su ben definite e limitate aree tecnologiche: ciò consente loro una elevata capacità di intervento sulle problematiche di innovazione tecnologica, grazie appunto alle competenze specialistiche del proprio personale tecnico e alla capacità di attivare una più ampia gamma di risorse e di conoscenze scientifiche dalle strutture di riferimento.

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Con questa specializzazione strategica e capacità operativa si vengono, fra l’altro, a superare le carenze tipiche dei TTO universitari e delle altre tipologie di intermediari tecnologici che, essendo generalisti e con limitate risorse professionali, non sono in grado di affrontare adeguatamente (con efficacia e rapidità di risposta) tutte le variegate esigenze di innovazione provenienti dal mondo delle imprese.

2.7 Posizionamento nel Sistema della R&I Se si considera la descrizione sul piano strutturale del Sistema (nazionale) della Ricerca & Innovazione fornita dal modello della Tripla Elica (università e centri pubblici di ricerca, imprese, organi di governo) si evidenzia che i suddetti Centri costituiscono un quarto attore, che, come ruolo e missione, opera con approccio pro-attivo per rendere possibile ed efficace la interazione fra ricerca pubblica e imprese, ricorrendo anche in una certa misura al sostegno (soprattutto finanziario) degli organi di governo; in questo senso essi vengono ad implementare una efficace modalità di PPP. Però tale caratterizzazione di ruolo strategico e di operatività, a cavallo fra le strutture pubbliche di ricerca e le imprese, ha finora comportato in Italia una limitata attenzione a questa tipologia di organizzazione nell’ambito delle politiche pubbliche per la ricerca e l’innovazione tecnologica a scala sia nazionale sia regionale. Infatti, nonostante tali politiche riconoscano l’importanza della collaborazione fra ricerca pubblica e imprese e tendano a promuoverne la implementazione e la diffusione, esse non adottano un’adeguata visione sistemica e non intervengono per consolidare e sostenere l’ulteriore sviluppo dei Centri di R&I. Guardando alla situazione delle politiche a favore degli RTO nei Paesi della UE, si possono individuare le seguenti tipologie: − Paesi che riconoscono il ruolo centrale degli RTO e ne sostengono la funzione di

sviluppo di tecnologie innovative per le imprese, quali Germania, Olanda, Finlandia

− Paesi che stanno avviando o ristrutturando politiche a sostegno degli RTO, quali UK, Francia, Svezia, Norvegia, Spagna.

È opportuno rilevare come esista una correlazione fra l’entità di risorse afferenti agli RTO di un Paese e le perfomance del Paese stesso, in termini sia di Indice globale di innovazione sia di spesa per R&S da parte delle imprese, come emerge dai dati riportati nelle tabelle allegate. Quanto all’entità della spesa di R&S delle imprese occorre ricordare come i dati includano anche la spesa degli RTO, che, pur essendo organizzazioni no-profit, viene ascritta al settore delle imprese in quanto le corrispondenti attività sono svolte a favore delle imprese, come integrazione della attività di R&S intra-muros; inoltre si può ipotizzare che la presenza di organizzazioni in grado di complementare l’attività di R&S delle imprese induca un trascinamento sui loro investimenti in R&S.

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2.8 Considerazioni conclusive Si può ritenere che i Centri di R&I, con l’assetto istituzionale ed operativo prima descritto, possano costituire una modalità di implementazione della PPP, finalizzata a realizzare un effettivo ed efficace “trasferimento” dei risultati della ricerca pubblica in innovazioni tecnologiche nel sistema produttivo nazionale. Peraltro l’impatto che l’azione di questi Centri riesce a determinare sull’innalzamento della competitività tecnologica delle nostre imprese, risulta ancora quantitativamente limitato, sia per il ridotto numero dei Centri che, con le caratteristiche strutturali e le performance descritte in precedenza, sono attivi nel Paese, sia per le criticità che, anche a causa delle carenze delle politiche per R&I del nostro Paese, essi incontrano nello svolgimento del proprio ruolo e delle proprie attività, come evidenziato qui di seguito.

3 Le criticità incontrate dai Centri di R&I

I Centri di R&I operano in un contesto di mercato, dalla cui domanda di servizi a supporto della ricerca e dell’innovazione dipende una parte rilevante dei loro ricavi. Peraltro la loro esigenza strategica di mantenere aggiornato allo stato dell’arte il loro patrimonio di conoscenze e di competenze, aldilà degli apporti che possono venire dalle strutture “socie” (università, centri pubblici di ricerca, imprese), al fine di sviluppare soluzioni innovative alle problematiche poste dalla domanda di mercato, richiede anche l’accesso a contributi finanziari pubblici.

Le principali criticità che i Centri di R&I incontrano nell’attuazione di questa strategia di business (anche se si tratta di organizzazioni no-profit) riguardano gli aspetti delineati qui di seguito, anche per le carenze delle politiche nazionali e regionali del nostro Paese nel campo della R&I.

3.1 Limitatezza della domanda di mercato per R&I La domanda di servizi di R&I da parte del sistema delle imprese italiane è ancora quantitativamente limitata per una molteplicità di fattori di tipo strutturale: − larga presenza di settori nei quali l’innovazione è più di tipo “soft”, ossia legata a

design, creatività, ecc. che non “hard”, ossia legata alla tecnologia; − predominanza di piccole e micro imprese, che sono in misura assai ridotta

orientate strategicamente alla innovazione tecnologica non di tipo incrementale, ma radicale, come leva di competitività.

Nel sistema produttivo nazionale la grande impresa è presente in misura significativamente inferiore rispetto ai principali Paesi europei e in molti casi mostra una limitata propensione ad investire in attività di R&S. Inoltre le PMI, che costituiscono il nucleo quantitativamente più rilevante del nostro sistema produttivo, non sono in genere in grado di sostenere autonomamente un

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percorso di forte (radicale) innovazione, che è sempre più necessaria per competere con successo nel mercato mondiale. La capacità di innovazione è infatti un fattore che richiede risorse difficilmente disponibili nelle piccole imprese, sicuramente più interessate alla risoluzione di problematiche specifiche e contingenti, ma difficilmente orientate alla messa a punto di strategie di medio-lungo periodo, indispensabili per uno sviluppo organico delle attività di R&S. Infatti, i comportamenti prevalenti delle PMI sono finalizzati a: − un’innovazione che rifluisce nella routine produttiva, nella rivisitazione costante del

prodotto e del processo attraverso cui si estrinseca la tradizionale attenzione al manufatto di una classe imprenditoriale per lo più di origine artigiana;

− un’innovazione che si sostanzia prevalentemente nell’acquisto di beni strumentali. La relativa acquisizione però, per divenire un’effettiva leva competitiva, deve accompagnarsi allo sviluppo di un adeguato “know-how” che, a sua volta, deve indurre adeguamenti nelle procedure, nelle tecniche e nell’organizzazione.

Tutti questi elementi fanno sì che le attività di ricerca formalizzata vedano attive soltanto un esiguo numero di aziende: ad esempio, le imprese con meno di 50 addetti svolgono solo il 3.2% del totale della ricerca industriale3. Molte PMI si trovano oggi a dover proteggere la propria posizione di mercato a causa del calo di competitività anche nelle produzioni in cui esistono riconosciute posizioni di leadership, sia a causa dei bassi costi di produzione nei Paesi di nuova industrializzazione sia per un mancato processo di aggiornamento e rinnovamento continuo, indispensabile per poter offrire prodotti tecnologicamente avanzati. In tale contesto non favorevole un elemento di forza per il nostro sistema produttivo deriva invece dalla significativa presenza di aziende di dimensioni medie o medio-grandi, attive sui mercati mondiali in alcuni settori, potenzialmente in grado di perseguire un percorso di innovazione, ma non sempre in grado di esprimere autonomamente una strutturata domanda di servizi per la ricerca e l’innovazione.

3.2 Carenze dell’offerta pubblica di R&I Peraltro a fronte della limitatezza della domanda delle imprese per servizi di R&I, esistono carenze rilevanti anche nella struttura dell’offerta di R&I, in particolare di quella pubblica; essa è infatti frammentata, in molti casi orientata in senso strettamente accademico, quindi senza la necessaria focalizzazione e finalizzazione e in molti casi

3 Va peraltro ricordato che tale rappresentazione statistica non rispecchia

adeguatamente la realtà delle attività innovative delle PMI, molte delle quali, per motivi fiscali, non riportano nel bilancio aziendale le spese per R&I come tali, ma le includono fra i costi operativi.

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si limita alla fornitura di informazioni e alla funzione di brokening, senza entrare però nel merito della progettualità necessaria alle imprese. Inoltre, la componente pubblica di tale offerta è di gran lunga prevalente, caratterizzata dalla presenza di una miriade di soggetti (gruppi universitari, Centri e Istituti del CNR, Distretti Tecnologici, Laboratori pubblico-privati, Poli di Innovazione, ecc.), quindi fortemente dispersa e di conseguenza poco efficace. La componente privata è d’altra parte assai debole ed ha subito un forte declino nell’ultimo decennio, con il ridimensionamento o la scomparsa di molti centri aziendali di R&S che avevano rappresentato una presenza significativa fino agli anni ’90.

3.3 Interazione debole fra imprese e strutture pubbliche di R&I Come conseguenza di queste caratteristiche della domanda e dell’offerta di servizi di R&I, si riscontra un’assai limitata e discontinua interazione fra imprese, soprattutto PMI, e strutture (pubbliche) di ricerca. L’attivazione di rapporti di collaborazione si rivela episodica, dettata da “strategie” deboli, da finestre temporanee di opportunità (l’emissione di bandi pubblici di incentivazione della R&I) e non da una piena consapevolezza dei vantaggi e dei benefici che derivano dall’accesso a conoscenze tecnico-scientifiche avanzate e dalla loro trasformazione in tecnologie innovative di prodotto e di processo. Al di là di questa carenza nelle imprese di approccio strategico all’instaurare rapporti di collaborazione con le strutture pubbliche di ricerca, esistono asimmetrie informative e differenze di modelli cognitivi e di approcci al “problem solving”, nonché la percezione che i costi di transazione necessari per consolidare il networking collaborativo siano superiori ai vantaggi che ne possono derivare. Peraltro, anche sul lato delle strutture pubbliche di ricerca esistono criticità che rendono difficile la collaborazione con le imprese, quali: − l’assenza in genere di una mentalità imprenditoriale nei ricercatori pubblici, che crea

una distanza culturale con gli uomini d’azienda − le rigidità organizzative e gestionali che impediscono rapporti rapidi e personalizzati − la dimensione di costi degli interventi di ricerca e consulenza tecnica, eccessiva in

molti casi per una piccola impresa − un “ambiente” non favorevole al mantenimento della riservatezza delle attività svolte

con le imprese e alla gestione con strumenti adeguati della proprietà intellettuale.

3.4 Localizzazione sfavorevole Tutti questi elementi, variamente interrelati, contribuiscono a determinare un contesto poco favorevole alla fornitura di servizi di R&I da parte dei Centri. A ciò si aggiunge negativamente la localizzazione di molti di loro in territori con un sistema produttivo debole e spesso tecnologicamente arretrato: tale localizzazione è dovuta al fatto che la creazione di questi Centri è stata promossa e sostenuta finanziariamente dall’operatore pubblico (nazionale e/o regionale) con la finalità di

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inserire nel debole contesto produttivo locale alcuni elementi strutturali che potessero attivare processi continuativi e diffusi di sviluppo del sistema imprenditoriale locale, basato sulla innovazione tecnologica. Però, una volta esauritosi il contributo finanziario pubblico, sono emerse le difficoltà di contesto sopra delineate, ponendo così problemi assai rilevanti alla stessa sopravvivenza dei Centri. Quelli che sono riusciti a superare con successo le criticità del contesto, hanno adottato una strategia di ampliamento della propria area di azione al di fuori dei confini del territorio locale, verso la scala nazionale e anche internazionale.

3.5 Scarsa internazionalizzazione L’“internazionalizzazione” dei Centri può realizzarsi con diverse modalità, quali: − l’attrazione dall’estero di centri di R&S o di attività produttive ad alto contenuto di

conoscenze innovative di imprese, che li localizzano in prossimità del locale Centro.

− l’attivazione di rapporti stabili di collaborazione con qualificate strutture di ricerca e con esperti “eccellenti” di Paesi esteri

− l’attrazione di risorse professionali qualificate da Paesi esteri, che vengono inserite nell’organico dei Centri.

Ma la dimensione più importante del processo di internazionalizzazione dei Centri è la fornitura di servizi di R&I a clienti di Paesi esteri. Questa proiezione internazionale è già stata attuata con successo da molti RTO di Paesi europei, quali TNO in Olanda e alcuni istituti della Fraunhofer in Germania, i quali derivano una significativa quota del loro fatturato da clienti esteri e in moti casi stanno aprendo proprie filiali operative in altri Paesi al fine di aumentare la propria capacità di offerta. Peraltro questo modello di internazionalizzazione richiede, oltre ovviamente alla elevata qualificazione e specializzazione del Centro, una sua non piccola dimensione in termini di fatturato e di personale e quindi di risorse finanziarie e organizzative disponibili. Tale combinazione si riscontra però solo in poche situazioni in Italia, per cui appare necessario concepire e attuare forme di coordinamento e di aggregazione fra Centri di R&I al fine di renderl in grado di proiettarsi sui mercati esteri con maggiore incisività e capacità di marketing.

3.6 Inadeguatezza degli strumenti di finanziamento pubblico a R&I Se i Centri di R&I sono operatori di mercato, nondimeno per le molteplici ragioni citate in precedenza è ancora necessario, per lo meno nell’attuale situazione del loro processo di crescita, un intervento (finanziario) pubblico sia per sostenere lo sviluppo delle loro competenze e conoscenze in linea con lo stato dell’arte internazionale, sia per consentire una efficace e diffusa azione a supporto dei processi di innovazione delle PMI, in particolare delle piccole e micro imprese.

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Modalità di erogazione degli incentivi Si riscontra una fortissima criticità legata alle modalità con le quali gli organi di governo a scala nazionale e regionale intervengono a sostegno delle attività di R&I. Il continuo mutare delle regole, dei tempi e dei flussi di finanziamento pubblico, la loro episodicità e incertezza non consentono una programmazione delle attività dei Centri in relazione alla collaborazione con le imprese in una prospettiva di medio termine. Mentre alcuni soggetti (le grandi imprese) possono effettuare le proprie attività di R&I per molti versi indipendentemente dai tempi di erogazione degli incentivi pubblici, altri soggetti, quali i Centri di R&I e le PMI, devono necessariamente articolare le proprie attività in funzione degli interventi pubblici con gravi conseguenze negative sul raggiungimento degli obiettivi di innovazione perseguiti o perseguibili. Finalizzazione degli strumenti di incentivazione Al di là di questi aspetti “procedurali” va segnalato che molti degli strumenti pubblici di sostegno finanziario alla R&S delle imprese non sono adeguati alle caratteristiche delle PMI. Infatti, qualora un Centro di R&I intenda realizzare un progetto con una PMI, per cui ottenere un finanziamento pubblico, deve effettuare attività che la PMI non è in grado di svolgere da sola sia a monte, sia in parallelo e perfino a valle della esecuzione del progetto. A monte occorre fornire supporto all’attività di “problem setting” e alla elaborazione della domanda per l’accesso al finanziamento pubblico. L’attività di “problem setting”, che richiede l’analisi della situazione aziendale, lo scouting tecnologico e l’elaborazione di un business plan, non dispone di una copertura finanziaria e quindi rischia di essere svolta in modo poco approfondito con impatti negativi sul successivo progetto di R&S. Questa attività deve essere svolta gratuitamente dal Centro di R&I, eventualmente in collaborazione con consulenti dell’impresa, la quale è poco disponibile ad investire in questa fase perché non riesce a valutare chiaramente i benefici che essa potrà ottenere. Preme qui sottolineare come nella loro grande maggioranza le PMI non sono in grado di concepire sviluppi delle proprie tecnologie, basati sull’utilizzo di avanzate conoscenze tecnico-scientifiche, ed è compito del Centro presentare all’azienda tali possibilità di innovazione e convincerla ad attuare un progetto di R&S, perché sostenuto da finanziamento pubblico. Inoltre il Centro di R&I deve intervenire senza copertura economica per la redazione della domanda di accesso al finanziamento pubblico; deve poi supplire l’azienda, nel caso di approvazione del progetto, nello svolgimento del project management, inclusa la ricerca e il coordinamento degli apporti di soggetti terzi. Va infine sottolineata l’assenza di strumenti finanziari pubblici, che intervengono a sostegno delle attività a valle della conclusione del progetto di R&S, in particolare per la realizzazione di un prototipo industriale e non solo dimostrativo.

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Condizioni di accesso agli incentivi Per quanto riguarda poi gli aspetti normativi che regolano l’accesso dei Centri di R&I ai finanziamenti pubblici, occorre rimarcare i seguenti aspetti che ne penalizzano la capacità di sostegno ai processi di innovazione tecnologica delle imprese. Infatti, da un lato, l’Unione Europea ha assunto posizioni e politiche a favore degli RTO sia nei diversi programmi europei di finanziamento delle attività di R&S&I, sia nella normativa comunitaria sulla disciplina degli Aiuti di Stato alla R&I (C 323/06 del 30 dic. 2006) che ha introdotto il concetto di “organismo di ricerca” definendolo come: “soggetto senza scopo di lucro, quale un'università o un istituto di ricerca, indipendentemente dal suo status giuridico (costituito secondo il diritto privato o pubblico) o fonte di finanziamento, la cui finalità principale consiste nello svolgere attività di ricerca di base, di ricerca industriale o di sviluppo sperimentale e nel diffonderne i risultati, mediante l'insegnamento, la pubblicazione o il trasferimento di tecnologie; tutti gli utili sono interamente reinvestiti nelle attività di ricerca, nella diffusione dei loro risultati o nell'insegnamento; le imprese in grado di esercitare un'influenza su simile ente, ad esempio in qualità di azionisti o membri, non godono di alcun accesso preferenziale alle capacità di ricerca dell'ente medesimo né ai risultati prodotti”. I Centri di R&I hanno i requisiti per essere considerati Organismi di Ricerca (OR). L’UE riconosce che le attività di un OR possano essere economiche e non-economiche. Le attività economiche sono quelle di fornitura di servizi (compresa la ricerca a contratto), svolte per terzi a fronte di un corrispettivo a prezzi di mercato. Le attività non-economiche sono quelle di ricerca indipendente e di formazione. L’UE stabilisce che il finanziamento delle attività non-economiche di organismi di ricerca non costituisce Aiuto di Stato. Con queste disposizioni sugli Aiuti di Stato alla R&I, l’UE ha praticamente riconosciuto il ruolo importante degli RTO, consentendo agli Stati membri la possibilità di concedere loro aiuti praticamente senza limiti. In effetti, in alcuni Paesi europei, come Germania e Olanda, gli RTO, ancorché soggetti di diritto privato, sono finanziati in percentuale del proprio budget da parte dello Stato e/o di istituzioni di governo locale. Tale politica sta consentendo a queste organizzazioni non solo di rafforzarsi nei loro Paesi, riuscendo a rispondere alle esigenze di innovazione delle imprese nazionali, ma le sta anche favorendo nei processi di internazionalizzazione con una parte crescente del loro fatturato proveniente da servizi che essi vendono all’estero e con l’apertura di propri centri di ricerca in altri Paesi Europei, in America e in Asia. La nuova disciplina europea sugli aiuti alla R&I deve essere obbligatoriamente applicata anche in Italia. Ma un’analisi per quanto sommaria evidenzia che l’applicazione appare sganciata da una valutazione strategica del ruolo che i Centri di R&I possono svolgere.

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Se non fosse stata per tale disciplina, la norma (introdotta con la Finanziaria 2007) relativa all’applicazione del credito di imposta pari al 40% dell’importo per consulenza di ricerca che le imprese commissionano all’esterno, sarebbe stata applicata solo se i consulenti fossero stati università o enti pubblici di ricerca, perché nella norma nazionale non si faceva alcun riferimento agli Organismi di Ricerca. Per inciso, questa norma del credito di imposta, che sarebbe stata sicuramente molto importante per stimolare investimenti in R&S da parte delle imprese e allo stesso tempo un importante sostegno alla domanda di R&I verso i Centri, è stata vanificata dalle restrizioni sugli stanziamenti e dalle recenti procedure per ottenere il credito. La nuova disciplina europea è stata recepita nelle norme di finanziamento che regolano il FAR (con l’adeguamento D.M.593/2000) e il FIT. La formulazione adottata nell’adeguamento del FAR lascia spazio ad ambiguità per quanto riguarda il contributo spettante agli Organismi di Ricerca: si dice che tale contributo non rappresenta un Aiuto di Stato, ma non viene stabilito quanto debba essere. Nel bando recentemente emesso per i progetti PON, da finanziarsi con le regole del FAR, è stato necessario stabilirlo nel bando stesso. Non è chiaro quanto potrà mai essere un tale contributo laddove si dovesse riaprire lo sportello del FAR, considerato che un Organismo di Ricerca potrà presentare progetti, anche se solo congiuntamente con imprese. Nel recente passato, vi sono state anche interpretazioni penalizzanti per gli Organismi di Ricerca: nei primi bandi di “Industria 2015”; essi sono stati assimilati a grandi imprese con rilevante decurtazione del contributo anche rispetto a strumenti esistenti e solo nei bandi successivi sono stati apportati correttivi concedendo agli Organismi di Ricerca gli stessi bonus premiali riservati alle piccole imprese. Che non vi sia una chiara visione strategica del ruolo, delle caratteristiche e delle funzioni degli Organismi di Ricerca si vede anche dal fatto che il MIUR ha escluso la possibilità che gli OR privati possono partecipare direttamente ai Bandi FIRB. Se si considera che un OR non può presentare domande di finanziamento a progetti di ricerca, basato sul FAR (se non in compartecipazione con qualche impresa), in ultima analisi si verifica che il MIUR, pur riconoscendo l’esistenza degli OR, non concede loro la possibilità di presentare domande di finanziamento per propri progetti di ricerca indipendenti (attività non economica) per quanto questi potrebbero essere finanziati, secondo la normativa comunitaria, fino al 100% dei costi ammissibili. Si tratta di un problema che in molti casi può essere superato grazie alla ricerca cooperativa tra più soggetti che da diversi anni si va praticando in Italia; resta comunque il fatto che tale situazione evidenzia una mancanza di considerazione sul ruolo dei Centri di R&I. Per le Regioni la situazione è variegata ed è in evoluzione. Si va da Regioni, come la Lombardia, dove sono state varate apposite misure per gli OR regionali, a Regioni, come la Puglia, che stanno rivedendo le normative che escludevano gli OR privati dalle misure di finanziamento.

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Infine in Italia un RTO, anche se è senza scopo di lucro e reinveste tutti gli utili in attività di ricerca, è soggetto al pagamento delle imposte. Questo rappresenta un doppio svantaggio rispetto agli RTO di altri Paesi, che sono esentati dal pagare le tasse: il primo è evidente e riguarda gli oneri fiscali stessi; il secondo è legato al fatto che contributi pubblici ricevuti come finanziamento per progetti di ricerca, risultano inevitabilmente decurtati di una quota pari all’aliquota fiscale perché tali contributi vanno iscritti tra i Ricavi del Conto Economico e quindi soggetti a tassazione (cioè si ha un Equivalente di Sovvenzione Netto minore).

4. Le proposte di intervento

4.1 L’esigenza di un intervento (pubblico) A valle delle analisi svolte in precedenza riguardo, da un lato, le esigenze di collaborazione fra imprese e strutture pubbliche di ricerca per lo sviluppo di innovazioni tecnologiche “science/knowledge based”, e, dall’altro, le criticità incontrate nella loro azione dai Centri di R&I, si possono formulare le seguenti considerazioni: - i Centri di R&I costituiscono, se adeguatamente strutturati e sostenuti, uno strumento

assai efficace per effettuare l’engineering dei risultati tecnico-scientifici prodotti dalla ricerca pubblica e la loro trasformazione da parte delle imprese, soprattutto le PMI, in nuove tecnologie valide sul mercato, costituendo una efficace modalità di attuazione della PPP come strategia portante delle politiche per R&I

- il superamento delle criticità richiede il contributo di una molteplicità di soggetti, in primo luogo degli organi pubblici di governo alla scala sia nazionale sia regionale.

Infatti, sia l’esperienza dei Centri di R&I esaminati per l’Italia sia i modelli di RTO attivi in alcuni Paesi della EU, quali in particolare gli Istituti della Fraunhofer in Germania, dimostrano chiaramente che l’effettivo “trasferimento” ovvero la “trasformazione” delle conoscenze tecnico-scientifiche in tecnologie industriali richiede l’integrazione delle attività fra i diversi soggetti che presidiano i principali fattori del processo di innovazione industriale (conoscenze, risorse umane, mercato) e quindi comportano l’intervento non di semplici intermediari, ma di strutture dotate di un significativo stock di personale tecnico e di attrezzature, attraverso i quali effettuare, in collaborazione con le fonti delle conoscenze e con gli attori industriali, tale processo di trasformazione. Peraltro le modalità con cui sono stati costituiti i Centri di R&I in Italia, ossia spontaneamente ed episodicamente senza un disegno complessivo, coordinato, guidato e sostenuto dall’operatore pubblico (per cui essi sono ben lontani dal costituire qualcosa di simile alla rete degli Istituti della Fraunhofer) comportano rilevanti difficoltà all’efficacia e alla funzionalità dei Centri stessi, aggravando le criticità negative provenienti dal contesto in cui si trovano ad operare (riguardo la domanda di servizi per

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R&I da parte delle imprese, l’offerta di servizi di R&I da parte delle strutture pubbliche di ricerca, l’interazione fra questi soggetti). Pertanto si è individuato un insieme di linee di intervento con cui l’operatore pubblico alle diverse scale territoriali può contribuire a rafforzare, quantitativamente e qualitativamente, l’azione che i Centri di R&I possono svolgere per lo sviluppo della competitività tecnologica del sistema produttivo nazionale, eliminando o attenuando le criticità negative e arricchendo le risorse disponibili ai Centri stessi. Tali linee riguardano specificatamente i Centri, da un lato, e il più generale contesto in cui si realizzano i processi di R&I, dall’altro. Gli interventi ipotizzati specificatamente per i Centri di R&I riguardano sia l’assetto strutturale del loro aggregato al fine di consolidarne il ruolo all’interno del Sistema della R&I come attori che nel modello della Tripla Elica operano per l’integrazione delle attività degli altri tre attori a fini di sviluppo di innovazioni tecnologiche; sia le loro funzionalità operative per il miglioramento dell’efficacia dell’azione di engineering di risultati della ricerca, da un lato, e per l’internazionalizzazione del loro approccio al mercato, dall’altro. Si descrivono qui di seguito tali linee di intervento.

4.2 Gli interventi specifici per i Centri di R&I Organizzazione del sistema dei Centri di R&I i) Riconoscimento formale da parte del MIUR del ruolo dei Centri di R&I come ii) Organismi di Ricerca (OR) con la loro equiparazione agli altri enti pubblici di

ricerca (incluse le Università), per l’accesso ai medesimi benefici previsti dai bandi pubblici di sostegno alla R&I. La esplicitazione dei requisiti per l’attribuzione del ruolo di OR, che rispondano fattualmente alla disciplina comunitaria, e la conseguente istituzione di un Registro degli OR, gestito dal MIUR, potranno consentire di: − evidenziare le opportunità offerte dai Centri di R&I ai potenziali utilizzatori

(soprattutto PMI) − eliminare discrezionalità e incertezza nella valutazione della sussistenza dei

requisiti di OR, fissando al tempo stesso regole precise per l’entità dei contributi finanziari pubblici loro concedibili.

iii) Promozione dell’integrazione e del coordinamento in rete dei Centri di R&I, anche utilizzando a scopi informativi il Registro degli OR, in modo da sfruttare sinergie e complementarietà fra specializzazioni tecnico-scientifiche e applicative e da presentare una visione complessiva dell’offerta di servizi di R&I alle diversificate esigenze di innovazione provenienti dalle imprese, soprattutto dalle PMI. Il processo di integrazione dovrebbe essere realizzato in modo graduale, a partire da una fase iniziale basata sulla elaborazione di analisi strategiche e sulla formulazione di prospettive di sviluppo cooperativo di nuove conoscenze

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per specifici ambiti applicativi, fino ad una fase finale di costituzione di un organismo di coordinamento a livello organizzativo superiore ai Centri. Si tratta di tendere alla realizzazione del modello della rete degli Istituti Fraunhofer, in cui esiste una struttura centrale, cui spettano le funzioni di coordinamento, di relazione con organismi esterni e di indirizzo della evoluzione della rete, soprattutto per quanto riguarda l’espansione all’estero delle attività, lasciando ai singoli Istituti ampi spazi di autonomia gestionale, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con il mercato.

Incentivi alla funzionalità dei Centri di R&I iv) Predisposizione di appositi strumenti finanziari che consentano, nel caso delle

PMI, di sostenere sia le attività preliminari di definizione di un progetto di R&S, in vista della redazione di una domanda di accesso a finanziamenti pubblici, sia quelle a valle della sua conclusione (realizzazione di un dimostratore). Bisogna a questo proposito ricordare che le piccole imprese tendono a concepire e attuare il ciclo della innovazione tecnologica in maniera continuativa e organica, soprattutto non distinguendo organizzativamente e gestionalmente la fase di ricerca applicata da quella di ingegnerizzazione e industrializzazione. Quindi gli strumenti finanziari dovrebbero intervenire complessivamente sul ciclo dell’innovazione nella sua organicità e completezza, evitando la situazione attuale in cui gli strumenti (ad esempio, FAR e FIT) intervengono disgiuntamente su singole fasi di tale ciclo e soprattutto vengono gestiti da soggetti diversi (in questo caso, MIUR e MISE rispettivamente). La soluzione adottata in alcuni casi per le attività a monte del progetto di R&S consiste nella concessione di contributi finanziari alla preparazione degli studi di fattibilità di progetti di R&S, però vincolando l’impresa beneficiaria all’effettuazione del progetto. Come alternativa, per consentire all’impresa di non proseguire nella realizzazione del progetto di R&S in caso di esito negativo dello studio di fattibilità, si potrebbe ricorrere alla formula della “sovvenzione globale” adottata per talune iniziative comunitarie. In questo caso l’intermediario autorizzato a gestire i fondi pubblici potrebbe essere il Centro di R&I, che avrebbe così la possibilità di gestire più progetti aventi come beneficiari finali diverse PMI. Così, se uno studio di fattibilità dovesse portare a conclusioni negative, le risorse già impegnate potrebbero essere destinate a quei progetti per i quali la fattibilità preliminare abbia avuto esito positivo. Un tale modo di operare darebbe anche maggiori garanzie di risultato dell’intervento perché la gestione sarebbe affidata a soggetti qualificati che meglio conoscono le problematiche dei processi di innovazione.

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Inoltre, si potrebbe includere la possibilità di contribuire al finanziamento delle attività di ingegnerizzazione a valle del completamento con esito positivo della fase di ricerca applicata, senza soluzione di continuità, assicurando così rapidità e flessibilità nella effettuazione dell’intero ciclo di innovazione.

v) Concessione ai Centri di R&I, in quanto OR, della possibilità di accedere ai finanziamenti FAR e FIRB per proprie autonome proposte di progetti di ricerca, eliminando i vincoli che oggi destinano tali fondi esclusivamente a imprese o organismi pubblici di ricerca rispettivamente.

vi) Concessione di esenzioni fiscali come riconoscimento del ruolo “no-profit”dei Centri di R&I e di agevolazioni sul piano degli oneri sociali, per l’assunzione di nuovi ricercatori

vii) Più in generale, riattivazione del Credito d’imposta, che già sperimentato nel recente passato con la Finanziaria 2007, prevedeva che le imprese che svolgono attività di R&S potessero fruire di un credito pari al 10% del valore delle attività svolte “in house” e un credito pari al 40% per quelle commissionate ad organismi di ricerca. Il credito era concesso automaticamente, nel senso che il diritto al credito maturava con la dichiarazione dei redditi. Nel 2008 è stata introdotto l’obbligo della prenotazione per via telematica in un periodo fissato (click-day) e della preventiva autorizzazione da parte dell’erario, con il diritto che sorgeva sempre solo dopo la dichiarazione dei redditi. Si ritiene ora necessaria la riattivazione del Credito d’imposta, con una sua maggiore regolamentazione, differenziandolo in funzione delle dimensioni delle imprese e prevedendo per le PMI l’obbligo di servirsi di organismi di ricerca. Un modello di riferimento potrebbe esser quello della R&D Tax Credit inglese, ormai attivo da molti anni.

Internazionalizzazione dei Centri di R&I viii) Promozione dell’internazionalizzazione delle attività dei Centri di R&I,

soprattutto per quanto riguarda la penetrazione nei mercati di Paesi esteri e l’acquisizione di clienti locali. Il processo di internazionalizzazione potrà beneficiare sensibilmente del progredire dell’integrazione e del coordinamento fra i Centri di R&I, al fine di sfruttare sinergie ed economie di scala, riducendo i costi della logistica e del marketing nei Paesi esteri, e di presentare un’ampia gamma di specializzazioni nell’offerta dei servizi di R&I alle imprese locali. Evidentemente la costituzione di un organismo di coordinamento e di indirizzo della rete dei Centri di R&I potrà fortemente supportare questo processo di internazionalizzazione, assicurando un quadro organico e unitario per le attività di pianificazione e di attuazione delle specifiche iniziative.

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4.3 Gli interventi di “contesto” Accanto a queste iniziative, specificatamente dedicate ai Centri di R&I, appare opportuno concepire ed attivare altri strumenti che consentano di creare un “contesto” generale più favorevole alla realizzazione di innovazioni tecnologiche “science/knowledge based” nel sistema produttivo nazionale, in accordo con i modelli emergenti, basati sulla integrazione delle tre componenti del Triangolo della Conoscenza e sulla PPP. Non si intende qui formulare indicazioni propositive per una organica politica nazionale (regionale) di promozione e sostegno alla R&I, che sia finalizzata ad affrontare con un approccio complessivo e sistemico le molteplici e diversificate problematiche del Sistema nazionale della R&I in una prospettiva di medio-lungo termine. Si intende invece desumere dai nuovi modelli di politiche pubbliche per R&I che si stanno definendo e implementando a livello sia di Unione Europea sia dei più avanzati Paesi europei quelle linee di azione che possono contribuire a creare nel nostro Paese un “ecosistema” favorevole alla implementazione di processi di innovazione tecnologica “science/knowledge based” attraverso la cooperazione integrativa fra strutture pubbliche di ricerca e imprese, e quindi alla operatività dei Centri di R&I. Le linee di azione più significative a questo proposito riguardano sia il versante della domanda di R&I sia quello della relativa offerta, sia infine quello delle loro interazioni. Per quanto riguarda il versante della domanda, sta emergendo e consolidando lo spostamento dei driver fondamentali dell’innovazione dalle esigenze del mercato privato (sia a livello individuale dei consumatori sia a quello delle imprese) verso le grandi problematiche che caratterizzano (ed affliggono) le nostre società: salute, invecchiamento, mobilità, ambiente naturale, energia, sicurezza, solo per citarne alcune fra le più rilevanti. La soluzione con più elevate prestazioni a queste problematiche richiede necessariamente, anche se non esclusivamente, lo sviluppo di nuove tecnologie (soprattutto a livello di prodotti e sistemi), la cui definizione è responsabilità primaria dei soggetti pubblici di governo a scala sia nazionale sia locale, oltre che in alcuni casi internazionale. Quindi la domanda di innovazioni tecnologiche legate alle grandi problematiche sociali proviene essenzialmente dall’operatore pubblico e si estrinseca con meccanismi diversi da quelli usuali di mercato. In questo contesto assume un ruolo fondamentale e critico il Public Procurement di innovazione tecnologica, di cui si stanno sperimentando possibili modelli di attuazione al fine di contemperare le diversificate esigenze ed aspettative dei molteplici soggetti coinvolti: organi di governo, imprese, strutture di ricerca, utilizzatori finali. Appare superfluo sottolineare come il Public Procurement di innovazione tecnologica, se adeguatamente strutturato e gestito, può costituire un formidabile motore di sviluppo della competitività tecnologica delle imprese e, al tempo stesso, di qualificazione dell’offerta di servizi pubblici ai cittadini e alle imprese. Guardando invece al versante delle imprese, in particolare delle PMI, emerge la diffusa esigenza di far crescere la loro cultura strategica dell’innovazione tecnologica “science/knowledge based” per la competitività, come pre-condizione irrinunciabile perché esse possano esprimere una domanda qualificata di servizi di R&S e quindi possano stabilire

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rapporti non occasionali di collaborazione con strutture di offerta di R&I, in primo luogo i Centri di R&I. Senza entrare nel dettaglio delle modalità con le quali attuare questa linea di azione, preme evidenziare il ruolo che gli strumenti di Strategic Intelligence (ovvero di Foreward Looking) possono svolgere nel fornire alle PMI una visione di medio termine del contesto competitivo in cui si potranno trovare ad operare, sostenendole così nell’elaborare strategie di sviluppo aziendale, in cui la variabile “innovazione tecnologica” occupi una posizione rilevante, se non fondamentale. Riguardo infine le interazioni fra PMI e strutture di ricerca, una delle maggiori difficoltà che ostacolano l’utilizzo dei risultati scientifici (anche nella forma di brevetti) disponibili in queste ultime da parte delle prime per lo sviluppo di tecnologie innovative valide nel mercato, deriva dalla distanza che separa tali risultati dalla forma di tecnologia industriale. Il superamento di questa distanza, attraverso l’attività di engineering tipicamente svolta dai Centri di R&I, comporta spese e quindi richiede risorse finanziarie che né i ricercatori pubblici né le PMI sono fortemente motivati e disponibili a mettere a disposizione per ragioni diverse: l’interesse dei ricercatori a dedicare tali risorse ad altri progetti di ricerca, l’incertezza per le PMI riguardo la possibilità di sviluppare tecnologie innovative valide sul mercato. Si tratta della cosiddetta “death valley” all’interno del ciclo dell’innovazione, che può essere superata, sostenendo così l’attività dei Centri di R&I, attraverso adeguati incentivi finanziari pubblici, attualmente non previsti dagli attuali strumenti finanziari. Altra difficoltà alla collaborazione fra PMI e strutture di ricerca deriva dalla scarsa conoscenza che le prime hanno della capacità di supporto offribile dalle seconde, e anche da una certa diffidenza riguardo tale capacità. Uno strumento disponibile e sperimentato con un certo successo, atto a superare questo “attrito”, è costituito dal Voucher Tecnologico, che può essere utilizzato proficuamente anche nel caso dei Centri di R&I.

5. Considerazioni conclusive

A conclusione di questo Rapporto preme sottolineare come il Gruppo di Riflessione della Fondazione Cotec abbia affrontato, attraverso i contributi di esperienze, capacità, visione forniti dai massimi esponenti dei più importanti Centri di R&I del nostro Paese, un tema critico per soddisfare la fortissima esigenza di assicurare una base di conoscenze scientifiche alle innovazioni tecnologiche sviluppate dalle imprese, di ogni dimensione e settore: ossia quale assetto strutturale dare a tale processo per renderlo efficace e diffuso, alla luce della molteplicità di iniziative che sono state sperimentate con vario successo in Italia e negli altri Paesi UE e soprattutto della strategia recentemente varata per la costruzione della Europa 2020, fondata sulla PPP.

Una possibile risposta è stata identificata nei Centri di R&I, che, come organismi nei quali si realizza la partnership fra strutture (pubbliche) di ricerca e imprese, operano con logica

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imprenditoriale nel mercato dei servizi di R&I, sfruttando le conoscenze e le competenze tecnico-scientifiche degli enti da cui promanano.

Si è poi ritenuto opportuno, al fine di potenziare ed estendere l’azione di questa tipologia di strutture di “intermediari attivi” fra ricerca e innovazione tecnologica, di richiedere all’operatore pubblico una serie di interventi nel campo delle politiche per R&I che mirano sia ad eliminare le criticità che oggi riducono l’efficacia dell’azione dei Centri di R&I, sia a farli crescere come numero ed entità e qualità delle risorse loro disponibili, e soprattutto, a integrarli in un sistema nazionale, che ne aumenti la massa critica di risorse e la gamma di specializzazioni offerte alle imprese e ne faciliti il processo di internazionalizzazione.

Il modello dei Centri di R&I, qui delineato, può anche servire come riferimento per l’eventuale ristrutturazione organizzativo-gestionale e rifocalizzazione della missione e dell’operatività delle diverse strutture di tipo pubblico-privato che sono state poste in essere dall’operatore pubblico, in primo luogo a scala nazionale, ma anche regionale, per il cosiddetto “Trasferimento tecnologico”, quali i Centri di Competenza Tecnologica, i Distretti Tecnologici, i Laboratori Pubblico-Privati, i Poli per l’Innovazione.

Si propone infine che gli interventi qui ipotizzati possano essere attuati tempestivamente all’interno delle misure con cui si tradurranno operativamente le strategie governative, a livello di MIUR e MISE, nei campi della Ricerca e dell’Innovazione tecnologica.

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ISBN 9788890609442
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