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COMPRENSIONE DEL RAPPORTO CORPO-MENTE 1. Approccio neuro scientifico Il rapporto mente-corpo costituisce uno dei grandi temi che la filosofia ha prima affrontato autonomamente per secoli, e poi ha in parte consegnato alla scienza e, nei casi migliori, continua a sviluppare parallelamente alla riflessione scientifica. Comè noto, infatti, le scienze cognitive si occupano molto spesso proprio di questo genere di questioni cercando il supporto e il conforto delle evidenze scientifiche. Superata la querelle mente-corpo del passato, oggi si punta ad una visione olistica del soggetto, ancorata ad una variegata serie di modelli che ci danno conto di come si arriva alla coscentizzazione. Di qui, lancoraggio alle neuroscienze, per seguire attraverso la relazione triadica cervello-mente-corpo come produrre un cambiamento nel soggetto, come guidarlo ad utilizzare tutto il potenziale di cui dispone, in termini di emozioni, sensazioni, percezioni, memoria; come creare ambienti di apprendimento idonei a produrre risposte in virtù di nuovi reti e circuiti neuronali attivati da una molteplicità di stimoli-mediatori adeguatamente offerti. Limmagine corporea, la coordinazione allazione ed il movimento rappresentano i parametri della scoperta di una propria corporeità, la cui dinamicità è legata ad eventi anatomici, fisiologi, psicologici e sociologici: dalla relazione, in pratica, della triade cervello-mente-corpo. Una relazione capace, attraverso lazione, di dare senso e

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COMPRENSIONE DEL RAPPORTO CORPO-MENTE

1. Approccio neuro scientifico

Il rapporto mente-corpo costituisce uno dei grandi temi che la filosofia

ha prima affrontato autonomamente per secoli, e poi ha in parte

consegnato alla scienza e, nei casi migliori, continua a sviluppare

parallelamente alla riflessione scientifica. Com’è noto, infatti, le scienze

cognitive si occupano molto spesso proprio di questo genere di questioni

cercando il supporto e il conforto delle evidenze scientifiche.

Superata la querelle mente-corpo del passato, oggi si punta ad una

visione olistica del soggetto, ancorata ad una variegata serie di modelli

che ci danno conto di come si arriva alla coscentizzazione. Di qui,

l’ancoraggio alle neuroscienze, per seguire attraverso la relazione triadica

cervello-mente-corpo come produrre un cambiamento nel soggetto, come

guidarlo ad utilizzare tutto il potenziale di cui dispone, in termini di

emozioni, sensazioni, percezioni, memoria; come creare ambienti di

apprendimento idonei a produrre risposte in virtù di nuovi reti e circuiti

neuronali attivati da una molteplicità di stimoli-mediatori adeguatamente

offerti.

L’immagine corporea, la coordinazione all’azione ed il movimento

rappresentano i parametri della scoperta di una propria corporeità, la

cui dinamicità è legata ad eventi anatomici, fisiologi, psicologici e

sociologici: dalla relazione, in pratica, della triade cervello-mente-corpo.

Una relazione capace, attraverso l’azione, di dare senso e significato

all’esperienza nella quale il corpo vive immerso e dalla quale subisce

continue modificazioni non solo per effetto

del livello percettivo ma anche del livello emotivo-affettivo. Saranno

proprio queste modificazioni a costruire la soggettività e la biografia

di ogni soggetto

2. Triade cervello-mente-corpo: l’importanza dei neuroni specchio

Fino ad una ventina di anni fa, termini come “mente”, “emozione”

“coscienza” non erano nemmeno menzionati, soprattutto nei testi di

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medicina, in quanto il modello umano ufficiale considerava il corpo

come unica realtà e la mente un concetto estraneo alla scienza e non

indispensabile. In neurofisiologia si riteneva (e molti purtroppo lo

ritengono ancora) che il cervello “producesse” il pensiero e che il suo

funzionamento fosse quello di un computer, basato su una semplice

logica di acceso- spento.

La scoperta dei primi mediatori sembrava avvalorare questa concezione

puramente meccanicista, ad esempio un neurotrasmettitore

“eccitava” un neurone che, a sua volta, “attivava” un muscolo mentre

un secondo mediatore “inibiva” il neurone e “rilassava” il muscolo,

Con le scoperte di Candace Pert sui neuropeptidi, tale modello è stato

scardinato completamente. Innanzitutto i neuropeptidi devono essere

considerati delle molecole “psichiche”, in quanto non trasmettono

solo informazioni ormonali e metaboliche, ma “emozioni” e segnali

psicofisici: ogni stato emotivo (amore, paura, piacere, dolore, ansia,

ira... ), con le sue complesse sfumature chiamate sentimenti, è

veicolato nel corpo da specifici neuropeptidi. Anche la vecchia divisione

tra neurotrasmettitori e ormoni è diventata obsoleta, in quanto

entrambi sono da considerarsi categorie di neuropeptidi.

Contrariamente alle aspettative, questi neuropeptidi e i loro recettori

sono stati rinvenuti in ogni parte del corpo e non soltanto nel sistema

nervoso: inoltre la semplice meccanica dell’acceso- spento è stata

soppiantata dalla logica estremamente più complessa della “neuro

modulazione”.

Questo significa che l’intero corpo “pensa”, che ogni cellula o parte del

corpo “sente” e prova “emozioni”, elabora le proprie informazioni

psicofisiche e le trasmette ad ogni altra parte attraverso una fittissima

rete di comunicazioni di estrema varietà comunicativa.

Finalmente la medicina scopre che il corpo non è una macchina! Su

queste basi teoriche e sperimentali, Candace Pert parla dell’essere

umano come di una complessa “rete di informazioni” e dichiara che

l’antica divisione tra mente e corpo non ha più ragioni di sussistere: al

vecchio concetto bisogna sostituire quello di psicosoma (bodymind), in

cui ogni aspetto psicofisico umano è visto come parte di un’unica

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organica realtà

In passato si parlava di psicosomatica riferendosi ad essa solo in

relazione a quelle malattie organiche la cui causa era rimasta oscura e

per le quali (quasi per esclusione) si pensava potesse esistere una genesi

psicologica. Oggi al contrario si parla non solo di psicosomatica, ma di

un’ottica psicosomatica corrispondente ad una concezione che

guarda all’uomo come ad un tutto unitario, dove la malattia si

manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come

disagio, e che presta attenzione non solo alla manifestazione fisiologica

della malattia, ma anche all’aspetto emotivo che l’accompagna. Secondo

quest’ottica è possibile distinguere malattie per le quali i fattori biologici,

tossico-infettivi, traumatici o genetici hanno un ruolo preponderante e

malattie per le quali i fattori psico- sociali, sotto forma di emozioni e di

conflitti attuali o remoti, sono determinanti. In questo senso l’unità

psicosomatica dell’uomo non viene persa di vista e i sintomi o i fenomeni

patologici vengono indagati in modo complementare da un punto di vista

psicologico e fisiologico La riscoperta del valore globale del corpo,

soprattutto in disabilità, è legata ad una serie di approcci

epistemologici che hanno permesso di costruire una visione non più

legata al corpo-cosa, presente nella visione delle scienze naturali,

quanto al corpo-presenza, espressione di un proprio modo di essere

nel mondo del soggetto. Un corpo che agendo e sentendo si connota

come un’immagine dinamica dove convergono e si compongono

elementi tattili, visivi, muscolari, che portano ad una immagine

corporea o identità spesso lacerata in soggetti affetti da alcune patologie

Se è vero che il corpo è una fonte inesauribile di conoscenza, altrettanto

vero è che il movimento rappresenta la sola testimonianza possibile di

vita psichica. L’antica concezione del sistema motorio ha attribuito per

decenni alle aree motorie della corteccia cerebrale un ruolo puramente

esecutivo: tradurre in movimenti le informazioni che il nostro cervello

elabora, integrando gli stimoli sensoriali e le rappresentazioni mentali.

Alla luce delle recenti ricerche condotte sul sistema dei neuroni specchio,

l’intero sistema motorio ha subìto una trasformazione dal punto di vista

concettuale, passando da un’immagine molto semplificata ad una di

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maggiore complessità, in cui i movimenti finalizzati dipendono dalla

conoscenza della disposizione del corpo nello spazio, dall’obiettivo

dell’azione, dalla selezione di un piano per raggiungere l’obiettivo, dalla

memoria ed infine dalla programmazione dei singoli movimenti. Il

sistema dei neuroni mirror (MNS) la cui localizzazione cerebrale coincide

con la parte posteriore del giro frontale inferiore, dall’adiacente corteccia

premotoria ventrale e dalla parte rostrale del lobo parietale inferiore,

permette di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di porci in

relazione con gli altri

Quando osserviamo un nostro simile compiere una certa azione si atti-

vano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco

quando siamo noi a compiere quella stessa azione. Per questo

possiamo comprendere con facilità le azioni degli altri: nel nostro

cervello si accendono circuiti nervosi che richiamano analoghe azioni

compiute da noi in passato. La rappresentazione implicita del nostro

corpo nello spazio è detta schema corporeo ed è il frutto delle afferenze

propriocettive ed esterocettive. In pratica il cervello costruisce,

implicitamente, una mappa relazionale della disposizione spaziale dei

vari segmenti del nostro corpo, di modo che l’esecuzione di un’azione

sia coerente con l’ambiente esterno. Appare evidente che lo schema

corporeo rappresenta l’insieme dei vincoli motori di cui il cervello terrà

conto nell’organizzazione del movimento. I movimenti codificati dal

sistema dei neuroni mirror attraverso l’osservazione, faranno

riferimento proprio ai vincoli imposti dallo schema corporeo.

Oltre alla capacità di comprendere le azioni e le intenzioni, il sistema

dei neuroni specchio è responsabile anche di processi imitativi quali la

replica intenzionale delle azioni osservate oppure l’apprendimento

di nuove azioni. Come specifica G. Rizzolatti:

l’'attivazione di questi neuroni permette la comprensione immediata del

significato intenzionale delle azioni degli altri senza la necessità di ogni

esplicita o deliberata mentalizzazione

Questo nuovo modello concettuale non pone più delle rigide barriere

tra le differenti funzioni quali percezione, azione e cognizione, ma

suggerisce che solo grazie ad un approccio motorio all’intenzionalità è

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possibile una comprensione globale di tali meccanismi. La capacità di

riconoscere immediatamente il significato intenzionale di un atto

motorio ci rende in grado di spiegare le azioni degli altri in termini di

credenze o desideri. Parimenti non potremmo spiegare il

comportamento altrui in termini di intenzioni, e immaginare le

conseguenze, se non fossimo in possesso delle conoscenze motorie che

regolano le rappresentazioni coinvolte sia nelle azioni esecutive sia in

quelle comprensive. Più semplicemente, le azioni compiute da una

persona – singolo atto o concatenazione di atti motori – acquistano per

noi un significato, che lo si voglia o meno, e a prescindere da ciò che la

persona in questione ha in mente. Il discorso è valido anche in senso

opposto: volenti o nolenti, le nostre azioni possiedono un significato

immediato per coloro che ci osservano.

Da questa relazione mente-corpo si denota quindi una fondamentale

importanza attribuita al processo imitativo dei neuroni specchio

sopratutto per scoloro affetti d a ridotta capacità di mentalizzazione,

l’imitazione corporea rappresenta per questi soggetti la principale fonte

di espressione e di apprendimento.

3.La significatività dell’attività psicomotoria

Diversi studi sottolineano l’importanza dell’attività psicomotoria sia a

fini puramente speculativo-applicativi che clinico-diagnostici. Ciò perché

l’attività psicomotoria guarda alla globalità della persona, alle sue

funzioni consentendoci di effettuare una valutazione della senso-

percezione, dell’imitazione, dell’attenzione, dell’espressione emotiva,

delle funzioni esecutive, etc. Insomma di tutte quelle funzioni che si

esplicitano attraverso la capacità e la coordinazione motoria

(movimento in generale, posture, gesti, etc.) che hanno – ripetiamo –

forti implicazioni con il livello cognitivo, affettivo, comportamentale e

relazionale

Nata all’interno dell’ambito medico (neuropsichiatrico) ed in particolare

nell’ambito sociosanitario per dare una risposta a tutti quegli

interrogativi ed a quelle problematiche che la medicina non riusciva a

spiegare in termini medici in quanto non necessariamente aventi

un’origine organica, la psicomotricità affida un ruolo preminente al corpo

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considerato in relazione costante e significativa con l’ambiente. In

particolare valorizza il corpo in movimento, il corpo con le sue specifiche

modalità di espressione: il suo linguaggio. Attraverso tale dinamicità, il suo

agire ed il suo relazionarsi, l’individuo esprime la propria identità, i suoi

bisogni e le sue difficoltà.

L’ autore che ha contribuito maggiormente a porre le basi della psico-

motricità del secolo scorso è stato di sicuro lo psichiatra Julian de

Ajuriaguerra che, negli anni Sessanta ha rivoluzionato l’ ottica della psi-

chiatria nei confronti dei disturbi del bambino, sottolineando

l’interazione tra le loro diverse componenti:

1. La componente dell’organizzazione dell’attività motoria si sviluppa

nel bambino secondo tappe predeterminate: il tono muscolare,

l’equilibrio, la coordinazione dei movimenti si evolvono nel corso

dell’infanzia fino a stabilizzarsi alla soglia dell’adolescenza. Le disabilità

che si riferiscono a questa sfera comprendono ad es. ritardi dello

sviluppo motorio e goffaggine;

2. La componente emotiva si manifesta nel vissuto corporeo che si

esterna nel linguaggio non verbale: stato tonico, tipo di postura, di

gestualità, autopresentazione, (modo di atteggiarsi, di abbigliarsi, ecc.)

che sono i fattori determinanti della modalità di comunicazione sociale

di ciascun individuo. I problemi relativi a questa sfera riguardano ad es.

l’inibizione psicomotoria, alcune forme di maldestrezze, alterazione

della percezione del proprio corpo, stati di tensione, depressione, ecc.

3. La componente cognitiva entra in gioco quando il movimento

richiede una programmazione intenzionale dell’ordine della sequenza

di singoli movimenti da compiere in funzione di uno scopo fissato in

partenza e del loro controllo cosciente durante la loro esecuzione (ad

esempio confezionare un pacco). Si tratta di un insieme di azioni definite

prassie. Le difficoltà prassiche si possono manifestare

nell’apprendimento della scrittura, nella riproduzione di modelli

(geometria) e anche nell’esecuzione delle attività manuali del

quotidiano (vestirsi, cucinare ecc.).

Da ciò si evince quanto le problematiche motorie e psicomotorie si

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integrano in un modello funzionale, complesso e globale, nel quale si evi-

denziano: lo sviluppo percettivo-motorio, l’organizzazione emotivo-

affettiva, le valenze cognitive. Queste ultime riguardano a loro volta la

rappresentazione simbolica, l’elaborazione analitico-deduttiva, la

compilazione della comprensione integrata.

L’importanza dell’ologramma del modello funzionale su esposto ci

consente di comprendere i processi che intervengono nello sviluppo

del soggetto normodotato ed anche nel portatore di deficit, di disagio, di

difficoltà, di disabilità; processi di cui è necessario puntualizzare le

basi euristiche e paradigmatiche.

Incominciamo, dunque, con il fare delle precisazioni sullo sviluppo

percettivo-motorio. Con tale denominazione, ci riferiamo a quei mecca

nismi neurofisiologici che stanno alla base dello sviluppo percettivo

globale, nei suoi aspetti:

– tattili;

– olfattivi;

– visivi: bidimensionali e tridimensionali;

– geusici;

– dell’equilibrio (funzione vestibolare).

Inoltre, si rimanda alle dinamiche legate alla sensibilità riferita a:

– sentire dolore;

– sentire piacere.

Le possibilità integrative di queste funzioni sono perfettamente messe

in evidenza nella pratica riabilitativa di bambini con problemi dello

sviluppo La programmazione applicativa mette in primo piano la

verifica della “situazione funzionale” proprio perché, in questi casi, si

evidenziano anche notevoli deficit che non devono essere visti

nell’ordine eziopatogenetico, ma come conseguenza, cioè come

“modello adattivo” che porta alla chiusura su di sé, alla rinuncia del

fare ed all’isolamento.

Le problematiche tattili e olfattive sottolineano fortemente la

“mancanza di esperienze” e come di conseguenza le stimolazioni creano

ansie e angosce.

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Il campo dello sguardo è particolarmente compromesso; basterebbe

pensare che uno dei primi segni della “rottura autistica” (intorno ai

due anni) riguarda proprio “… l’impossibilità di guardare negli occhi – a

partire dalla madre.

L’area geusica è particolarmente importante proprio perché ci troviamo

di fronte ad enormi difficoltà a fare accettare sapori diversi da quelli

abituali ed ossessivamente richiesti come sono per es. i succhi di frutta

ed il corrispondente rifiuto di bevande gassate come la CocaCola.

Particolare importante è il rifiuto a consumare cibi solidi, per cui deriva

una difficoltà a masticare e a deglutire.

I problemi dell’equilibrio sono tanto importanti che ormai questa sfera

viene considerata il “sesto senso”, che deve essere sviluppato con

particolare attenzione e precisione proprio perché”dà equilibrio” a

tutto il complesso inter relazionale con il mondo esterno: nel muoversi,

nel fare, nel poter mettersi in relazione con l’Altro in dinamiche di

confronto e di collaborazione reciproca.

Il mondo del sentire dolore o sentire piacere è, per lo sviluppo psico-

affettivo, di enorme importanza. Ciò perché, se da un lato sembra che i

bambini con problemi di sviluppo, non percepiscano il dolore; per altro

devono anche essere accompagnati a reagire positivamente al

“piacere” (rinforzo), quasi che l’isolamento porti anche ad una

“anestesia dell’auto- soddisfazione” o che questa vada perdendo,

nell’isolamento, spazio e significato e, quindi, il mondo della

“sensibilità” venga ridotto in un monocorde grigiore senza significato.

Non dobbiamo dimenticare che le problematiche percettive influenzano

notevolmente ed in maniera determinante lo sviluppo motorio, proprio

perché interferiscono nella coordinazione semplice e, soprattutto, in

quella complessa.

La fluidità del “gesto” è il risultato di una integrazione tra percepito ed

agito, che se risulta inceppato porta a movimenti disarmonici o

addirittura induriti o spastici.

Vediamo tutto questo soprattutto nei bambini autistici e i n q u e i

b a m b i n i che dimostrano difficoltà nell’espressione motoria, nel

programmare e gestire tutti quei movimenti che richiedono una

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sequenzialità, un passaggio fluido da uno “stato” ad un altro,

considerati nei parametri di spazio e tempo.

La coordinazione deve essere vista come una serie di passaggi

consequenziali che sono regolati da una infinità di atteggiamenti.

Per quanto attiene invece allo sviluppo neuro-motorio, è necessario

seguire la processualità della sua evoluzione, a partire dalla Fase

prenatale, che va dal concepimento alla nascita, per una durata di circa

280 giorni e corrisponde ad una esistenza intrauterina non autonoma,

legata indissolubilmente alla “funzioni materne”. Nello sviluppo, i primi

movimenti si osservano dopo l’ottava settimana, con la caratteristica di

procedere in senso cranio-caudale, rispettando l’ontogenesi delle

curve del rachide. Dal quinto mese di gestazione si presentano

movimenti automatici, chiamati “riflessi” che caratterizzano il primo

anno di vita.

a) Fase della prima infanzia: dalla nascita sino al 3° anni di vita.

Corrisponde alla maturazione del sistema nervoso ed è il periodo che

Piaget chiama “sensomotorio”, dandogli un valore importante come

prima funzione capace di indurre uno sviluppo psichico. I riferimenti

percettivi sono riferiti principalmente alle mani ed alla bocca; tra il

primo ed il terzo mese si sviluppa il “riflesso dell’ afferramento”; tra il

10° ed il 11-esimo l’opposizione del pollice ed al dodicesimo il

movimento volontario e del rilasciamento.

b) Fase della seconda infanzia: dai 3 ai 5 anni.

È il periodo dell’aumento ponderale e da un punto di vista motorio

compaiono: i giochi individuali, di imitazione, di fantasia ed anche

creativi. Compaiono le prime coordinazioni per cui il bambino può

cominciare ad usare attrezzi sino ad andare in bicicletta, sui pattini, a

giocare a palla, a nuotare.

c) Fase della fanciullezza: comprende gli anni della scuola elementare.

Si consolidano gli apprendimenti psicomotori, ma soprattutto si attiva la

psico- motricità che accompagna le relazioni interpersonali e la

socializzazione. Le capacità coordinative raggiungono il loro più alto

livello e, quindi, si cerca di attivare tutte le capacità legate al

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movimento.

d) Fase della pre-adolescenza: tra gli 11 ed i 14-anni.

Si caratterizza per la crescita staturale che accompagna al bisogno di

trovare nuovi equilibri peso statura e nuove coordinazioni che aiutano a

superare un certo disorientamento motorio.

e) Età dell’adolescenza: dai 14 ai 18 anni.

Accompagna l’arresto della spinta verticale e lo sviluppo degli

apparati cardiovascolare e respiratorio.

f) Età della stabilizzazione: vede la conclusione di tutti gli sviluppi, com

preso quello scheletrico-articolare e, soprattutto, l’acquisizione della

massima reattività o velocità dei riflessi.

g) Seguono poi: la prima età adulta (18-30 anni); media età adulta (30-

50 anni); tarda età adulta (50-65 anni); età anziana (65 anni in poi).

Le considerazioni sul modello funzionale sarebbero non comprensibili se

non interrelate all’aspetto neurofisologico

Da un punto di vista neurofisiologico, il movimento può essere definito

come un’azione riflessa, indotta da stimoli interni o esterni; i movimenti,

infatti, sono guidati dalle sensazioni: non c’è movimento senza sistemi

sensitivo-sensoriali che attivano le rappresentazioni interne del

nostro corpo e dell’ambiente esterno. Una delle principali funzioni di

queste rappresentazioni è quella di guidare il movimento nell’ambito

spazio-temporale. L’azione integrativa del sistema nervoso (di eseguire

un movimento e non un altro) dipende dall’interazione tra i sistemi motori

e sensoriali.

Il sistema motorio è organizzato secondo una gerarchia funzionale:

ciascun livello si occupa di decisioni differenti.

Il livello più alto, quello che risponde alla domanda “qual è lo scopo del

movimento?” è rappresentato dalla corteccia frontale dorsolaterale.

Il livello successivo crea il piano motorio ed è rappresentato

dall’interazione tra le aree parietali posteriori e l’area premotoria;

quest’ultima specifica le caratteristiche spaziali del movimento,

basandosi sulle informazioni sensoriali della corteccia parietale

posteriore sull’ambiente e sulla posizione dei segmenti corporei nello

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spazio.

Il livello più basso, con un ruolo più meccanico, coordina i dettagli

spaziotemporali della contrazione muscolare per eseguire il movimento

programmato: tale funzione è eseguita dai circuiti motori del midollo

spinale.

A livello della corteccia cerebrale si trova il I° neurone (o neurone di

primo ordine) che elabora il movimento; nel midollo spinale si ritrova

invece il II° neurone il neurone di moto o motoneurone), i cui assoni

fanno sinapsi (placca motrice) con le fibre muscolari che, contraendosi,

generano il movimento. Il muscolo quindi è capace di trasformare

l’energia chimica in energia meccanica.

Esistono diverse tipologie di movimento

– volontario;

– involontario;

– automatizzato;

– riflesso.

Il movimento volontario implica quattro passaggi fondamentali relati- vi

al piano di moto:

L’ideazione è la prima fase che deve affrontare la corteccia cerebrale

nel momento in cui le arriva uno stimolo che può provenire dall’esterno

grazie ai cinque sensi, o dall’interno (pensiero). Nella fase di

programmazione vi è il recupero o l’assemblaggio del piano di moto;

nella terza fase il piano di moto viene attuato, mentre la fase di feed-

back è quella di verifica ed eventuale correzione.

Il movimento involontario deriva invece da alterazioni biochimiche dei

gangli della base; esempi di movimento involontario sono il tic, la

distonia, i tremori, il mioclono…

Il movimento involontario genera quindi movimenti stereotipati che

diventano veri e propri disturbi psicomotori che si manifestano con la

tendenza a conservare in maniera particolarmente protratta uno

stesso atteggiamento o a ripetere più volte un determinato atto.

Il movimento automatizzato è il risultato della trasformazione dei

movimenti volontari e controllati grazie alla ripetizione ed alla riuscita

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del processo di apprendimento. I gesti sono più economici e veloci,

anche se le reafferenze (feedback) mantengono un ruolo di controllo. Il

movimento può essere sotto controllo della volontà.

Il movimento riflesso segue stimoli precisi ed è già definito a priori non

essendo inoltre sotto il controllo della volontà; un esempio di questo

genere di motricità è il riflesso da stiramento miotattico (es: riflesso

rotuleo). Il riflesso miotattico è il più semplice dei riflessi.

4. Componenti e strutture del movimento (le posture e schemi

motori)

Da un punto di vista biomeccanico il movimento umano può essere

concepito come un insieme di unità fondamentali o elementi semplici

come:

– posture;

– schemi posturali;

– schemi motori dinamici (schemi motori di base).

Le posture sono situazioni apparentemente statiche del corpo in cui le

diverse parti del corpo stesso mantengono un rapporto fisso tra loro.

Si definiscono in questo modo poiché non sono situazioni passive bensì

attive, comportano, infatti, un intervento attivo della muscolatura

corporea per contrastare la forza di gravità. Per mantenere una

postura interviene il cosiddetto tono posturale che è quel grado di

tensione a carico della muscolatura antigravitaria (es: muscoli

estensori del collo, dorsali, addominali, glutei, estensori della gamba,

flessori della gamba…).L’assunzione ed il mantenimento di determinate

posture è il risultato di numerosi fattori non solo neuromuscolari ma

anche psicoemotivi e sociali, a testimonianza del fatto che la postura

rispecchia il vissuto dell’unità bio- psicosociale umana (emozioni, vissuti,

condizionamenti, disagi).

Gli schemi posturali o statici sono atti motori segmentari che coinvolgo- no

solo alcune parti del corpo, senza modificare sostanzialmente la posizione

nello spazio del corpo stesso, sono poi solitamente costruiti e non usuali. Il

concetto di “schema” si rapporta ad una rappresentazione mentale del

movimento che dobbiamo compiere; ciò comporterà quindi una serie di

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passaggi che avvengono nel sistema nervoso centrale secondo la

gerarchia funzionale che è stata spiegata nel paragrafo precedente. Gli

schemi posturali vengono definiti secondo i tre piani (frontale, sagittale,

orizzontale) e i tre assi di rotazione (longitudinale, anteroposteriore o

sagittale, traverso).

Gli schemi motori dinamici sono invece atti motori più complessi poiché,

a differenza degli schemi posturali definiti su tre dimensioni, gli

schemi motori dinamici sono quadridimensionali, presupponendo una

variazione globale del corpo anche nella dimensione spazio-

temporale. Essi coincidono con i gesti motori naturali ed abituali della

specie umana ed esistono tanti schemi motori dinamici quante sono le

forme globali di movimento dell’uomo (innumerevoli).

Si elencano gli schemi motori di base in quanto la loro padronanza

consente all’uomo la costruzione e l’automatizzazione delle abilità

motorie:

– camminare;

– correre;

– scavalcare/superare;

– saltare;

– atterrare;

– afferrare;

– lanciare;

– colpire/battere/calciare;

– strisciare;

– traslocare in quadrupedia;

– rotolare;

– arrampicarsi;

– attaccare/difendere.

Si è parlato di postura e di tono muscolare antigravitario, ma occorre

non dimenticare che esiste anche un tono muscolare basale. Esso è

sempre presente ed è l’unico tono muscolare presente anche nel

sonno, con una precisazione: il tono basale si azzera e quindi scompare

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nella la fase REM. Durante questo periodo infatti, nonostante aumenti

l’attività cerebrale fino a raggiungere una condizione simile a quella della

veglia (si ha un aumento del sistema nervoso autonomo), si verifica la

perdita del tono della muscolatura: in sostanza, nel sonno REM si ha un

cervello attivo in un corpo praticamente paralizzato.

Le capacità caratterizzano e misurano l’efficienza di una funzione; lo

sviluppo unitario di una persona si realizza attraverso l’evoluzione di

tutti i sistemi biologici e delle relative funzioni.

Jean Le Boulch afferma che l’intervento motorio-educativo contribuisce

all’evoluzione di tutti i sistemi biologici. La pscicocinetica che risulta il

costrutto ideato dal nostro autore ha contribuito a “far chiarezza nei

campi della fenomenologia del movimento (l’agire e il fare

intenzionalmente proiettato verso il mondo) e della neurofisiologia del

movimento(apprendimento, controllo e regolazione del movimento).

Negli ultimi quarant’anni sono stati numerosi gli autori che hanno

voluto sottolinearne l’importanza; esse sono elementi essenziali e

presupposto iniziale per realizzare consapevolmente un’azione

motoria di prestazione, possono essere definite come “disponibilità

motorie individuali che abbisognano, per la loro educazione e sviluppo,

di una corretta e progressiva metodologia di lavoro”.

E' necessario aiutare il bambino a sviluppare e consolidare inizialmente

le capacità senso-percettive e gli schemi posturali, poi le capacità

motorie, quindi trasformare quest’ ultime in abilità specifiche.

Come per le definizioni anche le classificazioni relative alle capacità

motorie sono numerose; per convenzione si utilizzerà la seguente

suddivisione:

– capacità condizionali;

– mobilità articolare;

– capacità coordinative.

Le capacità condizionali sono determinate da processi metabolici che

influenzano l’energia a disposizione in termini di durata, quantità ed

intensità della risposta motoria. Le capacità motorie condizionali si

sinte- tizzano in tre sistemi:

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– capacità di forza;

– capacità di resistenza;

– capacità di rapidità.

La capacità di mobilità articolare è una capacità intermedia tra quelle

condizionali e quelle coordinative ed è il presupposto per una

economica esecuzione dei gesti e dei movimenti.

Le capacità coordinative sono determinate dai processi di controllo e di

regolazione del movimento e si fondano sull’assunzione e

sull’elaborazione delle informazioni e sul controllo dell’esecuzione. Lo

sviluppo di tali capacità è influenzato dalla maturazione del sistema

nervoso centrale e periferico.

Per convenzione si dividono tali capacità in generali e speciali;

le capacità coordinative generali sono:

– capacità di apprendimento motorio;

– capacità di adattamento motorio;

– capacità di controllo del movimento.

Le capacità coordinative speciali sono:

– capacità di accoppiamento e combinazione del movimento;

– capacità di differenziazione cinestesica;

– capacità di equilibrio;

– capacità di ritmo;

– capacità di orientamento;

– capacità di reazione;

– capacità di trasformazione del movimento.

5. Dalle abilità motorie alle capacità motorie

Nel paragrafo precedente si è parlato di capacità motorie: per

concludere il capitolo su tale argomento è utile soffermarsi sulle abilità

motorie e la riuscita dell’apprendimento, analizzando così il rapporto

fra capacità ed abilità.

Le abilità motorie coincidono con il concetto di saper agire con efficacia;

sono azioni che, attraverso un esercizio ripetuto si consolidano

arrivando ad una sicurezza del movimento: essere abili significa

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possedere competenza. L’abilità motoria non significa soltanto sapersi

muovere (capacità motoria) ma sapersi muovere bene, possedere

sicurezza e sistematicità.

L’utilizzo integrato delle capacità motorie condizionali e coordinative

consente lo sviluppo ed il mantenimento delle abilità motorie. Anche di

quest’ultime si espone brevemente una classificazione che tenta di

chiarire meglio il concetto:

– abilità globale/parziale: comporta un utilizzo globale o parziale delle

parti del corpo;

– abilità complessa/semplice: complessità/semplicità esecutiva;

– abilità discreta/seriale: comporta un inizio e una fine/sequenza

perio- dica di un’azione;

– abilità continua: comporta la ciclicità dell’azione;

– abilità utilitaristica: comporta l’adattamento del gesto alla situazione;

– abilità aperta/chiusa: azioni in situazioni dinamiche/statiche;

– abilità di prestazione: comporta il raggiungimento di una

prestazione sportiva.

L’apprendimento è quel processo che tende a far crescere nell’ bambino

il suo livello di competenza; esso avviene grazie all’interazione di quattro

componenti: il bambino ’,l'educatore , l’ambiente e il compito da eseguire.

La riuscita dell’apprendimento, quindi la nascita ed il miglioramento

dell’abilità motoria, segue un iter che Kurt Meinel nel 1984 ha così

descritto

– fase della coordinazione grezza;

– fase della coordinazione fine;

– fase della disponibilità motoria variabile.

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La fase della coordinazione grezza caratterizza il primo approccio

all’esecuzione di un nuovo gesto; durante questi momenti l’allievo

raccoglie tutte le informazioni attraverso l’apparato senso-percettivo,

rappresenta mentalmente il movimento da eseguire e lo esegue con

attenzione molto elevata. L’esecuzione sarà lenta ed imprecisa con un

grande spreco di energia dovuto alle sincinesie associate ed al tono

muscolare contratto. Da un punto di vista neurofisiologico il movimento

è volontario e controllato.

La seconda fase dell’apprendimento di abilità motorie è la cosiddetta

fase di coordinazione fine: in questa fase l’abilità è già ad un buon livello

e l’esecuzione appare più facilitata, il gesto è più armonico e

continuo senza sincinesie associate.

La fase della disponibilità variabile, detta anche della “maestria” o

“dell’abilità ad alto livello”, consente all’allievo l’automatizzazione

completa del movimento quindi, di poterlo eseguire nel migliore dei

modi, anche in situazioni precarie, nuove e di disturbo.

Il corpo è inteso quindi come soggetto di azione e di relazione con il

mondo, per questo è importante favorire la sua espressione

canalizzando in modo consapevole e mirato le risorse e gli stimoli

spontanei dell’individuo nel corso del suo sviluppo evolutivo.

Lo sviluppo del bambino, soprattutto fino agli anni della scolarizzazione

primaria, è unitario, nel senso che vi è una stretta relazione fra la sua

motricità e la sua intelligenza, fra azione e pensiero. È con il corpo e le

sue realizzazioni motorie che il bambino struttura il suo Io ed acquisisce

la sua autonomia. Ed è sempre attraverso il corpo che il bambino

esprime i suoi desideri ed i suoi bisogni. Il corpo, il movimento e l’azione

sono gli elementi fondamentali per apprendere e operare sulla realtà.

Nella pratica, l’intervento psicomotorio si presenta come un mezzo

per favorire e migliorare le risorse dell’individuo e le sue potenzialità, e

per creare un’armonia e una presa di consapevolezza delle capacità ma

anche dei limiti di ciascuno.

La sua applicazione in ambito terapeutico può avvenire a livello

individuale o di gruppo, in situazioni di patologie conclamate oppure

Page 18: COMPRENSIONE DEL RAPPORTO CORPO.docx

in casi di disturbo o disagio. La presa in carico mira a mobilizzare

ogni possibile risorsa della persona e del suo contesto al fine di

intervenire sul sintomo a partire dalle complicazioni che

inevitabilmente accompagnano il disagio o il deficit nel rapporto con

l’individuo, gli oggetti e gli altri. Accanto al problema organico, infatti,

andiamo a chiarire e specificare i disturbi psicomotori che si possono

accompagnare e che, come si è detto, si esprimono attraverso il canale

privilegiato del corpo.

L’altro ambito di applicazione della psicomotricità è quello preventivo-

educativo che si realizza soprattutto in gruppo. In questo caso

l’obiettivo è quello di prevenire o di evidenziare eventuali problematiche

latenti o a rischio e di favorire, attraverso il lavoro nel gruppo, lo

sviluppo del bambino nella sua totalità e interdipendenza fra agire,

pensare, comunicare, sentire, percepire.

L’intervento psicomotorio, a qualunque livello va a collocarsi all’interno

della qualità, del benessere, del miglioramento conseguito globalmente

dal- l’individuo, dove il movimento agevola anche la comunicazione e la

relazione con l’ambiente che lo circonda.

Concludendo osservare l’evoluzione della funzione motoria significa

avviare un processo di educazione funzionale (nei contesti di cura in

genere, così come a scuola) che rilievi ciò che deve essere compensa to e

ciò che può e deve essere coordinato. Insomma si fa riferimento a tutto

quel percorso educativo-riabilitativo teso a seguire lo sviluppo di tutte

quelle capacità coordinative che se esercitate favoriranno, come

asserito da Blume, la capacità di direzione e di controllo (capacità di

accoppiamento, di differenziazione, di equilibrio, di orientamento) in

direzione del potenziamento cognitivo che ha bisogno per il suo

sviluppo di esercizi di percezione spaziale/visiva/uditiva, etc.

affinché ogni gesto si esprima in una successione sequenziale di

attività in direzione dell’adattamento a quel flusso di informazioni che

provengono dall’ambiente in cui il soggetto si trova ad agire. Se

volessimo seguire lo schema di Luria non potremmo che considerare:

1) un tempo diagnostico che presuppone la conoscenza

approfondita della neurofisiologia e della neuropsicologia in

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riferimento allo sviluppo normale delle diverse funzioni psicomotorie,

il calcolo di un ritardo e la valutazione dell’età funzionale ( valutazione

delle abilità grosso-motorie, abilità fino-motorie, etc.. attraverso per

es.la Scala di valutazione delle Funzioni di bASE (SVFB) e la Scala di

sviluppo psi- comotorio della prima infanzia di Brunet- Lèzine; la Scala

Uzgiris- Hunt e le Griffiths Mental Development);etc.

2) un tempo educativo per cercare di determinare ciò che deve essere

compensato e ciò che può essere coordinato;

3) un tempo di programmazione del progetto educativo/riabilitativo

calibrato sui punti di forza e di debolezza neuropsicologici, scolastici e

sociali, sui possibili progressi per sondare se e in che misura la eventuale

compromissione motoria interferisca con l’apprendimento e con le

abilità di vita quotidiana e sociale.19

Appare chiaro che le abilità ed i comportamenti variano per ogni

paziente. e la terapia deve essere costantemente regolata e rivalutata.

L’aspetto più importante di un programma di riabilitazione pediatrica

soprattutto quando il bambino non ha linguaggio espressivo è quello di

riconoscere i segnali , e porsi l'obiettivo di di aiutare il soggetto in

difficoltà ad organizzare la vita di relazione e di accompagnarlo nel suo

percorso evolutivo ritrovando la condizione del potere creativo della sua

persona, riscrivendo la sua storia secondo i modi e i tempi di cui dispone.

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