Upload
alberto
View
217
Download
0
Embed Size (px)
Citation preview
COMPRENSIONE DEL RAPPORTO CORPO-MENTE
1. Approccio neuro scientifico
Il rapporto mente-corpo costituisce uno dei grandi temi che la filosofia
ha prima affrontato autonomamente per secoli, e poi ha in parte
consegnato alla scienza e, nei casi migliori, continua a sviluppare
parallelamente alla riflessione scientifica. Com’è noto, infatti, le scienze
cognitive si occupano molto spesso proprio di questo genere di questioni
cercando il supporto e il conforto delle evidenze scientifiche.
Superata la querelle mente-corpo del passato, oggi si punta ad una
visione olistica del soggetto, ancorata ad una variegata serie di modelli
che ci danno conto di come si arriva alla coscentizzazione. Di qui,
l’ancoraggio alle neuroscienze, per seguire attraverso la relazione triadica
cervello-mente-corpo come produrre un cambiamento nel soggetto, come
guidarlo ad utilizzare tutto il potenziale di cui dispone, in termini di
emozioni, sensazioni, percezioni, memoria; come creare ambienti di
apprendimento idonei a produrre risposte in virtù di nuovi reti e circuiti
neuronali attivati da una molteplicità di stimoli-mediatori adeguatamente
offerti.
L’immagine corporea, la coordinazione all’azione ed il movimento
rappresentano i parametri della scoperta di una propria corporeità, la
cui dinamicità è legata ad eventi anatomici, fisiologi, psicologici e
sociologici: dalla relazione, in pratica, della triade cervello-mente-corpo.
Una relazione capace, attraverso l’azione, di dare senso e significato
all’esperienza nella quale il corpo vive immerso e dalla quale subisce
continue modificazioni non solo per effetto
del livello percettivo ma anche del livello emotivo-affettivo. Saranno
proprio queste modificazioni a costruire la soggettività e la biografia
di ogni soggetto
2. Triade cervello-mente-corpo: l’importanza dei neuroni specchio
Fino ad una ventina di anni fa, termini come “mente”, “emozione”
“coscienza” non erano nemmeno menzionati, soprattutto nei testi di
medicina, in quanto il modello umano ufficiale considerava il corpo
come unica realtà e la mente un concetto estraneo alla scienza e non
indispensabile. In neurofisiologia si riteneva (e molti purtroppo lo
ritengono ancora) che il cervello “producesse” il pensiero e che il suo
funzionamento fosse quello di un computer, basato su una semplice
logica di acceso- spento.
La scoperta dei primi mediatori sembrava avvalorare questa concezione
puramente meccanicista, ad esempio un neurotrasmettitore
“eccitava” un neurone che, a sua volta, “attivava” un muscolo mentre
un secondo mediatore “inibiva” il neurone e “rilassava” il muscolo,
Con le scoperte di Candace Pert sui neuropeptidi, tale modello è stato
scardinato completamente. Innanzitutto i neuropeptidi devono essere
considerati delle molecole “psichiche”, in quanto non trasmettono
solo informazioni ormonali e metaboliche, ma “emozioni” e segnali
psicofisici: ogni stato emotivo (amore, paura, piacere, dolore, ansia,
ira... ), con le sue complesse sfumature chiamate sentimenti, è
veicolato nel corpo da specifici neuropeptidi. Anche la vecchia divisione
tra neurotrasmettitori e ormoni è diventata obsoleta, in quanto
entrambi sono da considerarsi categorie di neuropeptidi.
Contrariamente alle aspettative, questi neuropeptidi e i loro recettori
sono stati rinvenuti in ogni parte del corpo e non soltanto nel sistema
nervoso: inoltre la semplice meccanica dell’acceso- spento è stata
soppiantata dalla logica estremamente più complessa della “neuro
modulazione”.
Questo significa che l’intero corpo “pensa”, che ogni cellula o parte del
corpo “sente” e prova “emozioni”, elabora le proprie informazioni
psicofisiche e le trasmette ad ogni altra parte attraverso una fittissima
rete di comunicazioni di estrema varietà comunicativa.
Finalmente la medicina scopre che il corpo non è una macchina! Su
queste basi teoriche e sperimentali, Candace Pert parla dell’essere
umano come di una complessa “rete di informazioni” e dichiara che
l’antica divisione tra mente e corpo non ha più ragioni di sussistere: al
vecchio concetto bisogna sostituire quello di psicosoma (bodymind), in
cui ogni aspetto psicofisico umano è visto come parte di un’unica
organica realtà
In passato si parlava di psicosomatica riferendosi ad essa solo in
relazione a quelle malattie organiche la cui causa era rimasta oscura e
per le quali (quasi per esclusione) si pensava potesse esistere una genesi
psicologica. Oggi al contrario si parla non solo di psicosomatica, ma di
un’ottica psicosomatica corrispondente ad una concezione che
guarda all’uomo come ad un tutto unitario, dove la malattia si
manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come
disagio, e che presta attenzione non solo alla manifestazione fisiologica
della malattia, ma anche all’aspetto emotivo che l’accompagna. Secondo
quest’ottica è possibile distinguere malattie per le quali i fattori biologici,
tossico-infettivi, traumatici o genetici hanno un ruolo preponderante e
malattie per le quali i fattori psico- sociali, sotto forma di emozioni e di
conflitti attuali o remoti, sono determinanti. In questo senso l’unità
psicosomatica dell’uomo non viene persa di vista e i sintomi o i fenomeni
patologici vengono indagati in modo complementare da un punto di vista
psicologico e fisiologico La riscoperta del valore globale del corpo,
soprattutto in disabilità, è legata ad una serie di approcci
epistemologici che hanno permesso di costruire una visione non più
legata al corpo-cosa, presente nella visione delle scienze naturali,
quanto al corpo-presenza, espressione di un proprio modo di essere
nel mondo del soggetto. Un corpo che agendo e sentendo si connota
come un’immagine dinamica dove convergono e si compongono
elementi tattili, visivi, muscolari, che portano ad una immagine
corporea o identità spesso lacerata in soggetti affetti da alcune patologie
Se è vero che il corpo è una fonte inesauribile di conoscenza, altrettanto
vero è che il movimento rappresenta la sola testimonianza possibile di
vita psichica. L’antica concezione del sistema motorio ha attribuito per
decenni alle aree motorie della corteccia cerebrale un ruolo puramente
esecutivo: tradurre in movimenti le informazioni che il nostro cervello
elabora, integrando gli stimoli sensoriali e le rappresentazioni mentali.
Alla luce delle recenti ricerche condotte sul sistema dei neuroni specchio,
l’intero sistema motorio ha subìto una trasformazione dal punto di vista
concettuale, passando da un’immagine molto semplificata ad una di
maggiore complessità, in cui i movimenti finalizzati dipendono dalla
conoscenza della disposizione del corpo nello spazio, dall’obiettivo
dell’azione, dalla selezione di un piano per raggiungere l’obiettivo, dalla
memoria ed infine dalla programmazione dei singoli movimenti. Il
sistema dei neuroni mirror (MNS) la cui localizzazione cerebrale coincide
con la parte posteriore del giro frontale inferiore, dall’adiacente corteccia
premotoria ventrale e dalla parte rostrale del lobo parietale inferiore,
permette di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di porci in
relazione con gli altri
Quando osserviamo un nostro simile compiere una certa azione si atti-
vano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco
quando siamo noi a compiere quella stessa azione. Per questo
possiamo comprendere con facilità le azioni degli altri: nel nostro
cervello si accendono circuiti nervosi che richiamano analoghe azioni
compiute da noi in passato. La rappresentazione implicita del nostro
corpo nello spazio è detta schema corporeo ed è il frutto delle afferenze
propriocettive ed esterocettive. In pratica il cervello costruisce,
implicitamente, una mappa relazionale della disposizione spaziale dei
vari segmenti del nostro corpo, di modo che l’esecuzione di un’azione
sia coerente con l’ambiente esterno. Appare evidente che lo schema
corporeo rappresenta l’insieme dei vincoli motori di cui il cervello terrà
conto nell’organizzazione del movimento. I movimenti codificati dal
sistema dei neuroni mirror attraverso l’osservazione, faranno
riferimento proprio ai vincoli imposti dallo schema corporeo.
Oltre alla capacità di comprendere le azioni e le intenzioni, il sistema
dei neuroni specchio è responsabile anche di processi imitativi quali la
replica intenzionale delle azioni osservate oppure l’apprendimento
di nuove azioni. Come specifica G. Rizzolatti:
l’'attivazione di questi neuroni permette la comprensione immediata del
significato intenzionale delle azioni degli altri senza la necessità di ogni
esplicita o deliberata mentalizzazione
Questo nuovo modello concettuale non pone più delle rigide barriere
tra le differenti funzioni quali percezione, azione e cognizione, ma
suggerisce che solo grazie ad un approccio motorio all’intenzionalità è
possibile una comprensione globale di tali meccanismi. La capacità di
riconoscere immediatamente il significato intenzionale di un atto
motorio ci rende in grado di spiegare le azioni degli altri in termini di
credenze o desideri. Parimenti non potremmo spiegare il
comportamento altrui in termini di intenzioni, e immaginare le
conseguenze, se non fossimo in possesso delle conoscenze motorie che
regolano le rappresentazioni coinvolte sia nelle azioni esecutive sia in
quelle comprensive. Più semplicemente, le azioni compiute da una
persona – singolo atto o concatenazione di atti motori – acquistano per
noi un significato, che lo si voglia o meno, e a prescindere da ciò che la
persona in questione ha in mente. Il discorso è valido anche in senso
opposto: volenti o nolenti, le nostre azioni possiedono un significato
immediato per coloro che ci osservano.
Da questa relazione mente-corpo si denota quindi una fondamentale
importanza attribuita al processo imitativo dei neuroni specchio
sopratutto per scoloro affetti d a ridotta capacità di mentalizzazione,
l’imitazione corporea rappresenta per questi soggetti la principale fonte
di espressione e di apprendimento.
3.La significatività dell’attività psicomotoria
Diversi studi sottolineano l’importanza dell’attività psicomotoria sia a
fini puramente speculativo-applicativi che clinico-diagnostici. Ciò perché
l’attività psicomotoria guarda alla globalità della persona, alle sue
funzioni consentendoci di effettuare una valutazione della senso-
percezione, dell’imitazione, dell’attenzione, dell’espressione emotiva,
delle funzioni esecutive, etc. Insomma di tutte quelle funzioni che si
esplicitano attraverso la capacità e la coordinazione motoria
(movimento in generale, posture, gesti, etc.) che hanno – ripetiamo –
forti implicazioni con il livello cognitivo, affettivo, comportamentale e
relazionale
Nata all’interno dell’ambito medico (neuropsichiatrico) ed in particolare
nell’ambito sociosanitario per dare una risposta a tutti quegli
interrogativi ed a quelle problematiche che la medicina non riusciva a
spiegare in termini medici in quanto non necessariamente aventi
un’origine organica, la psicomotricità affida un ruolo preminente al corpo
considerato in relazione costante e significativa con l’ambiente. In
particolare valorizza il corpo in movimento, il corpo con le sue specifiche
modalità di espressione: il suo linguaggio. Attraverso tale dinamicità, il suo
agire ed il suo relazionarsi, l’individuo esprime la propria identità, i suoi
bisogni e le sue difficoltà.
L’ autore che ha contribuito maggiormente a porre le basi della psico-
motricità del secolo scorso è stato di sicuro lo psichiatra Julian de
Ajuriaguerra che, negli anni Sessanta ha rivoluzionato l’ ottica della psi-
chiatria nei confronti dei disturbi del bambino, sottolineando
l’interazione tra le loro diverse componenti:
1. La componente dell’organizzazione dell’attività motoria si sviluppa
nel bambino secondo tappe predeterminate: il tono muscolare,
l’equilibrio, la coordinazione dei movimenti si evolvono nel corso
dell’infanzia fino a stabilizzarsi alla soglia dell’adolescenza. Le disabilità
che si riferiscono a questa sfera comprendono ad es. ritardi dello
sviluppo motorio e goffaggine;
2. La componente emotiva si manifesta nel vissuto corporeo che si
esterna nel linguaggio non verbale: stato tonico, tipo di postura, di
gestualità, autopresentazione, (modo di atteggiarsi, di abbigliarsi, ecc.)
che sono i fattori determinanti della modalità di comunicazione sociale
di ciascun individuo. I problemi relativi a questa sfera riguardano ad es.
l’inibizione psicomotoria, alcune forme di maldestrezze, alterazione
della percezione del proprio corpo, stati di tensione, depressione, ecc.
3. La componente cognitiva entra in gioco quando il movimento
richiede una programmazione intenzionale dell’ordine della sequenza
di singoli movimenti da compiere in funzione di uno scopo fissato in
partenza e del loro controllo cosciente durante la loro esecuzione (ad
esempio confezionare un pacco). Si tratta di un insieme di azioni definite
prassie. Le difficoltà prassiche si possono manifestare
nell’apprendimento della scrittura, nella riproduzione di modelli
(geometria) e anche nell’esecuzione delle attività manuali del
quotidiano (vestirsi, cucinare ecc.).
Da ciò si evince quanto le problematiche motorie e psicomotorie si
integrano in un modello funzionale, complesso e globale, nel quale si evi-
denziano: lo sviluppo percettivo-motorio, l’organizzazione emotivo-
affettiva, le valenze cognitive. Queste ultime riguardano a loro volta la
rappresentazione simbolica, l’elaborazione analitico-deduttiva, la
compilazione della comprensione integrata.
L’importanza dell’ologramma del modello funzionale su esposto ci
consente di comprendere i processi che intervengono nello sviluppo
del soggetto normodotato ed anche nel portatore di deficit, di disagio, di
difficoltà, di disabilità; processi di cui è necessario puntualizzare le
basi euristiche e paradigmatiche.
Incominciamo, dunque, con il fare delle precisazioni sullo sviluppo
percettivo-motorio. Con tale denominazione, ci riferiamo a quei mecca
nismi neurofisiologici che stanno alla base dello sviluppo percettivo
globale, nei suoi aspetti:
– tattili;
– olfattivi;
– visivi: bidimensionali e tridimensionali;
– geusici;
– dell’equilibrio (funzione vestibolare).
Inoltre, si rimanda alle dinamiche legate alla sensibilità riferita a:
– sentire dolore;
– sentire piacere.
Le possibilità integrative di queste funzioni sono perfettamente messe
in evidenza nella pratica riabilitativa di bambini con problemi dello
sviluppo La programmazione applicativa mette in primo piano la
verifica della “situazione funzionale” proprio perché, in questi casi, si
evidenziano anche notevoli deficit che non devono essere visti
nell’ordine eziopatogenetico, ma come conseguenza, cioè come
“modello adattivo” che porta alla chiusura su di sé, alla rinuncia del
fare ed all’isolamento.
Le problematiche tattili e olfattive sottolineano fortemente la
“mancanza di esperienze” e come di conseguenza le stimolazioni creano
ansie e angosce.
Il campo dello sguardo è particolarmente compromesso; basterebbe
pensare che uno dei primi segni della “rottura autistica” (intorno ai
due anni) riguarda proprio “… l’impossibilità di guardare negli occhi – a
partire dalla madre.
L’area geusica è particolarmente importante proprio perché ci troviamo
di fronte ad enormi difficoltà a fare accettare sapori diversi da quelli
abituali ed ossessivamente richiesti come sono per es. i succhi di frutta
ed il corrispondente rifiuto di bevande gassate come la CocaCola.
Particolare importante è il rifiuto a consumare cibi solidi, per cui deriva
una difficoltà a masticare e a deglutire.
I problemi dell’equilibrio sono tanto importanti che ormai questa sfera
viene considerata il “sesto senso”, che deve essere sviluppato con
particolare attenzione e precisione proprio perché”dà equilibrio” a
tutto il complesso inter relazionale con il mondo esterno: nel muoversi,
nel fare, nel poter mettersi in relazione con l’Altro in dinamiche di
confronto e di collaborazione reciproca.
Il mondo del sentire dolore o sentire piacere è, per lo sviluppo psico-
affettivo, di enorme importanza. Ciò perché, se da un lato sembra che i
bambini con problemi di sviluppo, non percepiscano il dolore; per altro
devono anche essere accompagnati a reagire positivamente al
“piacere” (rinforzo), quasi che l’isolamento porti anche ad una
“anestesia dell’auto- soddisfazione” o che questa vada perdendo,
nell’isolamento, spazio e significato e, quindi, il mondo della
“sensibilità” venga ridotto in un monocorde grigiore senza significato.
Non dobbiamo dimenticare che le problematiche percettive influenzano
notevolmente ed in maniera determinante lo sviluppo motorio, proprio
perché interferiscono nella coordinazione semplice e, soprattutto, in
quella complessa.
La fluidità del “gesto” è il risultato di una integrazione tra percepito ed
agito, che se risulta inceppato porta a movimenti disarmonici o
addirittura induriti o spastici.
Vediamo tutto questo soprattutto nei bambini autistici e i n q u e i
b a m b i n i che dimostrano difficoltà nell’espressione motoria, nel
programmare e gestire tutti quei movimenti che richiedono una
sequenzialità, un passaggio fluido da uno “stato” ad un altro,
considerati nei parametri di spazio e tempo.
La coordinazione deve essere vista come una serie di passaggi
consequenziali che sono regolati da una infinità di atteggiamenti.
Per quanto attiene invece allo sviluppo neuro-motorio, è necessario
seguire la processualità della sua evoluzione, a partire dalla Fase
prenatale, che va dal concepimento alla nascita, per una durata di circa
280 giorni e corrisponde ad una esistenza intrauterina non autonoma,
legata indissolubilmente alla “funzioni materne”. Nello sviluppo, i primi
movimenti si osservano dopo l’ottava settimana, con la caratteristica di
procedere in senso cranio-caudale, rispettando l’ontogenesi delle
curve del rachide. Dal quinto mese di gestazione si presentano
movimenti automatici, chiamati “riflessi” che caratterizzano il primo
anno di vita.
a) Fase della prima infanzia: dalla nascita sino al 3° anni di vita.
Corrisponde alla maturazione del sistema nervoso ed è il periodo che
Piaget chiama “sensomotorio”, dandogli un valore importante come
prima funzione capace di indurre uno sviluppo psichico. I riferimenti
percettivi sono riferiti principalmente alle mani ed alla bocca; tra il
primo ed il terzo mese si sviluppa il “riflesso dell’ afferramento”; tra il
10° ed il 11-esimo l’opposizione del pollice ed al dodicesimo il
movimento volontario e del rilasciamento.
b) Fase della seconda infanzia: dai 3 ai 5 anni.
È il periodo dell’aumento ponderale e da un punto di vista motorio
compaiono: i giochi individuali, di imitazione, di fantasia ed anche
creativi. Compaiono le prime coordinazioni per cui il bambino può
cominciare ad usare attrezzi sino ad andare in bicicletta, sui pattini, a
giocare a palla, a nuotare.
c) Fase della fanciullezza: comprende gli anni della scuola elementare.
Si consolidano gli apprendimenti psicomotori, ma soprattutto si attiva la
psico- motricità che accompagna le relazioni interpersonali e la
socializzazione. Le capacità coordinative raggiungono il loro più alto
livello e, quindi, si cerca di attivare tutte le capacità legate al
movimento.
d) Fase della pre-adolescenza: tra gli 11 ed i 14-anni.
Si caratterizza per la crescita staturale che accompagna al bisogno di
trovare nuovi equilibri peso statura e nuove coordinazioni che aiutano a
superare un certo disorientamento motorio.
e) Età dell’adolescenza: dai 14 ai 18 anni.
Accompagna l’arresto della spinta verticale e lo sviluppo degli
apparati cardiovascolare e respiratorio.
f) Età della stabilizzazione: vede la conclusione di tutti gli sviluppi, com
preso quello scheletrico-articolare e, soprattutto, l’acquisizione della
massima reattività o velocità dei riflessi.
g) Seguono poi: la prima età adulta (18-30 anni); media età adulta (30-
50 anni); tarda età adulta (50-65 anni); età anziana (65 anni in poi).
Le considerazioni sul modello funzionale sarebbero non comprensibili se
non interrelate all’aspetto neurofisologico
Da un punto di vista neurofisiologico, il movimento può essere definito
come un’azione riflessa, indotta da stimoli interni o esterni; i movimenti,
infatti, sono guidati dalle sensazioni: non c’è movimento senza sistemi
sensitivo-sensoriali che attivano le rappresentazioni interne del
nostro corpo e dell’ambiente esterno. Una delle principali funzioni di
queste rappresentazioni è quella di guidare il movimento nell’ambito
spazio-temporale. L’azione integrativa del sistema nervoso (di eseguire
un movimento e non un altro) dipende dall’interazione tra i sistemi motori
e sensoriali.
Il sistema motorio è organizzato secondo una gerarchia funzionale:
ciascun livello si occupa di decisioni differenti.
Il livello più alto, quello che risponde alla domanda “qual è lo scopo del
movimento?” è rappresentato dalla corteccia frontale dorsolaterale.
Il livello successivo crea il piano motorio ed è rappresentato
dall’interazione tra le aree parietali posteriori e l’area premotoria;
quest’ultima specifica le caratteristiche spaziali del movimento,
basandosi sulle informazioni sensoriali della corteccia parietale
posteriore sull’ambiente e sulla posizione dei segmenti corporei nello
spazio.
Il livello più basso, con un ruolo più meccanico, coordina i dettagli
spaziotemporali della contrazione muscolare per eseguire il movimento
programmato: tale funzione è eseguita dai circuiti motori del midollo
spinale.
A livello della corteccia cerebrale si trova il I° neurone (o neurone di
primo ordine) che elabora il movimento; nel midollo spinale si ritrova
invece il II° neurone il neurone di moto o motoneurone), i cui assoni
fanno sinapsi (placca motrice) con le fibre muscolari che, contraendosi,
generano il movimento. Il muscolo quindi è capace di trasformare
l’energia chimica in energia meccanica.
Esistono diverse tipologie di movimento
– volontario;
– involontario;
– automatizzato;
– riflesso.
Il movimento volontario implica quattro passaggi fondamentali relati- vi
al piano di moto:
L’ideazione è la prima fase che deve affrontare la corteccia cerebrale
nel momento in cui le arriva uno stimolo che può provenire dall’esterno
grazie ai cinque sensi, o dall’interno (pensiero). Nella fase di
programmazione vi è il recupero o l’assemblaggio del piano di moto;
nella terza fase il piano di moto viene attuato, mentre la fase di feed-
back è quella di verifica ed eventuale correzione.
Il movimento involontario deriva invece da alterazioni biochimiche dei
gangli della base; esempi di movimento involontario sono il tic, la
distonia, i tremori, il mioclono…
Il movimento involontario genera quindi movimenti stereotipati che
diventano veri e propri disturbi psicomotori che si manifestano con la
tendenza a conservare in maniera particolarmente protratta uno
stesso atteggiamento o a ripetere più volte un determinato atto.
Il movimento automatizzato è il risultato della trasformazione dei
movimenti volontari e controllati grazie alla ripetizione ed alla riuscita
del processo di apprendimento. I gesti sono più economici e veloci,
anche se le reafferenze (feedback) mantengono un ruolo di controllo. Il
movimento può essere sotto controllo della volontà.
Il movimento riflesso segue stimoli precisi ed è già definito a priori non
essendo inoltre sotto il controllo della volontà; un esempio di questo
genere di motricità è il riflesso da stiramento miotattico (es: riflesso
rotuleo). Il riflesso miotattico è il più semplice dei riflessi.
4. Componenti e strutture del movimento (le posture e schemi
motori)
Da un punto di vista biomeccanico il movimento umano può essere
concepito come un insieme di unità fondamentali o elementi semplici
come:
– posture;
– schemi posturali;
– schemi motori dinamici (schemi motori di base).
Le posture sono situazioni apparentemente statiche del corpo in cui le
diverse parti del corpo stesso mantengono un rapporto fisso tra loro.
Si definiscono in questo modo poiché non sono situazioni passive bensì
attive, comportano, infatti, un intervento attivo della muscolatura
corporea per contrastare la forza di gravità. Per mantenere una
postura interviene il cosiddetto tono posturale che è quel grado di
tensione a carico della muscolatura antigravitaria (es: muscoli
estensori del collo, dorsali, addominali, glutei, estensori della gamba,
flessori della gamba…).L’assunzione ed il mantenimento di determinate
posture è il risultato di numerosi fattori non solo neuromuscolari ma
anche psicoemotivi e sociali, a testimonianza del fatto che la postura
rispecchia il vissuto dell’unità bio- psicosociale umana (emozioni, vissuti,
condizionamenti, disagi).
Gli schemi posturali o statici sono atti motori segmentari che coinvolgo- no
solo alcune parti del corpo, senza modificare sostanzialmente la posizione
nello spazio del corpo stesso, sono poi solitamente costruiti e non usuali. Il
concetto di “schema” si rapporta ad una rappresentazione mentale del
movimento che dobbiamo compiere; ciò comporterà quindi una serie di
passaggi che avvengono nel sistema nervoso centrale secondo la
gerarchia funzionale che è stata spiegata nel paragrafo precedente. Gli
schemi posturali vengono definiti secondo i tre piani (frontale, sagittale,
orizzontale) e i tre assi di rotazione (longitudinale, anteroposteriore o
sagittale, traverso).
Gli schemi motori dinamici sono invece atti motori più complessi poiché,
a differenza degli schemi posturali definiti su tre dimensioni, gli
schemi motori dinamici sono quadridimensionali, presupponendo una
variazione globale del corpo anche nella dimensione spazio-
temporale. Essi coincidono con i gesti motori naturali ed abituali della
specie umana ed esistono tanti schemi motori dinamici quante sono le
forme globali di movimento dell’uomo (innumerevoli).
Si elencano gli schemi motori di base in quanto la loro padronanza
consente all’uomo la costruzione e l’automatizzazione delle abilità
motorie:
– camminare;
– correre;
– scavalcare/superare;
– saltare;
– atterrare;
– afferrare;
– lanciare;
– colpire/battere/calciare;
– strisciare;
– traslocare in quadrupedia;
– rotolare;
– arrampicarsi;
– attaccare/difendere.
Si è parlato di postura e di tono muscolare antigravitario, ma occorre
non dimenticare che esiste anche un tono muscolare basale. Esso è
sempre presente ed è l’unico tono muscolare presente anche nel
sonno, con una precisazione: il tono basale si azzera e quindi scompare
nella la fase REM. Durante questo periodo infatti, nonostante aumenti
l’attività cerebrale fino a raggiungere una condizione simile a quella della
veglia (si ha un aumento del sistema nervoso autonomo), si verifica la
perdita del tono della muscolatura: in sostanza, nel sonno REM si ha un
cervello attivo in un corpo praticamente paralizzato.
Le capacità caratterizzano e misurano l’efficienza di una funzione; lo
sviluppo unitario di una persona si realizza attraverso l’evoluzione di
tutti i sistemi biologici e delle relative funzioni.
Jean Le Boulch afferma che l’intervento motorio-educativo contribuisce
all’evoluzione di tutti i sistemi biologici. La pscicocinetica che risulta il
costrutto ideato dal nostro autore ha contribuito a “far chiarezza nei
campi della fenomenologia del movimento (l’agire e il fare
intenzionalmente proiettato verso il mondo) e della neurofisiologia del
movimento(apprendimento, controllo e regolazione del movimento).
Negli ultimi quarant’anni sono stati numerosi gli autori che hanno
voluto sottolinearne l’importanza; esse sono elementi essenziali e
presupposto iniziale per realizzare consapevolmente un’azione
motoria di prestazione, possono essere definite come “disponibilità
motorie individuali che abbisognano, per la loro educazione e sviluppo,
di una corretta e progressiva metodologia di lavoro”.
E' necessario aiutare il bambino a sviluppare e consolidare inizialmente
le capacità senso-percettive e gli schemi posturali, poi le capacità
motorie, quindi trasformare quest’ ultime in abilità specifiche.
Come per le definizioni anche le classificazioni relative alle capacità
motorie sono numerose; per convenzione si utilizzerà la seguente
suddivisione:
– capacità condizionali;
– mobilità articolare;
– capacità coordinative.
Le capacità condizionali sono determinate da processi metabolici che
influenzano l’energia a disposizione in termini di durata, quantità ed
intensità della risposta motoria. Le capacità motorie condizionali si
sinte- tizzano in tre sistemi:
– capacità di forza;
– capacità di resistenza;
– capacità di rapidità.
La capacità di mobilità articolare è una capacità intermedia tra quelle
condizionali e quelle coordinative ed è il presupposto per una
economica esecuzione dei gesti e dei movimenti.
Le capacità coordinative sono determinate dai processi di controllo e di
regolazione del movimento e si fondano sull’assunzione e
sull’elaborazione delle informazioni e sul controllo dell’esecuzione. Lo
sviluppo di tali capacità è influenzato dalla maturazione del sistema
nervoso centrale e periferico.
Per convenzione si dividono tali capacità in generali e speciali;
le capacità coordinative generali sono:
– capacità di apprendimento motorio;
– capacità di adattamento motorio;
– capacità di controllo del movimento.
Le capacità coordinative speciali sono:
– capacità di accoppiamento e combinazione del movimento;
– capacità di differenziazione cinestesica;
– capacità di equilibrio;
– capacità di ritmo;
– capacità di orientamento;
– capacità di reazione;
– capacità di trasformazione del movimento.
5. Dalle abilità motorie alle capacità motorie
Nel paragrafo precedente si è parlato di capacità motorie: per
concludere il capitolo su tale argomento è utile soffermarsi sulle abilità
motorie e la riuscita dell’apprendimento, analizzando così il rapporto
fra capacità ed abilità.
Le abilità motorie coincidono con il concetto di saper agire con efficacia;
sono azioni che, attraverso un esercizio ripetuto si consolidano
arrivando ad una sicurezza del movimento: essere abili significa
possedere competenza. L’abilità motoria non significa soltanto sapersi
muovere (capacità motoria) ma sapersi muovere bene, possedere
sicurezza e sistematicità.
L’utilizzo integrato delle capacità motorie condizionali e coordinative
consente lo sviluppo ed il mantenimento delle abilità motorie. Anche di
quest’ultime si espone brevemente una classificazione che tenta di
chiarire meglio il concetto:
– abilità globale/parziale: comporta un utilizzo globale o parziale delle
parti del corpo;
– abilità complessa/semplice: complessità/semplicità esecutiva;
– abilità discreta/seriale: comporta un inizio e una fine/sequenza
perio- dica di un’azione;
– abilità continua: comporta la ciclicità dell’azione;
– abilità utilitaristica: comporta l’adattamento del gesto alla situazione;
– abilità aperta/chiusa: azioni in situazioni dinamiche/statiche;
– abilità di prestazione: comporta il raggiungimento di una
prestazione sportiva.
L’apprendimento è quel processo che tende a far crescere nell’ bambino
il suo livello di competenza; esso avviene grazie all’interazione di quattro
componenti: il bambino ’,l'educatore , l’ambiente e il compito da eseguire.
La riuscita dell’apprendimento, quindi la nascita ed il miglioramento
dell’abilità motoria, segue un iter che Kurt Meinel nel 1984 ha così
descritto
– fase della coordinazione grezza;
– fase della coordinazione fine;
– fase della disponibilità motoria variabile.
La fase della coordinazione grezza caratterizza il primo approccio
all’esecuzione di un nuovo gesto; durante questi momenti l’allievo
raccoglie tutte le informazioni attraverso l’apparato senso-percettivo,
rappresenta mentalmente il movimento da eseguire e lo esegue con
attenzione molto elevata. L’esecuzione sarà lenta ed imprecisa con un
grande spreco di energia dovuto alle sincinesie associate ed al tono
muscolare contratto. Da un punto di vista neurofisiologico il movimento
è volontario e controllato.
La seconda fase dell’apprendimento di abilità motorie è la cosiddetta
fase di coordinazione fine: in questa fase l’abilità è già ad un buon livello
e l’esecuzione appare più facilitata, il gesto è più armonico e
continuo senza sincinesie associate.
La fase della disponibilità variabile, detta anche della “maestria” o
“dell’abilità ad alto livello”, consente all’allievo l’automatizzazione
completa del movimento quindi, di poterlo eseguire nel migliore dei
modi, anche in situazioni precarie, nuove e di disturbo.
Il corpo è inteso quindi come soggetto di azione e di relazione con il
mondo, per questo è importante favorire la sua espressione
canalizzando in modo consapevole e mirato le risorse e gli stimoli
spontanei dell’individuo nel corso del suo sviluppo evolutivo.
Lo sviluppo del bambino, soprattutto fino agli anni della scolarizzazione
primaria, è unitario, nel senso che vi è una stretta relazione fra la sua
motricità e la sua intelligenza, fra azione e pensiero. È con il corpo e le
sue realizzazioni motorie che il bambino struttura il suo Io ed acquisisce
la sua autonomia. Ed è sempre attraverso il corpo che il bambino
esprime i suoi desideri ed i suoi bisogni. Il corpo, il movimento e l’azione
sono gli elementi fondamentali per apprendere e operare sulla realtà.
Nella pratica, l’intervento psicomotorio si presenta come un mezzo
per favorire e migliorare le risorse dell’individuo e le sue potenzialità, e
per creare un’armonia e una presa di consapevolezza delle capacità ma
anche dei limiti di ciascuno.
La sua applicazione in ambito terapeutico può avvenire a livello
individuale o di gruppo, in situazioni di patologie conclamate oppure
in casi di disturbo o disagio. La presa in carico mira a mobilizzare
ogni possibile risorsa della persona e del suo contesto al fine di
intervenire sul sintomo a partire dalle complicazioni che
inevitabilmente accompagnano il disagio o il deficit nel rapporto con
l’individuo, gli oggetti e gli altri. Accanto al problema organico, infatti,
andiamo a chiarire e specificare i disturbi psicomotori che si possono
accompagnare e che, come si è detto, si esprimono attraverso il canale
privilegiato del corpo.
L’altro ambito di applicazione della psicomotricità è quello preventivo-
educativo che si realizza soprattutto in gruppo. In questo caso
l’obiettivo è quello di prevenire o di evidenziare eventuali problematiche
latenti o a rischio e di favorire, attraverso il lavoro nel gruppo, lo
sviluppo del bambino nella sua totalità e interdipendenza fra agire,
pensare, comunicare, sentire, percepire.
L’intervento psicomotorio, a qualunque livello va a collocarsi all’interno
della qualità, del benessere, del miglioramento conseguito globalmente
dal- l’individuo, dove il movimento agevola anche la comunicazione e la
relazione con l’ambiente che lo circonda.
Concludendo osservare l’evoluzione della funzione motoria significa
avviare un processo di educazione funzionale (nei contesti di cura in
genere, così come a scuola) che rilievi ciò che deve essere compensa to e
ciò che può e deve essere coordinato. Insomma si fa riferimento a tutto
quel percorso educativo-riabilitativo teso a seguire lo sviluppo di tutte
quelle capacità coordinative che se esercitate favoriranno, come
asserito da Blume, la capacità di direzione e di controllo (capacità di
accoppiamento, di differenziazione, di equilibrio, di orientamento) in
direzione del potenziamento cognitivo che ha bisogno per il suo
sviluppo di esercizi di percezione spaziale/visiva/uditiva, etc.
affinché ogni gesto si esprima in una successione sequenziale di
attività in direzione dell’adattamento a quel flusso di informazioni che
provengono dall’ambiente in cui il soggetto si trova ad agire. Se
volessimo seguire lo schema di Luria non potremmo che considerare:
1) un tempo diagnostico che presuppone la conoscenza
approfondita della neurofisiologia e della neuropsicologia in
riferimento allo sviluppo normale delle diverse funzioni psicomotorie,
il calcolo di un ritardo e la valutazione dell’età funzionale ( valutazione
delle abilità grosso-motorie, abilità fino-motorie, etc.. attraverso per
es.la Scala di valutazione delle Funzioni di bASE (SVFB) e la Scala di
sviluppo psi- comotorio della prima infanzia di Brunet- Lèzine; la Scala
Uzgiris- Hunt e le Griffiths Mental Development);etc.
2) un tempo educativo per cercare di determinare ciò che deve essere
compensato e ciò che può essere coordinato;
3) un tempo di programmazione del progetto educativo/riabilitativo
calibrato sui punti di forza e di debolezza neuropsicologici, scolastici e
sociali, sui possibili progressi per sondare se e in che misura la eventuale
compromissione motoria interferisca con l’apprendimento e con le
abilità di vita quotidiana e sociale.19
Appare chiaro che le abilità ed i comportamenti variano per ogni
paziente. e la terapia deve essere costantemente regolata e rivalutata.
L’aspetto più importante di un programma di riabilitazione pediatrica
soprattutto quando il bambino non ha linguaggio espressivo è quello di
riconoscere i segnali , e porsi l'obiettivo di di aiutare il soggetto in
difficoltà ad organizzare la vita di relazione e di accompagnarlo nel suo
percorso evolutivo ritrovando la condizione del potere creativo della sua
persona, riscrivendo la sua storia secondo i modi e i tempi di cui dispone.
.