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Commissariata Banca Etruria
L'istituto cerca da tempo un partner finanziario e ha
importanti perdite. Il vicepresidente è il padre della Boschi
Mer, 11/02/2015
Una nota pubblicata da Banca Etruria ha annunciato che l'istituto è stato messo sotto
amministrazione controllata dal ministero dell'Economia, su proposta della Banca d'Italia.
La Vigilanza avrebbe nel mirino soprattutto il patrimonio della banca, dove sono emerse "gravi
perdite", legate alle "consistenti rettifiche sul portafoglio crediti". Dopo i primi accertamenti, avviati
dalla Banca d'Italia ma ancora in corso, è stata proposta l'amministrazione straordinaria. Riccardo
Sora e Antonio Pironti sono stati nominati commissari.
Polemica la reazione del segretario della Lega, Matteo Salvini, che dai microfono di Radio Padania
ha sottolineato che il vicepresidente dell'istituto è il padre del ministro delle Riforme, Maria Elena
Boschi. Il ministro ha risposto in serata con un tweet: "Il Governo su proposta di Banca d’Italia ha
commissariato Banca Etruria. Smetteranno di dire che ci sono privilegi? Dura lex, sed lex".
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Banche popolari, l'opposizione attacca il
ministro Boschi: "Deve dimettersi"
La procura di Roma ha aperto un fascicolo sulle operazioni
anomale avvenute prima della riforma delle Popolari.
Gio, 12/02/2015
La procura di Roma ha aperto un fascicolo contro ignoti relativamente alle operazioni bancarie
anomale avvenute prima del 16 gennaio, data in cui vennero fuori i primi rumors sulla riforma delle
banche popolari.
Il fascicolo, curato dal procuratore capo Giuseppe Pignatone e dall'aggiunto Nello Rossi, è stato
aperto in seguito all'audizione del presidente della Consob, Giuseppe Vegas che ieri in Parlamento
aveva parlato di "plusvalenze effettive o potenziali di tale operatività stimabili in circa 10 milioni di
euro". La procura ha già richiesto alcuni documenti alla Consob e potrebbe fare altrettanto con
Bankitalia in merito al commissariamento di Banca Etruria. Il fascicolo non prevede ancora ipotesi
di reato.
Il governo insomma continua a scivolare sulla riforma delle banche popolari. Dopo il
commissariamento della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, l'istituto di cui il padre del
ministro è vicepresidente, adesso si scatena il fuoco incrociato sul ministro delle riforme. Il
vicepresidente di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale,Giorgia Meloni in un tweet chiede le
dimissioni del ministro: “Bankitalia commissaria Banca dell’Etruria e del Lazio e il padre della
Boschi. Credo che anche il ministro Boschi dovrebbe dimettersi”. Il commissariamento dell’istituto
di credito toscano ha suscitato una richiesta di chiarimenti da parte dell’opposizione. “Padoan
chiarisca i motivi del commissariamento di banca Etruria”. È quanto chiedono i deputati leghisti
Guido Guidesi, Filippo Busin, Stefano Allasia e Roberto Simonetti in un’interrogazione al ministro.
“I parlamentari leghisti intendono conoscere, con urgenza, “le ragioni del commissariamento, anche
in funzione di possibili incompatibilità, o conflitti di interesse, che esistevano, per questioni
parentali, tra un componente del consiglio di amministrazione di Banca Etruria e un componente del
governo”. La richiesta di spiegazioni fa riferimento anche “all’apertura dell’indagine della Consob
rispetto a possibili speculazioni sui titoli azionari delle banche popolari nelle ultime
settimane”. Duro l'intervento di Renato Brunetta: "Ha niente da dire Matteo Renzi? Ribadiamo:
Padoan in Parlamento a riferire". Da parte sua il minstro Boschi afferma: "Nessun privilegio.
Adesso è chiaro che non ci sono favoritismi".
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Fondata nel 1882 contendeva il primato
toscano a Mps
Ven, 13/02/2015
Strattonata a più riprese dal potere massonico aretino e dai salotti romani vicini alla Dc, Banca
Etruria è la prima (e finora l'unica) banca quotata italiana che è stata commissariata da Bankitalia.
Mai la Vigilanza era stata costretta ad arrivare a tanto come con la «banca degli orafi», neppure allo
scoppiare del dissesto Monte Paschi lasciato dalla vecchia gestione Mussari o verso l'ex Popolare
Italiana di Gianpiero Fiorani, poi salvata dal Banco Popolare.
Etruria, di cui fino a mercoledì era vicepresidente il papà del ministro Maria Elena Boschi, affonda
le radici nel distretto della gioielleria aretina ed è tra i pochissimi istituti italiani ad operare con i
lingotti aurei che tiene ben allineati nei propri caveau. Sia chiaro Etruria, complice la recessione, si
è progressivamente soffocata con le proprie mani: i crediti deteriorati arrivano a 3 miliardi, pari a
sei volte il patrimonio netto registrato a fine settembre, cioè prestiti che famiglie e imprese clienti
non sono più in grado di restituire.
La cooperativa della città di Amintore Fanfani, che nella Toscana del Pd non ha da tempo lo stesso
peso politico di Siena e della sua Rocca Salimbeni, avrebbe tuttavia oltrepassato la soglia di non
ritorno già durante l'ispezione voluta dalla Vigilanza nella primavera 2013. Complici conti
aggravati dal collasso dell'imprenditoria locale e dalla recessione, i rapporti tra l'allora presidente
Giuseppe Fornasari, spalleggiato dal direttore generale Luca Bronchi, e gli uomini di Via Nazionale
diventano infatti sempre più tesi, fino a sfociare nell'aperta incomprensione. Alla fine Palazzo Koch
ha aumentato, senza successo, il pressing perché Etruria trovasse un cavaliere bianco: si dice che lo
stesso Fabrizio Saccomanni, prima di lasciare la Vigilanza, si fosse lamentato con i vertici di
Etruria, sulla cui testa sarebbe poi caduta anche un'indagine per falso in bilancio. Un anno dopo, la
definitiva capitolazione del commissariamento. Insomma la città dell'oro ha pagato, un po' come Re
Mida, anche la propria hybris o perlomeno un orgoglio indomabile come quello che si respira nel
palio cittadino. Così come era forte il nerbo dello storico presidente Elio Faralli: banchiere simbolo
di un mondo considerato vicino alla massoneria, è stato per trent'anni il padre-padrone di Popolare
Etruria, pilota della sua espansione in Umbria e Lazio e «garante» degli interessi comunali nei
palazzi romani. La stessa loggia ufficiale cittadina dista peraltro poche centinaia di metri dalla sede
storica dell'istituto mutualistico. Faralli era inoltre decano e «generale in comando» della potente
lobby delle banche popolari, quelle che ora il governo di Matteo Renzi vuole spazzare via
trasformandole per decreto in società per azioni.
Il regno di Faralli è poi stato spezzato dal «golpe bianco» che nel 2009 porta appunto al vertice
Fornasari, uomo vicino alla Dc e sottosegretario all'industria per il governo Andreotti. Con il 2011
finiscono di entrare in consiglio di amministrazione, dove già sedeva l'ex numero uno di
Confartigianato Giorgio Guerrini, altri esponenti della finanza cattolica e delle associazioni, insieme
agli industriali Giovanni Inghirami e Laura Del Tongo.
La svolta però non riesce e la stessa posizione dell'imprenditrice del mobile si complica; così come
pesano ormai troppo i prestiti concessi alle micro-imprese di una città vissuta per decenni attorno
alla «sua» banca e ora in stato semi comatoso: Etruria, con i suoi 1.600 dipendenti è il secondo
datore di lavoro della provincia dopo la Asl locale. A quel punto c'è un altro ribaltone che lo scorso
anno affida le leve di comando Lorenzo Rosi. Gli si affianca come vicepresidente, e componente
del comitato esecutivo, il cattolico Pier Luigi Boschi, appunto padre del ministro delle Riforme ed
ex dirigente di Coldiretti.
Dopo 133 anni, la mutua è nata nel 1882, il tempo a disposizione di Arezzo è però scaduto. Da più
parti si scommette infatti che al massimo entro dicembre la banca dell'oro avrà un nuovo padrone di
casa. In passato si erano affacciate al dossier Intesa Sanpaolo e Popolare Vicenza, che si era tuttavia
vista rifiutare la proposta d'acquisto da Etruria, forse anche questa volta con un eccesso di zelo . I
commissari per fare cassa potrebbero porre sul piatto la controllata Federico Del Vecchio,
cassaforte dei «maggiorenti» fiorentini. Un marchio del lusso, ma pochi sanno che la gran parte
delle sue masse appartiene alla capogruppo.
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ETRURIA CHE GODURIA – LA BANCA NEI BOSCHI HA
PRESTATO SOLDI A TUTTI: SCEICCHI, COSTRUTTORI
DEL NORD-EST, IMPRESE SICILIANE E PORTI IN
MOLISE – OGGI È COMMISSARIATA E SOFFOCA TRA I
CREDITI INCAGLIATI
Mar, 17/02/2015
Il credito senza confini di Banca Etruria spaziava dall’automobilismo alla nautica, da nord a sud.
Raccontano che in un porto italiano siano ormeggiati tre yacht che la Banca di Arezzo,
commissariata dal Tesoro, avrebbe pignorato ad uno sceicco arabo, affidato e insolvente. E poi c’è
il vasto e vario carnet di società che la Banca dell’oro ha in pegno, a garanzia di crediti anche
onorati ma prova di come Etruria non guardasse troppo ai limiti territoriali pur di muoversi alla
grande.
Ed ecco che oggi la Popolare detiene in pegno il 100% delle azioni della Omp di Genova, che
produce accessori per motorsport e karting e si fregia di aver servito piloti tipo Senna e
Schumacher. E poi della Smm di Lugo di Ravenna, che ha costruito il porto turistico Marina Sveva
sul lido di Montenero di Bisaccia.
Ma anche un terzo delle azioni della società licenziataria per l’Europa dei californiani pantaloncini
Sundek, di Ylda che controlla il brand Sebach dei bagni chimici griffati da Oliviero Toscani.
Pacchetti azionari di società immobiliari, delle energie, di parecchi generi. E questo è, almeno in
parte, «credito buono». Ma poi ci sono sofferenze e incagli. Da Palermo a Benevento, da Bergamo a
Milano.
Quello del prestito facile, bislacco, «extra territoriale», è il punto nevralgico per Banca Etruria.
Un’insidia, oggi, per Lorenzo Rosi, che a maggio di un anno fa ha iniziato il mandato da presidente
della Banca, dopo essere stato vice (dal 22 febbraio 2013) e prima membro del cda (dal 27 aprile
2008). Prima e dopo Rosi ha seduto in consigli di amministrazione di molte aziende, in particolare
delle costruzioni, che hanno avuto affidamenti la banca.
E’ stato, fino al 25 luglio dell’anno scorso, presidente della Castelnuovese, una delle più note coop
di costruzioni della Toscana aderente alla Lega, amministratore di società partecipate impegnate
nella realizzazione di centri commerciali, come Pescara Outlet detenuta al 50% con Unieco e
liquidata a fine anno. Castlenuovese, fino poco tempo fa depositaria per 10 milioni di euro, per le
ultime imprese avrebbe cominciato ad attingere prestiti.
E gli affidamenti di Banca Etruria alla galassia di sigle delle costruzioni sarebbero saliti fino a 25
milioni di euro negli ultimi tre anni. L’ex presidente di Banca Etruria Rosi si nega al telefono.
L’attuale presidente dalla Castelnuovese, Alessio Ferrabuoi, non parla.
C’è, infine, la lista degli affari sballati. I detrattori inseriscono nell’elenco l’acquisto nel 2006 di
Banca del Vecchio, una manciata di sportelli a Firenze.
Un affare, dicono, che sta a Banca Etruria come Banca Antonveneta sta a Mps. Del Vecchio doveva
essere il forziere capace di portare in dote ad Etruria i ricchi patrimoni di antiche famiglie
fiorentine. Che però, quando arrivarono gli aretini, erano già salpati per altri lidi. Nelle settimane
precedenti l’operazione, un advisor aveva valutato la banca 50 milioni.
Ma il vecchio padre padrone dell’Etruria, l’allora presidente Elio Faralli, potente massone del
Grand’Oriente nella città di Licio Gelli, decise che bisognava stracciare i concorrenti. Un giorno si
rinchiuse da solo in una stanza con il presidente della Del Vecchio. Ne uscì col contratto e la banca
fiorentina acquistata per 113 milioni, mentre è oggi è iscritta a bilancio a 77 milioni e c’è chi gira ad
offrirla in vendita per 25.
PIER LUIGI BOSCHI
Un tipo speciale, Faralli, per trent’anni presidente della Banca. Nel 1999 lo convinsero a rinunciare
alla presidenza con una buonuscita da 1,3 milioni e un assegno annuale da 120.000 euro perché non
facesse concorrenza alla sua ex Banca. Ad 87 anni di età era ancora considerato un potenziale
concorrente e l’insidia valeva la spesa. E poi, coi «suoi», Banca Etruria non è mai stata avara.
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L’ETRURIA, APPENA COMMISSARIATA DA
BANKITALIA, OFFRE GIÀ LA PRIMA SORPRESA: UNA
PERDITA DA 400 MILIONI - LE PROTEZIONI
POLITICHE E LA CATTIVA GESTIONE DEI VERTICI,
BOSCHI SENIOR INCLUSO
Mer, 18/02/2015
Una cifra trapela dal religioso silenzio seguito al commissariamento della Banca Popolare
dell’Etruria: 400 milioni. Sarebbero queste le dimensioni della perdita, per ora «congelata», che
emerge dal preconsuntivo 2014. E intanto sembra delinearsi sempre più chiaramente il motivo
principale del blitz della Banca d’Italia: il mancato rinnovamento e rafforzamento della
governance.
È mercoledì 11 febbraio e in una sola giornata è come se il vertice della banca rivedesse in rapida
sequenza i fotogrammi di anni di gestione fuori controllo, prima di arrendersi all’«occupazione» di
Via Nazionale. In poche ore di un mercoledì nero tutti i nodi vengono al pettine.
Anche, e soprattutto, il nodo di chi siede nelle poltrone di vertice: il presidente Lorenzo Rosi, i
vicepresidenti Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre del ministro per le Riforme, Maria Elena.
La funzionaria di Bankitalia che con spiccato accento romano comunica l’imminente
commissariamento davanti agli occhi sgranati dei 15 consiglieri, fa esplicito riferimento alle lacune
della governance. A tutti i livelli, ovviamente, anche nella struttura manageriale e direttiva. Ma gli
sguardi e i calcoli sono tutti per i tre al vertice della piramide.
Il presidente (dal 2014) è in carica come consigliere e membro del comitato esecutivo dal 2008,
Boschi è in cda dal 2011 e Berni è stato direttore generale dal 2005 al 2008. I primi due sono
esponenti della componente cattolica di maggioranza, il terzo del nucleo laico-massonico. Tutti
entrati ben prima delle ispezioni seriali (2012-2013-2014) di Bankitalia, da cui sono emerse gravi
violazioni nella gestione. E che hanno fatto scattare le sanzioni anche per i tre al vertice.
La scorsa primavera, si racconta, la banca era già a un passo dal commissariamento. Se l’allora
presidente Giuseppe Fornasari si fosse ricandidato probabilmente il provvedimento sarebbe scattato
molto prima. Fornasari era indagato per falso in bilancio dalla procura di Arezzo insieme all’ex
direttore generale Luca Bronchi. Il nuovo presidente Rosi, pur se molto stimato in città, era
comunque considerato un «delfino», una scelta in continuità. E i due vicepresidenti «brave persone
della vecchia guardia». E invece l’assemblea del maggio 2014 doveva essere quella della totale
rottura con il passato, a prescindere dalle responsabilità.
Due cifre per dare un quadro sintetico: tra il 2009 e il 2014 la banca ha speso 14 milioni per
retribuire consiglieri e sindaci a fronte di perdite accumulate per 400 milioni (considerando i «soli»
126 milioni di rosso ufficiale nei 9 mesi dello scorso anno). Effetto di un portafoglio crediti carico
di «cadaveri». Dal 2008 non c’è dividendo. L’ex direttore generale Bronchi ha avuto uno stipendio
in progressiva crescita da 420 a 630 mila euro annui ed è uscito lo scorso agosto con un «regalo» di
1,2 milioni di euro. Insomma, la ramazza nella governance doveva essere ben più incisiva.
E poi, anche questo dice la funzionaria di Bankitalia, la Popolare Vicenza aveva presentato
un’offerta che non è stata sottoposta all’assemblea dei soci. Argomento spinoso perché poi la
Popolare Vicenza ha fatto i salti mortali per mettere in «assetto Bce» il patrimonio ed è uscita dal
2014 con 497 milioni di perdita consolidata. Certo, l’Opa a 1 euro (con le Etruria a 0,75 euro)
proposta l’anno scorso è forse un’occasione persa col senno di poi. Ma è utile ricordare che ci fu la
netta presa di posizione, addirittura con una nota, di un personaggio di grande influenza nella città
toscana come Giuseppe Fanfani, sindaco fino a pochi mesi fa: «Banca Etruria non si tocca, non può
diventare una filiale della Popolare di Vicenza».
Il renziano Fanfani, nipote dello storico leader democristiano Amintore, è stato nominato lo scorso
settembre membro del Csm in quota Pd. L’elenco dei motivi che hanno indotto Bankitalia a
prendere le redini dell’Etruria viene letto nel silenzio totale del consiglio dell’11 febbraio. Ma
qualche ora prima, quando nessuno ipotizzava il licenziamento, gli amministratori avevano
esaminato il preconsuntivo del bilancio 2014. Secondo fonti presenti alla riunione, a fronte di 620
milioni di ulteriori accantonamenti è emersa appunto una perdita nell’ordine di 400 milioni.
Cifra enorme, se confermata, per una banca locale e tutto sommato di piccole dimensioni (186
sportelli, 1.800 dipendenti). Ma doveva essere la definitiva spallata al passato, un punto e a capo,
nonché un messaggio a Bankitalia che, per altro, aveva gli ispettori insediati negli uffici della sede
dell’Etruria. Tutto inutile perché a metà pomeriggio arriva la doccia fredda. Convergono ad Arezzo
commissari, consiglieri di sorveglianza e funzionari di Bankitalia.
A consiglio aperto una rappresentante della delegazione legge il documento con le «accuse» e poi
chiude con le parole chiave: «Ora i commissari devono prendere in consegna l’azienda». Buonasera
e tutti a casa.
Ma già un’altra tegola si è abbattuta sul gruppo: le perquisizioni della Guardia di Finanza e
un’indagine della procura di Arezzo per una maxi truffa sull’Iva del commercio d’argento. Tra gli
indagati vi sarebbe anche Plinio Pastorelli, amministratore delegato di Oro Italia Trading, un
gigante nel commercio di metalli preziosi da quasi 500 milioni fatturato e totalmente controllato da
Banca Etruria.
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GLI UOMINI VICINO A ROSI, IL PRESIDENTE
DEFENESTRATO: “GLI HANNO FATTO FARE IL
LAVORO SPORCO, HA RIPULITO LA BANCA E ORA È
PRONTA PER ESSERE VENDUTO A UN PREZZO
IRRISORIO. BOSCHI ERA UNA ‘COPERTURA’ COL
GOVERNO. RIVELATASI INUTILE”
Ven, 20/02/2015
La storia del commissariamento della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio si intreccia con quelle
di un’importante cooperativa rossa e dell’ex presidente Lorenzo Rosi, 48 anni, laurea in Scienze
economiche, da otto mesi alla guida dell’istituto. Rosi, uno dei sette consiglieri d’amministrazione
confermati nel repulisti voluto dalla Banca d’Italia nel maggio scorso, è stato disarcionato con un
colpo che il diretto interessato considera sotto la cintura.
«Il giorno prima delle dimissioni ero andato a Roma a Palazzo Koch» ha confidato a un noto
professionista e vecchio amico: «Mi hanno detto vai avanti tranquillo». E invece alle 16 e 57
dell’11 febbraio i commissari di Bankitalia gli hanno chiesto di lasciare la stanza e gli hanno
consegnato un decreto in cui gli contestavano un presunto conflitto d’interessi. Finanziamenti
milionari alla cooperativa di costruzioni La Castelnuovese di San Giovanni Val d’Arno, di cui, sino
al luglio scorso è stato presidente, oltre che dipendente di lungo corso. Un attacco grave alla sua
credibilità.
«Se volevano la banca potevano chiedermi le chiavi e io gliele avrei date. Ma essere defenestrato
così non mi sta bene». L’amico di Rosi chiede a Libero di conservare l’anonimato visti gli incarichi
istituzionali che ricopre, ma ci tiene a dire due parole: «Gli hanno fatto fare il lavoro sporco, gli
hanno chiesto di firmare delibere sino all’ultimo giorno e poi lo hanno scaricato. Lorenzo ha ripulito
la banca e ora è un cioccolatino solo da scartare, pronto per essere venduto a un prezzo irrisorio non
superiore ai 70 milioni».
E per fare il «lavoro sporco» è stato scelto un uomo delle cooperative rosse, di Legacoop. Infatti
Rosi ha dovuto concordare con i sindacati 410 esuberi tra i lavoratori di Bpel e chiudere una
trentina di filiali. Tutte operazioni che sicuramente poteva gestire con minore stress un banchiere
«rosso» come Rosi.
«Ma non scrivete che è comunista, perché non lo è» precisa il suo improvvisato portavoce. Infatti
Rosi è stato per lunghi anni consigliere democristiano nella sua San Giovanni Val d’Arno, quando
don Camillo e Peppone non militavano ancora insieme nell’Ulivo e nel Partito democratico. Rosi va
a messa tutte le mattine e ha un fratello minore prete, don Francesco, ma la sua carriera è tutta
legata al colosso «rosso» delle costruzioni.
Entra nel gruppo grazie al diploma di geometra (si laureerà solo successivamente), nel 1987 diventa
responsabile tecnico, nel 1994 direttore, nel 1997, appena trentunenne viene nominato presidente.
Succede al «compagno» Stefano Sani, deceduto in un incidente. Per molti la sua nomina è
provvisoria, in attesa di trovare un candidato più ortodosso.
Ma chi gli tifa contro non ha fatto i conti con il cambiamento: dal 1995 pidiessini e popolari si sono
riuniti sotto l’Ulivo e anche un «baciapile» può guidare una coop rossa. Quindici anni dopo, i figli
dei vecchi democristiani della Val d’Arno, i Renzi e i Boschi, si prenderanno tutto il partito.
Parallelamente, nel 2008 Rosi inizia la sua scalata a Bpel come consigliere d’amministrazione, nel
2013 è vicepresidente, nel 2014 presidente. Negli stessi anni un altro ex democristiano, Pierluigi
Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena, sbarca nel cda dell’Etruria e con Rosi
diventa vicepresidente: «Ma Boschi non è un banchiere. Doveva essere l’ombrello renziano in
Bpel» ammette la gola profonda. Un parapioggia che non ripara un bel niente e che viene
«dimissionato» dalla sera alla mattina esattamente come Rosi.
«Eppure Lorenzo ha sempre fatto tutto quello che chiedeva Palazzo Koch e persino di più. Lo
ripeto, ha fatto il lavoro sporco. Ma non solo quello. La prima delibera di Rosi è stata quella di
dimezzarsi lo stipendio e per lo stress di 14 ore di lavoro giornaliere è uscito di strada con la sua
auto personale (a quella blu ha rinunciato subito) salvandosi per miracolo». Ha persino smesso di
fare i suoi 25 chilometri di bici giornalieri. Ma secondo Bankitalia ha concesso qualche
finanziamento milionario di troppo alla sua vecchia coop e alle partecipate. Gli affidamenti diretti
alla capogruppo ammonterebbero a 3 milioni e mezzo, mentre con le società collegate la cifra
salirebbe di molto, si dice a 25 milioni.
Davide Serra, Matteo Renzi, Maria Elena Boschi
«Ho fatto tutto rispettando la legge e ho confermato alla Castelnuovese gli affidi che aveva già
ricevuto in passato da Bpel» è lo sfogo raccolto da chi lo ha incontrato in questi giorni. La stessa
accusa viene mossa a un altro ex consigliere del cda, il commercialista fiorentino Luciano Nataloni,
pure lui democristiano, che della Castelnuovese è stato presidente del collegio sindacale e
consigliere, come Rosi, di una partecipata (al 40 per cento): la Città di Sant’Angelo outlet, che ha
realizzato un lussuoso centro commerciale in provincia di Pescara.
Gli incroci tra i due non sono finiti: Rosi è stato amministratore di Rekey, società del gruppo
Castelnuovese che nel 2012 viene ceduta allo stesso Nataloni. Per entrambi Bankitalia ha deciso di
approfondire l’osservanza o meno delle procedure previste dall’articolo 2391 del codice civile e
dall’articolo 136 del Testo unico bancario, quelli che regolano il conflitto d’interesse.
La legge prevede che quando si presenta questo rischio (per esempio nel caso dei finanziamenti alla
Castelnuovese) «la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le
ragioni e la convenienza per la società dell’operazione» ed evidentemente questo non è stato fatto.
Perlomeno nella precedente gestione. L’amico dell’ex presidente sbotta: «Perché Banca d’Italia così
severa oggi con chi da sette mesi prova a rimediare ai guasti, non ha impedito in passato tutti quei
finanziamenti sbagliati che oggi determinano il dissesto dell’istituto, a partire da operazioni
lontanissime dal territorio e che al territorio non hanno portato altro che guai?».
C’è un altro capitolo da chiarire che riguarda i rapporti tra Bpel e le coop. È uno degli argomenti
inseriti nel fascicolo del procuratore di Arezzo Roberto Rossi, che si sta occupando della vendita del
patrimonio immobiliare della banca a un consorzio capitanato dal gigante dell’immobiliare
Manutencoop.
L’affare, a cui ha partecipato anche l’imprenditore Matteo Minelli, l’amico birraio del premier
Matteo Renzi, aveva un valore di mercato di un’ottantina di milioni di euro e Manutencoop ha
acquistato il 23,72 per cento delle azioni per un valore nominale di otto milioni di euro; Minelli il
7,14. Però un’ispezione di Banca d’Italia ha accusato il consorzio di essere «non terzo». Infatti la
banca con una mano avrebbe venduto gli immobili e con l’altra avrebbe prestato i soldi agli
acquirenti.
L’ipotesi degli ispettori di Palazzo Koch è che si sia trattato di un’operazione di maquillage
contabile. Da Manutencoop replicano fermi: «Noi abbiamo partecipato all’affare con 8 milioni di
euro integralmente sostenuti con i nostri mezzi. Non abbiamo mai avuto rapporti di tipo finanziario
con la banca dell’Etruria. E gli altri soci? Questo dovete chiederlo a loro».
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LA STORIA DI BANCA ETRURIA, FEUDO DELLA
FAMIGLIA BOSCHI, TRA PRESTITI ALLEGRI, BUCHI DI
BILANCIO, E CLASS ACTION DEI PICCOLI AZIONISTI:
“DOBBIAMO SOTTRARLA A CHI L’HA RIDOTTA COSÌ”
Lun, 23/02/2015
Al caffè Michelangelo, l'unico bar nel centro storico di Laterina, si gioca a carte. Scopa. La posta è
qualche bicchiere. Qui ancora si paga a consumo. “Il caffè correggilo a dieci centesimi che ho
giusto un euro”, sono le richieste tipo dei pensionati presenti. Ai tavoli, tra un'imprecazione e
l’altra, qualcuno bofonchia delle sorti di banca Etruria. Ma i commenti si limitano alle spallucce, nel
tempo che serve a mischiare e ridistribuire le carte.
Eppure questo è il paese della famiglia Boschi. Nella piazza su cui affaccia il bar c'è la chiesa in cui
Maria Elena è cresciuta e che tutt'ora frequenta, accanto il Comune di cui Stefania Agresti, mamma
del ministro, è vicesindaco. Li conoscono tutti, i Boschi. Qui nel 1948 è nato Pier Luigi, diventato
prima latifondista, poi presidente di Confcooperative, consigliere della Camera di Commercio fino
al 2013 e l'anno successivo vicepresidente della banca d’Etruria nella quale il fratello di Maria
Elena, Emanuele, ha fatto un’ottima carriera.
Entrato poco prima del 2010 oggi è un dirigente con un contratto quadro di secondo livello e
percepisce anche un compenso premio che in banca chiamano “personam”. È il numero due
dell’ufficio incagli, quello da cui passano i crediti che non si riescono a recuperare e finiscono nel
pozzo dei deteriorati. Voce che per l’Etruria è da anni la più importante a bilancio. Dal 2012, per
l’esattezza.
DA PICCOLO ISTITUTO A GIGANTE DAI PIEDI D’ARGILLA
Da qui inizia la storia che trasforma la banca dell'oro in banca del buco con 2,8 miliardi di
sofferenze e un patrimonio ridotto a poco meno di 20 milioni. Storia ricostruita da Bankitalia
nell’ispezione terminata nel 2014 e che ha poi dato avvio all'inchiesta della Procura di Arezzo nei
confronti dei vecchi e nuovi vertici per vari reati - tra cui ostacolo alla vigilanza - aperta dal
procuratore capo, Roberto Rossi.
Storia che inizia nel 2012 quando ancora bastava un aumento di capitale per tentare di recuperare le
perdite che già ammontavano a 1 miliardo 260 milioni di euro. L’aumento andò in porto ma gli
ispettori di Banca d'Italia, all'epoca già ad Arezzo, ebbero da ridire: verificarono che molti
affidamenti inferiori ai 300 mila euro concessi con crediti chirografari, cioè senza garanzie, non
erano stati riportati e conclusero che i fondi deteriorati erano sottostimati del 19,7%. C’erano
dunque altri 136 milioni di fondi elargiti e persi.
Ma l’istituto mostrava ancora solidità. I 342 milioni di capitale sociale erano garantiti da 252
milioni di azioni in mano a circa 60 mila soci e il titolo nel febbraio 2012 valeva 3,92 euro. Etruria
sembrava dunque essere riuscita a digerire l'esborso di 120 milioni di euro per acquistare la banca
privata fiorentina Federico del Vecchio, cassaforte della borghesia toscana, pagata ben 80 milioni
più di quanto stimano da San Marino.
Sembrava aver superato anche l'acquisizione della banca Lecchese, l’acquisto di 14 sportelli di
Unicredit per oltre 40 milioni e persino l’incorporazione di ConEtruria ed Etruria Leasing. In quel
2012 non era più la banca di mutua popolare nata nel 1882 radicata nel territorio e all'agricoltura,
non era neanche più la banca dell'oro, legata allo sviluppo degli orafi aretini, sembrava diventata un
gigante rispetto alle origini.
Sembrava. Il cda guidato da Giuseppe Fornasari - con vice Lorenzo Rosi e tra i consiglieri Pier
Luigi Boschi – porta a bilancio 1,5 miliardi di sofferenze. Il 25 febbraio 2013 il titolo che un anno
prima valeva 3,92 euro, crolla a 1 euro e 20 centesimi. Ad aprile la singola azione scende sotto
l'euro. Per rimanere a Piazza Affari con un valore non troppo ridicolo il consiglio decide di dare il
via a un'operazione cosiddetta di raggruppamento: a ogni 5 azioni sarà corrisposta una sola azione.
Il passaggio avviene il 29 aprile 2013 e il titolo chiude a 0,93 centesimi.
In pratica il valore reale delle singole azioni era inferiore ai 20 centesimi. Banca d'Italia interviene
nuovamente. Impone il rinnovo del cda e caldeggia un “matrimonio” con un istituto capace di
assorbire le perdite dell’Etruria. Nel maggio 2014, con il titolo a 0,70 centesimi, si fa avanti la
popolare di Vicenza con un'offerta pubblica di acquisto vantaggiosa: 1 euro ad azione.
Il cda però rifiuta. Nel frattempo il board aveva quasi cambiato volto. In realtà, ha tra l'altro
contestato Palazzo Koch nel decreto con cui l’11 febbraio scorso ha commissariato l’istituto, è
cambiato solo il presidente: non più Fornasari ma Rosi. Che però era vice di Fornasari. Mentre il
numero due, Pier Luigi Boschi, era già consigliere nel 2011.
VERSO LA CLASS ACTION PER TUTELARE I PICCOLI AZIONISTI
Insomma, secondo gli ispettori di Banca d’Italia non è stata attuata l’invocata discontinuità. E oggi,
con i commissari a controllare i conti, anche ad Arezzo molti fanno spallucce, come al caffè
Michelangelo di Laterina. “Doveva essere commissariata un anno fa”, ne è certo Vincenzo Lacroce.
Quando la procura dispose le perquisizioni. “Io lo dissi allora e lo ripeto oggi: doveva arrivare
prima Banca d’Italia”.
Lacroce parla con cognizione di causa. Non solo è stato per oltre venti anni ispettore di Palazzo
Koch, ma da quando è in pensione guida l'associazione amici di banca Etruria, è socio e azionista
della popolare e nel 2014 gli è stato proposto di entrare nel cda. Ma rifiutò. Un altro profondo
conoscitore della banca è Rossano Soldini. Imprenditore, Soldini ha un pacchetto personale di 150
mila azioni dell’Etruria (Boschi, per dire ne ha meno di
600) e fece il suo ingresso nel cda nel 2007 ma nel 2012 lasciò “dopo aver scoperto gli enormi
conflitti di interessi di vari consiglieri”, ricorda.
“Denunciai oltre 220 milioni di euro che i consiglieri si affidavano con disinvoltura, poi l'elezione
di Fornasari con 8 voti a favore e 7 contrari ma tra i favorevoli venne conteggiata la preferenza di
un consigliere che non avrebbe potuto votare perché superato l’ammontare degli affidamenti”.
Insomma “per me era impossibile rimanere in consiglio”. Ora “dobbiamo pensare a una class action
e tentare di restituire la banca agli aretini, ai cittadini, a questo territorio”. Sottrarla, dice, “a chi l'ha
condotta qui mischiando le carte”. Un po' come al caffè Michelangelo di Laterina, sempre che i
commissari di Bankitalia riescano a trovare il modo di organizzare un’altra mano.
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LA POPOLARE DELL’ETRURIA AVEVA I CONTI IN
BILICO GIÀ DA ANNI – DAL 2012 HA TRIPLICATO IL
TRADING SUI TITOLI DI STATO PER MASCHERARE LE
PERDITE SUI CREDITI – BANKITALIA SE NE ACCORSE
MA IL COMMISSARIAMENTO È ARRIVATO SOLO
ADESSO
Mar, 24/02/2015
Il redde rationem è arrivato, ma per come si erano messe le cose in quel di Arezzo, appare evidente
che non c'era altra soluzione se non il commissiariamento della banca. La Popolare dell'Etruria era
in serie difficoltà da molto più tempo di quanto non apparisse ufficialmente dai conti. Dal 2011
infatti si assiste a un violentissima esplosione dei credit malati, ma la banca comincia a fare pulizia
seria con forte ritardo. E male. Solo i crediti deteriorati netti infatti passano da 1 miliardo del 2011 a
1,4 miliardi del 2012 per salire infine a 1,6 miliardi già nel 2013. E sono quelli al netto delle
rettifiche che si cominciano a fare pesantemente solo a fine del 2012.
I crediti lordi sono a quote molto più alte: sono nel 2013 arrivano a pesare per oltre 2,5 miliardi.
Non poco, anzi moltissimo per una banca che ha impieghi totali per 6,8 miliardi. Oltre il 30% del
portafoglio è in condizioni di cattiva salute. Cosa fa il vertice dell'Etruria nel cui Cda siede il padre
del ministro Boschi? Decide in qualche modo di contrastare la pericolantissima situazione della
qualità del suo portafoglio, compensandola con un'incetta senza precedenti di titoli di Stato.
Una vera e propria scorpacciata che attirerà dure critiche da parte di Bankitalia. La banca passa così
dal detenere BTp da un valore già alto di 2,1 miliardi a fine 2011 a ben 5,4 miliardi nel 2012 per poi
sfondare il tetto dei 7 miliardi nel 2013. Il portafoglio titoli triplica in un triennio e finisce per valere
da solo la metà dell'intero bilancio della banca di Arezzo. Una cosa mai vista in Italia. È come se,
per fare solo un paragone, IntesaSanpaolo si fosse messa a comprare 300 miliardi di titoli di Stato.
Quei 7 miliardi in Btp finiscono per quasi superare il valore dei prestiti. Nessuna tra le banche
commerciali ha una posizione così rilevante. Tanto che Banca d'Italia interviene e impone al Cda
dell'Etruria di vendere almeno 2 miliardi di quel portafoglio. Troppa concentrazione che finisce per
trasformare l'Etruria in una sorta di investment bank.
Già ma a cosa serve quella manovra? L'effetto primo è di far fare alla banca ricavi da trading per
tenere alto il margine d'intemediazione. Dal trading arrivano infatti solo nel 2013 ben 130 milioni di
ricavi, ben un terzo di tutti i ricavi dell'istituto realizzati quell'anno.
Senza quell'operazione bocciata da Bankitalia il buco di bilancio nel 2013 sarebbe stato di almeno
200 milioni e non di soli 74 milioni come scriveranno a bilancio i vertici della banca. Solo se tieni
alti i ricavi comprando e vendendo BTp puoi dissimulare agli occhi del mercato le pessime
condizioni del portafoglio crediti che continua a deteriorarsi a ritmi più alti della media del settore.
Si prende tempo, ma la pulizia diviene inevitabile e porta le perdite solo nei primi 9 mesi del 2014 a
124 milioni. Nel frattempo l'Etruria rifiuta sdegnata l'offerta della Vicenza per comprare i titoli a 1
euro per azione nonostante Banktalia spinga per un matrimonio salvifico. Con il capitale sceso a
poco più di 500 milioni, sotto la soglia di Vigilanza, e che vale solo un terzo dei crediti netti malati
ancora da svalutare, l'Etruria appare di fatto sulla via del dissesto. Inevitabile il commissariamento,
forse fin tardivo.
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I guadagni sospetti in Borsa e il ruolo di papà
Boschi nella banca sull'orlo del crac
Il caso Banca Etruria ad Arezzo
Gio, 19/03/2015
Roma - «Mi dispiace per la mia famiglia e, soprattutto, per mio padre che è molto riservato e si è
trovato nel vortice.
Per fortuna, però, siamo molto uniti». Così disse il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, al
settimanale Chi qualche settimana fa. D'altronde, è o non è un grande dispiacere assistere al triste
commissariamento di Banca Etruria della quale il proprio padre, Pier Luigi, è vicepresidente? Lo è,
lo è, soprattutto quando a prendere il provvedimento su segnalazione della Banca d'Italia è il
governo del quale si fa parte. «Così la smetteranno di dire che ci sono dei favoritismi», twittò
vibrantemente il ministro.
A lei che è diretta emanazione del presidente del Consiglio nessuno (o quasi) ha chiesto un passo
indietro. Ci mancherebbe altro! Il premier potrebbe aversene a male. Eppure qualcuno ci ha provato
insinuando che il decreto Investment Compact che trasforma le banche popolari in società per
azioni fosse stato sfruttato da qualche «manina» vicina a Palazzo Chigi visti i rialzi in Borsa dei
titoli delle banche «cooperative» registrati nella seconda metà di gennaio. La Boschi allontanò da sé
qualsiasi sospetto: lei a quel Consiglio dei ministri non era presente perché in Senato e, poi, non
avrebbe mai potuto parteciparvi per conflitto di interessi. D'altronde, come rivelano le dichiarazioni
patrimoniali presentate alla Camera, Boschi è una piccola azionista dell'istituto aretino: aveva (e
probabilmente ha ancora visto che è stata sospesa a tempo indeterminato dalle quotazioni) 1.557
titoli, circa mille euro.
E poi anche Pier Luigi Boschi, al momento, non è oggetto di alcuna azione penale. La Procura di
Arezzo già da tempo indagava sulla precedente gestione di Banca Etruria, quella che - secondo
alcune indiscrezioni - avrebbe lasciato in eredità all'ultimo consiglio di amministrazione ben 400
milioni di perdite. La Procura di Roma, invece, ha aperto un fascicolo senza notizie di reato per
verificare la sussistenza dell'ipotesi di ostacolo all'attività di vigilanza. Circostanza possibile anche
se i funzionari di Bankitalia erano praticamente di casa ad Arezzo sin dal 2012, cioè dall'anno
successivo in cui il papà di Maria Elena, ex esponente della corrente forlaniana della Dc, entrò nel
consiglio della banca.
E poi il ministro è così simpatico che non si può certo bersagliarlo con inopportune richieste di
dimissioni. Che cosa c'entra lei? Lei che sta riscrivendo la Costituzione con un ddl che porta il suo
nome! Lei che adesso fa la spola tra Palazzo Chigi e le Camere e non ha tempo per trovare un
fidanzato e, nelle interviste glamour, ricorda con nostalgia le uscite in discoteca fino alle 5 di
mattina. No, non si può proprio. Maria Elena Boschi è giovane, renziana, moderna, dinamica. Il
sistema economico-finanziario aretino, diviso tra vecchi democristiani e vecchi massoni, con lei non
c'entra proprio. Il padre era vicepresidente di Banca Etruria e anche il fratello vi ha lavorato. Ma
può accadere a tutti.
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LA POPOLARE DELL’ETRURIA PERDE IL PRIVILEGIO
DELLE PRESTAZIONI LAVORATIVE DEL FRATELLO
DELLA BOSCHI – PRIMA DI LUI AVEVA FATTO LE
VALIGE IL PADRE PIER LUIGI, VICEPRESIDENTE
DELLA BANCA FINO ALL’ARRIVO DEI COMMISSARI
DI BANKITALIA
Mar, 31/03/2015
Ha deciso di lasciare Banca Etruria per lavorare presso uno studio legale di Firenze. La decisione è
quella presa da Emanuele Boschi, fratello del Ministro alle riforme che, proprio in questi giorni, ha
scelto di non lavorare più nell’istituto di credito aretino.
Emanuele Boschi, 32enne laureato in economia, era stato assunto alla BPEL nel 2007 come
responsabile del servizio cost management.
Soltanto lo scorso 11 febbraio il padre del ministro, Pierluigi Boschi decadde dal ruolo di vice
presidente in seguito al commissariamento di Banca Etruria su indicazione di Bankitaia.
Nel frattempo, Banca Etruria sta proseguendo il cammino di risanamento attivato prima dal vecchio
cda e poi proseguito con l’arrivo dei commissari.
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LA POPOLARE ETRURIA, DOVE LAVORAVANO IL
PADRE E IL FRATELLO DEL MINISTRO BOSCHI, ERA
IL REGNO DELLE OPERAZIONI IN PERDITA E IN
CONFLITTO D’INTERESSI – PAROLA DELLA BANCA
D’ITALIA, NEL SUO RAPPORTO SEGRETO
Mer, 17/06/2015
Il linguaggio degli ispettori della Banca d'Italia è piatto come si conviene, ma sono i numeri che
urlano: “Secondo la mappatura degli interessi ai sensi art. 2391 (quello del codice civile sul
conflitto di interessi, ndr) 13 amministratori e 5 sindaci hanno ‘interessi’ in n. 198 posizioni di fido,
per un importo totale accordato, al 30-09-2014, di ca. euro 185 milioni”. Mediamente ciascuno
degli amministratori e sindaci messi sotto accusa ha dunque “interessi” in oltre dieci finanziamenti
concessi dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, commissariata nel febbraio scorso.
L’istituto di Arezzo è piccolo ma la sua storia è significativa. L’allegra abitudine di prestare i soldi
della banca ad amici e amici degli amici, già autorevolmente denunciata dal governatore Ignazio
Visco, si presenta ormai come una costante del sistema del credito. E la drammatica crisi delle
“sofferenze” (i crediti concessi ad aziende che non riescono a rimborsarli), un bubbone da 200
miliardi di euro che il governo e la stessa Banca d’Italia stanno cercando di fronteggiare con
un’iniezione di denaro pubblico (la cosiddetta operazione bad bank) che Unione europea e Bce non
vogliono consentire, in quell’allegra abitudine sembra avere buona parte delle sue radici.
Tutta colpa della crisi, naturalmente. Quando l’economia gira, i furbi hanno ottime possibilità di
farla franca e addirittura c'è chi sostiene che certi finanziamenti un po’ audaci servono a mettere un
po’ di turbo alla crescita. Quando l'economia si ferma, come è il caso di quella italiana da otto anni,
il meccanismo si inceppa. E quando le banche saltano arrivano ispettori e commissari e trovano i
caveau pieni di cadaveri. Basta andare a memoria: Banca Marche, Carige, Popolare di Milano,
Veneto Banca, solo per citare i casi più recenti.
Ogni volta che una banca va in difficoltà c’è lavoro per le procure della Repubblica, e sempre tra le
irregolarità rilevate c’è l’allegra abitudine del finanziamento agli amici. Non solo. Leggendo la
relazione della Banca d’Italia sull’ultima ispezione, si deduce che i vertici di Banca Etruria,
totalmente impermeabili ai ripetuti, pressanti interventi della vigilanza e della magistratura,
continuano a fare come gli pare.
L'istituto aretino aveva già avuto un’ispezione nell’estate 2013, il cui unico risultato, a quanto pare,
è stato il siluramento del presidente Giuseppe Fornasari e la presa del potere di un saldissimo trio: il
presidente Lorenzo Rosi, che era stato vice di Fornasari, e i due nuovi vicepresidenti Pier Luigi
Boschi (padre del ministro Maria Elena) e Alfredo Berni, direttore generale della banca durante la
lunga stagione di chi ne fu il vero padre-padrone, il defunto Elio Faralli.
Notando che la banca non veniva rimessa sui binari di una gestione soddisfacente, l’11 novembre
scorso Visco ha spedito nuovamente ad Arezzo una squadra di nove ispettori che hanno
nuovamente aperto i cassetti della banca e a fine lavoro, il 27 febbraio, hanno dato all’Etruria il voto
più basso nella scala da 1 (esito favorevole dell'ispezione) a 6 (esito sfavorevole). E hanno aperto la
cosiddetta “procedura sanzionatoria” per i consiglieri e i sindaci, nel frattempo mandati tutti a casa
l’11 febbraio.
Per esempio, Boschi padre – seguito con particolare attenzione dalle cronache a causa dell’illustre
parentela – è già stato colpito dopo le precedenti ispezioni da una multa di 144 mila euro per
“violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e
nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”. Adesso
rischia una nuova multa dello stesso ordine di grandezza per “carenze nel governo, gestione e
controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale”. In pratica gli viene contestata
una recidiva.
L’ennesima tegola proveniente da quella che era diventata una sorta di banca di famiglia. Il fratello
del ministro, Emanuele Boschi, dopo le polemiche seguite al commissariamento, ha lasciato il suo
posto da dirigente della banca Etruria, dove, ironicamente, era il numero due dell’ufficio incagli.
Nel mirino con papà Boschi, oltre a Rosi e Berni, ci sono altri nomi illustri del salottino
finanziario aretino: da Claudia Bugno, chiamata da Matteo Renzi subito dopo il commissariamento
dell’Etruria a coordinare il comitato per la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024, all’ex
dirigente Consob Claudio Salini, fino all’ex presidente del collegio sindacale, Massimo Tezzon, già
direttore generale della Consob e oggi sindaco anche in altre importanti società quotate.
Ma il personaggio che sembra maggiormente appassionare gli ispettori Bankitalia è Luciano
Nataloni, importante commercialista fiorentino, per molti anni consigliere dell’Etruria e fino al
commissariamento vicepresidente della piccola controllata fiorentina banca Federico Del Vecchio.
Viene indicato come l’incarnazione della tradizione aretina del conflitto di interessi. Scrivono gli
ispettori: “Nel corso delle analisi ispettive è emerso che il sopra citato esponente dr. Nataloni era
‘interessato’ quale consulente in 9 di dette posizioni (le 185 di cui sopra, ndr) di cui 2 classificate a
sofferenza (‘Consorzio Etruria scarl’ e ‘Etruria investimenti spa’), con previsioni di perdita per 5,4
milioni di euro”.
Il consorzio etruria è un colosso toscano delle costruzioni afferente al sistema delle cosiddette
cooperative rosse, andato a gambe all’aria dopo aver tentato di salvare la Baldassini Tognozzi
Pontello di Riccardo Fusi, l'amico di Denis Verdini coinvolto nell'inchiesta sulla cricca del G8.
Trasversalismi alla toscana. Ma guardate come tutto si tiene. Rosi, oltre che presidente di Banca
Etruria per i pochi mesi che gli sono serviti a farla commissariare disobbedendo alle ingiunzioni
della Banca d'Italia, è stato fin dal secolo scorso presidente plenipotenziario della Castelnuovese,
altra potente coop rossa toscana delle costruzioni.
Notano gli ispettori: “Non è stata approfondita la convenienza della banca nel compiere le
operazioni né [è stato] effettuato un confronto tra le condizioni applicate e quelle di mercato (...)
Come è emerso dalla documentazione delle pratiche di fido relative al campione ispettivo, le sopra
citate carenze rilevano a vario titolo, in particolare, per il dottor Nataloni (posizioni Immofin srl,
Città S. Angelo Sviluppo spa, Td Group spa, Gruppo Casprini, altre alla citata Etruria Investimenti
spa) e per il dottor Lorenzo Rosi (Città S. Angelo Outlet Village spa, Castelnuovese soc.
cooperativa e la citata Città S. Angelo Sviluppo spa)”.
Quindi la Banca Etruria di Rosi ha finanziato Città S. Angelo, un grande outlet che la Castelnuovese
di Rosi ha costruito a Pescara in società al 50 per cento con la Unieco di Reggio Emilia, altro
gigante delle coop rosse.
L’operazione è andata male, e adesso il conto da pagare è rimasto ai commissari della banca.
Dev’essere a causa di storie come questa che fu scelto il termine ‘sofferenze’.
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M5s: "Siete tutti massoni". E la Boschi:
"Massone lo dici a tua sorella"
Il capogruppo del M5s stuzzica la Boschi: "Avete demolito la
carta costituzionale sulla base di indicibili accordi massonici".
E lei: "Massone lo dici a tua sorella...
Mer, 14/10/2015
Durante le dichiarazioni di voto sulla riforma costituzionale al Senato, il capogruppo del
Movimento 5 stelle stuzzica la maggioranza e, rivolgendosi alla Boschi, dice: "Avete demolito la
carta costituzionale con la vostra superficialità e con una prepotenza autoritaria sulla base di
indicibili accordi massonici".
Questa frase proprio non è andata giù al ministro che, dopo aver fatto un po' di smorfie, si lascia
andare poche (ma forti) parole: "Massone lo dici a tua sorella...". Il labiale è stato subito registrato
dalle telecamere.
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Il governo si muove in fretta e "salva" la
banca di papà Boschi
L'Etruria e altre tre rischiavano il crac. Domani Cdm per
creare il fondo di garanzia pagato dagli istituti
Sab, 21/11/2015
Roma - Il destino di Banca Etruria (l'istituto del quale era vicepresidente il padre del ministro Maria
Elena Boschi), Banca Marche, CariFerrara e CariChieti è definitivamente al sicuro.
Le quattro banche sull'orlo del fallimento da ieri sono pressoché certe della loro sopravvivenza.
Domani il Consiglio dei ministri dovrebbe riunirsi in via straordinaria per costituire un fondo di
salvataggio bancario, pronto a intervenire sui quattro istituti commissariati, allo studio del governo.
Il nuovo istituto sarebbe finanziato direttamente dai gruppi bancari italiani in modo obbligatorio e
proporzionale ai depositi e non dal governo, come prevede la nuova normativa europea nella fase
iniziale.Viene dunque bypassato il fondo interbancario di tutela dei depositi, che era stato investito
della questione e che era stato finanziato con una linea di credito da 1,5 miliardi dai sette principali
istituti italiani (Intesa, Unicredit, Mps, Banco, Ubi, Bper e Bpm) per ricapitalizzare le quattro
banche. Le risorse del nuovo fondo potrebbero essere prelevate modificando la destinazione dei
finanziamenti. La mossa ha lo scopo di attivare il meccanismo di risoluzione delle crisi prima del
primo gennaio quando entrerà in vigore la normativa sul bail-in che prevede anche il
coinvolgimento diretto dei correntisti con depositi superiori a 100mila euro.La battaglia vede
trionfare l'attitudine dirigista del premier Renzi (che potrà vantarsi di aver evitato il prelievo sui
correntisti), il ministro Padoan, il presidente dell'Abi Antonio Patuelli e gli ad delle due principali
banche italiane Ghizzoni (Unicredit) e Messina (Intesa).
Sconfitta, invece, la linea rigorista del governatore di Bankitalia Visco e, soprattutto, sconfitta per
ora la Commissione Ue.Le quattro banche in crisi dovrebbero vedere ognuna lo spacchettamento
dei crediti in sofferenza e, pertanto, essere salvate - nella parte in bonis - da un cavaliere bianco. I
prossimi passi di Renzi nel mondo finanziario ora riguarderanno il nuovo piano industriale della
Cassa depositi e prestiti guidata da Fabio Gallia e Claudio Costamagna. L'uscita dopo otto anni
dello storico portavoce della presidenza di Cdp, Guido Rivolta, è sintomatica dell'intenzione di
Palazzo Chigi di allineare via Goito ai suoi desiderata. Allo stesso modo, riferisce il sito internet del
Fatto, si preparerebbe un avvicendamento in Ferrovie dello Stato perché l'ad Elia non avrebbe
corrisposto ai desiderata del premier.Ieri il Senato ha dato il via libera alla legge di Stabilità che
subirà numerosi rimaneggiamenti alla Camera. In particolare, si attendono almeno 500 milioni per il
capitolo sicurezza vista la possibilità ventilata dall'Ue di escludere queste voci straordinarie dal
Patto di Stabilità. Sul fronte politico, invece, si segnala che i verdiniani non hanno votato la fiducia,
mentre il gruppo di quattro senatori vicino all'ormai ex Ncd Qagliariello si è astenuto. I 164 sì
mostrano la fragilità di una maggioranza aiutata dai dissidenti del Pd.
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Tre miliardi da tre banche salvano gli istituti
in rosso Come quello di papà Boschi
Unicredit, Intesa e Ubi anticipano i soldi per finanziare il
nuovo fondo ad hoc. Oggi da Palazzo Chigi l'ok al piano
Dom, 22/11/2015
Massimo Restellinostro inviato a RavennaIntesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi Banca si preparano a
firmare un assegno fino a 3 miliardi per rendere possibile l'immediato salvataggio, sotto gli occhi di
Bankitalia e la garanzia «politica» del governo Renzi, dei quattro istituti di credito più malconci del
Paese: BancaEtruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cari Chieti.
Tutte commissariate in questi ultimi anni dalla Vigilanza per una gestione resa insostenibile da
gravi carenze contabili, prestiti concessi ai soci con una certa generosità, investimenti immobiliari
sbagliati e, tranne Etruria che è una popolare, da scambi nelle posizioni di comando con le loro
Fondazioni azioniste. In pratica una governance fatta con le porte girevoli.Il pulsante d'avvio del
salvataggio sarà schiacciato questo pomeriggio dal consiglio dei ministri (i lavori sono attesi alle
ore 17,30) costretto a fare in fretta per evitare che da gennaio, con l'entrata in vigore del bail-in,
siano chiamati a pagare anche i rispettivi correntisti dei 4 istituti che hanno oltre 100mila euro di
giacenza. Di BancaEtruria è stato vicepresidente, fino al commissariamento, Pierluigi Boschi, padre
del ministro Maria Elena.
Il Tesoro sta limando il meccanismo di intervento ma il risultato dovrebbero essere alcuni decreti
attuativi di raccordo con la normativa comunitaria, di cui sempre oggi è atteso il benestare al
salvataggio. Per aggirare lo stop posto dall'Europa agli aiuti di Stato, tutto avverrà infatti attraverso
il neonato «Fondo di risoluzione», cui partecipano i 155 istituti dell'universo Abi, caricandovi
subito sia la «rata» da 500-600 milioni del 2015 sia quelle dei prossimi tre anni. L'onere
complessivo sui bilanci 2015 dell'industria bancaria si attesterà quindi a 2-2,5 miliardi. Vista
l'impossibilità di attendere i tempi di un incasso così frazionato, Intesa, Unicredit e Ubi
inietterebbero però subito denaro nel fondo con un prestito ponte suddiviso in due tranche, una a
breve termine (3 mesi) e una a medio-lungo. L'importo potrebbe toccare i 3 miliardi, così da
assicurare oltre ai 2,5 miliardi di oneri anche una dose di liquidità.
A quel punto da domani Etruria, Cari Ferrara, Cari Chieti e Banca Marche saranno guidati da nuovi
commissari nominati dall'Autorità di risoluzione e si divideranno in due, formando otto realtà:
quattro in bonis e quattro «ponte» (esiste l'alternativa di un'unica bad company). L'obiettivo è
comunque separare il «sano» dal «marcio», trovare uno o più compratori per la polpa, smaltire
separatamente i crediti deteriorati e rimborsare i salvatori.Questo meccanismo finirà per costare al
sistema più del vecchio fondo. Le quattro banche sono però in ginocchio da tempo senza che il
governatore Ignazio Visco sia riuscito a trovare un compratore proprio per il peso delle sofferenze e
per gli scandali emersi durante le ispezioni. Sebbene Etruria sia crollata a febbraio sotto il peso dei
crediti deteriorati, gli uomini di Bankitalia avevano infatti trovato una situazione difficile già nella
primavera del 2013, complice il collasso dell'imprenditoria locale.
Con il risultato di rapporti molto tesi con l'allora presidente Giuseppe Fornasari, uomo vicino alla
Dc salito al vertice della «banca degli orafi» con il golpe bianco del 2009. Allo stesso modo
nessuno voleva farsi carico della malagestio contestata a Cari Ferrara, dove a luglio i commissari
hanno chiesto 100 milioni di danni con un'azione di responsabilità contro 31 ex amministratori.
Così come delle «gravi irregolarità amministrative» e ai prestiti concentrati di Chieti o del buco
lasciato a Banca Marche dall'ex direttore generale Massimo Bianconi, ritiratosi nel 2012 con in
tasca una ricca buonuscita.
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Renzi salva la banca del padre della Boschi
Il Consiglio dei ministri ha dato stasera l'ok al decreto legge
che accelera il salvataggio di 4 banche
Dom, 22/11/2015
Il Consiglio dei ministri ha dato stasera l'ok al decreto legge che accelera il salvataggio di 4 banche.
Si è riunito alle ore 18.10 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del premier Matteo Renzi.
Una seduta in cui è stato approvato il decreto salva banche che riguarda Banca Marche, Cari
Ferrara, Banca Etruria e Cari Chieti. Una approvazione avvenuta oggi, domenica, a mercati chiusi
accelerando i tempi di intervento prima dell'entrata in vigore in Italia delle norme europee sul bail-
in, prevista il prossimo 1 gennaio. Il dl "non prevede alcuna forma di finanziamento o supporto
pubblico alle banche o al Fondo nazionale di risoluzione. Inoltre. I provvedimenti di avvio alla
risoluzione non prevedono il ricorso al bail-in", ha precisato l'esecutivo in un comunicato. Il decreto
legge entrerà in vigore il giorno della sua pubblicazione, prevista per domani 23 novembre. Questo
piano di messa in sicurezza della Cassa di Risparmio di Ferrara, di Banca delle Marche, Banca
Etruria e della Cassa di risparmio di Chieti, da tempo commissariate, punta al riequilibrio
finanziario e patrimoniale degli istituti fi credito, evitando sia il loro fallimento sia il ricorso, dal
2016, al bail-in, che avrebbe fatto pesare il risanamento sulle tasche di azionisti e creditori, sia
salvandone l'operatività.
"Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del consiglio Matteo Renzi e del Ministro
dell'economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan- si legge nella nota di P, Chigi- ha approvato un
decreto legge che contiene alcune norme procedimentali volte a agevolare la tempestiva ed efficace
implementazione delle procedure di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A, Banca delle
Marche S.p.A, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - Società cooperativa e Cassa di risparmio
della Provincia di Chieti S.p.A. Il provvedimento consente di dare continuità all'attività creditizia - e
ai rapporti di lavoro tutelando pienamente i correntisti". "In particolare - si legge nella nota del
governo- nella cornice del nuovo quadro normativo in materia di gestione delle crisi bancarie
definito dai decreti legislativi n. 180 e 181 del 16 novembre 2015, la Banca d'Italia ha deliberato in
data 21 novembre 2015 i provvedimenti di avvio della risoluzione, approvati dal Ministro
dell'economia e delle Finanze in data odierna a seguito della positiva decisione della Commissione
europea sui programmi di risoluzione previsti nei provvedimenti stessi".
Un decreto legge quello che ha avuto l'ok oggi che "ha un ambito estremamente circoscritto: "è
volto unicamente a costituire tempestivamente le nuove banche (banche-ponte) contemplate dai
provvedimenti di avvio della risoluzione delle 4 banche", a "definire un quadro normativo certo
sulle modalità con cui saranno raccolti i contributi da parte del settore bancario al Fondo di
risoluzione nazionale successivamente all'integrale avvio del Meccanismo di risoluzione unico" e a
"definire le modalità per l'applicazione alle nuove banche della disciplina fiscale in materia di
imposte differite attive già in vigore per tutti gli istituti di credito". l ministro Boschi, oggetto di
polemiche, dato il ruolo avuto dal padre ai vertici di Banca Etruria, ora commissariata, si trovava
oggi a Milano per l'inaugurazione della Torre Isozaki, sede di Allianz. "Oggi si riunisce il Consiglio
dei Ministri per un'operazione di salvataggio di quattro banche, tra cui la Popolare dell'Etruria nella
quale il papà della Boschi fu uno dei capi con esiti catastrofici. Il Ministro Boschi avrà il buon gusto
di astenersi dal partecipare al Consiglio dei Ministri? L'Intervento del Governo quanto è dovuto alle
parentele della Ministra così celebrata ma dallo sfondo così preoccupante", è stata la stoccata di
Maurizio Gasparri di Forza Italia. A far discutere però è anche il nuovo modello di risoluzione,
'bail-in', il meccanismo che coinvolge obbligazioni, azioni e depositi (sopra 100mila euro) nel
salvataggio di una banca in difficoltà, prima del ricorso a fondi pubblici. Un meccanismo, di
'salvataggio internò, che non vale nel caso delle quattro banche oggetto del dl di oggi. "Dal 1
gennaio 2016, l'azzardo morale dei banchieri, i crac bancari e l'omessa vigilanza delle banche
centrali, saranno addossati a risparmiatori e depositanti tramite lo sciagurato meccanismo del bail
in, un esproprio criminale del risparmio ideato da Bce, Troika e Cleptocrazia europea", puntano il
dito Adusbef e Federconsumatori in una nota. Per Unimpresa "l'entrata in vigore delle nuove regole
europee sulla risoluzione delle crisi bancarie è una minaccia soprattutto per le obbligazioni emesse
dagli istituti di credito che ammontano a 217 miliardi di euro".
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La rabbia dei clienti: "Banca Etruria salvata
con i nostri risparmi"
Esplode la rabbia dei clienti. Il valore dei bond subordinati
degli istituti di credito salvati dal governo è stato azzerato.
Una "trappola" che coinvolge 5 mila persone
Gio, 26/11/2015
«Banca Etruria l'abbiamo salvata io e mia madre che in una notte abbiamo visto evaporare 100mila
euro.
Che ora sono diventati carta straccia». Letizia Giorgianni è originaria di Montepulciano e con la
mamma Sonia è una dei migliaia di risparmiatori che hanno sottoscritto in passato un bond
subordinato con la banca aretina. E come tale, è rimasta col cerino in mano. Anche a Letizia e Sonia
è stato chiesto il conto del salvataggio dell'Etruria, di Banca delle Marche, Carife e Carichieti varato
domenica da Palazzo Chigi. Il paracadute aperto dalle big del credito arrivate in soccorso del
governo - si vedrà poi in cambio di quali, effettive, contropartite - salva infatti i correntisti e chi
possiede obbligazioni ordinarie (che non saranno più al riparo dal gennaio 2016 quando scatteranno
le nuove regole sul cosiddetto bail-in). Ma lascia fuori i possessori di bond subordinati per i quali il
valore è stato semplicemente azzerato. O meglio, sacrificato sull'altare di chi ha portato l'Etruria
sull'orlo del dissesto fino al commissariamento deciso da Bankitalia.
Chi paga? «Noi, di sicuro», risponde Letizia che sul bond ha investito 25mila euro mentre altri
70mila erano stati messi dalla madre Sonia. Era stata quest'ultima, nel 2008, a sottoscrivere
l'obbligazione con scadenza 30 ottobre 2016 a un tasso di rendimento al 7%, consigliata dal
consulente finanziario della banca di famiglia. «Sono correntista da anni, mi avevano detto che era a
basso rischio, di non preoccuparmi anche se si trattava dei risparmi di una vita. Nessuno mi ha
spiegato che poteva fallire la banca! E comunque la banca non è fallita, perché è proprio questo il
paradosso», dice Sonia. Per la signora era soltanto un codice (l'Isin, usato per identificare i titoli,
che in questo caso era l'It0004119407). Nel luglio scorso, con l'istituto commissariato, si è accorta
che stava perdendo circa 12mila euro. «Sono andata personalmente in banca ma mi è stato detto di
stare tranquilla, che il bond sarebbe stato rimborsato a scadenza».
Poi, ieri mattina, è arrivata una telefonata dalla filiale. «Il direttore ci ha detto che i soldi servivano
per risanare il debito e quindi se fossimo andate a ritirarli non li avremmo trovati. L'ha definita una
mossa politica del governo quasi per giustificarsi», racconta la figlia Letizia. Che non si spiega
perché un contratto firmato fra due parti - come quello su un bond - sia stato disatteso. «Di solito
chi non rispetta i patti deve pagare e qui, invece, a rimetterci siamo state noi».Sonia e Letizia non
hanno ancora deciso se rivolgersi a un avvocato. Ma nella loro stessa situazione, secondo le stime
dell'associazione amici di Banca Etruria guidata da Vincenzo Lacroce (per oltre vent'anni ispettore
di Bankitalia), sono circa 5mila obbligazionisti subordinati, un terzo dei 15mila bondisti delle
quattro banche da «salvare». Alle nove obbligazioni subordinate emesse dall'Etruria per un totale di
circa 375 milioni si aggiungono infatti le quattro di Banca Marche (205 milioni) e le tre di Carife
(148 milioni) per un controvalore complessivo di quasi 730 milioni di euro. Tutte rimaste nella «bad
bank» aretina.
Dietro a queste cifre ci sono risparmi, sacrifici e soprattutto persone. Che potrebbero promuovere
una class action: mentre anche la politica locale comincia ad alzare la voce. Ieri il consigliere
regionale della Lega Nord e portavoce dell'opposizione nell'assemblea toscana, Claudio Borghi, ha
annunciato una mozione urgente chiedendo di adottare tutti i provvedimenti del caso per
salvaguardare «decine di migliaia di persone» rimaste «vittime di quanto deciso dal governo».
Chissà se anche Pierluigi Boschi, papà del ministro nonché ex vicepresidente dell'Etruria, ha
investito in un bond subordinato della banca che ha amministrato fino al commissariamento. E
chissà se la figlia si è liberata delle 1.557 azioni dell'Etruria per un valore complessivo 1.100 euro
dichiarate nel 2014. Di certo, quei titoli - già sospesi da febbraio a Piazza Affari - ora valgono zero
e sono di proprietà di una società destinata alla tomba.
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"Così è fallita Banca Etruria"
Una fonte de ilGiornale.it svela come si è arrivati al decreto
che salva la banca della famiglia Boschi
Gio, 26/11/2015
“Sono un risparmiatore che investe i propri soldi in borsa o in varie banche, informandosi in rete e
sui giornali. Rappresento un gruppo di investitori di venti persone che fino a domenica aveva 1,2
milioni di euro in Banca Etruria e che ora si ritrova in mano zero euro”. A parlare è Furio, alias di
un assiduo frequentatore del forum finanza-online che per raccontare al Giornale.it la storia del
crack della banca della famiglia Boschi ha chiesto di rimanere anonimo.
Il suo investimento è iniziato due anni fa ma col tempo è stato incrementato di ulteriori 100 milioni
per l’aumento di capitale fatto per favorire l’aggregazione della Banca Etruria con una più grande.
“Le banche papabili – racconta Furio - erano UbiBanca che già dieci fa tentò l’acquisizione di
Etruria, la Popolare dell’Emilia e la Popolare di Vicenza ma solo con quest’ultima si fece
un’operazione di duo diligence, ossia le due parti si accordarono per scoprire le proprie carte in
modo da agevolare l’acquisizione”. La compravendita, però, come vedremo, non andrà in porto.
Nel frattempo la Banca d’Italia fece varie ispezioni arrivando a multare Banca Etruria per 2,4
milioni perché i conti non tornavano. “Al fine di rafforzare la solidità patrimoniale della banca –
spiega Furio - tre anni fa si è fatta un’operazione di convertendo trasformando le obbligazioni in
azioni per un valore di 200 milioni di euro. Ma l’anno successivo Bankitalia impone un aumento di
altri 100 milioni di euro per consentire che le stanze della sposa siano più pulite in caso di
matrimonio", ossia per poter meglio convolare a nozze con un’altra banca.
“Il presidente Rosi,– spiega ancora Furio - senza convocare l’assemblea dei soci, ha rifiutato
l’Opa della Banca Popolare di Vicenza di un euro ad azione e da lì sono iniziate le speculazioni".
Nell’agosto del 2014 Banca Etruria comunica a Bankitalia che sarebbe diventata una spa,
operazione indispensabile per essere comprata da eventuali altre banche ma in realtà questo
passaggio non è mai avvenuto. “Noi soci – continua Furio – non siamo mai stati convocati né
quando è stata presentata l’Opa dalla Popolare di Vicenza né quando è stata presa in
considerazione l’ipotesi di trasformarsi in spa e intanto il tempo passava e la situazione finanziaria
si aggravava. Solo il proprietario di Carnival , tramite una banca israeliana, si fece avanti con
un’altra offerta che prevedeva l’acquisto di Etruria con la contestuale vendita degli Npl (i crediti
non più recuperabili ndr) a due fondi americani ma anche in questo caso non se ne fece più nulla”.
A febbraio 2015 arriva quindi il commissariamento ma nemmeno così si riesce a trovare nuovi
acquirenti. “Probabilmente – dice Furio - non c’era la volontà politica di venderla e quando la
situazione è precipitata è arrivato il decreto del governo che ha valorizzato gli npl all’83%, un
valore che, se fosse applicato a tutte le banche implicherebbe che nessuna potrebbe salvarsi”. In
pratica cos’è successo? “Hanno svalutato il patrimonio della banca per coprire i crediti e con un
valore patrimoniale pari a zero anche i 217 milioni di azioni perdono di valore. Le nostre azioni,
invece, sono racchiuse dentro la bad bank con i crediti che non ci frutteranno certamente dei soldi.
Tutti noi azionisti, soci o non soci o detentori di obbligazioni subordinate, abbiamo perso tutto. Il
governo dice di aver salvato i correntisti ma non dice che per coprire buona parte del buco hanno
usato le nostre azioni”.
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Etruria & C.: allo studio la class action
I casi delle azioni vendute in cambio del fido e la beffa dei bolli
da pagare sui bond azzerati
Sab, 28/11/2015
La tensione nelle filiali delle quattro banche «salvate» dal decreto del governo Renzi resta alta.
A Ferrara la Federconsumatori ha inviato la convocazione dell'assemblea degli azionisti e
obbligazionisti «azzerati» di Carife anche alla Digos. Ad Arezzo, di fronte alla sede di Banca
Etruria, nella notte è stato appeso uno striscione con frasi minacciose. Reazioni comprensibili di chi
in 24 ore ha visto sfumare i risparmi di una vita. Le stime approssimative parlano di oltre 130mila
persone. Fra queste, molti sono anche piccoli imprenditori e artigiani che hanno fatto investimenti
rischiosi per evitare conseguenze peggiori. Come Roberta Crescentini, consigliera comunale di un
paese della provincia di Pesaro - «feudo» di Banca Marche - che ai quotidiani locali ha raccontato
di essere stata invitata a comprare le azioni dell'istituto per avere più in fretta il rinnovo del fido. Per
evitare un eventuale ritardo che avrebbe bloccato l'operatività della sua azienda ha accettato la
sottoscrizione di un pacchetto di azioni. Che oggi ha perso. Le storie sono tante, moltissime le
telefonate che arrivano al Giornale per chiedere cosa fare per riavere i soldi perduti. Meglio unire le
forze con altri azionisti e obbligazionisti subordinati che sono rimasti intrappolati, con cause
collettive o class action. Un'altra strada, quella avviata dai sindacati dell'Etruria, potrebbe essere
quella di chiedere un emendamento per consentire un recupero, almeno parziale, del capitale
investito in obbligazioni subordinate, magari attraverso eventuali plusvalenze da maggiore realizzo
dei crediti deteriorati che saranno conferiti alle singole bad bank. Al danno per gli azionisti e
obbligazionisti subordinati delle quattro banche «malate», intanto, rischia di aggiungersi la beffa: i
titolari dei 788 milioni di bond subordinati che sono stati azzerati nella procedura di risoluzione,
secondo l'Aduc, si vedranno addebitare sui loro conti qualche centinaia di migliaia di euro di
imposte di bollo nonostante abbiano perso tutto. Si tratta di una tassa che colpisce i risparmiatori
privati e non gli istituzionali. Non solo. Sempre secondo l'associazione dei consumatori, gli
obbligazionisti non possono utilizzare il credito di imposta del 26% sulla minusvalenza ai fini del
capital gain, perché si tratta di un azzeramento e non di una cessione a titolo oneroso. Mentre i
risparmiatori piangono, le grandi banche festeggiano il superamento degli esami degli Srep (le
valutazioni prudenziali dei presidi sui rischi) messi a punto dalla Bce. Le uniche formalmente
bocciate sono Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ma sostanzialmente a un passo dalla
promozione visto che hanno in cantiere gli aumenti di capitale.
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LA REGOLA DEL 15% - ALLA POPOLARE
DELL'ETRURIA C'ERA UN MECCANISMO PERVERSO
PER FAR DIVENTARE CAPITALE I FINANZIAMENTI
CONCESSI A FAMIGLIE E IMPRESE - PER OGNI
100MILA EURO PRESTATI, 15MILA DOVEVANO
DIVENTARE AZIONI O TITOLI SUBORDINATI. E COSI'
150 MLN SONO ANDATI IN FUMO
Sab, 28/11/2015
Spunta la «regola del 15%» alla banca Popolare dell’Etruria e del Lazio. Una regola che funzionava
più o meno così: la banca concedeva 100mila euro di finanziamenti e un istante dopo il cliente che
aveva ottenuto il denaro in prestito «investiva» 15mila euro in azioni od obbligazioni subordinate,
le due categorie di titoli divenuti carta straccia dopo l’intervento di salvataggio varato domenica
scorsa dal governo di Matteo Renzi.
Il dissesto finanziario di uno dei quattro istituti salvati col Fondo di risoluzione di Banca d’Italia,
dunque, sarebbe stato cagionato anche da un meccanismo perverso che legava a doppio filo i prestiti
a contestuali acquisti di capitale PopEtruria. Secondo quanto riferito a Libero da alcuni imprenditori
clienti del gruppo bancario, commissariato a febbraio scorso dopo anni di sbandamento, i funzionari
dell’Etruria applicavano parametri rigidissimi nella concessione di fidi o crediti vari.
Parametri che, tuttavia, nulla avevano a che vedere coi requisiti di capitale previsti dalla cosiddetta
Basilea 3: una percentuale del denaro erogato allo sportello - che di solito era attorno al 15% e
talora più alta - doveva di fatto rientrare immediatamente sotto forma di azioni o bond subordinati.
Un sistema già emerso, tra altro, nell’inchiesta penale relativa alla Popolare di Vicenza dello scorso
settembre. Nell’Etruria, però, c’era un ulteriore elemento: stando al racconto degli imprenditori, i
titoli sottoscritti, infatti, venivano utilizzati, se necessario, come garanzia dei finanziamenti, magari
sotto forma di fideiussione. Operazioni che hanno legato le mani ai possessori di azioni e bond
rimasti «vincolati» a lungo. Di fatto non era possibile venderli in alcun modo.
E poi, si chiedono i clienti: che fine faranno quei prestiti garantiti da denaro ormai totalmente
bruciato? Il rischio è che la nuova banca, quella creata da Bankitalia e governo coi prestiti di Intesa,
Unicredit e Ubi (senza dimenticare il costo complessivo di 1,5-2 miliardi a carico dello Stato tra
sgravi Ires e garanzia Cdp), possa chiedere «rientri» immediati a chi oggi, in pratica, non ha più le
garanzie legate al capitale della vecchia Etruria.
C’è da dire che l’operazione anticrac - attivata anche per Banca Marche, CariChieti e Carife -
coinvolge, per quanto riguarda la Popolare dell’Etruria, ben 62mila soci che avevano in mano
capitale per un valore nominale di 125 milioni. A pagare il conto, poi, anche 5mila risparmiatori che
avevano investito in obbligazioni subordinate per circa 250 milioni. In totale, un salasso da 375
milioni.
Il caso Etruria colpisce, in particolare, la città di Arezzo (sede del quartier generale) e la provincia
toscana corre il rischio di accusare un contraccolpo durissimo. Soltanto nel territorio aretino
sarebbero andati in fumo, stando a primi calcoli, tra i 100 e i 150 milioni di euro. Il dossier è seguito
in prima persona da Francesco Macrì, capogruppo di Fratelli di Italia in Comune: «Faccio un
appello alla Procura della Repubblica perché scoperchi tutto quello che c’è da scoperchiare.
Fdi - dice Macrì - sosterrà iniziative a tutela di risparmiatori e imprese che hanno investito nel
capitale della banca». Da Arezzo il caso è rimbalzato a Roma dove il presidente di Fdi, Giorgia
Meloni, ha preannunciato «l’inferno» in Parlamento sulla conversione del decreto salva banche:
«Una rapina». Si studiano contromisure e una delle ipotesi sul tavolo è una norma che in qualche
modo garantisca i risparmiatori più deboli. Le associazioni dei consumatori affilano armi e class
action. Molti confidano nelle indagini delle toghe: l’ultima spiaggia è in Procura.
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Riproproniamo un articolo de Il Giornale del 08 Maggio 2014
Matteo piazza gli amici, promosso papà Boschi
Nel "Giglio magico" si fa carriera: il padre del ministro delle
Riforme nuovo vicepresidente della Banca Etruria
Gio, 08/05/2014
Per una volta una promozione non riguarda un «figlio di», ma un «padre di». Probabilmente
Pierluigi Boschi appena eletto dall'assemblea di Banca Etruria vicepresidente dell'istituto di credito
aretino, non avrà la classica reazione dei «figli d'arte» quando vengono identificati come tali.
Piuttosto proverà un giustificato orgoglio paterno per il ribaltamento della percezione pubblica della
sua nomina. Fatto sta che la conquista della prestigiosa poltrona della Popolare toscana fa ricadere
più di una ironia sul genitore di Maria Elena Boschi, già dirigente della Coldiretti in Valdarno,
presidente della Confcooperative Arezzo dal 2004 al 2010 e consigliere della stessa Banca Etruria.
Su Twitter è il consigliere regionale toscano di Fratelli d'Italia, Giovanni Donzelli ad aprire le
danze: «Con Renzi tutto cambiaverso? Boschi padre vicepresidente di Bancaetruria?». Altri
sottolineano come dal «sicambiaverso» si sia tornati alla «solitamusica». E Dagospia si chiede:
«Banca Etruria, che ha opportunamente e tempestivamente appena promosso Pierluigi Boschi
vicepresidente avrà per questo attenzioni più comprensive dalla Banca d'Italia che, in attesa di
passare la mano alla Bce in fatto di vigilanza bancaria, sta facendo la voce grossa con tutte le
banche popolari per fare bella figura con chi li rimpiazzerà?». Dubbi di opportunità, perplessità,
battute in libertà, per una designazione comunque estranea ai poteri del premier.
Naturalmente, al netto delle «insinuazioni», il pensiero di molti torna al cosiddetto «Giglio
magico», ovvero al sistema di potere che il sindaco di Firenze, poi segretario del Pd e infine
premier, ha costruito attorno a sé. L'elenco dei nomi noti scelti tra i fedelissimi per incarichi di alto
livello iniziano, ovviamente, dalla stessa Maria Elena Boschi. Nominata giovanissima da Renzi nel
cda di Publiacqua, coordinatrice dei comitati elettorali nel 2012, organizzatrice della Leopolda 4,
oggi ministro delle Riforme e sorta di alter ego comunicativo del Rottamatore. Nell'elenco dei
fedelissimi figura naturalmente Antonella Manzione, già dirigente della polizia municipale di
Firenze e direttore generale del Comune, ora indicata da Renzi per la guida del Dipartimento affari
giuridici legislativi di Palazzo Chigi, ieri ha presieduto il suo primo pre-consiglio dei ministri. Una
nomina per la quale Renzi si è battuto fino a piegare le obiezioni sollevate dalla Corte dei Conti.
Nella geografia renziana va sicuramente ricordato Giuliano da Empoli, presidente del Gabinetto
Viesseux di Firenze ed ex assessore alla Cultura, tornato al fianco del premier come consigliere
politico. Suo consigliere economico è Yoram Gutgeld, ex McKinsey ed ispiratore della
Renzinomics. Negli elenchi degli uomini premiati dall'ex primo cittadino fiorentino figura poi
l'economista Luigi Zingales, già con Fare per fermare il declino, ora nel cda dell'Eni. Il fondatore di
Mtv Antonio Campo dall'Orto è, invece, membro del cda di Poste italiane. Nomine «toscane» nei
consigli d'amministrazione delle grandi partecipate statali sono anche quelle di Alberto Bianchi
all'Enel, (Bianchi è nel cda della renzianissima fondazione Open, dopo essere stato tesoriere di Big
Bang), ma anche Fabrizio Landi a Finmeccanica, Elisabetta Fabri alle Poste e Marco Seracini
all'Eni. Una vera e propria «leopoldizzazione» delle controllate statali (e non solo). E c'è chi giura
che sia solo l'inizio.
Meditate gente, meditate …………..
I giornalisti:
Luca Romano, Maurizio Bologni, Mario Gerevini, Fiorenza Sarzanini, Giacomo Amadori,
Davide Vecchi, Fabio Pavesi, Giorgio Carozzi, Giorgio Meletti, Mario Valenza, Camilla Conti,
Francesco Curridori, Francesco De Deminicis, Andrea Riva, Gian Maria De Francesco,
Massimo Restelli, Luisa De Montis, Fabrizio De Feo.