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Introduzione È più vasto del cielo – il cervello – Prova a metterli accanto – E l’uno l’altro conterrà sicuro – Ed inoltre – anche te – È più profondo del mare il cervello – Se tieni fisso l’uno all’altro azzurro – L’uno dall’altro resterà assorbito – Come spugna in un secchio – Pesa il cervello proprio quanto Dio – Tu sollevali insieme – libbra a libbra – Al massimo sarà la differenza Del suono dalla sillaba Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori Meridiani, Milano, 1997, p. 717. L’intelligenza, il fenomeno più importante nell’universo, è in grado di trascendere i suoi limiti naturali e di trasformare il mondo a propria immagine. La nostra intelligenza di esseri umani ci ha consentito di superare le restrizioni della nostra eredità biologica e, così facendo, di modificare noi stessi. Siamo l’unica specie in grado di fare una cosa simile. La storia dell’intelligenza umana inizia con un universo in grado di codificare informazione: questo è stato il fattore abilitante che ha reso possibile l’evoluzione. Come sia accaduto che l’universo fosse fatto proprio in questo modo è in sé una storia interessante. Il mo- dello standard della fisica ha decine di costanti che debbono avere esattamente il valore che hanno, altrimenti gli atomi non sarebbero stati possibili e non ci sarebbero stati né stelle né pianeti, né cervelli né libri sul cervello. Il fatto che le leggi della fisica siano definite con tanta precisione da consentire l’evoluzione dell’informazione sembra incredibilmente improbabile. Tuttavia, secondo il principio antropico, non ne staremmo parlando, se le cose non fossero andate in questo modo. Dove qualcuno vede una mano divina, altri vedono un multi- verso che si estende su un’evoluzione di universi in cui quelli noiosi (che non portano informazione) muoiono. Ma, indipendentemente da

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Introduzione

È più vasto del cielo – il cervello –Prova a metterli accanto –E l’uno l’altro conterrà sicuro –Ed inoltre – anche te –È più profondo del mare il cervello –Se tieni fisso l’uno all’altro azzurro –L’uno dall’altro resterà assorbito –Come spugna in un secchio –Pesa il cervello proprio quanto Dio –Tu sollevali insieme – libbra a libbra –Al massimo sarà la differenzaDel suono dalla sillaba

Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori Meridiani, Milano, 1997, p. 717.

L’intelligenza, il fenomeno più importante nell’universo, è in grado di trascendere i suoi limiti naturali e di trasformare il mondo a propria immagine. La nostra intelligenza di esseri umani ci ha consentito di superare le restrizioni della nostra eredità biologica e, così facendo, di modificare noi stessi. Siamo l’unica specie in grado di fare una cosa simile.

La storia dell’intelligenza umana inizia con un universo in grado di codificare informazione: questo è stato il fattore abilitante che ha reso possibile l’evoluzione. Come sia accaduto che l’universo fosse fatto proprio in questo modo è in sé una storia interessante. Il mo-dello standard della fisica ha decine di costanti che debbono avere esattamente il valore che hanno, altrimenti gli atomi non sarebbero stati possibili e non ci sarebbero stati né stelle né pianeti, né cervelli né libri sul cervello. Il fatto che le leggi della fisica siano definite con tanta precisione da consentire l’evoluzione dell’informazione sembra incredibilmente improbabile. Tuttavia, secondo il principio antropico, non ne staremmo parlando, se le cose non fossero andate in questo modo. Dove qualcuno vede una mano divina, altri vedono un multi-verso che si estende su un’evoluzione di universi in cui quelli noiosi (che non portano informazione) muoiono. Ma, indipendentemente da

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come sia successo che il mondo fosse così come è, possiamo iniziare la nostra storia con un mondo basato sull’informazione.

La storia dell’evoluzione si dipana con livelli crescenti di astrazio-ne. Gli atomi (in particolare gli atomi di carbonio, che possono creare strutture ricche di informazione istituendo legami in quattro direzioni diverse) hanno formato molecole di complessità crescente; così, la fi-sica ha fatto nascere la chimica.

Un miliardo di anni più tardi, è evoluta una molecola complessa che chiamiamo DNA, in grado di codificare con precisione lunghe stringhe di informazione e di generare organismi descritti da quei “programmi”. E così la chimica ha fatto nascere la biologia.

A ritmo sempre più rapido, gli organismi hanno evoluto reti di comunicazione e di decisione che chiamiamo sistemi nervosi, in grado di coordinare le parti sempre più complesse del loro corpo, nonché i comportamenti che ne facilitavano la sopravvivenza. I neuroni che costituiscono i sistemi nervosi si sono aggregati in cervelli capaci di esibire comportamenti sempre più intelligenti. In questo modo, la bio-logia ha fatto nascere la neurologia, e i cervelli a quel punto erano la punta avanzata della conservazione e manipolazione di informazione. Così siamo passati dagli atomi alle molecole, al DNA, ai cervelli. Il passo successivo è stato esclusivo della specie umana.

Il cervello dei mammiferi ha una capacità che non si trova in al-cuna altra classe di animali: abbiamo la capacità di un pensiero gerar-chico, di comprendere una struttura composta da elementi differenti organizzati in uno schema, di rappresentare quella disposizione con un simbolo e poi di usare quel simbolo come un elemento in una configurazione ancora più elaborata. Questo grazie a una struttura cerebrale che chiamiamo neocorteccia, che negli esseri umani ha rag-giunto una soglia di sofisticazione e di capacità tale che possiamo chiamare idee queste forme. Attraverso un processo ricorsivo che non ha fine, siamo in grado di costruire idee che sono ancora più com-plesse: chiamiamo conoscenza questa grande matrice di idee collegate ricorsivamente. Solo Homo sapiens ha una base di conoscenza che a sua volta evolve, cresce esponenzialmente e viene trasferita da una generazione alla successiva

Il nostro cervello produce anche un altro livello di astrazione, perché abbiamo usato l’intelligenza dei nostri cervelli insieme con un altro fattore abilitante, un’appendice opponibile (il pollice) per mani-polare l’ambiente circostante e costruire utensili. Questi utensili han-no rappresentato una nuova forma di evoluzione, e la neurologia ha prodotto la tecnologia. Solo grazie ai nostri utensili la nostra base di conoscenza ha potuto crescere senza limiti.

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La nostra prima invenzione è stata il racconto: il linguaggio par-lato che ci ha permesso di rappresentare idee con enunciati distinti. Con la successiva invenzione del linguaggio scritto abbiamo svilup-pato forme distinte per rappresentare simbolicamente le nostre idee. Biblioteche di linguaggio scritto hanno ampliato enormemente la ca-pacità dei nostri cervelli senza alcun ausilio di conservare ed estendere la nostra base di conoscenza di idee strutturate ricorsivamente.

Si discute se altre specie, per esempio gli scimpanzé, abbiano l’abi-lità di esprimere in un linguaggio idee gerarchiche. Gli scimpanzé sono in grado di apprendere un insieme limitato di simboli del linguaggio dei segni, che poi possono usare per comunicare con i loro addestrato-ri umani. È chiaro però che esistono limiti ben definiti alla complessità delle strutture di conoscenza che sono in grado di trattare. Le frasi che esprimono sono limitate a specifiche sequenze nome-verbo e non raggiungono l’espansione indefinita di complessità caratteristica de-gli esseri umani. Per avere un esempio interessante della complessità del linguaggio generato dagli esseri umani, basta leggere una delle spettacolari frasi, che si snodano per molte pagine, in un racconto o in un romanzo di Gabriel Garcia Màrquez: il suo racconto, lungo sei pagine, “L’ultimo viaggio del fantasma” è costituito da un’unica frase e funziona molto bene sia in spagnolo che nella traduzione italiana1.

L’idea fondamentale dei miei tre precedenti libri sulla tecnologia (The Age of Intelligent Machines, scritto negli anni Ottanta e pubbli-cato nel 1989; The Age of Spiritual Machines, scritto nella seconda metà degli anni Novanta e pubblicato nel 1999; e The Singularity Is Near [La singolarità è vicina], scritto nei primi anni 2000 e pubblicato nel 2005) è che un processo evolutivo ha la caratteristica intrinseca di accelerare (in conseguenza dei suoi livelli di astrazione crescente) e i suoi prodotti crescono esponenzialmente in complessità e capa-cità. Ho denominato questo fenomeno “legge dei ritorni accelerati” (LDRA o LOAR, Law of accelerating returns) e riguarda sia l’evolu-zione biologica sia quella tecnologica. L’esempio più impressionante della legge dei ritorni accelerati è la crescita esponenziale, notevol-mente prevedibile, di capacità e rapporto prezzo/prestazioni delle tec-nologie dell’informazione. Il processo evolutivo della tecnologia ha portato al calcolatore, che a sua volta ha reso possibile un grande ampliamento della nostra base di conoscenza e ha permesso la cre-azione di ampi collegamenti da un campo di conoscenza all’altro. Il Web stesso è un esempio potente e molto chiaro di quanto un sistema gerarchico sia in grado di inglobare una grande matrice di conoscenza pur conservandone la struttura intrinseca. Il mondo stesso è intrin-secamente gerarchico: gli alberi hanno rami; i rami hanno foglie; le

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foglie hanno venature. Gli edifici hanno piani; i piani hanno stanze; le stanze hanno porte, finestre, pareti e pavimenti.

Abbiamo sviluppato anche strumenti che ora ci consentono di ca-pire la nostra stessa biologia in termini precisi di informazione. Stia-mo rapidamente retroingegnerizzando i processi d’informazione che stanno alla base della biologia, compresi quelli del nostro cervello. Ora possediamo il codice oggetto della vita sotto forma di genoma umano, un risultato che è in sé un esempio straordinario di crescita esponenziale, poiché la quantità di dati genetici sequenziati è all’incir-ca raddoppiata ogni anno negli ultimi vent’anni2. Ora siamo in grado di simulare al calcolatore come sequenze di coppie di basi diano luogo a sequenze di amminoacidi che si ripiegano in proteine tridimensiona-li, con le quali è realizzata tutta la biologia. La complessità delle pro-teine per le quali possiamo simulare il ripiegamento è aumentata con regolarità in conseguenza della crescita esponenziale continua delle risorse computazionali3. Possiamo anche simulare come le proteine interagiscano fra loro in un complicato balletto tridimensionale di forze atomiche. La crescita costante delle nostre conoscenze biologi-che è un aspetto importante della scoperta dei segreti intelligenti di cui l’evoluzione ci ha dotati e poi dell’uso di questi paradigmi ispirati alla biologia per creare tecnologie ancora più intelligenti.

È in corso un progetto grandioso, che coinvolge migliaia di scien-ziati e tecnici, per arrivare a comprendere fino in fondo il miglior esempio di processo intelligente: il cervello umano. È sicuramente l’impegno più importante nella storia della civiltà uomo-macchina. Ne La singolarità è vicina ho sostenuto che un corollario della legge dei ritorni accelerati è che è probabile non esistano altre specie intelli-genti. In breve: se esistessero ne avremmo avuto notizia, dato il tempo relativamente breve che trascorre fra il momento in cui una civiltà possiede una tecnologia rozza (ricordate che nel 1850 il modo più rapido per inviare informazioni da un capo all’altro di una nazione erano i Pony Express) e quello in cui possiede una tecnologia in grado di uscire dal suo stesso pianeta4. In questa prospettiva, la retroinge-gnerizzazione del cervello umano può essere considerata il progetto più importante nell’universo.

Finalità del progetto è capire esattamente come funziona il cer-vello umano e poi usare i metodi scoperti per capire meglio noi stes-si, per riparare il cervello quando necessario e, cosa particolarmente pertinente per il tema di questo libro, per creare macchine ancora più intelligenti. Ricordate che quello che è in grado di fare l’ingegneria è proprio amplificare un fenomeno naturale. Pensate per esempio a quel fenomeno molto sottile enunciato nel principio di Bernoulli: c’è una

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pressione d’aria leggermente minore su una superficie curva in movi-mento che su una superficie piana in movimento. Dal punto di vista matematico, come il principio di Bernoulli produca la portanza alare non è ancora completamente definito dagli scienziati, ma gli ingegneri hanno preso questa idea, l’hanno focalizzata, e hanno creato tutto il mondo dell’aviazione.

In questo libro presento una tesi, che chiamerò pattern recognition theory of mind (PRTM), ovvero “teoria della mente basata sul rico-noscimento di forme”: sosterrò che descrive l’algoritmo fondamentale della neocorteccia (la regione del cervello a cui si devono percezione, memoria e pensiero critico). Nei capitoli che seguono descriverò come le ricerche recenti nelle neuroscienze, e i nostri esperimenti ideali, por-tino inevitabilmente alla conclusione che questo metodo sia utilizzato coerentemente in tutta la neocorteccia. Dalla teoria della mente basa-ta sul riconoscimento di forme, insieme con la legge dei ritorni acce-lerati, consegue che saremo in grado di ingegnerizzare questi principi per estendere grandemente la potenza della nostra stessa intelligenza.

In effetti, questo processo è già iniziato da tempo. Ci sono cen-tinaia di compiti e di attività che un tempo erano campo d’azione esclusivo dell’intelligenza umana e ora invece possono essere svolti da calcolatori, di solito con maggior precisione e su scala molto più grande. Ogni volta che inviate un messaggio di posta elettronica o ricevete una chiamata sul cellulare, algoritmi intelligenti instradano sul percorso ottimale le informazioni. Fate un elettrocardiogramma e l’esito arriva con una diagnosi del calcolatore che compete con quelle dei medici. Vale la stessa cosa per le immagini delle cellule del sangue. Algoritmi intelligenti identificano automaticamente le frodi su carte di credito, fanno volare e atterrare gli aerei, guidano sistemi d’arma intelligenti, controllano i livelli delle scorte di magazzino just-in-time, assemblano prodotti in fabbriche robotizzate e giocano a scacchi o a giochi raffinati come Go a livelli da campioni.

Milioni di persone hanno visto Watson, il computer della IBM, partecipare a Jeopardy!, un gioco basato sul linguaggio naturale, e ottenere un punteggio superiore a quello dei due migliori giocatori umani del mondo insieme. Va notato che non solo Watson ha letto e “capito” le sottigliezze linguistiche delle domande di Jeopardy! (spes-so piene di giochi di parole e metafore), ma ha anche ottenuto auto-nomamente le conoscenze necessarie per dare una risposta, attraverso la comprensione di centinaia di milioni di pagine di documenti in lin-guaggio naturale, fra cui Wikipedia e altre enciclopedie. Ha dovuto padroneggiare praticamente ogni campo intellettuale umano – storia, scienza, letteratura, arte, cultura e altro ancora. Ora la IBM sta lavo-

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rando con la Nuance Speech Technologies (già Kurzweil Computer Products, la mia prima azienda) a una nuova versione di Watson* che leggerà letteratura medica (sostanzialmente tutte le riviste mediche e i principali blog di medicina) per diventare un modello di capacità diagnostiche e di consulenza medica, sfruttando le tecnologie di com-prensione del linguaggio clinico sviluppate dalla Nuance. Qualcuno ha sostenuto che Watson non “comprende” realmente le domande di Jeopardy! o le enciclopedie che legge perché non fa altro che compie-re “analisi statistiche”. Un aspetto fondamentale che descriverò qui è che le tecniche matematiche sviluppate nel campo dell’intelligenza artificiale (come quelle usate in Watson e in Siri, l’assistente di iPho-ne) sono molto simili, dal punto di vista matematico, ai metodi che ha sviluppato la biologia sotto la forma della neocorteccia. Se capire il linguaggio e altri fenomeni attraverso l’analisi statistica non può essere considerato vera comprensione, allora anche gli esseri umani non li capiscono.

La capacità di Watson di padroneggiare in modo intelligente la conoscenza contenuta nei documenti in linguaggio naturale sarà di-sponibile anche a qualche motore di ricerca non molto lontano da voi, e presto. Già parliamo ai nostri telefoni in linguaggio natura-le (attraverso Siri, per esempio, al cui sviluppo ha contribuito anche la Nuance). Questi assistenti per il linguaggio naturale diventeranno rapidamente più intelligenti, man mano che potranno utilizzare altri metodi analoghi a quelli di Watson, considerato che anche lo stesso Watson continua a migliorare.

Le automobili a guida automatica di Google hanno percorso 300.000 chilometri nelle strade trafficate delle città e dei paesi della California (ed è una cifra che sicuramente sarà già molto più elevata quando questo libro raggiungerà gli scaffali, reali e virtuali). Ci sono molti altri esempi di intelligenza artificiale nel mondo di oggi, e molti altri ancora sono all’orizzonte.

Come ulteriore esempio della legge dei ritorni accelerati, la ri-soluzione spaziale delle scansioni cerebrali e la quantità di dati che raccogliamo sul cervello raddoppiano ogni anno. Stiamo anche di-mostrando di poter trasformare questi dati in modelli e simulazioni funzionanti di regioni del cervello. Siamo riusciti a retroingegnerizza-re funzioni chiave della corteccia uditiva, in cui vengono elaborate le informazioni relative ai suoni; della corteccia visiva, in cui vengono

* Da marzo 2013 la tecnologia Watson viene utilizzata in due ospedali statunitensi allo scopo di consigliare i medici sulle cure da applicare per i pazienti malati di cancro ai polmoni.

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elaborate le informazioni provenienti dagli organi della vista; e del cervelletto, dove avviene almeno in parte la formazione delle abilità (come quella di afferrare al volo una palla lanciata).

Il punto più avanzato del progetto di comprensione, modellazione e simulazione del cervello umano è la retroingegnerizzazione della neo-corteccia, in cui si forma il nostro pensiero gerarchico ricorsivo. La cor-teccia cerebrale, che rappresenta l’80 per cento della massa del cervello umano, è costituita da una struttura fortemente ripetitiva, che consente agli esseri umani di creare strutture di idee di complessità arbitraria.

Nella teoria della mente basata sul riconoscimento di forme, de-scrivo un modello di come il cervello umano raggiunga questa capaci-tà critica attraverso una struttura molto raffinata, progettata dall’evo-luzione biologica. In questo meccanismo corticale ci sono particolari che non comprendiamo ancora a pieno, ma sappiamo abbastanza del-le funzioni che deve svolgere da poter comunque progettare algoritmi che assolvano lo stesso compito. Cominciando a capire la neocortec-cia, ora siamo nelle condizioni di amplificarne di molto la potenza, come il mondo dell’aviazione ha grandemente amplificato la potenza del principio di Bernoulli. Il principio operativo della neocorteccia si può dire sia l’idea più importante del mondo, poiché è in grado di rappresentare tutta la conoscenza e tutte le abilità, ma anche di creare nuova conoscenza. È alla neocorteccia, in fin dei conti, che va il meri-to di ogni romanzo, di ogni musica, di ogni dipinto, di ogni scoperta scientifica e di tutti gli altri multiformi prodotti del pensiero umano.

Le neuroscienze hanno estremo bisogno di una teoria che leghi fra loro le osservazioni, molto ampie ed estremamente diversificate, di cui si dà notizia quotidianamente. Una teoria unificata è un’esigenza fondamentale in tutti i campi principali della scienza. Nel Capitolo 1 descriverò come due sognatori ad occhi aperti abbiano unificato biologica e fisica, campi che in precedenza sembravano disperatamen-te disordinati e variegati, e poi indicherò come una tale teoria possa essere applicata al paesaggio del cervello.

Oggi incontriamo spesso grandi peana alla complessità del cer-vello umano. Se si ricercano le citazioni su questo tema, Google resti-tuisce circa 30 milioni di collegamenti. (È impossibile tradurre questa cifra nel numero effettivo di citazioni, perché qualcuno dei siti Web indicati ha più citazioni e qualcuno non ne ha nessuna.) Lo stesso James D. Watson scriveva nel 1992 che “il cervello è l’ultima e la mag-gior frontiera biologica, la cosa più complessa che abbiamo scoperto finora nel nostro universo”. Continuava spiegando che “contiene cen-tinaia di miliardi di cellule collegate fra loro da milioni di miliardi di connessioni. Il cervello lascia la mente a bocca aperta”5.

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Condivido quel che dice Watson del cervello come la maggior frontiera biologica, ma il fatto che contenga molti miliardi di cellule e milioni di miliardi di connessioni non comporta necessariamente che il suo metodo principale sia complesso, se possiamo identificare in quelle cellule e in quelle connessioni schemi facilmente comprensibili (e ri-creabili), in particolare schemi massicciamente ridondanti.

Riflettete un attimo su che cosa significhi complessità. Potremmo chiederci: una foresta è complessa? La risposta dipende dalla prospet-tiva che si sceglie. Si potrebbe notare che esistono migliaia di alberi nella foresta e che sono tutti diversi tra loro. Poi si potrebbe continua-re notando che ciascun albero ha migliaia di rami e che ciascun ramo è del tutto diverso dagli altri. Poi si potrebbe continuare descrivendo le contorte peculiarità di ciascun singolo ramo. La conclusione a quel punto sarebbe che la foresta ha una complessità che va al di là della nostra più sfrenata immaginazione.

Ma questo approccio significherebbe letteralmente concentrarsi sugli alberi senza vedere la foresta. Certo esiste una grande quantità di variazione frattale fra gli alberi e fra i rami, ma per intendere cor-rettamente i principi di una foresta si farebbe meglio a partire iden-tificando gli schemi distinti di ridondanza con variazione stocastica (cioè casuale) che vi si trovano. Sarebbe corretto dire che il concetto di foresta è più semplice del concetto di albero.

E lo stesso vale per il cervello, che ha un’analoga enorme ridon-danza, in particolare nella neocorteccia. Come vedremo in questo li-bro, sarebbe corretto dire che c’è più complessità in un singolo neuro-ne che nella struttura complessiva della neocorteccia.

Il mio obiettivo in questo libro decisamente non è aggiungere un’al-tra citazione ai milioni di citazioni già esistenti che attestano quanto sia complesso il cervello, bensì impressionarvi con la forza della sua semplicità. Lo farò descrivendo come un fondamentale e ingegnoso meccanismo per riconoscere, ricordare e prevedere una forma, ripetuto centinaia di milioni di volte nella neocorteccia, spieghi la grande varietà dei nostri pensieri. Come dalle diverse combinazioni dei valori del co-dice genetico che si trova nel DNA del nucleo e dei mitocondri deriva una stupefacente varietà di organismi, così sulla base dei valori delle forme (di connessioni e di intensità sinaptiche) che si trovano nei e fra i nostri riconoscitori di forme nella neocorteccia si genera una schiera stupefacente di idee, di pensieri e di abilità. Come dice Sebastian Seung, neuroscienziato del MIT, “l’identità non sta nei nostri geni, ma nelle connessioni fra le nostre cellule cerebrali”6.

Dobbiamo distinguere fra la vera complessità progettuale e la complessità apparente. Pensate al famoso insieme di Mandelbrot, la

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cui immagine è da tempo simbolo di complessità. Per apprezzare la sua complicazione apparente, è utile uno zoom sulla sua immagine (che potete trovare seguendo i collegamenti indicati nella nota)7. Vi sono dettagli intricati dentro dettagli intricati, e sono sempre diversi fra loro. Però non potrebbe esservi nulla di più semplice del progetto, cioè della formula da cui nasce l’insieme di Mandelbrot. È formata da sei caratteri solamente: Z = Z2 + C, dove Z è un numero “complesso” (cioè una coppia di numeri) e C una costante. Non è necessario capire a fondo la funzione di Mandelbrot per vedere la sua semplicità. Questa formula viene applicata iterativamente e a ogni livello della gerarchia, e lo stesso vale per il cervello. La sua struttura ripetitiva non è semplice quanto la formula di sei caratteri dell’insieme di Mandelbrot, ma non è neanche tanto complessa quanto i milioni di citazioni sulla complessità del cervello vorrebbero farci pensare. Questo progetto neocorticale è ripetuto continuamente a ogni livello della gerarchia concettuale rap-presentata dalla neocorteccia. Gli obiettivi di questo libro sono ben rappresentati dalle parole pronunciate da Einstein: “qualunque stupi-do intelligente può rendere le cose più grandi e più complesse … ma ci vuole … un gran coraggio per andare nella direzione opposta”.

Una visualizzazione dell’insieme di Mandelbrot, ottenuto dall’applicazione ripetuta di una formula semplice. Ingrandendo i dettagli, l’immagine muta costantemente in modi apparentemente complessi.

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Fin qui ho parlato del cervello. Ma che cosa dire della mente? Per esempio, come fa una neocorteccia che risolve problemi a raggiun-gere la coscienza? E, intanto che siamo in argomento, quante menti coscienti abbiamo nel nostro cervello? Ci sono elementi fattuali che porterebbero a pensare ne esista più di una.

Un’altra domanda pertinente a proposito della mente riguarda il libero arbitrio: che cos’è? E noi lo possediamo? Ci sono esperimenti che sembrano indicare che cominciamo a realizzare le nostre decisioni ancor prima di essere coscienti di averle prese. Questo comporta che il libero arbitrio è un’illusione?

Infine, da quali attributi del nostro cervello dipende la formazio-ne della nostra identità? Sono la stessa persona che ero sei mesi fa? Chiaramente non sono esattamente identico ad allora, ma ho ancora la stessa identità?

Vedremo quali siano le conseguenze della teoria della mente ba-sata sul riconoscimento di forme anche per queste antichissime do-mande.

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