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COLLEGAMENTO PASTORALE Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in a.p. – D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2, DCB Vicenza Vicenza, 17 gennaio 2012 Anno XLIV n. 1 SOMMARIO p. 3 PRESENTAZIONE p. 6 RELAZIONE PEDAGOGICO-PASTORALE (dott.ssa R. Sartori) p. 13 I LABORATORI: un’avventura educativa accanto ai ragazzi con disabilità p. 16 PER IL CINEFORUM p. 17 LA CONSEGNA ALLE/AI CATECHISTE/I p. 18 IL REFERENTE PARROCCHIALE/ZONALE PER LA CATECHESI p. 19 INIZIATIVE FORMATIVE E INFORMAZIONI PER CATECHISTE/I p. 20 CENTRALITA’ DELLA VITA UMANA TRA FEDE CRISTIANA E RIFLESSIONE BIO-ETICA p. 22 CATECHISMO AL MUSEO Periodico mensile degli uffici pastorali diocesani – Autorizzazione trib. di Vicenza n. 237 del 12/03/1969 Senza pubblicità Direttore respons. Bernardo Pornaro – Ciclostilato in proprio – P.zza Duomo 2 – Vicenza – Tiratura inferiore alle 20.000 copie.

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Speciale Catechesi 1

COLLEGAMENTO PASTORALE

Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in a.p. – D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2, DCB Vicenza

Vicenza, 17 gennaio 2012 Anno XLIV n. 1

SOMMARIO

p. 3 PRESENTAZIONE

p. 6 RELAZIONE PEDAGOGICO-PASTORALE (dott.ssa R. Sartori)

p. 13 I LABORATORI: un’avventura educativa accanto ai ragazzi con disabilità

p. 16 PER IL CINEFORUM

p. 17 LA CONSEGNA ALLE/AI CATECHISTE/I

p. 18 IL REFERENTE PARROCCHIALE/ZONALE PER LA CATECHESI

p. 19 INIZIATIVE FORMATIVE E INFORMAZIONI PER CATECHISTE/I

p. 20 CENTRALITA’ DELLA VITA UMANA TRA FEDE CRISTIANA E RIFLESSIONE BIO-ETICA

p. 22 CATECHISMO AL MUSEO

Periodico mensile degli uffici pastorali diocesani – Autorizzazione trib. di Vicenza n. 237 del 12/03/1969 – Senza pubblicità – Direttore respons. Bernardo Pornaro – Ciclostilato in proprio – P.zza Duomo 2 – Vicenza – Tiratura inferiore alle 20.000 copie.

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Speciale Catechesi 2

Ufficio per l’Evangelizzazione e la Catechesi Curia Vescovile di Vicenza – Piazza Duomo, 2

Tel .0444/226571 – telefax 0444/226555 – e-mail: [email protected]

In copertina: Renzo Cellini (1930 ca.), San Nicola ascolta la predica, bozzetto preparatorio per merletto, matita e tempera su carta applicata a tavola, Museo Diocesano di Vicenza

PREGHIERA DEL CATECHISTA

Apri il mio cuore, Signore, perché impari ad amare i fanciulli come tu li ami.

Infondi in me il tuo spirito per entrare nei loro cuori e

farli innamorare di te. Fa’ che vedano in me il maestro,

il fratello, l'amico che li guida sulla via della fede e dell'amore,

in punta di piedi, ma con fermezza e coerenza.

Dammi la forza della testimonianza, rendimi strumento del tuo

progetto d'amore. Dammi l'umiltà ed il coraggio

di chi ti conosce e ti fa conoscere. Amen

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Speciale Catechesi 3

Presentazione… di don A. Bollin

All’inizio di un Nuovo Anno, che vi auguro ricco di giorni sereni e in compagnia del Signore, vi giunge

– care/i catechiste/i e operatori pastorali, la seconda parte degli Atti del nostro 35° Convegno diocesano (Sandrigo, 9-10-11 settembre 2011). Completo l’introduzione, proposta in apertura di quelle intense giornate, che vi aiuterà a comprendere pienamente il senso – la portata – i possibili sviluppi futuri del tema: “Non posso dire Gesù, ma lo amo!” Le persone con disabilità e l’annuncio del Vangelo. IL RAPPORTO TRA CATECHESI E PERSONE CON DISABILTA’ Il rapporto tra catechesi e persone con disabilità ha forti radici nel passato. Penso al XIX secolo e alle Congregazioni religiose che con i loro fondatori si sono impegnate nella promozione umana e nella formazione cristiana delle persone con disabilità: S. Giuseppe B. Cottolengo a Torino, S. Luigi Orione, il comasco S. Luigi Guanella, il Venerabile Don Giuseppe Gualandi a Bologna, nel Vicentino il Beato Giovanni Antonio Farina fondatore delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori… [che aveva una predilezione per le ragazze sordomute (considerate le sue beniamine)…] In questa storia di bene, che fortunatamente continua, sintetizzo brevemente alcuni documenti del Magistero ecclesiale nel periodo postconciliare, i quali delineano e incoraggiano questo rapporto necessario e fecondo. + Innanzitutto il RdC (1970) ribadisce - al n° 127 - che occorre assicurare ai fanciulli con disabilità forme appropriate di catechesi con educatori pedagogicamente specializzati (ben preparati). + Il DCG (1971) sottolinea - al n° 91 - che occorre fornire ai ragazzi con disabilità la possibilità di vivere la vita di fede secondo le loro capacità. Questo è un compito eminentemente evangelico! + La CT (1979) - al n° 14 - afferma che ogni battezzato possiede il diritto di ricevere dalla Chiesa un insegnamento e una formazione per una vera vita cristiana. Mentre il n° 41 dice che le persone con handicap, fisico o mentale, hanno diritto di conoscere il “mistero della fede”. + Nel DGC (1997) - al n° 189 - viene offerta una visione più articolata e completa. Si ricorda che le persone con disabilità hanno diritto ad una catechesi adeguata e, per quanto limitate, sono capaci di “crescere nella santità”. L’educazione alla fede per loro richiede itinerari adeguati e personalizzati, evitando però il rischio di una marginalizzazione pastorale comunitaria e per i catechisti una specifica competenza. + Infine l’Ufficio Catechistico Nazionale pubblica nel 2004 il documento “L’iniziazione cristiana alle persone disabili. Orientamenti e proposte”, articolato in tre parti: 1) La disabilità interpella la Chiesa 2) Il disabile, protagonista di evangelizzazione 3) I disabili e l’iniziazione cristiana. Esso offre una sicura riflessione, dei criteri per la proposta catechistica, puntuali indicazioni per la preparazione e la celebrazione dei sacramenti. Incoraggia soprattutto l’integrazione nella comunità dei fratelli con disabilità per rendere veramente “integra la comunione ecclesiale”. Tale documento - come dono di don Giovanni Cecchetto della Caritas vicentina – è stato riconsegnato a tutte le comunità cristiane del Vicentino nel corso del Convegno. IL PENSIERO DI GIOVANNI PAOLO II° E BENEDETTO XVI° Desidero inoltre richiamare la premura pastorale e l’amorosa attenzione degli ultimi due papi verso le persone con disabilità. + Giovanni Paolo II, ora beato, aveva trovato una definizione bellissima delle persone con disabilità: persone portatrici di un’abilità differente. Diceva nell’omelia della giornata giubilare 2000 delle persone con disabilità: “Dio si è fatto uomo per amore; ha voluto condividere fino in fondo la nostra condizione, scegliendo di essere, in certo senso, “disabile” per arricchirci con questa povertà. La parola del Signore illumina questo cammino di solidarietà. Nel regno di Dio si vive una felicità “controcorrente”, non basata sul successo e sul benessere, ma che trova la sua ragione profonda nel mistero pasquale di Cristo (cf. Fil 2,6-8; 2Cor 8,9)”. + Papa Benedetto XVI in visita all’Istituto “S. Josè” a Madrid, nel pomeriggio del 20 agosto 2011 durante la GMG, affermava : “Questa speciale predilezione del Signore per colui che soffre ci porta a guardare l’altro

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Speciale Catechesi 4

con occhi limpidi, per dargli, oltre alle cose esterne di cui ha bisogno, lo sguardo amorevole di cui ha bisogno. … La vostra vita e dedizione proclamano la grandezza alla quale è chiamato l’uomo: avere compassione e accompagnare per amore chi soffre, come ha fatto Dio. E nella vostra felice professione risuonano anche le parole evangeliche: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). D’altro canto, voi siete testimoni anche del bene immenso che rappresenta la vita di questi giovani per chi sta loro accanto e per l’intera umanità …. Certamente, la vita di questi giovani cambia il cuore degli uomini e, per questo, siamo grati al Signore per averli conosciuti.

Cari amici, la nostra società, nella quale troppo spesso si pone in dubbio la dignità inestimabile della vita, di ogni vita, necessita di voi: voi contribuite decisamente a edificare la civiltà dell’amore. Ancora di più, siete protagonisti di questa civilizzazione. E come figli della Chiesa offrite al Signore le vostre vite, con le sue pene e le sue gioie, collaborando con Lui ed entrando così «a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno» (Spe salvi, 40)”. IL CAMMINO NELLA NOSTRA CHIESA VICENTINA Non è la prima volta che la nostra chiesa vicentina rivolge la sua attenzione e il suo impegno verso le persone con disabilità e le loro famiglie, anche dal punto di vista della catechesi. La spinta venne dal Vescovo mons. Arnoldo Onisto alla fine degli anni ’70. E in tre decenni di strada se n’è fatta, la sensibilità è cresciuta ovunque, il percorso è proseguito fruttuosamente grazie anche alla Caritas diocesana: accoglienza dei ragazzi (persone) con disabilità, preparazione e celebrazione dei sacramenti, inserimento nei cammini di fede della comunità. Mancava però dal 1981 un convegno catechistico che mettesse a tema tale “problematica” (si tenne a Lonigo il 4-5-6 settembre 1981 attorno alla seguente tematica: Comunità cristiana e Handicappati). Di qui, allora, la decisione e il lavoro - nell’ultimo biennio - per approdare al nostro Convegno. Senza dimenticare che i disabili in Italia, secondo una recente indagine, sono più di quattro milioni. Nel Vicentino, 3403 alunni con disabilità siedono sui banchi di scuola con 1418 insegnanti di sostegno. Nel pensare e progettare un convegno nascono domande, attese, desideri, propositi, prospettive … - LE DOMANDE Nella preparazione del Convegno sono sorti innanzitutto alcuni interrogativi: + Nel territorio parrocchiale o zonale quante persone con disabilità vi sono? Cosa si fa per loro? Le loro famiglie sono lasciate sole o aiutate nella vita quotidiana/ordinaria? + Le persone con disabilità si sentono a casa loro in chiesa, nel cammino di iniziazione cristiana, nelle feste, nelle celebrazioni? Vi sono resistenze al loro inserimento negli itinerari di iniziazione cristiana? + Come le nostre parrocchie o unità pastorali favoriscono l’integrazione delle persone con disabilità nella vita comunitaria? + Le persone con disabilità sono desiderose di partecipare alla vita della comunità, felici di stare con gli altri; hanno - tra i vari diritti - quello di avere una fede e di crescere in essa. Cosa si sta compiendo per realizzare ciò? + Vi sono in parrocchia persone dedite a loro? E si hanno preparato delle catechiste con una qualche specifica competenza? - LE ATTESE I desideri sono numerosi e diversi, li raccolgo in questi punti: 1) fare il punto sull’esperienza pluriennale e sul percorso compiuto a favore delle persone con disabilità e le loro famiglie; 2) verificare e incoraggiare il loro inserimento (con le rispettive famiglie) negli itinerari di fede, nelle proposte di iniziazione cristiana con la celebrazione dei sacramenti nelle nostre parrocchie; 3) rilanciare l’impegno dell’annuncio del Vangelo a favore delle persone con disabilità e dell’accompagnamento permanente nel cammino di fede; 4) coordinare le forze - proposte - iniziative; 5) sostenere il servizio generoso degli operatori della catechesi, in sintonia con la Caritas;

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6) dare compimento alle indicazioni strategiche degli Orientamenti CEI “Educare alla vita buona del Vangelo” (cf. nn° 36-38-54); 7) ricostituire la commissione congiunta tra Caritas e Ufficio per l’evangelizzazione e la catechesi nel settore “Catechesi e persone con disabilità” ... Per questa ragione il Convegno è stato promosso e celebrato in collaborazione con la Caritas diocesana, che segue con competenza e passione questi nostri fratelli e sorelle con le loro famiglie. ALCUNI ORIENTAMENTI CONCLUSIVI

- UNA RINNOVATA ATTENZIONE ALLE PERSONE CON DISABILITA’ Il Convegno ci ha fatto comprendere e riscoprire che le persone con disabilità e le loro famiglie sono nel cuore e al centro della Chiesa: la comunità cristiana – sull’esempio di Gesù (cf. Lc 10,29-35) – si prende e continua a prendersi amorevole cura di loro. I catechisti sono convinti interpreti di tale scelta.

- L’INSERIMENTO NEI CAMMINI ORDINARI DI FEDE Il Convegno ha confermato che sta emergendo una nuova sensibilità di rapporto tra catechesi e persone con disabilità: evitare di attivare per loro una catechesi “speciale” inserendole invece – pur con le dovute attenzioni – nei cammini ordinari di fede anche dell’iniziazione cristiana. Si profila quindi un nuovo indirizzo catechistico-pastorale: da una pastorale ad hoc, la cosiddetta “speciale”, ad una pastorale dove tutti possono ritrovarsi, verso cioè la sua “inclusione” nella catechesi ordinaria (cf. L. PALAZZI, Educare i disabili alla “vita buona”, in “Settimana” 46(2011)27,1.16).

- IL LAVORO COMUNE TRA CARITAS E UFFICIO PER L’EVANGELIZZAZIONE E LA CATECHESI Altra linea di impegno condivisa è proseguire nel Vicentino la collaborazione fruttuosa tra i due Uffici, rinnovando – nei modi e nei tempi più opportuni – la Commissione congiunta “Catechesi e persone con disabilità”. A Voi catechiste/i, ricordo la consegna del decalogo – da parte del Vescovo Beniamino – “…per una diaconia del cuore” e suggerisco inoltre, nei vostri periodici incontri formativi, di riprendere i testi del Convegno, di farne oggetto di riflessione e di confronto, cercando – per quanto possibile – l’applicazione degli indirizzi operativi nelle vostre comunità ecclesiali.

Antonio Bollin

Vicenza, 14 gennaio 2012 Memoria del Beato Giovanni Antonio Farina, Vescovo

PELLEGRINAGGIO A GERUSALEMME LUGLIO 2012 Dal 21 al 28 luglio 2012, l'Ufficio per l'IRC organizza un pellegrinaggio a Gerusalemme con tappa anche a Betlemme. Sono invitati docenti di religione e operatori del mondo della scuola, ma la partecipazione è estesa anche alle catechiste/i vicentini. I posti sono limitati! Quanti fossero interessati per informazioni e iscrizioni (che si chiuderanno il 29 febbraio), possono rivolgersi alla Segreteria dell'Ufficio diocesano Pellegrinaggi (tel. 0444-327146).

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RELAZIONE PEDAGOGICO-PASTORALE

“NELLA COMUNITA’ IL LIMITE DIVENTA RICCHEZZA”

INTRODUZIONE L’obiettivo principale che mi sono data nel trattare questa tematica che mi è così familiare, è quello di promuovere l’educazione ad una concezione alternativa del deficit e del limite che esso racchiude in sé. Il pregiudizio, che può essere veicolato anche attraverso il linguaggio, diventa nel quotidiano una vera e propria fonte di emarginazione e di ostacolo tale da innescare logiche di “scarto” dell’altro. Traggo le argomentazioni per questo intervento dalla mia tesi di Baccalaureato, intitolata: "Il limite che diventa ricchezza. Dal concetto di disabilità a quello di diversabilità". Nel mio lavoro inizialmente ho parlato dell’approccio al deficit dal punto di vista del senso comune, che l’ha sempre identificato soltanto come un problema, ho continuato poi a completare la spiegazione, grazie agli spunti di riflessione del testo di Toschi, Dieci anni di beatitudine. L’esperienza dell’handicap alla luce del Vangelo, come il limite rappresentato dal deficit, pur con la sofferenza e le difficoltà che lo caratterizzano, può essere considerato, in una prospettiva che oltrepassa quella etica e affonda le sue radici nella fede, come una risorsa. Riconoscere nel deficit una ricchezza e non soltanto uno svantaggio, vuol dire innanzitutto realizzare che la condizione di limite che esso porta è solo una tra le più evidenti dei molti e vari aspetti della fragilità umana e della finitezza del nostro essere creature. Facendo propria questa consapevolezza si arriva a capire che molte sono le forme di limite che possono ostacolarci nella vita, nelle relazioni, nel rapporto con noi stessi, con gli altri uomini e con Dio, e si capisce soprattutto che tutti in questo senso possiamo essere “deficitari”. In questa prospettiva, allora, il concetto di “diversità”, frutto del pregiudizio, non ha più ragione di esistere, inteso come categoria contrapposta alla “normalità”, ma acquisisce nuovo significato se lo si riconduce al concetto di unicità di ogni singola persona umana. La persona diversamente dotata, accettando il proprio limite e assumendone la responsabilità, può trasformarsi in soggetto che attivamente promuove ed educa, nella quotidianità, ad “una cultura della vita”, secondo la quale ogni persona è una risorsa e nessun uomo è meno uomo. A suffragio della mia convinzione che il deficit possa essere concretamente considerato una risorsa, ho dedicato il terzo e ultimo capitolo della tesi al contributo, in termini di evangelizzazione e di impegno concreto di vita, a favore di questa causa con l’aiuto di Giovanni Paolo II e da Jean Vanier. Questi due uomini hanno saputo essere entrambi dei forti promotori delle potenzialità nascoste dal limite rappresentato dal deficit. Il Papa, infatti, nei suoi scritti e nelle sue omelie, ha suggerito di fare della “persona”, intesa come relazione, il punto di partenza per educare alla diversità e ha esortato a realizzare l’integrazione sociale progressiva e costante dei diversabili nella vita sociale e un tipo di convivenza basato sulla pari dignità e non su un atteggiamento di pietismo e di assistenzialismo. Quello che egli ha manifestato con forte speranza, la convinzione che i diversamente dotati, attraverso la loro testimonianza di vita, possono essere “maestri di umanità” che aiutano la crescita e la trasformazione della società in “comunità accogliente”: Jean Vanier, decidendo di vivere con due portatori di deficit mentale e dando così vita alla comunità chiamata l’Arca, ha saputo metterlo in pratica in un progetto di vita concreto, nel quale la relazione da persona a persona, porta a scoprire le proprie povertà, a scendere dal piedistallo, a toccare i propri limiti, in un esercizio quotidiano che ogni giorno ricomincia da capo. Così, se il povero non è soltanto la persona diversamente dotata, ma è «ogni uomo, ogni donna che si trova in uno stato di dipendenza, che in un modo o nell’altro vive la sofferenza nella sua carne, nel suo spirito»1. La scoperta che il povero è ognuno di noi, ha trasformato

1 O. CEYRAC, Scoprire il tuo volto, Edizioni Messaggero, Padova , 1990, p. 55

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l’approccio alla diversabilità, all’interno dell’Arca, da un iniziale servizio mosso soprattutto da un sentimento di pietà ad una condivisione di vita che diviene occasione di entrare nel mistero di Gesù e del Padre, di entrare nel loro amore. In questo senso il limite intrinseco al deficit, non rappresenta più, nell’esperienza di Jean Vanier, qualcosa da eliminare, una realtà che non ha nulla da dare, ma un’opportunità di comprendere e conoscere veramente se stessi, gli altri e Dio. IL MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II: I PORTATORI DI UN’ABILITÀ DIFFERENTE Se da un lato la mentalità comune tende a vedere nelle persone con deficit dei casi particolari di umanità, dei “diversi” da considerare “fuori dalla condizione di normalità”, la Sacra Scrittura le ripropone invece non solo come facenti parte a pieno titolo della comunità, ma addirittura come principali protagoniste della storia della salvezza. Come le membra del corpo sono molte e nessuna può dire alle altre di non aver bisogno di loro, che anzi le membra più deboli sono anche le più necessarie, così le persone diversabili sono di enorme importanza all’interno della comunità, perché per la loro “trasparenza”, come dice Toschi, ci ricordano che ognuno ha dei limiti con cui deve confrontarsi e che nessuno può in realtà bastare a sé stesso. Le persone “normali” spesso preferiscono tenersi lontane da quelle più trasparenti proprio perché sono impaurite da questi volti senza maschere. La “normalità” si costruisce nascondendo e dimenticando i limiti, rendendosi il più possibile opachi. La persona più trasparente è come uno specchio in cui siamo costretti a vedere la nostra vera faccia, o almeno un aspetto di noi che non siamo ancora riusciti a integrare.2 L’esortazione che le persone con deficit, in modo più o meno consapevole, ci lanciano continuamente a non escludere il limite ma anzi a confrontarsi con esso, per vivere meglio il rapporto con Dio, con sé stessi e con gli altri, ci educa alla relazione, ad uscire da noi stessi e ad andare verso gli altri e l’Altro con la A maiuscola. Dio stesso, in fondo, ha scelto la condizione di precarietà, di finitudine, per farsi prossimo all’uomo attraverso l’incarnazione e la vita terrena di suo figlio Gesù. Dio stesso ha scelto il limite come punto di partenza necessario per stare in relazione. Alla luce di questo messaggio allora, anche la catechesi deve avere come obiettivo quello di educare al riconoscimento e ad un atteggiamento di accoglienza delle diversità umane come valore e come fondamento stesso di una vita vissuta “in communio sanctorum”, vale a dire in comunione di parole, pensieri e azioni quotidiane che, compiuti in nome di Dio diventano “cose sante”.3 Vivere in comunione vuol dire essere in dialogo, vuol dire lasciarsi «interpellare dall’altro»4 e interpellarlo a nostra volta in un rapporto che «non appiattisce le diversità dei singoli, ma dà a tutti un principio ed uno scopo comune, che ognuno interpreta e raggiunge a suo modo con la propria sensibilità e la propria cultura»5. Un forte promotore di questa necessità di integrazione e di inserimento delle persone con deficit come “soggetti attivi” all’interno della società, e del loro coinvolgimento all’interno della Chiesa e della catechesi è stato Giovanni Paolo II. Nelle sue omelie e nei suoi scritti, quando il Papa affronta l’argomento della disabilità, individua nel concetto di “persona”, intesa non come semplice identità, ma come relazione con gli altri e con sé stessi, il punto di partenza per educarci-educare alla diversità e per

2 S. TOSCHI,, Dieci anni di beatitudine. L’esperienza dell’handicap alla luce del Vangelo, Pardes Edizioni, Bologna 2005, p. 92 3 Toschi spiega come l’espressione “communio sanctorum” possa essere intesa in duplice modo: come “comunione di persone sante” (sanctorum come genitivo plurale di sanctus), che sono sante perché lo Spirito di Dio le ha rese partecipi dei santi doni; oppure come “comunione di cose sante”( sanctorum come genitivo plurale neutro sancta), che possono essere parole, azioni o pensieri quotidiani che non hanno nulla di speciale ma che, se compiuti in nome di Dio, diventano “cose sante”. S. TOSCHI, Dieci anni di beatitudine. L’esperienza dell’handicap alla luce del Vangelo, Pardes Edizioni, Bologna 2005, p. 62 4 S. TOSCHI, Dieci anni di beatitudine. L’esperienza dell’handicap alla luce del Vangelo, Pardes Edizioni, Bologna 2005, p. 62 5 S. TOSCHI, Dieci anni di beatitudine. L’esperienza dell’handicap alla luce del Vangelo, Pardes Edizioni, Bologna 2005, p. 63

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costruire la “comunione dei santi”. Il messaggio che Giovanni Paolo II ha cercato di far passare alle persone con deficit e alla Chiesa è quello di una mentalità aperta all’integrazione sociale progressiva e costante dei diversabili nel lavoro, nella scuola, nella vita sociale e di un tipo di convivenza basato sulla pari dignità e non su un atteggiamento di pietismo e di assistenzialismo. Guardare ai fratelli con difficoltà in una luce più autentica vuol dire, continua il Pontefice, vederli come “portatori di un’abilità differente”, presenze attive nelle comunità, nella liturgia, nelle associazioni, in quanto soggetti capaci di dare input forti e di offrire grandi risorse morali e spirituali per un mondo secondo il piano di Dio6. La presenza delle persone con deficit riafferma che la disabilità non è soltanto bisogno, è anche e soprattutto stimolo e sollecitazione, […] è domanda di aiuto, ma prima ancora provocazione nei confronti degli egoismi individuali e collettivi; è invito a forme sempre nuove di fraternità7. Per far sì tuttavia che questa integrazione si realizzi concretamente, la Chiesa per prima deve farsi, dice il Papa, “casa accogliente”, evitando l’atteggiamento subdolo e pericoloso che Toschi definisce di “servizio tollerante”. Nelle comunità cristiane, infatti, come nella società in genere, si tende spesso a separare chi serve e chi è servito, così che chi serve rischia di sentirsi appagato dal servizio che fa e magari inconsapevolmente di considerare l’altro un oggetto di cui prendersi cura, perdendo così il senso della gioia di stare insieme. In questo “servizio tollerante” l’altro è sopportato, ma non si è veramente in comunione con lui8. Valorizzare la dignità di persona dei diversabili significa allora non abbassarli al rango di “assistiti” che devono solo aspettarsi tutto da chi li circonda, ma uscire dalla logica del pietismo e farsi loro prossimi ammettendo quanto, come “testimoni privilegiati di umanità”, anche loro possano essere di grande aiuto per il fatto che affermano il valore della vita, «al di là di ogni determinazione di funzionalità e di efficienza»9. La solidarietà di cui Giovanni Paolo II si fa portavoce è un riconoscimento pieno e oggettivo della titolarità di un diritto intero di cittadinanza ed un “con-vivere” che non chiede alla comunità di “assistere” i diversabili ma di “prendersene cura” realizzando un approccio integrato alla globalità della persona. Nella nostra società di benessere e di profitto, si assiste ad un’emarginazione che è stata definita “morbida” della persona con deficit, in quanto se da un lato i diritti dei disabili vengono proclamati, dall’altro le leggi che li tutelano vengono spesso malgestite. Se riuscissimo, dice il Papa, a ripartire dagli ultimi, e, sollecitati dalla riflessione che la diversabilità sempre ci pone, costruissimo un sistema sociale basato sulla convinzione che la persona vale per quello che è e non per quello che fa o sa fare, allora potremmo iniziare una nuova costruzione sociale, caratterizzata da una convivenza «fatta di fiducia piuttosto che di sospetto e diffidenza, di gratuità schietta piuttosto che di grette chiusure, di immediata freschezza nelle relazioni interpersonali, di consapevole e serena reciproca dipendenza»10. A potenziare il pieno riconoscimento della dignità delle persone con deficit che Giovanni Paolo II promuove nelle sue omelie e nei suoi scritti, c’è l’altra importante esortazione del Papa a ricordare che la persona disabile è direttamente responsabile della propria storia e della propria vita come ogni altra persona e che, alla luce di questo, essa non è solo destinataria dell’annuncio del Vangelo, ma chiamata ad essere «soggetto attivo»11 e responsabile di evangelizzazione e di salvezza. La Chiesa è chiamata a coinvolgere nelle comunità, nella liturgia, nella catechesi i diversabili, portandoli a scoprire la loro missione e vocazione personale. In questo modo essa educa ad una “cultura della vita”, e crea l’occasione affinchè il portatore di deficit e la loro famiglia, attraverso il coinvolgimento sociale-ecclesiale e le testimonianze di vita vissuta, diventino veicolo privilegiato per la trasformazione e la crescita della società e occasione di «auto-

6 GIOVANNI PAOLO II, lett. ap. Christifideles laici, 30 dicembre 1988, n. 54 EV 11/672, p. 1207 7UFFICIO NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, Talità Kum. Il disabile e la chiesa accogliente, Edizioni Dehoniane Bologna, 2001, p. 17 8 S. TOSCHI, Dieci anni di beatitudine. L’esperienza dell’handicap alla luce del Vangelo, Pardes Edizioni, Bologna 2005, p. 64 9 UFFICIO NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, Talità Kum. Il disabile e la chiesa accogliente, Edizioni Dehoniane Bologna, 2001, p. 28 10 UFFICIO NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, Talità Kum. Il disabile e la chiesa accogliente, Edizioni Dehoniane Bologna, 2001 p. 31 11 GIOVANNI PAOLO II, Sinodo sui laici, 29 ottobre 1987, n. 53 EV 10/672, p. 1513

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educazione per la comunità parrocchiale»12 che, grazie a questa prossimità con la disabilità, può crescere e farsi comunità accogliente. JEAN VANIER: UN IMPEGNO CONCRETO DI VITA Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore! Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia giunga alla pienezza. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici13. Queste parole del Vangelo di Giovanni, che molte volte abbiamo sentito leggere durante la liturgia, ora, alla luce della riflessione su come sia possibile superare il pregiudizio e realizzare una vera integrazione dei “diversi” (intendendo con questo termine non solo i diversabili), risuonano in noi in modo più chiaro e diretto, proponendosi ben al di là di una semplice esortazione verbale, come la strada concreta da percorrere, la modalità di vita da adottare per promuovere e costruire una “civiltà della vita e dell’amore”. Anche se il messaggio del Vangelo non lascia spazio a fraintendimenti, tuttavia non è così immediato riuscire a metterlo in pratica. Spesso scegliamo di essere e di agire in modo “tiepido”, incarnando, pur nella bontà delle intenzioni, comportamenti e modi di essere con l’altro sbagliati, lontani dalla dimensione complessa che ci viene proposto di adottare nelle relazioni dall’agàpe paolina. Per andare al cuore della nostra riflessione sul deficit e perché essa si traduca nella sfida di una via possibile e già percorsa di cambiamento nell’approccio ad esso, ho deciso di raccontarvi la forte e sconvolgente testimonianza rappresentata dalla vita di Jean Vanier e della sua comunità, l’Arca. Jean Vanier, nato in Svizzera nel 1928, nel 1963, dopo l'esperienza vissuta in un centro (“Val Fleuri”), che ospitava persone adulte con handicap mentale, maturò la scelta radicale di che lo portò a far nascere nel 1964 a Trosly Breuil (Oise) la comunità che egli chiamò “l’Arca”. La vita a “Val Fleuri” fu in realtà per Jean un incontro sconvolgente che introdusse in un mondo di sofferenza del quale era ignaro. Quell’esperienza lo turbò profondamente perché si era sentito chiamato personalmente dal povero, dal suo “grido”: nell’incontrare questi uomini rimasi sconvolto dal grido che prorompeva dall’intero loro essere: «Mi ami?». E ancora «Perché mi hanno abbandonato? Perchè non sono come i miei fratelli, le mie sorelle che sono sposate, che vivono in una casa? Perché sono qui?». Il grido di quegli uomini scaturiva dal loro viso, da tutto il loro corpo, da tutti i loro gesti, da tutta la loro terribile sete d’amicizia, dal loro desiderio ardente di trovare qualcuno che li amasse14. Durante quel soggiorno Jean aveva avuto occasione di vivere e lavorare con gli ospiti e fu proprio questo “stare con loro” che lo cambiò: con loro mi sentivo molto contento, mi accoglievano. Quando stavo con i miei studenti, dovevo essere un professore. Con questi uomini handicappati capivo che dovevo essere me stesso. Mi hanno fatto scoprire il mistero dell’incontro tra persone come tra gli studenti non avevo mai sperimentato15. È stato proprio l’incontro con uomini fragili, deboli, rifiutati dalla società, eppure così preziosi per l’esperienza personale e spirituale di Jean Vanier, a fagli decidere di acquistare una casa nella quale vivere assieme a Raphael e Philippe, due portatori di deficit mentale che aveva incontrato in un ricovero. Nacque così l’Arca, una comunità, cresciuta a tal punto che da essa, con il passare del tempo, ne sono nate delle altre in differenti paesi del mondo (Canada, Stati Uniti, Belgio, Danimarca, Norvegia, Scozia, Irlanda, India, Haiti, Honduras, Alto Volta, Costa d’Avorio), una comunità che come dice il nome è nata per essere da un lato «un rifugio per gli emarginati» e nel contempo «un ponte tra gli emarginati e la società: l’arca 12 UFFICIO NAZIONALE DELLA CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, Talità Kum. Il disabile e la chiesa accogliente, Edizioni Dehoniane Bologna, 2001, p. 66 13 Vangelo secondo Giovanni, 15-9,12, Edizioni Paoline, 1987, ( Mi) pp. 1663,1664 14 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 14 15 J.VANIER, La Comunità che accoglie i rifiutati, Jaka Book Editore spa, Milano, 1975, p. 7

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dell’alleanza» 16. Questo modello di comunità può, a mio avviso, rappresentare una modalità concreta e percorribile di vivere nella quotidianità il limite rappresentato dal deficit, anche quello più grave, come una risorsa. Quando Jean iniziò questa sua nuova vita fu inizialmente il sentimento di pietà ad esortarlo a prendersi cura delle persone con problemi mentali, creando per loro una casa che li accogliesse. Ma con l’andare del tempo, vivendo con loro e grazie all’azione dello Spirito, egli si accorse di ricevere molto più di quanto stava donando; si accorse che le persone con cui condivideva la sua quotidianità lo stavano aiutando a realizzarsi, a rivelare la sua umanità, a trasportarlo in un mondo di amicizia e di comunione, capace di guarire il suo cuore e di stimolarlo alla vita17. La scelta fatta non fu certo facile e Jean fin da subito si rese conto di aver compiuto un’azione, che lui stesso definì “irreversibile” e che avrebbe voluto da lui la presenza e la relazione costante, l’assunzione di responsabilità, la fedeltà quotidiana, anche nelle difficoltà e nei momenti di crisi. L’Arca oggi è costituita dalle persone con handicap, dagli assistenti, dagli infermieri, da chi si occupa del laboratorio, della contabilità, e da chi è lì solo di passaggio per fare un’esperienza di servizio. E’ un microcosmo di persone molto diverse tra loro, senza legami di parentela, che vivono insieme e che costituiscono una comunità; una comunità che non è perfetta e stabile, ma che, come dice il suo fondatore, «è sempre in via di evoluzione»18, nella quale «le sofferenze e le gioie sono frammiste»19, nella quale vi sono tensioni esteriori e interiori, momenti di forte crisi e momenti di grande speranza e trasformazione. Essa è costituita da uomini e donne che non vogliono solo fare qualcosa per la persona con deficit, il povero, l’emarginato, ma desiderano vivere con lui, diventargli amico, camminare e crescere con lui. Questa esperienza così straordinaria ha il suo fondamento non in una semplice aspirazione ad un servizio tollerante ma in un desiderio di vivere il Vangelo e di seguire Gesù. Jean Vanier scrive che, vivendo con le persone portatrici di deficit mentale, ha capito quanto il tipo di vita proposto dalla società moderna sia un cammino «esattamente inverso rispetto a quello proposto dal Vangelo»20. I pilastri della vita comunitaria, per come la vede lui, ossia l’accoglienza, la compassione, la fiducia, il perdono, il senso d’appartenenza, la responsabilità, la speranza, non trovano spazio nel modello di società in cui viviamo. Si procede, infatti, in altre direzioni alla ricerca della felicità, andando incontro tuttavia al vuoto interiore e alla solitudine, ad atteggiamenti d’insoddisfazione e di cinismo e allo smarrimento del significato dell’esistenza stessa. Quello che nella vicenda di Jean Vanier fa riflettere è questo: ciò che egli racconta non è una dottrina o una soluzione teorica al problema dell’emarginazione e della disabilità, ma un atteggiamento concreto, un modo d’essere e di agire. Il punto di partenza delle scelte che egli ha fatto è stato l’incontro con “la persona” dei portatori di deficit mentale; un incontro dove è stato chiamato alla relazione, grazie alla situazione di dolore e di sofferenza nella quale versavano quelle persone. Egli tuttavia, a differenza di come siamo generalmente soliti o abituati a reagire quando veniamo chiamati in causa, ha reagito accogliendo in sé l’interrogativo posto dal deficit e, in una prospettiva di autentica fede, ha risposto all’appello ricevuto con l’assunzione di tutta la responsabilità e l’impegno che richiede una relazione di amicizia. Nella relazione non si può tenere a lungo una maschera su chi siamo veramente. A breve, infatti, emergono i limiti e le povertà del nostro essere più profondo. Ecco allora che se inizialmente la pietà aveva avuto un ruolo importante nella scelta di Jean Vanier, con il passare del tempo la scoperta che «il povero, il debole è presenza di Gesù»21 e che l’emarginato ha «un posto privilegiato nel Regno»22, gli hanno fatto capire che, attraverso la vita della comunità, coltivando la relazione con le persone diversamente dotate, egli aveva la possibilità di sperimentare in modo autentico il Vangelo e di conoscere se stesso come mai gli era riuscito in altre situazioni. La vita nella comunità, scrive Jean, appare «meravigliosa come luogo di accoglienza e di condivisione, ma da un altro punto di vista, è un luogo terribile, è il luogo della rivelazione

16 J.VANIER, La Comunità che accoglie i rifiutati, Jaka Book Editore spa, Milano, 1975, p. 8 17 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 15 18 J.VANIER, La Comunità che accoglie i rifiutati, Jaka Book Editore spa, Milano, 1975, p. 13 19 J.VANIER, La Comunità che accoglie i rifiutati, Jaka Book Editore spa, Milano, 1975, p. 13 20 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 20 21 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 21 22 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 21

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dei nostri limiti e dei nostri egoismi» 23. Il contatto con le problematicità e le forti limitazioni delle persone con problemi mentali ha dato modo a Jean Vanier di accorgersi di quali fossero i suoi limiti di umanità che si situano ad un livello ben diverso dal limite fisico o mentale. La povertà, la carenza di cui egli parla è sostanzialmente una mancanza di capacità di amare, nel senso del “com-patire”: «Amare» è interessarsi veramente a qualcuno, essere attenti a lui; è rispettarlo com’è, con le sue ferite, le sue tenebre e la sua povertà ma anche con le sue potenzialità, con i suoi doni forse nascosti; è credere in lui, nelle sue capacità di crescere, è volere che lui progredisca; è nutrire verso di lui una speranza folle: «Non sei perduto; sei capace di crescere e di fare delle belle cose; ho fiducia in te»; è gioire della sua presenza e della bellezza del suo cuore, anche se resta ancora nascosta; è accettare di creare con lui dei legami profondi e duraturi, malgrado le sue debolezze e la sua vulnerabilità, la sua attitudine alla ribellione e alla depressione 24. Il mistero in cui si è chiamati ad entrare, dice Jean Vanier, è in definitiva «l’aprire […] il nostro cuore davanti all’altro»25. Non è facile fare proprio questo modo d’essere, dato che spesso ci chiudiamo nelle nostre preoccupazioni, nei nostri problemi e abbiamo paura della realtà, del mondo così com’è, «un luogo di sofferenza, di fratture, di ferite, di oppressioni, d’infedeltà, di guerre […]. Tendiamo tutti a sfuggire la realtà, a scappare da chi ci troviamo davanti e chiede qualcosa che sentiamo di non essere in grado di donargli»26. Il senso della vita all’Arca è quello di essere prima di tutto una testimonianza evangelica che cerca di vivere l’unità nella comunità, rinunciando all’egoismo, alla rivalità e scoprendo così che la differenza è un tesoro e non una minaccia e che per mezzo di essa si possono comprendere molte cose su se stessi, sugli altri e sui progetti di Dio. Le parole di Gesù «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me», ben riassumono l’intento della comunità di Jean Vanier. Incarnare un amore compassionevole non vuol dire eliminare la sofferenza ma sopportarla con l’altro. È questa «qualità di presenza che permette a colui che è nello sconforto di non sentirsi più tutto solo ma in grado di riprendere coraggio»27. Chi compatisce è lì per aiutare a vivere lo sconforto con una piccola fiamma di speranza che dona un senso alla sofferenza e attraverso la quale, «partecipiamo alla salvezza del mondo con il Cristo crocifisso»28. Questo modo di vivere la compassione è un dono di Dio. Non si può, infatti, ricorda Jean Vanier, entrare nelle sofferenze di un altro se non abbiamo assunto le nostre, se non abbiamo assunto la realtà della nostra morte, la realtà del nostro stato di creature e dunque di dipendenza. […] Finchè non entro in contatto con la mia miseria e con la misericordia di Dio, rischio di andare incontro al povero come un ricco che viene ad aiutarlo. Il povero sarà forse riconoscente dei consigli o dell’aiuto che gli donerò, ma non si sentirà profondamente compreso. Non si può avvicinare veramente la sofferenza, se non si ha sofferto di persona 29.

Dall’esperienza della vita all’Arca possiamo imparare molto e la mia convinzione è che questo modello di vita, che passa necessariamente per Gesù Cristo, sia la strada da percorrere per avvicinarsi al deficit in modo corretto. Quando incontriamo una persona diversamente dotata è questa la prospettiva giusta in cui porsi: quella di saperla vedere come una «sorgente di vita e di luce»30 e non come un problema, un peso. La sfida che questo incontro ci lancia è quella non solo di un cambiamento di mentalità, ma anche di stile di vita, che chiama, come dice Jean Vanier, ad un incontro «cuore a cuore […]; un incontro profondo, un impegno, una condivisione, un’idea vera dell’altro»31. In questa nuova dimensione, il limite acquisisce il suo giusto spazio e diventa importante terreno di maturazione della nostra umanità e la sofferenza diviene il 23 J.VANIER, La Comunità luogo del perdono e della festa, Jaka Book Editore spa, Milano, 1980, p. 15 24 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 43 25 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 35 26 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 35 27 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, pp. 50,51 28 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 51 29 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p.52 30 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p.21 31 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p.60

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luogo della presenza «di Colui che – per amore – è andato ad abitare la sofferenza umana, trasformandola in sacramento»32. L’esperienza dell’Arca è un ottimo esempio di vita sociale. La comunità di persone che in essa vive non è costituita da amici o familiari, ma da persone che consapevolmente scelgono una precisa modalità di relazione con l’altro che coinvolge tutta la loro esistenza. La comunità, secondo Jean Vanier, «è il luogo di vita che permette agli uomini di essere persone, di guarire e di crescere nella loro affettività profonda, avanzando verso l’unità e la liberazione interiore»33. In essa si impara a scoprire e ad amare il segreto della propria persona, si imparano la pazienza, il perdono, la mutua fiducia, la dipendenza reciproca che è «il cemento dell’unità»34. I membri che la compongono sono «un miscuglio di bene e male, di tenebre e di luce»35, non sono dei santi, sono uomini e donne che «riconoscono una chiamata di Dio a vivere, ad amarsi, a pregare, a operare insieme, a rispondere al grido del povero»36, sono persone che nella comunità imparano a crescere e ad utilizzare il dono che hanno ricevuto: «Ognuno secondo il suo dono trova il suo posto nella comunità. Diventa non solo utile, ma unico e necessario agli altri »37. Il mistero dell’Arca […], il mistero delle relazioni umane […] è il mistero dell’alleanza fra le persone. Prendere coscienza dell’alleanza che Dio ha intrecciato fra noi, volere quest’alleanza significa avanzare sulla via delle beatitudini. Significa comprendere l’altro, amarlo ed entrare nel suo mistero. È vero che cadiamo in fretta, in fretta ci stanchiamo, in fretta ci facciamo prendere in un circolo di depressione-aggressione e di collera da cui non riusciamo più a liberarci. […] Gridiamo allora il nostro dolore, la nostra delusione, la nostra incapacità, la nostra aggressività e possiamo gridarli nel vuoto ma possiamo gridarli anche in direzione di Dio38.

DOTT.SSA ROSITA SARTORI

(Diversabile studiosa ed appassionata del Vangelo) BIBLIOGRAFIA

- Vanier J., La comunità Luogo del perdono e della festa, Edizioni Jaca Book, Milano, 1980 - Vanier J., Una porta di speranza, Piero Gribaudi Editore srl, Milano, 1998 - Vanier J., La comunità che accoglie i rifiutati, Edizioni Jaca Book, Milano, 1975 - Ceyrac O., Scoprire il tuo volto, Ed. Messaggero, Padova, 1988 - Toschi S., Dieci anni di beatitudine. L’esperienza dell’handicap alla luce del Vangelo, Pardes

edizioni, Bologna, 2005 - Giovanni Paolo II, lett. ap. Salvifici Doloris 11 febbraio 1984 - Giovanni Paolo II, lett. ap. Christifideles laici 30 dicembre 1988 - Giovanni Paolo II, lett. ap. Sinodo sui laici 29 ottobre 1987 - Ufficio Nazionale della CEI per la pastorale della sanità, Talità Kum. Il disabile e la chiesa

accogliente, Edizioni Devoniane, Bologna, 2001 - Vanier J., Alla sorgente delle lacrime, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, (Mi), 200 -

32 J.VANIER, Una porta di speranza, Gribaudi Editore srl, Milano, 1998, p. 65 33 J.VANIER, La Comunità luogo del perdono e della festa, Jaka Book Editore spa, Milano, 1980, p. 39 34 J.VANIER, La Comunità luogo del perdono e della festa, Jaka Book Editore spa, Milano, 1980, p. 32 35 J.VANIER, La Comunità luogo del perdono e della festa, Jaka Book Editore spa, Milano, 1980, p. 32 36 J.VANIER, La Comunità luogo del perdono e della festa, Jaka Book Editore spa, Milano, 1980, p. 42 37 J.VANIER, La Comunità luogo del perdono e della festa, Jaka Book Editore spa, Milano, 1980, p. 34 38 J.VANIER, Alla sorgente delle lascrime, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2003, p. 146

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I LABORATORI: un’avventura educativa accanto ai ragazzi con disabilità

Una delle novità del Convegno 2011 è costituita dall’esperienza dei laboratori. Nell’ambito della disabilità uditiva, visiva e motoria i laboratori sono utili per rendere le persone disabili protagoniste e soggetti di azione pastorale. Il sordo, il non vedente, il disabile motorio hanno un’intelligenza normale e crescono come gli altri, se trovano chi sa interagire con la loro disabilità superano il loro limite. I laboratori che prendono in considerazione le aree della disabilità intellettiva e psichica partono invece dalla esperienza della vita dei partecipanti e poi si ampliano con il dialogo tra la catechista, gli animatori e i ragazzi. I laboratori sono luoghi di esperienza significativa per la valorizzazione dell’espressione di sé, della comunicazione e della relazione con gli altri. Mettendosi in gioco si possono attivare percorsi di energie che si articolano in varie fasi, all’interno di un contesto programmato e pensato, per porre al centro le persone più fragili. Le proposte si adattano alle diverse capacità: dall’ascolto musicale, all’educazione della gestualità, del movimento, dell’orientamento spazio-temporale, con la possibilità di appropriarsi di quei linguaggi che permettono di comunicare, superando i nostri limiti per costruire ponti gli uni verso gli altri e per riconoscersi. Nei laboratori di catechesi la centralità è data dalla parola di Dio, che viene veicolata, gustata e assimilata tramite i cinque sensi. Nelle pagine che seguono ci sarà l’esemplificazione e la sintesi dei laboratori stessi.

LABORATORIO DELLA DISABILITÀ UDITIVA: IL SEMINATORE Il laboratorio ha presentato subito una simulazione della sordità. Alcune persone sorde, catechisti dei sordi, muovevano le labbra senza emettere voce, successivamente è stato presentato un video senza volume. L’impatto con questa simulazione ha fatto entrare subito i presenti nel mondo dei sordi. In questo modo si è compreso che in assenza di comunicazione, si doveva ricorrere ad altri espedienti, che possono essere il linguaggio gestuale e l’educazione del sordo ad emettere e a modulare la voce. Qualora la catechista si trovi nel gruppo un bambino sordo necessita di un interprete, che può essere un familiare o un compagno di scuola. Ma quale ricchezza può portare un bambino sordo in un gruppo catechistico? Pensiamo che il suo linguaggio gestuale, per esempio nella lettura di un brano della Bibbia relativo all’argomento proposto quel giorno, possa catalizzare l’attenzione degli altri bambini di solito irrequieti e dispersivi.

LABORATORIO DELLA DISABILITÀ VISIVA: SEMINARE IN TERRA BUONA In questo spazio esperienziale per i non vedenti è stato valorizzato il tatto, attraverso la presentazione di vari materiali. Ci si è soffermati, in particolare, sulla scrittura Braille. La catechista, in caso si trovasse nel gruppo un non vedente, potrebbe predisporre l’argomento della lezione anticipando ai familiari qualche spunto. Così il bambino, non vedente, può essere protagonista per alcuni minuti sentendosi gratificato e nello stesso tempo si arricchisce del contenuto biblico proposto.

LABORATORIO DELLA DISABILITÀ MOTORIA: MUSICA E SEMI DI SPERANZA In questo laboratorio si è notata l’esigenza di dialogo da parte dei partecipanti: un dialogo che è stato arricchente anche per i referenti e gli animatori del laboratorio stesso. Apparentemente il bambino o il ragazzo con disabilità motoria non necessita tanto dell’abbattimento delle barriere architettoniche, che quasi sempre è assicurato, quanto piuttosto del superamento delle barriere psicologiche e delle difficoltà fisiche inevitabili. L’aspetto didattico da tener presente con questi bambini è la necessità della collaborazione con gli altri negli spostamenti, e l’ ”accompagnamento” anche nel canto, e nella musica.

LABORATORIO DELLA DISABILITÀ INTELLETTIVA: LABORATORIO DEL PANE C’è stata molta manipolazione in questo laboratorio: una vera e propria lavorazione del pane partendo dagli ingredienti. In presenza di questi ragazzi la catechista deve sapere che sarà particolarmente coinvolta in prima persona. Infatti deve accettare il ragazzo: il che significa dedicargli energie e tempo in più, per far

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sbocciare un rapporto amicale e affettuoso con lui. Si avvarrà, dell’aiuto della famiglia e di quei compagni che fungono da “tutor”, i quali hanno stabilito un contatto speciale con questo compagno. Tutto ciò dovrebbe collocarsi in un orario diverso dall’ora abituale di catechismo. Questo impegno dovrebbe riflettersi poi positivamente nel gruppo catechistico come un’originalità che la catechista stessa riuscirà poi a leggere grazie ad una maggiore familiarità. Aumentando la preghiera si sperimenterà un aiuto dall’alto come capacità di discernimento e una maggiore carica d’amore.

LABORATORIO DELLA DISABILITÀ INTELLETTIVA: LABORATORIO PROFUMO DI PANE Con lo stesso tipo di manipolazione, in questo laboratorio si è focalizzata l’attenzione sull’importanza dell’ascolto anche da parte di bambini e ragazzi disabili. È un ascolto che coinvolge udito e cuore e raggiunge la profondità della persona e quindi va curato, approfondito, esercitato. Come mezzo e anche fine è stata riproposta la riscrittura delle preghiere cominciando dal Credo di Ezio Gazzotti. Si tratta di una versione semplificata, in prosa. Tramite lo sforzo della semplificazione c’è l’assimilazione del contenuto. In altri laboratori è stato proposto un bans sul profumo del pane. Il bans è una modalità espressiva che alla semplificazione unisce la ripetizione che aiuta ad interiorizzare il contenuto.

LABORATORIO DELLA DISABILITÀ INTELLETTIVA: TANTI CHICCHI PER UN UNICO PANE… PER TUTTI

A Sandrigo tutta la comunità è impegnata a favore delle persone con disabilità. “La catechesi diventerà davvero trasmissione della fede se riuscirà ad immergere i ragazzi nella vita e questo è possibile solo attraverso l’esperienza”. Con questa convinzione il laboratorio ha immerso i catechisti nella realtà della Casa famiglia, che ospita persone disabili a tempo pieno e della Cooperativa che li accoglie per l’intera giornata, invitandoli implicitamente a inserire nel loro programma alcune visite a questi luoghi, presenti nei rispettivi territori. È possibile così rendere familiari le persone con disabilità, attraverso un avvicinamento reale, fatto di alcuni gesti fatti insieme con gioia. “A donarci l’un l’altro ci invita Gesù”, diceva la colonna sonora del nostro Convegno. Ecco allora la proposta del guardarci col cuore, tenderci la mano, spezzare insieme il pane e “battere le mani, tutti insieme tra noi, per cantare l’Amore a nostro Signor”.

LABORATORIO DELLA DISABILITÀ INTELLETTIVA: LABORATORIO EUCARISTICO Lo scopo di questo laboratorio è stato quello di annunciare il legame profondo tra eucarestia e carità. Dai vari apporti è emerso che le catechiste devono tener presente che il bambino disabile comunica con tutto il corpo in maniera non condizionata da un codice di comportamento, come abbiamo noi. È importante proporre alcuni incontri in modo regolare (per esempio una volta al mese) con modalità di raggruppamenti diversi da quello solito. Per esempio raggruppare i bambini a due a due, in modo che il bambino con disabilità possa essere sostenuto da un compagno nell’attività proposta. La catechista infatti deve tener presente che il volto di Cristo si manifesta soprattutto nei più deboli e che questi dal canto loro possono essere veicoli di grazia, perché sono più vicini a Dio.

DISABILITÀ PSICHICA, INTELLETTIVA E ALTRO: INVITATI AL BANCHETTO DEI POPOLI In questo laboratorio c’è stato un ampio scambio di esperienze vissute nell’ambito della disabilità anche di tipo autistico. Forse per questo è stato facile entrare in empatia. Inoltre è venuta in rilievo la “Comunicazione Facilitata”, un tipo particolare di comunicazione, indispensabile a quei bambini che sanno amare, soffrire e pensare, ma non lo sanno comunicare, perché non possono esprimersi con il suono delle parole. Questo metodo, della “comunicazione facilitata aumentativa e alternativa”, permette loro di comunicare il proprio pensiero attraverso una tastiera. In particolare è stata sottolineata la possibilità di inserire bambini e ragazzi con disabilità lieve anche come aiuto-catechista. Questo perché, radicati in Cristo, tramite l’Eucaristia vissuta, ci sentiamo capaci di andare verso tutti i popoli (cattolicità e universalità della Chiesa), plasmati dalla novità che è Cristo, che fa nuove tutte le cose.

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CONCLUSIONE

Noi animatori dei laboratori, che prendiamo tanto a cuore i bambini e i ragazzi con disabilità, abbiamo cercato, insieme ai relatori, di far conoscere alle catechiste la variegata sfaccettatura di questa realtà per poterle aiutare e creare in diocesi, attraverso questo Convegno, una rete ben articolata. Come don Oreste Benzi, «siamo certi che Gesù… ha scelto i poveri, i semplici, quelli che non contano niente. Ci ha salvato attraverso i piccoli, i deboli, quelli che il mondo disprezza. Non separiamoci mai da “Loro”: sono la nostra salvezza!».

APPENDICE Premessa: In questi ultimi anni la sensibilità nei riguardi di bambini e ragazzi con disabilità ha potenziato la ricerca di mezzi tecnici per aiutarli a comunicare. È nato così il metodo della comunicazione aumentativa e alternativa, che permette di comunicare il proprio pensiero attraverso una tastiera. La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (C.A.A.): Cosa significa per un bambino non poter parlare? Spesso non poter parlare equivale a non riuscire a comunicare, non perché manchi la capacità di pensiero o il desiderio di esprimersi, ma perché una specifica disabilità, motoria, neurologica, non permette l'espressione di questi pensieri, costringendo il bambino a vivere "locked in", cioè "chiuso dentro", questo porta ad atteggiamenti di passività e dipendenza tali da impedire a volte gli apprendimenti e causa disturbi emotivi anche importanti. [Scascighini et al, 1997] Comunicazione Aumentativa e Alternativa (C.A.A.) è il termine usato per descrivere tutte le modalità di comunicazione che possono facilitare e migliorare la comunicazione di tutte le persone che hanno difficoltà ad utilizzare i più comuni canali comunicativi, soprattutto il linguaggio orale e la scrittura. Si definisce aumentativa perché non sostituisce ma incrementa le possibilità comunicative naturali della persona. Si definisce alternativa perché utilizza modalità di comunicazione alternative e diverse da quelle tradizionali. Si tratta di un approccio che tende a creare opportunità di reale comunicazione anche attraverso tecniche, strategie e tecnologie e a coinvolgere la persona che utilizza la C.A.A. e tutto il suo ambiente di vita. Un esempio è dato dai sistemi simbolici, costituiti da insiemi di "segni" relativamente omogenei utilizzati per comunicare. Tipici esempi di sistemi simbolici sono le immagini stilizzate adoperate nel campo della sicurezza e dell'antinfortunistica, quelle la segnaletica stradale e quelle adottate nell'industria automobilistica: mediante simboli convenzionali le immagini comunicano informazioni su comportamenti da adottare, regole, istruzioni. Un altro esempio è costituito dal semaforo: i tre dischi colorati, inseriti nel tipico sostegno (palo, incrocio) hanno un proprio codice che indica il di comportamento da seguire. I sistemi simbolici maggiormente diffusi nella CAA sono: Core Picture Dictionary, Picture Communication Symbols (PCS), PicSym, Bliss. I sistemi simbolici applicati alla tecnologia forniscono supporti quali il COMUNICATORE SIMBOLICO: l’utente digita tasti-immagine o numerici per produrre parole o frasi vocaliche memorizzate nell’apparecchio (dai bisogni primari –fame, sete, caldo, sonno, dolore…), alle emozioni (sono felice, triste, allegro…), domande (come stai?, dove andiamo?, quando?, perché?), risposte chiuse (si, no, non so). Altro esempio è la Comunicazione Facilitata, che prevede l’utilizzo di tastiera e monitor del computer e il supporto fisico di un facilitatore (è proponibile anche con tastiera alfanumerica cartacea, magari applicata sulla tavola della sedia a rotelle di persone non deambulanti così da essere sempre disponibile per effettuare la comunicazione). Molto spesso si arriva ad essa con esercizi di comunicazione aumentativa. Con questo metodo la persona può comunicare il suo pensiero profondo. (stralcio tratto dal cap. 16 - "Adults with severe aphasia"- del testo "Augmentative Alternative Communication" autori: Beukelman et al.) Un grazie speciale a Veronica per questa ricerca L’utilizzo di ogni metodo prevede una conoscenza specifica del deficit della persona con carenza o assenza di linguaggio verbale nonché una capacità tecnica di applicazione delle strategie/metodi comunicativi che non si possono improvvisare. La catechista sarà affiancata dalla vicinanza della famiglia e dal “facilitatore” della comunicazione, ma soprattutto dal gruppo catechistico, dove, i compagni, saranno coinvolti nell’attivare la loro innata genialità tecnologica e faranno una reale esperienza di prossimità, di un amore più grande, quello di Gesù.

(Sintesi a cura di Silva Stefanutti)

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Speciale Catechesi 16

PER IL CINEFORUM…

UNA SCONFINATA GIOVINEZZA

Regia, soggetto e sceneggiatura: Pupi Avati; musiche: Riz Ortolani; interpreti e personaggi: Fabrizio Bentivoglio (Lino Settembre), Francesca Neri (Francesca, detta Chicca), Serena Grandi (Zia Amabile), Gianni Cavina (Preda), Lino Capolicchio (Emilio); durata: 98'; origine: Italia, 2010. La vicenda. Lino e Chicca sono sposati da tanto tempo e, nonostante la mancanza di figli tanto agognati, hanno vissuto una vita felice e serena amandosi reciprocamente. Lui è un famoso giornalista sportivo de Il Messaggero, lei è docente di filologia medievale alla Gregoriana. Ad un certo punto, però, Lino incomincia a perdere la memoria: è l'inizio di una discesa che non sembra avere via di scampo, soprattutto dopo che la diagnosi parla di morbo di Alzheimer. Chicca fa di tutto per aiutarlo, affrontando una vita che diventa sempre più difficile e insopportabile. Dopo varie peripezie, la donna decide di rimanere per sempre accanto al marito, prendendosi cura di lui come fosse un bambino, quel bambino che aveva tanto desiderato ma che non aveva potuto avere. Ma, in seguito ad un incidente stradale, Chicca viene ricoverata in ospedale in coma farmacologico. Lino resta solo. Decide allora di tornare nei luoghi dell'infanzia per ritrovare un amico che si vantava di saper risuscitare le persone. Ma il suo diventa un viaggio senza ritorno. Lino viene assorbito dal suo passato e scompare in un mondo bellissimo e misterioso. Il racconto possiede una struttura caratterizzata da numerosi flashback che danno origine a due grossi filoni: quello del presente e quello del passato. All'interno del primo, che può essere diviso in due grosse parti, l'autore si sofferma a descrivere, da un lato, le varie fasi della malattia di Lino, dall'altro, le reazioni e i comportamenti di Chicca di fronte alla malattia. Nel secondo filone vengono presentati alcuni momenti particolarmente significativi dell'adolescenza di Lino. Significazione. All'inizio i due filoni procedono parallelamente ma, poco alla volta, il secondo diventa sempre più importante, interferendo sul primo (gli articoli di Lino che “si perdono” a parlare dell'amico senza palato o della corsa campestre; il rifiuto del gioco elettronico e la gara con la moglie sulla “pista ciclistica”, con il ricordo perfettamente conservato del nome di tutti i corridori, ecc.). La seconda parte del primo filone, poi, rappresenta, anche fisicamente e non solo mentalmente, la fuga di Lino verso quel mondo che ha segnato la sua vita, fino a perdervisi per sempre, in “una sconfinata giovinezza”. Ecco il senso del titolo del film e il significato delle ultime immagini, che mostrano Lino e il suo cane che “svaniscono” in quell'ambiente quasi magico e, per certi aspetti, misterioso. Con quelle domande di Chicca che, pur rimanendo senza risposta, sembrano alludere ad una dimensione ultraterrena: è significativo che le immagini di Lino e del cane si dissolvano, quasi a indicare il passaggio ad un mondo invisibile, ma non irreale (Chicca, infatti, parla di «un mondo segreto e irraggiungibile») Del resto nel film ci sono vari elementi che sottolineano la dimensione religiosa: la preghiera prima del pranzo di Natale, il segno di croce, l'incontro in chiesa durante la celebrazione della Messa, ecc. L'idea centrale potrebbe essere formulata più o meno così: certe malattie mentali portano le persone a regredire a livello infantile, senza rimedio; l'unico atteggiamento valido è quello di un amore di tipo “materno” che sappia farsene carico dolcemente fino al momento dell'inevitabile separazione, fonte di interrogativi, ma anche di apertura e di speranza. Non è facile affrontare un tema così spinoso e poco attraente come quello della malattia mentale. Il regista riesce a farlo salvaguardando la dignità delle persone che, seppur malate, restano pur sempre persone. Un film delicato e rispettoso, con qualche ingenuità di troppo, forse, ma anche con momenti di autentica poesia.

Prof. Olinto Brugnoli

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Speciale Catechesi 17

La consegna alle/ai catechiste/i

“Non posso dire Gesù, ma lo amo!”

Io, persona con disabilità, non sono limitato nel cuore.

Voglio amare Gesù ed essere pietra viva della Chiesa.

1 - Vieni a conoscere la mia famiglia.

2 - Organizza con me e per me un mondo ordinato e accogliente, capace di valorizzare ciò che sono e che non si limiti a "parcheggiarmi".

3 - Non parlarmi troppo velocemente: voglio gustare la tua compagnia.

4 - Dammi strumenti alternativi di comunicazione: gesti, canti, disegni, colori.

5 - I miei problemi di comportamento non sono rivolti contro di te. Con i miei atti, anche se a volte sembrano assurdi, voglio sempre dirti qualcosa.

6 - Ricordati che crescerò. Aiutami, perché io possa esprimere il mio mondo interiore, affettivo, religioso, sociale e lavorativo.

7 - Io ricevo i Sacramenti dell'Iniziazione Cristiana nella fede della mia famiglia e della comunità che mi accompagna.

8 - Anch'io voglio impegnarmi: voglio cantare, voglio sentir cantare, voglio partecipare alla vita della comunità e ai gruppi di catechesi.

9 - Quando mi accogli, aumenta in me l'amore per Gesù.

10 - Vieni a prendermi: anch'io senza la domenica non posso vivere.

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Speciale Catechesi 18

IL REFERENTE PARROCCHIALE/ZONALE PER LA CATECHESI

Da qualche anno si propone alle parrocchie e unità pastorali di individuare per ogni comunità almeno un Referente per la catechesi. L’idea mi è stata suggerita dal Vescovo mons. Cesare Nosiglia nel 2008/09 e in qualche diocesi – come a Bologna – è una presenza viva. Da noi – come pure la figura dell’animatore del gruppo di catechisti – stenta a farsi strada e trovare risposta.

Tento di abbozzare la figura e il compito del Referente per la catechesi. - Deve essere una/un laica/o (non un presbitero o una religiosa): un

catechista, un animatore del gruppo dei catechisti o semplicemente un cristiano ben inserito in comunità.

- Deve essere fornito di indirizzo personale di posta elettronica e disponibile a mettersi a disposizione per far passare le comunicazioni tra gli operatori della catechesi della sua parrocchia o/e unità pastorale.

- Il suo compito specifico e ben delimitato è questo: tenere i contatti con l’Ufficio per l’evangelizzazione e la catechesi per le informazioni circa le iniziative – attività… diocesane e passare, diffondere tali comunicazioni ai catechisti della parrocchia e/o unità pastorale.

- Ovviamente al Referente per la catechesi la Segreteria dell’Ufficio farà pervenire periodicamente e nel bisogno, tramite e unicamente per e-mail, le informazioni, le richieste, le comunicazioni… mediante un apposito foglietto “News catechesi Vicenza”. Vogliamo allora attivarci nell’individuare questa figura ecclesiale

semplice ma preziosa nel campo della comunicazione catechistica per le nostre comunità?

Alcuni – anche se pochi – Vicariati hanno già fornito i nominativi dei Referenti in Segreteria dell’Ufficio.

E’ possibile concludere l’operazione entro aprile-maggio 2012?

Gli incaricati vicariali per la catechesi si faranno messaggeri di questa richiesta nelle prossime settimane… ma i sacerdoti o i catechisti nelle zone pastorali possono segnalare direttamente il nome del Referente (con l’indispensabile indirizzo di posta elettronica alla Segreteria del nostro Ufficio).

Antonio Bollin

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Speciale Catechesi 19

INIZIATIVE FORMATIVE E INFORMAZIONI PER CATECHISTE/I

4° INCONTRO DIOCESANO SULLA CATECHESI FAMILIARE

DATA: 11 marzo 2012 DOVE: locali della Chiesa parrocchiale di Laghetto ORARIO: 15.00-17.30

UNA PAGINA DI CATECHESI SULLA PREGHIERA

Si segnala la catechesi di papa Benedetto XVI° di mercoledì 28 gennaio 2011 su “La preghiera e la Santa Famiglia di Nazaret” (cf. il sito web: www.vatican.va)

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CENTRALITÀ DELLA VITA UMANA TRA FEDE CRISTIANA E RIFLESSIONE BIO-ETICA

di M. Bertoncello Cari catechisti e catechiste, in queste prime settimane che seguono la festività del santo Natale e che scorrono l’alba di questo nuovo anno, è piacevole offrire a “tutti noi” l’ennesimo contributo “dalla parte della vita”. Ognuno di noi sa, quanto difficile sia, specie in questo periodo, parlare da cristiani e da uomini della preziosità della vita e di quanto importante sia far capire a quei tanti nostri fratelli ancora lontani dal salvifico Amore di Cristo, quanto fondamentale sia lavorare e lottare a difesa della vita umana “dal concepimento alla morte naturale”. Ma quella fede in Dio nostro Padre che Gesù ci ha insegnato e tramandataci dagli Apostoli ci induce a non perdere la speranza di riuscire a camminare per il sentiero giusto e trasmettere questo importante messaggio a tutti i bambini e giovani che ci vengono affidati. Personalmente ho imparato che parlare di Vita; vista in ogni sua dimensione, ti avvicina in modo straordinario a Cristo, lo senti nel cuore, ti aiuta a riconoscerlo in ogni volto che incontri per strada, ti insegna che ogni vita umana chiede rispetto, ti insegna che l’uomo è una creatura che emana il riflesso della straordinarietà e dell’onnipotenza di Dio. L’uomo è chiamato, quindi, a una pienezza di vita che va oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio. L’altezza di questa vocazione soprannaturale, rivela la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale. La vita nel tempo, infatti, è condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell’intero e unitario processo dell’esistenza umana. Un processo, questo, che viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell’eternità (cfr. 1Gv 3,1-2). Questa nostra vita terrena, quindi, non è realtà “ultima” ma “penultima”; è comunque una realtà sacra che ci viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la portiamo a perfezione nell’amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli. La nostra chiesa sa che questo Vangelo della vita, ha un’eco profondo nel cuore di ogni persona, credente o non credente…..pur tra mille difficoltà e incertezze, infatti, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia divina, può arrivare a riconoscere nella legge naturale il valore sacro della vita umana dal suo primo inizio fino al suo termine naturale, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere rispettato questo suo bene primario. Questo diritto alla vita deve essere quindi promosso e difeso, in modo particolare, dai credenti in Cristo, consapevoli della verità ricordata dal Concilio Vaticano II:”con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo

modo ad ogni uomo. In questo evento di salvezza, infatti, si rivela all’umanità non solo l’amore sconfinato di Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma vita eterna (Gv 3,16)”, ma anche il valore incomparabile di ogni persona umana. Vedete cari amici come la nostra chiesa, nel corso di questi ultimi 30 anni, ha saputo sostenere il tema dell’immenso valore della difesa della vita umana, sottolineando quanto sia fondamentale perseguire questa strada; una via tracciata non solo da credenti ma anche dai non credenti. Infatti la vita per alcuni va rispettata in quanto dono di Dio, per altri va difesa nel segno del rispetto della libertà di colui che, anche se non ancora nato o estremamente limitato nelle sue funzioni primarie, detiene uno dei diritti prìncipi dell’uomo, ossia la libertà e il diritto di scelta. A proposito di ciò dobbiamo dire che particolarmente significativo è stato in questi ultimi anni, il risveglio di una riflessione etica attorno alla vita: con la nascita e lo sviluppo sempre più diffuso della bioetica, sono stati favoriti la riflessione e il dialogo tra credenti e non credenti come pure tra credenti di diverse religioni, su problemi etici, anche fondamentali, che interessano la vita dell’uomo. Sempre più, negli ultimi tempi, si è voluto assegnare alla bioetica un compito che va al di là di una particolare visione religiosa e che interpella direttamente la ragione dell’uomo, chiamandolo a riflettere sull’intimo significato della sua stessa esistenza e dell’ambiente nel quale si trova. La scienza, come tutti noi possiamo condividere può comprensibilmente non accettare un presunto intervento soprannaturale sulla vita o sulla salute dell’uomo, ma ha il dovere di considerare e fare tesoro nei suoi ambiti di una qualsiasi elaborazione che provenga dalla scienza stessa. Anche questo è un passaggio importante per ogni credente poiché allarga i margini della conoscenza e della condivisione; ognuno di noi è chiamato al “dialogo aperto” poiché solo aprendo al dialogo è possibile operare alla difesa totale e completa del bene vita. La Bioetica, quindi, ci aiuta a parlare da cristiani e da cittadini facenti parti di un mondo e di una società che dovrebbe sempre porre come primo valore proprio il rispetto della vita umana; è il tentativo di riflessione sistematica su tutti gli interventi dell’uomo sull’uomo e non solo; è il progressivo evolversi di una riflessione che si pone come obiettivo specifico l’identificazione di valori e norme capaci di guidare l’agire umano, l’intervento della scienza e della tecnologia sulla vita e sulla biosfera. Tutti noi, come credenti e membri di una società civile, sentiamo in noi il richiamo ad una riflessione importante sulla vita e sul diritto alla vita, ci sentiamo giorno dopo

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giorno portati a svelare alle coscienze la priorità a pronunciare un continuo e deciso no ad ogni forma di abuso contro la vita umana in ogni sua dimensione. Per fare ciò occorre promuovere un’autentica cultura della vita e dei diritti umani nella consapevolezza che essi..” non sono comprensibili senza presupporre che l’uomo in quanto tale, semplicemente per la sua appartenenza alla specie umana, sia soggetto di diritti, che il suo essere stesso comporti valori e norme che devono essere individuati, ma non inventati… (J.Ratzinger, Ragione e fede in dialogo..)…”. A tutti noi viene offerta una grande opportunità per un proficuo cammino; ma è altrettanto comprensibile il sorgere della domanda..” da dove partire? Se il fine è la vita e il rispetto di essa, su cosa fondare il nostro percorso? La scienza umana mi ha offerto la riflessione e la ricerca etica e bioetica, per rispondere all’ennesima domanda sulle ragioni valide che mi portano a difendere la vita!!...ma il tutto da dove può partire per l’uomo civile e cristiano!?”. Cari amici le nostre domande importanti trovano uno spunto di risposta nella frase “..io sono la via, la verità e la vita..”. La verità, quindi, come un primo punto di partenza poiché tutti noi, quando ci confrontiamo con il prossimo credente o no che sia, dobbiamo considerare la verità non solo come un che cosa ma anzitutto come un chi!. In questa nostra società contemporanea, è necessario fondare il dibattito etico nella verità!. Radicare l’etica nella verità non è cosa facile. Implica umiltà, continuità di confronto e disponibilità a riconoscere i propri errori. Ma implica anche possibilità di dialogo; poiché se si dialoga nella verità, che non appartiene a nessuno in particolare, ma è di tutti, è possibile evitare violenze e prevaricazioni. Il nostro scopo, cari amici, deve essere quello di favorire il confronto sulla base delle ragioni che sostengono la proposta di un etica della persona; e se portiamo le conferme del Magistero della Chiesa, è perché vi

troviamo una consonanza e, talora, un’intuizione profetica. E’ naturale poi giungere ad affermare che al fondo della persona come ultima spiegazione del suo esistere ed ultimo riferimento della sua dignità, c’è il Creatore e la creazione; ciò lo affermiamo per esigenze che sono anche razionali e che, comunque, non contrastano con la ragione. Il grande Tommaso d’Aquino aveva una grande fiducia sulla conciliabilità delle istanze della ragione con quelle della fede; sono alla base della nostra stessa fiducia di poter dialogare con i laici, senza sentirci chiamati a ridimensionare o ridurre le istanze della nostra fede, che non va imposta a nessuno, ma può essere proposta a chiunque con buone ragioni. Questa può essere una delle nostre strade, una strada che ci può condurre al dialogo proficuo anche sulle tematiche della vita. La nostra esistenza non è solo caratterizzata dalla convivenza con chi crede al nostro stesso Dio, ma s’intreccia anche con la vita di milioni e milioni di persone che, pur non riconoscendo l’esistenza e la possibilità di intervento sulla vita del genere umano, di un essere soprannaturale; considera la vita dell’uomo come prima e inviolabile. Come potete vedere, cari amici, sono innumerevoli i temi proposti alla riflessione del cristiano; il tema della vita è uno di questi, un tema che cerca di emergere giorno dopo giorno con il suo enorme bagaglio colmo di grandi traguardi e tragedie spesso sconosciute; ma una cosa è certa: ossia l’impegno di migliaia di persone che con il lavoro e la preghiera, costituiscono l’albero da frutti chiamato “Popolo della Vita”. Ognuno di noi, ora, è parte importante di questo grande albero, che nel silenzio delle nostre case, nel frastuono dei nostri luoghi di lavoro, nella sacralità dei nostri luoghi di preghiera…..fa sì che la vita di ogni essere umano sia sempre e ovunque rispettata.

M.A.Bertoncello

AVVISO IMPORTANTE PER I CATECHISTI E LE CATECHISTE DELLA DIOCESI!!….

Venerdì 27 gennaio 2012 alle ore 20.30, presso la Basilica dei SS.Felice e Fortunato in Vicenza, si svolgerà la Veglia di preghiera in preparazione alla XXXIV giornata per la Vita, presieduta da Sua Ecc.za mons. BENIAMINO PIZZIOL - Vescovo di Vicenza.

SIAMO TUTTI INVITATI A PARTECIPARE!!!.... Per informazioni è possibile consultare i seguenti siti: www.pmv-cav.veneto.it/www.acvicenza.it/ - www.irc2.vicenza.chiesacattolica.it. NOTA: dai siti indicati è possibile scaricare il LIBRETTO PER LA VEGLIA. In questo modo parrocchie e catechiste/i potranno modificare i testi e personalizzarli secondo le proprie necessità.

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Speciale Atti 22