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Centre Court - il tennis dei pionieri

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Il "Centre Court” è il campo da tennis più famoso del mondo, il centrale di Wimbledon, ma idealmente anche il luogo dove hanno vinto, perso, sofferto e gioito tutti i campioni del passato e del presente. Da personaggi leggendari come i fratelli Doherty e il neozelandese Tony Wilding che negli anni '10 girava l’Europa in motocicletta e affascinava i re, al Barone von Cramm che si oppose a Hitler. Dalla prima nera capace di vincere uno Slam all’epopea di Laver, Rosewall e dei grandi australiani. "Centre Court - il tennis dei pionieri" è il primo di due volumi che racchiudono le storie più affascinanti del Tennis. Dalla fondazione agli anni Sessanta, in attesa del secondo e conclusivo libro che narrerà invece le storie dal 1969 del Tennis Open ai giorni nostri.

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Progetto editoriale:Absolutely Free sas

Grafica:Nicoletta Azzolini

In copertina:Wimbledon, Centre Courtfoto di Art Seitz ©

© Copyright, 2011Editrice Absolutely Free - via Roccaporena, 44 - 00191 RomaE-mail: [email protected]

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, non autorizzata

ISBN 978.88.97057.40.6

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Absolutely Free Editore

1. Il tennis dei pionieri

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STEFANO SEMERARO

sport.doc

Centre Court

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A mio padre Sergio e a mia madre Anna

che mi hanno insegnato a stare in campo nella vita

“La vita è una storia. Si devono raccontare storie,allora la gente sente la vita.Gli istanti, che fuggonosempre via, rimangonoinsieme in una storia. E quando uno compare in una storia, allora il temponon gli può nuocere”

Edgar Reitz

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C’è una bellissima poesia di Marco Fortini, si chia-ma Editto contro i Cantastorie, che parla del disastroche accade quando gli uomini decidono di cancellare ilpassato. Se perdiamo la memoria siamo destinati anon capire il presente in cui viviamo, a non coglierne laprofondità, a sciuparne la bellezza. Per questo esisto-no gli storici e più modestamente i cantastorie, artigia-ni del racconto che non pretendono di essere originalima più semplicemente di salvaguardare un passatoche altrimenti diventerebbe in fretta irrecuperabile. Lamemoria naturale che l’umanità ha di se stessa, dico-no, dura appena ottant’anni.

Questo libro nasce dal desiderio, ma sarebbe piùcorretto dire dal bisogno di raccontare di nuovo storiebellissime che parlano di tennis e quindi anche di uo-mini, di emozioni, di vite spese a capire come funzionaquella lente di ingrandimento dei nostri sogni e dellenostre paure che si chiama sport. I ventotto capitoliche trovate qui vogliono essere altrettanti pali del tele-grafo, capaci di sorreggere e ritrasmettere un messag-gio che viene da lontano, che ha già viaggiato a lungo eche sarebbe un peccato lasciar svanire. Sono statiscritti per raccontare le vicende di campioni che hannomarcato un’epoca, che sono stati a loro modo esem-plari, prototipi di una vicenda sportiva e umana. E cheper questo si sono guadagnati il diritto a giocare su un

introduzione

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Centre Court che non è solo il campo centrale di Wim-bledon, il più famoso e nobile di tutti i court, ma ancheil rettangolo della memoria dove continuano ad andarein scena le partite, e le vite, che vale la pena di salvaredall’oblio. Quando uno compare in una storia, è statodetto, il tempo non gli può più nuocere.

Altri cantastorie, più bravi di me, hanno già narratoin forme diverse, in tempi distanti fra di loro, le vicendeche troverete nelle prossime pagine. Ogni tanto peròcerti episodi, certi lampi memorabili in cui è racchiusoil senso di una storia vale la pena gustarli riscoprendole fonti, le testimonianze e i documenti più antichi, perritrovarne la freschezza. Non la verità, che è un con-cetto troppo alto e impegnativo per chiunque, figuria-moci per un povero cronista appassionato di tennis, mail timbro, l’intonazione che rischia di andare persanell’eco dei rimandi. La speranza è che chi queste sto-rie non le ha mai sentite prima, o le ha ascoltate di-strattamente, se ne faccia catturare e a sua volta partaalla scoperta di tanti affascinanti libri che al tennis, opiù in generale allo sport e ai suoi ambigui dintornisono stati dedicati. C’è una biblioteca enorme in cuiperdersi felicemente.

Questo è solo il primo di due volumi, dedicato al pe-riodo che va dalla prima codificazione del Lawn Tennisalla fine dell’era della separazione fra professionisti everi e finti dilettanti, dal Maggiore Wingfield a Rod La-ver. Coprire tutta la storia del Gioco fino ai tempi attua-li con un solo volume avrebbe richiesto una selezioneancora più crudele di quella che è stato necessariooperare, e che ha già escluso personaggi sicuramenteinteressanti e avventure intriganti, ma forse più lateralirispetto allo svolgersi della trama centrale. Racconta-

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re, in fondo, è soprattutto una faccenda di scelte eCentre Court non vuole essere un manuale completo,un’enciclopedia, né un catalogo esaustivo, piuttosto uninvito al viaggio, all’esplorazione di una mappa vastis-sima, distesa sia nel tempo sia nello spazio. Il prossi-mo volume è già in cantiere, e lì si parlerà del tennisopen, dal 1968 ai nostri giorni.

Da quando ho iniziato a fare il giornalista ho avutol’occasione e la fortuna di assistere dal vivo a molti av-venimenti sportivi, di conoscere gli attori principali, iregisti e i comprimari di un teatro nomade che fa tappaogni anno, ogni settimana in luoghi vergini o densi distoria e tradizione. Ma ricordo ancora l’emozione diquando, a sette anni, mio padre mi portò a vedere unincontro di Rod Laver. «Vedi quell’omino laggiù?», dis-se, «è il tennista più forte del mondo». Per un bambi-no era già notte tarda, ma mi stropicciai gli occhi e cer-cai di mettere a fuoco l’immagine della creatura vestitadi bianco che si muoveva là in basso, sotto i riflettori,davanti a tanta gente. «Se lui è il più forte», mi doman-dai, improvvisamente ridestato, «chi sono gli altri chegiocano con lui?». Ecco, dalla scatola magica di quelladomanda infantile, ingenua ma fondamentale, è uscitoanche questo libro.

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Il maggiore Walter Clopton Wingfield

capitolo 1

Intelligente, deciso ma anche spregiudicatoe un filo furfantesco, il maggiore Walter Clopton Wingfieldseppe guardare negliocchi i giovani ricchidella sua generazionee confezionare l’ideamigliore per le lorogiornate da sfaccendati. Appena nato, il tennismoderno è già business

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Il Centrale in una scatola

Il primo Centre Court stava tutto in una scatola.Ce lo aveva infilato un inglese alto, ben piantato, do-

tato di un paio di vigorosi favoriti sistemati ai lati del visoabbronzato dal sole delle Colonie ed erede di una nobilefamiglia del Suffolk, le cui origini risalivano addirittura aun’epoca precedente la visita dei Normanni di Guglielmoil Conquistatore. Si chiamava Walter Clopton Wingfielded era un soldato, figlio e discendente di soldati. Nelquindicesimo secolo al suo antenato John Wingfield erastato affidato Charles d’Orleans, nipote del re di Francia

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catturato dagli inglesi ad Agincourt. Un playboy, un poe-ta e soprattutto un grande appassionato di Jeau de Pau-me che nel 1345, proprio durante il lungo soggiorno for-zato al Wingfield Castle, si divertì a comporre il primopoema mai scritto sul gioco che oggi chiamiamo tennis.

Gioventù sfaccendata

Quattrocento anni più tardi Walter Clopton, più mode-stamente ma molto dignitosamente, si arruolò nel pri-mo reggimento Dragoni, e servì – a cavallo - Sua Maestàla regina Vittoria: prima in India, poi in Cina, dove nel1860 partecipò addirittura alla presa, ma forse sarebbemeglio dire al saccheggio, di Pechino.

Tornato in patria, scoprì che la vita civile poteva esse-re infinitamente noiosa. E soprattutto che per guada-gnare abbastanza per permettersi i lussi di Londra, dovesi era trasferito lasciando la sua residenza nel nord delGalles, a Nantclywd, avrebbe dovuto inventarsi qualcosa.Wingfield, all’epoca non ancora maggiore, era un uomointelligente, oltre che spregiudicato, un tipo deciso, forseun filo furfantesco. Si guardò attorno e vide tutta una ge-nerazione di amici ricchi, più o meno sfaccendati, chepassavano le giornate giocando a cricket o a racket, acroquet o a Field Tennis, una evoluzione del cinquecen-tesco Long Tennis, a cui potevano partecipare fino a seigiocatori vestiti in «morbide giacche di flanella» calzati«di soffici scarpette dalla suola flessibile».

Riunioni campestri, goderecce, che iniziavano amezzogiorno e finivano al tramonto. Roba da gentle-men, da borghesi soddisfatti. “Leisure”, attività ricrea-tive e conviviali, più che sport.

«In estate avevamo un altro Club – scriveva già nel1767 William Hickey – che si riuniva alla Red House,nei Battersea Fields, non distante da Ranelagh: un po-

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sticino ritirato. Ne facevano parte persone molto ri-spettabili, il gioco che praticavamo si chiamava FieldTennis, e ci richiedeva un nobile esercizio… Ci incon-travamo due volte alla settimana, all’una, e alle due ciaccomodavamo per il pranzo che consisteva in anguillein umido, carne bollita o arrosto, adeguatamente ac-compagnata da verdure e seguita da un abbondantepudding, o da una torta; le bevande erano liquori dimalto, sidro, porto e punch. Alle quattro iniziava losport, che continuava fino al crepuscolo e il terreno,che si estendeva per sedici acri, era tenuto in perfettostato, liscio come una pista da bowling».

Perché non ricavare un brevetto da questi passatem-pi?, si chiese Wingfield. Perché non definire un canone,come già avevano fatto cricket, calcio, rugby , e poi com-mercializzarlo? Insomma, codificare uno sport da prati-care outdoor, all’aperto, facile da adattare ai giardinidelle case signorili ma che non richiedesse troppi gioca-tori, come il cricket, né troppa manutenzione, come ilReal Tennis.

Il primo match di Lawn Tennis

Detto, e quasi fatto. Dopo qualche sperimentazione infamiglia a Nantclywd, Wingfield nel 1869 si presentò aBerkely Square, a casa di Lord Lansdowne, con un’ideada propagandare in società. «Un giovane capitano di ar-tiglieria, il maggiore Wingfield, è venuto a LansdowneHouse dicendo che aveva inventato un nuovo gioco e chevoleva darne una dimostrazione a me e ai miei amici sulprato di fronte alla mia casa», annotò il Lord. “Ha dettoche erano richiesti quattro giocatori. Essendo interessa-to, ho acconsentito e gli ho chiesto di tornare l’indomani.Per arrivare a quattro ho invitato Walter Long e ArthurBalfour a unirsi a noi. Il pomeriggio seguente noi quattro

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giocammo il primo match di Lawn Tennis sul mio prato,sopra una rete larga circa due piedi appesa a due palettiinclinati tenuti in piedi da corde piantate su pioli. Lo tro-vammo un buon esercizio, e davvero interessante, nono-stante le racchette storte e le palline dure, senza coper-tura, che usammo quel giorno».

L’invasione delle casse

Per tutta l’estate i quattro si incontrarono tre oquattro volte la settimana, e più giocavano più trovava-no la nuova occupazione divertente. Il problema era ilnome. Wingfield aveva rispolverato da qualche ruggi-noso ricordo di scuola il termine greco Sphairistiké,che in maniera un po’ sgrammaticata avrebbe dovutosignificare “gioco di palla”.

«Un nome impossibile da ricordare», commentaLord Lansdowne, «e infatti un giorno Walter Long dis-se a Wingfield: “guarda caro, se vuoi che il tuo giocoabbia successo devi trovargli un nome accettabile. Per-ché non chiamarlo Lawn Tennis?” Ci trovammo tuttid’accordo, e il nome fu adottato anche dall’inventore».

Cinque anni dopo, il 24 luglio 1874 il Maggiore ot-tenne il suo brevetto per un “Campo migliorato pergiocare all’antico Game of Tennis” e iniziò a pubbliciz-zare la sua creatura, lo «Sphairistiké o Lawn Tennis»,di cui si poteva entrare in possesso ordinando una cas-sa vivacemente colorata a French & Co., 46 ChurtonStreet.

Nella cassa erano contenuti un manuale, una rete,quattro racchette, pali, pioli per formare il campo –largo 10 yards e lungo 20, e disegnato a forma di cles-sidra ristretta attorno alla rete - una fornitura di palle,mazzuole e pennello. Costava cinque guinee da sgan-ciare cash, in contanti, sull’unghia.

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Tempo un anno e le casse del maggiore avevano in-vaso l’Inghilterra.

Un guazzabuglio di regole

Wingfield, va detto, non era stato l’unico, nè il primoad avere l’idea, ma sicuramente il più veloce a brevettar-la. Qualcosa di molto simile al suo Sphairistiké era statogiocato nel 1864 a casa di Walter Scott, l’autore diIvanhoe, nel Roxburgshire. Lord Hervey, poi diventatovescovo di Bath, sostenne di praticarlo regolarmentecon amici e familiari nel Suffolk. Altri, pare, ne erano giàavidi consumatori a Leyton, nell’Essex.

Nel 1866 il Maggiore (una mania!) Henry Gem e il suoamico J.B Perera, commerciante di origine spagnola,nel giardino della casa di quest’ultimo, la Fairlight diAmpton Road a Edgbaston, avevano “inventato” un pas-satempo chiamato Pelota, poi ribattezzato Lawn Rackets- e quattro anni più tardi persino fondato il primo LawnTennis Club sul terreno del Manor House Hotel di Le-mington. J.H. Hale, a sua volta, sosteneva di aver creatoun’altra variante del gioco, il Germains Lawn Tennis. In-somma: una ressa di inventori, ciascuno con la sua ideadi tennis in testa. Campi rettangolari o a clessidra, retialte o basse, punteggi rubati al racket o al Real Tennis:la confusione imperava.

Wingfield per tenere il punto e salvaguardare il suobrevetto scrisse sui giornali, alzò la voce e nel novembrepubblicò una seconda edizione delle regole. Ma solo nel1875, per iniziativa di John M. Heathcote e di R.A. Fitzge-rald, il segretario del Marylebone Cricket Club, il tempiodel cricket che aveva da poco dato una sistemata ancheal Real Tennis, si ebbe la prima canonizzazione istituzio-nale di quel guazzabuglio di pratiche.

Wingfield accettò il codice dell’M.C.C. nella terza edi-

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zione del suo manualetto, da cui decise di espellere,rassegnato, la denominazione Sphairistiké: amici eclienti lo avevano ormai ridotto ad un poco gradevole no-mignolo, “Sticky”, ovvero appiccicoso.

Quel Club nato da uno sfizio

La fortuna del tennis, come è noto, fu la decisionedell’All England Croquet Club di adottare il gioco. Il Club,nato nel 1868 per uno sfizio di Whitmore Jones e diHenry Jones, avrebbe potuto sorgere dalle parti di Cry-stal Palace, o nella proprietà di Lady Holland a Kensing-ton; oppure ancora ad Hans Place, in coabitazione con ilPrince’s Club e la Royal Toxophilite Society, la più anticaassociazione di arcieri di tutta l’Inghilterra. Ma tuttequeste location furono messe da parte quando nel 1869Albert Dixon, che possedeva quattro acri di terra dalleparti di Worple Road, vicino alla stazione di Wimbledon,li offrì per tre anni in affitto al Club al prezzo di 225 ster-line. Altre 495 ne servirono per preparare il terreno, co-struirci un cottage per il giardiniere e spogliatoi per la-dies and gentlemen. Il gardener fu ingaggiato per quat-tro scellini al giorno più un aiuto per i giorni di pioggia, epresto ebbe parecchio lavoro in più per le mani. Nel 1875infatti Henry Jones propose di destinare un po’ del terre-no al Lawn Tennis, che ormai era diventato di gran modaa Londra, e l’anno dopo il nome del club cambiò in AllEngland Croquet and Lawn Tennis Club. Il 9 giugno del1877, poi, apparve il noto trafiletto su The Fields, che an-nunciava la convocazione di un “Lawn Tennis meeting”per il 9 del mese successivo, con la messa in palio di unabella coppa, la Silver Challenge Cup, del valore di 25 ghi-nee. Insomma, The Championships. Il Committee findall’inzio espropriò Wingfield della sua creatura. Via ilcampo a clessidra, si decise di zappettare court rettan-

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golari, lunghi ventisei yarde e larghi nove. Si adottò ilpunteggio “a quindici”, concedendo al battitore di com-mettere un errore al momento della messa in gioco. Daallora molto è cambiato, nel tennis, ma non questo pu-gno di regole e misure.

Dopo il tennis, la gastronomia

Il poliedrico Wingfield dopo il tennis si diede alla ga-stronomia. Divenne presidente dell’ Universal Cookeryand Food Association, quindi fondò una società culinaria,Le Cordon Rouge. Inventò un tipo di bicicletta chiamatobutterfly, farfalla, e dovette assistere, oltre che allo sci-volare della moglie nell’inferno della malattia mentale,alla morte di tre figli giovani. Del Lawn Tennis, già moltoprima di morire il 18 aprile del 1912, al 33 di St. GeorgeSquare, aveva smesso di occuparsi.

Wimbledon, che aveva prima messo in un cantuccio epoi cancellato il Maggiore, nel frattempo prosperava. Delproliferare del nuovo gioco in quei tempi beati ci restanotracce sparse. I campi del Manor House Hotel a Edge-baston oggi non esistono più, ma la Edgbaston Archerand Lawn Tennis Society ancora sopravvive, ed è a tuttigli effetti il più antico tennis club del mondo. Nel 1875nacque l’Edgbaston Priory Club, che ha finito per fon-dersi con l’Edgbaston Lawn Tennis Club, fondato nel1878, e a quell’intorno di anni risale anche il SolihullLawn Tennis Club, nel Warwickshire. Radure verdi, ma-giche, le prime dove signori in pantaloni lunghi e baffonia manubrio e leggiadre miss bardate di crinoline e smi-surati cappellini inizarono a flirtare con il gioco. Ma oggiquasi dimenticate, soffocate dal planetario successo diWimbledon.

Da Worple Road l’All England Club si spostò nel1922 a Church Road, e quel trasloco in qualche modo

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ha smaterializzato e reso universale, quasi metafisicoil concetto stesso di Centre Court. Che oggi si incarnanel praticello da 14 mila spettatori, ben protetto dal“roof” costato 100 milioni di sterline, ma la cui originee il cui nome, come quelli della rosa di Umberto Eco,sono ormai perduti per sempre.

Al centro della tradizione

«La cosa buffa - scriveva il vecchio referee di Wimble-don F.R. Burrow nel 1937 - è che il Centre Court non èpiù affatto un campo “centrale” . Due anni fa un giovanestraniero mi chiese perché, essendo posto a una estre-mità del terreno, si chiamasse ancora “centre” court. Glispiegai che si trattava di uno di quei casi in cui la tradi-zione è troppo forte per essere messa da parte. Nel vec-chio sito dell’All England Club a Worple Road, il campodove la maggior parte dei match principali veniva gioca-to durante i Championships, era, di fatto, il campo “alcentro”. Era in mezzo al terreno, con gli altri campi, novein tutto, disposti attorno a cerchio. Quando avvenne lamigrazione nel nuovo terreno di Church Road, il campoprincipale fu steso e le tribune che lo circondavano co-struite ad una estremità del luogo, e non in centro, maquesto non fece nessuna differenza. “The Centre Court”era stato per quasi cinquanta anni , e “The Centre Court”era rimasto – e sempre rimarrà».

In fondo, era nato dentro una scatola, pronto per es-sere montato e usato ovunque e da tutti, non importa setennisti di un giorno o campioni destinati all’immortalità.