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Canti quarto e quinto del Purgatorio Incontro con i pigri e con i morti di morte violenta

Canti quarto e quinto del Purgatorio - Collegio San Giuseppe · del Purgatorio Incontro con i pigri e ... • Nel canto 6° entrerà nella valletta fiorita, ... e ritrarre a color

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Canti quarto e quinto

del Purgatorio

Incontro con i pigri e

con i morti

di morte violenta

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Altre zone dell’Antipurgatorio

• Dopo gli scomunicati (canto 3°), Dante incontra i pigri (canto 4°) e i morti di morte violenta, che si sono pentiti solo negli ultimi istanti di vita (canto 5°).

• Nel canto 6° entrerà nella valletta fiorita, dove sono raccolti i politici (spiriti attivi), che ritardarono la conversione distratti dalle attività pratiche.

• Dovranno attendere in questa zona tanto tempo quanto lunga è stata l’attesa per convertirsi.

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La ripresa del canto 3°

• Vv. 1-18 Dante s’avvede solo ora che il racconto di Manfredi è durato ore.

• L’intensità della concentrazione è spunto per riflettere sulla natura dell’anima, che non è divisa in tre parti, ma è unica. Inoltre introduce un tema tipico: queste anime avevano perso la cognizione del tempo che scorre, ritardando all’ultimo istante la conversione

• SONO PRESENTI NELCANTO DIVERSI CONTENUTI ERUDITI: man mano che Dante risolve i suoi dubbi, si avvicina alla verità, cioè a Dio stesso.

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La salita

• L’ascesa – ascesi è dura,

come nei borghi più selvaggi

d’Italia (San Leo, Noli,

Bismantova), e Dante chiede

di poter riposare (vv. 19-57).

• L’erudizione geografica era

uno dei capisaldi della

cultura antica.

La rocca di San Leo

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Seconda disquisizione scientifica: la posizione del sole

• Vv. 58-84 Mediante una complessa presentazione astronomica, Virgilio spiega perché il sole appare a nord e non a sud nell’emisfero australe. Dante arguisce che il Purgatorio sorge agli antipodi di Gerusalemme.

• L’immensità dell’universo funge

da sfondo solenne e mistico per l’avventura eccezionale che attende Dante.

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L’ascesa –ascesi: sforzo sovrumano

V. 88 Ed elli a me: «Questa montagna è tale,

che sempre al cominciar di sotto è grave;

e quant’om più va sù, e (ac= tanto che) men fa male.

Però, quand’ella ti parrà soave

tanto, che sù andar ti fia leggero

com’a seconda giù andar per nave,

allor sarai al fin d’esto sentiero;

quivi di riposar l’affanno aspetta.

Più non rispondo, e questo so

per vero».

• Virgilio incoraggia Dante a sopportare lo sforzo iniziale della terribile ascesa (male): il peso dei peccati è ancora grave e lo trattiene in basso.

• Soave, leggero: aggettivi stilnovistici (antitesi con grave e male, insieme a più e men) che anticipano la gioia della visione mistica alla fine del percorso.

• La rapida similitudine della nave indica un totale capovolgimento della logica umana: dalla scalata alla navigazione secondo corrente, dall’affanno al riposo.

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Un episodio comico: l’incontro con il pigro Belacqua

• E com’elli ebbe sua parola detta, una voce di presso sonò: «Forse che di sedere in pria avrai distretta!».

• Al suon di lei ciascun di noi si torse, e vedemmo a mancina un gran petrone, del qual né io né ei prima s’accorse.

• Là ci traemmo; e ivi eran persone che si stavano a l’ombra dietro al sasso come l’uom per negghienza a star si pone.

• Il personaggio entra prepotentemente in scena di sorpresa, con una battuta ironica. L’episodio sarà tutto improntato al tono comico e al dialetto fiorentino.

• I pigri, come gl’ignavi, non son degni di attenzione: lo si vedrà anche nel finale dell’episodio, al canto 5.

• I pigri devono sostare senza muoversi per la durata della loro vita: ma ne approfittano per godersi qualche comodità: l’ombra, il sedersi, la pietra come schienale di una poltrona…

di qui l’antitesi con l’ascesa faticosa di Dante. Pure tra i due c’è attrazione, come se si completassero a vicenda.

Avrai distretta: avrai necessità

Negghienza: negligenza

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E un di lor, che mi sembiava lasso,

sedeva e abbracciava le ginocchia,

tenendo ‘l viso giù tra esse basso.

«O dolce segnor mio», diss’io, «adocchia

colui che mostra sé più negligente

che se pigrizia fosse sua serocchia».

Allor si volse a noi e puose mente,

movendo ‘l viso pur su per la coscia,

e disse: Or va tu sù, che se’ valente!

• Sembiava lasso, negligente, pigrizia: la famiglia di parole definisce bene il peccato qui rappresentato

• Ironica è la descrizione della posa assunta da Belacqua, per risparmiare ogni minima fatica

• Secondo la tecnica dell’im-properium, ma venata di affetto e di amicizia, Dante risponde per le rime e chiama l’amico “fratello di pigrizia” (serocchia per sorella è dialetto fiorentino)

• Il gesto di B. è minimo, ma notevole: solo l’occhio risale faticosamente lungo la coscia verso l’alto! Anche il fiato è emesso al risparmio: sono sei monosillabi su sette parole.

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UNA SCENA FIORENTINA • Conobbi allor chi era, e quella angoscia

che m’avacciava un poco ancor la lena, non m’impedì l’andare a lui; e poscia

ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena, dicendo: «Hai ben veduto come ‘l sole da l’omero sinistro il carro mena?».

Li atti suoi pigri e le corte parole mosser le labbra mie un poco a riso; poi cominciai: «Belacqua, a me non dole

di te omai; ma dimmi: perché assiso quiritto se’? attendi tu iscorta, o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?».

• Belacqua è un artigiano di Firenze, un liutaio, che Dante incontrava spesso nelle sue passeggiate per la città, con cui scambiava battute anche pungenti, ma senza risentimento. Come tutti nel quartiere scherzava sull’immobilità del liutaio al suo banco da lavoro, mentre attendeva a verniciare uno strumento o a rifinire il lavoro con precisione e con cura maniacale, ma senza affanno, con una sapienza pratica e non teorica, al contrario di Casella.

Avacciava la lena: affrettava il respiro

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• Ed elli: «O frate, andar in sù che porta? ché non mi lascerebbe ire a’ martìri l’angel di Dio che siede in su la porta.

• Prima convien che tanto il ciel m’aggiri di fuor da essa, quanto fece in vita, perch’io ‘ndugiai al fine i buon sospiri,

• se orazione in prima non m’aita che surga sù di cuor che in grazia viva; l’altra che val, che ‘n ciel non è udita?».

• E già il poeta innanzi mi saliva, e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco meridian dal sole e a la riva cuopre la notte già col piè Morrocco».

• Il contrappasso trasforma l’abitudine terrena in condanna: resta la leggerezza del tono “Che porta? Che val?”

• Ironico è il particolare del cielo che s’aggira intorno a Belacqua, immobile centro del suo micro-universo

• Ancora il tema del suffragio

• La conclusione sbrigativa di Virgilio è ancora legata alla posizione del sole, in una chiusura che riprende l’inizio in forma ciclica: è mezzogiorno nel Purgatorio, ma è già notte a 90° di distanza, in Marocco.

Ire a’ martiri: entrare nel Purgatorio

dove si soffre per purgarsi dei

peccati

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CANTO V L’ultima parola spetta ai pigri

• Io era già da quell' ombre partito, e seguitava l'orme del mio duca, quando di retro a me, drizzando 'l dito,

• una gridò: «Ve' che non par che luca lo raggio da sinistra a quel di sotto, e come vivo par che si conduca!».

• Li occhi rivolsi al suon di questo motto, e vidile guardar per maraviglia pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto.

I pigri non si sono ancora accorti che Dante è vivo: solo quando egli già è in marcia uno spirito nota in ritardo la sua ombra. Viene ripetuto il verbo par, perché anche l’intelletto è pigro a capire.

Comica è la formulazione del pensiero, dove viene risparmiato anche il fiato per le parole: usa quasi solo monosillabi (14 in tre versi)! Anche Dante sembra adeguarsi al clima generale con il verso “pur me, pur me e ‘l…” (= proprio me)

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Il rimprovero di Virgilio • «Perché l'animo tuo tanto s'impiglia»,

disse 'l maestro, «che l'andare allenti? che ti fa ciò che quivi si pispiglia?

• Vien dietro a me, e lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti;

• ché sempre l'omo in cui pensier

rampolla sovra pensier, da sé dilunga il segno, perché la foga l'un de l'altro insolla».

• Che potea io ridir, se non «Io vegno»? Dissilo, alquanto del color consperso che fa l'uom di perdon talvolta degno.

• Come con gli IGNAVI del canto 3° dell’Inferno, Virgilio reagisce duramente al clima rilassato e disimpegnato. La lezione di Catone ha ben attecchito nell’animo nobile dell’antico poeta, più che in quello di Dante: la tensione verso il Cielo non può essere più forte.

• La similitudine della “torre ferma” è tra le più famose della Commedia.

• Anche la spiegazione psicologica della volubilità è splendida: un progetto nuovo toglie forza al precedente, che non è stato ancora realizzato: il risultato è un impasse, per l’annullarsi della tensione rivolta a due diversi obiettivi. Dio invece è l’unico fine, in cui tutto si spiega e trova senso.

• Il colore della vergogna è il rossore, già comparso altre volte sulle gote di Dante (p.es. If. 30). L’avverbio talvolta si spiega perché la vergogna può essere positiva, se si associa al proposito di convertirsi, ma può essere una passione solo negativa, come in Vanni Fucci, se scompagnata dal pentimento.

Le torri di

San

Gimignano

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L’incontro con un nuovo gruppo: dal comico al tragico

E 'ntanto per la costa di traverso

venivan genti innanzi a noi un poco,

cantando 'Miserere' a verso a verso.

Quando s'accorser ch'i' non dava loco

per lo mio corpo al trapassar d'i raggi,

mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;

e due di loro, in forma di messaggi,

corsero incontr' a noi e dimandarne:

«Di vostra condizion fatene saggi».

• Sono spiriti la cui vita è stata violentemente interrotta dall’omicidio e che si sono pentiti all’ultimo istante, senza assistenza spirituale.

• La violenza subita ha lasciato in loro tracce dolorose: rimpianto per la vita perduta anzitempo; angoscia e sensibilità reattiva; ansia di fare bene e in fretta ciò che sulla terra hanno atteso di compiere fino alla fine; infine domina un sentimento elegiaco per il corpo perduto e martoriato.

-ne: pron. di 1° persona, -ci

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Quasi una scena di battaglia

E 'l mio maestro: «Voi potete andarne

e ritrarre a color che vi mandaro

che 'l corpo di costui è vera carne.

Se per veder la sua ombra restaro,

com' io avviso, assai è lor risposto:

fàccianli onore, ed esser può lor caro».

Vapori accesi non vid' io sì tosto

di prima notte mai fender sereno,

né, sol calando, nuvole d'agosto,

che color non tornasser suso in meno;

e, giunti là, con li altri a noi dier volta,

come schiera che scorre sanza freno.

• Nelle parole di Virgilio, Dante insiste antiteticamente sul dato fisico e materico: un corpo in carne e ossa, non solo un’ombra!

• Onorare Dante, cioè riconoscere i meriti per cui è stato scelto da Dio per il meraviglioso viaggio nell’aldilà.

• Caro: si accenna al tema delle preghiere di suffragio.

• La similitudine dei vapori accesi è molto drammatica e comunica l’idea di un’esplosione, di una rapidità estrema e violenta: come l’episodio finale delle vite spezzate di queste anime.

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Concitazione, confusione, grida «Questa gente che preme a noi è molta,

e vegnonti a pregar», disse 'l poeta: «però pur va, e in andando ascolta».

«O anima che vai per esser lieta con quelle membra con le quai nascesti», venian gridando, «un poco il passo queta.

Guarda s'alcun di noi unqua vedesti, sì che di lui di là novella porti: deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?

Noi fummo tutti già per forza morti, e peccatori infino a l'ultima ora; quivi lume del ciel ne fece accorti,

sì che, pentendo e perdonando, fora di vita uscimmo a Dio pacificati, che del disio di sé veder n'accora».

• Virgilio insiste sulla necessità di continuare a salire: “pur va” = continua ad andare

• Il discorso diretto è in realtà un coro di voci, che si accavallano disordinatamente

• La conversione all’ultima ora è un tema drammatico: ma la misericordia di Dio accoglie anche queste anime, purché perdonino ai loro carnefici: “pentendo e perdonando”

• Il perdono offre la pace necessaria all’incontro con Dio.

Ne fece accorti: ci fece consapevoli

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La solita richiesta: la preghiera • E io: «Perché ne' vostri visi guati,

non riconosco alcun; ma s'a voi piace cosa ch'io possa, spiriti ben nati,

• voi dite, e io farò per quella pace che, dietro a' piedi di sì fatta guida, di mondo in mondo cercar mi si face».

• E uno incominciò: «Ciascun si fida del beneficio tuo sanza giurarlo, pur che 'l voler nonpossa non ricida.

• Ond' io, che solo innanzi a li altri parlo, ti priego, se mai vedi quel paese che siede tra Romagna e quel di Carlo,

• che tu mi sie di tuoi prieghi cortese in Fano, sì che ben per me s'adori pur ch'i' possa purgar le gravi offese.

• Spiriti ben nati: nati felicemente, perché destinati al Paradiso, ma anche nobili nell’animo, perché han saputo perdonare ai nemici.

• Per quella pace: come questi spiriti, anche Dante resta traumatizzato dalla violenza subita (l’esilio) e solo in Dio troverà giustizia e pace.

• Pur che ‘l voler (c. oggetto) nonpossa (sogg.) non ricida: purché l’incapacità non annulli la volontà di recare un beneficio.

• S’adori: si preghi Dio

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Jacopo del Cassero: un politico scomodo

• Nacque a Fano nel 1260 da Uguccione del Cassero. Fu magistrato guelfo di Fano e tra il 1288 e il 1289 partecipò con i Guelfi marchigiani alleati a Firenze alla battaglia di Campaldino contro i Ghibellini di Arezzo.

• Difese Bologna, città di cui era podestà dal 1296 al 1297, dalle mire espansionistiche di Azzo VIII d'Este, signore di Ferrara.

• Nel 1298 venne eletto podestà di Milano e per raggiungere la città decise prudentemente di passare da Venezia

• Ma sulle rive del Brenta, presso le paludi che attorniavano il castello di Oriago, venne raggiunto dai sicari di Azzo VIII e ucciso.

Pietra tombale di Jacopo

con Madonna del latte

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Lo shock della ferita insanguinata

• Quindi fu' io; ma li profondi fóri ond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea,

fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,

• là dov' io più sicuro esser credea: quel da Esti il fé far, che m'avea in ira assai più là che dritto non volea.

• Ma s'io fosse fuggito inver' la Mira, quando fu' sovragiunto ad Orïaco, ancor sarei di là dove si spira.

Jacopo non è ancora ravveduto: non capisce

di essere in salvo, perché in Purgatorio, ma

continua a pensare a come avrebbe potuto

salvarsi in terra.

• Vivido è il ricordo atterrito del sangue che sgorga dalle ferite mortali: è la violazione di un tabù atavico. Torna un tono tragico e mosso, come in certi racconti dell’Inferno.

• Tragica è l’ironia: il tradimento dei padovani (secondo le leggende pronti sempre a tradire, come il loro fondatore Antenore) porta il protagonista alla rovina proprio quando credeva di essere in salvo.

• Qual è l’errore di Jacopo? Quello di aver confidato nei Padovani, o nel suo piano, o nella scelta di una strada errata? O non forse quello di aver rischiato di morire fuori dalla grazia di Dio?

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Un incubo fatto realtà • Corsi al palude, e le cannucce e 'l

braco m'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid' io de le mie vene farsi in terra laco».

• Braco: termine basso per fango

• Cannucce: canne di palude

• Bella la preterizione dell’attimo mortale, che non viene descritto, in una specie di scena tutta “in soggettiva”.

• Nella memoria di Jacopo resta l’orrore di rivivere gli ultimi istanti, in un paesaggio squallido e inquietante: la palude, che come in un incubo ne frena la fuga. Rivede il sangue spargersi a terra, nel fango: un liquido nobile contaminato da uno volgare.

• Il sangue versato è tanto che sembra un lago (elemento più nobile della palude). Ma c’è consonanza tra le immagini.

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Bonconte da Montefeltro: un

disperso in battaglia

• Poi disse un altro: «Deh, se quel disio si compia che ti tragge a l'alto monte, con buona pïetate aiuta il mio!

• Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; Giovanna o altri non ha di me cura; per ch'io vo tra costor con bassa fronte».

• Il disio di Dante è lo stesso dello spirito di Buonconte: salire presto in Paradiso. “Se” è particella desiderativa, alla latina.

• Classica antitesi tra il grado di nobiltà terrena (duca), ormai relegato al passato (fui) e l’identità personale, che è eterna (son).

• Quarto figlio di Guido da Montefeltro, apparteneva alla casata dei duchi di Urbino, molto legato ad Arezzo (probabilmente vi era nato attorno al 1250). Nel 1287 Bonconte partecipò alla guerra civile che si concluse con la cacciata dei guelfi dalla città. Nel 1288 partecipò alle Giostre del Toppo, la battaglia in cui gli Aretini sconfissero i Senesi.

• La sua fama, tuttavia, è legata alla battaglia di Campaldino, avvenuta il giorno 11 giugno 1289, in cui, conducendo la cavalleria ghibellina, trovò la morte. Il suo corpo non fu rinvenuto, fatto che colpì Dante Alighieri che combatteva fra i suoi avversari.

• Giovanna è probabilmente la moglie, ma non se ne sa nulla. Altri allude alla figlia.

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IL CAMPO DI BATTAGLIA DI

CAMPALDINO (1289)

• E io a lui: «Qual forza o qual ventura ti travïò sì fuor di Campaldino, che non si seppe mai tua sepultura?».

• «Oh!», rispuos' elli, «a piè del Casentino traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano, che sovra l'Ermo nasce in Apennino.

• Là 've 'l vocabol suo diventa vano, arriva' io forato ne la gola, fuggendo a piede e sanguinando il piano.

• Ti traviò: ti allontanò perdendoti

• ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano: dove l’Archiano si getta nell’Arno.

• forato nella gola: anche Bonconte “perde il vocabolo”, la parola, ma a Dio basta una lacrima per accertare la sincerità del pentimento

• Forato e sangue riprendono temi e parole di Jacopo

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La carica della cavalleria

ghibellina apre la battaglia

Ma poi i cavalieri si disperdono allontanandosi dal luogo

dello scontro e favoriscono la sconfitta dei ghibellini

Aretini.

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Il tema agiografico della lotta tra

angeli e demoni

• Quivi perdei la vista e la parola;

nel nome di Maria fini', e quivi

caddi, e rimase la mia carne sola.

• Io dirò vero, e tu 'l ridì tra ' vivi:

l'angel di Dio mi prese, e quel d’inferno

gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?

• Tu te ne porti di costui l'etterno

per una lagrimetta che 'l mi toglie;

ma io farò de l'altro altro governo!".

L’etterno: l’anima

L’altro: il corpo.

Effettivamente la

sparizione del corpo

ha recato danno a

Bonconte: la famiglia,

senza una tomba da

visitare, lo ha

dimenticato e non

prega per lui

Disegno di Botticelli

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I ricordi di Dante si fondono

con quelli di Bonconte

• E’ dato storico che, dopo la giornata afosa, si

scatenò su Campaldino un pauroso temporale,

che provocò una piena dell’Archiano.

• Che cosa abbia provato Dante lo si può cogliere

dai ricordi del piano insanguinato e dell’angoscia

al termine dello scontro, acuita dalla violenza

della natura, quasi una manifestazione divina di

dissenso; si aggiunge anche la curiosità per il

cavaliere disperso (Bonconte era il comandante

della cavalleria ghibellina)

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LA DIGRESSIONE SCIENTIFICA

SULL’ORIGINE DEL TEMPORALE • Ben sai come ne l'aere si raccoglie

quell' umido vapor che in acqua riede, tosto che sale dove 'l freddo il coglie.

• Giunse quel mal voler che pur mal chiede con lo 'ntelletto, e mosse il fummo e 'l vento per la virtù che sua natura diede.

• Indi la valle, come 'l dì fu spento, da Pratomagno al gran giogo coperse di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento,

• sì che 'l pregno aere in acqua si converse; la pioggia cadde, e a' fossati venne di lei ciò che la terra non sofferse;

• e come ai rivi grandi si convenne, ver' lo fiume real tanto veloce si ruinò, che nulla la ritenne.

Riede: ritorna

Il diavolo

Giogo: Appennino

Pregno: gonfio

di umidità

Si ruinò: si precipitò

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Lo scempio del corpo in preda

all’ira del diavolo e della piena

• Lo corpo mio gelato in su la foce

trovò l'Archian rubesto; e quel

sospinse

ne l'Arno, e sciolse al mio petto la

croce

• ch'i' fe' di me quando 'l dolor mi

vinse;

voltòmmi per le ripe e per lo fondo,

poi di sua preda mi coperse e cinse».

Rubesto: rabbioso, cioè

impetuoso

Di sua preda mi coperse:

mi coprì di pietre e

detriti

Notevole il particolare delle

braccia…

…a croce: il corpo si fa preghiera

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Un personaggio femminile: Pia

La preterizione e il pudore sono le note dominanti del 3° personaggio: la sua breve vita è sintetizzata dai due luoghi di nascita e morte (antitesi), quasi una iscrizione tombale.

Anche Pia si lascia irretire da pensieri ingannevoli, come Jacopo. Crede che l’anello prezioso del marito simboleggi vero amore, mentre nasconde solo avidità e violenza.

«Deh, quando tu sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via», seguitò 'l terzo spirito al secondo,

• «ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che 'nanellata pria

• disposando m'avea con la sua gemma».